indice n.160

Lettera del collettivo OLGa
Lettera dal carcere di Alessandria
Lettera dal carcere di Viterbo
Lettera dal carcere di Ivrea
Lettera dal carcere di Massama (OR)
Un’intervista ad un ex detenuto
Lettera dal carcere di Alessandria
Lettera dal carcere di Napoli-Secondigliano
Lettera dal carcere di Milano-Opera
Lettera dal carcere di Massama
Alcune liberazioni
Lettera pubblica dal carcere di Terni
Sulla Palestina
nOTTI DI RIVOLTA AL CORVETTO DOPO LA MORTE di RAMY
Assemblea studentesca contro carcere e CPR - Milano
VERITÀ SUGLI ABUSI ALLA STELLA MARIS
UNA STAGIONE DI FUOCO
Ciao Matteo!


Lettera del collettivo OLGa
Carissimi tra i più affezionati lettori dell'opuscolo, diremmo collaboratori se la parola non fosse compromessa, quindi
diciamo inviati speciali nel ventre della bestia. Siamo qui convenute per farvi una domanda: che ne pensate
dell'opuscolo di OLGa che ricevete da tempo? Cosa rappresenta per voi?
Ve lo domandiamo perché vogliamo capire e ascoltare tutte le critiche e i suggerimenti, che possono venire solo da voi,
per rendere l'opuscolo più utile e più interessante per chi sta dentro.
E ancora, che tipo di circolazione ha l'opuscolo e come pensate che potremmo diffonderlo meglio?
Sta diventando sempre più difficile farlo entrare nelle carceri, mantenere i contatti che abbiamo e soprattutto riuscire
a farne di nuovi. Spesso diffondiamo il nostro indirizzo attraverso le radio o lo urliamo ai presidi fuori dalle
carceri, ma come potremmo aumentare la diffusione?
E una volta entrato, l'opuscolo è interessante per chi sta in carcere? È leggibile? Potremmo aggiungere qualcosa o al
contrario togliere del materiale?
Gruppo di affezionatissimi, voi siete detenuti in carceri, sezioni e regimi diversi, per noi è importante ciascuno dei
vostri punti di vista, ogni realtà che vivete in prima persona.
Queste risposte non verranno pubblicate a meno che non ci chiediate esplicitamente di farlo, vogliono essere un
confronto diretto. Se OLGa vuole essere un ponte tra dentro e fuori, a chi rivolgerci se non direttamente a voi?
In sostanza, quali limiti voi vedete in OLGa? Capiamo che vi stiamo chiedendo uno sforzo, vi stiamo invitando a
ragionare con noi rispetto a cosa è stato fino ad adesso e come invece andare avanti, e qualunque analisi o
suggerimento abbiate sarà sicuramente importante.
Molte grazie!


Lettera dal carcere di Alessandria
Rispondo alla vostra lettera che ho ricevuto. Da quando ricevetti l'opuscolo di Olga moltissimi anni fa mi ha fatto
molto piacere conoscere realtà delle carceri e di chi ci vive dentro. Ma a volte venivano pubblicate delle lettere che a
mio avviso non dovevano essere pubblicate, mi spiego: leggo di molto vittimismo di chi si lamentava per i sei mesi di
galera oppure perché il magistrato non gli aveva dato i giorni di liberazione anticipata, oppure perché non gli venivano
concessi i permessi e in quel momento ebbi l'impressione che l'opuscolo veniva utilizzato come confessionale. Per me
l'opuscolo ha sempre rappresentato e concesso di lasciare spazio per far conoscere al mondo esterno le problematiche
delle carceri di chi lo vive giorno per giorno. Ma rappresenta anche uno strumento comunicativo per conoscere le altre
realtà esterna alle mura. L'opuscolo più interessante e più utile dovrebbe contenere argomenti di idee politiche e la
conoscenza di quanto accade fuori. Per dei compagni in carcere o almeno per me è interessante perché mi dà l'occasione
di pubblicare ma anche l'occasione di conoscere nuove idee e nuovi compagni. Quindi nelle pubblicazioni escluderei le
lettere che contengono piagnistei e vittimismo. Pertanto non credo che l'argomento meriti di occupare spazio di lettura
quindi può essere leggibile se contiene argomenti più impegnativi. A me fa piacere che Olga continui ad essere un ponte
tra dentro le carceri e fuori. Spero che l'opuscolo Olga diventi migliore di ieri è migliore di prima.

5 novembre 2024
Mauro Rossetti Busa (trasferito da fine novembre a Padova)
Via Due Palazzi, 35/a - 35136 Padova


Lettera dal carcere di Viterbo
Buongiorno carissimi compagni, spero tutto bene, io ho appena inviato una lunghissima lettera sul mio pensiero e di come
vedo il carcere e i carcerati. Ora cercherò di rispondere alle vostre domande, inizierò col dirvi che il vostro opuscolo
è per me utile per due motivi, prima di tutto ovviamente è l'informazione di cosa succede all'esterno e poi mi dà
l'occasione di esprimermi, di far uscire il mio pensiero e diffonderlo, così una parte di me esce ed è libera. Per me,
ma questo è solo la mia umile opinione, è che l'opuscolo si occupa poco di legge e leggi penali del nostro codice
penale, però sinceramente non ho suggerimenti su come farlo, forse usando lo stesso opuscolo. Avete ragione, l'opuscolo
gira poco nelle carceri, solamente per noi di una vecchia generazione è utile; lo vedo io stesso, che cerco sempre di
pubblicizzarlo, che la nuova generazione al momento è entusiasta, gli piace l'opuscolo e sembra interessata, ma poi alla
fine pensa a cercare quel qualcosa per non pensare e dormire. Altra cosa che ho notato nella nuova generazione che, a
parte le loro beghe, come entrano si sentono fascisti senza conoscere la storia; regna l'ignoranza, anzi "vanno" a
scuola, mettono la presenza e dopo 10 minuti tornano in sezione, lo scopo? Le quasi 500 euro di fine corso, ma non
voglio giudicare perché questo succede perché gli è permesso. L'unico modo è sempre e comunque la diffusione per mezzo
nostro, io non ne vedo altra. Penso che l'opuscolo è interessante e per esempio mi è stato chiesto molto spesso il FAI
DA TE BREVE PRONTUARIO LEGALE PER I PRIGIONIERI, il libricino di colore giallo, quello sì che ha raggiunto il suo scopo
e interessamento; non credo che togliere materiale serva, coso mai servirebbe pubblicare più lettere dai carceri, quello
che ho notato è che dei feminili c’è poca partecipazione, credo che nei femminili neanche sappiano che esista l’opuscolo
e il servizio e l'utilità che ci offre; sul discorso della realtà del carcere c'è da scrivere una vera e propria lettera
da pubblicare e ve la invierò perché ormai siamo solo fonte di denaro, come le “vacche” che sono rinchiuse solo allo
scopo di formare latte "denaro" ogni giorno, e in più costa molto essere detenuti, ve lo scriverò di sicuro perché
addirittura il vitto non è commestibile forse come in tempo di guerra, in trincea e questo porta ovviamente a comprare i
loro prodotti con i loro prezzi, non proprio come sono i prezzi fuori. Poi c'è la parte sanitaria, ve ne parlerò perché
sta accadendo ora proprio a me e ho scoperto cosa fanno e non fanno.
Riguardo a Olga non credo che possa fare più di quello che sta facendo.
Bene, ora vi saluto cari compagni e spero che in qualche modo vi sia stato d'aiuto. È stato un vero piacere scrivervi, a
presto con la mia prossima, per me siete comunque un faro con il mare in burrasca, vi auguro di passare voi tutti una
buona giornata.

13 novembre 2024
Maurizio Bianchi, Strada Santissimo Salvatore 14/b - 01100 Viterbo (VT)


Lettera dal carcere di Ivrea
Ciao carissimi compagni, compagne e Olga. Prima di tutto spero di trovarvi in ottima forma. Io, diciamo che sto bene ho
una flebite e la pressione alle stelle. Sono acciacchi causati dall'età. Oggi poi è il mio compleanno, compio 59 anni e
mi incammino per i 60. Vi faccio sapere che 3 giorni fa cioè venerdì mi hanno dovuto portare di nuovo in ospedale d'
urgenza per la pressione che non scendeva, 180 su 120 e 150 su 110 180 su 130, mi hanno dato pure quelle gocce che si
mettono sotto la lingua, ma non c'è stato verso, poi la flebite, che era andata via, per mancanza del daflon 500 mi è
rivenuta peggio di prima. Avevo ricevuto la vostra lettera giovedì, riguardante la rivista Olga. L ho letta con
interesse ma non ho potuto rispondere subito, un po per mancanza di bolli, un po' per quello che vi ho detto. Domenica
sera mi hanno dimesso e ora sto piantonato alla degenza. Stiamo vedendo per le calze di contenimento ma costano 35 euro
al paio. E questi soldi non li ho. Forse mercoledì la dirigente se li trova me ne porta un paio usate, ma va bene, e due
scatole di daflon per tamponare me le devo comprare io. Qui sto quasi da un anno e per via della salute non posso
lavorare. Quindi vi dico anche che forse tra dicembre e gennaio dovrei andare in un centro riabilitativo e credo che li
sarò sostenuto dalla struttura da come ho letto nel programma dovrebbe durare due anni. Io me ne devo fare ancora 4…
questi quasi 91 giorni sembrano non finire mai, mai mai. Bene cari compagni e compagne vorrei rispondere alla vostra
richiesta e potete pure pubblicarla per me non ci sono problemi perché mi sono sempre firmato e non temo nessuno per
quello che è successo in tante carceri, qui solo trambusto e carrello indietro in cucina senza prendere nulla ora si è
tutto fermato per cui penso che Olga possa essere la soluzione a questa loro sordità perché le carceri sono stracolme e
Nordio non se ne può uscire con rimpatrio per gli stranieri, e tossici in comunità, e il resto? Quindi Olga è g
ià un bel ponte e strumento che noi usiamo non solo per le lamentele che ci sono tutte e potrà essere oggetto per
spingere a visitare le carceri dagli ispettorati, appunto, l ispettorato regionale. Io credo che Olga è ancora salda e
non va tolto nulla, anzi dobbiamo rafforzarla e incrementarla. Olga non deve essere un libretto di istruzioni ma la
soluzione, è a questo che dobbiamo puntare. Ora mi fermo e vi saluto. Scrivo la mia su come la penso.
Avevo un altra facciata qui dietro e non me ne ero reso conto. Siccome ho poca carta per scrivere. Come vedete in fogli
a4 che per me è un problema scrivere senza righe, devo scrivere con il foglio inclinato quindi scrivo quello che va
pubblicato. Sinteticamente perché chi vuol capire capisca. Poi magari correggete qualcosa se va corretto, non sono un
mago ma quello che devo scrivere vi arriva sempre se uno vuol comprendere e comprende lo so perché chi usa Olga è
consapevole di tutto.
Cari compagni e compagne credo che Olga ha mandato pure a voi uno scritto sull’opinione di noi sul ventre della bestia,
perciò è ora di rimboccarsi le maniche e fare unione, assidui e non assidui poichè tutti noi usufruiamo di questo bel
strumento che ha già il suo valore, ma possiamo, dobbiamo di più valorizzarlo. Io leggo tante riviste, come Nunatak, e
tante altre, ma Olga è la mamma, quella che abbraccia ogni nostro affanno qui dentro e per me personalmente non è cosa
da poco. Io dico la mia di cosa ha di potenziale questa rivista. Si sa che mesi fa abbiamo usato Olga per la situazione
delle carceri e per cose personali. Olga ci chiede un parere. Per conto mio credo che Olga da oltre vent’anni è sempre
stata al nostro fianco senza mai chiedere nulla in cambio. É doveroso da parte mia dire la mia non vuol dire avere una
risposta perché il confronto è un dono per potere interagire, specie per noi che stiamo in questa gabbia. Quindi credo
che già il contenuto che Olga espone. Con questo credo che il suo sito è accessibile a tutti. A noi ogni mese viene
mandata una copia gratuitamente e credo che per Olga non sarà un problema stampare una decina di copie in più e mandarle
una al sig. Nordio che ha il culo incollato alla poltrona che ignobilmente gli è stata data da questo governo.
Invitiamolo a visitare le carceri di questo bel paese, figlio di una dittatura mascherata. I cittadini comuni se la
possono anche bere, ma noi no. Se siete d’accordo con me. Poi non è solo pianeta carcere, sovraffollamento, celle piene
come non mai, suicidi manco a dirlo. Quindi chi ci vive è esasperato e si arriva a gesti estremi. Olga ce li ha elencati
tutti i suicidi di quest’anno che volge a un capolinea. Che potrà succedere alle porte di questo ennesimo natale lontano
dai nostri affetti? Per me è il decimo e onestamente mi sono illuso in tutto questo “quanto” successo in questa estate
rovente. Olga può essere mandato con le nostre lettere anche al governo. Muto governo se si parla di carceri invivibili.
Qui ad Ivrea ci sono le sezioni piene di cimici. Si diceva una tempo che il detenuto aveva spodestato le cimici. Ora
pretendono il loro caldo giaciglio. Non solo le cimici perché si può convivere più con loro che con chi governa e
governa male. Io non sono quello che ha la soluzione a portata di mano, ma un po' io, un po ognuno di voi, facciamo
volare Olga come non ha mai volato. I compagni ci chiedono una cosa semplice. Una nostra opinione, un qualcosa che forse
non si è mai fatto all’unisono. Quindi è bene che esponiamo le nostre problematiche attraverso questo strumento
comunicativo. Ma ognuno di noi faccia una sua opinione, che metta nero su bianco, per davvero come stanno le cose. Una
volta incrementato Olga con le lettere concise credo che non avrà problemi per recapitarle a Nordio, i presidenti
regionali, ai sindaci, ad altre carceri invivibili. Qui ad Ivrea ci sono le sezioni piene di cimici. Si diceva una tempo
che il detenuto aveva spodestato le cimici. Ora pretendono il loro caldo giaciglio. Non solo le cimici perché si può
convivere più con loro che con chi governa e governa male. Io non sono quello che ha la soluzione a portata di mano, ma
un po' io, un po' ognuno di voi, facciamo volare Olga come non ha mai volato. I compagni ci chiedono una cosa semplice.
Una nostra opinione, un qualcosa che forse non si è mai fatto all’unisono. Quindi è bene che esponiamo le nostre
problematiche attraverso questo strumento comunicativo. Ma ognuno di noi faccia una sua opinione, che metta nero su
bianco, per davvero come stanno le cose. Una volta incrementato Olga con le lettere concise credo che non avrà problemi
per recapitarle a Nordio, i presidenti regionali, ai sindaci, ad altre "forze politiche” che non contano un cacchio e
meno di un fico secco, poi alle magistrature che per un furto ci rompono il di dietro a chi che sia e tra l'altro ci
sono detenuti con un breve residuo e si parla sempre della solita minestra. LE PENE ALTERNATIVE, DI INSERIMENTO SOCIALE,
L'EDUCAZIONE MORALE.
IL CARCERE è criminale, criminoso e criminogeno. Alla coda della mia lettera troverete un volantino che è giunto in vari
carceri grazie a compagni e compagne ora libere da quel letamaio di REGINA COELI ROMA.
Ci sono anche loro a nostro sostegno c è il loro sito per chi fosse interessato dall’ esterno anche perché Olga non si
limita con le lettere ha un sito che chiunque può cliccare e saperne di più, a noi non è concesso ma chi ha familiari
può delegare.
Io so che giudici, avvocati, politici cliccano e leggono mese per mese per cui non possono non sapere. Ultima cosa. Olga
deve essere pure quella rivista da noi arricchita non solo del pianeta cercere. Ci sono tante cose losche come le scorie
tossiche, smaltimenti di altri generi ma sempre tossici per la salute. L'Italia sappiamo che è un crocevia e lo stato
acconsente, perché? perché dietro c'è un introito di denaro o scambi di favoritismi. Noi siamo in dovere di non
permettere a chi governa di scendere a questi compromessi. Pochi giorni fa a Napoli dei compagni si sono sdraiati sulle
rotaie perché stava per circolare un treno di scorie radioattive. Li hanno arrestati. E' GIUSTO SECONDO VOI? PERCIO
UNIAMOCI E FACCIAMO SENTIRE AD OLGA CHE SIAMO CON LEI SEMPRE E CON LEI VOLIAMO SPEZZANDO LE CATENE.
Non va tolto nulla da Olga, va solo riempito e fare un qualcosa che la rivoluziona con le nostre lettere.

