indice n.157
Comunicato del Comitato dei Prigionieri Palestinesi
23 FEBBRAIO: SCIOPERO GENERALE PER LA PALESTINA
Lettera dal carcere di Ivrea
lotta di liberazione palestinese e prigioni amerikkkane
Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
Aggiornamenti dai campi d'internamento per immigrati
Aggiornamenti sui fatti di Budapest
“Stella Maris”: MOBILITARSI E NON DIMENTICARE
Lettera dal carcere di Massama (Or)
Lettere dal carcere di Secondigliano (NA)
lettera dal carcere di Sanremo (Im)
solidarietà agli imputati e alle imputate del processo Brennero
Alla luce del sole, lettera dai domiciliari
Un passaggio necessario
Intervista a Domenico Porcelli da poco uscito dal 41 bis
Comunicato dei lavoratori GKN
LA PIENA È PASSATA?
Comunicato del Comitato dei Prigionieri Palestinesi
Il Comitato dei Prigionieri Palestinesi ha dichiarato che, alla luce del crimine accertato a Beit Lahia, nel nord della
Striscia di Gaza, ossia il ritrovamento dei corpi di 30 martiri all'interno di una delle scuole assediate
dall'occupazione, e considerando che è stato osservato dai presenti sul luogo che i martiri erano ammanettati e bendati,
cioè erano in stato di arresto, se ne deduce chiaramente che l’occupazione ha eseguito un'esecuzione sul campo contro di
loro. Il Comitato dei Prigionieri ha aggiunto che i dati riguardanti l'esecuzione di detenuti di Gaza stanno aumentando
alla luce del genocidio in corso a Gaza, insieme alla continuazione del crimine di sparizione forzata contro i detenuti
di Gaza dall'inizio dell'aggressione, oltre all'aumentare delle testimonianze dei detenuti rilasciati nell'ultimo
periodo riguardo a torture, abusi e umiliazioni, comprese le testimonianze da parte di donne e bambini. Il Comitato dei
Prigionieri riafferma che l'insistenza dell'occupazione nel mantenere i detenuti di Gaza sotto sparizione forzata porta
a un'interpretazione, cioè che vi sia la decisione di isolarli, con l'obiettivo di commettere ulteriori crimini contro
di loro in segreto, laddove l'occupazione si rifiuta di consentire l'assistenza da parte delle istituzioni per i diritti
umani, comprese quelle internazionali e palestinesi specializzate, oltre a mantenere segreti tutti i dati riguardanti il
loro destino e i luoghi di detenzione, compresi il numero e l'identità dei martiri tra i detenuti di Gaza.
Il Comitato dei Prigionieri ha sottolineato che la politica dell'isolamento costituisce una delle più pericolose a vari
livelli, e che si è intensificata a un ritmo senza precedenti. Ha assunto un altro significato dopo il 7 ottobre,
soprattutto dopo che l'amministrazione penitenziaria ha privato i prigionieri degli strumenti più semplici e dei mezzi
di comunicazione con il mondo esterno, con l'obiettivo di liquidarli fisicamente e psicologicamente. Dall'inizio della
più grande aggressione ai prigionieri dopo il 7 ottobre, molti di loro, tra cui i leader del movimento dei prigionieri,
sono stati trasferiti in isolamento dopo essere stati sottoposti a brutali percosse, torture e maltrattamenti, e sono
stati praticamente messi in doppio isolamento, un isolamento non paragonabile a quello esistente prima del 7 ottobre.
L’occupazione continua inoltre a trattenere corpi di prigionieri uccisi.
Qaddura Fares, capo dell’Autorità per gli Affari dei Prigionieri palestinesi, ha dichiarato che l’attuale stagione
invernale è diventata la più dura per i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane in tutta la storia del movimento
dei prigionieri palestinesi. Il freddo ha avuto ripercussioni sul corpo dei prigionieri, portando alla diffusione di
malattie stagionali. Questa situazione ha coinciso con la confisca di elettrodomestici, dispositivi di riscaldamento,
vestiti e coperte da parte dei carcerieri israeliani. La quantità e la qualità del cibo sono state ridotte al minimo,
con conseguente deterioramento della loro salute. Con il crollo delle temperature, le condizioni climatiche si sono
trasformate in uno strumento duro e punitivo. I prigionieri si ritrovano isolati nelle loro celle, indossando un solo
abito e con materassi e coperte molto leggeri che offrono poca efficacia contro il freddo gelido. Le stanze e le celle
hanno aperture che permettono al freddo e all’acqua piovana di penetrare facilmente. Esprimendo la sua frustrazione,
Fares ha criticato il silenzio delle istituzioni internazionali per i diritti umani, accusandole di chiudere un occhio
sui crimini dell’occupazione israeliana contro i detenuti senza intraprendere alcuna azione per salvare o anche solo
valutare le loro condizioni.
Ci sono 8 prigionieri che sono stati martirizzati di cui conosciamo il nome, ma ci sono dozzine di altri da Gaza che
sono stati martirizzati e nessuno sa nulla di loro. Abbiamo ricevuto diversi prigionieri che sono stati rilasciati e
hanno dovuto essere trasferiti immediatamente in ospedale. La nostra dichiarazione oggi non è rivolta alla comunità
internazionale, che ci ha deluso decine di volte. È rivolto a noi come popolo palestinese – è tempo per noi di
sollevarci contro questa oppressione.
Testimoni delle Nazioni Unite riferiscono: "Siamo particolarmente angosciati dai resoconti sulle donne e sulle ragazze
palestinesi detenute soggette a molteplici forme di aggressione sessuale, come essere spogliate nude e perquisite da
uomini, soldati dell’esercito israeliano. Almeno due donne palestinesi detenute sono state ripetutamente stuprate”.
Al 22 febbraio 2024 sono 9 mila i prigionieri politici palestinesi, 6.220 gli arrestati dopo il 7 ottobre, 10 sono stati
uccisi in carcere. In cella al momento si contano 70 donne, 200 bambini, 3.484 detenuti amministrativi (senza accuse né
processo), 50 giornalisti, oltre cento studenti universitari.
febbraio 2024, da Resistence News Network
23 FEBBRAIO: SCIOPERO GENERALE PER LA PALESTINA
Come realtà palestinesi in Italia lanciamo un appello a tutti i singoli lavoratori e lavoratrici, a tutti i sindacati a
scioperare venerdì 23 febbraio per fermare il genocidio. Non basta più la semplice solidarietà: il governo italiano si è
schierato apertamente con Israele, contro le centinaia di migliaia di persone scese in piazza in questi mesi. Solo le
azioni concrete possono costringere la Meloni e i suoi ministri a ritirarsi da una guerra in cui sono parte attiva con
la propaganda, con la vendita di armi, con gli accordi commerciali e accademici. Blocchiamo l’Italia contro la posizione
del Governo, della NATO, degli Stati Europei e occidentali che supportano il genocidio che Israele sta compiendo dal 7
ottobre e l’occupazione coloniale che dura da oltre 75 anni in Palestina. Il prezzo della guerra in Medioriente, come
della guerra in Ucraina e delle “altre missioni di pace” in giro per il mondo, lo pagheranno i lavoratori e i
disoccupati, come sempre gli ultimi. La guerra è una catastrofe che ci ritroveremo nell’aumento della bolletta, nel
carrello della spesa, nei rincari degli affitti e dei trasporti. Chiediamo alle lavoratrici e lavoratori arabi,
musulmani e stranieri di non voltarsi dall’altra parte: dovete essere in prima fila per le nostre sorelle e i nostri
fratelli uccisi e imprigionati in Palestina, per chi si sta sacrificando nella lotta contro il colonialismo, per la
libertà e la giustizia. Chi meglio di noi conosce questa lotta e la sente sulla propria pelle ogni giorno? Il razzismo è
lo strumento che in Occidente ci sfrutta e nei nostri Paesi ci tortura. Dall’Italia non ci dobbiamo mobilitare solo in
soccorso del nostro popolo massacrato, che resiste e resisterà comunque: facciamolo per noi, mobilitiamoci perché i
Governi che ci ammazzano sono gli stessi che vi succhiano il sangue e vi rendono la vita impossibile e miserabile; sono
gli stessi che tolgono i diritti e riducono alla fame chi lavora, che chiudono ospedali e scuole, visto che ancora non
li possono bombardare come i loro amici israeliani. Anche i disoccupati devono scendere con noi in piazza perché lo
Stato italiano, che spende milioni per le armi e per finanziare guerre a fondo perduto, è lo stesso che ha tolto il
reddito di cittadinanza e gli altri dispositivi di sostegno sociale, perché la disoccupazione è il frutto di una crisi
che ha nella guerra una delle sue cause principali. Dal 7 ottobre i palestinesi, e il fronte della resistenza che dal
Libano passa per l’Iraq e arriva allo Yemen, stanno dando una lezione al mondo: gli ultimi possono riscrivere la storia,
possono rialzare la testa e i potenti possono sanguinare. Perciò invitiamo ogni sindacato e ogni lavoratore e
lavoratrice con coscienza a bloccare le fabbriche, i porti, i magazzini e tutto quello che si può, finché non si fermerà
il genocidio di un popolo che reclama la giustizia e la libertà.
23 FEBBRAIO SCIOPERO GENERALE PER LA PALESTINA
24 FEBBRAIO MANIFESTAZIONE NAZIONALE A MILANO
CONTRO LA GUERRA COLONIALE E IMPERIALISTA
BLOCCHIAMO TUTTO
BLOCCHIAMO LA MACCHINA BELLICA
CON LA PALESTINA FINO ALLA VITTORIA!
Giovani Palestinesi d’Italia – GPI Unione Democratica Arabo Palestinese – UDAP Movimento Studenti Palestinesi
***
INVITO AI LAVORATORI DELLA CGIL
Confederazione Generale Israeliana del Lavoro.
Verso lo sciopero per la Palestina e Manifestazione nazionale del 23-24 febbraio.
Sappiamo bene che tanti lavoratori e pensionati iscritti alla Confederazione Generale Italiana del Lavoro siano
profondamente, sinceramente legati al Popolo Palestinese e provino orrore, dolore e rabbia per il genocidio che stiamo
subendo a Gaza e in Cisgiordania. Altrettanto bene siamo consapevoli che moltissimi iscritti alla Cgil guardano con
insofferenza, rabbia e vergogna alle politiche della dirigenza del proprio sindacato da decenni e in modo ancor più
esacerbato dal tempo della segreteria di Maurizio Landini. Il vostro sindacato ha svenduto la vostra e nostra classe, le
vostre lotte e le vostre vite a sfruttatori di ogni risma. Si è chinato supinamente a qualsiasi decisione padronale
tanto da rendere possibili e concrete oggi espressioni come “cancellazione assoluta dei diritti sociali e sul lavoro” e
“cancellazione della classe lavoratrice e operaia”. Vi hanno spacciato la distruzione di un patrimonio storico di lotte,
la svendita ai predatori capitalisti delle vostre esistenze come sacrifici fatti per il “bene del Paese” (il bene di chi
ha tutto e il male di chi ha poco o niente) e per “il futuro” in realtà inesistente – per voi, chiaro; il futuro, per
chi vi comanda, nel sindacato e sul lavoro, è di sicuro ricco di profitti. Vi hanno sottoposto all’umiliazione
dell’abbraccio con i banchieri come Draghi e addirittura all’inchino servile di fronte alla Meloni e ai neofascisti al
vostro congresso. Avete assistito tre mesi fa alla pronta condanna di Landini dell’attacco del 7 ottobre, alla
solidarietà immediata all’occupazione e all’apartheid sionisti. Avete ascoltato il vostro segretario auspicare «il
mantenimento dell’autonomia del popolo palestinese». Sì, avete letto bene: ha detto «mantenimento dell’autonomia». 75
anni di occupazione israeliana, apartheid, annientamento di qualsiasi diritto e genocidio quotidiano per Landini sono
l’autonomia “da mantenere” del nostro popolo. Avete visto partecipare la Cgil all’ignobile manifestazione lo scorso 6
dicembre in sostegno di Israele (mentre a Gaza erano già stati massacrati decine di migliaia di civili palestinesi) a
Roma, accanto ai neofascisti della Meloni, ai partiti personali, lobbistici e confindustriali di Renzi e Calenda e ad
associazioni sioniste. In quella manifestazione il nostro popolo è stato con varie perifrasi e senza perifrasi definito
come un pericolo terroristico”. La dirigenza del sindacato a cui appartenete ha scelto la guerra e il genocidio compiuto
dai sionisti e dalle nazioni occidentali. Ha scelto chi rifornisce di armi i sionisti. Non la pace, come dichiarano
farisaicamente. Siccome siamo certi che non è questa la linea e la visione della Palestina di molti di voi e nemmeno la
linea e la visione della sinistra del vostro sindacato, vi richiamiamo all’importanza di questo momento storico.
