indice n.159

i motivi dell’assassinio di Ismail Haniyeh
In Italia una nuova forza operativa della NATO in Europa
25 giugno, ore 6: BLOCCHIAMO IL PORTO DI GENOVA
VAL DI SUSA: IN 10.000 CONTRO DEVASTAZIONE, GUERRE E SFRUTTAMENTO
LETTERA DAL CARCERE DI TERNI
Lettera dal carcere di Ferrara
LETTERe DAL CARCERE DI san michele (al)
lettera dal carcere di spini di gardolo (TN)
lettere dal carcere di Sanremo (im)
Cosa sappiamo sulla rivolta nel carcere di Trieste
Lettere dal carcere di Regina Coeli (roma)
Lettera dal carcere di Ivrea
PRESIDIO SOTTO IL CARCERE A firenze-SOLLICCIANO
L’anno nero delle carceri
Sulla riorganizzazione disciplinare delle sezioni in MS
Non diamoli per scontati: nomi dei suicidi in carcere
LETTERe DAL CARCERE DI milano-OPERA
LETTERA DAL CARCERE DI SULMONA (aq)
appello: VOGLIAMO ROMPERE UN TABÙ
Giochi Olimpici. La parola alla «delegazione inattesa»



i motivi dell’assassinio di Ismail Haniyeh
Considerando la misura criminale a cui Israele è disposto a spingersi, tale disperazione potrebbe portare alla guerra
regionale che Israele ha cercato di istigare, anche prima della guerra di Gaza.
L’assassinio, da parte di Israele, del capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuto a Teheran il 31
luglio, fa parte della disperata ricerca di Tel Aviv di un conflitto più ampio. È un atto criminale che trasuda
disperazione.
Sin dall’inizio della guerra a Gaza, il 7 ottobre, Israele ha sperato di utilizzare il genocidio nella Striscia come
un’opportunità per raggiungere il suo obiettivo a lungo termine di una guerra regionale – una guerra che avrebbe
coinvolto Washington, l’Iran e altri Paesi del Medio Oriente.
Nonostante il sostegno incondizionato al genocidio di Gaza e ai vari conflitti nella regione, gli Stati Uniti si sono
astenuti dal lanciare una guerra diretta contro l’Iran e altri Paesi. Sebbene sconfiggere l’Iran sia un obiettivo
strategico americano, gli Stati Uniti non hanno la volontà né gli strumenti per perseguirlo ora.
Dopo dieci mesi di continui fallimenti militari a Gaza e di stallo militare contro Hezbollah in Libano, Israele sta
nuovamente accelerando la spinta verso un conflitto più ampio. Questa volta, però, si sta impegnando in un gioco ad alto
rischio, il più pericoloso tra i suoi precedenti azzardi.
L’azzardata mossa israeliana ha previsto un raid contro un ufficiale di Hezbollah, attraverso il bombardamento di un
edificio residenziale a Beirut martedì scorso, e l’assassinio del leader politico più in vista, e più popolare, della
Palestina. Haniyeh è riuscito a creare e rafforzare i legami con la Russia, la Cina e altri Paesi al di fuori del
dominio politico statunitense-occidentale.
Israele ha scelto con cura il luogo e il momento dell’uccisione di Haniyeh. Il leader palestinese è stato ucciso nella
capitale iraniana, poco dopo aver partecipato all’insediamento del nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian.
Il messaggio, da parte di Israele, era rivolto a più destinatari: alla nuova amministrazione iraniana – per dire che
Israele è pronto a un’ulteriore escalation – e ad Hamas, per dire che Israele non ha intenzione di porre fine alla
guerra attraverso un cessate il fuoco negoziato.
Quest’ultimo punto è forse il più urgente. Per mesi, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto di tutto
per ostacolare tutti gli sforzi diplomatici volti a porre fine alla guerra. Uccidendo il principale negoziatore
palestinese, Israele ha trasmesso un messaggio finale e decisivo: Israele continua a puntare sulla violenza e su
nient’altro. La portata delle provocazioni israeliane, tuttavia, pone una grande sfida al campo pro-palestinese in Medio
Oriente: come rispondere con messaggi altrettanto forti senza concedere a Israele il desiderio di coinvolgere l’intera
regione in una guerra distruttiva?
Considerando le capacità militari di quello che è noto come ‘Asse della Resistenza’, Iran, Hezbollah e altri sono
certamente in grado di gestire questa sfida nonostante i fattori di rischio siano elevati.
Altrettanto importante è la tempistica: la drammatica escalation israeliana nella regione ha fatto seguito a una visita
di Netanyahu a Washington che, a parte le numerose standing ovation al Congresso degli Stati Uniti, non ha modificato in
modo sostanziale la posizione statunitense, basata sul sostegno incondizionato a Israele senza un coinvolgimento diretto
degli Stati Uniti in una guerra regionale.
Inoltre, i recenti scontri in Israele che hanno coinvolto l’esercito, la polizia militare e i sostenitori dell’estrema
destra suggeriscono che un vero e proprio colpo di Stato in Israele potrebbe essere una possibilità reale. Per dirla con
le parole del leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid: Israele non è vicino all’abisso, Israele è già nell’abisso.
È quindi chiaro a Netanyahu e alla sua cerchia di estrema destra che stanno operando con una tempistica e con margini
sempre più limitati.
Uccidendo Haniyeh, un leader politico che svolgeva essenzialmente la funzione di diplomatico, Israele ha dimostrato la
portata della sua disperazione e i limiti del suo fallimento militare.
Considerando la misura criminale a cui Israele è disposto a spingersi, tale disperazione potrebbe portare alla guerra
regionale che Israele ha cercato di istigare, anche prima della guerra di Gaza.
Tenendo conto della debolezza e dell’indecisione di Washington di fronte all’intransigenza di Israele, Tel Aviv potrebbe
realizzare il suo desiderio di una guerra regionale.
31 luglio 2024, da Palestinechronicle.com


In Italia una nuova forza operativa della NATO in Europa
Il primo luglio è stata inaugurata una nuova forza operativa nella base NATO di Solbiate Olona, in provincia di Varese.
Si tratta del Comando NATO a Reazione Rapida (Nrdc-Ita), quartier generale della nuova Allora Reaction Force (AFD) per i
prossimi tre anni, con varie esercitazioni già programmate.
Questo nuovo schieramento era stato deciso al vertice NATO di Vilnius, nel luglio 2023, con l’obiettivo di aumentare la
capacità di deterrenza e difesa con riferimento esplicito alla Russia. Si parla di 300 mila uomini, mezzi e tecnologie
all’avanguardia in ambito militare. A comporre questa nuova forza saranno unità britanniche e spagnole, il Naval
Striking and Support Forces dell’alleanza atlantica, il Comando Italiano delle Forze Marittime, e anche il NATO Space
Center e il NATO Cyber Operation Centre.
A presenziare all’inaugurazione del Comando c’erano sia il generale a capo delle forze NATO in Europa, Christopher
Cavoli, sia il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano, il generale di corpo d’armata Carmine Masiello. La guida
dell’ARF è stata affidata al generale di corpo d’armata Lorenzo D’Addario. Cavoli ha indicato la scelta di costituire
l’ARF come in linea col “processo di ricostruzione della nostra capacità di condurre operazioni di difesa collettiva.
Non è quello che volevamo […] ma l’invasione illegale e brutale dell’Ucraina da parte della Russia ha cambiato la
situazione e ha cambiato anche quello che facciamo“.
Ovvero, rilanciare la militarizzazione dei territori europei e l’impegno che la UE deve assumersi nella difesa del
proprio fronte con Mosca. Per dare fondamento a questa strategia vi sono stati studi accademici, ma anche una sorta di
prova generale con Steadfast Defender, la più grande esercitazione militare NATO dai tempi della Guerra Fredda, da poco
conclusa.
Ed è preoccupante che la nuova forza abbia lo scopo di garantire uomini prontamente impiegabili in tutti i domini.
Infatti, lo scorso fine settimana è stato alzato il livello di allerta delle basi USA in Italia, Germania, Bulgaria e
Romania.
La motivazione, hanno riportato due funzionari statunitensi alla CNN, è il timore di un attacco terroristico contro
personale o strutture militari. Si è dunque passati dal livello Bravo, che indica una “maggiore e prevedibile minaccia
di terrorismo“, a quello Charlie, che riguarda una “minaccia imminente di terrorismo“: è subito dietro il livello
massimo di allarme.
Non si era giunti a tanto almeno da dieci anni, e ciò avviene in questi mesi estivi mentre si stanno svolgendo le fasi
finali degli Europei di calcio e ci si prepara alle Olimpiadi di Parigi. Tra le basi coinvolte c’è anche quella italiana
di Aviano, dove si stima siano presenti tra le 50 e le 80 testate nucleari di Washington. Ad essere precisi, non è stato
reso noto quale sia stato lo specifico allarme lanciato dall’intelligence USA. È chiaro però che non può riguardare
tanto la Russia, che difficilmente si potrebbe imbarcare in operazioni nei territori NATO, quanto piuttosto il
terrorismo islamico.
Dietro questa formula è più probabile che si nasconda l’allarme per le ritorsioni contro il genocidio dei palestinesi,
che preoccupano per il sempre più delegittimato sostegno alle politiche sioniste. E sappiamo che con la lotta al
terrorismo Washington ha giustificato conflitti in mezzo mondo e crimini di guerra annessi. È evidente che qui si parla
di un pericolo specifico, ovvero quello per i comandi militari e per gli uomini di stanza in Europa (al punto che nella
base aerea di Spangdahlem, nell’ovest della Germania, agli aviatori è stato proibito di indossare l’uniforme fuori dalle
installazioni).
Ma è un segnale importante della militarizzazione della società e della deriva bellicista del modello occidentale. Con
l’Italia in prima linea a fare da avanguardia della NATO, e da cui deriva dunque l’incrementata importanza della lotta
contro l’alleanza atlantica nel nostro paese.

4 luglio 2024, da contropiano.org


RIPRENDE LA MOBILITAZIONE CONTRO LA LOGISTICA DI GUERRA
25 giugno, ore 6: BLOCCHIAMO IL PORTO DI GENOVA
Dopo i blocchi del porto di Genova, del 10 novembre e del 23 febbraio, per fermare il massacro in Palestina e contro la
guerra, contro i traffici di armi e per una solidarietà internazionalista con gli oppressi palestinesi martedì 25
giugno, ore 6, Genova varco San Benigno, fermiamo la logistica di guerra.
I porti sono snodi fondamentali della macchina bellica, in Italia quello di Genova è al centro degli interessi economici
di quei settori padronali (israeliani, sauditi, europei) che lucrano sulle guerre. La logistica è un settore economico
indispensabile per rendere possibile la guerra: bloccare un varco portuale, un corridoio ferroviario, la costruzione di
un ponte significa interrompere la continuità di una società mortifera. Aprire una crepa per arrivare a bloccare tutto.
A Genova transitano le navi delle compagnie ZIM e BAHRI. La ZIM è la compagnia marittima, della più grande holding
israeliana, la Israel Corporation, e trasporta armi per Israele subendo il boicottaggio in molti porti nel mondo. La
BAHRI LINE è una compagnia di navigazione Saudita, che trasporta armi utilizzate anche nella guerra dello Yemen. In
seguito alle mobilitazioni e ai picchetti, a Genova, non si sono caricate armi fra il 2019 e il 2023 sulle navi della
Bahri, nonostante abbiano continuato a transitare e attraccare al “Genoa Metal Terminal”.
Sempre in Liguria opera anche la MAERSK, con una piattaforma “dedicata” al Vado Gateway, di Vado Ligure. La MAERSK, la
più grande compagnia marittima al mondo, danese, è coinvolta nel traffico d’armi made in Italy prodotte dall’azienda
LEONARDO. Le armi che i suoi container trasportano sono utilizzate da Israele contro il popolo palestinese. La MSC,
principale competitor della MAERSK, presente anch’essa in questa regione, trasporta su alcune delle sue navi, tecnologia
militare. Un blocco effettuato recentemente dai portuali greci ha impedito l’attracco, ad Atene, della nave MSC Altair,
carica di armi verso Israele, e diretta al porto italiano di Gioia Tauro.
In seguito al blocco navale attuato dalle forze Yemenite Houthi nel mar Rosso, le navi degli Stati che collaborano al
genocidio del popolo palestinese, hanno dovuto modificare le rotte commerciali con un ingente aumento dei costi ed una
diminuzione del quantitativo di merci scambiate. Il notevole danno economico non è però pagato da compagnie come MAERSK,
che anzi hanno aumentato i loro profitti.
Nel circuito mondiale della logistica la connessione tra trasporti civili e militari è tale da rendere indistinguibili
questi settori. La mobilità militare rappresenta uno degli architravi della politica estera e di sicurezza comune
dell’Unione Europea, conseguentemente tutti i corridoi di comunicazione europei sono progettati assecondando esigenze
militari della Nato e sono funzionali alla guerra. Military Mobility, programma della Nato e Unione Europea lanciato nel
2018, ha lo scopo di incrementare la velocità e la capacità di spostamento delle forze armate Europee attivabili in caso
di conflitto. La Liguria è coinvolta in questo programma con il collegamento ferroviario Genova-San Pier d’Arena fuori
muro, il porto di La Spezia e il tronco autostradale dell’A7 Milano-Genova.
Inoltre la collaborazione tra LEONARDO e RFI prevede una mobilità militare per il trasporto di materiale sulla rete
ferroviaria che avverrà in condizioni ordinarie e straordinarie e che utilizzerà infrastrutture dual-use, cioè i binari
e gli impianti del normale traffico passeggeri e merci. Il controllo e la supervisione di questi traffici sono gestiti
da Leonardo attraverso tecniche avanzate di AI e il super computer Da Vinci 2 che si trova anch’esso a Genova.
La complessità del settore logistico, la sua estensione e l’intreccio di interessi che lo contraddistingue ci portano a
considerare che il fine del blocco non è tanto fermare una singola nave quanto fare pagare un prezzo per la
collaborazione al funzionamento della macchina bellica. Se i tentacoli della logistica di guerra si estendono e si
mimetizzano sul territorio ogni giorno ed ogni luogo sono utili per colpirla.
Di fronte alla catastrofe totale di una guerra sempre più estesa è necessario utilizzare tutti gli strumenti disponibili
nella cassetta degli attrezzi degli sfruttati. Se il singolo blocco produce un danno immediato a dei padroni è solo
estendendo il blocco all’intera produzione e circolazione delle merci e all’ordinato funzionamento dell’organizzazione
sociale che si può pensare di sabotare la guerra.
Sostenere la causa degli oppressi palestinesi, attraverso l’attacco contro lo Stato di Israele e i suoi padrini, che
sono anche i nostri diretti oppressori, spezzare le collaborazioni tra il nostro stato e i massacratori del popolo
Palestinese ci pare non un contributo, ma un antidoto all’allargamento del conflitto. Israele ha il potere di fare
quello che fa perché è la testa di ponte del blocco capitalista occidentale in Asia Occidentale. Per questo una
mobilitazione all’interno dei paesi occidentali, che arrivi a mettere in crisi il normale funzionamento della macchina
capitalista e raggiunga i caratteri della sollevazione può seriamente contribuire a fermare la guerra ed il genocidio.
Una mobilitazione contro la guerra che tenga insieme le lotte operaie portate avanti da portuali, ferrovieri,
macchinisti e addetti al settore cargo e che paralizzi l’infrastruttura logistica della macchina bellica. Uno sciopero
che a partire dalle condizioni di sfruttamento attuate nella riorganizzazione di una economia di guerra diventi quello
sciopero generale in grado di mettere realmente in discussione l’ordine delle cose.
In questo senso, la salvezza degli oppressi palestinesi fa tutt’uno con la nostra. Con quella di tutti gli esclusi
macinati ogni giorno nella giostra del profitto, con quella delle persone che dimostrano la totale sfiducia nelle
istituzioni, e che hanno di fronte la concreta possibilità dell’azione diretta. Lo Stato italiano sostiene il genocidio
del popolo palestinese e la guerra in Ucraina, dove si superano costantemente linee rosse verso l’apocalisse nucleare. A
noi fa pagare i costi della guerra: il dominio ha bisogno di ristrutturare l’intera società per prepararla a questa
catastrofe, ciò significa aumento dello sfruttamento, del controllo, della repressione.
Opponiamoci a tutto questo, sottraendoci alla mobilitazione militare e alla mobilitazione delle coscienze, alla
militarizzazione delle nostre vite, della società, dei territori in cui viviamo. Alla propaganda bellica opponiamo la
solidarietà internazionale: i soldati dall’altro lato della trincea sono nostri fratelli! Alla propaganda bellica
opponiamo la solidarietà internazionale: i soldati dall’altro lato della trincea sono nostri fratelli!
Il nemico è in casa nostra, siede nei palazzi dei ministeri, nei consigli d’amministrazione delle multinazionali, grida
ordini da dentro le caserme. Contro di loro bisogna combattere. Trasformiamo la guerra dei padroni in guerra contro i
padroni! Blocchiamo la logistica di guerra qui ed ora!