5 novembre 2024
Rosario Mazzone, Corso Vercelli 165 - 10015 Ivrea (TO)
Lettera dal carcere di Massama (OR)
Ciao compagni, ho ricevuto la vostra lettera dove mi chiedete un parere su Olga e sui suggerimenti che potrei dare per
migliorarlo. Facciamo una premessa, qualunque mezzo comunicativo che trasmette notizie dall'interno del carcere
all'esterno è una sorta di manna, perché l'isolamento crea anche danni psicologici, pertanto va bene, comunque e
qualunque forma di denuncia pubblica. L'unico limite è nell'usare Olga per sfogarsi sulle ristrettezze personali che un
po' in tutti i carceri ci sono, comprendo che è una liberazione, anche psicologica, poter fare sapere all'esterno quello
che si subisce, ma non risolve il problema. Il sistema penitenziario è l'istituzione più illegale del Paese, lo si
desume anche dalle differenze tra un carcere all'altro, come se il direttore di turno avesse la facoltà di interpretare
a suo piacimento i codici e i regolamenti, e chi dovrebbe vigilare come il provveditorato regionale e il Dap, non fanno
niente, gli sta bene tutto, l'importante che tutto sia tranquillo. Bisognerebbe far sapere, a chi legge Olga, quali sono
i problemi reali che affliggono i prigionieri, quali sono le illegalità di cui si macchiano chi dirige un carcere, in
modo da informare e incidere su chi è interessato a sapere la realtà delle carceri. Creerei una pagina che in volta in
volta discute tecnicamente di un problema nelle carceri, con il tempo l'informazione potrà imprimere un percorso più
incisivo ai lettori. Nella Costituzione c'è l'obbligatorietà dell'azione penale, tramite avvocati che si interessano di
diritti civili, potrebbero presentare regione per regione formale denuncia di illegalità ai vari organi su ciò che
succede nelle carceri della regione. Se i reclusi avessero il diritto al voto, avrebbero l'attenzione dei partiti
politici, perché ci sono sessantamila reclusi, ogni anno entrano ed escono oltre centomila persone dalle carceri, ci
sono circa due milioni di ex reclusi, queste persone hanno famiglia, parenti e amici, questo enorme serbatoio di voti
solleciterebbe i partiti a una politica garantista con il rispetto dei diritti dei reclusi e abolire norme e regolamenti
ottocenteschi, come anche le leggi oppressive per una permanente repressione nel meridione derivante dal sistema
giudiziario coloniale per mantenere le regioni del Sud in uno stato di minorità. Nel regime di tortura del 41 bis sono
tutti meridionali, nel regime AS-1 sono tutti meridionali, nel regime di AS-3 oltre il 90% sono meridionali, il 70-80%
dei reclusi italiani sono meridionali, pertanto o aveva ragione Cesare Lombroso che siamo delinquenti per nascita:
"eredità atavica e nulla può sottrarli al loro destino. Perché non delinquono per un atto cosciente e libero di volontà
malvagia, ma perché hanno tendenze malvagie". Oppure c'è qualcosa che non va da parte dello Stato e di tutte le
istituzioni. L'oscurità delle carceri dovrebbe essere portata alla luce delle piazze, la realtà delle cose potrebbe
cambiare, anche se con questo governo è un po' difficile, non è che quelli di sinistra abbiano fatto granché. Tutti i
detenuti dovrebbero capire che le leggi vengono fatte in Parlamento, disinteressarsi quando avvengono le elezioni è
sbagliato, bisognerebbe indirizzare i nostri familiari al voto verso il "male minore", in caso contrario è inutile
lamentarsi per il sistema illegale nelle carceri e le leggi repressive votate in Parlamento. Tutto è politica, pertanto
dobbiamo diventare attori e non spettatori, attivi e non passivi, in caso contrario faranno sempre quello che vogliono
loro e saremo usati come strumento di distrazione di massa e mostrificati alla bisogna. Tutto quello che vi scrivo e vi
invio potete pubblicarlo senza problemi. Colgo l'occasione per chiedervi se avete una biografia di Danilo Dolce o un
libro che parla di lui. Se c'è la possibilità, mi piacerebbe ricevere alcuni adesivi della Palestina con la bandiera, la
maggioranza dei prigionieri è a favore dei palestinesi. Un caro abbraccio a tutti voi ciao a presto Pasquale.

11 novembre 2024
Pasquale de Feo, Loc. Su Pedriaxiu Massama - 09170 Oristano OR


Un’intervista ad un ex detenuto
Intervista a W., tunisino di 39 anni che ha passato in momenti diversi circa 4 anni nelle carceri italiane. Gli
presentiamo l’opuscolo di OLGa e anche a lui chiediamo suggerimenti per renderlo più interessante agli occhi dei
detenuti.