Continuerete ad accettare l’inaccettabile, a sentirvi addosso non solo il sangue dei vostri compagni assassinati ogni
giorno dal lavoro (accolto con ipocrite e false parole retoriche dai vostri capi), ma anche il sangue dei palestinesi
sterminati ogni giorno dall’occidente? O sceglierete di stare dalla parte di chi si rivolta e riscrive la Storia? Ci è
capitato di dialogare con alcuni di voi che in buona fede sperano di cambiare la rotta del proprio sindacato e oggi vi
ripetiamo: il 23 e il 24 febbraio sono un’occasione irripetibile. Non potete più nascondervi dietro il fatto di essere
minoranza, dietro il centralismo democratico, dietro la condizioni di impotenza che lamentate giustamente rispetto allo
strapotere lobbistico dei vertici della Cgil. La Storia e un genocidio commesso impunemente e incoraggiato non accettano
simili scuse. La responsabilità sarà anche vostra. Senza appello. È il momento delle scelte cruciali. Da che parte
volete stare? Volete essere complici della morte di oltre trentamila palestinesi, della guerra dei padroni, della guerra
che a breve lo stato e il governo italiano porteranno direttamente contro lo Yemen, oltre che in Palestina? Volete
servire i colletti bianchi corrotti che vi conducono la mattina a guardarvi allo specchio sentendovi e sapendo di essere
schiavi imbelli? O volete scioperare e marciare accanto ai vostri veri fratelli di lotta contro chi sfrutta ogni ora
della vostra e nostra vita?Rovesciate insieme a noi questo tempo imbrattato di sangue degli ultimi. Rovesciate,
scioperando, i comuni nemici di classe. Rovesciate con questo passo decisivo di disobbedienza i vertici del vostro
sindacato. Ovvero i vostri nemici più pericolosi. Nel tribunale della Storia non ci sarà né appello né assoluzione per
chi non ha il coraggio di agire concretamente e fermare un genocidio.
23 FEBBRAIO SCIOPERO GENERALE PER LA PALESTINA
24 FEBBRAIO MANIFESTAZIONE NAZIONALE A MILANO
Giovani Palestinesi in Italia
***
Genova, sciopero generale in solidarietà con la Palestina e contro la guerra. Giornata di blocco del porto e della
città! Dalle 6 della mattina in circa 300 tra compagni e compagne ci siamo trovate per bloccare porto e città. Sotto la
pioggia abbiamo preso le strade ai margini del quartiere di Sampierdarena e diretti ai varchi portuali Albertazzi e San
Benigno, dove il 10 novembre 2023 bloccammo l'entrata allo snodo marittimo genovese. Dopo una sosta abbiamo ripreso il
cammino, bloccando interamente Lungomare Canepa, il varco portuale Etiopia e, a catena, il traffico stradale e
autostradale da Voltri a Genova centro. Ieri abbiamo messo un tassello per un futuro, quanto mai urgente, blocco totale
della produzione e della logistica contro la guerra interna ed esterna. Per fermare il genocidio del popolo palestinese
e per la costruzione di una vita degna senza guerra, sfruttamento e padroni. La lotta non si ferma qua, che si blocchi
tutta la macchina bellica. (da zena.info)
Milano, comunicato sul 23 e 24 febbraio
Il 23 e 24 febbraio sono state giornate storiche per il movimento di liberazione palestinese in Italia e in generale per
il movimento politico italiano. Lo sciopero generale del 23 febbraio ha reso più chiaro ed esplicito l’indirizzo
politico e di azione che, come palestinesi, abbiamo indicato negli ultimi mesi: la nuda solidarietà non è sufficiente di
fronte al genocidio del nostro popolo. La lotta contro il sionismo, che è un movimento coloniale di sterminio totale, va
portata avanti con atti concreti e conflittuali. Le parole d'ordine che hanno guidato e continueranno a guidare le
nostre azioni sono: Lotta senza tregua alla guerra.
Bloccare le armi, come è stato fatto efficacemente al porto di Genova con il blocco dei carichi dell’azienda israeliana
ZIM; come è stato fatto a Napoli con il blocco davanti ai cancelli della Leonardo. Bloccare la produzione: bloccare i
magazzini, la logistica, le fabbriche, come si è fatto soprattutto nel nord Italia, per fare pressione sul Governo,
alleato di Israele e parte attiva nel genocidio del popolo palestinese e nella repressione della sua resistenza.
Boicottare: sanzionare e disturbare gli esercizi commerciali che supportano Israele, come è stato fatto con Carrefour,
McDonald’s e altri ancora. Liberare le Università: è necessario mobilitarsi affinché le fabbriche della cultura che
continuano a riprodurre l'ideologia coloniale rescindano gli accordi con le Università Israeliane e le aziende che
partecipano all'occupazione. Bisogna assediare i Rettorati e occupare le aule, come si è fatto efficacemente in varie
città. Bloccare la Scuole: grazie allo sciopero degli insegnanti e alla propria determinazione gli studenti medi sono
potuti scendere in piazza con i lavoratori per chiedere giustizia per la Palestina.
Nonostante uno sciopero e una manifestazione dai numeri e dalle parole d'ordine storiche, i media di sistema sionisti in
questi giorni hanno evitato di parlarne, concentrandosi invece su casi di repressione della lotta. Le proteste che sono
state represse a Catania, Firenze e in particolare Pisa sono diventati casi di interesse nazionale. Il dibattito è stato
spostato tutto sulla brutalità poliziesca, oscurando però i motivi della protesta. I manifestanti sono stati dipinti
come “ragazzi
ingenui”, non come giovani scesi in piazza con la precisa rivendicazione della liberazione della Palestina e facenti
parte di un movimento nazionale e internazionale. La repressione non è un fatto contingente, non è un evento localizzato
a Pisa. I manganelli avevano già colpito a Firenze alle porte dell’università, a Vicenza davanti alla Fiera dell’Oro, a
Milano il 27 gennaio, davanti alle sedi Rai a Napoli, Roma, Torino e Bologna nelle ultime settimane. La repressione
cresce con il radicalizzarsi ed espandersi della lotta per la Palestina, anche con le prescrizioni e le denunce, con il
contenimento silenzioso e lontano dai riflettori. Questo non è un errore contingente, non è solo prova dell'abuso di
potere della polizia, non è solo sintomo delle scelte violente di un governo di estrema destra: in realtà è il sistema
che ci colpirà sempre e inevitabilmente ogni volta che cercheremo di minare seriamente il Sionismo, gli interessi della
borghesia italiana sua alleata, e le guerre coloniali italiane, ogni volta che vorremo varcare la linea rossa della
democrazia liberale per reclamare un futuro diverso. Le manifestazioni oceaniche che dal 7 ottobre a oggi si susseguono,
in Italia e non solo, dimostrano come la liberazione della Palestina sia un sentire e un obiettivo presente nel cuore e
nelle menti di tutti. La manifestazione del 24/02 a Milano mette nero su bianco che il popolo italiano è per una
Palestina libera dal sionismo e pertanto rappresenta un momento in cui questo sentimento si è espresso ai suoi massimi
livelli, in cui la contraddizione tra il sentire comune e la posizione dello stato e dei suoi organismi ha raggiunto i
suoi apici. Tuttavia, le manifestazioni come questa non sono un punto di arrivo, ma semmai sono un punto di partenza.
Ciò che porterà a un reale e concreto stravolgimento dei rapporti di forza è la lotta costante sui propri posti di
lavoro e dove si asserragliano gli interessi imperialistici del sionismo. Bisogna lasciare la manifestazione con ancora
più rabbia e voglia di fermare il genocidio in corso di quanta se n'è portata in piazza. Ora e sempre: con la Resistenza
palestinese fino alla vittoria, contro le guerre coloniali e imperialiste! (GPI - Giovani Palestinesi d´Italia, UDAP -
Unione Democratica Arabo Palestina)
Manganellate a Pisa e a Firenze. In occasione della giornata di sciopero generale per la Palestina del 23 febbraio,
indetto in tutta Italia e per tutte le categorie di lavoro dai sindacati di base raccogliendo l’appello dei Giovani
Palestinesi d’Italia, a Pisa la manifestazione di studenti, studentesse, lavoratori e lavoratrici astenuti dal lavoro è
stata caricata dalle forze dell'ordine. Le forze di polizia hanno caricato violentemente la manifestazione per due volte
anche quando stavano retrocedendo e qualcuno era a terra o con le mani alzate. I giovani delle scuole superiori sono
stati manganellati per impedirgli di raggiungere piazza dei Cavalieri, dove si affaccia la sede centrale dell’ateneo di
Pisa. Cinque giovanissimi sono stati fermati, due quelli bloccati e ammanettati a terra. Diversi i feriti [tra cui un
giovane ricoverato in pediatria, tanto per capire il livello di brutalità contro dei ragazzini, NdA]. Gli studenti e le
studentesse non si sono fatti e fatte intimidire, riuscendo a portare in serata 5.000 persone in piazza.
Cariche della polizia anche a Firenze contro la manifestazione che, partita da Piazza SS Annunziata, ha tentato di
raggiungere il consolato americano. Il corteo, formato da sindacati di base, studenti e comunità palestinese ha poi
fatto ritorno in piazza Ognissanti per gli interventi finali. (da osservatoriorepressione.info)
Migliaia di persone in piazza: cortei a Catania e Palermo per la Palestina. A Palermo il corteo ha raggiunto la sede
della Leonardo Spa, azienda di produzione di armi complice del genocida Israele. La sede è stata sanzionata e sono stati
esposti fantocci insanguinati. A Catania una piazza determinata ha attraversato il centro storico raggiungendo piazza
università. Sanzionate anche qui alcune aziende complici come Rinascente e Levi's. (da osservatoriorepressione.info)
Roma: pubblica post pro-Palestina, portato in questura e sospeso dal lavoro. In un clima di caccia alle streghe un
giovane assistente all’educazione algerino di una scuola di Roma ha subito una perquisizione urgente ai sensi del 41
TULPS, cioè senza mandato, ed è stato sospeso dal lavoro su indicazione della polizia, per aver pubblicato un post su
Instagram di solidarietà alla Palestina. E infine è stato licenziato, l’istituto gli ha infatti comunicato la “radicale
insussistenza delle condizioni oggettive” per il proseguimento del rapporto di lavoro, in ragione del
“multiculturalismo”, della “convivenza pacifica”, del “dialogo” e del “rispetto delle diverse posizioni” (sic!). Il
giovane si trovava in Italia da dieci anni come rifugiato politico e da sei era impiegato con contratto a tempo
indeterminato. I poliziotti della Sezione Antiterrorismo gli avrebbero chiesto conto di due contenuti pubblicati sui
social network Whatsapp e Instagram – un’immagine dei bambini palestinesi massacrati a Gaza accompagnata la scritta
“fino a oggi 10.000 bambini morti e una foto del leader di Hamas – nonché un’immagine, rinvenuta nella sua galleria
fotografica, ritraente Ursula Von der Leyen. E nonostante la perquisizione abbia dato esito negativo, non essendo stato
rinvenuto alcunché nella sua camera, il giovane è stato portato in questura, Il 26 gennaio, al giovane sarebbe stato
“notificato l’avvio del procedimento di revoca dello status di rifugiato”. (kulturjam.it)
Eni senza ritegno, sempre in prima linea nello sfruttamento
Il Ministero dell’Energia israeliano ha concesso i diritti di esplorazione a tre società – Eni, Dana Energy con sede
nel Regno Unito e il Ratio Petroleum israeliano – tre settimane dopo l’inizio della guerra a Gaza in ottobre. Una
convenzione con cui Eni e le altre società internazionali e israeliane hanno ottenuto la licenza per sfruttare il
giacimento di gas offshore di fronte Gaza all’interno della zona marittima G al 62% palestinese. Ma non essendo quello
palestinese uno Stato riconosciuto da Israele, non ha, secondo Tel Aviv, diritto legale sulle zone marittime. Quindi
Israele fa come sempre quello che gli pare proseguendo con la sua logica coloniale e di rapina. Come nel caso del
giacimento di petrolio più ingente, quello di Meged (Megiddo), scoperto negli anni ’80 e sfruttato attualmente dallo
Stato ebraico senza il coinvolgimento dei palestinesi. Il giacimento è a ridosso del confine tra Israele e Cisgiordania e
l’Autorità palestinese sostiene che circa l’80% si trovi nel sottosuolo dei suoi territori. Per quanto riguarda il gas,
Israele sfrutta i giacimenti offshore Leviathan e Tamar, il cui gas in parte è estratto nell’ambito di un programma con
Cipro e la Grecia: dal 2020 Tel Aviv è così diventata un esportatore di gas. Di lasciare ai palestinesi la loro quota
legittima di gas non se ne parla neppure. Nel 1999 l’Anp concesse una licenza alla British Gas che l’anno successivo
scoprì un grosso giacimento al largo delle coste di Gaza, noto come Gaza Marine. Se sfruttato adeguatamente, il
giacimento, stimato 30 miliardi di metri cubi di gas, potrebbe coprire l’intero fabbisogno palestinese e consentirebbe
anche esportazioni. Ma i palestinesi non possono estrarre il gas di Gaza Marine: nel 2007, in seguito all’ascesa al
potere di Hamas, Israele ha dichiarato un blocco navale intorno alla Striscia, impedendo così anche l’accesso al
giacimento.
E adesso l’annuncio con cui l’Eni e le altre società sfrutteranno il gas di Gaza. La notizia si è avuta solo
recentemente dopo che alcuni gruppi palestinesi per i diritti umani (Adalah, Al Mezan, Al-Haq e Pchr) hanno dato mandato
allo studio legale Foley Hoag di Boston di comunicare all’Eni e alle altre società coinvolte una diffida
dall’intraprendere attività in queste acque. Evocando il rischio di complicità in crimini di guerra. Il Piano Mattei,
spacciato come una bandiera contro il «capitalismo predatorio» e il neo-colonialismo, non sembra proprio procedere in
tale direzione, sempre che qualcuno ci avesse creduto seriamente. (Milano, marzo 2024)
Il titolo Leonardo continua a salire
Da inizio anno è cresciuto del 26%. Da febbraio 2022 - quando la Russia si preparava ad invadere l’Ucraina – è balzato
del 243%. Dai minimi relativi dell’ottobre del 2020 ha quintuplicato il suo valore passando da 3,92 euro agli attuali
19. Sono questi i numeri della crescita esponenziale dell'azienda di morte Leonardo Spa, una delle tante aziende che fa
profitti sul sangue di migliaia e migliaia di persone. Moltiplicare le mobilitazioni contro queste aziende, boicottare
le società complici del genocidio in corso a Gaza. Fermiamo la macchina bellica, blocchiamo il genocidio! (da
antudo.info)
Lettera dal carcere di Ivrea
Ciao carissimi compagni e compagne di OLGA. Sono Rosario, sabato mi hanno trasferito da Marassi ad Ivrea, dalla padella
alla brace, o peggio nel girone più peggiore: il limbo. Celle come celle delle api, almeno quelle delle api servono ad
inglobare miele. Qui è merda. Cemento al posto dei pavimenti, già il cemento perimetrale e quello delle sezioni hanno il
loro squallore, docce fuori cella e sporche.