Assemblea sabotiamo la guerra
da lanemesi.noblogs.org

***
Hapag-Lloyd, Maersk, MSC: queste sono solo alcune delle sigle sui container bloccati in mezzo alla strada diretti al
porto martedì scorso a Genova, le stesse aziende che, come abbiamo descritto nei post precedenti, svolgono un ruolo
chiave nella logistica di guerra.
Dalle 6 del mattino del 25 Giugno circa 1.000 persone hanno bloccato tre varchi del porto di Genova: Albertazzi, San
Benigno e Etiopia, paralizzando l’intero traffico genovese, con code di camion che si estendevano per decine di
chilometri sulla A26 Genova-Gravellona Toce, A12 Genova-Sestri Levante e A7 Serravalle-Genova.
Nel primo pomeriggio si è anche svolta un’azione sotto i grattacieli del colosso bellico “Leonardo”, dove si trova il
supercomputer Davinci1 utilizzato per la mobilità militare nell’ambito dell’accordo con RFI. Ora sui muri della zona si
legge la sua complicità con le guerre, che il corteo ha riassunto con scritte come “Leonardo assassina” o con cori come
“Fiocchi, Leonardo, Fincantieri, assassini oggi come ieri”.
Il blocco è proseguito per almeno 10 ore, determinando con i ritardi accumulati un significativo danno economico alle
aziende. Verso le 16 è poi nato un corteo che si è diretto verso il centro della città, partecipato da circa 600
persone. Genova e i giovani palestinesi, i portuali del CALP di Genova, i SiCobas e altre realtà solidali hanno mandato
un messaggio chiaro alle multinazionali della logistica: se è dai porti che passano guerre e genocidi, allora è qui che
si incroceranno le braccia, è da qui che si bloccheranno le città, per sostenere in modo efficace tutte le lotte di
liberazione dei popoli, dalla resistenza palestinese allo Yemen, con una chiara visione antimperialista, antisionista e
internazionalista.

giugno 2024, da instagram Giovani Palestinesi Genova


VAL DI SUSA: IN 10.000 CONTRO DEVASTAZIONE, GUERRE E SFRUTTAMENTO
Quella di sabato è stata una grande giornata di lotta per il Movimento No Tav! In mattinata circa diecimila persone sono
partite da Venaus per raggiungere i cantieri della devastazione.
Diecimila giovani e giovanissimi ma anche anziani. Come tradizione del Movimento No Tav le grandi occasioni sono
attraversate da tutti e tutte coloro che hanno a cuore la difesa della propria terra e vogliono opporsi alla
mitarizzazione e all’occupazione da parte di chi legittima la realizzazione di opere mortifere ed ecocide.
Moltissimi e moltissime giovani che hanno preso parte al Movimento in solidarietà alla Palestina, hanno partecipato oggi
alla marcia per lottare anche qui per la liberazione dei popoli e dei territori.
Il popolo no tav oggi ha dimostrato dignità e determinazione riprendendosi i luoghi simbolo della resistenza in Valsusa.
Un parte del corteo partito da Venaus ha raggiunto il cantiere di San Didero superando i jersey posti sulla statale e
arrivati al fortino uno striscione in solidarietà alla Palestina è stato srotolato sul cancello del cantiere
accompagnato da una sonora battitura. Dopodiché, sotto il getto dell’idrante metri di concertina sono stati divelti e il
cantiere è stato circondato da più punti. La marcia che si è diretta verso il presidio dei Mulini è riuscita a
raggiungerlo da diversi lati:
molti e molte No Tav hanno proseguito sul sentiero gallo romano arrivando al primo sbarramento posto dalle forze
dell’ordine sulla strada, riuscendo ad abbatterlo e ad oltrepassarlo, occupando una parte di carreggiata dell’A32
all’altezza dello svincolo danneggiando alcuni mezzi di lavoro dell’autostrada.
Chi invece ha intrapreso i sentieri della Val Clarea, è riuscito a raggiungere e riprendersi il Presidio dei Mulini
circondando il cantiere di Chiomonte da più lati. Qui, a ritmo dei fuochi d’artificio, nonostante un fitto lancio di
lacrimogeni, i jersey sono stati abbattuti e le reti tagliate, invadendo così il cantiere dove sono stati messi fuori
uso diversi mezzi e macchinari utili alla devastazione. Da qui sventolavano la bandiera palestinese e No Tav.
Si parte e si torna insieme per il Movimento No Tav non è solo uno slogan e infatti la marcia ha ripreso i sentieri
lasciando dietro di sé un importante segnale contro la devastazione del territorio e chi la mette in atto.
La forza del movimento scandisce il passo, continua ad essere sorprendente in barba ai continui attacchi della questura
e prefettura scrivendo la parte giusta della storia! Avanti No Tav!

Valdisusa, 28 luglio 2024, da notav.info


LETTERA DAL CARCERE DI TERNI
Cari amici, vi ringraziamo ancora per quello che fate. Spero che stiate tutti bene. Vi ho scritto qui una "poesia" ma in
arabo, spero che abbiate qualcuno che possa tradurla in italiano.
Tutto è tranquillo qui e ci sentiamo forti perchè siamo palestinesi e abbiamo molte persone libere come voi al nostro
fianco.
Vedo ogni giorno quanti palestinesi vengono uccisi, ma le notizie della TV qua in italia sono false all'80%, loro
mostrano solo quello che va bene per Israele perchè questo è il gioco politico attuale in questo paese. Se sono
preoccupato o triste è solamente per i bambini e le donne che cercano solo la pace e perdono la vita in questa guerra,
ma per quanto riguarda i combattenti uccisi non sono triste perchè hanno dato la loro vita per la Palestina che vale più
delle nostre vite. Sono triste solo perchè non sono stato ucciso con loro perchè per tutti noi il grande sogno è il
giorno in cui diamo la nostra vita per la Palestina.
Cari amici siate certi che il combattente che è morto per il proprio popolo e il proprio paese rimarrà in vita per
sempre nel cuore della gente e nel cuore e di tutti i combattenti per la libertà, quindi non muore mai perchè noi siamo
un’idea e l’idea non muore mai. Il governo e Israele pensano che sia in arresto in questo momento ma non è la verità
perchè è libero chi non ha paura di dire la verità e sono loro in una prigione di paura perchè spaventati di dire
qualunque cosa senza che l’America la confermi per loro.
Dal mio cuore vi auguro ogni bene.

Terni, 13 giugno 2024
Anan Yaeesh, Via delle Campore 32 - 05100 Terni (TR)
[tradotta dall'inglese]

***
Annullamento con rinvio per Ali Irar e Mansour Doghmosh
Si è tenuta giovedì 11 luglio, presso la Corte Suprema di Cassazione, l’udienza per il ricorso alle misure cautelari di
Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh, i tre palestinesi arrestati dalle autorità italiane con l’accusa di
“terrorismo”.
Abbiamo visto, nel corso degli ultimi mesi, come questi arresti siano evidentemente un atto politico, frutto della
fedeltà che ciecamente lo Stato italiano continua a serbare nei confronti di Israele, azione il cui scopo è quello di
“criminalizzare” la resistenza in Palestina, in spregio dello stesso diritto internazionale che riconosce il diritto
all’autodeterminazione e alla resistenza, anche armata, nei territori sotto occupazione, come è quello palestinese.
L’udienza si è svolta a porte chiuse in quanto, di regola, la Corte di Cassazione decide in Camera di Consiglio non
partecipata: pertanto non erano presenti Anan, Ali e Mansour e nemmeno terzi, ma i soli avvocati. In concomitanza, a
Roma, dopo il partecipato corteo di sabato che ha visto centinaia di persone scendere in piazza per chiedere la
liberazione dei tre e per condannare la criminalizzazione della resistenza palestinese da parte delle autorità italiane,
si è svolto un presidio davanti al Palazzo di Giustizia. Iniziative simili sono state organizzate anche in altre città
italiane, a Milano, Bergamo, Como, Firenze, Pisa, Modena.
E’ dunque giunta poco fa la notizia dell’esito dell’udienza: la corte ha annullato con rinvio per Ali Irar e Mansour
Doghmosh, i quali dovranno, presumibilmente subito dopo l’estate, tornare davanti al Tribunale del Riesame dell’Aquila
che dovrà rivedere la propria decisione di tenerli in carcere.
Questo è da ritenersi un primo passo avanti che potrebbe significare la scarcerazione in tempi brevi per Ali e Mansour.
Per Anan Yaeesh, la Corte di Cassazione ha invece confermato le misure cautelari: pertanto dovrà rimanere in carcere
almeno per la durata del processo. Questo vuol dire che si andrà avanti nella costruzione di un’ampia mobilitazione a
suo sostegno e favore, per la sua liberazione e per il diritto del popolo palestinese a resistere, denunciando la
complicità dell’Italia e del governo Meloni che, nel pieno di un genocidio, oltre a fornire appoggio politico e militare
a Israele, concede a oltre mille cittadini italiani di combattere nelle fila dell’esercito israeliano; che - nonostante
avesse dichiarato il contrario - ha continuato a fornire armi all’esercito d’occupazione israeliano per tutta la durata
della guerra; che decide di arrestare tre palestinesi con l’accusa di sostenere una resistenza riconosciuta legittima
dallo stesso diritto internazionale, prostrandosi alla volontà di USA e Israele, alla faccia della tanto decantata
“sovranità”.

Per scrivere loro:
Ali Irar, Via Arginone, 327 - 44122 Ferrara (FE)
Anan Yaeesh, Strada della Campore, 32 - 05100 Terni (TR)
Mansour Doghmosh, Contrada Ciminata, 1 - 87064 Corigliano-Rossano (CS)


Lettera dal carcere di Ferrara
In nome della palestina e delle voci della libertà. In nome dei discepoli di Mandela. Saluto tutti i ragazzi che ci
sostengono e sostengono la causa palestinese, la libertà e la giustizia. vi seguo attentamente, e vedo la fede che
mettete nella causa palestinese. Ringrazio tutti gli studenti e le studentesse, i giornalisti, e tutti coloro che
difendono i diritti umani, e chi ancora mi scrive. rimanete la nostra voce e la voce della palestina. Se vi state
facendo domande sulla nostra situazione, sappiate che non ci manca niente, se non la libertà. stiamo bene grazie alla
resistenza e alla pazienza che abbiamo imparato dal popolo di gaza, il quale combatte da solo il mondo contro il
colonialismo sionista.
Pace alla madre palestina, che resiste alla prepoteza sionista dal 1948. Vita alle madri e agli anziani resistenti, vita
ai bambini che non dimenticano. non c'é lutto per i martiri palestinesi̇, il lutto é per gli scoraggiati e gli avviliti.
il numero dei martiri palestinesi ha raggiunto e superato i 38.000, mentre il mondo osserva il genocidio in silenzio.
Libertà per la palestina! Libertà per Gaza!
Dal cimitero dei vivi, Ali Irar (AS2)

Ferrara, 18 luglio 2024
Ali Irar, Via Arginone 327 - 44122 Ferrara (FE)


LETTERe DAL CARCERE DI San Michele (AL)
Ciao a tutte e tutti. Vi scrivo queste righe sull’onda del disgusto provocato dallo star seguendo la campagna mediatica
delle ultime settimane sulle elezioni europee. Mentre gli stati generali degli eserciti di tutto il mondo sono riuniti
per decidere le sorti dei territori e dei popoli, in Italia si mette in scena il ridicolo teatrino della campagna
elettorale. Da quasi un mese ormai media e giornali non parlano d’altro, la presidente del consiglio è anche riuscita in
un modo o nell’altro a monopolizzare il sistema d’informazione pubblico che di fatto, checché ne dica, è diventato a
tutti gli effetti teleMeloni.
I partiti più rappresentativi (se di rappresentatività si può ancora parlare, visto che secondo i sondaggi Fdi sta al
26% dei votanti mentre il Pd al 20%, e visto che la percentuale dei votanti starà al di sotto del 50%, si parla del 13%
sugli aventi diritto per Fdi e del 10% per il Pd) Fratelli d’Italia e Partito Democratico si fronteggiano come fossero
su posizioni opposte, programmando duelli televisivi che poi saltano, cercando di cavalcare strumentalmente l’agenda
politica dei territori, vedi la traghettata no ponte di Elly Schlein o l’inaugurazione del centro sportivo a Caivano da
parte di Meloni in contemporanea.
Giorgia Meloni che riesce a trasformare, a causa anche del controllo dell’informazione da parte del suo apparato
comunicativo, un obiettivo minimo del suo dovere di capo di governo come quello di garantire il diritto allo sport e
alla socialità nei quartieri popolari, in un atto quasi eroico, una straordinaria vittoria ottenuta grazie al suo
immenso merito personale. Così, mentre l’una impugna la bandiera dell’ “innovativa” riforma costituzionale (scopiazzata
dal programma della P2) e che a suo dire, pensate un pò, sarebbe strumento democratico di redistribuzione del potere che
restituirà decisionalità ai cittadini, l’altra si riscopre improvvisamente paladina degli sfruttati tornando a parlare
di lavoro e di carovita, rispolverando addirittura la leninista concezione di libertà declinata come “liberazione dalle
necessità” e non come mera “libertà individuale” – non credevo alle mie orecchie. Come se il suo partito, spalleggiato
da sindacati compiacenti e muti, e che ha governato a più riprese fino a ieri, non avesse responsabilità nel feroce
attacco ai diritti dei lavoratori portato avanti negli ultimi decenni.
In questa pantomima ipocrita e a tratti macchiettistica che dovrebbe rappresentare il dibattito politico sulla realtà,
se si va bene a guardare, sui due grandi temi veramente centrali nelle politiche europee ovvero austerità e guerra, le
due contendenti si sono mascherate andando a braccetto a votare tagli alla spesa pubblica e incremento degli
investimenti in ambito bellico.
Mi è capitato di recente di leggere alcuni passaggi di un’inchiesta condotta da Greenpeace e Sbilanciamoci dal titolo
“Economia a mano armata 2024”. Secondo questa inchiesta che riporta i dati dell’Istituto internazionale di Ricerca sulla
Pace di Stoccolma, la spesa militare dell’Ue è quasi 4 volte quella russa (dati di fine aprile). Peccato che solo il 6
maggio scorso il ministro Crosetto sostenesse pubblicamente che la capacità produttiva militare dell’Europa è di molto
inferiore a quella della Russia e dell’Iran, esprimendo la necessità di aumentare la spesa militare italiana e il
sostegno con denaro pubblico al comparto produttivo degli armamenti. Comparto che ha già un fatturato complessivo di più
di 15 miliardi annui e di cui aveva incarichi di rappresentanza fino al giorno prima di diventare ministro della difesa,
alla faccia del conflitto di interessi, addirittura invertito di segno.
Un comparto produttivo che mette a capo di un ministero un suo rappresentante. L’industria militare italiana ha assunto
nell’ultimo periodo, tra l’altro, ancora di più un ruolo di subalternità alle strategie imperialiste degli Usa. Tra il
dicembre 2013 e gennaio 2024 l’Italia ha esportato, infatti, armi e munizioni verso Israele per un valore complessivo di
oltre due milioni di euro. Leonardo infatti, come è noto, produce i cannoni navali Oto-Melara oggi utilizzati a largo
delle coste di Gaza e i caccia dell’aviazione israeliana. Se non bastasse nell’ottobre 2023 l’esercito statunitense ha
assegnato sempre a Leonardo lo sviluppo di un nuovo sistema laser in grado di coordinare operazioni e attacchi militari.
Hai voglia di mostrare finto cordoglio per le decine di migliaia di uccisioni di civili palestinesi, con una mano il
governo italiano asciuga le sue lacrime da coccodrillo, con l’altra intasca i miliardi di euro che questa carneficina
sta fruttando. Per non parlare degli accordi firmati da Eni con il ministro dell’energia di Tel Aviv per avviare
l’esportazione di giacimenti di gas nel territorio appena raso al suolo della Striscia di Gaza e della porzione di mare
antistante. In tutto questo non una parola da parte del Pd contro il genocidio in atto da parte di Israele a Gaza, né in
sostegno alla resistenza del popolo palestinese. L’unico ad aver preso posizione chiara, Tarquinio, candidato alle
europee da indipendente per il PD, che ha proposto di uscire dalla Nato e sciogliere l’alleanza con Israele è stato
addirittura subito bacchettato.
Per fortuna ci sono le piazze e le università ad esprimere posizioni chiare su questi temi vitali. Seguo giornalmente la
mobilitazione portata avanti dagli studenti nelle università (ho letto anche dell’accampata all’ateneo di Palermo e di
Catania) e dai tanti comitati di solidarietà sorti in tantissime città d’Italia, ottimi segnali da parte dei territori
che non smettono di lottare e di portare in campo la loro solidarietà. Vedo che si sta lavorando per estendere ancora di
più la mobilitazione e per unificare le lotte. Le lotte contro la guerra imperialista, contro le spese militari e la
corsa agli armamenti. Le lotte contro i tagli alla sanità pubblica e contro il suo smantellamento, le lotte contro le
grandi opere inutili, contro la devastazione dei territori e contro lo sperpero di denaro che andrebbe invece investito
sulla loro messa in sicurezza. Le lotte nel mondo del lavoro per avere più sicurezza e migliori condizioni contrattuali
sono parti di un’unica grande lotta che i territori devono condurre per la costruzione di un mondo migliore. Un mondo
senza classi sociali, senza colonizzati e colonizzatori, senza sfruttati né sfruttatori. Altro che elezioni europee e
teatrini annessi. A presto! Luigi.

Luigi Spera, Strada Casale 50/a - 15122 San Michele (Alessandria)
29 maggio 2024, da antudo.info
***
Presidio al carcere di Alessandria. Un messaggio da Luigi
Si è svolto domenica 14 luglio un presidio all’esterno del carcere di Alessandria in solidarietà al nostro compagno
Luigi, detenuto ormai da quasi 4 mesi. Tante le persone presenti, tra cui i partecipanti al campeggio di lotta No Tav,
che con le loro voci hanno voluto lanciare un messaggio chiaro contro la guerra e le industrie belliche, per la libertà
di tutti e tutte.
È stato inoltre consegnato il premio ‘Balmafol Resiste’, promosso dalla sezione Anpi di Foresto-Bussoleno-Chianocco. Una
targa dedicata a persone o gruppi “che si sono fatti portatori degli stessi valori che hanno portato i nostri partigiani
a lottare contro il nazifascismo”. Letto anche il messaggio scritto da Luigi in occasione del presidio che di seguito
viene riportato.