OLGa: Perfetto, eccoci qua, una cosa curiosa, noi quando mandiamo le lettere abbiamo proprio un problema. Sono
principalmente italiani che ci scrivono, non so se non si fidano, non ci conoscono, non sappiamo neanche noi cosa
sarebbe meglio fare, cosa scrivere o chiedere, perché se sapessimo cosa più interessa una persona che puoi aver
conosciuto tu, straniera, di origine arabe forse sarebbe più facile.
W.: La maggior parte non sanno scrivere, non c’è nessun altro problema, perché le lettere escono.
OLGa: Dovremmo saper scrivere in arabo?
W.: No scrivi in italiano, dentro c’è chi può tradurre per loro. Gli stranieri leggono poco ma sono soprattutto
interessati ai cambiamenti delle leggi.
OLGa: Allora volendo potremmo dire a loro, nelle lettere, per esempio, se vuoi rispondici in arabo? Poi noi ci
impegniamo a tradurlo
W.: Sì per esempio sì, o possono anche andare a parlare con un italiano se non sanno scrivere.
OLGa: Tu dici che non sanno scrivere in italiano o che non sanno proprio scrivere?
W.: Ci sono anche quelli che non sanno scrivere in arabo.
OLGa: Tu dici che nelle carceri c'è una divisione, al quinto raggio a San Vittore son tutti stranieri o arabi.
W.: Non tutti, ma è così comunque.
OLGa: Quindi dove vai vai è sempre un po’ così, in tante carceri e non solo a San Vittore, Bergamo com'era?
W.: No Bergamo al penale, no. Erano mischiate perché tutti definitivi, ma ci sono in cella, si possono trovare stranieri
tra di loro. Ci sono stranieri che non vogliono un italiano con loro.
OLGa: Ok è una scelta che fanno i detenuti quella, non è la direzione.
W.: Ma è anche un problema della polizia penitenziaria eh, perché normalmente sono loro che comandano dentro, non i
detenuti. Dentro la polizia penitenziaria comanda, ma anche i detenuti che arrivano a 5 anni, 6 anni che hanno la
condanna alta comandano. Comanda significa che… c'è parola, quando parlano sono ascoltati. Chi ha 20 anni di condanna,
chi ha 16 anni può andare a parlare con il direttore, può avere il suo orologio, le sue cose, è normale.
OLGa: Hai qualche privilegio in più diciamo, sei più ascoltato. Questo però il discorso delle case di reclusione tipo
Bergamo e così, perché a San Vittore è differente perché non ci sono i definitivi.
W.: A San Vittore ci sono tanti casini, sono tutti non definitivi, e sono tutti mischiati. C’è molta differenza tra
circondariali e penali.
OLGa: Tu sei stato anche in altre carceri oltre a Bergamo e San Vittore...
W.: 8 anni fa sono stato a San Vittore e anche al San Michele e a Biella.
OLGa: Quindi dici che cambia qualcosa tra un carcere e l'altro?
W.: A San Michele c'è la massima sicurezza.
OLGa: Tu stavi in massima sicurezza?
W.: No ma siccome c’è la massima sicurezza il carcere è più duro. Si lavora sei mesi e ti pagano con un mese di ritardo,
ogni mese, ti pagano 100 € /120 €. Io ho fatto un anno, facevo le grappe per vivere. Era l'unico modo per avere due
soldi. Ci sono tanti entrati per furto da pochi mesi e hanno da fare 18 anni, ancora giovani, entrano dentro e li
rovinano con la medicina.
OLGa: Quello è il problema principale? cioè dici della situazione di tutti i detenuti o soprattutto arabi?
W.: Il 90% dei detenuti, tutti usano medicine. Rivotril, Valium, Lyirica e anche medicine/droga come Subutex, metadone,
Subuxone, anche uno che non usa eroina, che non è tossico, compra Subutex per fare una serata e va in overdose perché è
forte. C’è anche chi è diventato tossico in carcere… tanti perché dentro comprano, i loro genitori fuori mandano soldi e
loro comprano medicine dentro, come il Subutex. Dopo una settimana di già sei diventato tossico.
OLGa: scusa una cosa però, per prendere Subutex, glielo deve prescrivere SerT no? Lui te lo prescrive ma tu lo devi
pagare?
W.: No, i tossici prendono le medicine e le tengono in bocca, e dopo la asciugano e le vendono. E così chi ha i soldi la
compra. C’è anche la polizia penitenziaria che porta il telefono dentro, che portano alcol, non c’è una cosa gratis.
Fanno business vendendo al triplo, di più del triplo del prezzo.
OLGa: Tu mi dici, che se c'è un problema dei problemi, proprio il problema tra i più grossi del carcere, è sicuramente
questa cosa degli psicofarmaci?
W.: Anche il sovraffollamento. Quella è un'altra delle cose.
OLGa: Sulla base di quello che hai vissuto tu, che tipo di situazioni hai visto?
W.: Una brutta vita dentro, io fino adesso ancora non ho elaborato.
OLGa: Quanti eravate in cella nell'ultima detenzione?
W.: Quattro, sei, cinque ed era una cella per due. A San Vittore in cella ci sono due metri per sei metri, ci sono sei
letti, tre a destra e tre a sinistra.
OLGa: In cella, si sta tanto tempo durante la giornata o puoi uscire?
W.: Due ore la mattina e due ore il pomeriggio, ma adesso è aperto di più, adesso quasi tutti le carceri sono aperte.
OLGa: Eh ma stanno chiudendo in tante carceri.
W.: Ultimamente si. Io sono stato un anno a San Vittore. Dalle otto fino alle dieci aperto, all’aria e poi ancora
dall’una alle tre.
OLGa: E poi cosa fai in cella in sei persone in una stanza?
W.: Così è un casino, niente, niente, perché si è mischiati, non è una famiglia.
OLGa: Invece di darsi una mano sono tutti contro tutti?
W.: Eh sì eh, ognuno ha il suo problema, pensa tutte le notti, pensa alle sue cose alla sua famiglia, alle sue tante
cose, si diventa aggressivi.
OLGa: Ci sono state delle situazioni dove ti sei trovato bene con qualcuno dentro?
W.: Sempre trovi qualcuno con cui puoi vivere bene. Con quattro vivi tranquillo, ma ne trovi sempre uno che fa un po’
casino.
OLGa: Tu però non sei mai stato in un carcere dove, per esempio, c'è più disponibilità di lavoro o c'è gente che fa la
corsa per ottenere i lavori. Io ho un amico a Bollate e dice che è stressato perché c'è tanto lavoro ma non un buon
lavoro per tutti, quindi si fanno la gara tra di loro.
W.: Questo solo a Bollate, nelle altre carceri no, perché non c'è lavoro e non fai niente. Sai che chi non parla bene in
carcere non può lavorare. Sempre ci sono queste cose.
OLGa: In generale per gli stranieri si parte da un gradino più basso, anche se sei lì da tanti anni?
W.: Sì anche tanti anni.
OLGa: Poi c’è l'aspetto della sanità. I medici dentro, se uno ha bisogno non ci sono o non curano… ti risulta?
W.: 50 e 50. Ci sono e non ci sono. Quasi tutti danno calmanti come ho detto prima, mal di denti ti danno Valium, mal di
testa ti danno Rivotril.
OLGa: Ma se tu stai male arrivano?
W.: Bisogna fare un po’ di casino per farti portare in ospedale, se non fai casino non ti aiuta nessuno, ti lasciano
così.
OLGa: Questo in tutte le carceri in cui sei passato?
W.: No Biella no, a Biella funziona la sanità, sono più duri ma la sanità funziona.
OLGa: forse perché ci sono medici più bravi, più attenti?
W.: Si, il dirigente sanitario è una brava persona.
OLGa: È ancora così?
W.: Non lo so adesso, era tanti anni fa, il 2014
OLGa: Secondo te, questa estate ci sono state un sacco di rivolte, perché? Quali sono i problemi, sono quelli che
abbiamo visto con il covid che sono tornati, tipo i soliti problemi di sovraffollamento?
W.: Col covid alle persone è venuta paura, paura di morire dentro il carcere.
OLGa: Ma questa paura è rimasta? Secondo te è cambiato qualcosa da quel momento?
W.: Nel 2020 tutte le persone dentro avevano paura di morire, perché ha contagiato tutti, e anche dentro il carcere con
quasi 95%. Io ero al quinto braccio di San Vittore quando ci sono state le rivolte. La notte poi sono arrivati a
picchiarci, pesante.
OLGa: Secondo te perché quest’estate ci sono state così tante rivolte nelle carceri?
W.: Non è cambiato niente, è la verità. Non cambia niente, sempre il sovraffollamento, sempre le persone che non
lavorano, non hanno i soldi per comprare le cose personali, le sigarette, queste cose, e ci sono persone che lavorano
sei mesi, un anno, lavorano e l'altro non lavora. Anche lui poi fa casino perché vede l'altro che lavora un anno e lui
no.
OLGa: Questi bisticci dentro sono tanti per chi lavora e per chi viene scelto di più per lavorare. È che la situazione
sta degenerando sempre di più dentro anche da un punto di vista strutturale delle carceri, acqua calda, riscaldamento.
Però non capisco perché uno decide o no di fare la protesta. Non capisco perché quest’anno hanno protestato e l’estate
prima no. Cosa può scatenare la protesta, perché lo fanno insieme, perché decidono di fare delle cose?
W.: No arriva così, un morto oppure è la polizia penitenziaria che picchia le persone, e così esce tutta la rabbia
insieme. Non è preparata cioè parte uno, partono tutti.
OLGa: Sono molti che non hanno nessuno fuori?
W.: Quasi più del 30% soprattutto stranieri ma anche italiani, sono tanti soli, perché sono di giù, qua al nord, e non
arriva nessuno a fare il colloquio.
OLGa: Perché è troppo lontano e troppo costoso. Questo è un altro fatto che incide molto. Se tu non hai nessuno e non
vedi nessuno stai ancora peggio
W.: Eh sì se non c'è nessuno, sei sempre sotto stress da solo. Non c’è famiglia, vedi solo il tuo compagno di cella che
esce a colloquio, arriva la sua famiglia, tu hai solo due foto del tuo bambino. Ho visto tante cose così.
OLGa: Tu sai che mandiamo un opuscolo dentro il carcere e capita a volte che ci rispondono sempre e a volte che non ci
rispondono, ultimamente non ci rispondono proprio. Ma secondo te anche nelle sezioni normali c'è tanta gente a cui
censurano la posta? Sono le guardie che non fanno arrivare l’opuscolo visto che noi siamo visti male dal carcere?
W.: Voi fate anche i volontari, entrate dentro? ci sono associazione come il Naga, i preti italiani, volontari che
entrano dentro e portano aiuto.
OLGa: No noi non facciamo quello e anzi quello che scriviamo non piace mai alla direzione.
W.: ah pensi così? Che non lo lasciano passare? Penso che può essere, loro non lasciano entrare opuscoli. Pensavo voi
parlaste di lettere, no loro non lasciano passare, perché non è buono per loro. Loro pensano, a questi detenuti
stressati noi gli diamo fuoco? Già c’è la benzina dentro.
OLGa: Allora benzina sul fuoco diventa! Noi abbiamo paura che forse poi i detenuti sono anche ricattati, cioè ci poniamo
anche il problema che magari noi inviamo il giornale a loro, loro lo ricevono e le guardie poi li prendono di mira. Se
noi diamo fuoco la guardia vede che inviamo fuoco e allora da quel momento lì lui non va più bene. Anche quello può
essere un problema, cioè che noi abbiamo uno strumento che al posto di aiutare un detenuto facciamo peggio.
W.: Sì, poi dipende dalle carceri. Sì, perché non sono tutti uguali. Dipende dal direttore e dal comandante del carcere,
perché qualsiasi cosa deve passare da loro.
OLGa: Quindi sono ordini interni tra il direttore e il comandante che decidono tra di loro, se decidono che non passa e
uno lo riceve, poi diventa un problema per il detenuto.
W.: No anche per la polizia penitenziaria, è un problema tra di loro poi. Se questa cosa non può passare non può
passare.
OLGa: quindi è meglio forse che uno mandi sempre le lettere a parte.
W.: Sì, perché la lettera passa. Quando arriva nella lettera aprono e guardano se ci sono dentro soldi, ma non leggono
la lettera.
OLGa: Se un agente apre la lettera e trova i soldi?
W.: Mettono i soldi nel conto… ma ci sono anche guardie che rubano i soldi. Vedono prima la lettera e prendono i soldi.
Nel pacco è meglio non mettere i soldi perché ci sono i detenuti che guardano cosa c’è dentro e possono rubare, ma anche
le guardie possono rubare. Ora non puoi andare a portare il pacco se non fai i colloqui con i detenuti, questo è un
grande problema per i detenuti. Non puoi dare un piccolo aiuto, come 50 € per aiutarlo. Se la polizia penitenziaria dice
che non puoi fare entrare dentro niente come puoi aiutare lui e come fa lui dentro? è un casino.
OLGa: Infatti ci rimettiamo noi, ma ci rimettono soprattutto tutti i detenuti che non hanno nessuno che può aiutarli a
meno che sono già seguiti da una famiglia.
W.: Qua a San Vittore ci sono più di 1000 detenuti, di tutti ti parlo, ci sono 500 persone che fanno colloqui e ci sono
altri 500 che non li fanno. E che non lavorano perché non c’è lavoro. Di mille persone che ci sono qua, ci sono cento
che lavorano. Sono sempre loro che lavorano. Prendono i soldi vivono la loro vita, non è che aiutano gli altri detenuti.
E uno non ha lavoro e non ha colloquio, la legge del carcere che non permette di aiutarlo. Cosa puoi fare? Niente,
comincia il casino, comincia lo stress, cominciano tante cose.
OLGa: Se sei da solo non puoi neanche fare troppo casino perché se lo fai dopo ti picchiano, ti isolano
W.: E lo ammazzano con medicina, gli danno la siringa, ho visto tante persone a cui danno la siringa e diventano come un
robot. Quello non parla non fa niente diventa come un robot. Io a San Vittore non sono mai stato in isolamento, mai
preso rapporto perché in verità mi ha aiutato una persona fuori, ho fatto i colloqui e dopo un po’ di tempo ho lavorato.
Il lavoro così per comprare le mie cose personali, queste cose eh. Ho lavorato al forno dopo tre anni di galera. Il
primo lavoro l’ho fatto dopo un anno, perché prima D. mi aiutava.
OLGa: Era una volontaria?
W.: No compagna, veniva a colloquio, mi ha aiutato.
OLGa: Però dopo sei tu che hai dovuto trovare il lavoro dentro?
W.: L’ho chiesto, e dopo un anno è arrivato. Bisogna lavorare, non ci sono soldi, non ci sono sigarette, non c'è niente,
stavo per cominciare a fare anche casino. Ci sono persone che vendono i loro vestiti, vendi qualsiasi cosa per
sigarette.
OLGa: tu dicevi grazie al supporto dall'esterno, perché se non c'era lei per fare passare quest'anno…
W.: Eh certo, lei mi ha dato i soldi, senza lei eh, era un casino, un grande casino. Dentro il carcere non è uguale a
fuori. In carcere anche se sei tranquillo ti portano persone che usano psicofarmaci, o malati, te li portano in cella,
te li lasciano dentro ed è un casino. Te li lasciano perché non sono andati d'accordo con le persone, te li portano
perché lo sanno che tu non fai problemi, portano il problema a te che li eviti. Se parli ti fanno rapporti e ti
minacciano, parlo della polizia penitenziaria. O prendi o fai questo o ti faccio rapporto. Noi dentro siamo sotto
minaccia dalla polizia penitenziaria. Anche la polizia penitenziaria, ho parlato con tanti di loro, sono pochi, fanno il
turno da otto ore, tanti fanno due turni, e poi vanno fuori, diventa un casino, perché anche loro sono sotto stress non
dormono bene, la maggior parte sono sotto stress anche loro eh. Ci sono tanti della polizia penitenziaria che fanno la
corda [si suicidano], per il troppo lavoro.
OLGa: infatti quello è un problema perché poi va contro ai detenuti perché sono più arrabbiati più violenti.
W.: Ci sono tanti poliziotti penitenziari violenti, che entrano e cominciano a picchiare te per niente.
OLGa: Tanti ci scrivono che ci sono le squadrette, dentro tutte le carceri? anche dove sei stato tu?
W.: Sempre, sempre questi gruppi, non so, peggio dei fascisti, peggio dei nazisti della Germania. Queste persone
picchiano solo. Quando lavorano gli piace picchiare i detenuti, gli piace aprire la cella dei detenuti e cominciano a
picchiare, per passare la loro serata. Ci sono anche di bravi eh. È la verità, sono anche loro detenuti.
OLGa: A modo loro… loro più in modo volontario.
W.: No loro sono detenuti, passano il tempo con noi più che con la loro famiglia. Lo sai che io ogni tanto vedo uno di
giorno per otto ore di lavoro, vado a dormire, mi sveglio e trovo ancora lui. Perché dormono in caserma. Lavorano 8
ore, escono e poi fanno ancora 8 ore. Loro lavorano così. Otto ore cosa è? Dormi mangia, fai la doccia, anche loro sono
sotto stress. Ci sono anche alcolisti, la maggior parte delle guardie sono alcolisti. Bevono alcol per passare il tempo,
ma ci sono anche di bravi.
OLGa: Cosa fa uno bravo?
W.: Non fa casino, rispetta i detenuti, come i detenuti rispettano lui. È educato, ci sono tanti maleducati. Per
chiedere una domandina o per fare qualsiasi cosa, ti rispondono male: non sono un pubblicitario vaffanculo, vai.
Comincia a provocarti e poi sei tu che decidi se stai alla provocazione e litighi. Se stai la perdi tu, perché loro
arrivano in squadra e ti picchiano. ci sono persone così che arrivano, ti provocano, tu rispondi e loro… ma c’è anche
chi ti picchia di nascosto
OLGa: C’è anche il discorso, dei detenuti che collaborano proprio con gli agenti.
W.: Ci sono questi in qualunque carcere, sempre ci sono. Per parlare delle persone che vendono medicina, questo cosa fa,
l’altro cosa fa. Lavorano con loro.
OLGa: E ricevano soldi o privilegi?
W.: No no no no… non li trattano neanche bene!
OLGa: E perché lo fanno?
W.: Loro sono persone malate di parlare, è una malattia. A me non piace parlare di te, di lui, io faccio gli affari
miei.
OLGa: Questo immagino sia uno dei problemi più grossi, perché poi dopo tu non ti fidi di nessuno.
W.: Eh, dentro il carcere non mi fido di nessuno. Io ho fatto quattro anni e non mi fido di nessuno.
OLGa: Anche il mio amico dice così, gliel’ho chiesto l'altra volta e ha detto, nessuno in due anni.
W.: Io ho avuto tanti amici dentro il carcere, ma solo in questo posto. In quel carcere lì. Perché quando esci qualsiasi
persona dimentica il carcere. Perché le persone dentro al carcere non sono uguali fuori. Perché le regole sono diverse.
OLGa: Dopo quattro anni dentro di qualcuno almeno ti fidi?
W.: No, perché se tu parli con loro per aiutarti, per lavorare o per qualsiasi cosa poi lo vuole anche lui. O fa casino
con te per avere un lavoro, andare a processo, c’è come una gelosia.
OLGa: Sono sempre gelosi, invidiosi dell’altro… e non c'è mai stato qualcuno che si aiutava a vicenda?
W.: Poco, ci sono, ma pochi. C’è anche chi ti aiuta, ma dopo comincia a parlare, io ho aiutato, io ho fatto, diventa una
fregatura.
OLGa: E poi a un certo punto si esce, quando esci…
W.: Eh, quando esci è un'altra cosa. Sei contento e nello stesso tempo ti viene paura di qualsiasi persona, perché
rimane il carcere dentro di te, non dai fiducia alle persone, non le contatti, io fino adesso dopo nove mesi non mi
piace uscire per parlare con le persone. Io sono uscito il 15 di gennaio [l’intervista è dell’11 novembre 2024].
OLGa: Perché ti rimane quella cosa che se chiedi, poi ti richiedono indietro, ecc...
W.: Sì, si è fissata questa cosa. Ho fatto quattro anni perché ho preso tanti giorni [di liberazione anticipata] perché
io sono sempre in pace con tutti. Faccio la mia galera, ma la faccio con le medicine. Perché io tanto non riesco a
dormire. Rimango due o tre giorni sveglio, penso alla mia famiglia. Ma adesso la cosa bella è che ci sono i telefoni
dentro al carcere, puoi fare videochiamata su whatsapp. Una bella cosa dopo le rivolte del 2020. Hai 6 chiamate al mese
e poi hai le chiamate sul telefono. Ora puoi vedere la tua famiglia, la mia sta in Tunisia. Puoi farlo con il contratto
del telefono. Te lo danno con i documenti, serve la fotocopia della carta di identità dei genitori e queste cose. Fai
due chiamate a settimana, la chiamata dura 20 minuti, ti senti più tranquillo no?
OLGa: Prima dicevi che hai fatto uso di psicofarmaci, ma lo hai continuato a fare solo in carcere o anche quando sei
uscito? Poi non avevi più bisogno?
W.: E come no, lo senti nella pelle, ti viene, però dici no. È diventata dipendenza, ma quando sono uscito ho detto io
questa strada non la voglio fare più. Non voglio fare cazzate per tornare in carcere, non voglio fare spaccio, non
voglio rubare, perché io queste cose le ho fatte solo quando sono arrivato qua. Io prima non ho mai rubato una cosa che
non è mia, mai ho usato droga, ogni tanto in Tunisia bevevo birra, e così. Quando sono arrivato qua mi sono trovato da
solo in strada e ho cominciato a fare cazzate, perché la fame e anche il freddo, non c’è casa, cominci a fare tante cose
senza cervello, senza pensare che dopo puoi pagare tutte queste cose della tua vita. Io ho pagato quattro anni, di più
di quattro anni, sei anni della mia vita. Sei anni fuori puoi fare tante cose eh! Ho perso sei anni della mia vita, ho
perso il mio amore, ho perso tante cose, tante persone, familiari morti, altri malati, e io non ero con loro. Adesso io
da quando sono uscito non ho preso droghe, alcol perché sto cercando di sistemare la mia vita, per questo io adesso
cerco un mese di lavoro per tornare in Tunisia. Vado a vivere vicino i miei genitori e vado a vivere tranquillo. Senza
paura di essere portato in un centro [per il rimpatrio], in galera per niente. Perché una persona recidiva se incontra
un'altra persona con in tasca della droga, anche se lo saluti in strada, ti arrivano controlli, possono portarmi [essere
arrestato dalla polizia]. Perché io ho la recidiva, anche se lui dice no questo non c'entra, loro non ci credono perché
tu sei con lui. Tante persone sono così in carcere. Camminano in strada incontrano una persona, arriva la polizia e
portano tutti e due. O in macchina, prendi un passaggio, non sai cosa c’è dentro, anche se sono amici, vieni con me
andiamo a Bergamo, tu non lo sai cosa ha, se trovano cocaina finiscono tutti e due dentro.
OLGa: E se sono tre diventa associazione a delinquere!
W.: Per questo io non mi fido di nessuno adesso, e questa è una cosa brutta! Perché resto da solo, parlo da solo, con me
stesso. Io tante volte voglio parlare con psicologi. Quando torno in Tunisia di sicuro vado dallo psicologo, perché non
mi sento bene, è la verità.
OLGa: Qua non lo fai perché non hai i soldi per farlo?
W.: Non ho i soldi e non mi va, perché sono ancora chiuso con me stesso, la mia testa è già in Tunisia, solo il corpo
adesso è qua. Ma il problema che io ho passato nove mesi così, sempre gli stessi pensieri di andare in Tunisia, ma non
c'è lavoro è questo il problema.
OLGa: Nel frattempo hai pure perso la casa, adesso l’hai ritrovata, però, insomma…
W.: Il brutto dentro il carcere è quando senti che un tuo familiare è malato. Io non ho mai visto mio padre a letto,
l’ho visto una volta al tempo del corona. Io ho avuto il corona, l’ho sentito nel mio corpo, ho sentito lui, 76 anni,
nel letto, mi sono messo a piangere come un bambino, ho passato 6 mesi così eh, ho pensato di morire anche io dentro al
carcere. Ma anche quando loro sono contenti, come quando mia sorella si è sposata, io ero dentro al carcere, fuori posso
vederla come si è sposata, come era vestita, ma dentro al carcere no. Perché c’è l’orario per farlo e ti perdi i
momenti. Il carcere è un cimitero. Penso che il cimitero sia meglio, perché in cimitero queste persone son morte. È
così, come tra morti e vivi.


Lettera dal carcere di Alessandria
Mi trovai nel carcere di Vigevano (PV) nel 2023. In quell’anno nella sezione alcuni magrebini ubriachi misero in atto
una rivolta mentre eravamo tutti chiusi senza nemmeno conoscere quali fossero le ragioni. Vennero fatte esplodere alcune
bombolette nella guardiola della guardia e si susseguirono danneggiamenti di illuminazione nel corridoio, telecamere
rotte ed allagamento nel corridoio e di conseguenza all’interno di tutte le celle. Alle ore 22-23 entrarono gli
antisommossa con scudi e manganelli e lì scoppiò il finimondo e un urlo… vi ammazziamo tutti. Si fecero aprire due celle
e cominciarono a manganellare due extracomunitari che non aderirono alla sommossa.
Quell’urlo vi ammazziamo tutti era della stessa guardia che montò in servizio la mattina dopo che disse ad alta voce: i
vostri amici si trovano alle celle di isolamento a mangiare con le cannucce la loro merda. [...] Ci furono anche gli
incendi dei materassi. Il fumo entrava nelle celle e alcuni si sentirono male, mentre io avevo pezzi di cotone in bocca
ed un fazzoletto rosso bagnato. Dopo 3-4 ore ci fecero uscire dalle celle e dei ragazzi magrebini non c’è stato
possibile sapere delle loro condizioni di salute né tanto meno sapere in quali carceri li avevano portati. Quando tutto
ritornò alla sua apparente “normalità”. Riscoppiò dopo un anno, cioè a giugno del 2024 un’altra sommossa, bombole che
esplodevano in sezione pezzi di stracci bruciati dove un detenuto si bruciò la cella. Però questa volta avevo avvertito
gli altri detenuti che sarebbe successo la sommossa, invitandoli di non incendiare pezzi di materassi al fine di evitare
che nessuno rimanesse intossicato dal fumo che era rimasto dentro le celle. Si venne chiamati dalla commissaria tutta
infuriata e cominciammo a fare le nostre richieste rivendicative che un po’ prima avevo preso gli appunti. Non tutto si
ottenne, ma qualcosa a casa si portò anche se alcuni di noi si venne trasferiti per ordine e sicurezza (ma niente che
pentirsi). Dopo 3 mesi venni chiamato, mi dissero dell’avvocato, invece nella saletta notai una telecamera e due uomini.
Dissi a loro chi fossero e mi risposero che erano della polizia penitenziaria, della D.I.A. di Pavia, mi chiesero se io
avessi visto un detenuto uscire dallo spioncino della sua cella e dissi di no. E ritornai in sezione. È la prima volta
che la D.I.A. si occupa di questi fatti. La cosa mi puzzò le cose interne so che si occupa l’amministrazione
penitenziaria ma non la D.I.A.. Quale era il motivo della loro visita non lo seppi mai. Parlando con il mio legale, si
andava su supposizione, forse per i fatti per la quale ero indagato dalla procura distrettuale antimafia e
antiterrorismo di Genova per il reato 270 bis c.p. finalità di terrorismo. Oppure cercavano qualcosa, ma cosa!!
Saluti ai miei compagni della AS2 di Terni e i compagni della AS2 di Alessandria ed un forte abbraccio a tutti i
prigionieri che lottano nelle carceri senza esclusioni di colpi. Fate le lotte ben mirate per migliorare le condizioni
vivibili e rivendicate. Uniti si può vincere.