Non mi lavo da 3 giorni, ho l'acqua fredda in cella perciò mi metto vicino al calorifero e mi metto quel poco che avevo
portato da Genova.
Aspettavo il vostro pacco e ho pensato: me lo manderanno sotto natale, così mi fanno un dono e gli auguri, che mi sono
graditi, ma qui a cosa servono? se siamo, "sono", una scimmia in gabbia.
Comunque io vi auguro un sereno natale a voi tutti di OLGA e ai vostri cari affetti, per me questo conta perché non mi
qualifico mai per quello che faccio, ma per ciò che sono, un anarchico che lotta a 54 anni e non mi sento stanco, ma
perso nel tempo, che qui ti disorienta per certe situazioni ed eventi. Si lotta comunque, tenendo fede ad una missione
innata, fuori, dentro o in qualsiasi posto la missione continua. Riassumendo la mia odissea in 3 parole: "si va avanti"
cari compagni e care compagne di OLGA... odio ogni forma di sistema di questo stato di merda. Basta guardare questo
governo, che chiamiamo estremista, quasi un gemellaggio con noi, no no per carità, io non mi sento gemellato, anzi mi
sgemello sperando che succeda un golpe, ma qui in Italia che golpe ci aspettiamo?!
Si cagano sotto questi 2 o 3 potenti, che si mettono pure nella graduatoria dei ricchi del globo, un globo che sta
andando in malora, povera la nostra progenie!! spero che almeno seguano le nostre orme e anche con tecnologie più
avanzate, ma con lo stesso ideale di lotta contro ogni stereotipo.
Facciamo ciò che possiamo nel nostro piccolo, battaglia dopo battaglia, lotta dopo lotta, perdita o vittoria, sempre
gloria sarà.
Perché avendo lo stesso ideale, abbiamo già vinto, il resto conta poco.
Voi so che lottate e anche se ritarda qualcosa, prima o poi arriverà.
Pubblicate questo mio messaggio in poche ma concise parole.
Qui se ne fottono, se chiedi una cosa ti dicono "domani" o chiedi al mio collega e ad ogni cambio turno si ripresenta la
stessa situazione, e mi sento preso per il culo, non dico gli ausiliari che pensano solo a sparare al poligono con la
loro beretta, che spreco di polvere, ottone e acciaio.
Qui hanno due armi, la penna, vergando righe bianche e incomprensibili, peggio dei carabinieri delle barzellette.
La seconda è il telefono e la usano solo se si sentono sminuiti con i loro superiori per procedere a restrizioni o
peggio, e ci smerdano pure con bugie.
Sì sono velenoso anch'io con la penna, quasi letale.
Meglio una stalla che che questo postaccio che è Ivrea.
L'ultimo merdaio, l'ultimo mondezzaio.
Ci torturano psicologicamente e fisicamente e commettono atti di estorsione peggio dei politici. Gli uomini passano, le
idee restano, qui non resta nulla, solo vessazioni e per tenerci calmi ci terrorizzano con pillole colorate che
annichiliscono e hanno fatto il giuramento d'Ippocrate, ma quale cazzo di giuramento.
Qui si spera ogni secondo, ogni minuto, ogni giorno e via via si lotta, chi non lotta è già morto o con le spalle al
muro.
Io non lo voglio un secondo Vietnam o una quarta guerra mondiale, ce ne sono già state due, ora quella chimica, la
prossima sarà con le pietre perché non rimarrà nulla.
Voglio un altra vita e se rinasco faccio sfacelli. Sarò io il potente del mondo, per ora lotto come posso. Ma qui è uno
zoo o Cottolengo dove credono di vedere mostri da baracconi, no qui ci sono delle persone, fiori che sbocciano.
Sono in una cella di 3 metri con un'altra persona, la cella fa schifo perché non ho lo sgabellino e lo usiamo a turno,
ha un braccio che va in cancrena, lo bombano di morfina perché ha l'artrosi, soffre e anche se non ho soldi ho la
missione di fargli da piantone. Ogni fine mese danno un elemosina di 8 euro.
Non vedo l'ora di leggere l'opuscolo.
Rosario Mazzone, Corso Vercelli 165 - 10015 Ivrea (TO)
lotta di liberazione palestinese e prigioni amerikkkane
Segue l’editoriale di un prigioniero nel cosiddetto stato del Texas sulla recente guerra e il genocidio in corso nella
Palestina occupata.
Quando si pensa ai collegamenti tra le prigioni americane e il genocidio in corso del popolo palestinese per mano di
Israele, viene in mente un elenco di paralleli. Sia l’occupazione israeliana della Palestina che le violazioni dei
diritti umani che alimentano la resistenza carceraria e la pratica abolizionista sono alimentate da giganteschi
complessi industriali [il complesso industriale militare e il complesso industriale carcerario]. Questi complessi e la
loro redditività impediscono alla decenza umana e agli interessi umani, all’uguaglianza e alla giustizia di avere la
precedenza sugli interessi aziendali e capitalisti-imperialisti. Il ruolo della polizia e dell’esercito, cioè della
guardia carceraria o della “forza di sicurezza”, come esercito occupante. Una forza militarizzata e da cane selvatico
utilizzata per attaccare le persone oppresse, le persone confinate, le persone con difficoltà, le persone sfruttate e
chiunque si trovi dalla parte sbagliata dell’egemonia imperialista. L’uso di questi agenti di repressione per instillare
il terrore nella gente è lo stesso in entrambi i casi.
In entrambi i casi, il nemico ha demonizzato la lotta e ha deregolamentato e criminalizzato l’autodifesa. Israele grida:
“Difendi il diritto di Israele ad esistere”, e molti vanno dietro a questa idea, senza mai capire che secondo i trattati
e gli standard internazionali una nazione NON ha il diritto di difendersi dagli attacchi di una nazione o di un popolo
che sta attualmente occupando o colonizzando. Nelle carceri e nelle strade americane, una persona non può difendersi
dagli attacchi della polizia, e quando gli agenti statali attaccano le persone, la legge ufficiale protegge quegli
agenti con “immunità qualificata”. In una città del Texas, la polizia ha tentato di uccidere un uomo dopo che la sua
difesa legale non solo ha contribuito a farlo uscire dal braccio della morte, ma ha denunciato la corruzione deliberata
nelle forze di polizia locali. Quando un ufficiale di quella stessa forza di polizia è andato per ucciderlo, quest’uomo
ha strappato l’arma all’ufficiale e ha sparato al suo potenziale assassino. L’uomo che ha difeso la sua vita è stato
arrestato e condannato a cinquant’anni di prigione in Texas. Ha trascorso gli ultimi vent’anni in una camera di tortura
americana. Si tratta del prigioniero politico Alvaro Luna Hernandez, alias Xinachtli, una persona a cui è stato negato
il diritto di difendere il proprio diritto alla vita, in modo simile alla negazione della resistenza palestinese come
legittimo movimento di liberazione che difende milioni di vite. In Florida, Othal Wallace sta combattendo la macchina
per uccidere “legale” dell’impero (il braccio della morte) dopo essersi difeso coraggiosamente quando un ufficiale ha
tentato di sparargli. Dopo una rapida rissa Othal “Ozone” Wallace uccise l’ufficiale per legittima difesa. La sua difesa
della propria vita è considerata illegittima, proprio come quegli innumerevoli palestinesi che hanno perso la vita, la
libertà, gli arti e la sicurezza per mano del colonialismo dei coloni sin da prima del 7 ottobre. Per coloro che
sostengono Israele, quelle persone non contano. Il popolo palestinese ora combatte il braccio della morte per mano delle
macchine per uccidere “legali” di Israele. I prigionieri nelle carceri statunitensi e il popolo palestinese sono esseri
umani senza stato, senza alcuno strumento di governo esistente che mantenga, protegga o garantisca i diritti
fondamentali. Nessuno dei due può votare per persone che ogni giorno prendono decisioni che dettano la loro vita.
Entrambi sono, nella migliore delle ipotesi, cittadini di seconda classe. Entrambi sperimentano un’esistenza separata e
disuguale rispetto al resto della popolazione amerikkkana/israeliana. In entrambe le esperienze la struttura del potere
mantiene il monopolio della propaganda e quindi distorce l’opinione pubblica a proprio favore.
Gaza è stata spesso definita una prigione a cielo aperto. I palestinesi comprendono il significato di un’esistenza
confinata. Capiscono di essere nati sospettati. Sanno cosa significa essere designati come “gruppo che minaccia la
sicurezza” o “terrorista”. Capiscono la realtà di vivere sotto costante sorveglianza. Sanno come ci si sente a essere
rapiti dalla tua comunità, tenuti prigionieri e strappati dalla tua famiglia. Conoscono anche il “fuoco dentro” che
infuria e trama la vittoria sui propri nemici. Se l’osservazione delle lotte palestinesi contro il dominio israeliano
non vi ispira come un rivoluzionario, potreste essere un’altra specie diversa da quella umana. Ho ascoltato una donna
apprendere della morte del marito e iniziare a esclamare e gridare come se fosse accaduto un miracolo. Era orgogliosa.
Era gioiosa. La sua comprensione della lotta di liberazione del suo popolo la rendeva orgogliosa del fatto che suo
marito fosse morto per una causa così degna. Non riusciva adassumere un’autocommiserazione egoistica. Invece, in mezzo
all’assalto nemico, costrinse i suoi vicini, i suoi amici a unirsi a lei per spezzare il pane, condividendo quella che
sarebbe stata la porzione di suo marito. Che persona! Che combattente! Quando prendo appunti mentalmente sulla guerra di
liberazione palestinese mi viene in mente la nostra necessità qui di intensificare la lotta, intensificare le
contraddizioni. Mi viene in mente che non esiste alcuna comunanza tra gli imperialisti e il popolo, tra lo stato nemico,
tra l’impero e i suoi sudditi rivoluzionari. La solidarietà internazionale non deve cessare o allentarsi, nemmeno nelle
carceri, perché un cessate il fuoco non è nemmeno la punta dell’iceberg per trovare una soluzione a questo conflitto.
Possa lo spirito combattivo del popolo palestinese diventare lo spirito combattivo dei combattenti per la libertà
ovunque. Long Live the Palestinian People. Free Palestine.
Monsour Owolabi, Unità Ferguson - “Dipartimento di giustizia correzionale” del Texas
23 gennaio 2024, da ilrovescio.info
Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
Carissimi compagni, vi scrivo queste poche righe, per farvi avere mie notizie e informarvi che ho ricevuto l'opuscolo e
i giornali. Vi voglio ringraziare, per tutto quello che fate e per la solidarietà che manifestate verso i carcerati, che
lottano per i propri diritti e soprattutto per la libertà, di tutti i prigionieri. Certamente la solidarietà e il
sostegno, che arrivano dalla libertà, sono una cosa preziosa, perché aiutano ad andare avanti, a non sentirsi isolati, e
sperare in momenti migliori. Una lettera o delle semplici parole di solidarietà in questi posti sono molto importanti,
come un raggio di sole che arriva fino a dentro le celle e non ci fa sentire soli. I rapporti con i compagni sono
importanti perché danno la forza e illuminano il cuore, in questi posti di sofferenza, dove nessun essere umano dovrebbe
stare, per un mondo di uomini liberi e senza galere.
Vi ringrazio per tutto e vi saluto a tutti con affetto. Antonino.
14 gennaio 2024
Faro Antonino, Via Lamaccio 1 - 67039 Sulmona (AQ)
Aggiornamenti dai campi d'internamento per immigrati
Milano. A metà dicembre 2023 la Procura di Milano ha disposto il sequestro d’urgenza del Cpr di via Corelli,
sottraendolo alla gestione della società Martinina srl accusata di somministrare in maniera indiscriminata psicofarmaci
ai reclusi, lasciare le persone in condizioni disumane e fornire cibo rancido. Appena due mesi dopo, a febbraio di
quest'anno, da dentro il Centro, temporaneamente commissariato, escono immagini di persone che per protesta giacciono
sdraiate sotto la pioggia battente, di manganellate all’interno delle aree da parte della Guardia di Finanza e di
feriti. Niente è cambiato all’interno di quelle mura. L’ordinarietà dell’orrore della detenzione amministrativa non si
interrompe con un cambio di gestione. Lo dimostrano il suicidio a Ponte Galeria a Roma di un ragazzo di 22 anni, le
botte su chi ha protestato dentro per questa morte, i grandi e piccoli soprusi che subisce quotidianamente chi viene
rinchiuso in questi Centri da quando esistono ad ogni latitudine. Ciò che interrompe l’orrore quotidiano di reclusione
sono le proteste, individuali o collettive, le rivolte, il fuoco e le evasioni che dimostrano come non ci sia
pacificazione possibile in queste strutture. Dimostrano che nonostante la repressione si abbatta violentemente contro
chiunque si ribelli, questa strada è non solo ancora percorribile ma anche l’unica che permetterà di farla finita con
questi luoghi, una volta per tutte. Da Milano a Trapani, da Torino a Bari, a Caltanisetta, a Macomer in Sardegna, a
Gorizia, nell’ultimo anno molti fuochi e danneggiamenti hanno messo, di nuovo, in difficoltà i Centri per il rimpatrio
italiani. La via che lo Stato ha intrapreso nella gestione dei flussi migratori è molto chiara, di pochi giorni fa la
notizia del via libera all’accordo tra Italia e Albania per la costruzione di due Centri di detenzione “delocalizzati”.