Qualche giorno fa ho saputo che sareste venuti a trovarmi qui a San Michele, organizzando un presidio di solidarietà
davanti al carcere. Per questo ho scritto questa lettera, per far sentire tra le vostre voci anche la mia. Intanto vi
ringrazio profondamente per la solidarietà, la vicinanza, la complicità e l’affetto che mi avete dimostrato tutte e
tutti in questi mesi e per essere qui oggi. Con le vostre lettere, le cartoline e le iniziative organizzate avete
portato una ventata di aria fresca dentro queste mura che ci rinchiudono e che vorrebbero tenerci separati dalla realtà.
Non sono mai stato particolarmente avvezzo all’uso delle parole, le ho sempre considerate, oltre un certo numero
essenziale, ridondanti e superflue. Ci sono però situazioni come questa in cui anche le parole possono essere strumento
di lotta e di liberazione, nella funzione di negare l’isolamento al quale, qui dentro, vorrebbero costringerci e nel
loro costituire un ponte tra ciò che è dentro e fuori dalla gabbia.
Si fa un gran parlare in questi giorni di carcere soprattutto dopo il già denominato “De-cretino svuotacarceri” come
qualcuno lo ha giustamente chiamato, o ancora decreto “Silvan” visto il gioco delle tre carte che mette in atto. Un
decreto che nei suoi annunci avrebbe dovuto risolvere l’annoso problema del sovraffollamento carcerario ma che di fatto
ha aumentato le tipologie di reato e aggravato le pene per i reati minori contro la proprietà, ha fatto scomparire reati
come l’abuso d’ufficio, per tutelare maggiormente i colletti bianchi della pubblica amministrazione, manifestandosi per
quello che è realmente: pura propaganda vuota sulle spalle dei detenuti e un attacco alle fasce più povere della
popolazione. Si parla di funzione punitiva e di funzione rieducativa della pena carceraria, in un dibattito sterile in
cui sia i sostenitori che i detrattori di entrambe pongono come assioma fondante la responsabilità individuale del
reato, scagionando completamente la società in cui viviamo ed i rapporti di forza sociali interni ad essa.
Bisognerebbe poi vedere quale delle due funzioni sia più violenta, arrogante ed ipocrita in una società che con la sua
egemonia culturale prima ti educa e poi pretende sempre lei di rieducarti. Il carcere viene descritto come
un’istituzione che deve punire e rieducare ma in realtà non assolve a nessuno di questi due compiti, quantomeno non
nella sua funzione principale. La funzione primaria a cui risponde il carcere è infatti quella di un tappeto, un enorme
tappeto sotto il quale mettere quello che per questa società è spazzatura, tutto ciò che si vuole nascondere, segregare,
isolare, perchè prova schiacciante dell’ingiustizia che essa porta, o perchè pericoloso per l’ordine costituito. Quello
che avviene al suo interno deve essere tenuto segreto, nascosto, da un lato perchè fa comodo veicolare una narrazione
che descriva la galera come un luogo indefinito, un “non luogo”, un buco nero che risucchia e fa scomparire chi ci
finisce dentro o anche come l’inferno in terra, per accrescere il suo potere deterrente; dall’altro lato perchè, più chi
sta fuori vede le persone recluse al suo interno come i “dannati della terra”, quanto più si sentirà fortunato e libero
a vivere all’esterno del carcere, nel sistema sociale da cui è assoggetato e governato, fortunato a non essere
condannato alla detenzione, ritenendo condanne meno crudeli quelle a cui si è sottoposti ogni giorno dal capitalismo.
Siamo davvero liberi?
Voi fuori vi riterrete liberi mentre vi condanneranno a lavorare 12 ore al giorno nei campi, o nelle cucine di un
ristorante o tra i tavoli di una caffetteria o in un magazzino della logistica, pagati a meno di 5 euro l’ora.
Vi riterrete liberi mentre, a causa di speculazioni immobiliari feroci, gli affitti lieviteranno nelle grandi città e
sarete condannati a vivere in automobili o a fare i pendolari per andare al lavoro ed impiegare tre, quattro ore della
vostra giornata e del vostro tempo libero negli spostamenti, il vostro tempo di vita, che dovreste dedicare a voi stessi
o ai vostri figli, che invece lasciate a letto a dormire alle sei del mattino e che rivedrete di sera quando staranno
per riaddormentarsi.
O ancora quando a causa del processo di smantellamento della sanità pubblica vi condanneranno a morire di malattia o non
poter accedere alle cure perchè non avrete i soldi per pagarle. Vi sentirete liberi quando vi condanneranno a lasciare
la vostra terra ed i vostri affetti familiari, a lasciare la vostra comunità per andare a lavorare in una capitale
europea o in un polo produttivo del nord Italia se siete nati nel meridione improduttivo, o magari ancora liberi di fare
la traversata del Mediterraneo su un barcone e morirci in mare. Condannati a morte, ma liberi. E potrei continuare
all’infinito.
Questo sentirsi liberi e fortunati solo perchè non si è detenuti, in una società ingiusta come quella in cui viviamo, è
il primo passo per smettere di lottare. Ecco perchè fa comodo veicolare questa narrazione. In realtà il carcere altro
non è che un luogo di questa società che, per le sue caratteristiche di chiusura e per la sua struttura, diventa un
amplificatore dell’apparato sociale in cui viene istituito, ne amplifica tutti gli aspetti negativi ovviamente: la
prevaricazione dell’istituzione sulla comunità; la separazione netta tra chi costituisce l’istituzione e chi la
comunità; la rassegnazione ad una gestione burocratica della vita; la differenza di classe (nel senso che, in linea di
massima, ricchi stanno tutti fuori); la ghettizzazione in base alla provenienza territoriale. Nella sua composizione,
tra l’altro, la popolazione carceraria fornisce dati chiari su quali siano i rapporti di forza, oltre che tra le classi,
anche tra i territori interni alla penisola – e tra quelli italiani e quelli di provenienza dei migranti che in Italia
arrivano (più del 40% della popolazione detenuta non possiede la cittadinanza italiana, tra quelli che ce l’hanno il 35%
circa proviene da Sicilia, Calabria, Puglia e Campania).
Dicevamo, il carcere amplifica gli aspetti negativi ma lo stesso avviene anche per quelli positivi: il senso di
appartenenza a una comunità, quella carceraria nella fattispecie; la vita collettiva che ne consegue; la solidarietà tra
chi vive le stesse condizioni di carcerato, ecc. Si parla tanto di carcere anche perchè, purtroppo, assistiamo ad un
continuo aumento del numero di suicidi all’interno delle mura carcerarie. Il sovraffollamento crescente esaspera le già
cattive condizioni in cui siamo costretti a vivere nella maggior parte delle strutture detentive: mancanza d’acqua,
condizioni igieniche precarie, mancanza di spazi comuni. Dall’inizio dell’anno si contano già 54 suicidi. Nulla però si
dice della tendenza delle cifre legate ai suicidi fuori dalla prigione. Non ho i numeri alla mano, ma sono sicuro che la
tendenza non cambi. E se guardiamo con attenzione i numeri relativi alle persone che si tolgono la vita in galera ci
rendiamo conto di quanto il problema sia strettamente legato al modello di società in cui viviamo. Spesso chi si toglie
la vita in cella è ad un passo dall’essere scarcerato, dall’essere buttato fuori senza i mezzi per sopravvivere a una
società che lo divorerà, abbandonato a una condizione che è peggiore della detenzione stessa (in carcere tanti,
quantomeno, hanno un tetto, un letto, da mangiare e accesso gratuito alle cure sanitarie). Gli altri sono detenuti in
isolamento, del tutto immersi nelle condizioni inumane in cui la reclusione totale li costringe. Altri ancora detenuti
in sezioni protette, totalmente emarginati dalla comunità carceraria per la tipologia di reato commesso o per
comportamenti scorretti nei confronti degli altri detenuti. Lungi da me fare un elogio della galera.
Voglio dire che se si vuole affrontare il tema della repressione e del carcere, bisogna necessariamente guardare il
fenomeno attraverso la lente della lotta contro il capitalismo e le istituzioni che lo sorreggono e parlarne attraverso
una nostra narrazione funzionale allo stravolgimento dello stato di cose presenti, e non assecondare la narrazione di
parte del sistema di potere che il carcere lo ha pensato, realizzato e implementato.
Per cambiare le condizioni in cui versano le galere bisogna lottare per cambiare la società. Per abolire il carcere,
cosa a cui tutt3 noi auspichiamo, bisogna abolire lo stato capitalista. Nel frattempo è importante costruire un ponte
tra il dentro e il fuori, un ponte fatto di condivisione di pratiche di lotta e di contenuti, condivisione di
rivendicazioni ma anche di una visione comune della società che vogliamo. Rompiamo l’isolamento, uniamo le lotte fuori
con quelle di chi lotta dentro. La prigione, come dicevo, è un luogo di questa società e la popolazione carceraria è un
soggetto sociale capace di dare il suo contributo nella lotta, ne ha dato prova nella storia più o meno recente e ne sta
dando prova in questi giorni con le proteste portate avanti in tante strutture carcerarie in tutta Italia. E’ notizia di
oggi che è in corso una protesta contro le condizioni di detenzione d il sovraffollamento nel carcere di Trieste.
Vi abbraccio forte compagne e compagni, raccolgo e tengo stretta la vostra solidarietà che mi riempie di coraggio e vi
porgo la mia. Anche voi, lì fuori, ne avete bisogno esattamente quanto noi qui dentro.
Ci vediamo presto fuori, Luigi

Luigi Spera, Strada Casale 50/a - 15122 San Michele (Alessandria)
15 luglio 2024, da antudo.info

***
Carissimi amici-che compagni-e, […] colgo l’occasione per esprimere la mia solidarietà al compagno Alfredo Cospito, a
Luigi Spera che pochi giorni fa fuori dalle mura sono venuti a portare la solidarietà, dove mandiamo i nostri più
sinceri saluti a tutti-e. Oggi nelle carceri in generale siamo costretti di vivere nelle condizioni disumane, l’area
sanitaria non può garantire la salvaguardia della salute dei detenuti, per non parlare dell’igiene personale. Siamo
costretti a dormire su dei vecchi materassi di gomma ormai scadenti da moltissimi anni che è molto facile che portino
delle zecche oppure scabbia e funghi.
Per quanto riguarda il vitto amministrativo oltre a non essere sufficiente è poco mangiabile. Per poi non parlare del
sovraffollamento che spesso porta alla disperazione. I carceri ormai da anni si sono ridotti come centri di accoglienza
per extracomunitari. Le celle a cubicolo che dovrebbero ospitare un detenuto ci stiamo in due, e di conseguenza va a
restringere anche un piccolo spazio.
Va detto al signor ministro di ‘Grazia’ e Giustizia che la società carceri non è mai stato un luogo di recupero come
vogliono far credere gli operatori, educatori, psicologi, e questo loro lo sanno bene, come sanno bene che i carceri
sono sempre stati una fogna, che sono riservati a tutte quelle persone che la società ripudia: tossici, ladri,
anarchici, e via scorrendo. I detenuti che si uccidono nelle galere statali ormai non solo non fanno più notizia ai
benpensanti della classe politica attuale ma nemmeno al ministro di grazia e giustizia ivi compresa al responsabile del
DAP. Di quale società civile stiamo parlando? Di quella che ogni anno vanno a commemorare la perdita di qualche
magistrato, e le vittime del terrorismo e delle stragi impunite. Lo Stato non vuole girare pagina perché ha bisogno di
mantenere l’emergenza ormai sepolta. Mando i miei saluti a tutti i detenuti della sezione 2 AB e ai compagni qui in AS2.
Vi abbraccio Mauro.

Alessandria, 9 luglio 2024
Mauro Rossetti Busa, Strada Casale 50/a - 15122 San Michele (Alessandria)


lettera dal carcere di spini di gardolo (TN)
Questo testo è stato sottoscritto da un gran numero di detenuti del carcere trentino di Spini di Gardolo. La protesta,
con le battiture rumorose e lo sciopero del carrello (cioè il rifiuto del cibo fornito dal carcere) ha coinvolto più
sezioni ed è durata fino al 5 agosto. Durante una di queste sere, un gruppo di solidali è andato sotto le mura per
sostenere la protesta e parlare con i prigionieri.
Le ragioni della protesta sono le stesse degli altri carceri italiani dove recentemente ci sono state proteste e
rivolte: Trieste, Sanremo, Torino, Alessandria, Genova, Bolzano… Rivolte represse con lacrimogeni e manganelli (nonché
con fogli di via ai solidali): a Trieste un detenuto è morto, ufficialmente per “overdose” (come i 9 morti durante la
rivolta di Modena nel 2020…).
Nel frattempo, con il Disegno di legge 1660 ancora in discussione, si vorrebbe istituire il reato di rivolta carceraria
per la semplice disobbedienza agli ordini ed equiparare la resistenza passiva a quella attiva, oltre che mettere sullo
stesso piano chi protesta dentro e chi porta solidarietà fuori.
Il clima di guerra fa sì che lo Stato voglia passare col rullo compressore sopra le lotte, dentro e fuori le carceri.
Per questo è ancora più necessario portare fuori la voce dei detenuti e delle detenute e portare dentro il calore e la
concretezza della nostra solidarietà.
Contro il Pacchetto Sicurezza! Al fianco dei detenuti e delle detenute in lotta!

Al Ministero della Giustizia a Roma e per conoscenza al Magistrato di Sorveglianza di Trento.
La popolazione detenuta del carcere di Trento, a causa di un tenore di vita poco dignitoso, dell'inefficienza dei
servizi, del sovraffollamento disumano, della rigidità della sorveglianza
Propone una protesta pacifica ad oltranza che comprenderà sciopero del carrello, delle vivande ministeriali e battitura
negli orari 12:00-12:30, 21:00-22:00.
Tale protesta è finalizzata a trovare un punto in comune con le istituzioni. Chiediamo uno stile di vita più decoroso e
la disponibilità della sorveglianza a concedere benefici a chi ne possiede i requisiti in tempi celeri.