30 settembre 2024
Mauro Rossetti Busa (trasferito da fine novembre a Padova)
Via Due Palazzi, 35/a - 35136 Padova


Lettera dal carcere di Napoli-Secondigliano
Lettera aperta a tuttx i/le compagnx, amicx e prigionierx.
Ho ricevuto la lettera con la quale il nostro amico Stecco solleva ed invita tuttx a delle riflessioni inerenti alla
funzione del Sindacato Nazionale Detenuti e Famiglie. Dopo essermi a mia volta confrontato con i miei compagni di
reparto abbiamo deciso di rispondere collettivamente al fine di alimentare il dibattito in merito alla nostra idea. In
primis, vale la pena di spiegare compiutamente le differenze che vi sono tra il nostro progetto ed i sindacati
istituzionalizzati. Questi ultimi hanno nella loro costituzione genetica una funzione assimilatrice e piramidale che non
ci rispecchia minimamente. La funzione assimilatrice anestetizza la individualità del pensiero, il quale necessariamente
deve conformarsi a delle direttive centralizzate che, nella maggior parte dei casi volgono ad una volontà conciliativa
con il potere centrale. Il nostro progetto mira al confronto serrato sia ideologico che pratico con quel potere che come
ricordava il nostro amico Stecco si orienta quasi sempre alla prevaricazione. Un confronto che stiamo costruendo sia da
un punto di vista ideologico con le battaglie che stiamo per intraprendere su materie fondamentali quali l'ergastolo
ostativo, l'ergastolo; la natura arcaica della Istituzione carcere; le misure afflittive che come un bisturi servono ed
a ledere e spezzare la figura dell'essere umano quale il 41bis e tutte le problematiche inerenti alla privazione della
libertà. Il confronto si atteggia poi anche da un punto di vista giuridico, con la proposizione, senza alcuna sosta e
senza alcun compromesso su materie anche estremamente pragmatiche: l'incredibile taglio delle retribuzioni per i
lavoratori detenuti (con la lotta incessante a far sì che venga rispettato il principio costituzionale riconosciuto
anche dall'alta Corte che sottolinea come si debba smettere di parlare di detenuto-lavoratore per rivolgersi al
lavoratore - intramurario); la lotta alla privazione dei beni di sostentamento di intere famiglie quali la pensione
sociale (che garantisce a chi non può lavorare, almeno una vita dignitosa al riparo delle pulsioni schiaviste del
sistema economico capitalista), negata ai detenuti ed ai loro familiari (in alta sicurezza); l'incredibile revoca delle
forme di previdenza ed assistenza sotto le mentite spoglie di una inesistente valutazione di un principio di
"onorabilità" che, oltre ad essere giuridicamente inesistente rappresenta una forma di controllo e di arbitrarietà che
questo sistema riverbera anche a fronte di diritti previsti ex legge (ci si riferisce alla possibilità di revocare le
provvidenze quali il reddito di cittadinanza e l'indennità di disoccupazione a seguito di sentenze passate in giudicato
proprie o dei propri familiari). Particolare attenzione intendiamo dare ai detenuti stranieri troppo spesso ultimi degli
ultimi in patria e qui in Italia, incarcerati in quanto nuovi schiavi della nostra società ed in particolar modo dei
nostri sistemi criminali. Ciò lottando anche contro il sistema perverso, abbietto e nefando del giornalismo italiano
impregnato di ignoranza, sudditanza al potere politico e sopratutto, criminale nel creare un clima di allarme sociale
con la caccia all'immigrato di turno. Queste lotte crediamo che rispettino i più alti principi di dignità e libertà del
genere umano, sopratutto quando si parla di umanità debole e bistrattata. La differenza che ci teniamo a sottolineare
rispetto alle forme Istituzionali classiche del sindacato e che ci accomuna al movimento, è rappresentata sopratutto dal
fatto che noi condividiamo, supportiamo e stimoliamo le idee e le lotte di chiunque condivida tali alti principi, ma mai
cadremo nell'errore di voler assimilare o essere assimilati in altre realtà che intendano sfruttare gli sfruttati.
Sarebbe bello che il movimento condividesse e sostenesse questo nostro sforzo con la convinzione che allorquando questi
si trovasse nelle medesime battaglie ci troverà sempre al suo fianco senza se e senza ma. Ovviamente non chiediamo di
essere creduti sulla parola ma aspettiamo la possibilità di dimostrare nei fatti non solo la volontà di raggiungere
scopi moralmente alti, ma anche sopratutto la nostra fedeltà ai principi di lotta che vi abbiamo descritto. Chiediamo di
far girare tale lettera aperta a tutti coloro che sono stati interessati da codesto dibattito senza pubblicazioni
aggiuntive.
Un abbraccio a tuttx da Claudio.

2 ottobre 2024
Claudio Cipriani, Via Roma verso Scampia 350 - 80144 Napoli


Lettera dal carcere di Milano-Opera
Ciao a tutti, sono Antonio scrivo dalla casa di reclusione di Opera Milano. Voglio iniziare a ringraziare i fondatori di
questo opuscolo che ci dà la possibilità di divulgare le diverse difficoltà a dir poco incivili da parte di questo Stato
indegno. In nessun luogo civile ho visto che lasciano un internato per due tre mesi senza lampadina in cella, che per
andare in bagno si deve avere l'accendino oppure il fornello da campeggio. Da qualche settimana sono iniziate le scuole
ed è una bella cosa se non fosse per i bagni fuori servizio. Se ti scappa durante le 5 ore di studi ti tocca andare in
sezione: cioè ogni volta tre piani e cosa dire se anche ad un insegnante? Sì anche loro devono farsi una bella vasca
per fare i propri bisogni. Ma cosa dire? Purtroppo c'è chi sta peggio di noi e cerchi di consolarti con un po' di
filosofia. Ormai è chiaro a tutti che anche in questi contesti siamo alla frutta. Eppure nonostante ciò si sente parlare
di Opera come un carcere modello. C'è il teatro, la scuola, il laboratorio di violini ecc… ma tutte queste attività
vengono occupate da circa 150/200 detenuti e gli altri 1200 cosa fanno? Mah, mistero dello Stato padrone, ma le vere
storie che si vivono dietro il sistema sanitario sono a dir poco stupefacenti. Mancanza di dialogo fra dottori, mancanza
di comunicazione, rimbalzi di responsabilità, ma c'è anche da dire che grazie ad infermieri volenterosi qualche mal di
testa non viene trascurato. Ma c'è da chiedersi soprattutto: perché alcuni dottori rifiutano di lavorare in questo
contesto? Disaccordi con il dirigente sanitario? Non hanno la libertà di fare il loro dovere di dottori? A ognuno di noi
la propria idea, io mi sono fatto la mia. Augurandomi che ci sia un miglioramento per la sorte dei futuri pazienti. E
non bisogna mai smettere di reclamare i propri diritti di salute. Ciao a tutti da Opera.

Antonio Girardi, Via Camporgnago, 40 - 20090 Milano-Opera


Lettera dal carcere di Massama (OR)
Ciao compagni, ho ricevuto il vostro plico e vi ringrazio, mi sono soffermato molto sulle tre lettere dei prigionieri
palestinesi. L'Italia come al solito si mette sempre a pecora quando ordinano gli americani e di conseguenza da
"sudditi" sono diventati complici del genocidio in atto contro i palestinesi. Con la protezione degli americani, con
l’obbrobrio del consiglio di sicurezza dell'ONU, gli israeliani impunemente commettono tutte le nefandezze che vogliono
e li riforniscono di tutte le armi che necessitano per continuare a sterminare e distruggere il popolo palestinese.
Hitler è stato un buon maestro per gli ebrei, usano i suoi metodi e il suo linguaggio. Se esiste una giustizia suprema,
un giorno pagheranno tutti i loro crimini.
La propaganda dei media occidentali distorce la realtà, manipola la storia e strumentalizza ogni evento in favore di
Israele.
Qualunque paese al mondo che facesse quello che fa Israele, sarebbe mostrificato, isolato e diventerebbe un paria del
pianeta, invece lo si difende permettendogli di fare quello che hanno subito ottant’anni fa.
Israele è una democrazia; deve difendersi; Dio gli ha donato la Palestina:
Israele non è una democrazia, perché applica l'apartheid, è colonialista pertanto genocida, ed è razzista come lo erano
i nazisti. Tranne Israele, alleato di ferro, tutto il mondo era contro il Sudafrica che usava gli stessi metodi degli
israeliani. Non bisogna dimenticare che Nelson Mandela disse: "finché non ci sarà la libertà per i palestinesi, nessuno
sarà libero".
Israele attacca sempre e pertanto ci sono le reazioni, pertanto che deve difendersi è un falso; i guerrafondai sono gli
israeliani.
Dio non ha lasciato nessun testamento scritto, quello inserito nella Bibbia, lo hanno inserito gli avi degli ebrei,
pertanto come si può difendere una simile posizione nel terzo millennio? L'occidente laico lo fa!
Un caro saluto a voi tutti con un forte abbraccio. Ciao a presto, Pasquale.

2 settembre 2024
Pasquale de Feo, Loc. Su Pedriaxiu Massama - 09170 Oristano OR


Alcune liberazioni
Con gioia diamo notizia che Claudio Lavazza è stato scarcerato ieri [7 settembre 2024] per fine pena! Dopo quasi 28 anni
di prigionia tra Spagna e Francia, Claudio può finalmente ripercorrere le strade della libertà e riabbracciare i/le
compas che in tutti questi anni non gli hanno fatto mai mancare affetto e solidarietà. Contro tutte le galere! Liberi
tutti e tutte! (da Cassa AntiRep delle Alpi occidentali)

LUIGI È LIBERO! L'udienza del riesame tenutasi stamattina [2 dicembre 2024] ha avuto esito nell'immediata scarcerazione
di Luigi, dopo 8 mesi di alta sicurezza nel carcere di Alessandria. Il tribunale ha disposto per lui liberazione
immediata con obbligo di firma e obbligo di dimora nel comune di Palermo, dove farà ritorno a breve! Terminano qui otto
mesi di ingiusta detenzione con accuse spropositate per il pompiere palermitano, accusato di aver protestato contro il
colosso degli armamenti Leonardo. Mesi in cui la solidarietà e le iniziative contro la guerra e l'invio di armi da parte
dello stato italiano si sono moltiplicate in tutta Italia e oltre, nonostante la censura della posta e la lontananza da
casa.
Il processo proseguirà con l'udienza del 20 dicembre. Un processo che adesso potremo affrontare con ancora più coraggio
e determinazione. Libertà per chi lotta contro la guerra!

Tiziano è tornato in libertà. Il Tribunale di Roma ha infatti deciso, martedì 10 dicembre, di condannare a due anni, con
pena sospesa, il compagno marchigiano arrestato a Roma lo scorso 5 ottobre – durante la manifestazione nazionale per la
Palestina e il Libano – con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale.


Lettera pubblica dal carcere di Terni
A tutti i palestinesi in questo mondo. Su ogni terra e sotto ogni cielo, lì in Cisgiordania della resistenza, lì a Gaza
dell'orgoglio, lì all'interno dei territori occupati, e lì nei campi profughi e nella diaspora. A voi, che avete messo
la pazienza a dura prova e la dignità si inchina davanti a voi, vi dico: non rattristatevi e non disperate, perché per
Dio, dopo la difficoltà arriva il sollievo e dopo la pazienza arriva la vittoria. E sappiate tutti che ogni palestinese
in questo mondo è un resistente. Il resistente non è solo colui che impugna un'arma, ma tu sei un resistente se respiri,
sei un resistente se dipingi, sei un resistente se scrivi, sei un resistente se sogni. Basta essere palestinese per
essere un resistente.
Non pensate che questo governo terroristico guidato da Benjamin Netanyahu e dal nazista Ben Gvir uccida solo i
resistenti palestinesi che impugnano le armi! Ma uccidono anche neonati, anziani, donne e bambini, persino gli alberi e
le pietre non sfuggono alla loro barbarie. Vogliono eliminare il popolo palestinese perché sanno che voi siete gli unici
liberi in questo mondo schiavizzato, ma si sbagliano. Non finiamo mai: se uno di noi muore, ne nascono altri dieci al
suo posto, e tutti noi siamo resistenza.
Escono sui loro canali e nei loro media falsi per mostrare il resistente palestinese come un terrorista e per far
apparire la resistenza come terrorismo. Giuro su Dio, vi siete sbagliati e avete fallito. Noi vi diciamo che le donne
del mondo non sono più capaci di dare alla luce qualcuno come il resistente palestinese, colui che sacrifica la sua
giovinezza e la sua vita per la sua patria e il suo popolo. Colui che non teme la morte né la prigione, cammina a testa
alta, con i piedi sulla terra e la testa nel cielo, fiero come le montagne, con gli occhi fissi su Al-Aqsa. E quando se
ne va, se ne va con coraggio, mai in fuga. Il palestinese che lesina la sua anima e il suo sangue per la Palestina non
ha diritto di essere chiamato palestinese e non ha diritto di essere sepolto nella sua terra, intrisa del sangue dei
martiri. La terra lo rifiuterà, non troverà né calore né conforto, né in vita né dopo la morte.
Il terrorismo organizzato israeliano, sconfitto nella sua battaglia a Gaza e in Cisgiordania, si sposta ora verso il
Libano. Sebbene abbia causato morte, distruzione e lo sfollamento di migliaia di persone, resta sconfitto di fronte alla
determinazione invincibile di un popolo che non si piega. Il suo obiettivo successivo sarà probabilmente la Siria, la
Giordania, l'Iraq e lo Yemen, nel tentativo di realizzare il sogno illusorio di uno Stato più grande. Tuttavia, con
l'aiuto di Dio, questo segnerà l'inizio della fine per questo regime occupante.
Dove siete, leader del mondo arabo? Dove sono i comandanti degli eserciti che ogni anno si vantano della forza dei loro
uomini, dei loro mezzi e dei loro aerei? Se solo avessimo un quarto delle risorse che possedete, non avremmo liberato
solo la Palestina, ma l’intero mondo. Ma dove siete? Non vi chiedo in nome della vostra religione, perché sembra non
esserci più. Ma è forse scomparso anche l’orgoglio e l’onore che un tempo contraddistingueva i vostri antenati? C'è
qualcosa che riesce ancora a scuotervi?
Giuro che tutti voi sarete interrogati riguardo al sangue versato in Palestina e sui bambini uccisi, in un giorno in cui
non potrete sfuggire alle domande. Non piango per coloro che ci hanno preceduto nel martirio, poiché hanno ottenuto una
vittoria straordinaria, hanno creduto in Dio e mantenuto le loro promesse. Preghiamo Dio di riunirci a loro nel Paradiso
e che li onori nell'aldilà come ci hanno onorato nella vita. Chiediamo a Dio di elevare il loro rango nell'aldilà, come
hanno elevato il nostro nella vita, poiché sono i veri custodi della dignità e del sacrificio. Sono loro che hanno
illuminato il cammino dopo un lungo periodo di oscurità.
Preghiamo Dio per la libertà dei nostri valorosi prigionieri nelle carceri dell'occupazione israeliana, per la
guarigione dei feriti, e che conceda pazienza e conforto ai cuori della nostra gente in Palestina e Libano. Un saluto a
quelle mani che stringono il grilletto nonostante tutte le sofferenze e le sfide. E vergogna a coloro che osservano
senza agire, privi di pietà e umanità verso la Palestina e i suoi bambini. Che tutte le donne della terra piangano se le
donne di Palestina non possono gioire.
Un saluto e un grande rispetto agli uomini e alle donne liberi del mondo, in particolare al popolo italiano, che sfida
tutte le difficoltà e rompe il silenzio per far sentire al mondo la voce della libertà e degli oppressi, dando lezioni
di umanità e dicendo al tiranno 'basta'. Come non farlo, quando voi stessi avete resistito per anni all'occupazione
nazista e fascista su questa terra?
Un omaggio di grande rispetto alla voce della verità e al faro della giustizia, Al Jazeera, che è sempre stata la voce
dei popoli e a sostegno degli oppressi, senza temere il giudizio di chi critica. Che Dio vi sostenga come voce per la
Palestina e la resistenza.
"Viva la Palestina libera e araba!
Viva la Palestina, la sua terra e il suo popolo!
Viva la resistenza, che Dio la sostenga!
Gloria e immortalità ai nostri martiri nobili!
Libertà per i prigionieri della libertà!
Una pronta guarigione ai nostri valorosi feriti!
O popolo palestinese, non dico altro che ciò che ha detto Allah, l'Onnipotente nel Sacro Corano: 104. (Non
scoraggiatevi nell’inseguimento di questa gente; se voi soffrite, anche loro soffrono come voi, ma voi sperate da Allah
ciò che essi non sperano. Allah è saggio, sapiente).