Dall'altra parte le proteste dei reclusi ci indicano la via e ci chiamano al loro fianco. Torniamo sotto le mura di via
Corelli per portare solidarietà ai reclusi e per rompere il silenzio in cui si vorrebbe seppellire chi vive e lotta
dietro quelle mura.
Ci vediamo domenica 10 marzo alle 15 al parcheggio di via Capriana, di fronte al centro sportivo per raggiungere assieme
il parco bosco di Tucidide (davanti al Cas)
Tra le macerie del CPR di Milo: voci da un’indegna reclusione. Un cittadino tunisino richiedente asilo, insieme a
numerose altre persone, a seguito dell’incendio del 22 gennaio, era trattenuto in condizioni degradate e totalmente
inadeguate, senza alcuna effettiva possibilità di reclamare il rispetto dei propri diritti. La Corte Europea dei Diritti
Umani ne ha ordinato al Governo italiano l’immediato trasferimento dal Cpr di Trapani. In seguito all’incendio, diverse
persone venivano trasferite in altri Cpr, tra cui quello di Roma – Ponte Galeria. Proprio in quest’ultimo, Ousmane Sylla
un ragazzo guineano di 22 anni,si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo. Nonostante le raccomandazioni dei vigili
del fuoco, nel Cpr le persone continuavano ad essere trattenute, e le proteste proseguivano, e venivano sedate dalla
polizia congas lacrimogeni, idranti e manganelli. Nei giorni successivi, oltre 100 persone dormivano all’addiaccio, su
materassi di fortuna e sacchi di spazzatura. Inoltre, il 24 Gennaio, la polizia ha effettuato il fermo di 3 persone,
accusate di aver appiccato l’incendio sulla base delle riprese delle videocamere. Il 25 gennaio un gruppo di persone
veniva trasferito presso il Cpr di Pian del Lago (CL) – anch’esso scosso dalle proteste delle persone recluse nei giorni
precedenti; altre venivano smistate in altri Cpr. Il 26 gennaio, diverse persone venivano rimpatriate verso la Tunisia.
Altre venivano rilasciate, abbandonate in strada, dopo aver ricevuto un decreto di espulsione. La sera del 26, un gruppo
di attivisti si è recato al Cpr per esprimere solidarietà ai reclusi. (da osservatoriorepressione.info)
Cpr di Macomer (NU). Il Cpr di Macomer si trova nell'ex carcere di massima sicurezza, senza mensa, senza sedie e senza
diritti. Nel CPR di Macomer vige l'arbitrio totale del gestore, mentre le guardie lasciano fare, delegando a
quest'ultimo, secondo varie testimonianze, anche
il mantenimento dell'ordine, molto spesso con violenza ingiustificata e razzista verso soprattutto in particolare le
persone del centro-sudafrica. Il 19 febbraio l'esasperazione ha portato a un incendio, il settore sarebbe inagibile e le
persone sono rimaste all'aperto nel cortile al freddo tutta la notte e fino al tardo pomeriggio del giorno dopo. Poi
sono stati risistemati in stanze piene di fuliggine con le stesse
coperte mezze bruciate. Molti tossiscono sputando cenere. Ma sequestrati a Macomer e senza cellulari, senza la
possibilità di inviare whatsapp e video, nessuno sentirà le loro denunce e l'eco delle loro proteste. Una telefonata di
fortuna dai telefoni fissi - a bassa voce per non farsi sentire dagli agenti -, attraversa il Tirreno: "Per favore,
ditelo fuori che stiamo qui, così. Siamo stanchi." (da hurriya.info)
Ferrara sabato 2 marzo, Corteo NoCPR. Oltre mille persone hanno attraversato Ferrara al grido "No CPR né a Ferrara né
altrove!". Il corteo di oggi è un importante passaggio di lotta per la libertà di movimento e contro ogni abuso,
promosso dalla rete regionale emiliano-romagnola che sta inanellando numerose iniziative a Bologna e in tutta la
regione, organizzando la partecipazione di migranti, associazioni, centri sociali e sindacati di base e non.
Attraversata in corteo la città, la giornata si è conclusa con una serie di interventi nella storica cornice di Pazza
Castello, da dove è stato rilanciato l'appuntamento per il corteo No CPR a Milano il prossimo 6 aprile.
Da Melting Pot Europa Ferrara.
Roma, CPR di Ponte Galeria. Domenica 3 marzo, ad un mese dalla morte di Ousmane Sylla e dalla conseguente protesta delle
persone recluse, una 70ina di compagnx ha portato parole, musica, cori e fuochi d'artificio fuori dalle mura del CPR di
Ponte Galeria. Dopo due ore di comunicazione si è alzata una colonna di fumo nero dalla sezione maschile e alcune
persone sono comparse sui tetti. Da quando sono state erette barriere di ferro alte 8 metri è impossibile da fuori avere
una comunicazione diretta con le persone recluse, per noi dunque non è stato possibile conoscere la situazione
all'interno.
Diversamente la stampa non ha perso tempo per comunicare la sua versione dei fatti. Come sempre criminalizzando chi
lotta dentro e fuori, attribuisce responsabilità a fantomatiche organizzazioni e trasforma un petardo, che ha infiammato
della sterpaglia fuori dalle mura del CPR, in una bomba carta.
Come Assemblea di solidarietà e lotta capiremo insieme come proseguire il sostegno nei confronti di chi si ribella nei
CPR, a partire dalla solidarietà verso le 14 persone arrestate per la rivolta del mese scorso, imprigionate nel carcere
di Rebibbia.
Con queste poche righe vogliamo esprimere la nostra vicinanza a chi lotta contro le espulsioni a Torino, a Jamal, ora
prigioniero nel CPR di via Corelli a Milano, ad Anan, prigioniero palestinese in lotta contro l'estradizione che
l'Italia vorrebbe regalare ad Israele e ai compagni e alle compagne che nel 2016 si sono battutx al Brennero contro le
frontiere e su cui la Cassazione si esprimerà martedì 5 marzo. Dei CPR solo macerie
Terni, presidio nazionale per la liberazione di Anan
Il Coordinamento ternano per la Palestina ha organizzato un presidio fuori dal carcere di Terni per domenica 10 marzo
dalle ore 14 alle ore 17. Dentro il carcere speciale di Terni si trova Anan Yaeesh , cittadino palestinese arrestato
dalle autorità italiane il 29 gennaio scorso a L’Aquila su mandato di cattura internazionale con richiesta di
estradizione dello stato di Israele. L’uomo era arrivato in Italia dopo aver partecipato alla seconda Intifada e dopo
essere stato in carcere per quattro anni, con l’accusa di terrorismo per le azioni di difesa del campo profughi dove
risiedeva.
Anan attivista per la causa del popolo Palestinese proviene dalla Cisgiordania, lascia la Palestina nel 2013 dopo un
arresto e varie torture subite dalle autorità israeliane, si reca in Norvegia fino al 2017 per curarsi dai traumi
riportati a causa delle lesioni subite in carcere, si sottoporrà a diversi interventi chirurgici. Nel 2017 arriva in
Italia dove nel 2019 ottiene un regolare titolo di soggiorno. Dal 2023 risiede a L’Aquila. Anan è accusato di finanziare
la Brigata Tulkarem, gruppo di Resistenza armata nato nel campo profughi di Tulkarem in Cisgiordania, attivo contro le
incursioni dei militari israeliani.
“L’Italia consegnerebbe un palestinese alle autorità israeliane – sostiene il Coordinamento ternano per la Palestina –
le quali lo processerebbero in un tribunale militare con il rischio di essere sottoposto in carcere a trattamenti
disumani come denunciato nei rapporti di associazioni e organizzazioni internazionali. Nove sono i detenuti palestinesi
morti nelle carceri israeliane negli ultimi quattro mesi. Gli elementi su cui sono state formalizzate le accuse nei
confronti di Anan Yaeesh, con ogni probabilità, sono frutto di oramai noti metodi di investigazione e interrogatori
considerati illegali in Italia e compatibili con la definizione di tortura. Riteniamo inoltre che questo episodio rischi
di rappresentare un pericoloso precedente volto a sdoganare l’estradizione e la consegna di palestinesi, in Italia e in
Europa, dietro la richiesta di Israele che porta avanti la pulizia etnica e il massacro del popolo palestinese”.
Il presidio, per il quale è stata lanciata una chiamata nazionale, di domenica 10 marzo è stato organizzato per chiedere
l’immediata liberazione di Anan Yaeesh. Il 12 marzo è prevista la decisione sull’estradizione.
febbraio 2024, da radiondadurto.org
Aggiornamenti sui fatti di Budapest
Il 29 gennaio è cominciato a Budapest il processo a Ilaria Salis, antifascista detenuta a Budapest dall'11 febbraio 2023
accusata di aver aggredito dei nazisti nella "giornata dell'onore", commemorazione neonazista che si tiene ogni anno in
Ungheria. Di seguito pubblichiamo un aggiornamento a partire dall'ultima udienza, seguito dal petizione dei genitori
degli antifascisti tedeschi accusati nel processo di Budapest. Ricordiamo che nei mesi scorsi anche le famiglie di
queste persone sono state bersaglio di intimidazioni e pressioni da parte delle forze investigative tedesche e che hanno
deciso di mettersi insieme, coordinarsi, sostenersi e sollevare la propria voce.
Dopo aver atteso per tre ore in uno stanzino grande come un armadio, 90x120 cm, in aula Ilaria entra ammanettata, con i
piedi legati tra loro da ceppi di cuoio chiusi da lucchetti e un cinturone di cuoio in vita da cui parte una catena, una
sorta di guinzaglio tenuto in mano da una secondina. La accompagnano anche agenti dei reparti operativi, armati, in
mimetica e passamontagna. I compagni e compagne sono lì per vederla, anche se da lontano, ed assistere all'udienza.
Ilaria si dichiara innocente rispetto alle accuse.
La possibilità di conoscere le accuse che le sono state mosse e di pensare alla propria difesa ha trovato molti
ostacoli: carte non tradotte e dunque impossibili da comprendere in ungherese, CD dei video consegnati al carcere che
però non ha disposto rispetto alla strumentazione tecnologica per guardarli, interrogatori in inglese - cui Ilaria si è
rifiutata di rispondere, difficoltà a parlare con gli avvocati italiani.
Negli scorsi mesi, in alcune lettere arrivate agli avvocati e ai genitori, Ilaria ha descritto le aberranti condizioni
detentive in cui si è trovata.
Celle anguste e sporche, con topi, scarafaggi e insetti che le hanno naturalmente procurato reazioni allergiche.
Disinfestazione con veleno spruzzato in cella e detenute costrette a rientrare dopo pochi minuti, con conseguenti
problemi respiratori. Per più di sei mesi non ha potuto parlare con nessuno, fino a quando non sono stati finalmente
accettati i colloqui con i genitori e con il compagno. Questi colloqui avvengono sempre con un vetro a separare detenute
e visitatrici, che si parlano attraverso un telefono.
Non ha potuto neanche ricevere corrispondenza, lettere, cartoline, o libri, perchè in Ungheria può scrivere alla persona
detenuta solo chi è ha avuto l'autorizzazione ai colloqui, che può tardare mesi ad arrivare. Per mesi quindi non ha
potuto neanche ricevere pacchi, alimenti, vestiti. E' stata tenuta con gli abiti che aveva quando è stata arrestata,
senza cambi di biancheria intima o assorbenti.
La detenzione è in condizione di semi-isolamento, le detenute rimangono in cella 23 ore su 24, e per l'ora "d'aria" c'è
solo un corridoio semi-interrato. Il momento dell'aria coincide con quello delle docce, per cui le donne rinchiuse
devono scegliere cosa privilegiare.
L'alimentazione è poi un grosso problema, con cibo freddo e scarso, e impossibilità di cucinarsi in cella.
«Mi hanno detto che qui in Ungheria nel questionario rivolto ai donatori di sangue chiedono anche se si è stati in
carcere negli ultimi 6 mesi. Significa che anche il sistema sanitario ungherese è a conoscenza della malnutrizione e
delle condizioni sanitarie all'interno delle carcere» scrive nella lettera. Ilaria è anche da mesi in attesa dei referti
per una ecografia di controllo a un nodulo al seno. Ha ottenuto la visita solo dopo molti mesi, e non ha avuto accesso
ai risultati. Nei trasferimenti, come abbiamo visto in diretta tv, le detenute vengono tenute al guinzaglio, ed Ilaria
aggiunge che sono obbligate a guardare il muro durante le soste nei corridoi.
Le lettere di Ilaria non sono al momento pubbliche, in quanto depositate presso la Corte d'Appello del Tribunale di
Milano, come testimonianza che gli avvocati stanno utilizzando per cercare di bloccare l'esecuzione del mandato di
arresto europeo, e quindi l'estradizione in Ungheria, di Gabriele, un altro militante antifascista accusato di aver
partecipato agli scontri del febbraio 2023.
Il processo a Ilaria si è concluso con un rinvio al 28 marzo 2024.
Il 13 febbraio si è tenuta al tribunale di Milano una nuova udienza per Gabriele, finita con un rinvio anche questa al
28 marzo.
Un'altro dei MAE (Mandato di Arresto Europeo) ha raggiunto un compagno che non vive in Italia, e che si trova
attualmente nel paese di residenza ai domiciliari con il braccialetto elettronico, con la possibilità di uscire durante
il giorno per studiare e lavorare.