***
Sulla rivolta del 9 aprile nel carcere di Spini di Gardolo
Affinché quel grido non rimanga isolato
La rivolta scatenatasi il 9 aprile in una delle sezioni del carcere di Spini di Gardolo, con diversi danni (vetri rotti,
termosifoni divelti, impianto elettrico e telecamere danneggiati), rifiuto da parte dei detenuti di rientrare in cella,
intervento massiccio delle guardie e mobilitazione di forze di polizia esterne al carcere, ha avuto l’effetto di
rompere, per un attimo, il velo di silenzio e compiaciute menzogne che abitualmente circonda la struttura. Se da un
pezzo nessuno ha più la sfacciataggine di parlare di “carcere modello”, casualmente era proprio del giorno prima la
sfilata propagandistica del vescovo e dei magistrati di sorveglianza, venuti a Spini a farsi fotografare dai
giornalisti, parlando di sovraffollamento come se la magistratura non ne fosse direttamente responsabile e invocando,
come sempre, aumenti di organico per le guardie, e risaliva ad appena un paio di giorni prima l’ennesimo tentativo di
suicidio (un altro, in isolamento, avverrà poco dopo la rivolta, e l’ultima detenuta morta, sempre in isolamento, risale
a dicembre).
La causa immediata della sommossa, l’ennesimo rapporto disciplinare, non ha niente di estemporaneo o occasionale: l’uso
costante (e l’ancor più frequente minaccia) di rapporti e periodi di isolamento scandisce la vita dei detenuti, comporta
un aumento della durata della detenzione (con la perdita dei giorni di liberazione anticipata e il rifiuto delle misure
alternative al carcere), alimenta quel sovraffollamento di cui sono interamente responsabili magistrati e giudici di
sorveglianza, che con i loro reiterati rifiuti si sono resi responsabili della morte di almeno due detenuti.
I continui rapporti disciplinari, il rifiuto dei giorni di liberazione anticipata, delle misure alternative o della
“svuotacarceri” anche a chi ne avrebbe i requisiti, le attese di mesi o di anni per avere una risposta a un’istanza o
per farsi fissare un’udienza fanno sfumare in un futuro indefinito il momento in cui si riuscirà ad uscire da quelle
maledette mura, alimentando quella disperazione, quella mancanza di prospettive che trovano sfogo nel frequente
autolesionismo e nel dilagare degli psicofarmaci (contenzione chimica di massa somministrata dal carcere), oltre ad
avere ricadute “pratiche” piuttosto logiche per chiunque non sia un magistrato di sorveglianza: chi, dopo aver richiesto
i domiciliari o l’affidamento al lavoro, deve aspettare 6 mesi per avere un’udienza, in quei sei mesi perde sia la casa
che il lavoro, e quindi la possibilità di accedere a misure alternative, i magistrati rigettano l’istanza e si rimane in
carcere. La cronica mancanza di educatori contribuisce a perpetuare questa situazione: non per l’assenza della tanto
decantata “rieducazione” (cioè privare il detenuto della propria identità inducendolo a rifiutare se stesso, le proprie
relazioni, le proprie ragioni per assumere quelle dell’istituzione che lo rinchiude), ma perché ogni richiesta comporta
un passaggio attraverso una loro valutazione, creando quel collo di bottiglia in cui rimangono incastrate le vite dei
detenuti. Quando magistrati, giudici, sindacati dei secondini blaterano di sovraffollamento fanno i propri interessi
sulla pelle dei detenuti: Spini, come gran parte delle carceri, è una casa circondariale, destinata a rinchiudere
detenuti con condanne “brevi” (tralasciando quel 30% di detenuti che, in tutta Italia, sono in attesa di giudizio) che,
quando la pena scende al di sotto dei 4 anni, potrebbero accedere a misure alternative. Queste misure vengono
metodicamente negate, o concesse con una logica premiale in cui la vita del detenuto è disseminata di ostacoli mirati a
non fargliela ottenere, così come vengono negate le misure cautelari non detentive. La creazione artificiosa di una
situazione di sovraffollamento giustifica la costruzione di nuove carceri (una è prevista anche a Bolzano), destinata a
perpetuare all’infinito la presunta emergenza (più carceri per ancora più detenuti) e cospicuamente finanziata
dall’attuale governo, serve da pretesto per l’aumento di fondi e organico per la polizia penitenziaria (“referente
sociale” e bacino elettorale per Fratelli d’Italia e Lega), consente di ripetere all’infinito la minaccia
dell’“emergenza sicurezza” che legittima i nuovi strumenti legislativi con cui continuare a riempire le carceri (dal
decreto Caivano all’ultimo pacchetto sicurezza). Tutti elementi che disegnano il carcere per ciò che è: strumento di
gestione e contenimento delle fasce più povere della popolazione. Questa fetta di popolazione è destinata ad aumentare.
In tempi di guerra, ai poveri non spettano neanche le briciole, e lo Stato si sta attrezzando di conseguenza: il carcere
è discarica sociale in cui relegare quelle quote di proletariato che non si riescono a mettere a profitto, è già
“carcere di guerra”, e la riorganizzazione disciplinare delle sezioni, con l’estensione del regime chiuso che diventa
“trattamento ordinario” obbligatorio in tutto il circuito di media sicurezza (sperimentata nel 2022 ed entrata in vigore
nel 2023), lo testimonia (così come il 41bis per il prigioniero anarchico Alfredo Cospito). D’altra parte, in tutta
Italia, e Spini non fa eccezione, prolifera il lavoro carcerario, per conto di ditte e cooperative esterne, con cui la
manodopera “in eccesso” diventa manodopera prigioniera, ipersfruttabile, sottopagata, ricattabile, priva di possibilità
di scelta e di altre fonti di sostentamento, oltre che costantemente sorvegliata.
L’esplosione di rabbia del 9 aprile a Spini è stata un grido che ha cercato di spezzare il silenzio sulla normalità
assassina del carcere, che giorno dopo giorno sottrae ai detenuti pezzi di vita, con le attese infinite e senza senso,
con le angherie quotidiane delle guardie (sputi, minacce, botte, celle chiuse, sedazione chimica, ricatti sul lavoro
interno o sui permessi per chi ha figli minori…). Ai detenuti che vi hanno preso parte è costata rapporti, isolamento,
annunciati trasferimenti. Ai nemici del carcere, a chi è solidale con i detenuti perché sa che essi sono parte della
stessa classe oppressa e sfruttata, spetta il compito di far sì che quel grido non rimanga isolato, di farlo risuonare
oltre il muro del carcere, di individuare le responsabilità di una reclusione sempre più estesa e insostenibile.

Solidali con i detenuti e le detenute di Spini
14 giugno 2024, da ilrovescio.info


lettere dal carcere di Sanremo (IM)
[…] Lunedì scorso era uscita la notizia di 4 suicidi in un giorno nelle carceri. Dopo breve discussione all’aria, il
pomeriggio ci si trova in saletta per discutere se si vuol fare qualcosa. C’è chi spinge forte e chi dice che forse è
meglio testarci prima visto che non ci si conosce e non c’è fiducia in generale.
Visto che c’è voglia di fare, si propone subito una battitura la sera senza aspettare di comunicare alle altre sezioni.
O meglio, ad alcune lo si è comunicato ma gli arabi si son capiti male. Vabbé, han cacciato il carrello. […]
Alla battitura facciamo un bel casino, su 16 celle si batteva in 10, solo un cellone non ha battuto. […] Il secondo
giorno in 2° sezione qualcuno ha battuto, ma è evidente che la cattiva comunicazione e il disinteresse – diciamo così –
non hanno portato ad un più alto coinvolgimento. Sembra che la seconda sera, il 18/06, anche a Marassi han fatto casino.
Come immaginerai la cosa è andata scemando, come se da una battitura cambiasse qualcosa: non si è abituati a lottare, in
prospettiva, conoscendosi…
Dopo la prima sera, il pomeriggio del giorno dopo il mio nome era sulla bocca di tutti, e sembra – cosa che sapevo già
in anticipo – che qualcuno abbia fatto il mio nome alla sorveglianza. Non mi sono meravigliato, anzi l’avevo anche detto
in assemblea che se mi avessero chiamato avrei taciuto. Alla “notizia” alcuni han proposto una raccolta firme in sezione
per dire che io non ero a “capo” di nulla, che chi ha partecipato lo ha fatto per sua convinzione. Un bel gesto che ho
apprezzato. Le guardie venivano da me come se fosse automatico che sia stato io ad organizzare… “dài Dolce digli di
smettere”, io rispondevo come deciso: “4 morti in un giorno, 44 dall’inizio dell’anno, questa è la protesta”. Niente di
più, niente di meno.
I primi tre giorni la battitura è continuata dalle 20 alle 21 e poi dalle 12 alle 13. Un capo-posto metteva zizzania
dicendo cose tipo “lasciatelo stare quello lì, ha le sue idee, ne ha di galera da fare, cosa vi immischiate”… gli altri
lo han mandato garbatamente a farsi un giro.
Il lato positivo è che tra alcuni la fiducia è aumentata, non posso dire saldata, ma c’è un po’ più unione.
[…] Questo pomeriggio mi ha chiamato la direttrice assieme al vice-comandante. Han detto che sono stato io ad
organizzare la battitura, ovviamente ho declinato l’affermazione, dicendo che chi ha partecipato lo ha fatto a titolo
individuale. Mi han chiesto i motivi e ho detto quello che si era deciso, cioè che era per sollevare il problema dei
suicidi. […] Comunque mi han dato 10 giorni di sanzione amministrativa, tipo esclusione dalla attività sportiva o cose
simili. A me non cambia nulla, io ho sempre le mie cose da fare. (26 giugno 2024)

***
Il 5 luglio mi hanno fatto il consiglio disciplinare in cui ho di nuovo declinato la questione “promotore” e ho
riconfermato i motivi della protesta, aggiungendo svariate argomentazioni sui problemi sociali cronici che riguardano il
carcere e la società fuori. […] Comunque l’8 luglio ho iniziato questi 10 giorni senza palestra, campo sportivo, saletta
e forse socialità: su questo non ho capito perché l’abbiamo solo la domenica pomeriggio. I ragazzi qui, a parole, sono
solidali ma alla fine non si sono tirati insieme, è evidente che c’è una completa assenza di capacità organizzativa,
tenuta, riflessione. Me ne ero ben accorto durante la prima assemblea. Si perdono via nel tran-tran quotidiano, nelle
piccolezze e miserie solite del mondo carcerario di oggi. Leggendo Sante e le sue esperienze, è tutto un altro carcere,
nonostante il forte malessere qui dentro. Come sappiamo, dentro è lo specchio di fuori. […]

12 luglio 2024
Luca Dolce, località valle Armea, 144 - 18038 Sanremo (Imperia)


Cosa sappiamo sulla rivolta nel carcere di Trieste
Giovedì 11 luglio in una parte della casa circondariale “Ernesto Mari” di Trieste è scoppiata una rivolta repressa dalle
forze dell’ordine, sembra anche con l’uso di gas lacrimogeni, per cui si è arrivati alla chiusura per alcune ore
dell’accesso all’adiacente via del Coroneo.
La rivolta sarebbe scaturita da una contestazione disciplinare che il direttore ha fatto insieme a un agente. Dopo la
contestazione il detenuto, molto giovane, di origine straniera, sarebbe tornato in sezione molto agitato sostenendo di
avere ricevuto uno schiaffo. Durante la rivolta alcuni detenuti sono arrivati in infermeria, sfondando i cancelli. Il
giorno dopo il magistrato di sorveglianza è entrato e ha sentito i “rivoltosi” (che saranno trasferiti). Le loro
richieste erano soprattutto sulla riduzione dell’affollamento. La direzione del carcere sostiene che non sia stato
necessario usare la forza per sedare la rivolta.
A differenza delle carceri più recenti l’istituto triestino, risalente alla prima metà del Novecento, è stato costruito
nel centro della città, addirittura attaccato all’edificio del tribunale locale. Diversi edifici residenziali si
affacciano sulle strade che circondano l’istituto e da lì in pochi minuti a piedi si arriva alla stazione centrale.
Durante le prime ore della rivolta le forze dell’ordine hanno impedito l’avvicinamento al carcere, mentre intorno alle
23 la sorveglianza è stata allentata ed è stato possibile transitare almeno a piedi. Anche se a quel punto la situazione
si era tranquillizzata, rimanevano diverse ambulanze e automediche con il motore accesso, mentre agenti della polizia
penitenziaria facevano capannello davanti all’ingresso e nei ristoranti ancora aperti dei dintorni, commentando quanto
accaduto. Da alcune finestre di una delle sezioni maschili ogni tanto si affacciavano pochi reclusi. Nel frattempo,
dalle finestre che danno sulle scale interne si vedeva un certo viavai. Quando sembrava tutto finito una persona
detenuta è stata portata fuori in barella: sembrava sedata, ma una volta nell’ambulanza ha iniziato a muoversi e poi ha
alzato la testa. Poco dopo l’ambulanza è andata via, accompagnata da due macchine della polizia penitenziaria.
Difficile negare che ci si sia trovati di fronte a una situazione straordinaria. Il 12 luglio Antonio Poggiana, il
direttore generale dell’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina (Asugi), ha fatto diffondere un comunicato in
cui si ringrazia tutto il personale per aver “gestito correttamente una situazione potenzialmente molto rischiosa”.
Secondo l’azienda sanitaria la rivolta sarebbe stata portata sotto controllo dopo una “mediazione” accettata dai
detenuti. Leggendo il comunicato si apprende anche che per fare fronte alla rivolta l’Asugi avrebbe attivato il Piano di
emergenza interna per il massiccio afflusso di feriti (indicato nel comunicato con l’acronimo Peimaf), con dieci
ambulanze e due automediche. In un comunicato uscito lo stesso 11 luglio l’Azienda parlava di “maxi-emergenza” e diceva
di aver trasportato al pronto soccorso sette pazienti: quattro con malori, uno con un’intossicazione da fumo e due per
problemi legati a delle cardiopatie. Venerdì 12 due persone risultavano ancora ricoverate in medicina d’urgenza.
Nel frattempo però una persona, il quarantottenne sloveno Zdenko Ferjančič, è stata trovata morta in cella. Non faceva
colloqui, probabilmente non aveva famiglia in Italia. Aveva un reato di droga ma non era in carico al Serd. Le notizie
trapelate fino a questo momento parlano di metadone sottratto dall’infermeria durante la rivolta, che avrebbe causato al
detenuto un’overdose. La presunta morte per overdose di metadone porta la mente alle rivolte della primavera del 2020 e
soprattutto alla strage del carcere di Modena. È il caso di ricordare che il metadone è un oppioide sintetico che viene
usato nel trattamento delle dipendenze da alcuni tipi di stupefacenti. Secondo la rilevazione di Antigone del 30 giugno
2024 nel carcere giuliano ci sarebbero cinquantadue persone tossicodipendenti, ma mancherebbe una sezione apposita per
loro.
Il carcere di Trieste, composto da sette sezioni maschili e da una femminile, è come tanti altri strutturalmente
sovraffollato. A fronte di una capienza di 150 posti, il documento di Antigone parla di 257 persone presenti (25 donne e
232 uomini). Di queste, 164 sono straniere. Nello stesso testo si fa presente che alcune celle sono infestate da cimici
dei letti, mentre altre sono prive di riscaldamento e acqua corrente. All’interno del carcere triestino 89 persone
farebbero uso di sedativi mentre 35 prenderebbero stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi. Nonostante
ciò, non esisterebbe un servizio psichiatrico quotidiano nella struttura, ma solo in base alle necessità degli
individui. Al momento, inoltre, secondo i dati diffusi da Antigone, solo tre persone detenute possono uscire per
lavorare all’esterno.
Poche ore dopo la rivolta, Enrico Trevisi, vescovo di Trieste dal 2 febbraio 2023, ha diffuso una nota in cui invita a
tenere alta l’attenzione sulle persone detenute. Trevisi fa notare che lo Stato, nel punire chi ha infranto le leggi, a
sua volta non rispetta la normativa sulla detenzione visto che “il sovraffollamento […], l’inadeguatezza delle strutture
e l’impossibilità di sanificarle […] rendono le pene inumane. Il caldo con strutture sovraffollate rende tutto ancora
più esasperante”.
Nella sua nota Trevisi si sofferma anche sul concetto di pena, sostenendo la necessità di lavorare a delle alternative a
quella detentiva. Forse è proprio questo uno dei punti cruciali, in un momento in cui il numero di suicidi in carcere
continua ad aumentare e l’idea della privazione della libertà come retribuzione per un torto arrecato alla società
sembra sempre meno convincente. Sarebbe il caso di riflettere anche sul concetto di rieducazione del condannato sancito
dalla Costituzione, ricordando che lo stesso testo non dà per scontata l’esistenza, e quindi la necessità, del carcere.
17 luglio 2024, da monitor-italia.it
Lettere dal carcere di Regina Coeli (roma)
FACCIAMO RUMORE
Neppure le parole abbiamo più. E se le avessimo non le ascolteresti.
Per questo sbattiamo con il poco che abbiamo, con le bombolette del gas, con le brande. Siamo invisibili, per questo
cerchiamo di fare rumore, tutti insieme.
Perché sia forte, perché sia disperato, perché sia sgradevole e superi anche i pregiudizi, quelli che stanno fuori ma
anche quelli tra di noi.
Urtiamo le porte, le grate che ci soffocano, i muri che ci chiudono e ci isolano dal mondo. Muri che hanno reso, che hai
reso impenetrabili, delimitando un ghetto-lager, un mondo da dimenticare.
La vita però, come la sofferenza, non puoi farla prigioniera.
Una strada per uscire dalla gabbia, in qualche modo la troverà. Qualcuno sentirà quella voce e non sarà stato in vano.
Perché basterebbe poco. Basterebbe che per un solo giorno queste mura sporche e grigie diventassero trasparenti.
Basterebbe che tu potessi vederci. Vedere la libertà di cui ci hai privato. La speranza distrutta, la dignità
calpestata.
Basterebbe guardarla per un giorno, questa discarica di rifiuti umani.
Dove hai confinato ogni sbaglio, dove hai buttato il disagio, la povertà, i problemi che non sai o vuoi risolvere.
Sperando che così non tornino a darti fastidio, a disturbare i tuoi privilegi, il tuo aperitivo, la tua call.
Vedresti gli occhi vuoti di chi si è spento per dimenticare tutto questo, sperando che passi. Vedresti i corpi inanimati
di chi non riesce a sostenere il dolore.
Vedresti non criminali incalliti e pericolosi, ma persone. Che spesso non trovano nessuno con energia, il coraggio e la
volontà di aiutarle.
Vedresti lo sporco, il degrado.
Ci vedresti cucinare e mangiare in bagno. Ci vedresti sdraiati nelle brande, perché in piedi in cella non c'entriamo. Ci
vedresti boccheggiare d'estate e tremare d'inverno, senza riscaldamento, senza acqua calda.
Ti basterebbe un solo sguardo per capire che queste persone non sono più umane, che senza un progetto, un lavoro, senza
ricevere risposte, senza una speranza non siamo più niente.
Provaci tu a non poter chiamare la tua compagna, a dover scegliere se usare la tua unica chiamata per sentire i tuoi
figli o i tuoi genitori.
Prova ad avere solo 10 maledetti minuti a settimana per comprimere tutto, ogni pensiero, ogni parola, ogni sentimento.
Prova a non sentirti solo, impotente, perso.
Basterebbe seguirci mentre arriviamo ammanettati tra la gente, ancora non giudicati, in quelle aule dove dovrebbero fare
giustizia, ma ti senti colpevole anche se non lo sei, vivi la condanna prima ancora della sentenza.
Trascinati coi ferri ai polsi, chiusi dentro una gabbia più piccola della cella, sbattuti e umiliati in quei sotterranei
luridi di piazzale Clodio.
Basterebbe assaggiare questo cibo, che fa schifo e comunque non basta mai.
Basterebbe finire in questo baratro per capire che i muri e le sbarre chiudono dentro anime vive e tengono fuori
l'umanità, la civiltà.
Ti basterebbe vederlo, questo posto, per non poter più far finta di nulla.
Ti metteresti anche tu a sbattere con noi.
Questa volta, non girarti dall'altra parte. Posa l'aperitivo, sospendi la call, metti in pausa il film. Prova a vedere
oltre questo maledetto muro.