24 settembre 2024
Anan Kamal Yaeesh, strada delle Campore, 32 - 05100 Terni


Sulla Palestina
Il genocidio a Gaza e nell’intera Palestina continua senza tregua e senza pietà. È sotto gli occhi di tutto il mondo
che “israele” sta portando avanti a suon di bombe e di eccidi il suo obiettivo storico: eliminare i palestinesi, che
loro chiamano genericamente arabi, da quella terra che gli hanno occupato 76 anni fa. Gli ignobili leader israeliani,
autorizzati dagli Stati Uniti, hanno fatto tutto il possibile per cancellare i palestinesi e ogni ricordo della
Palestina. A Gaza, “israele” ha ucciso più di 44.000 persone, ferito oltre 107.000 e lasciato la Striscia in rovina.
L’85% del territorio di Gaza è distrutto come tre quarti dei terreni agricoli. Sotto le sue rovine i cadaveri degli
11.000 dispersi. I superstiti non hanno più nulla, né per sfamarsi, né per curarsi, né per proteggersi. Gli aiuti non
arrivano, l’entità sionista li blocca, e l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati non può più operare perché
classificata come terrorista. Case, rifugi, tende, scuole, ospedali vengono ripetutamente rasi al suolo. Gli ospedali
rimasti sono al collasso per mancanza di tutto. Non c’è più modo di ricevere cure sanitarie, di mantenere in vita i
neonati, di medicare le ferite, di operare i malati. I superstiti vivono sotto la pioggia, il freddo e le inondazioni di
liquami. E questo con lo sguardo indifferente di troppa parte del mondo. E non si salvano medici e giornalisti, non
certo provenienti dai paesi occidentali che se ne guardano bene da inviarli là, feriti ocolpiti a morte.
La Cisgiordania sotto attacco, da ben prima del 7 ottobre, è ora minacciata di venire annessa a “israele”, come in
realtà era nei piani sionisti da sempre. L’esercito continua i suoi raid con uccisioni, arresti e devastazione dei
territori e delle già misere infrastrutture. I coloni armati e sostenuti dai soldati aggrediscono giorno dopo giorno e
con aumentata violenza i palestinesi per impedire loro di procurarsi da vivere, di curare la terra, gli alberi, il
bestiame sottraendo loro tutto, terreni, acqua, abitazioni, spazi vitali.
“israele” non è, e non è mai stato, nemmeno uno stato “normale”. Il razzismo e la supremazia che lo contraddistinguono
affondano le loro radici nell’ideologia del sionismo – il movimento nazionalista ebraico che culminò con l’instaurazione
di “israele” con la forza sul territorio palestinese nel 1948 – e nel suo rapporto con l’imperialismo occidentale.Il
sionismo non ha garantito sicurezza agli ebrei che hanno abbandonato la loro nazionalità in favore di quella ebraica;
ha, tuttavia, trasformato quelli che un tempo erano oppressi in oppressori. È uno stato colonialista. Un colonialismo di
sostituzione, dato che l’intenzione è sostituire, eliminandola fisicamente, la totalità della popolazione occupata. Gaza
deve sparire, i giacimenti di gas davanti alle sue coste, di cui si è appropriato “israele” con la partecipazione
dell’immancabile Eni, dovrebbero dare ai palestinesi una quota consistente degli introiti, il 62%. Un altro motivo
dunque per eliminarli.
Gli Stati Uniti, come estensione del loro impero, hanno aiutato “israele” a diventare l’assoggiettatore e il predatore
regionale che è oggi. L’indifferenza degli Usa e di tutti i sostenitori di “israele” verso la morte e la devastazione
che ha inflitto e sta infliggendo ai palestinesi e poi anche ai libanesi è una testimonianza della comune natura
predatoria e razzista. Sono andati oltre il limite, oltre la ragione e oltre l’umanità. La Palestina è una prova della
lorospietatezza al servizio dei potericostituiti.
Non vogliamo però dimenticare di ribadire che la resistenza palestinese unita è ferma e forte, sostenuta dagli attacchi
a “israele” e ai suoi alleati provenienti da Libano, Iraq o dagli Huti nel Mar Rosso. Come non vogliamo dimenticare le
manifestazioni di solidarietà che si ripetono continue e numerose. In quei paesi arabi i cui governi sono da tempo
collusi con “israele” per interessi di potere e di profitto, le manifestazioni continuano oceaniche. Nel mondo
occidentale cortei e iniziative si susseguono incessanti malgrado la repressione a volte subdola, più spesso esplicita e
tangibile con arresti e pestaggi in strada e nelle carceri. Le campagne di boicottaggio delle aziende complici del
genocidio in corso proseguono e i responsabili più diretti vengono variamente sanzionati.
La sofferenza, la resistenza e l’orgoglio del popolo palestinese hanno reso la sua causa globale e, questa volta, in
modo irreversibile. Come scrive lo storico israeliano Ilan Pappe “l’Occidente sostiene israele perché aderisce a un
‘sistema di valori’ occidentale basato sulla democrazia e sul liberalismo” e ora questi “valori” sono sotto gli occhi
del mondo.
Come alle nostre latitudini, il carcere in “israele” rappresenta lo specchio della società che lo necessita e lo
sostiene. Riportiamo di seguito alcune testimonianze di donne detenute e informazione e dati sulla condizione generale
dietro quelle mura.

***
Le donne prigioniere hanno trasmesso le informazioni che seguono alla Commissione degli avvocati dei prigionieri. Dalle
profondità del carcere, le storie di forza delle donne palestinesi e la resilienza si sviluppano nella loro resistenza
alle forme più dure di torture e privazioni. Tra loro donne ferite, bambini e madri private dei loro figli. Le
prigioniere palestinesi sopportano sofferenze insostenibili dal momento in cui si trovano detenute fino all'ultimo
giorno di prigione. La sofferenza non è confinata nelle prigioni dell’occupazione; al contrario, gli effetti delle
atroci torture fisiche e mentali restano molto tempo dopo il loro rilascio. I loro abaya, hijab e niqab sono stati
sostituiti con una "tuta grigia" e sono sottoposte quotidianamente a perquisizioni casuali all’alba. Qualsiasi tentativo
di invocare il diritto di rifiutare la rimozione del loro hijab è vietato e vanno incontro ad altre crudeltà e ulteriori
perquisizioni forzate. Nel cortile o quando si va alle visite in clinica o dagli avvocati, le prigioniere sono costrette
a prendere in prestito le scarpe l'una dall'altra perché sono state loro sequestrate. I loro semplici averi, come
contenitori di plastica vuoti usati come tazze, vengono confiscati, nonché fili e aghi utilizzati per riparare indumenti
strappati. Ogni detenuta ha una sola casacca invernale e i prodotti per l’igiene di base, compresi gli articoli per la
cura personale, sono severamente limitati. A ogni detenuta è permesso soltanto un sacchettino di shampoo. Il rapporto ha
inoltre evidenziato che il cibo fornito alle donne è insufficiente e di scarsa qualità, e ciò le costringe a mangiare
legumi da oltre sette mesi. La politica di affamamento adottata dalla prigione ha portato a cambiamenti ormonali ed
effetti collaterali tra le prigioniere. La negligenza medica è sistematica. Non vengono fornite le cure mediche
necessarie a nessuna delle donne nelle carceri dell’occupazione. Esse evitano di cercare assistenza medica presso la
clinica della prigione poiché l’amministrazione le interroga invece di fornire adeguate cure mediche durante queste
visite. I momenti più duri, denunciati da molte donne detenute, sono durante la gravidanza, quando viene negata loro
tutta l’assistenza medica necessaria e addirittura vengono deprivate della luce solare. Le celle della prigione sono
inadatte all'abitazione umana. Umidità, pareti ammuffite e coperte, se fornite, che puzzano. La tortura è
meticolosamente progettata in ogni dettaglio possibile e, oltre ai tanti insetti e parassiti che diffondono malattie e
infezioni, le luci vengono accese e spente secondo il capriccio dei soldati dell’occupazione e delle guardie, dopo aver
tagliato l'accesso per il controllo dall'interno delle celle. Le autorità carcerarie hanno posizionato barriere di
plastica sulle porte delle celle per impedire la comunicazione tra le donne, isolandole ulteriormente l’una dall’altra.
In alcuni casi, hanno spruzzato gas all’interno delle stanze, hanno eseguito punizioni collettive senza motivo apparente
e lanciato insulti alle donne. Una prigioniera palestinese descrive il suo arresto: “La mia casa è stata perquisita e io
arrestata dalle forze speciali una settimana dopo l'inizio dell'assalto a Gaza. Sono stata portata in una stazione di
polizia nella mia zona residenziale mentre venivo minacciata con l’esecuzione o la ‘deportazione a Gaza’ insieme a
insulti e intimidazioni tattiche. Sono stata poi trasferita, con le mani e i piedi ammanettati, in una zona isolata,
dove sono stata sottoposta a shabah (una forma di tortura) sotto una forte pioggia insieme ai prigionieri di Gaza, in
una scena brutale e terrificante”. Parlando delle prime ore nella prigione di Al-Damon, dice: “Quando entrai per la
prima volta, iniziarono campagne di repressione e raid nelle celle con manganelli e il gas e tutte le forniture
essenziali precedentemente disponibili per le prigioniere, compresi utensili da cucina, elettrodomestici, libri e altro
ancora, furono confiscati”. In base a quanto le hanno detto altre detenute, ha aggiunto: “Le donne vengono detenute in
un numero senza precedenti da tuttala Palestina quotidianamente e a un ritmo sempre più rapido”. Ha anche menzionato le
dure condizioni e le continue minacce di stupro che stanno vivendo le donne di Gaza. Molte erano state rapite dai campi
profughi e non sanno nulla dei loro figli o di dove si trovino. (da Dismantle Damon: Free the ReSisters campaign, 15
novembre 2024).

***
Un’intervista esclusiva con la famiglia e l’avvocato di Khalida Jarrar, importante leader del Fronte Popolare per la
Liberazione della Palestina (FPLP) e figura nazionale chiave nella Cisgiordania occupata, rivela le condizioni mortali
affrontate dalla leader palestinese in una prigione israeliana. Khalida Jarrar è stata trattenuta sotto detenzione
amministrativa in isolamento nelle prigioni di occupazione israeliane senza accusa né processo dal suo arresto nella sua
casa a Ramallah il 26 dicembre 2023. È rinchiusa in una cella che misura solo 2 metri per 1,5 e dove l'unico spazio
disponibile è occupato da un materasso. La cella è completamente chiusa, senza finestre per la ventilazione o l'aria
fresca. Il suo isolamento, come quello di Marwan Barghouti, Abdallah Barghouti e altri leader del movimento dei
prigionieri, è un tentativo da parte delle forze occupanti di spezzare la resistenza palestinese prigionieri in una fase
decisiva della lotta di liberazione nazionale. (Da Palestine Chronicle 17 novembre 2024)

***
La Società dei prigionieri palestinesi ha condannato le morti come parte della politica di uccisione lenta che Israele
pratica nei confronti dei prigionieri palestinesi, che continuano a subire torture, negligenze mediche e privazioni
sistematiche delle necessità primarie. Nel corso dell’ultimo anno, 60 prigionieri sono stati assassinati nelle carceri
israeliane, senza contare la sparizione di decine di arrestati a Gaza.
È stata approvata da parte del Parlamento israeliano [Knesset], il 7 novembre, una nuova legge che permetterà la
deportazione di intere famiglie e la detenzione, anche con la pena dell’ergastolo, dei bambini sotto i 12 anni di età.
Inoltre, la legge prevede una clausola triennale che consente ai tribunali di rinchiudere i minorenni nelle carceri
degli adulti per un massimo di 10 giorni se sono considerati pericolosi. Secondo la Knesset, i tribunali hanno
l’autorità di estendere questa durata se necessario.
La PPS, Società per i prigionieri palestinesi, e la Commissione hanno affermato che il numero totale di palestinesi
detenuti nella Cisgiordania occupata dal 7 ottobre 2023 è salito a più di 12.100. L'ultimo rapporto della società
descrive nel dettaglio le "campagne di detenzione portate avanti dal 7 ottobre", che comportano "umiliazioni, percosse
brutali, minacce contro i detenuti e le loro famiglie", nonché la distruzione delle case dei detenuti e il saccheggio
delle loro proprietà. (Notizie da infopal del 16 novembre 2024)

***
Attualmente sono circa 3.500 i palestinesi incarcerati senza accusa né processo e sottoposti a detenzione
amministrativa. I detenuti amministrativi includono bambini, palestinesi della Palestina occupata del ’48, attivisti
studenteschi, attivisti femminili e difensori della terra. Gli ordini di detenzione amministrativa sono emessi dai
militari e approvati dai tribunali militari sulla base di “prove segrete”, negate sia ai detenuti palestinesi che ai
loro avvocati. Centinaia di palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame per ottenere la liberazione da questa
forma di detenzione arbitraria, che non solo è illegale secondo il diritto internazionale ma è anche una forma di
tortura psicologica e punizione collettiva contro le famiglie e le comunità palestinesi, poiché i detenuti non sono in
grado di prevedere o pianificare per il loro rilascio. (da samidoun.net 18 ottobre 2024)

***
All'inizio di agosto, il gruppo israeliano per i diritti B'Tselem ha pubblicato un rapporto in cui accusa le autorità
israeliane di abusare sistematicamente dei palestinesi nei campi di tortura, sottoponendoli a gravi violenze e
aggressioni sessuali. Il rapporto, intitolato “Benvenuti all’inferno”, si basa su 55 testimonianze di ex detenuti della
Striscia di Gaza, della Cisgiordania occupata, di Gerusalemme Est e di cittadini israeliani, la stragrande maggioranza
dei quali sono stati trattenuti senza processo. La natura sistematica degli abusi in tutte le strutture “non lasciava
spazio a dubbi su una politica organizzata e dichiarata delle autorità carcerarie israeliane”. (middleeasteye.net 15
novembre 2024)

***
Una foto appena rilasciata dal campo di Jabalia rivela scene terrificanti delle forze di occupazione che arrestano
brutalmente il personale medico e i pazienti dell’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia, nel nord di Gaza. L’immagine mostra
pazienti feriti e anziani palestinesi rapiti, bendati e denudati nel freddo gelido. Lo status dei prigionieri è
sconosciuto, lasciando le famiglie preoccupate per la loro sicurezza, è come se venissero portati in un mattatoio. La
loro ubicazione e le loro condizioni saranno per lo più sconosciute al mondo fino al loro rilascio. (Da Resistance News
Network Prisoners 20 novembre 2024)


MILANO: NOTTI DI RIVOLTA AL CORVETTO DOPO LA MORTE DEL 19ENNE RAMY ELGAML
Nella notte tra il 23 e il 24 novembre nel quartiere Corvetto di Milano un ragazzo di diciannove anni, Ramy Elgaml,
muore in sella a uno scooter, guidato dall’amico finito in coma Fares Bouzidi, mentre fuggiva da un inseguimento dei
carabinieri. Nelle seguenti due serate ci sono state proteste e scontri di piazza con petardi, cassonetti in fiamme,
estintori aperti in strada, un bus bloccato, diverse cariche della polizia arrivata con i reparti in antisommossa, con
manganelli e lacrimogeni. Un 21enne è stato arrestato con accuse di resistenza e lancio di oggetti. Seguono due scritti,
uno del collettivo Galipettes di Milano e l’altro delle amiche e degli amici di Ramy.