Ogni galera è una aberrazione ed andrebbe eliminata. Le condizioni detentive ungheresi possono impressionare, ma
sappiamo bene che anche in Italia, e in tutti gli altri paesi, chi è privato della libertà è privato anche di una
sopravvivenza decente. Lo confermano le voci che riescono a uscire dalla mura in cui sono rinchiuse, il numero delle
morti e dei suicidi. Parlano di una vita quotidiana di abusi, di quello che tocca come vitto a chi non ha la possibilità
di fare la spesa con i prezzi altissimi per comprare frutta o verdura, o quanti anni di carcere toccano in serbo a chi
non ha una casa per accedere alle misure alternative. Parlano della salute negata, dello scarsissimo numero di medici e
infermieri per detenuto, della difficoltà di accesso alle cure, alle medicine, alle medicazioni. Della negazione della
libertà anche per malati terminali, di neonati costretti in carcere. Sul corpo di Ilaria è adesso in gioco una feroce
lotta politica, con membri di questo o di quel partito che si riempiono la bocca di questa vicenda per fini ben diversi,
vuoi la visibilità, vuoi il posizionamento alle elezioni europee, o una ideologia repressiva fascista. Anche i
giornalisti come avvoltoi sono entrati in picchiata della vicenda, diffondendo una immagine della nostra compagna
funzionale ai propri obiettivi propagandistici. Questo continuo cercare nella vita di una donna, cercando di rimestare
nel torbido, di alzare le vendite sulla pelle di chi sta in galera ci fa inorridire e arrabbiare. Vogliamo libertà per
tutte e tutti, che abbiano la sfortuna di finire in televisione o meno.
Nè prigione nè estradizione.
***
Genitori contro l'estradizione dei figli in Ungheria
Diversi giovani antifascisti rischiano di essere estradati in Ungheria. Un Paese che da anni è criticato dalle
organizzazioni per i diritti umani e che è stato ripetutamente sanzionato per il suo sistema giudiziario politicamente
di parte.
Come genitori delle persone coinvolte, siamo molto preoccupati per le conseguenze fisiche e psicologiche che
l'estradizione avrebbe sui nostri figli.
Con la campagna #noextradition vogliamo impedire l'estradizione.
Sullo sfondo dell'imminente estradizione c’è un'indagine sui nostri figli, accusati di essere stati coinvolti negli
scontri con i neonazisti a Budapest nel febbraio 2023. Lì si svolge ogni anno il cosiddetto "Giorno dell'onore", un
importante raduno internazionale di neonazisti in cui si commemora un tentativo fallito di fuga delle SS e dei loro
alleati ungheresi da un accerchiamento dell'Armata Rossa.
Sia Amnesty International che la Corte europea dei diritti umani criticano la crescente restrizione dell'indipendenza
giudiziaria in Ungheria. Il governo populista di destra di Viktor Orban ha ripetutamente intimidito giudici e pubblici
ministeri impopolari con misure disciplinari e sospensioni. Un esempio dell'unilateralità politica del Paese è la grazia
concessa l'anno scorso dal Presidente ungherese a un terrorista di destra condannato. Anche gli organizzatori
dell'evento neonazista "Giorno dell'onore" ricevono sovvenzioni dal governo sotto forma di fondi per il turismo.
Maja, 23 anni, si trova attualmente in custodia cautelare a Dresda ed è in attesa della decisione della Corte d'Appello
di Berlino sulla sua estradizione in Ungheria. Lo stesso vale per Gabriele, un altro italiano di 23 anni, che è in
attesa della stessa decisione a Milano. Nel frattempo, le autorità stanno cercando da quasi un anno altri dodici giovani
che rischiano anch'essi l'estradizione.
Altri sospetti che si trovano in detenzione preventiva in Ungheria dal febbraio 2023 riferiscono di condizioni di
detenzione disumane. Articoli di giornale e interviste parlano di parassiti come topi, scarafaggi o cimici nelle celle,
malnutrizione e molestie da parte delle guardie, nonché di condizioni igieniche incredibilmente scarse che sembrano far
parte della vita quotidiana. Inoltre, le persone colpite sono state quasi completamente isolate dai loro parenti per
mesi.
Il caso dell'insegnante italiana di scuola elementare Ilaria Salis, che è sotto processo a Budapest nello stesso
procedimento, ha suscitato grande attenzione in Italia e a livello internazionale. Anche il governo italiano ha chiesto
la sua liberazione e ha criticato il modo in cui è stata trattata in violazione dei diritti umani.
Tutto questo fa parte di uno sviluppo preoccupante per il quale l'Ungheria è stata a lungo criticata all'interno
dell'UE. Alla luce della situazione politica ungherese, delle restrizioni all'indipendenza giudiziaria e della
corruzione dilagante, non si può pensare che i giovani imputati possano aspettarsi un processo equo. Se Maja o altri
imputati vengono estradati, rischiano la detenzione preventiva, che può essere prolungata quasi all'infinito, e una pena
detentiva del tutto eccessiva, fino a 24 anni in condizioni insostenibili.
Le pene detentive sarebbero molto più lunghe di quelle previste in Germania. Invece di estradare le persone colpite
verso l'Ungheria populista e di destra, la Germania avrebbe l'opportunità di condurre i propri procedimenti in base allo
stato di diritto. Tuttavia, la minaccia di estradizione verso un'Ungheria sempre più autoritaria e corrotta è stata
finora utilizzata per esercitare pressioni sulle persone coinvolte. Questa minaccia deve finire!
Tutto questo accade in un momento in cui i fascisti stanno guadagnando terreno in tutta Europa. Anche in Germania, un
partito fascista potrebbe presto rientrare in Parlamento con la maggioranza. Questo partito si sta incontrando con
neonazisti ben collegati per pianificare la deportazione di ampie fasce della popolazione. È tempo di rendersi conto
ancora una volta dell'importanza dell'antifascismo nella nostra società.
La criminalizzazione dell'antifascismo sullo sfondo di un rafforzamento della nuova destra oscura la vera minaccia per
la società e deve finire!
Chiediamo: Nessuna estradizione in Ungheria! Un processo equo per gli accusati in Germania! Il ritorno delle persone
imprigionate in Ungheria nei loro Paesi d'origine!
Tradotto dal tedesco a il 4 febbraio 2024 dal sito: www.change.org
“Stella Maris”: MOBILITARSI E NON DIMENTICARE
Il 13 febbraio presso il Tribunale di Pisa si è tenuta l’udienza sui maltrattamenti subiti da persone disabili nella
struttura di Montalto di Fauglia (PI) gestita da ‘Stella Maris’ in cui sono coinvolti 15 imputati tra operatori e
dottoresse che gestivano la struttura. Parallelamente a questo processo va avanti un altro procedimento per la morte di
Mattia Giordani (ex paziente di Stella Maris), deceduto nel 2018 a seguito del blocco della glottide dovuto
presumibilmente alla somministrazione prolungata ed eccessiva di psicofarmaci.
Stella Maris è un’istituzione privata convenzionata con il pubblico, gestita dalla Curia di San Miniato e finanziata con
soldi pubblici (milioni di euro l’anno) della Regione, che nonostante la gravità degli abusi non si è costituita come
parte civile al processo.
La Regione Toscana concede autorizzazioni e accreditamenti attraverso i quali queste strutture ricevono milioni di euro,
ma non controlla e vigila che i pazienti ricoverati abbiano una qualità di vita tale da stimolare in loro la
partecipazione alla vita sociale. I centri diurni, che dovrebbero essere un valido aiuto per le famiglie sono pochissimi
e costringono queste a farsi carico della complessa disabilità mentale dei loro cari. L’assenza di luoghi per
l’abilitazione e riabilitazione, che sono fondamentali per il benessere emotivo e per la qualità di vita dei pazienti
ricoverati, le lascia di fatto soli e senza il minimo supporto indispensabile per migliorare le loro condizioni e, di
conseguenza, lasciando sguarniti i territori.
Nonostante la vicenda sia costellata sul piano giudiziario da continui rinvii, i familiari dei pazienti non sono
disposti a rinunciare a battersi per ottenere verità e giustizia. Sondra Cerrai, la mamma di Mattia, lancia un appello:
“i genitori dei ragazzi maltrattati, le associazioni che si sono costituite parte civile non possono essere lasciati
soli”. Nel raccogliere l’appello di Sondra, siamo convinti dell’importanza della mobilitazione continua, della forte
denuncia, della solidarietà e del sostegno, perché l’unica lotta persa è quella che si abbandona!
***
VERITA’ SUGLI ABUSI ALLA STELLA MARIS, SOLIDARIETA’ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI !Il 12 marzo 2024 alle ore 14 saremo
ancora una volta davanti al Tribunale di Pisa dove si terrà una nuova udienza per i maltrattamenti avvenuti nella
struttura di Montalto di Fauglia destinata ad ospitare persone autistiche, gestita dalla Fondazione STELLA MARIS. In
questa ulteriore udienza dovrebbero venire sentite alcune dottoresse imputate.Nell’estate del 2016, in seguito alla
denuncia dei genitori di un giovane ospite, la struttura è stata posta sotto controllo con l’installazione di
microcamere e, dopo tre mesi di intercettazioni, la Procura di Pisa, dopo aver accumulato prove evidenti, ha configurato
l’ipotesi di reato per maltrattamenti.Tra gli ospiti della residenza, ricordiamo Mattia, morto successivamente nel 2018
per soffocamento [...] I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di
cui la famiglia afferma di non essere mai stata informata. Per questa vicenda è in corso un altro procedimento penale,
il processo in primo grado si è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della struttura. Il processo per
maltrattamenti sta andando avanti da più di 6 anni con estrema lentezza: le udienze sono troppo diradate se si considera
l’elevatissimo numero di persone invitate a testimoniare. Si tratta, infatti, del più grande processo sulla disabilità
in Italia. Nel periodo della pandemia (caso unico nella storia della giustizia pisana) è stato ospitato nel Palazzo dei
Congressi di Pisa. Al momento gli imputati sono 15, tra essi le due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore
Sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore
generale Roberto Cutajar che, avendo scelto il rito abbreviato, è stato dapprima condannato a 2 anni e 8 mesi di
reclusione, poi è stato assolto nel processo d’appello. I genitori e i tutori e altri testimoni già ascoltati hanno
riportato le violenze subite dai ragazzi di Montalto e documentate dalle videoregistrazioni che testimoniano più di 280
episodi di violenza in meno di quattro mesi, una violenza – quindi – non episodica ma strutturale. Come ha scritto nella
sua relazione il consulente tecnico, professor Alfredo Verde, chiamato a relazionare sui fatti avvenuti: « Leggendo gli
atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da
parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. Ed
ancora: “In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono gli strumenti
usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo
e afflittivo. Il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali ».
Per questi motivi, e per ricordare tutte le vittime degli abusi psichiatrici che ancora oggi vengono perpetrati ai danni
di persone private della libertà personale e non in grado di difendersi da sole, riteniamo doveroso seguire con
attenzione le vicende di questo processo nell’interesse di tutte/i. Invitiamo a partecipare al PRESIDIO in SOLIDARIETA’
alle VITTIME dei MALTRATTAMENTI MARTEDI’ 12 MARZO ORE 14 presso il Tribunale di Pisa in Piazza della Repubblica.
Febbraio 2024
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
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Carceri: Un suicidio ogni due giorni
Il disagio spaventoso che si vive nelle carceri italiane. Sovraffollamento medio al 118%, strutture inadeguate e
mancanza di personale: sono i fattori che incidono sui tragici numeri dei 17 suicidi dall’inizio dell’anno. Il
Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria parla però di una “tendenza inspiegabile”. Intanto una ricerca fa luce
sul tema della salute mentale nelle celle. Un suicidio ogni due giorni. (da osservatoriorepressione.info)
Lettera dal carcere di Massama (Or)
Cari compagni, ho ricevuto il vostro plico, come sempre siete magnifici e vi ringrazio molto. Sono giorni tristi perchè
assistiamo a un genocidio in diretta TV con la complicità dell'occidente, anzi potremmo affermare che i governi
parteggiano ed aiutano Israele. Goebbles è stato un gran maestro, la propaganda attuale è figlia del suo modus operandi,
manipolare la realtà e capovolgere la verità, i carnefici diventano vittime e viceversa. Il governo israeliano nei fatti
è nazista ma è molto peggio perchè è guidato da un fondamentalismo religioso simile all'Isis, pertanto non ha nemici ma
etnie da eliminare. I popoli oppressi dal razzismo e dal colonialismo, la storia ci insegna che alla fine prevarranno,
anche se tra mille sofferenze. [...]
Vi invio gli auguri di buone feste, vi saluto con un forte abbraccio.
Ciao a tutti/tutte, Pasquale.
29 novembre 2023
Pasquale de Feo, località Su Pedriaxiu - 09170 Massama (Oristano)
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I pm dispongono l’autopsia sul corpo di Stefano Dal Corso
Mercoledì 27 dicembre la procura di Oristano ha comunicato che si farà l’autopsia su corpo di Stefano Dal Corso trovato
senza vita nella sua cella del carcere di Oristano il 12 ottobre 2022. Ci sono voluti quattordici mesi e mezzo dalla
morte di Stefano Dal Corso, ma alla fine la battaglia per la verità della sorella Marisa e dell’avvocata Armida Decina
ha ottenuto un primo risultato: sul corpo del 43enne deceduto nel carcere di Oristano verrà effettuata l’autopsia. Per
sette volte la Procura si era rifiutata di autorizzare l’autopsia, ma a modificare l’orientamento dei pm sarebbe stata
una telefonata registrata da Marisa Dal Corso in cui un anonimo, presentatosi come ufficiale esterno della polizia
penitenziaria, racconta che il detenuto è stato picchiato con spranga e manganello.Insieme alla disposizione dell’esame
autoptico è cambiato anche il capo di imputazione provvisorio. L’indagine resta sempre contro ignoti, ma l’ipotesi di
reato è passata dall’omicidio colposo a volontario. La sua colpa, quella di aver assistito a un rapporto sessuale tra
due operatori del carcere consumatosi nell’infermeria. Ciò avrebbe scatenato la vendetta violenta. La testimonianza è
stata raccolta il 6 novembre e successivamente depositata in procura. Da allora è stata l’unica novità di rilievo sul
caso. Stefano era finito nel carcere di Oristano per una serie di sfortunate coincidenze. Prima di essere riportato in
carcere a Rebibbia, stava scontando la pena agli arresti domiciliari. In prigione era rientrato per una “evasione” dal
suo domicilio (stava portando i suoi cani a spasso a pochi metri da casa). Aveva una figlia a cui teneva molto e proprio
per vederla, vive a Oristano con la madre, Stefano aveva infatti chiesto di partecipare all’udienza del suo processo.