2 giugno 2024
Detenuti in mobilitazione - Regina Coeli

***
Cara Radio Onda Rossa, intanto grazie per l’attenzione e per dare voce a chi, come noi, si ritrova schiacciato da questo
sistema insano e inumano. Questi giorni sono molto faticosi per noi. Il caldo amplifica le sofferenze che già erano
insopportabili.
Senza troppo girarci intorno, quello che vi chiediamo è di aiutarci, di rendere trasparenti questi muri, mostrando alla
gente i crimini commessi da uno stato che, ipocrita, pretende il rispetto delle leggi che esso stesso vìola
sistematicamente restando però impunito. Vorremmo che tutti e tutte riuscissero a capire che non c’è nulla di
rieducativo nel carcere. Vorremmo che si superasse la solita narrazione della prigione che garantisce la sicurezza dei
cittadini. È falso. Il carcere è criminale, criminoso e criminogeno.
Oggi in Italia vivono migliaia di persone (uomini, donne, ragazzini, perfino neonati con le loro mamme) chiuse come le
bestie, in celle piccolissime nelle quali si boccheggia, buttate su brande di ferro con un foglio di gommapiuma lercia
come materasso. Vivono chiuse senza servizi igienici adeguati, senza una doccia, senza un luogo sano nel quale cucinare.
Quando vedete le immagini in TV della solita rivolta o dell’ennesimo suicidio, dovete sapere che di carcere si soffre
fino a diventare pazzi, di carcere ci si ammala, di carcere si muore. Fuori si vive un’immagine che, per quanto
negativa, non riuscirà mai a rappresentare l’oscenità del carcere.
Qui a Regina Coeli abbiamo quasi raggiunto 1.200 detenuti (a fronte di 680 posti ufficiali). Col sovraffollamento è
saltato tutto: le educatrici non si vedono più, molte attività sono sospese, l’area sanitaria è totalmente inadeguata,
con mesi di attesa per una visita. Anche la magistratura di sorveglianza è intasata al punto che non vengono nemmeno
concessi i benefici di legge. Il vitto è disgustoso e comunque insufficiente. I lavoranti sono costretti a ridividere, i
pezzetti di pollo per farli arrivare a tutti. Servono quasi ogni sera, con questo caldo, un brodo immangiabile fatto con
gli avanzi dei pasti precedenti. E quando la cucina non ce la fa (sta erogando il doppio dei pasti) arrivano ranci
ridicoli, con un uovo sodo o due fettine sottili di formaggio. Le persone più giovani muoiono di fame, quelle più
anziane o più fragili si ammalano. L’acqua corrente è sempre più scarsa. Con quell’unico rigagnolo che c’è rimasto
dobbiamo lavarci, cucinare, bere, ecc.
Oltre la metà di chi è rinchiuso qui dentro non ha soldi, quindi non si può permettere i pochi e costosi prodotti che
siamo autorizzati ad acquistare dal fornitore monopolista. Così, una massa di almeno 600 persone, ogni giorno deve
trovare il modo di rimediare il cibo, il sapone per lavarsi, perfino la carta igienica! (te ne danno un rotolo al mese,
le guardie). Poi ci sono gli insetti che ti mangiano. Due sezioni sono piene di cimici e scabbia. I topi sono ovunque.
E poi ci sono quelle maledette gelosie. Guardate bene in carcere: le vedete? Quelle lastre di ferro nero montate davanti
alle finestre delle celle. Illegali da molti anni ma mai rimosse per i costi dei lavori. Non fanno passare l’aria, non
passa manco la luce. D’estate, quando ci batte il sole, si infuocano. Impazzisci. Cerchi di stare lontano da quella
finestra bollente, ma la stanza è piccola, e al lato opposto c’è una porta blindata chiusa. Ti senti in trappola,
appiccicato agli altri, tutti insofferenti. Ti fai aria con quello che trovi, ma l’aria è troppo calda. Intorno a te
tutto è caldo, come un forno. Anche il cibo che compri si deteriora velocemente perché non c’è un frigo. È una tortura,
e nient’altro. Lo stato tortura migliaia di persone. Non lo diciamo solo noi, ma le decine di sentenze della Corte
Europea per i Diritti Umani.
Tra noi c’è chi reagisce con forza, sbatte sulla porta, cerca di uscire almeno nel corridoio. Chi invece si lascia
andare e decide di imbottirsi di psicofarmaci, dormire e non pensare (quasi il 40% dei detenuti), chi urla, chi piange,
chi prega. Potremmo raccontarvi ancora tanto, ma non basterebbe un quaderno interno! Non si tratta più di riforme,
decreti o disegni di legge. Qui, ora, si stanno commettendo crimini contro l’umanità. Le persone sono sottoposte a
torture, trattamenti degradanti. Qui, proprio ora c’è gente che sta morendo. E non parliamo solo dei 54 suicidi
dall’inizio dell’anno, di quelle 54 vite spezzate che oggi sono un numero sui giornali, ma ieri erano reali, avevano un
nome, una storia, legami affettivi polverizzati dalla galera. Parliamo anche degli oltre 300 tentativi di suicidio
dichiarati dal DAP, sventati il più delle volte da altri detenuti. Parliamo anche degli altri 72 morti per malattie o
cause considerate naturali, ma anche quelli sono morti in carcere e di carcere.
Qui con noi c’è un anziano nordafricano. Ha 78 anni, cammina a fatica, gira spaesato. Dopo quasi 2 mesi ancora si
confonde e non ricorda la sua cella. Dobbiamo aiutarlo per tutto, ha un’autonomia molto ridotta. Abbiamo fatto di tutto
per segnalarlo, non può stare qui! Siamo molto preoccupati per lui. Non vogliamo che diventi l’ennesima “morte
naturale”, conteggiata cinicamente tra i numeri che non contano!
Ci sentiamo soli, esclusi da una società cieca, ma capace di catalogare, marchiare ed escludere. Non si riesce a non
pensare almeno una volta a farla finita. Non vuoi soffrire più. Qualche volta reagiamo, lottiamo, cerchiamo di unirci.
Ma ogni protesta è sedata, repressa. In tanti hanno paura. Dopo la prima rivolta in sesta hanno spedito 15 capri
espiatori nelle carceri più remote (perfino in Sardegna) facendo perdere loro la possibilità di vedere i familiari.
Nonostante ciò, e nonostante il DL sicurezza, in sole 3 settimane ben 4 sezioni sono insorte, per disperazione. Ci sono
stati incendi, lanci di oggetti. Almeno una volta a settimana il carcere è invaso dal fumo acre e tossico dei roghi.
Dalla settima, dove stanno chiusi 23 ore su 24 (con l’ora d’aria spesso negli orari più caldi) quasi ogni sera si
sentono battiture e grida di aiuto. Sentiamo ogni giorno notizie da altri penitenziari. Viterbo, Firenze, Milano, Trani,
Trieste. Stesse storie, stesse proteste. A volte siamo costretti ad urlare, fare rumore, accendere fuochi. Vogliamo
farci sentire, vogliamo essere considerati vivi perché, per quanto ci vogliano zitti, fermi, passivi, noi non siamo
ancora morti!
Siamo esseri umani come voi. Alcuni hanno sbagliato, altri sono innocenti, altri ancora li hanno resi “sbagliati” con
leggi liberticide che hanno creato reati dove non ce ne sono.
Siamo qui, davanti a voi, dentro Regina Coeli, dove subiamo torture, maltrattamenti, umiliazioni, trattamenti
degradanti. Questo succede davanti a voi, proprio adesso. Il nostro è un grido d’aiuto, aiutateci a resistere e ad
esistere!

Detenuti Liberi Regina Coeli
5 luglio 2024, da ondarossa.info


Lettera dal carcere di Ivrea
Ciao carissimi compagni e compagne di Olga. Come vedete sono Rosario. Spero prima di tutto che state tutti bene. Io tiro
avanti in questo buco. Per forza, sennò come si fa? A dirvi il vero ne ho le scatole piene. Non c'è n'è uno che mi viene
dietro e la situazione è sempre più insopportabile. Ho visto che avete pubblicato su Olga la mia lettera e ve ne sono
grato, però più si va avanti e più la situazione è critica. Si sta parlando di amnistia e indulto ma qui nessuno è
intenzionato a fare battiture, scioperi etc. mentre leggo che in altri istituti qualcosa lo stanno facendo e qualche
amico mi ha scritto da più di un istituto che fanno scioperi della spesa, del vitto e addirittura astensione dai
colloqui con i familiari, ricevono solo pacchi con indumenti. So che anche voi di sicuro continuate con i presidi sotto
i carceri come ho saputo dai compagni di Genova Marassi, Recco, qui sono i compagni del canavese che fanno i presidi.
Purtroppo si ottengono poche cose perchè, ok che si lanciano messaggi di ogni tipo contro restrizioni, sovraffollamento,
disagi in uno stato di degradazione e carenza di ogni tipo e credo che quello che deve arrivare arriva con il vostro
tam-tam ma ci vorrebberro ispezioni dei provveditorati della zona. Qui ad esempio vi posso dire che il garante dei
detenuti l'ho visto due volte, a Natale e a Pasqua, ma parlarci manco a dirlo. Non so quante richieste ho fatto, ma non
sono stato mai ricevuto. Che dirvi cari compagni e compagne, facciamo questa lotta e so che non smetteremo mai, ma fatto
sta che ognuno fa orecchio da mercante di fronte a questa emergenza. Vi dico che siamo stipati come scatolette di carne,
c'è carenza di ogni tipo, gli organi interni cercano solo di tenere sedata la situazione. A volte scoppiano risse, liti
perchè lo spazio in cella è poco. Vengono aggrediti agenti e si parte con i consigli disciplinari e ovviamente
restrizioni per tutti, mentre protremmo stare aperti almeno nel periodo estivo qualche ora, così si stempera un po'
questa staticità. Comunque vi ringrazio per il piego di libri con tutto il resto, almeno sono un po' più impegnato.
[...]
Di uscire non se ne parla per ora, anzi, avevo presentato una domanda di misura alternativa per casi particolari ma il
Magistrato di Vercelli ha trasmesso gli atti alla Sorveglianza di Torino da cui dipendiamo per le camere di consigli
perchè Vercelli ci concede solo la liberazione anticipata e il Provvisorio se ci sono i presupposti. Per me i
presupposti c'erano però la mia istanza è stata presa con il pretesto fuorviante e strumentale, in più mi ha contestato
i 61 capi di imputazione che ho espiato e ora espio un cumulo di condanne comuni, cioè non ostative se non altro, ma
loro, cioè i Magistrati si attaccano a tutto e poi dicono di ampliare le pene alternative. Si sta parlando anche di
amnistia e indulto, ma hanno mani e piedi legati, nel senso che bisticciano su tutto come è successo mentre svolgevano
il G7 in Puglia. Che ne deve uscire da questi strateghi che difendono solo i loro interessi populisti, bha! Lasciamo
stare va'. [...] Qui tocca che ci dobbiamo comprare tutto noi, dall'acqua ad alcuni medicinali. Purtroppo l'ASL di Ivrea
è un mondo a parte. Nel mentre vedo se riesco a coinvolgere qualcuno per poter pubblicare un altro esposto, ma fatto da
più voci. Intanto qualcuno ha letto la mia lettera pubblicata e ha preso un po' di coraggio ma lanciano sguardi
taglienti, nel senso che ci scambiano per dei terroristi. Ma dico io, staimo con la testa nella sabbia come gli struzzi,
che altro ci può succedere? E' difficile credetemi poi tutte le notizie che escono sono contraddittorie. Non che io sia
il paladino o l'amazzone che può salvare sto sistema del cavolo, ma con un po' di coraggio da parte di tutti le cose
prendono piede e qualcosa si ottiene. L'obiettivo è questo, poi quel che viene di buono ne venga, ma tocca lottare
comunque. [...]
Vi abbraccio tutti e risentirci presto. Con bene, Rosario

20 giugno 2024
Rosario Mazzone, Corso Vercelli n. 165 - 10015 Ivrea (Torino)


PRESIDIO SOTTO IL CARCERE A firenze-SOLLICCIANO
VENERDÌ 19 LUGLIO ORE 21
Esprimiamo con la presenza sotto al carcere la nostra solidarietà e la nostra vicinanza a chi è rinchiuso dentro quelle
mura. Diciamo chiaramente che se non fosse stato per la rivolta nessuno oggi starebbe parlando di ciò che accade ogni
giorno dentro a Sollicciano. A maggior ragione esprimiamo solidarietà a tutti coloro che sono stati sottoposti al
trasferimento punitivo.
Allo stesso modo rilanciamo la solidarietà nei confronti dei compagni e delle compagne che nei mesi scorsi sono stati
denunciati per altri presidi sotto al carcere di Sollicciano durante i quali erano state messe in discussione proprio le
questioni che sono esplose con il suicidio di giovedì scorso.
NON LASCIAMO CHE TUTTO CIÒ RICADA NEL SILENZIO
Rivolgiamo l'invito ad ogni altro collettivo, realtà politica o organizzazione a fare proprio questo appello facendolo
girare sui propri canali, aggiungendo la propria adesione e partecipando al presidio.

CPA Fi-Sud, Movimento SAF, Ex Macelli - Quinto Basso, Cantiere Sociale K100, Romanticismo Periferico, La Magni*fica,
Contro il deserto, Favoloska, Federazione toscana del P.CARC, Rifondazione Comunista Firenze, Sinistra Progetto Comune,
Fondo Comunista, Collettivo di Unità Anticapitalista - Fronte di lotta no austerity


L’anno nero delle carceri
Il 2024 è un anno nero per le persone detenute nelle carceri italiane. L’ingiusta sofferenza inflitta a chi oggi si
trova in una cella è moltiplicata dal caldo insopportabile e dal costante aumento del tasso di affollamento delle
carceri, che oggi si attesta su una media del 130,4%.
Oltre all’aumento del numero assoluto di presenze, a preoccupare è l’esplosione del numero di suicidi: a fine luglio già
si conta un numero che, soltanto 7 volte dal 1992, è stato raggiunto nel corso di un anno intero. Delle 60 persone che
hanno scelto di togliersi la vita, 24 l’hanno fatto tra giugno e luglio.
Il malessere della popolazione detenuta negli ultimi mesi si è espresso nella forma di rivolte, o molto spesso di
semplici proteste pacifiche. A partire dalla protesta di fine maggio nel carcere minorile Beccaria di Milano, passando
per Firenze, Torino, Trieste, Gorizia, Prato, Velletri, Terni e altre ancora, i giornali hanno rilanciato in
continuazione notizie su rivolte violente nelle carceri, denunciando una situazione di emergenza di gestione degli
istituti di pena.
Se è vero che, in alcuni casi, queste rivolte hanno creato un problema di gestione dell’ordine, altre volte si è
trattato di semplici proteste ingigantite dai media e raccontate come delle sommosse brutali.
Sembra quasi che le manifestazioni del malessere dei/delle reclusi/e, qualsiasi forma assumano, vengano strumentalizzate
per giustificare la necessità dell’introduzione di due nuovi reati previsti dal ddl sicurezza in via di approvazione
alla camera: il reato di rivolta in carcere e in cpr, e la perseguibilità della resistenza anche passiva a pubblico
ufficiale nell’ambito di una rivolta.
Questo bombardamento mediatico offre una puntuale copertura alle indecenti proposte di introduzione di nuove fattispecie
di reato del ddl sicurezza, unica soluzione che il governo Meloni riesce a elaborare per gestire il conflitto sociale.
Il governo promette più reati, più repressione, più carcere, e per gestire questi luoghi affollati fino a scoppiare,
prevede nuovi dispositivi repressivi che, punendo ulteriormente i detenuti/e “rivoltosi/e”, potenzialmente legittimano
ulteriormente l’uso della forza nelle galere.
Non si forniscono soluzioni che migliorino le condizioni di vita delle persone detenute – al pari di quello che succede
fuori le mura carcerarie - né si cerca in alcun modo di eliminare al radice lo sfruttamento, marginalità, le ingiustizie
sociali, odiose prerogative di funzionamento del sistema economico e sociale capitalista. La situazione non farà altro
che peggiorare visto i venti di guerra che soffiano furiosi e le ricadute sociali ed economiche delle politiche
imperialiste che rendono la vita un inferno per milioni di sfruttati e sfruttate. Non resta che organizzarsi e lottare,
restando sempre al fianco delle persone detenute.

Laboratorio Politico Iskra, Napoli
31 luglio 2024, da osservatoriorepressione.info


***
RIVOLTE E PROTESTE NELLE CARCERI
Riportiamo di seguito alcuni stralci di notizie dai giornali sulle rivolte avvenute in questo periodo nelle carceri
italiane. Occorre tener in debito conto che le voci riportate da tali organi della stampa ufficiale sono quasi sempre
quelle dei sindacati delle guardie.