TOUT LE MONDE DÉTESTE LA POLICE
Domenica notte Ramy Elgaml muore dopo esser caduto dallo scooter su cui viaggiava con un amico inseguiti dai carabinieri
per diversi chilometri. Ramy era un ragazzo di 19 anni che viveva in Corvetto. Da quando si è saputo della sua morte
numerosi ragazzi e ragazze, suoi amici e amiche, si sono trovati in strada sul luogo dello schianto, accanto alla sua
famiglia. Presto il dolore per la sua morte si è trasformato in rabbia e sete di verità rispetto all'accaduto.
La notte fra domenica e lunedì ci sono stati momenti di scontro con le forze dell'ordine nelle strade del quartiere
popolare in cui abitava dove qualcuno aveva iniziato ad incendiare cassonetti e rifiuti.
Anche lunedì sera, per qualche ora la normalità si è fermata e al suo posto sono comparse barricate incendiate e gruppi
di persone che si scontravano con la polizia che ha risposto lanciando numerosi lacrimogeni nel tentativo di disperdere
la gente che invece non si è lasciata intimorire.
La morte di Ramy è probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Chi viene dai quartieri popolari ha a che fare con la polizia tutti i giorni, per un motivo o per un altro. Conosce
l'arroganza e la violenza degli sbirri e sa bene cosa significa un fermo di polizia. Ed è così che la rabbia aumenta.
Alla fine di lunedì sera un ragazzo di 21 anni è stato arrestato e portato a San Vittore mentre a Corvetto restano la
rabbia e la plastica sciolta dei cassonetti sull'asfalto. Ramy vivrà nei cuori della sua famiglia e dei suoi amici,
nella rabbia che incendierà le strade. Fuori gli sbirri dai quartieri. Libertà per tutti e tutte.

***
Ancora una volta veniamo a sapere di un fratello ucciso dalla polizia.
Ancora una volta la verità viene manipolata e raggirata dai giornalisti che diffondono articoli schifosi criminalizzando
la morte di un innocente. Un ragazzo dell’annata 2005 viene dipinto come un criminale da telefilm: un bersaglio
legittimo per i cow boy del ministero degli interni.
Ancora una volta ad uccidere è la polizia, sostenuta e guidata dallo stato italiano. Ad appoggiarli c'è tutta l'ala
della destra che strumentalizza la morte di un diciannovenne per mandare avanti la propaganda razzista contro lx ragazzx
di seconda generazione, fino a toccare chiunque si ribelli in Italia.
Sappiamo che l'unico modo attraverso il quale il comune e la regione si addentrano tra le strade dei quartieri popolari
è attraverso pattuglie armate, telecamere e denunce, in difesa dei nuovi progetti di gentrificazione.
Chi abita ogni quartiere in periferia sa che il centro è un pianeta a parte, separato da un divario che diventa sempre
più forte e palese. Mentre lì i fondi straripano per lucidare i marciapiedi e far divertire i turisti, nelle nostre
strade gli unici fondi che arrivano sono quelli per la polizia.
Non vogliamo chiedere aiuto alle istituzioni, ma mettere in luce la loro complicità. Questa dinamica tocca le periferie,
ma tocca anche ogni luogo che viene frequentato da giovanx, sempre più repressx e criminalizzatx, anche per mezzo dei
giornali che portano avanti la propaganda emergenziale
della destra e della sinistra perbenista contro “l’allarme baby gang”.
Quando un fratello viene ucciso, le comunità vengono circondate da celerini, mentre gli spazi che tanto si rivendicano
l’antirazzismo si voltano dall’altra parte, a piangere lacrime di coccodrillo.
Questo silenzio non lascia altro che mano libera alle istituzioni di poter opprimere e continuare ad ammazzarci.
A non tacere è chi la vendetta non la rinnega. Chi sa che bisogna rispondere insieme e ad alta voce ad accuse infondate,
a una politica razzista che ancora una volta reputa la seconda generazione una "emergenza preoccupante". Retorica usata
e riusata per spaventare gli occidentali e scaricare sullx giovanx immigratx il peso di tutte le crisi.
Se i quartieri fanno schifo, se la polizia uccide, se le città non lasciano lo spazio ai giovanx, la colpa è tutta dello
stato. Studentx, lavoratorx e ogni soggettività oppressa sono affianco alla famiglia, allx amicx e a chi è statx
arrestatx.
Per Ramy e Fafa


Assemblea studentesca contro carcere e CPR - Milano
Attacchinaggio alle università di Città Studi e Bicocca per tentare di aprire un varco nell’indifferenza collettiva
rispetto alle condizioni dei detenuti e delle detenute nelle carceri e nei CPR, per ribadire la necessità di combattere
le vecchie come le nuove prigioni che si profilano plasmando le nostre esistenze.
È importante pensare alle prigioni come una zona d’ombra in cui lo stato risolve tanto le tensioni e i fatti sociali
quanto le questioni politiche: a dieci anni dal naufragio che provocò 368 morti a poche miglia da Lampedusa nulla è
cambiato, se non l’inasprimento delle misure repressive e il rafforzamento della criminalizzazione delle migrazioni.
A chi tenti di sfuggire alla miseria lo stato risponde con la proposta di innalzare a 18 mesi il periodo massimo di
detenzione dei reclusi nei CPR e con la proposta dell’apertura di nuovi centri provvisori, mentre i morti in mare si
susseguono e vengono boicottati i salvataggi per ordini di governo. Conosciamo lo stato e sappiamo sia sempre lo stesso
mostro mutaforme della strategia della tensione, capace di assassinare genti come pedine fino a causare stragi di massa
per risolvere le contraddizioni causate dal capitalismo fondato su un sistema di sfruttamento e razzismo coloniale e
difendere così i privilegi bianchi.
A tutto questo è necessario rispondere con la consapevolezza che non smettere di lottare finché le ultime frontiere, gli
ultimi confini, le ultime galere non spariranno dalla faccia della terra, in quanto elementi costitutivi e univoci alla
perpetuazione dell’ordine costituito, sia non solo necessario ma anche possibile: a dimostrazione si osservi come i
detenuti del CPR di Torino siano riusciti a fare chiudere il centro a Marzo 2023 grazie a una rivolta.
Si tratta di restare al fianco dei detenuti e delle detenute sapendo che se da una parte carceri e CPR vanno a segregare
le parti sociali considerate improduttive o contraddittorie, da addomesticare, rispetto ai canoni del capitalismo –
dall’altra rappresentano l’ultimo baluardo dello stato in cui si consumano le nostre lotte e le nostre guerre per un
mondo differente, perché l’ingerenza dello stato non vada più ad interferire con la nostra autodeterminazione è
necessario pensare a un mondo in cui le prigioni non siano più possibili.
La coraggiosa lotta di Alfredo contro il regime del 41 bis ha aperto un varco sulle condizioni in cui riversano le
carceri e ha inoltre permesso di rimettere in discussione le prigioni come sistemi totalitari – mostrandoci ancora il
vero volto del dominio che, dietro a falsi ideali di progressismo, nasconde nella reclusione la forza bruta con cui
affronta i pensieri che gli si dimostrino superiori, negando sì la pena di morte dal suo ordinamento, ma praticando
torture che rendono la morte probabilmente ben più desiderabile per chi sia costrettx ad attraversare questi inferni.
Quando si afferma che carceri e CPR siano tortura non si vuole certo intendere che sia sufficiente rendere le prigioni
dei posti più vivibili ma si pensa che il superamento del sistema carcerario vada di pari passo con la negazione delle
attuali forme di vita costrittive e la possibilità di immaginare mondi differenti – nonché l’abolizione delle carceri
sia una condizione necessaria per tentare di costruire le alternative. Le effettive condizioni disumane in cui si
trovano oggi, in Italia, i/le reclusx, rappresentano tuttavia una ragione impellente, assolutamente urgente, per
ricominciare subito ad agire e ingenerare il cambiamento, opponendosi alla violenza dello stato.
È necessario dunque sostenere la formazione di una mobilitazione anche studentesca per l’opposizione diretta e
partecipativa a tutti questi sistemi totalitari di manipolazione dei corpi, nella consapevolezza per cui i luoghi del
sapere possano tornare a essere luoghi in cui coltivare assieme le idee di libertà e in cui pensare e superare gli
orizzonti in cui siamo confinatx tuttx.
CONTRO CPR E FRONTIERE PER UN MONDO SENZA CONFINI

***
Macomer, ARIA DI RIVOLTA?
Tre presidi, un corteo, tre rivolte, sette fogli di via, per 3 anni, emessi dal questore di Nuoro Alfonso Polverino (che
forse voleva superare per “intransigenza” il suo collega di Bolzano, Sartori), alcune violazioni del foglio di via. Sono
questi, in sintesi, i numeri di un anno di lotta contro il CPR di Macomer.
Macomer è una cittadina con meno di 10.000 abitanti, a più di 100 km dai principali centri della Sardegna, totalmente
militarizzata dal dopoguerra, e il CPR, ideato da Minniti, è collocato nella Zona Industriale a cinque minuti in auto
dal centro cittadino, e pertanto risulta circondato da piccole e medie aziende e con le abitazioni civili un poco più
distanti. La struttura è costituita da un edificio costruito negli anni Ottanta e utilizzato dal 1994 inizialmente come
casa mandamentale e successivamente come Casa Circondariale di massima sicurezza fino al 2014, quando è stata chiusa
definitivamente. Nel 2020 rinasce come CPR, situato in un piccolo avvallamento e circondato da terreni agricoli non
accessibili, caldissimo d’estate e freddissimo d’inverno e con un regolamento interno che lo istituisce anche da un
punto di vista ufficiale come lager punitivo dove l’uso degli psicofarmaci, alternato alle botte, come forma di
contenimento non hanno limiti.
Lo scorso mese la gestione del centro è passata dalla famigerata cooperativa veneta Ekene alla Coop. Officine Sociali di
Siracusa. La nuova gestione, disdegnata da diverse prefetture italiane per la gestione di altri CPR, è molto gradita
dalla prefettura di Nuoro che ha addirittura scelto di attendere un poco, prima di nominare il vincitore della gara, per
fare in modo che Officine Sociali regolasse le mancanze formali.
Le cooperative di gestione seguono dettagliatamente le indicazioni date dallo Stato al fine di contenere con la violenza
esseri umani superflui, momentaneamente espulsi dal mercato del lavoro nero, e di essere un monito per tutti coloro che
cercano di ribellarsi a questo stato di cose e ad affermare la propria dignità. Alla fine, la logica è la stessa per
tutte le strutture detentive dove la violenza dello Stato cresce in funzione della presunta pericolosità del nemico.
Come nel 41 bis dove si cerca di contenere non solo l’agire di chi è irriducibile all’attuale forma Stato ma anche la
possibilità di pensare, di sognare, di immaginare un futuro diverso.
In questi lager, periodicamente i prigionieri vengono infastiditi dalle visite dei vari garanti e deputati, quasi sempre
di PD e AVS (manca solo la visita di Ilaria Salis, per ora), che per mostrare la “forza della democrazia e
dell’opposizione parlamentare” rilasciano qualche inutile intervista a quotidiani locali e qualche, ancor più inutile,
interrogazione parlamentare (sono particolarmente interessanti, per l’ipocrisia, quelle della deputata sarda di AVS
Ghirra), con cui vorrebbero far dimenticare la loro collaborazione, sin dall’origine, con queste strutture.
Chi non fa parte degli “addetti ai lavori”, riesce ad avvicinarsi al CPR solo quando si organizza per eludere
l’imponente apparato di sorveglianza (Polizia, CC, GdF ed esercito) e questo permette di capire che è insensato chiamare
manifestazioni pubbliche, quelle che tanto piacciono ai democratici, giacché vengono sempre bloccate a diverse centinaia
di metri dalla struttura, distanza a cui non è possibile alcun contatto con i prigionieri.
Per questo consideriamo un successo l’essere riusciti durante l’anno ad aggirare più volte la sorveglianza per un tempo
sufficiente a comunicare con i prigionieri da cui abbiamo sempre colto voci di rabbia e ribellione. Ugualmente
consideriamo un ottimo risultato l’avere stravolto il presidio dei “democratici NoCPR”, del 6 aprile scorso, bloccato
dagli sbirri a diverse centinaia di metri dal lager, per muoverci con un partecipato corteo, per portare la nostra
rabbia per le strade del paese e per far conoscere agli abitanti cosa succede in quel lager a poche decine di metri
dalle loro case, nonostante la postura aggressiva degli sbirri e di alcuni militari.
Tuttavia, alcune riflessioni vanno effettuate sui fogli di via che hanno intimorito alcuni, da allora meno (o per nulla)
disponibili a partecipare ai saluti, e le minacce di arresto per chi il foglio di via lo ha violato per continuare le
lotte. Dobbiamo necessariamente immaginare nuovi percorsi per rispondere efficacemente alla repressione senza
dimenticare l’obiettivo principale, la chiusura di questo e degli altri CPR, senza perdere per strada, per scelta o per
forza, i compagni e senza rinunciare alle nostre pratiche.
Nell’ultimo presidio, effettuato il 24 agosto, qualche nuova presenza ci ha confortato e ci fa sperare che le azioni
contro il CPR e chi ne permette il funzionamento con la sua collaborazione possano moltiplicarsi. La risposta rumorosa e
incazzata dei prigionieri ci ha fatto respirare aria di rivolta a pieni polmoni, rivolta che anche noi dobbiamo
costruire, scusate la presunzione, per fermare il rapido dirigersi del capitalismo verso la distruzione dell’umanità che
comincia dall’eliminazione degli ultimi.
Il questore Polverino non si illuda; ci rivedremo presto di fronte al CPR più numerosi, con sempre maggiore
determinazione e rabbia, perché 10, 100, 1000 rivolte scoppino e mattone su mattone il CPR rovini su sé stesso.