Mentre era a Oristano in attesa dell’udienza, Stefano è morto. Le richieste di autopsia presentate dalla famiglia sono
state rigettate più volte dal pubblico ministero, che ha chiesto l’archiviazione del caso. La sorella, però, non ha mai
creduto a tale circostanza. Insieme all’avvocata Armida Decina ha subito denunciato che dal fascicolo mancavano elementi
importanti. Per esempio le fotografia del ritrovamento del corpo o quelle dello stesso privo di vestiti, necessarie ad
avere un’idea più precisa sulle cause della morte. Per stabilire le quali, comunque, è necessaria l’autopsia. (29
dicembre 2023, da osservatoriorepressione.info)
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Carcere di Reggio Emilia: detenuto picchiato e torturato
A quasi un anno dai fatti, l’agenzia di stampa ANSA ha pubblicato il video di un detenuto incappucciato con un federa,
messo pancia a terra con uno sgambetto e poi preso a pugni sul volto e sul costato, calpestato con gli scarponi,
trattenuto alcuni minuti per braccia e gambe dagli agenti della polizia penitenziaria. La vittima è un 40enne detenuto a
Reggio Emilia, lo scorso 3 aprile, e le immagini arrivano dalle telecamere interne che sono state allegate agli atti
dell’inchiesta. Per 10 agenti è stato chiesto il rinvio a giudizio, per otto di loro l’accusa è di tortura. (8 febbraio
2024, da osservatoriorepressione.info)
Lettere dal carcere di Secondigliano (NA)
Cara OLGa, è con piacere che ho ricevuto anche questo mese il vostro piego contenente l'opuscolo e l’appello
internazionale contro la guerra.
Leggendo l'opuscolo non posso non notare che il malumore carcerario è sempre in aumento, come lo sono le varie forme di
repressione che prendono vita e germogliano giorno dopo giorno all'interno degli istituti.
Mi chiedo se la nostra attuale situazione politica c'entri qualcosa. Le carceri sono sempre state e sempre saranno un
abominio dove rinchiudere noi i “reietti”, questo si sa.
Nel corso dei decenni i governi che si sono alternati hanno usato le carceri come un subdolo strumento di propaganda. Da
un lato la carota, quel finto senso, attraverso delle misere iniziative di una flebile umanità. Dall'altra il bastone,
partorendo i più nefandi ed esecrandi metodi coercitivi afflittivi e distruttivi che la mente umana possa elaborare, 41
bis in primis.
Le carceri si sa, non solo sono un contenitore dove rinchiudere nascondere, ma sono anche lo specchio della società in
cui viviamo. Il nuovo governo ci ha ricatapultato indietro di un centinaio di anni dando vita a quello che il nostro
presidente del consiglio ha definito “un modello”. Una Guantanamo tutta italiana in territorio albanese. Chi ci dice che
un domani lo stesso modello non verrà esteso ai cosiddetti “terroristi”, mafiosi o oppositori di turno, i quali verranno
internati in strutture estere impossibili da monitorare, nel pieno rispetto dei “non diritti umani”?
Tornando poc'anzi, se le carceri sono lo specchio della società, visto come viene gestita la società attuale non mi
meraviglio dell'assetto sempre più totalitario e repressivo. Come sempre estendo tutta la mia solidarietà a tutti i
prigionierx, anarchicx, comunistx, ribellx e rivoluzionarx delle nostre patrie galere.
Un abbraccio Claudio.
13 novembre 2023
Claudio Cipriani, via Roma verso Scampia, 350 - 80144 (Napoli)
***
Cari compagni, volevo approfittare di questo periodo non solo per mandare un saluto a tuttx i compagnx della redazione
di "Ampi Orizzonti" e del "Colletivo Olga" ma anche per estendere i miei saluti e i miei auguri di buone festività, e
soprattutto di una "presta libertà" come si suol dire, a tutti i prigionierx, compagnx rivoluzionarx, ribellx,
anarchicx, comunistx, politicizzatx e non, rinchiusx nelle patrie galere.
Ci sono alcune persone che una volta uscite tendono volontariamente a dimenticarsi del carcere e di tutte le sofferenze
passate. Come biasimarlx. Una volta uscito quello che desidero è ricordarmi ogni anno, ogni giorno, ogni minuto ed ogni
sofferenza passata all'interno delle carceri, poichè dimenticarmi del carcere equivarrebbe a dimenticarmi di tutte
quelle persone che come me, ogni giorno, vivono quella sofferenza.
Ai/alle mie/miei companx prigionierx dico siate forti.
A chi è fuori chiedo che la lotta contro le carceri e contro i suoi regimi di tortura diventi parte integrante della
propria vita poichè è parte integrante della società.
Un abbraccio solidale a tuttx. Claudio.
21 dicembre 2023
Claudio Cipriani, via Roma verso Scampia, 350 - 80144 (Napoli)
lettera dal carcere di Sanremo (Im)
Dal carcere di Sanremo, lettera di Stecco. Riportiamo qui una lettera comparsa su siti di controinformazione e mailing
list. Stecco, dopo due anni di latitanza, è stato arrestato il 20 ottobre 2023 in provincia di Imperia per un cumulo di
condanne definitive e per un mandato di cattura derivato dalla "Operazione senza nome".
Questo scritto non è un comunicato. Qui non vi leggerete riflessioni sul mio arresto o riguardo a questa nuova
esperienza carceraria, o su altre questioni politiche. Esse arriveranno al momento opportuno, cioè quando riterrò
sedimentate alcune faccende personali, e alcune riflessioni che stanno maturando in questi primi mesi di detenzione.
Questo umile scritto ha il semplice scopo – per me doveroso – di ringraziare, salutare, e di portare solidarietà anche
da dentro queste mura.
Ho atteso un poco prima di decidermi nel mettere giù queste mie parole, anche se la decisione di metterle su carta era
già stata presa la sera del 4 dicembre, giorno dell’udienza al Tribunale di Imperia, per il documento falso trovatomi
addosso il giorno cui la mia esperienza di latitante è stata fermata da un gruppo operativo dei Nocs.
Quel giorno al tribunale, mentre ero nel gabbione, l’avvocato mi ha annunciato della scomparsa di mia madre. Non è mio
interesse raccontare questioni diciamo personali, bensì voglio raccontare – questo sì – della presenza dei compagni e
compagne in aula, della loro vicinanza, della loro forza, e dell’ennesima prova di solidarietà. Ma anche dei compagni e
compagne che al suo funerale hanno deposto dei fiori, facendomi così partecipe, con questo gesto, ad un momento
importante della mia vita, a cui, per mia pregressa decisione, avevo deciso di non partecipare. Questi gesti, assieme
alla mole di parole di vicinanza che mi arrivano per lettera, ad alcune azioni di solidarietà, è qualcosa di difficile
descrizione riguardo a quello che provo, sono fatti che mi riempiono di orgoglio e di determinazione. È una
consapevolezza che mi accompagna da anni, l’esistenza della solidarietà tra compagni e compagne, tra sfruttati e
sfruttate, esiste, è palpabile, essa va al di là del singolo, della mia situazione specifica, questa ha poca importanza
davanti alle responsabilità nel continuare la lotta, davanti alle necessità storiche di innescare la rivoluzione
sociale.
Io sono solo un umile compagno che prova a mettere tutto quello che ha a disposizione per raggiungere i più alti fini di
libertà ed emancipazione per tutti e tutte. Per questo non sono abbattuto nel trovarmi in questo luogo, perché sono in
mezzo agli ultimi, agli esclusi, a chi appartiene a questa classe sfruttata. In mezzo a loro, indipendentemente dalle
differenze e contraddizioni, continuo a portare il mio contributo alla lotta, alla presa di coscienza. Lo Stato un’altra
volta sta fallendo nel provare a spezzare la nostra solidarietà, i nostri legami politici, affettivi amicali, e in
primis quelli di affinità. Un’unione su cui non ho dubbi riguardo alla tenuta, nella sua consistenza e presenza, in cui
ripongo tutta la mia fiducia ed energie. Un’unione che so che tutti assieme terremo salda nel prossimo futuro, visto che
siamo consapevoli che qui in Italia molti di noi finiranno nelle maglie repressive per la conclusione di vari processi.
Anni che affronteremo con dignità, dove ognuno di noi sarà sostegno l’uno dell’altro, dove questo tempo non sarà vissuto
passivamente, ma attivamente, per continuare la nostra battaglia per i nostri ideali, per un’idea di giustizia e
libertà, un’idea che si chiama Anarchia.
Tutte queste certezze ho percepito in aula. Tutte le nostre difficoltà, tutti gli ostacoli che abbiamo attorno in questa
fase storica possono essere superati con la forza di volontà, nello studio, nell’unione.
Purtroppo quattro giorni dopo ho saputo della scomparsa del compagno anarchico Alfredo Maria Bonanno. È stato un altro
momento per confrontarmi con il dolore, perché assieme a tanti altri compagni e compagne abbiamo avuto modo di leggere
le sue parole, confrontarsi con la sua personalità, per alcuni e alcune l’aver potuto agire assieme a lui nel corso
della sua vita dedicata alla lotta, a un ideale. Un compagno verso il quale ho un senso di gratitudine per la mia
formazione ideale e politica.
Mi ritengo fortunato di aver potuto, assieme ad altri, organizzare con lui i comizi anarchici nell’inverno 2021 a
Trieste. Comizi in cui aveva voluto presenti dei grandi drappi neri, simbolo della nostra rivolta anarchica, drappi che
oggi innalziamo per la sua dipartita. Ho fresche nella memoria le discussioni con lui prima di partire latitante,
davanti ad un piatto di pasta in un’osteria, e potermi stupire ancora della sua forza, determinazione, lucidità.
Colgo quest’occasione per portare il mio cordoglio alla sua famiglia, ai suoi affetti, e ai compagni e compagne delle
edizioni Anarchismo. Concludo dicendo che:
– Saluto con viva forza il coraggio e la determinazione dei compagni Francisco Solar e Monica Caballero, che il 7
dicembre sono stati condannati dallo Stato cileno;
– Porto la mia vicinanza ai comuneri mapuche della CAM condannati recentemente dallo Stato cileno, e a quelli che nei
prossimi mesi subiranno la repressione dei tribunali per la loro giusta resistenza;
– Saluto Gabriele, Tobias, e Ilaria, arrestati dallo Stato ungherese. Buona fuga a chi si sta sottraendo dalla morsa
delle manette, così facendo dimostrano che le strade della libertà sono sempre aperte;
– Ringrazio i compagni e le compagne greci, sia per la loro dignità nell’affrontare la repressione, sia per tener viva
la memoria rivoluzionaria, ma soprattutto per il loro continuo contributo analitico utile a tutto il movimento
rivoluzionario;
– Ringrazio i compagni bielorussi nel loro trasmettere parole coraggiose dalle galere del regime di Lukaschenko in
questi anni di guerra. Solidarietà a tutti i disertori di ogni guerra e di ogni nazione;
– Mando forza al compagno francese Boris per un suo miglioramento di salute;
– Libertà immediata per i prigionieri Giannis Michailidis e Nikos Maziotis in Grecia, a Marcelo Villaroel in Cile, a
Claudio Lavazza in Francia;
– Auguro buona libertà e ritorno dai propri affetti dopo tanti anni di galera a Pola Roupa, Thomas Meyer Falk, Gabriel
Pombo da Silva e a Davide Delogu, anche se ancora ristretto agli arresti domiciliari;
– Saluto Anna, Poza, Nasci, Rupert, Dayvid, Zac, Saverio, Paska, Stefano, Juan, rinchiusi assieme a me nelle patrie
galere di questo Stato. A Sasha ristretta agli arresti domiciliari;
– Mi unisco a voi fuori con quello slogan che in tanti e tante avete urlato negli scorsi mesi: “Fuori Alfredo dal
41bis”. Un abbraccio particolare a lui. Fuori tutti e tutte da quel regime detentivo;
– Per ultimo, con il dolore nel cuore, mando un saluto a pugno chiuso al compagno palestinese Georges Abdallah, contro
cui ad aprile si terrà al tribunale di Trieste un processo per la storia della sua resistenza al regime sionista di
Israele. Per una Palestina libera da Stati, padroni e da qualsiasi autorità.
Sempre per l’anarchia e la rivoluzione sociale!
Libertà per tutti e tutte! Luca Dolce detto Stecco.