5 luglio. Ore tumultuose davanti alla Casa circondariale di Firenze-Sollicciano. La notizia della morte di un ventenne
tunisino, che nella mattinata di ieri si era impiccato in cella, ha fatto scattare la protesta. A far ancor più male il
fatto che il giovane avrebbe concluso di scontare la pena nel novembre 2025.
Almeno una quarantina i detenuti che hanno incendiato lenzuola per ore e ore, fino a oltre mezzanotte. Sacchi di
spazzatura sono stati svuotati dalle finestrelle del penitenziario e i detenuti hanno intonato cori per manifestare
disappunto per le proprie condizioni e disagi: “Non siamo animali”, “Non c’è acqua da tre giorni, ci sono le cimici nei
letti. Il mangiare fa schifo”.
Subito è stato adottato un specifico protocollo. Piano di sicurezza esterno al carcere mentre all’interno è stata
attività l’unità di crisi. L’area è stata delimitata da carabinieri, polizia, digos e guardia di finanza. Dentro il
perimetro intanto i vigili del fuoco si sono occupati per ore di spengere i vari roghi appiccati nei vari anfratti della
struttura semicircolare. In serata anche un elicottero delle fiamme gialle a volteggiare su Sollicciano mentre la
polizia penitenziaria cercava di riportare la calma. A rendere il tutto ancor più complesso il fatto che alcuni detenuti
si sarebbero allontanati dalle loro celle.
7 luglio. Fiamme, fumo e qualche ora di tensione. Incendio domenica sera nel Beccaria, il carcere minorile di Milano.
Stando a quanto appreso, il rogo sarebbe divampato verso le 23, dopo che in una cella al secondo piano sono stati dati
alle fiamme alcuni degli effetti personali dei detenuti. I giovani della seconda ala sono stati spostati in un altro
settore, ma non sono dovuti ricorrere a cure. Una stanza è stata resa inagibile. Sul posto è stata inviata in funzione
preventiva una squadra del Reparto mobile della Polizia oltre agli agenti delle volanti. Il rogo di domenica sera è
comunque la prova che la situazione al Beccaria resta delicata, anche e soprattutto dopo l'indagine che ha portato
all'arresto di alcuni agenti accusati di torture e maltrattamenti sui giovani detenuti. A maggio scorso un altro
incendio si era verificato nella struttura di via dei Calchi Taeggi, con alcuni ragazzi che si erano poi scagliati
contro gli agenti danneggiando le celle, gli inserti in vetro delle porte e alcuni arredi. Pochi giorni dopo una seconda
protesta si era verificata sempre al Beccaria, con un poliziotto penitenziario aggredito violentemente durante la
rivolta.
10 luglio. Detenuti in rivolta nel carcere di Mammagialla a Viterbo. I disordini hanno coinvolto una cinquantina di
detenuti. Interessata un'intera sezione del penitenziario, la D1. Il reparto sarebbe distrutto, ma non si registrano
feriti. Tutto sembrerebbe legato alla morte di un detenuto 30enne. Le forze dell'ordine hanno circondando il carcere.
Presidi di polizia penitenziaria, carabinieri e polizia di stato intorno a Mammagialla. Le strade verso il carcere sono
tutte presidiate dalla polizia locale. Nella sezione D1 i detenuti lanciano bombolette a gas incendiarie contro i
poliziotti penitenziari. La sezione è stata isolata dalle altre e i detenuti accerchiati. Incendiati lenzuola e
materassi. La sezione sarebbe invasa dal fumo. Si è in attesa dell'arrivo del gruppo di intervento rapido della polizia
penitenziaria da Roma per tentare di sedare la violenta rivolta.
21 luglio. Evasione dal carcere minorile di Casal del Marmo (Roma). Tre detenuti riescono a scappare nella notte.
28 luglio. Rivolta nel carcere di Prato La Dogana, a seguito del sessantesimo suicidio in carcere dall'inizio dell'anno.
Letti come barricate e neon divelti, riporta la stampa.
28 luglio. Disordini nella Casa Circondariale di Biella, dove alcuni detenuti rifiutano di tornare in cella.
28 luglio. Velletri: i reclusi del Reparto D rifiutano di tornare nelle celle, incendiano materassi e distruggono
telecamere. In serata, irruzione di polizia, carabinieri e GOM. I detenuti a Velletri sono 594, su 412 posti dichiarati.
29 luglio. Protesta nel carcere di Terni, intervento delle forze speciali.
30 luglio. Disordini nel carcere di Cuneo, dove alcuni detenuti hanno occupato una sezione. Hanno distrutto le
telecamere di sorveglianza e frantumato i vetri dei box degli agenti.
30 luglio. Un altro giovane, di 25 anni e in attesa di giudizio, si è impiccato nella cella d’isolamento del carcere di
Rieti dove era stato rinchiuso dopo che, con altri detenuti, si era rifiutato di rientrare in cella per protestare
contro il sovraffollamento.
31 luglio. Mammagialla di Viterbo, detenuti appiccano incendio nel reparto Covid per protesta. L’episodio si è
verificato ieri nella sezione in cui sono ristretti 21 detenuti.
3 agosto. Rivolta nel carcere minorile di Torino, 10 agenti intossicati e 12 detenuti in ospedale. A scatenare la
protesta sarebbero stati una cinquantina di detenuti che hanno appicato un incendio e distrutto alcuni uffici. Il
Ferrante Aporti ha una presenza attuale di 52 persone a fronte di una capienza di 42 posti.
3 agosto. Carcere Lorusso-Cotugno di Torino. Incendiati alcuni materassi e sfondati alcuni cancelli della terza sezione.
Al padigione B, dove è avvenuta la protesta, sono stipati 400 detenuti.

***
I magistrati dovrebbero vedere coi propri occhi e capirebbero che le carceri sono l’opposto di un albergo
È rimbalzata nei social e nelle chat in poche ore. Molti credevano fosse una fake news, un lavoro ben fatto con
Photoshop. Ma poi, ad uno sguardo più attento, tutto era in ordine: timbri, firme, a partire dal logo della Repubblica
Italiana. Stiamo parlando dell’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Firenze con la quale è stata rigettata la
richiesta di liberazione anticipata di un detenuto con la seguente, laconica, motivazione: “considerato che il tentativo
di togliersi la vita mediante impiccagione è incompatibile con il presupposto della liberazione anticipata, che è la
partecipazione all’opera rieducativa”.
Sforziamoci di andare con ordine, perché l’istinto porterebbe in altre direzioni. L’istituto della liberazione
anticipata è lo strumento giuridico di natura premiale previsto dall’art. 54 dell’ordinamento penitenziario che consente
una detrazione di 45 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata da persona detenuta che abbia dato prova di
partecipazione all’opera di rieducazione. È un beneficio a cui possono accedere tutti i detenuti a prescindere dal reato
commesso e dall’entità di pena da eseguire. Nelle condizioni in cui versano oggi le carceri del nostro Paese, la prima
domanda che realisticamente dovrebbe porsi chi deve decidere sulla concessione del beneficio non è se il detenuto abbia
o meno partecipato all’opera di rieducazione, ma se un’opera di rieducazione sia mai esistita per quel detenuto.
Avrebbe dovuto chiederselo il magistrato di sorveglianza di Firenze che ha scritto quell’ordinanza, e che forse non
conosce le condizioni in cui vivono nel carcere di Sollicciano 564 esseri umani, stipati in uno spazio tra i 3 ed i 4 mq
destinato a non più di 400 detenuti, con cimici, muffa, mancanza d’acqua. A tutto questo si aggiunge il recente suicidio
di un ragazzo appena ventenne, anche lui evidentemente recalcitrante all’ “opera rieducativa”, come tutte le altre 55
persone che da inizio anno si sono tolte la vita nelle carceri del nostro Bel Paese. Avrebbe dovuto chiederselo, e
magari andare a vedere di persona le condizioni in cui questa “opera rieducativa” viene svolta, come si vive in carcere,
ma anche come si muore, visto che, tanto per dire, questo sarebbe uno dei doveri imposti dalla Legge proprio alla
magistratura di sorveglianza.
Ogni Magistrato di sorveglianza ha infatti l’obbligo di andare frequentemente in carcere e di ascoltare le voci dei
detenuti, di verificare le loro condizioni di vita, il rispetto della loro dignità e dei loro diritti, ed ha il compito
di vigilare sull’organizzazione degli istituti penitenziari e di prospettare al Ministro di Giustizia le varie esigenze,
in particolare quelle relative alla rieducazione ed alla tutela dei diritti di quanti sono sottoposti a misure privative
della libertà.
Quante volte i magistrati hanno visto le carceri alle cui sbarre quel detenuto ha tradito l’opera di rieducazione così
gentilmente offertagli dallo Stato? Quante volte hanno ascoltato le voci, con tutti i dolori e le sofferenze che possono
portare una persona a vedere nella morte l’unica via d’uscita dignitosa per una vita non più degna di essere vissuta? È
lo stesso magistrato a rispondere a queste domande, nelle motivazioni di un’altra sua ordinanza con la quale ha respinto
il reclamo di alcuni detenuti che denunciavano le gravi carenze igienico- sanitarie del carcere di Firenze. Dopo aver
risposto che la fornitura di acqua calda non è un loro diritto, perché essa “si può pretendere solo in strutture
alberghiere”, ha affermato che comunque le varie lamentele erano smentite dalle diverse prospettazioni
dell’Amministrazione Penitenziaria, a cui va attribuita maggiore credibilità rispetto alla parola dei detenuti.
Eppure l’art. 7 del regolamento di esecuzione penitenziaria (servizi igienici) chiarisce che i vani in cui sono
collocati i servizi igienici devono essere forniti di acqua corrente calda e fredda. E sarebbe sufficiente vedere con i
propri occhi cosa succede nel carcere di Sollicciano e nelle decine di altre carceri italiane, luoghi che Mattia Feltri
ha giustamente definito come “costruzioni criminali di Stato, legalizzate dalla nostra indifferenza”, di fronte alle
quali si apre il “baratro morale della nostra nazione”.

Ettore Grenci Responsabile commissione diritti umani Coa Bologna
17 luglio 2024, da ildubbio.news


Sulla riorganizzazione disciplinare
delle sezioni in media sicurezza
Pubblichiamo questo contributo dal carcere del 5 luglio riservandoci di approfondire la circolare in futuro. Questa
lettera potrebbe essere un'occasione per confrontarci, tra dentro e fuori, sui cambiamenti in corso nelle carceri e
invitiamo i lettori e le lettrici a contribuire scrivendoci.

La circolare del DAP 3693/6143 del 18/7/22 prescrive la sperimentazione e la successiva applicazione, a partire dal
2023, della riorganizzazione, in ottica premiale disciplinare, delle sezioni di media sicurezza, riorganizzazione che
quindi riguarda direttamente le condizioni di vita della stragrande maggioranza dei detenuti. Gli obiettivi dichiarati
sono l'"uniformità dell'esecuzione della pena detentiva" e "superare il dualismo tra custodia aperta e custodia chiusa",
a favore, come si vedrà, di un'estensione di fatto del "regime chiuso".
Si procede inoltre sulla strada di una sempre più accentuata differenziazione tra detenuti (con le conseguenze che
questo comporta in termini di atomizzazione e desolidarizzazione), tra "individualizzazione del trattamento",
differenziazione delle sezioni in base alla durata della pena (superiore o inferiore a 5 anni), ridefinizione dei
circuiti regionali finalizzata all'"accorpamento in strutture uniformi" (es: media sicurezza, alta sicurezza, protetti,
collaboratori), caratterizzando quindi le varie carceri come destinate a specifiche categorie detentive.
A "riorganizzazione" avvenuta, la possibilità di introdurre modifiche è prevista con cadenza annuale. L'"articolazione"
interna a ogni carcere in sezioni "diversamente caratterizzate" mira a "garantire la gradualità del regime", cioè ad una
gestione premiale/disciplinare della popolazione detenuta, con un sistema di vasi comunicanti per cui a seconda della
valutazione sulla propria “idoneità" o "non idoneità" (interiorizzazione ed adesione la regole) si può venir assegnati
al "trattamento intensificato" (regime aperto), alle "sezioni ordinarie" o all'articolo 32 (regimi chiusi).
In ogni carcere del regime di media sicurezza sono dunque previste:
- "Sezioni ordinarie (di preparazione al trattamento intensificato)". Destinate a detenuti appena arrivati dalla libertà
o da altre carceri, che vi sono collocati con obiettivi di "conoscenza"; a detenuti provenienti dall'art. 32, e a
detenuti ritenuti "non in grado di sostenere programmi che prevedano maggior libertà", cioè non idonei per le sezioni
aperte ("trattamento intensificato") o estromessi da queste ultime. In sezione ordinaria deve essere garantita la
permanenza al di fuori della cella almeno 8 ore al giorno. Le celle vengono aperte per saletta, aria, socialità in altre
celle, attività trattamentali, mentre non è prevista la "libertà di movimento e stazionamento" nella sezione: si nomina
il "disagio del personale" in un "corridoio affollato", insomma, il DAP in una sua circolare recepisce dichiaratamente
le lamentele dei secondini per la " troppa apertura" delle sezioni. È significativo che si definisca "ordinario" il
trattamento proprio delle vecchie "sezioni chiuse": la circolare esplicitamente abroga la "sezione chiusa" che ora
diviene "ordinaria", un cambiamento sostanziale, tutt'altro che nominale: se in molte carceri, ad oggi, continua a
prevalere il "regime aperto" (trattamento intensificato), il testo prevede che l'"assetto" di ogni carcere possa variare
in base al numero di detenuti "assegnati alle diverse tipologie di sezioni", per cui è assolutamente possibile un
carcere composto in maggioranza di "sezioni ordinarie" con una parte minoritaria di detenuti "meritevoli" assegnati al
"trattamento intensificato": si apre la strada all'estensione, se non alla generalizzazione, del regime "a celle
chiuse", una tendenza evidente dalla stessa denominazione, che ne sancisce l'"ordinarietá", andando incontro a una delle
richieste storiche dei sindacati dei secondini (vero e proprio "referente sociale" del partito della premier ed in
generale dell'attuale governo).
- "Sezioni ordinarie a trattamento intensificato". Vi si viene ammessi, teoricamente, dietro formale adesione del
detenuto al "programma di trattamento individualizzato": una specificazione che serve, più che altro, a specificare il
carattere premiale della destinazione "a regime aperto". Le sezione "a trattamento intensificato" prevedono la libertà
di movimento nella sezione per almeno 10 ore al giorno. L'"involuzione del percorso trattamentale" prevede il ritorno
alla sezione ordinaria o all'art. 32: alla premialità si contrappone esplicitamente il meccanismo punitivo.
Infine, in ogni regione sono previste "Sezioni ex. art. 32" a cui i detenuti vengono assegnati per massimo 6 mesi.
L'art. 32 r.e. fa riferimento a detenuti da cui i compagni possono "subire aggressioni o sopraffazioni" o per i quali si
possano "temere aggressioni o sopraffazioni". Al di là di questo si citano, come motivi per venire assegnati all'art.
32: "tendenze aggressive" nei confronti dei secondini, tendenza alla fuga, "comportamenti pregiudizievoli dell'ordine e
la sicurezza", e i reati commessi. Vi vengono anche assegnati i detenuti trasferiti da altre carceri per "motivi di
sicurezza", e detenuti trasferiti da altre sezioni dopo aver scontato periodi di isolamento disciplinare. Il regime
prevede "maggiore sorveglianza", "particolare presidio di sicurezza", e concede soltato la possibilità di andare
all'aria. Vale la pena di sottolineare che nè nella descrizione dell'art. 32 nè in quella delle sezioni ordinarie si
parla esplicitamente di "celle chiuse" (d'altra parte il "regime chiuso" viene nominalmente abrogato nonostante esso
"non trovasse alcuna formalizzazione nell'ordinamento penitenziario").
Da questa sintesi emergono alcune considerazioni utili a chiarire l'orientamento, le finalità di questa
riorganizzazione, il meccanismo di passaggio da sezione ordinaria a sezione da trattamento intensificato è palesemente
destinato a non funzionare per i suoi scopi dichiarati, e ageneralizzare l'uso del regime chiuso.
Il fatto di essere chiusi in cella è causa di contrasti continui con le guardie, vista la costante necessità di uscire
non solo per avere qualche possibilità di movimento (apertamente negata!) ma anche per svolgere qualsiasi mansione
quotidiana: buttare l'immondizia, telefonare, usare la lavatrice o il frigo, imbucare lettere o domandine, recarsi a
scuola o al lavoro interni etc... Di fatto l'assegnazione a queste sezioni in quanto "non idonei” alle sezioni aperte
assomiglia pericolosamente a una profezia che si autoavvera, alla creazione deliberata di specifiche condizioni
produttive di determinati esiti: i contrasti con le guardie che regolarmente non aprono le celle per le esigenze più
banali, sono il pretesto per distribuire a pioggia provvedimenti disciplinari, che andranno a confermare la "non
idoneità" del detenuta ad una "maggiore apertura". Non solo: il sistema di vasi comunicanti che prevede lo spostamento
del detenuto da una sezione all'altra non tiene in conto di un fattore non esattamente irrilevante, cioè il detenuto
stesso, ancora una volta depersonalizzato, trattato come un oggetto da spostare da una parte all'altra secondo le
valutazioni dell'istituzione che lo rinchiude: è esperienza comune di chi sia passato dal carcere che ogni detenuto,
qualora non incontri insormontabili problemi di convivenza, col tempo "si faccia la sua cella", si costruisca, con
fatica e pazienza, un minimo di quotidianità "vivibile" (si fa per dire) nella forzata condivisione di spazi
ristrettissimi, e delle relazioni quantomeno decenti in sezione (che ovviamente i carcerieri hanno tutto l'interesse a
spezzare, creando detenuti privi di rapporti tra loro, reciprocamente isolati, alienati, tesi unicamente a tutela delle
proprie condizioni individuali). Nessuno è disponibile a buttare alle ortiche un "lavoro" costato tanti sforzi per
ricominciare da zero in una nuova cella, in una nuova sezione, con nuovi compagni di detenzione: non soltanto chi si
trova in sezione "aperta" ("trattamento intensificato") non accetterà di buon grado lo spostamento in "sezione
ordinaria" (dando luogo a quei rapporti disciplinari che contribuiranno a farlo descrivere come non-idoneo alla seziona
parta), ma nemmeno chi si trova in sezione ordinaria sarà così disponibile a farsi spostare in "trattamento
intensificato", cioè a sacrificare un minimo di stabilità faticosamente costruita, anche perchè è inutile dirsi che
questi spostamenti non segueno le richieste dei detenuti ma l'esigenza del carcere di liberare posti in una o nell'altra
sezione. Anche per "convincere" i detenuti ad accettare il trasferimento da sezione ordinaria a trattamento
intensificato le guardie puntualmente minacciano rapporti disciplinari, secondo il già citato schema della profezia che
si autoavvera: se non accetti il trasferimento subisci una sanzione per cui verrai destinato alle sezioni chiuse,
genericamente ritenute "per quelli che hanno rapporti". Tutte queste esperienze provenienti da concrete ed attuali
esperienze carcerarie, vanno in un'unica direzione: quella dell'aumento dell'uso delle sezioni chiuse, definite appunto
"ordinarie", per chi non intenda trascorrere la propria deternzione a venir spostato da una parte all'altra secondo le
valutazioni disciplinari e le concessioni premiali dei carcerieri, si apre la questione di come conquistare maggiori
spazi all'interno delle sezioni chiuse (ordinarie e art. 32).
L'estensione-normalizzazione dell'uso delle sezioni chiuse, passata piuttosto sotto silenzio, va inserita nel quadro
complessivo di una fase di guerra dispiegata sul fronte esterno, a cui corrisponde una ulteriore stretta repressiva sul
fronte interno (vedi il nuovo pacchetto sicurezza, con pene pesantissime per le rivolte in carcerei e CPR, i decreti
Cutro e Caivano). Con il carcere che si avvia a configurarsi sempre più come "carcere di guerra" (la circolare del DAP è
di poco successiva al divampare del conflitto NATO-federazione Russa in Ucraina. Non solo: questa "riorganizzazione
disciplinare" delle sezioni arriva dopo alcuni anni di conflitti intensissimi riguardo alla realtà carceraria:
dall'ondata di rivolte del marzo 2020, repressa con una vera e propria strage di stato (14 morti), alla mobilitazione
contro il 41-bis e l'ergastolo ostativo, in solidarietà con lo sciopero della fame di Alfredo Cospito. Tutti elementi
che, per l'ennesima volta, confermano il carcere come terreno concreto di scontro di classe: all'interno di questo vanno
collocati e contrastati gli interventi dello stato sulle condizioni detentive.