Anarchiche e anarchici contro carcere e repressione – Cagliari
da ilrovescio.info

***
TESTIMONIANZA DAL CARCERE DI REGINA COELI
Ciao, parto dalla situazione qui. Non so se e quanto resterò. Avrete saputo della rivolta. Ma la storia è molto diversa
e nessuno ancora ci ha permesso di parlare. I disordini sono partiti da una goffa operazione delle guardie che avevano
mandato una squadra di una decina di agenti per prelevare un detenuto che secondo loro disturbava troppo. È stata
un’operazione stupida fatta a sezione aperta. In poco tempo la situazione si è accesa e poi tutto è degenerato. Dopo
aver preso il controllo di tutta la sezione, sono stati distrutti gli uffici degli agenti e incendiati i loro magazzini,
poi sono state distrutte le barriere visibili che impediscono di guardare fuori. Dopo 2 ore la rivolta era fuori
controllo. Non si respirava più, non si vedeva. Dopo un bel po’ non so come ma sono riusciti a buttare giù le due porte
blindate che vanno sul tetto. Alcuni sono saliti e hanno iniziato a lanciare tegole sui mezzi delle guardie. Tutto ciò,
tra incendi, allagamenti e ogni altra forma di azione, è andato avanti per quasi 5 ore. Poi è andata giù la linea
elettrica e siamo rimasti tutti al buio. Molti erano nelle celle cercando di sopravvivere al fumo acre e tossico
mischiato ai lacrimogeni. Poco dopo abbiamo visto le torce elettriche dei reparti speciali che irrompevano. Erano agenti
penitenziari con armature, caschi, manganelli e scudi. Tantissimi.
Non è vero, come hanno scritto, che non ci sono stati contatti. Non hanno solo preso chi trovavano in giro. Sono entrati
in ogni cella e hanno manganellato chiunque, anche detenuti anziani seduti sulla branda che non sono mai usciti dalla
cella durante la sommossa. [...] Le persone hanno addosso i segni dei colpi e non sono state medicate. Tutta la sezione
è un cumulo di macerie, non c’è luce elettrica, c’è ancora fumo e ceneri ovunque. Da due giorni siamo tutti chiusi nelle
celle. Portano solo il vitto e le terapie più serie. Per il resto niente aria, niente docce, niente spesa, niente
telefonate, niente visite mediche o scuola o incontri con psicologi / educatori. Non abbiamo più modo di comunicare e io
(come tutti) siamo chiusi h24 in questo buco di cella. La cosa più assurda è che non possiamo lavarci o che siamo senza
corrente elettrica. Non abbiamo luce, così dopo le 18 piomba il buio e non possiamo manco muoverci o cucinare. Durante
il giorno, per via delle gelosie alle finestre, riesco a malapena a scrivere. Leggere è ormai impossibile. So che ieri è
passata Ilaria Cucchi ma non c’è stato permesso di parlarci. È stato fino ad ora faticoso e non ci dicono per quanto
tempo saremo costretti a questa tortura. Ci sono ancora molti, incluso me, che sono rimasti intossicati. Ho tossito
catrame nero per 24 ore e non ho ricevuto alcuna assistenza. Per non parlare di quanto accaduto durante la repressione
della rivolta.
I danni alle sezioni sono ingenti ma riguardano solo cancellate, finestre, porte, uffici delle guardie e magazzini. Non
sono state toccate celle, infermeria, scuola e raccolta di libri. Le guardie, quando sono scappate, hanno lasciato
l’ufficio di guardia aperto e perfino le chiavi sul tavolo! Grazie a quelle sono stati aperti i magazzini e i cancelli.
È quasi matematico che ora inizieranno azione di rappresaglia, trasferimenti, denunce etc… Non so cosa succederà né che
fine farò. Quello che per ora è certo è che vorrebbero chiudere la sezione o accorpare 4 piani in 2 (cosa
insostenibile). Nel frattempo siamo chiusi come sardine senza possibilità di aria, luce, acqua. A tempo indeterminato.
Sto soffrendo molto. Mi sento così perso e solo.
Questo che segue invece è un ultimo aggiornamento.
Verso le 14 di mercoledì 2 ottobre sono partite nuove proteste all’interno della VII sezione di Regina Coeli. I detenuti
sono partiti con una battitura, per poi arrivare a dar fuoco a oggetti. Al momento non si hanno altre notizie. Non ce la
fanno più. Hanno trasformato in stanza persino i magazzini, senza finestre o bagno. Nella sezione VIII le condizioni
sono insostenibili. Dopo la rivolta li tengono chiusi la maggior parte del tempo, sono senza luce, quindi dopo il
tramonto non si vede più nulla. Senza acqua.
La spesa la portano quando decidono loro, dipende se gli va.
Odiamo il carcere e la società che ne ha bisogno.

4 Ottobre 2024, da ondarossa.info


VERITÀ SUGLI ABUSI ALLA STELLA MARIS
SOLIDARIETÀ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI!
BASTA ABUSI! BASTA USO del TAPPETO CONTENITIVO!
Martedì 10 dicembre ore 10:30 appuntamento al Tribunale di Pisa per una nuova udienza sui maltrattamenti nella struttura
di Montalto di Fauglia destinata a ospitare persone autistiche, gestita dalla Fondazione STELLA MARIS. In questa udienza
dovrebbero essere ascoltati altri testimoni della difesa.
Nell’estate del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane, la struttura è stata posta sotto controllo
con l’installazione di microcamere e, dopo tre mesi di intercettazioni, la Procura di Pisa ha configurato l’ipotesi di
reato per maltrattamenti. Tra gli ospiti Mattia, morto nel 2018 per soffocamento, dovuto probabilmente al prolungato ed
eccessivo uso di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei
pasti di cui la famiglia afferma di non essere mai stata informata. Per questa vicenda vi è un altro procedimento
penale, il processo in primo grado si è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della struttura. È
iniziato il processo d’Appello presso il Tribunale di Firenze, rinviato addirittura a novembre 2025.
Il processo per maltrattamenti va avanti lentamente da oltre 6 anni: le udienze sono diradate considerando l’elevato
numero di testimoni. Si tratta del più grande processo sulla disabilità in Italia. Nel periodo della pandemia è stato
ospitato nel Palazzo dei Congressi di Pisa.
Gli imputati sono 15, di cui due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore Sanitario della Stella Maris. Due
imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore generale che, dopo il rito
abbreviato, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi, poi assolto nel processo d’Appello.
I genitori, i tutori e altri testimoni ascoltati hanno riportato le violenze subite dai ragazzi di Montalto e
documentate dalle videoregistrazioni che testimoniano gli oltre 280 episodi di violenza in meno di 4 mesi; violenza non
episodica ma strutturale. Nell’ultima udienza una delle dottoresse ha dichiarato che a Montalto di Fauglia venivano
usati, in caso di crisi, i “tappeti contenitivi” dove il paziente veniva immobilizzato, contenuto e arrotolato.
Come riporta la relazione del consulente tecnico, professor Alfredo Verde: “Leggendo gli atti del presente procedimento
abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata
negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. E ancora: “In queste situazioni si
sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione
perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo. Il comportamento
degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali”.
Per questi motivi e per ricordare le vittime degli abusi psichiatrici che ancora vengono perpetrati ai danni di persone
private della libertà personale non in grado di difendersi da sole, è un dovere seguire le vicende del processo
nell’interesse di tutte/i.
Partecipiamo al PRESIDIO in SOLIDARIETÀ alle VITTIME
MARTEDÌ 10 DICEMBRE ore 10.30 c/o il Tribunale di Pisa, Piazza della Repubblica.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Comitato Sanità Pubblica Versilia-Massa Carrara, Coordinamento Regionale
Toscano Salute Ambiente Sanità

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa 3357002669
***
Su invito di una persona che si trova in una condizione di reclusione psichiatrica mettiamo a disposizione i nostri
indirizzi email e postali con l’intento di raccogliere testimonianze, racconti, scritti e narrazioni di coloro che si
ritrovano in strutture psichiatriche come SPDC (Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura), REMS (Residenze per l’Esecuzione
della Misura di Sicurezza), ATSM (Articolazioni Tutela Salute Mentale) o Strutture Residenziali Psichiatriche chiuse.
Gli obiettivi principali sono innanzitutto dare voce a chi non ne ha, riuscendo possibilmente a mettersi/li in relazione
ed inoltre rendere pubbliche tali testimonianze (con il consenso della persona e rispettandone l'anonimato) attraverso
un'eventuale pubblicazione quanto più possibile periodica.

Per info o invio testimonianze:
antipsichiatriapisa@inventati.org - assembleaantipsichiatrica@inventati.org
Collettivo SenzaNumero c/o Punto Solidale Marranella
Via Augusto Dulceri, 211 – 00176 Roma


UNA STAGIONE DI FUOCO
Di rivolte e proteste nei centri detentivi italiani
Nell'opuscolo numero 159 abbiamo tracciato una cronistoria delle lotte e delle rivolte nelle carceri italiane fino ad
agosto. Proponiamo ora parte di un articolo pubblicato su nocprtorino per raccontare i mesi successivi.
“Senza troppo girarci intorno, quello che vi chiediamo è di aiutarci, di rendere trasparenti questi muri, mostrando alla
gente i crimini commessi da uno stato che, ipocrita, pretende il rispetto delle leggi che esso stesso vìola
sistematicamente restando però impunito.
Vorremmo che tutti e tutte riuscissero a capire che non c’è nulla di rieducativo nel carcere. Vorremmo che si superasse
la solita narrazione della prigione che garantisce la sicurezza dei cittadini. È falso. Il carcere è criminale,
criminoso e criminogeno”. (dai Detenuti Liberi di Regina Coeli)
I mesi estivi – più dei precedenti dell’ultimo anno- sono stati scanditi da un ciclo di proteste e rivolte che hanno
scosso i centri detentivi italiani da nord a sud. L’ultima, la rivolta nel carcere minorile Beccaria di Milano, che per
la sua dirompenza buca ogni tipo di canale d’informazione, fa seguito a proteste e rivolte che tra Luglio e Agosto sono
state quasi quotidiane, talvolta altrettanto impattanti e discusse – come quelle avvenute a Torino tra il carcere
Lorusso Cutugno e il minorile Ferrante Aporti – talvolta, invece, totalmente silenziate. Abbiamo voluto e provato a
raccogliere le lotte di questa stagione di fuoco dei centri detentivi del Bel Paese in una cronistoria.

5 AGOSTO. CPR di Palazzo San Gervasio, Potenza: a seguito della morte di Osama per le botte ricevute e la negligenza
sanitaria della gestione, esplode la rabbia dei reclusi. Danneggiamento di diversi moduli, fuoco nelle aree.
6 AGOSTO. Carcere di Baldenich, Belluno: rivolta, distruzione degli impianti di videosorveglianza, docce, vetrate,
videocitofoni. Danni per migliaia di euro.
7 AGOSTO. Carcere di Campobasso: alcuni reclusi riescono a raggiungere il tetto a seguito di tensioni. CPR di Bari: dopo
la notizia della morte di Osama nel CPR di Palazzo San Gervasio, tre detenuti salgono sul tetto. Due cadono, uno viene
trasportato in ospedale con probabili fratture multiple, il secondo viene messo in isolamento.
10 AGOSTO. Carcere di Siano, Catanzaro: accesa rivolta interessa 2 sezioni, scontri con le guardie e i detenuti si
impossessano delle chiavi.
11 AGOSTO. CPR di Gradisca d’Isonzo: due detenuti riesco ad evadere dal lager.
15 AGOSTO. Battitura nazionale a cui aderiscono detenuti in diversi penitenziari italiani. Carcere Lorusso e Cutugno,
Torino: le detenute della sezione femminile, in solidarietà alla battitura nazionale, iniziano uno sciopero del
carrello. Nelle sezioni maschili, dal blocco B diversi detenuti si rifiutano di rientrare in cella; qualcuno da fuoco ad
un materasso, si tenta un’evasione. La rivolta si allarga al blocco C, i detenuti si barricano in sezione rifiutando di
rientrare in cella, gettando olio a terra per rallentare l’intervento degli apparati repressivi; distrutto il sistema di
videosorveglianza, gli “arredi” e l’impianto di illuminazione; divampano incendi nella notte. Carcere di Pescara:
divampa il fuoco in una cella che rimane totalmente inagibile, scontri con le guardie.
16 AGOSTO. Istituto Penitenziario Minorile di Casal del Marmo, Roma: distrutti molti arredi, scontri con le guardie; i
detenuti si rifiutano di assumere la terapia psicofarmacologica, lanciano frutta a medici e infermieri, si rifiutano di
rientrare in cella.
17 AGOSTO. Carcere di Bari: una trentina di detenuti si rifiutano di rientrare in cella, si impossessano delle chiavi e
aprono la cella di un altro detenuto, rissa con alcune guardie e sequestro di un’infermiera; a seguito della protesta i
detenuti in questione sono stati trasferiti.
Carcere di Regina Coeli, Roma: iniziano 2 giorni di rivolta che coinvolge inizialmente 200 detenuti della terza sezione;
vetri in frantumi, serrature delle celle rotte, corridoio allagato e fuoco nella sezione; l’indomani la sommossa
continua con ancor più forza, altri roghi si appiccano.
Carcere di Siano, Catanzaro: un detenuto sale sul tetto in segno di protesta.
Carcere di Imperia: fuoco in una cella.
19 AGOSTO. Carcere Lorusso e Cutugno, Torino: i componenti del Consiglio di disciplina incaricati di elargire alcune
sanzioni disciplinari nei confronti di un paio di detenuti del blocco A, passano “5 minuti di paura”. Distrutto arredo
dell’ufficio: computer, tavoli, libreria, ventilatore – perché le guardie stanno al fresco; componenti del consiglio
barricati nella stanza mentre i detenuti vengono sedati. Carcere di Castrovillari: rivolta infuocata, evacuate due
sezioni; è la seconda rivolta del mese, la prima non è dato sapere esattamente quando sia avvenuta.
Carcere della Dozza, Bologna, scontri con alcuni agenti. IPM del Pratello, Bologna: battitura molto intensa proseguita
per alcune ore. IPM Beccaria, Milano: nella notte fra il 19 e il 20 Agosto, a seguito della mancata assistenza sanitaria
a un detenuto, viene incendiato un materasso, dopo gli scontri con qualche agente, alcuni detenuti si impossessano delle
chiavi e viene tentata l’evasione di massa. A seguito delle proteste qualcuno viene trasferito al Pratello.
20 AGOSTO. IPM del Pratello, Bologna: un detenuto – e qualche solidale – si oppone ardentemente all’ennesimo
trasferimento che stava subendo nel giro di neanche un giorno, scontro con alcune guardie e danneggiata una stanza del
minorile.
23 AGOSTO. Carcere di Argillà, Reggio Calabria: scontri con la penitenziaria e detenuti asserragliati in sezione,
ingenti danni alla struttura. Carcere di Marassi, Genova: il piano terra e il primo piano della sesta sezione del
penitenziario sono barricati; durante gli scontri, dell’olio bollente cade a terra e rallenta l’intervento delle
guardie. Il fuoco ha divampato e alcune celle sono rimaste distrutte, come anche l’impianto di illuminazione.
25 AGOSTO. IPM Beccaria, Milano: più o meno in queste giornate un detenuto evade non rientrando dalle attività svolte
fuori dal carcere. Il 28 Agosto viene rintracciato in Liguria e nuovamente arrestato.Carcere di Bergamo: un detenuto
sale sul tetto mentre nelle sezioni alcuni materassi vanno in fiamme. Carcere di Palermo, Pagliarelli: per opporsi alle
perquisizioni, 50 detenuti portano avanti una protesta da mezzanotte alle 3 di notte circa, battiture, gettata acqua e
sapone in sezione, lenzuola e carta in fiamme.
26 AGOSTO. Carcere di Palermo, Pagliarelli: dalle 13:30 per tutta la notte fino alla mattinata del 27 Agosto, 3 detenuti
salgono sul tetto del carcere per chiedere il trasferimento. Carcere di Porto Azzurro, Isola d’Elba: un detenuto in
protesta contro la decisione del magistrato di sorveglianza di escluderlo dall’accesso alla liberazione anticipata, si
appende ad una grata a 20 metri di altezza alle 14:30 e ci resta tutta la notte.
27 AGOSTO. Carcere della Dozza, Bologna: danneggiato impianto di videosorveglianza e, a seguito del suo trasporto coatto
di un detenuto in infermeria (probabilmente in vista di una sedazione forzata), vengono danneggiati i sanitari della
cella. Carcere di Bollate, Milano: un detenuto scrive una lettera e indice 7 giorni di protesta nazionale, con la
richiesta di una visita congiunta del Ministro del Presidente della Corte Costituzionale e del Garante dei detenuti. La
protesta prevede una battitura di 30 minuti dalle 12 alle 12:30, rifiuto di uscire dalle celle, sciopero del carrello,
sciopero dello spesino, rifiuto di medicinali non prescritti. Carcere di Ivrea: un detenuto tenta l’evasione. Carcere
Pietro Cerulli, Trapani: un detenuto protesta salendo sul tetto del reparto Tirreno per richiedere il trasferimento.
Carcere di Sabbione, Terni: un detenuto si rifiuta di rientrare il cella.
28 AGOSTO, carcere del Cerialdo, Cuneo: un detenuto sale sul tetto in segno di protesta.
30 AGOSTO, carcere di Regina Coeli, Roma: forte protesta nella prima sezione, danneggiato il secondo piano, divelte
telecamere, controsoffitto in cartongesso, bombolette del gas scoppiate, lanci di spazzatura, pezzi di ferro e estintori
svuotati.
31 AGOSTO, IPM Beccaria, Milano: nella notte fra il 31 Agosto e l’1 Settembre, scoppia un rivolta che coinvolge tutti i
detenuti del minorile; incendi nelle celle, durante l’evacuazione i detenuti riesco a raggiungere la portineria, tentata
evasione di massa; qualcuno annoda lenzuola e 4 persone evadono (rintracciate la stessa notte); 8 detenuti feriti.
2 SETTEMBRE. IPM Fornelli, Bari: inizia un ciclo di diversi giorni di rivolta, tensione alta, fuoco nelle sezioni.
Carcere di Frosinone: a seguito della morte di un detenuto, nella notte fra il 2 e il 3 Settembre, scoppia una rivolta,
vetri infranti e ambienti allagati. Carcere Lorusso e Cutugno, Torino: dal blocco B, in particolare nella prima,
seconda, terza e quarta sezione, i detenuti si rifiutano di rientrare in cella. Riescono a raggiungere la rotonda
chiedendo di parlarle con il direttore. Carcere di Biella: detenuti riescono a uscire nelle sezioni e ci restano per
diverse ore. 3 SETTEMBRE: carcere di Ivrea, forti proteste nel primo e terzo piano del reparto di isolamento, distrutta
una cabina telefonica, neon, scontri con gli agenti, battiture. Contemporaneamente nel primo e terzo piano destro,
inizia una forte battitura, fuoco ai cuscini, diversi arredi distrutti, scontri con gli agenti. Rivolta continuata fino
alle 2:30 di notte.
Dopo tutto quello che è successo quest'estate, continua l'agitazione nelle strutture carcerarie per il paese.
25 OTTOBRE. Carcere di Roma Regina Coeli: rivolta nell'ottava sezione del carcere.
13 OTTOBRE- Carcere di Trapani: rivolta nel carcere di Trapani, una ventina di detenuti asserragliati per ore. A quanto
si apprende da lasicilia.it i detenuti hanno divelto i cancelli riuscendo a uscire dalle celle, hanno occupato un piano
intero, si sono barricati in un corridoio usando le brande di ferro, e per evitare l’ingresso del personale hanno
bloccato lo sbarramento usando i piedi di legno dei tavolini e cospargendo di olio il corridoio.
11 NOVEMBRE. Carcere di Cuneo, da Radio Blackout: Nel pomeriggio di lunedì 11 novembre la quiete penitenziaria della
Casa Circondariale Cerialdo di Cuneo è stata scossa da una rivolta improvvisa messa in atto, a quanto ci è dato sapere,
dagli “ospiti” della sezione Nuovi Giunti del carcere del capoluogo. Data la odierna difficoltà di avere notizie sicure
da dentro, quello che è certo è che almeno una guardia è rimasta ferita ed un detenuto è salito sul tetto in segno di
protesta mentre per sedare la rivolta sono dovuti intervenire reparti di sommossa esterni alla struttura. Gli
accadimenti sono in un qualche modo anche indice di una tensione interna agli apparati di gestione del carcere, tra
potere amministrativo-civile e il corpo di custodia.
Tristemente famoso per essere nato come carcere speciale all’interno del famigerato “circuito dei camosci” concepito dal
Generalissimo Dalla Chiesa per stroncare l’ingestibilità delle carceri degli anni ’70, dove si incrociavano banditi e
guerriglieri, la casa circondariale di Cuneo è stata sempre più utilizzata negli ultimi anni anche come luogo di
passaggio, spesso anche come valvola di sfogo per parcheggiare la popolazione detenuta “sballata” punitivamente dopo
episodi di rivolta avvenuti in altre carceri. La versione data dalle autorità penitenziarie è quella di una rissa
scoppiata improvvisamente tra gruppi di detenuti di due distinte sezioni. Altro non ci è dato di sapere se non che sono
sempre più frequenti le tensioni che scoppiano anche per problemi legati al consumo di sostanze stupefacenti di sintesi,
sempre più diffusi nei luoghi di reclusione. Altra questione da segnalare, la forte ricorrenza di episodi di pestaggi
utilizzati dal corpo di guardia come normale variante di “gestione” della popolazione detenuta.
La Cassa anti-repressione delle Alpi Occidentali contattabile a questo indirizzo:
c/o Biblioteca Popolare Rebeldies, via Savona, 10 – 12100 Cuneo
18 NOVEMBRE. CPR Trapani Milo: una perquisizione all'interno del CPR viene contrastanta dai reclusi con lanci di oggetti
e danneggiamenti. Interviene la celere di Palermo, due persone in stato di arresto.