25 dicembre 2023
Luca Dolce, Via Armea 144, 18038 Sanremo (Imperia)
***
COMUNICATO RIGUARDO ALL’IMPOSIZIONE DELLA VIDEOCONFERENZA
Il 19 gennaio a Trieste si celebrava un’udienza che vedeva coinvolto Stecco. Si sperava di poterlo salutare,
approfittando dell’accanimento giudiziario per cui anche la Procura di Trieste ci ha tenuto a fare la sua parte. La
giudice ha deciso di farlo collegare in “videoconferenza” e, per lunghissimi minuti, si é atteso che il collegamento
venisse attivato. Audio che non funzionava, telefonate in matricola a Sanremo, salvifico riavvio del PC e altre menate
degne dell’apparato dello stato. Nel frattempo la giudice bofonchiava qualcosa, sulla videoconferenza, sul rinvio
dell’udienza, sul fascicolo che non si trova. Una farsa, se non fosse che dopo un tempo infinito finalmente qualcosa
accade: sentiamo la voce di Stecco e lo salutiamo affettuosamente. Approfittiamo anche di quest’unico momento per
contestare l’uso della videoconferenza. La giudice, nell’imbarazzo, scappotta (“permalosetta”, ha commentato qualcuno),
fa intervenire i carabinieri e ne viene fuori un bel casino: coerente e giusta conseguenza delle decisioni assurde di
cui si è resa responsabile, tenendo confinato Stecco di autorità. Sono cose che accadono quando la “giustizia”, nel suo
corso, non considera che la solidarietà – quando è sincera – non si incrina facilmente. Neanche quando qualche zelante
carabiniere da tribunale decide di alzare le mani, perdendone berretto e gli ultimi, quantistici, bricioli di dignità.
Alla fine l’aula è stata sgomberata di forza e – ciò ci rattrista, ma neanche troppo visto il livello – la giudice ha
deciso che le future udienze saranno a porte chiuse.
Ieri, 17 gennaio, mi è stata notificata dalla matricola del carcere di Sanremo la decisione del DAP del 16 gennaio, di
impormi la videoconferenza presso il Tribunale di Trieste per i due processi che avrei dovuto avere in presenza i giorni
19 gennaio e 1 febbraio. Il giudice che ha avallato questa decisione è la dottoressa Valentina Guercini.
Il motivo è semplice, e per noi anarchici ormai noto, cioè di essere classificato come un anarchico insurrezionalista, e
quindi per ragioni di sicurezza è stata revocata la precedente traduzione disposta dalla stessa giudice.
Non ripeterò i motivi per cui sono totalmente contro questo tipo di imposizione, in tanti e tante compagne nel tempo ci
si è espressi a riguardo, sia sulla impossibilità di difendersi decentemente e guardare in faccia i propri inquisitori,
ma soprattutto – cosa più importante – è trasformare questi momenti repressivi in momenti di lotta, di far trasudare
anche nelle loro aule lo spirito che ci pulsa dentro, di opposizione, di conflitto, di dignità politica ed umana, di
presa di parola.
E visto che proprio per queste occasioni, avevo preparato un testo di solidarietà internazionalista, spendo qualche
parola su questa situazione di censura e depoliticizzazione del processo. Cosa che non riguarda me, ma tutti i compagni
e compagne, tutti i detenuti e detenute in generale.
Sappiamo bene cosa sta avvenendo nel mondo della giurisprudenza e della giustizia borghese con l’introduzione della
tecnologia, conosciamo i responsabili materiali che permettono tutto questo, la cui videoconferenza è per certi versi
già antiquata, il futuro è molto più raccapricciante con l’introduzione dell’intelligenza artificiale. Basta leggere
giornali e riviste del settore per farsi un’idea del dibattito in corso a riguardo.
Visto che per questi processi non ho ancora potuto vedere di persona la mia avvocatessa di fiducia di Trieste, sarò
costretto a partecipare alla videoconferenza per interloquire con lei per alcune questioni tecniche. Fatto questo
dichiarerò quello che penso e accuserò la giudice di questa sua decisione impostale dal DAP, in poche semplici parole, e
me ne andrò.
Per essere chiaro questo avverrà in questi due processi al Tribunale di Trieste.
Il 10 gennaio invece mi era stata imposta la videoconferenza dal giudice Marco Tamburino di Trento, con delle scuse più
sottili. Vedremo se in futuro mi farà presenziare al processo per l’operazione “Senza nome” come da me richiesto tramite
avvocato.
18 gennaio 2024
Carcere di Sanremo, Luca Dolce detto Stecco
solidarietà agli imputati e alle imputate del processo Brennero
Il 5 marzo, la Corte di Cassazione si pronuncerà sulle condanne per il secondo troncone del processo per il corteo del
Brennero del maggio 2016. L'abbiamo già scritto tante volte, ma vale la pena ricordarlo: in quegli anni si assisteva
allo spostamento dalla rotta mediterranea a quella balcanica e nel 2016, per fermare i migranti che dall'Italia
provavano a raggiungere il nord Europa, l'Austria aveva deciso di costruire un muro al passo del Brennero, uno dei più
utilizzati. Il luogo non era certo dei migliori per organizzare un corteo il cui obiettivo era bloccare le vie di
comunicazione ("se non passano le persone, non passano nemmeno le merci"), ma in tanti e in tante siamo andate fino al
confine, a urlare con slogan e sassi che non avremmo lasciato che il muro venisse costruito impunemente. Nei mesi
precedenti e in quelli successivi sono state tante le azioni, più o meno incisive, con cui abbiamo ribadito da che parte
stiamo: al fianco di chi sceglie di fuggire da guerre, devastazioni ambientali e povertà. L'Austria ha poi rinunciato a
costruire il muro, ma l'attraversamento delle frontiere è diventato di anno in anno più difficile e letale. Oggi, con la
guerra in Ucraina e il massacro in atto in Palestina, il nesso tra guerra e frontiere è più evidente che mai e purtroppo
il significato di quella giornata di lotta è sempre più attuale. La guerra parte da qui: dai laboratori, dalle
industrie, dalle università della Fortezza Europa.Oggi come allora ci sono cose che ci risultano inaccettabili e abbiamo
l'esigenza quasi fisica di palesarlo: come era scritto nel testo di indizione del corteo "Provare ad abbattere le
frontiere è anche un impegno a non accettare l'inaccettabile. Un esercizio di etica del linguaggio, una pratica di
libertà, un incontro possibile tra compagni di rotta". I più di 130 anni di carcere con cui lo Stato vuole mettere a
tacere questo slancio di solidarietà non sono un peso solo per coloro che potrebbero vedere le loro condanne confermate
il marzo prossimo. Sono un'ipoteca sulla possibilità collettiva di lottare, non perché smetteremo di farlo, ma perché
quando il prezzo da pagare si alza sono meno le persone disposte a rischiare e questo costituisce un pericolo per la
libertà di tutti e tutte. L'unico modo per non farci schiacciare è continuare a tenere la testa alta, a dire forte e
chiaro quello che pensiamo e a comportarci di conseguenza. Intrecciare legami di solidarietà con coloro con cui
condividiamo le lotte e con coloro sui quali più pesano le conseguenze del capitalismo. Sabotare i piani di chi è
disposto a uccidere e sfruttare altri esseri umani e devastare il mondo in cui viviamo, spesso senza nemmeno sporcarsi
le mani, solo per mantenere in vita un sistema mortifero. Facciamo capire chiaramente che non ci faremo spaventare dalle
loro condanne, che le ragioni di quella lotta sono ancora le nostre, che non riusciranno mai a metterci a tacere perché
oggi lottare è un'esigenza imprescindibile. Che vogliamo restare umani. Sono tanti i modi per declinare la solidarietà a
chi era al Brennero quel 7 maggio: la lotta contro le frontiere è lotta contro la guerra.
Dal 26 febbraio al 5 marzo facciamo capire che chi lotta non è mai solo/a!
da il rovescio.info
Alla luce del sole, lettera dai domiciliari
Pubblichiamo una lettera che Luigi ha deciso di scrivere nonostante le restrizioni a cui è sottoposto, per amplificare
la sua voce. Luigi è attualmente agli arresti domiciliari per l'operazione dell'8 agosto 2023 che ha colpito la
redazione del giornale Bietzmotivny stampato a Carrara. Il processo per l'operazione è cominciato con la richiesta di
giudizio immediato per una compagna e tre compagni, ma le udienze per il momento hanno solo portato a rinvii. Il 21
febbraio la Cassazione ha confermato l'insussistenza di un associativo, ma le misure cautelari rimangono al momento
quelle dei domiciliari con tutte le restrizioni, ennesimo tentativo dello stato di silenziare il dissenso.
Avevo pensato, maldestramente, che la cosa si sarebbe prolungata per minor tempo. Eppure, vista l’ostinazione con cui lo
Stato vuole silenziarci (e velocemente condannarci), ho deciso di riprendere parola. Cosa saggia o meno poco importa.
D’altronde, difficile a dirsi se rinunciare (vuoi per costrizione o meno) a qualsiasi interazione con i propri affetti e
con la lotta sia cosa saggia.
Certo, ci sono tanti escamotage sicuramente più furbi rispetto a uno scritto firmato nome e cognome nero su bianco. Ma
c’è una cosa che non riesco a smettere di ritenere giusta: metterci la faccia. Sì, questa piccola ma profonda questione
per me è legatissima al quel che sono stati (e saranno) tutti i progetti editoriali o i momenti di agitazione che mi
hanno coinvolto in questi anni.
È quello che ardentemente ho sempre, personalmente, sostenuto. Dire chiaro e tondo che sostengo e condivido l’azione
diretta, esplicitando quello che secondo me è il metodo più congeniale per raggiungere l’azzeramento dei “valori” della
società borghese. Il metodo insurrezionale. L’attacco a uomini e strutture dello Stato e del Capitalismo.
Ecco, io non credo esistano anarchici che hanno paura di dire queste cose. Credo che sia l’essenza del rivoluzionario
stesso questa ostinazione, questa costante ricerca, di diffondere e fare emergere idee, per creare o sostenere
dimensioni di scontro sociale.
Il tentativo di definirci come organizzazione clandestina e terroristica fallisce non tanto nei fatti reali, come la
nostra appartenenza a un circolo anarchico estremamente pubblico, o per la redazione di un giornale che veniva
distribuito non certamente (e forse purtroppo) in segretezza negli spogliatoi di qualche fabbrica, ma fallisce e viene
demolito dal semplice fatto che gli anarchici, i rivoluzionari tutti in generale, le idee le diffondono alla luce del
sole. Non siamo una setta di ragazzotti che se la raccontano, siamo proletari e con altri proletari interagiamo,
diffondendo le idee che più ci paiono congeniali per la liberazione umana.
Privarci della disponibilità, quindi dei nostri libri e delle nostre sedi (che peraltro sono espressamente e
insistentemente APERTE a tutti, eccetto sbirri e padroni), ci rinchiuderebbe in un vortice di isolamento totale volto a
una forzata “clandestinizzazione” incapace poi di operare efficacemente, estraniando l’anarchismo agli occhi degli
sfruttati. Cosa che, a mio parere, abbiamo visto accadere e intensificarsi negli ultimi due decenni. Pericolosissima,
quindi, la chiusura.
In effetti, arrotolarsi le maniche e cacciare le zampe nel pastrocchio sociale odierno è cosa ben poco appetibile. Più
comodo, invece, raccontare a pochi eletti l’evoluzione di un pensiero, quale quello anarchista, destinandolo a perire
fra i dialoghi ebbri di tali esseri puri, ergendoli a unici addetti all’ingresso. Gli altri, i rozzi, i proletari, le
puttane, i poveracci, dal linguaggio sconcio, dalle manie poco corrette (sic) non meritano l’attenzione di queste
autoproclamatesi brave persone. Questa non è solo la morte dell’anarchismo, questa è la morte di tutti quei sogni di
liberazione che hanno sempre accompagnato gli esseri umani fin dall’esistenza di società autoritarie.
Per me, “Bezmotivny” è stato un tentativo, in questo senso, di uscire dalle atarassiche faccende domestiche e ritornare
nel fango della via. Un primo tentativo che non aspetta altro che superare i propri limiti.
Ovviamente, però, al di là delle singole idee espresse negli articoli, ciò che pesa forse in maggior modo è la scelta di
pubblicare le rivendicazioni di azioni dirette in Italia ma anche e soprattutto riguardo a fatti palesatisi in altri
paesi. Anche qui, si potrebbe dire, niente di poi così tanto strano.
È chiaro che un Pubblico Ministero di un certo prestigio come il Sig. Manotti ha approfittato della volontà di un gruppo
di compagni di non temere il sostegno all’azione diretta per, appunto, indicarli come appartenenti al cosiddetto
sodalizio terroristico che graviterebbe intorno alla tanto abusata dalla cronaca FAI-FRI. Per conto mio ho sempre ben
saputo che pubblicare una rivendicazione, sostenere la sua giustezza, ha una sua ripercussione (e sono false le moine
giornalistiche: i rivoluzionari sono sempre andati in carcere per i giornali, scritti, o articoli, non è mai stato
diverso da oggi, forse accadeva un po’ meno con la monarchia). Purtroppo per certuni anche dopo (seppur pochi) sei mesi
di domiciliari con tutte le restrizioni, questo di me non è cambiato. Ritengo ancora giusto pubblicare e diffondere le
azioni rivoluzionarie, lo ritengo giusto e quando mi sarà possibile continuerò a pubblicare giornali, opuscoli,
volantini, manifesti.
Continuerò a interagire con gli altri sfruttati, cercando di diffondere il più possibile anche solo l’idea della
giustezza della violenza rivoluzionaria.
Ciò che proprio non riesco a capire, o almeno non mi è così chiaro, è cosa pensano di fare con noi questi signori? Gli
anarchici, indipendentemente dal nostro stato di reclusione, continueranno a documentarsi, a stampare volantini e
giornali. E anche quando saranno costretti alla fuga, lo faranno nell’ombra. Quindi, mi vien da dire, teneteci pure
quanto vi pare. Questo non cambierà. Il paradosso è che con questo scritto con tutta probabilità (in quanto si tratta di
una violazione delle misure restrittive) mi troverò in carcere dove potrò scrivere a chi e quanto mi pare.