***
assemblea CONTRO IL DDL ULTRA-REPRESSIVO N. 1660
Care/i compagne/i, il Ddl 1660 Nordio-Piantedosi-Crosetto, attualmente in discussione alla Camera, rappresenta il
suggello dell'offensiva reazionaria e repressiva portata avanti dal governo Meloni. Questo Ddl configura chiaramente il
tentativo di attuare un "regolamento dei conti finale" con TUTTE le realtà e le esperienze di lotta a livello nazionale.
Nelle misure previste dal Ddl ce n'è davvero per tutti: dalle "pene esemplari" (fino a 20 anni nell'ultima "revisione"
proposta dalla Lega) per chi protesta contro le "grandi opere" (non solo la TAV, anche il ponte sullo stretto di Messina
per cui si stanno per riaprire i cantieri), a quelle per i blocchi stradali e i picchetti (un vecchio pallino di Salvini
& Co.); pene tese a stroncare sul nascere gli scioperi e le mobilitazioni come nel caso dei disoccupati, per non parlare
della stretta contro le occupazioni di case e le proteste ecologiste, dell'abolizione dell'abuso di ufficio per i
funzionari pubblici, della copertura delle spese legali per le forze dell'ordine che commettono "abusi in divisa", della
dotazione a questi ultimi di armi anche quando non sono in servizio, e l'elenco potrebbe proseguire... [ad esempio le
norme che prevedono l’innalzamento delle pene per chi è accusato di aver promosso, da dentro e da fuori, una rivolta in
carcere o anche soltanto l’aver posto in essere una forma di resistenza passiva, ndr]
Questo attacco giunge a coronamento di un’opera di carneficina sociale che è iniziata con l'abolizione del reddito di
cittadinanza ed è proseguita con l'approvazione della famigerata "autonomia differenziata": il tutto nel solco
dell'economia di guerra e della corsa agli armamenti (che Meloni proprio in queste ore promette di portare in tempi
brevi alla fatidica soglia del 2% del Pil), e in continuità con le migliaia di processi penali, provvedimenti
amministrativi e misure cautelari nei confronti di attivisti, sindacalisti, lavoratori, immigrati, disoccupati, studenti
e movimenti solidali con la causa palestinese e contro il genocidio in corso a Gaza, frutto dei precedenti "pacchetti
sicurezza" di Minniti e Salvini.
Alcuni magistrati sembrano già respirare l’aria di questo forte inasprimento della repressione statale, come si è visto
con la richiesta dei pm di Napoli, per ora bocciata, di imporre a 18 compagne/i attivi nel movimento di sostegno alla
causa palestinese il divieto di dimorare nella propria città e nella propria regione, in pratica l’esilio (sia pure in
Italia); o come si vede da tempo nelle lotte della logistica, dove gli apparati statali – oltre a colpire i militanti
solidali più attivi – costruiscono capi di imputazione provocatori per cercare di stroncare gli scioperi (vedi la
recente condanna a 2 anni e mezzo dei coordinatori del SI Cobas di Brescia e Milano).
Chiediamo a tutti di fare mente locale su quali nuove armi padroni, polizia e magistratura avrebbero avuto in mano – ove
fosse già in vigore il nuovo DDL - per impedire o sanzionare il blocco dei porti di Genova e Salerno, l’occupazione
della stazione di Bologna, i picchetti operai, ed ogni altra iniziativa di lotta proletaria e popolare realmente
efficace. È dunque evidente come l'intero movimento di classe, in tutte le sue articolazioni, è chiamato già nelle
prossime settimane a uno sforzo STRAORDINARIO per contrastare questo disegno super-repressivo attraverso una
mobilitazione unitaria coordinata a livello nazionale, politica, sindacale, sociale, il più ampia possibile, il più
possibile esente da calcoli di bottega, e strettamente legata alla denuncia dell’intero operato del governo Meloni
all’interno e nella politica internazionale.
Per questo, data l'urgenza dei tempi, vi invitiamo a partecipare a un primo confronto online su zoom per DOMENICA 21
LUGLIO alle ore 10,00, a cui hanno già assicurato la loro presenza i Giovani palestinesi d’Italia e diversi organismi di
lotta sociale e sindacale.

Movimento di lotta disoccupati 7 novembre, Laboratorio politico Iskra, Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria


Non diamoli per scontati: nomi dei suicidi in carcere
Una regola salda dell’informazione è che il continuo ripetersi e raccontare di un fenomeno può portare all’assuefazione
tanto che perfino un’ecatombe può diventare un rumore di sottofondo assumendo il volto appena accigliato di una
scontata contabilità.
‘Giustiziami’ crede però che sia un rischio da correre rispetto a quello che sta accadendo nelle carceri soprattutto
perché di questi suicidi non sapremmo nulla se i sindacati della polizia penitenziaria, gli avvocati e i media non ci
rendessero noto che quasi ogni giorno una persona si uccide al buio, quasi sempre impiccandosi. Non è una soluzione ma
sarebbe una prima presa di responsabilità se fosse proprio lo Stato a comunicare in via ufficiale la morte di uomini e
donne che sono nella sua custodia.
9 luglio 2024: Fabrizio Mazzaggio, 57 anni, si impicca nel bagno della sua cella a Varese. Aveva problemi di
tossicodipendenza.
7 luglio 2024: Vincenzo Urbisaglia, accusato dell’omicidio della moglie, si uccide a 81 anni nel carcere di Potenza. Ai
legali era stata negata pochi giorni prima la scarcerazione chiesta per il suo stato psicofisico.
4 luglio 2024: Fedi Ben Sassi: 20 anni, arrivato in Italia bambino dalla Tunisia dentro un camion di olio. Era entrato
nel carcere fiorentino di Sollicciano per la rapina di un cellulare. Dopo la notizia che si è, i compagni danno vita a
una rivolta.
4 luglio 2024: muore in ospedale un detenuto di 35 anni che si era impiccato a Livorno. Era entrato da venti giorni.
4 luglio 2024: Yousef Hamga, 20 anni, egiziano, si impicca nella casa circondariale di Pavia. Muore in ospedale.
1 luglio 2024: Giuseppe Spolzino, un ragazzo di 21 anni si impicca nel carcere di Paola. Nel maggio del 2027, a 24 anni,
avrebbe potuto ricominciare
27 giugno 2024: Luca D’Auria, un ragazzo di 21 anni, già sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, si uccide
inalando gas nel carcere di Frosinone
26 giugno 2024: un detenuto italiano di 28 anni che lavorava nella cucina ed era impegnato in diverse attività
rieducative si impicca nel carcere ‘Malaspina’ di Caltanissetta
21 giugno 2024: Alì, un ragazzo algerino di 20 anni, si impicca nel carcere di Novara. “con un cappio rudimentale”,
riferisce il sindacato della penitenziaria. Era detenuto per reati di droga
11 giugno 2024: Domenico Amato, 56 anni, viene trovato impiccato alla mattina presto nel carcere di Ferrara. Con la sua
morte lo Stato perde due volte perché era un collaboratore di giustizia e perché era nella custodia dello Stato
4 giugno 2024: Mohamed Ishaq Jan, pakistano, 31 anni. Da una decina di mesi aspettava di essere processato per lesioni e
rapina
2 giugno 2014: George Corceovei, 31 anni, approfitta che due detenuti escano dalla cella che condividevano con lui per
impiccarsi
2 giugno 2024:Mustafà, 23 anni, si impicca nel carcere di Cagliari ma il suo corpo non cede subito. Muore due giorni
dopo in ospedale
23 maggio 2024: Maria Assunta Pulito, 64 anni, si soffoca con due sacchetti di plastica annodati intorno alla testa e
alla gola. Accusata di violenza sessuale assieme al marito, aveva sempre respinto le accuse
16 maggio 2024: Santo Perez, 25 anni, si toglie la vita impiccandosi nella sezione media sicurezza del carcere di Parma
4 maggio 2024: Giuseppe Pilade, 33 anni, aveva disturbi psichiatrici e sarebbe dovuto stare in una Rems ma, come per la
maggior parte di chi ci dovrebbe stare, non c’era posto per lui. Carcere di Siracusa
22 aprile 2024: Yu Yang, 36 anni, si è impiccicato attaccandosi alla terza branda del letto a castello a Regina Coeli
17 aprile 2024: Nazim Mordjane, 32 anni, palestinese, muore inalando gas da un fornello da campeggio nel carcere di Como
Nel settembre dell’anno scorso era evaso ferendo un agente di polizia
10 aprile 2024: Ahmed Fathy Ehaddad, 42 anni, egiziano, muore in ospedale. Attendeva l’inizio del processo per un caso
di violenza sessuale
7 aprile 2024: Karim Abderrahin, 37 anni, si impicca in cella
1 aprile 2024: Massimiliano Pinna, 32 anni, si impicca al secondo giorno di carcere a Cagliari dove era stato portato
per un furto
27 marzo 2024: cittadino italiano, 52 anni, di cui non state rese note le generalità, si impicca al cancello della cella
con il laccio dei pantaloni
24 marzo 2024: Alvaro Fabrizio Nunez Sanchez, 31 anni, attendeva anche lui l’ingresso in una Rems da alcuni mesi per
gravi sofferenze psichiatriche. Invece si è ucciso nel carcere di Torino
21 marzo 2024: Alicia Siposova, 56 anni, slovacca, si suicida mentre era in corso una visita del cardinale Matteo Zuppi
nel carcere di Bologna.
14 marzo 2024: Amin Taib, 28 anni, tossicodipendente, si uccide nella cella di isolamento a Parma
13 marzo 2024:Patrck Guarnieri, muore il giorno in cui compie 20 anni per asfissia nel carcere di Teramo. Il pm indaga
perché l’autopsia lascia dei dubbi che si sia trattato davvero di suicidio
13 marzo 2024: Andrea Pojioca, senza fissa dimora, 31 anni, ucraino. In carcere a Poggioreale per tentata rapina
12 marzo 2024: Jordan Tinti, trapper, 27 anni, in carcere a Pavia per rapina aggravata dall’odio razziale. Aveva tentato
il suicidio pochi mesi prima
26 febbraio 2024: cittadino marocchino, 45 anni, si impicca a Prato
14 febbraio 2024: Matteo Lacorte, 49 anni, impiccato nel carcere di Lecce nel reparto di massima sicurezza. La Procura
indaga per istigazione al suicidio
13 febbraio 2024: Rocco Tammone, 64 anni, era in semlibertà. Rientrato dal lavoro, si uccide nel cortile del carcere
11 febbraio: cittadino albanese, 46 anni, imprenditore. Si uccide a Terni
10 febbraio 2024: Singh Parwinder, 36 anni, bracciante agricolo, si uccide nel bagno del carcere di Latina
8 febbraio 2024: Hawaray Amiso, 28 anni, doveva scontare solo tre mesi a Genova. Invece avrebbe “manomesso la serratura
del cancello della cellla per ritardare l’intervento degli agenti di custodia” prima di impiccarsi
3 febbraio 2024: Alexander Sasha, ucraino di 38 anni, aveva già tentato di tagliarsi la gola prima di impiccarsi
3 febbraio 2024: detenuto disabile di 58 anni, si impicca nel carcere di Carinola (Caserta). Il suo nome non è noto.
28 gennaio 2024: Michele Scarlata, 66 anni, si uccide nel carcere di Imperia pochi giorni dopo esserci entrato con
l’accusa di avere tentato di uccidere la compagna
25 gennaio 2024: Ivano Lucera, 35 anni, si impicca nel carcere di Foggia
25 gennaio 2024: Ahmed Adel Elsayed, 34 anni, è stato trovato dagli agenti impiccato nel bagno della sua cella a
Rossano Calabro. Gli mancava poco per il fine pena
24 gennaio 2024: Jeton Bislimi, 34 anni, si uccide nel carcere di Castrogno a Teramo: musicista macedone, 34enne, aveva
provato a uccidere sua moglie. Aveva già tentato il suicidio
23 gennaio 2024: Antonio Giuffrida, 57 anni, in carcere a Montorio per truffa
22 gennaio 2024: Luciano Gilardi, gli mancava un mese alla libertà ma è morto prima da detenuto a Poggioreale
15 gennaio 2024: Mahomoud Ghoulam, 38 anni, marocchino senza fissa dimora, era entrato da poco a Poggioreale
15 gennaio 2024: Andrea Napolitano, 33 anni. A Poggioreale per l’omicidio della moglie, soffriva di disturbi
psichiatrici
12 gennaio 2024: Fabrizio Pullano, 59 anni, si impicca nel padiglione di alta sicurezza del carcere di Agrigento
10 gennaio 2024: Alam Jahangir, 40 anni, originario del Bangladesh, si impicca con un pezzo di lenzuolo a Cuneo pochi
giorni dopo il suo ingresso
8 gennaio 2024: Stefano Voltolina, 26 anni, detenuto a Padova, soffriva di depressione. Una volontaria ha affidato il
suo ricordo a ‘Ristretti orizzonti’: “Era sveglio, buono, curioso. Abbiamo fallito”
6 gennaio 2024: Matteo Concetti, 23 anni. Stava male da tempo, soffriva di disturbo bipolare. Era rientrato nel carcere
di Ancona perché, svolgendo la pena alternativa in una pizzeria, aveva sforato sull’orario di rientro a casa. Il 5
gennaio aveva detto allla maddre: “Se mi riportano in isolamento, mi ammazzo”.
E se credete ora/che tutto sia come prima/Perché avete votato ancora/la sicurezza, la disciplina/Convinti di
allontanare/ la paura di cambiare/Verremo ancora alle vostre porte/E grideremo sempre più forte/Per quanto vi crediate
assolti/Siete per sempre coinvolti/Per quanto vi crediate assolti/Siete per sempre coinvolti/
p.s. tra le fonti di questo articolo ci sono comunicati della polizia penitenziaria, Ristretti Orizzonti, agenzie di
stampa, testate nazionali e locali.

1 luglio 2024, da giustiziami.it


LETTERe DAL CARCERE DI milano-OPERA
Cari compagni, cosa vogliamo dire riguardo le carceri italiane: sono 30 anni che sento dire sempre le stesse cose: il
sovraffollamento, mancanza di personale, suicidi, abusi di potere, carenza sanitaria. Ma di cosa stiamo parlando se nel
2024 ci sono ancora le carceri con le turche in Italia? Mi è ancora più difficile credere che qui a Opera, quando
qualcuno lo insinua, che qui non si stia male. Beh significa che non è stato al primo reparto di Opera dove puoi
chiamare l'avvocato una volta ogni tre giorni e solo dalle 16:00 alle 19:00, alla famiglia un giorno la mattina, un
giorno al pomeriggio, la doccia dalle 8:30, che poi aprono sempre 20 minuti dopo. Capito ci sono le eccezioni, ma ti
raccomando è vietato ammalarsi. Sì perché se hai mal di testa o altro bisogna attendere il giorno successivo e vai a
dormire con il dolore e la rabbia, ma qui regna la rassegnazione per chi ce la fa. Ma altri fanno rumore battendo
oggetti contro il blindato, ma la cosa che più mi fa male è vedere tante persone che fanno autolesionismo, tipo: chi si
taglia il braccio, polsi, gambe per attirare l'attenzione in quanto non vengono considerati e purtroppo grazie a questo
sistema ci sono cascato anch'io a 55 anni e non auguro a nessuno quello che sto vivendo io. Notti in bianco in compagnia
dei soliti dolori che vanno e vengono come stare sopra ad un’altalena, ma purtroppo questo non è un parco giochi, è una
cella 4 metri per 3 per due esseri umani.
Mi è venuta in mente una frase di un politico che qualche anno fa fu arrestato per tangente lui ed il costruttore di un
carcere italiano e quando era in cella si lamentava perché non c'era la cucina e l'acqua calda: ma brutto pezzo di m****
quando hai firmato il progetto non l'avevi letto? E comunque anche se nella vita abbiamo fatto qualche errore, sappiate
che siamo sempre degli esseri umani. Cosa che in più occasioni ci viene negato è un decente trattamento sanitario,
mentre riceviamo un’evidente disumanità come negare le evidenze ed ignorare l'evidente degrado sanitario carcerario.