***
9 Novembre, Presidio al Beccaria di Milano
L'Istituto penale Beccaria, come tutte le carceri, riproduce al proprio interno la violenza sistemica della società.
Anche le prigioni per minori rispondono all'esigenza dello Stato di gestione e controllo delle soggettività che avverte
come non produttive, non normate o ribelli.
Al Beccaria i minori stranieri non accompagnati sono metà della popolazione penitenziaria totale: questo evidenzia come
lo Stato agisca la sua repressione in particolar modo nei confronti di persone indesiderate.
Il carcere nasconde alla vista, isola e rende inoffensive le persone al proprio interno, perché è più facile mostrare
queste persone come "scarti sociali" a cui addossare tutti i mali della nostra società. Il carcere minorile quindi
imprigiona delle persone per punirle, ma attraverso questa stessa punizione le vuole anche mostrare come fautrici e
colpevoli della propria condizione. In questo modo lo Stato strumentalizza la detenzione per dimostrare che i
provvedimenti repressivi sono necessari e legittimi per tutelare la sicurezza dei suoi cittadini disciplinati. Non solo
getta in gabbia dei cosiddetti piccoli criminali, ma anche alimenta la costruzione del "fenomeno delle babygang", del
"pericolo maranza" e crea profilazioni di nemici dell'ordine.
Tutto questo è sostenuto da una narrazione pubblica che vede chi vive ai margini sociali, che sia perché senza casa o
senza lavoro, senza possibilità di accedere a delle cure adeguate o perché proveniente da un altro paese, come il nemico
numero uno da combattere.
Testate nazionali e locali parlano di “onda baby gang” che imperversa nelle strade di Milano. Un racconto confuso tra
giustizialismo e denuncia sociale, che alimenta la rappresentazione di una città pericolosa. Il linguaggio mediatico
attira l’attenzione su “città assediate” da questi gruppi e il fenomeno viene presentato in aumento.
Questo suscita un senso di panico morale che trova nel carcere l'unica risoluzione accettabile e definitiva a quelli che
vengono considerati i problemi sociali della nostra contemporaneità.
Intorno al carcere minorile si intesse una rete di discorsi retorici riguardo alla sicurezza e alla "rieducazione" che
hanno come obiettivo solo quello di rassicurare chi sta all'esterno che il problema è lontano, rinchiuso e ben nascosto
alla vista. Si rinforza così la narrazione che il carcere minorile in verità ha uno scopo: la rieducazione.
Attraverso un sistema di premialità, isola le persone detenute tra di loro e le piega a una logica per cui i propri
privilegi sono guadagnabili o perdibili in base alla condotta e a come questa viene giudicata da altrx; se sei bravx e
meritevole, forse, finisci in comunità. Le comunità sono uno strumento di repressione che prova a lavarsi della sua
facciata punitivista mostrandosi come una forma alternativa al carcere, di supporto a percorsi di rieducazione. "Non
esistono ragazzx cattivx", "puntare più sulla libertà che sulle regole": si fanno l'onere di mostrare con indulgenza e
progressismo la retta via allx ragazzx poverx delle periferie, forzando su di loro, sempre con un sistema di premialità,
i valori della Norma dominante e la sua immagine di Libertà, quella del bravo cittadino Democratico che si guadagna da
mangiare senza delinquere, adempie ai suoi obblighi civili e sociali e rimane docile nella posizione di
privilegio/marginalità/sacrificabilità in cui si trova incasellato. Nel caso di soggettività razzializzate, il progetto
rieducativo si accompagna spesso ad un discorso di "mancata integrazione": una politica civilizzatrice di assimiliazione
a questo Stato Occidentale, un addomesticamento programmato e persistente.
All'interno delle comunità, gli educatori detengono un'enorme posizione di potere, occupandosi in prima persona di
accompagnamenti, di dettare le regole e fare le guardie. Anche la Scuola ricopre il suo ruolo in questo sistema: per chi
è già sotto osservazione da parte dello stato relazioni su voti, comportamento ed eventi critici vanno inviate al
carcere, anche se l'esecuzione della pena non è in carcere. Questo mostra come il progetto di scolarizzazione si
intreccia strettamente con il progetto rieducativo, con l'obiettivo di indottrinare, contenere e addomesticare lx
giovani ribelli.
A tutto questo si aggiungono le numerose notizie che nel 2024 ci sono giunte e che hanno acceso i riflettori sul
Beccaria: ci sono state rivolte interne, tentativi di fuga ed evasioni, notizie sulle condizioni detentive inaccettabili
e invivibili, nonché un processo ad agenti di polizia penitenziaria accusati di tortura e tentato stupro.
Durante quest'anno le numerose inchieste portate avanti e i racconti raccolti durante i saluti sotto alle mura hanno
portato a galla che la vita all'interno di questo carcere è sempre più insostenibile.
Il sovraffollamento (ad aprile 2024 si contavano 81 detenuti su una capienza di 70) che fa sì che alcune persone recluse
si trovino a dormire su materassi buttati per terra e a non avere luoghi adeguati per tuttx; per quanto il numero di
detenutx sia comunque sceso, in realtà le proteste di quest'anno hanno danneggiato ulteriormente la struttura già in
larga parte inagibile, diminuendone la capienza, motivo per cui il problema del sovraffollamento persiste. Inoltre da
svariati anni sono stati avviati dei lavori di ristrutturazione che non sono ancora stati portati a termine. Si
aggiungono la sopressione di attività per i detenuti e un aumento della somministrazione di psicofarmaci. Questi sono
alcuni tra gli effetti del "Decreto Caivano" approvato dal governo nel 2023 per riformare alcuni aspetti della giustizia
minorile, aumentando drasticamente le pene e la repressione verso le persone giovani e ampliando la lista di reati per
cui è possibile l'arresto in flagranza, utilizzando così la detenzione come unico intervento sistemico correttivo e di
contenimento. Infine, alle già particolarmente invivibili condizioni detentive si aggiungono gli abusi fisici della
polizia penitenziaria che vengono usati come modalità ordinaria di gestione del carcere: tra aprile e maggio sono stati
arrestati 13 agenti e altri 8 sono stati sospesi con accuse di tortura e violenza sullx detenutx.
Il carcere fa schifo in tutte le sue forme. Non possiamo distogliere lo sguardo dalle prigioni per minori: attiviamoci
in solidarietà alle persone detenute dopo un periodo intenso di rivolte ed evasioni! Il 10 novembre alle 15:00 saremo
ancora una volta sotto le mura del Beccaria con un presidio che porti calore e musica a chi è rinchiuso.


Ciao Matteo!
Nonostante siano ormai trascorsi diversi mesi non è facile, ma doveroso, raccontare che abbiamo perso Matteo Greco,
splendido compagno che ci ha onorato per anni della sua amicizia. Matteo ha una lunga storia impregnata di tanti, troppi
anni di galera. Incarcerato giovanissimo colpevole, come lui stesso si definiva, finalmente esce; cerca di rifarsi una
vita nella sua amata terra, la Sicilia. Fa ritorno in carcere accusato da uno pseudo pentito, fatti dai quali ha invece
sempre preso le distanze. Viene sottoposto al carcere duro e rinchiuso nell'isola di Pianosa, sono gli anni '90 nei
quali la tortura del 41bis aggrediva con ferocia e torturava (non che oggi il 41bis sia molto diverso da allora).
Per anni Matteo ha girato per svariate carceri della nostra Penisola, ha vissuto isolamento e tortura senza mai piegarsi
di fronte alle richieste dello Stato, cioè, fare nomi per uscire, "mettendo qualche altro disgraziato al mio posto”
erano le sue parole.
In carcere conosce diversi compagni ed è proprio l'incontro coi Nap che gli fa vedere la luce nel buio delle galere.
Noi lo abbiamo conosciuto per via di compagni che lo avevano incontrato in carcere, dapprima attraverso contatti
epistolari e poi, dal 2007, con colloqui in carcere. Da allora lo abbiamo seguito un po' ovunque anche quando,
trasferito da Voghera ad Opera, comincia finalmente ad uscire con qualche permesso premio. Verrà nuovamente rinchiuso e
trasferito per punizione nel carcere di San Gimignano per aver litigato con una guardia. Aveva difeso un altro detenuto
che necessitava di essere curato, Matteo si era messo in mezzo per rivendicare il diritto di ricevere le cure
necessarie, questo pur sapendo che i permessi di cui usufruiva sarebbero stati immediatamente sospesi. Conosceva
perfettamente i meccanismi servili della galera ma lui servo non lo poteva essere.
Dopo altri anni di carcere, durante i quali era dovuto ripartire da zero con una nuova sintesi, finalmente riottiene i
permessi e dopo qualche anno viene trasferito ancora a Milano.
Ed ecco che piano piano, dopo quasi 40 anni di galera, Matteo comincia ad uscire dal carcere la mattina per fare ritorno
la sera. Trova un lavoro e una casa nella quale stare ma, tolto il periodo del Covid durante il quale venne fatto uscire
in semilibertà con un provvedimento d'urgenza - assieme ad altre centinaia di detenuti - non potrà mai essere realmente
libero di rifarsi una vita. Passata l’emergenza Covid lui, come tutti coloro i quali avevano usufruito della
semilibertà, vengono nuovamente rinchiusi.
Matteo nonostante tutto non ha mai smesso di denunciare le condizioni infami cui erano sottoposti come detenuti, in più
occasioni ha documentato le condizioni sanitarie inesistenti, ha scritto articoli per pubblicazioni militanti e c'è
anche una sua testimonianza nel libro di Carmelo Musumeci (“Fuga dall’Assassino dei Sogni”) relativa alla sua detenzione
a Pianosa.
I contatti con Matteo negli anni non si sono mai interrotti, eravamo lì la prima volta che mise piede fuori dal carcere
per un permesso di poche ore.
Era una gioia sentire la sua voce allegra quando telefonava, sempre un piacere cenare con lui, trascorrere del tempo in
sua compagnia, persona gioviale e chiacchierona. Un uomo coraggioso, simpatico e dolce, gli anni di brutture vissuti in
galera non gli avevano tolto nulla, anzi, aveva sempre qualcosa di straordinario da dare. Uomo solare, di compagnia,
amante delle cene conviviali, del buon cibo e delle risate.
A marzo del 2024, dopo oltre 43 anni di galera, ottiene una licenza e finalmente può ritornare in Sicilia dopo tutti
questi anni, sappiamo che aveva riabbracciato sua sorella. L'ultima volta in cui lo abbiamo sentito era il 18 maggio,
stavamo organizzando una cena per il primo fine settimana di giugno ma poi più niente. Non siamo più riusciti a
sentirlo, il suo telefono era sempre spento e avevamo paura che gli avessero sospeso le licenze per l'ennesima volta.
Poi, tramite una compagna avvocato che lo aveva seguito tanti anni prima, è arrivata la tragica notizia, Matteo è morto
in ospedale il 31 maggio, improvvisamente.
Questo scritto è un modo per rielaborare la perdita, un modo per salutare e dire addio a Matteo senza essersi preparati
- ammesso ci sia mai occasione di esserlo - un grido di rabbia contro tutte le galere, non sappiamo nulla di come è
andata, il carcere non dà informazioni trincerandosi dietro alla privacy per testimoniare una volta in più, se ce ne
fosse bisogno, tutta l'ipocrisia della galera.
La tua morte Matteo, arrivata improvvisa e violenta lascia un enorme vuoto, ci manchi ma fidati, acuisce anche l'odio
per la galera e la società che se ne serve.
Con amore e stima, le tue compagne e i tuoi compagni, ciao Matteo!