Opera, 19 giugno 2024
Girardi Antonio, via Camporgnago, 40 - 20090 Milano-Opera

***
[...] Mi è arrivato anche l'opuscolo, l'ho già letto tutto. Adesso lo sto facendo girare un po' ad altri detenuti che
sono interessati a leggere le storie di altri carcerati. Addirittura c’è un articolo su un opuscolo che è stato scritto
da un'altro carcere ed è il fratellastro di un ragazzo che è qui a Opera. Poi ho letto la storia di … che è qui in
sezione con me. E da quando gli ho fatto leggere l'opuscolo ha incominciato a scrivere le cose che succedono in questo
carcere schifoso. Anche io ho un problema con la medicazione della gamba. Perché mi sono tagliato ed è un bel po' di
mesi che mi stanno curando, ma non bene perché ho la ferita infettata e non sta passando. È più di un anno che combatto
per andare in ospedale e non mi portano. La dottoressa continua a non chiamarmi per farmi andare in ospedale. Adesso
vediamo cosa fare e vediamo come andrà a finire.

Opera, 16 giugno 2024
Londero Fabio, via Camporgnago, 40 - 20090 Milano-Opera


LETTERA DAL CARCERE DI SULMONA (aq)
Carissimi compagni, vi spedisco queste poche righe per farvi avere mie notizie e informarvi che ho ricevuto l’opuscolo
nr 158, insieme a libro e il giornale. Vi voglio ringraziare per tutto quello che fate e per la solidarietà che
manifestate verso i carcerati, cosa molto importante perché non ci fa sentire isolati e soli soprattutto in questo
momento di sofferenze e di tante difficoltà, e questo non solo per noi carcerati, ma anche per la gente fuori che deve
fare tanti sacrifici per vivere e andare avanti, e ancora di più oggi con le guerre in Ucraina e in Palestina, cosa
terribile. Perchè a pagare è la povera gente innocente, le guerre e tutti quelli che le creano e producono armi sono la
rovina dell’umanità. Tutte le persone che credono nella fratellanza e nell’amore per la vita, devono essere contro tutte
le guerre e per un mondo di uomini liberi e di pace.
Cari saluti a tutti con affetto, Antonino.

Sulmona, 8 giugno 2024
Antonino Faro, Piazzale vittime del dovere, 1 - 67039 Suloma (L’Aquila)


appello: VOGLIAMO ROMPERE UN TABÙ
Pubblichiamo un appello proposto da alcune realtà nazionali per rompere il silenzio sulla prigionia da oltre 40 anni di
16 compagni/e delle Brigate Rosse. Sul blog che ospita l’appello vi sono le adesioni raccolte fino ad oggi. Lo scopo è
una diffusione più ampia possibile affinchè siano chiare le ragioni di questa lunga prigionia e dell’accanimento dello
stato nei confronti di quei prigionieri che riguardano non solo un attacco alla memoria di quel grande ciclo di lotta
degli anni ‘70-’80 ma anche alla stessa possibilità di lotta oggi e nel futuro.
Vogliamo rompere un tabù, rompere il silenzio sul fatto che lo Stato italiano tiene in carcere da quarant'anni 16
militanti delle Brigate Rosse e ne ha sottoposti altri tre, da oltre 20 anni, al regime dell'articolo 41 bis
dell'ordinamento penitenziario. Il regime speciale dell'art.41 bis è finalizzato all'annientamento psico-fisico del
detenuto, che viene tenuto in isolamento quasi totale: ventidue ore al giorno in isolamento, due ore d’aria al giorno,
una breve visita mensile per i familiari dietro una parete di vetro, nessun libro o giornale dall'esterno del carcere...
Questo regime carcerario è uno dei più intollerabili in Europa. Ha due obiettivi: tagliare ogni comunicazione con il
mondo esterno e costringere i detenuti a diventare "pentiti", collaboratori di giustizia. Alcuni opinionisti sostengono
che questi prigionieri preferiscono rimanere in carcere, rifiutando ostinatamente di beneficiare di misure alternative
alla detenzione o della liberazione condizionale. Ma queste affermazioni non menzionano il fatto che, queste misure
alternative, sono soggette ad una logica di scambio: si concedono solo in cambio della messa in discussione del proprio
passato politico, di un'autocritica formale, che verrà amplificata dai media; si richiede loro quindi di rinnegare, in
modo puro e semplice, la propria storia politica e il proprio passato rivoluzionario.
Non si tratta di una questione astratta: a questi militanti si chiede di rinunciare a un’identità che per loro è la
scelta di una vita, il che spiega la loro incredibile resistenza a quarant'anni di privazione della libertà; si chiede
loro di rinunciare a convinzioni che corrispondono a correnti di pensiero profondamente radicate nella storia
universale, in più di un secolo di lotta di classe, una lotta che è stata internazionale. Che si condividano o meno
queste idee, è questa lotta-identità che è in gioco e nient'altro.
Ma mentre lo Stato si vanta per la sua fermezza nel perseguire l'annientamento dei prigionieri, alcuni pretendono di
ridurre la loro lotta a una semplice questione di principio che i prigionieri difenderebbero con eccessiva ostinazione.
Come se alla base della loro resistenza non ci fosse una profonda coerenza, il rifiuto di mercanteggiare e mercificare
il loro pensiero politico. Ma per capire meglio perché è importante rompere questo tabù, dobbiamo anche chiederci quali
sono le ragioni fondamentali per cui lo Stato italiano ancora oggi, mantiene una feroce linea di condotta nei loro
confronti, perché persiste in questa linea d'azione implacabile.
Stiamo vivendo una fase storica caratterizzata dalla crescita sfrenata delle disuguaglianze, da un susseguirsi di crisi
e da una forte intensificazione del confronto tra gli Stati che dominano il mondo. Un confronto che sta diventando
sempre più pericoloso e globalizzato. In questo contesto, la crisi del sistema politico si sta intensificando, come in
altre fasi storiche, come negli anni tra le due guerre o durante le guerre coloniali. Queste tensioni rendono la
democrazia rappresentativa sempre più "inadatta" alla gestione delle crisi, tanto che le classi dirigenti sembrano ogni
giorno più inclini a cercare soluzioni autoritarie e a liquidare le conquiste sociali.
Di questa tendenza ne sono prova,per esempio, la violenta repressione da parte dello Stato francese contro i Gilets
jaunes o durante le manifestazioni contro la riforma delle pensioni, rifiutata dalla stragrande maggioranza della
popolazione; ma anche la repressione in Germania e in Francia del movimento ambientalista, le leggi antisciopero nel
Regno Unito, nonché le misure senza precedenti contro i migranti. In Italia si è assistito a una massiccia
criminalizzazione dei movimenti sociali: attacchi ai sindacati, agli studenti, a coloro che lottano per il diritto alla
casa, al movimento dei disoccupati, alle ONG che cercano di difendere la vita degli immigrati e agli stessi immigrati,
privati della protezione preventiva di pregresse tutele e attaccati violentemente nei loro lavori precari.
Allo stesso tempo, il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero viene costantemente limitato: diventa
compromettente difendere i palestinesi e chi denuncia il massacro in atto nei confronti del popolo gazawi è messo
all’indice. Qualsiasi discussione sulla guerra in Ucraina che non adotti immediatamente e senza discussioni il punto di
vista della NATO viene vista come sostegno alla Russia e tradimento. In generale, stiamo assistendo alla graduale
criminalizzazione di tutta l'opposizione, non solo di quella radicale. Infine, dopo innumerevoli processi e
incarcerazioni di manifestanti, attivisti antiglobalizzazione e anarchici, la repressione in Italia ha raggiunto il suo
culmine quando, su ordine del Ministro della Giustizia, Alfredo Cospito è stato sottoposto al regime del 41 bis. È stato
il primo anarchico a essere sottoposto a questo spietato regime di detenzione.
Così, la repressione sempre più severa dei movimenti sociali, delle manifestazioni, dei militanti e degli attivisti, a
prescindere dalle loro convinzioni e azioni, sta gradualmente creando un clima che ricorda la "strategia della tensione"
che ha caratterizzato gli anni ‘60 e ‘70. Allora, questa strategia mirava a soffocare un forte movimento di protesta che
stava attraversando l'intera società. Oggi, questa strategia della tensione vorrebbe impedire che il crescente
malcontento e il disorientamento ideologico trovino un'espressione politica, si trasformino in una vera contestazione.
In questo contesto si inserisce la "guerra" che da tempo viene condotta contro la memoria delle lotte degli anni
Settanta. In quegli anni, le classi subalterne erano portatrici ed espressione di un importante processo di
trasformazione sociale, di un vero e proprio "assalto al cielo". Ecco perché questo periodo è sistematicamente oggetto
di analisi riduttive o mistificatorie da parte del potere. Negando l'esistenza della lotta di classe, si ostinano a
fingere che il mondo possa essere ridotto a un'opposizione tra i sostenitori delle democrazie liberali e gli altri.
È solo nel contesto di questa "guerra" alla memoria che possiamo comprendere la politica silenziosa di annientamento dei
prigionieri. Lo Stato vede questi prigionieri come una sorta di trofeo e, facendo della loro prigionia un esempio e uno
spauracchio, mira a scoraggiare qualsiasi lotta, nella speranza di soffocare lo sviluppo delle contraddizioni attuali,
che potrebbero portare a un ribaltamento della situazione, a un nuovo "assalto al cielo".
Rompere il tabù, rompere il silenzio su questi prigionieri, sulle condizioni della loro detenzione, sulla loro durata
infinita, non può essere ridotto a una reazione umanitaria. È un passo necessario per liberarci dalle nostre paure, per
sciogliere il cappio delle costrizioni, dell’ingabbiamento in cui vorrebbero richiudere le lotte e i movimenti.
Questo inaccettabile regime carcerario, il rinnegamento che si richiede ai prigionieri per poter sfuggire a questo
regime è un ulteriore modo per soffocare tutte le lotte.
Quindi, rompere questo tabù è interesse innanzitutto di coloro che subiscono le conseguenze delle disastrose condizioni
economiche e politiche della società nel suo complesso,che possono essere trasformate solo da un cambiamento radicale
delle strutture sociali e politiche esistenti. Rompere questo silenzio è anche un modo per riappropriarci di una libertà
e di un pensiero critico, in modo da poter trovare liberamente delle possibilità di soluzione e per interrompere la
spirale mortale in cui i potenti ci stanno trascinando con le loro politiche sempre più repressive, classiste e
guerrafondaie.

giugno 2024, da rompiamountabu.org


Giochi Olimpici. La parola alla «delegazione inattesa»
Traduzione della rivendicazione integrale (uscita sul blog «Reporterre») dei sabotaggi all’Alta Velocità in occasione
dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici a Parigi. La parola alla «delegazione inattesa».

La chiamano festa? Noi ci vediamo una celebrazione del nazionalismo, una gigantesca messa in scena dell’assoggettamento
delle popolazioni da parte degli Stati. Dietro un’atmosfera ludica e conviviale, i Giochi Olimpici offrono un campo di
sperimentazione per la gestione poliziesca delle folle e il controllo generalizzato dei nostri movimenti. Come ogni
grande evento sportivo, sono ogni volta anche l’occasione per venerare i valori che fondano il mondo del potere e del
denaro, della competizione generalizzata, del rendimento a tutti i costi, del sacrificio per l’interesse e la gloria
nazionale.
L’ingiunzione di identificarsi con una comunità immaginaria e di sostenere il proprio presunto campo di appartenenza non
è meno nefasta dell’inecentivo permanente a vedere la propria salvezza nella buona salute della propria economia
nazionale e nel potere del proprio esercito nazionale.
Oggi c’è bisogno di dosi sempre maggiori di malafede e di negazione per non riuscire a vedere tutto l’orrore che la
società dei consumi e la ricerca del cosiddetto “benessere occidentale” generano. La Francia vorrebbe fare di questa
grande messa la vetrina delle sue eccellenze. Essa potrà cullare d’illusioni sul suo ruolo virtuoso solo coloro che
hanno deciso di mettersi i paraocchi, e che vi si adattano. Madiamo loro il nostro più profondo disprezzo.L’influenza
della Francia passa attraverso la produzione di armi, il cui volume di vendite la colloca come il secondo esportatore al
mondo. Lo Stato è orgoglioso del suo complesso militare industriale e del suo arsenale “made in France”. Diffondere i
mezzi del terrore, della morte e della devastazione in tutto il mondo per garantire la prosperità? Cocoricooo!
Senza offesa per gli ingenui che ancora credono alle favole democratiche, lo Stato francese usa la sua panoplia
repressiva anche per affrontare la propria popolazione. Per sedare le rivolte dopo l’omicidio di Nahel da parte della
polizia nel giugno 2023 o di recente per cercare di fermare la rivolta anticoloniale a Kanaky. Finché esisterà, lo Stato
non smetterà mai di usarla per combattere coloro che sfidano la sua autorità.
Le attività delle imprese francesi nel mondo rendono sempre più manifeste le devastazioni sociali e ambientali che il
sistema capitalista produce. Quelle necessarie a riprodurre l’attuale organizzazione sociale, e quelle inerenti al
progresso scientifico e tecnologico. Progresso che percepisce la catena di catastrofi passate, presenti e future solo
come un’opportunità per un balzo in avanti.
Total continua a saccheggiare e a spoliare nuove terre in cerca di petrolio e di gas di scisto (Africa orientale,
Argentina, ecc.). Sotto la copertura della sua nuova etichetta verde, l’industria nucleare e l’esportazione del know-how
francese in questo settore ci garantiscono, a più o meno breve termine, un pianeta irradiato, quindi letteralmente
inabitabile. Nient’altro che un’altra crisi da gestire per i promotori dell’atomo. Loro che non possono fare a meno
della cooperazione con lo Stato russo attraverso il colosso Rosatom e del sostegno del suo esercito per reprimere la
rivolta nel 2022 in Kazakistan, importante paese fornitori di uranio. Questo materiale che alimenta i 58 reattori
francesi.
E allora qual è il costo umano, sociale e ambientale che garantisce a qualche privilegiato di spostarsi velocemente e
lontano in TGV? Infinitamente troppo. La ferrovia non è d’altronde un’infrastruttura banale. È sempre stato un mezzo per
la colonizzazione di nuovi territori, un passo preliminare per la loro devastazione e un percorso ben tracciato per
l’estensione del capitalismo e del controllo statale. Il cantiere della linea denominata “Tren Maya” in Messico, al
quale collaborano Alstom e NGE, ne è un buon esempio.
E le batterie elettriche indispensabili alla pretesa “transizione energetica”? Parlatene, ad esempio, con i lavoratori
della miniera di Bou-azeer e con gli abitanti delle oasi di questa regione marocchina che stanno subendo le consguenze
della corsa all’ora del XXI secolo. Renault vi estrae i minerali necessari a fornire una coscienza pulita agli
ecologisti delle metropli a scapito delle vite sacrifcate. Parlatene con i “popoli delle foreste” dell’isola di
Halmahera, nel nord-est dell’Indonesia, con gli Hongana Manyawa che disperano di veder distrutta la foresta in cui
vivono sull’altare della “transizione ecologica”. Lo Stato francese, attraverso la società Ermet, partecipa alla
devastazione delle terre finora risparmiate. Allo stesso modo, non molla la Nuova Caledonia per continuare a strapparle
il prezioso nichel.
Ci feremeremo qui nell’impossibile inventario delle attività mortali e predatorie proprie di ogni Stato e di ogni
economia capitalista. Del resto, ciò non aiuterebbe a rompere con una vita insipida e deprimente, con una vita di
sfruttamento, e a fronteggiare la violenza di Stati e leader religiosi, capifamiglia e pattuglie di polizia, patrioti e
milizie padronali, così come quella di azionisti, imprenditori, ingegneri, progettisti e architetti della devastazione
in corso. Per gran fortuna, l’arroganza del potere continua a scontrarsi con la rabbia degli oppressi/e ribelli. Di
sommosse in insurrezione, durante le manifestazioni offensive, attrverso le lotte quotidiane e le resistenze
sotterranee.
Che dunque oggi risuonino, attraverso il sabotaggio delle linee TGV che collegano Parigi ai quattro angoli della
Francia, il grido “donna, vita, libertà” dall’Iran, le lotte degli amazzonici, i “fotti la francia” che provengono
dall’Oceania, il desiderio di libertà che giunge dal Levante e dal Sudan, le battaglie che continuano dietro i muri
delle prigioni e l’insubordinazione dei disertori del mondo intero.
A coloro che rimproverano a questi atti di rovinare il soggiorno dei turisti e di perturbare le partenze per le vacanze,
rispondiamo che è ancora così poco. Così poco se paragonato a quell’evento al quale desideriamo partecipare e che
auspichiamo con tutto il cuore: il crollo di un mondo basato sullo sfruttamento e sul dominio. Allora sì che avremo
qualcosa da festeggiare.
Una delegazione inattesa.

30 luglio 2024, da ilrovescio.info