Detto questo, saluto col cuore tutti i disertori nel mondo e tutti i compagni in lotta contro la guerra. Viva la
rivoluzione! Viva gli anarchici!
P.S.: Occhio Manotti che in carcere potrei smontare una branda e costruire una Offset.
7 febbraio 2024, Luigi Palli
***
È tornato “Bezmotivny”! Numero speciale contro la repressione
Il nemico è in casa nostra, noi siamo in casa vostra: è tornato Bezmotivny!
Annunciato da uno squillo di pernacchie per il dott. Manotti e la triste coorte dei censori, in occasione dell’inizio
del processo contro Gaia, Gino, Luigi e Paolo, schivando come in una favola di natale i sicari di Erode, “Bezmotivny” è
tornato.
Questo numero speciale è innanzitutto una risposta alla repressione che vorrebbe mettere a tacere la nostra editoria,
frutto delle fatiche collettive di diversi anarchici in varie località. Perché perseverare nella propaganda anarchica
significa in primo luogo non fare passi indietro rispetto a chi vorrebbe tapparci la bocca, consapevoli che il terreno
che abbandoneremo oggi non sarà facile recuperarlo domani.
La volontà di far uscire un nuovo numero di “Bezmotivny”, però, non può essere ridotta a un mero fallo di reazione
rispetto alle iniziative repressive messe in atto dal nemico di classe; nasce piuttosto dal sentimento di attualità e di
continuità con la storia e le idee che hanno contraddistinto il quindicinale anarchico internazionalista. I venti di
guerra che sferzano in sempre più regioni del pianeta sembrano sussurrare che il capitalismo sta di nuovo per trascinare
l’umanità in una carneficina mondiale. Ci vogliono allineati, con l’elmetto in testa a gridare: signorsì!
Le voci dissenzienti devono essere messe a tacere, i giornali anarchici vanno chiusi, i prigionieri che continuano a
contribuire al movimento rivoluzionario vanno sepolti in 41 bis. La repressione non è altro che questo: la guerra del
fronte interno.
Come sempre disfattisti, sentiamo quanto mai attuale il percorso di “Bezmotivny”: internazionalismo, azione diretta,
solidarietà. (15 Gennaio 2024, da ilrovescio.info)
Un passaggio necessario
La lotta di Alfredo Cospito ha avuto il merito di rimettere al centro del dibattito e delle mobilitazioni le questioni
del 41bis e dell’ergastolo e la lotta per la loro abolizione, riuscendo a inquadrare il ruolo e le trasformazioni del
circuito carcerario -sistema di isolamento e annientamento per migliaia di persone- nello sviluppo delle contraddizioni
e della crisi del sistema capitalistico che impongono una progressiva accelerazione in senso securitario e reazionario.
Stiamo assistendo, oramai da decenni, ad una trasformazione organica del rapporto tra stato e società che rispecchi da
un lato le esigenze della riorganizzazione del lavoro -sfruttato, precario, pacificato- e dall’altro risponda alle
difficoltà di governare le contraddizioni sempre più esplosive della crisi sistemica del modo di produzione
capitalistico.
Tutto viene predisposto per mantenere la società violentemente divisa tra sfruttati e sfruttatori. L'intera società,
riassunta nei centri vetrina, nelle stazioni ferroviarie, nelle periferie ghetto e nei quartieri militarizzati, negli
aeroporti, nei centri commerciali, nelle carceri stracolme e nelle scuole aziendalizzate deve presentarsi come la
sovrastruttura, come il riflesso ideologico dello zero conflitto che la classe dominante cerca faticosamente di imporre
da decenni. La realtà è ben diversa, divisa com’è violentemente tra pochi sfruttatori e una massa sempre più grande di
sfruttati e sfruttate. Esiste una parte della popolazione inserita nel mercato del lavoro sempre più precaria e
sfruttata, e una massa di esclusi, che lo stato dei padroni usa come massa di ricatto verso gli occupati. Affinché le
lotte degli occupati e disoccupati non si uniscano lo stato da decenni porta avanti politiche di attacco al diritto di
sciopero e di manifestare, di esclusione, di tolleranza zero e di criminalizzazione. I media di regime assumono la
funzione di organi di propaganda per la legittimazione della guerra, della militarizzazione dei territori, del controllo
sociale e della repressione.
In questo scenario brevemente accennato, le carceri, essenza del monopolio statuale della violenza, diventano un modello
di riferimento da applicare alla vita sociale, per un controllo sociale sempre più capillare e asfissiante. Un monopolio
della forza che ha il suo apice nelle istituzioni totali e nel sistema penale che sposta sempre più il suo baricentro
contro il nemico interno, affermandosi sempre più come “diritto penale del nemico”, dove non sei più perseguito/a per
ciò che fai, ma per ciò che rappresenti.
In una fase in cui crisi e ristrutturazione delle filiere di produzione, guerra e impoverimento generalizzato, conducono
lo Stato e i suoi governi a intensificare processi di repressione penale e securitaria su tutti i piani sociali -dalle
fabbriche alle scuole, dai quartieri proletari alle fasce di popolazione ulteriormente marginalizzate, dal controllo
carcerario nei CPR fino al tentativo di sottomissione totale della forza lavoro più ricattabile, ovvero quella migrante-
l’emancipazione della classe degli sfruttati può concretizzarsi unicamente in tante lotte diverse che, però, abbiamo
come obiettivo ultimo il superamento del capitalismo nella sua accezione più generalizzata di sistema economico e
sociale.
Quando parliamo di classe, non possiamo commettere la leggerezza di rimanere vaghi: parliamo di detenuti e dei loro
familiari; parliamo della gente che vive nei quartieri popolari; parliamo delle fasce marginali di popolazione.
Dinanzi allo scenario descritto pensiamo sia necessaria la creazione di un soggetto nazionale che tenga su uno stesso
terreno, chiaro e ampio, di lotta, tutti e tutte. Una “rete” che sia un supporto e un riferimento per tutte le realtà
che vi aderiscono e che, pur mantenendo la propria autonomia politica organizzativa, si ritrovano su un’impostazione
comune che inizi a tracciare le basi e le coordinate adeguate, appunto, agli scopi che ci prefiggiamo. La costruzione di
una rete anticapitalista di solidarietà e di lotta, contro l’apparato repressivo dello Stato borghese, che ha nel
carcere la sua punta più avanzata, diventa sempre più urgente e necessaria. Una rete che sia capace nel suo divenire di
collegarsi con le realtà in lotta, esistenti o in formazione, sui vari terreni dello scontro, ma anche con quelle che
ancora non si distinguono con una chiara connotazione anticapitalista. Avere chiara la prospettiva della propria azione,
fa sì che si possa lavorare a tutte le alleanze possibili: tutte le rivoluzioni, o più semplicemente tutte le conquiste
avvenute anche sul piano economico e sociale, sono state possibili perché si è mossa una dimensione di massa di
lavoratori, di disoccupati, di studenti
Riteniamo necessario un intervento di questo genere a tutti i livelli. Sul piano della circolazione delle informazioni,
per comunicare efficacemente e in fretta, attraverso l'utilizzo di quegli strumenti come blog, siti internet e radio
indipendenti che in questi mesi hanno contributo a questo scopo, ma anche con la costruzione di altre piattaforme
esclusivamente a questo dedicate. Sul piano della messa in rete di riferimenti legali regionali, con avvocati
disponibili e mobilitabili sia per interventi professionali, militanti che di studio e analisi. Sul piano della
chiarezza di obiettivi di classe, con la costruzione di campagne di mobilitazione connotate in questo senso.
Rispetto all'intervento politico effettuato su ergastolo e 41bis nell'ultimo anno, andrà probabilmente sviluppato un
bilancio, finalizzato a cogliere le potenzialità non colte, gli errori, evitabili o meno, che sono stati commessi. Ma se
nella ricchezza della molteplicità di iniziative che si sono sviluppate, limiti ed errori sono stati fatti, questi sono
dipesi in larga parte dal fatto che i tempi non erano probabilmente maturi per la definizione di un piano politico-
organizzativo adeguato agli scopi che ci diamo, collettivamente condivisi, in cui tutti e tutte ci possiamo riconoscere.
Le campagne devono continuare, ognuna nelle direzioni che gli sono più consone, così come le assemblee cittadine e così
come tutti i luoghi fisici e culturali di lotta esistenti devono essere sostenuti però questo non basta dinanzi ad un
nemico che, nonostante le difficoltà a governare e gestire le contraddizioni capitalistiche, continua a garantirsi
profitti enormi sulle spalle degli sfruttati e delle sfruttate.
È evidente che, quando il potere innalza i suoi apparati repressivi, non è disposto a tornare indietro. Questo ci
costringe a misurarci con un nemico progressivamente sempre più forte. Basta, d'altronde, riflettere su come tutta la
legislazione speciale emanata negli anni Settanta non sia stata mai dismessa, ma anzi, lo Stato l’abbia rafforzata e
ampliata, fino agli ultimi “decreti sicurezza”, alle politiche di militarizzazione crescente e al controllo capillare
dei territori e dei quartieri metropolitani, sempre più videosorvegliati. Né passi indietro vengono fatti rispetto al
destino dei prigionieri politici degli anni Settanta e Ottanta, che ormai sono in carcere da più di quarant'anni (tre di
loro, da venti, nel regime torturatorio del 41bis).
In questo senso è fondamentale trovare degli strumenti per comunicare in maniera chiara ed efficace chi siamo e cosa
vogliamo, e questo significa avere connotazioni politiche precise, ma anche l'intelligenza di non precludersi nessuna
strada, e non sottovalutare nessun linguaggio. Se allo stato attuale non abbiamo la forza di mobilitare ampi settori di
classe, è fondamentale almeno la consapevolezza di star agendo sul lungo periodo, e la disponibilità a farlo con
continuità, in maniera organizzata, mettendo al centro ciò che ci unisce e non quello che ci divide, trovando nella
dialettica tra le varie posizioni la capacità di innalzare la nostra coscienza collettiva. Far avanzare questa
mobilitazione significa dal punto di vista pratico costruire passaggi estremamente concreti, e dal punto di vista
politico collegare, e far comunicare tra loro, carceri e periferie, fabbriche e scuole, università e piattaforme della
logistica, senza illusioni di semplicistici passaggi, ma con una chiara determinazione di prospettiva politica.
da FB Liberare Tuttə! Coordinamento contro la repressione e il carcere
Intervista a Domenico Porcelli da poco uscito dal 41 bis
Pubblichiamo la trascrizione dell’intervista a Domenico Porcelli dopo 5 anni in 41 bis di Radio Blackout, nel programma
Bello come una prigione che brucia del 5 Febbraio 2024.
B Radio Blackout, D Domenico Porcelli.
B: Come preannunciato siamo in collegamento con Domenico porcelli. Ciao Domenico.
D: Ciao Francesco, buongiorno a tutti gli ascoltatori collegati […] e anche a tutti quelli dalla Puglia e dalla
Basilicata
B: Per me è davvero un piacere poterti sentire, abbiamo parlato nei mesi precedenti più volte della tua lotta, del tuo
sciopero della fame. Oggi torneremo sul tema della lotta che hai portato avanti, ma vista la rarità di poter parlare con
una persona che può testimoniare concretamente che cosa sia stare all'interno di quella tomba per vivi che è il 41 bis,
ti chiederei innanzitutto di raccontarci com'è una giornata tipica in 41 bis.
D: Guarda Francesco, una giornata al 41 bis, chiamarla giornata è una parola grossa. Non si passano delle giornate, si
cerca di far passare il tempo, perché in un 41 bis non sei nulla. Non ci sono corsi, non ci sono scuole, non si possono
frequentare lavori, palestra, praticamente niente di niente. Poi sei sotterrato, riempito in quattro muri con il
televisore e basta. Non puoi fare nient’altro. A mala pena hai due ore d’aria dove cerchi di sfruttarle come puoi, al
meglio. Tutto lì. Sei in un tugurio, in un tugurio dell’inferno. Né più né meno.
B: Ci hai descritto in modo molto efficace come sia una non-giornata. A un certo punto tu hai scelto però di lottare con
uno sciopero della fame davvero lungo per far emergere la tua storia e probabilmente anche, immagino ecco, un modo per
riprendere in mano una resistenza che altrimenti perde di senso in quel contesto. Che effetto ha avuto lo sciopero della
fame nella tua vita e anche nel rapporto con il carcere e con i carcerieri?
D: Beh innanzitutto con i carcerieri, eh, mi davano del pazzo perché comunque i casi, si entra in un circolo vizioso
dove magari cominci a perdere le speranze, cominci a perdere qualsiasi cosa. Quindi qualsiasi iniziativa che fai non va
bene. Perché tanto non ti ascolta nessuno. Perché quando sei lì dentro sei una persona invisibile, sei una persona
inesistente. Quindi, se uno fa uno sciopero della fame, chi vuoi che ti senta, chi vuoi che ti ascolti. Quindi tutti
quanti mi dicevano che era inutile. Però purtroppo devi credere in qualcosa e quindi io creduto in questa cosa, in
questa lotta e l'ho cercata di portare avanti nel miglior modo possibile, senza che venisse strumentalizzata e però con
dei giusti valori.
B: Tra l'altro appunto come dicevi tu, il fatto che la stessa struttura del carcere e i carcerieri ti dicano che non ha
senso, e che [sarebbe ancora più difficile n.d.r.] senza delle coincidenze, che qualche realtà ti supporti, che
amplifichi la tua voce all'esterno, come è successo con il nostro compagno anarchico Alfredo cospito, come è successo
anche per te adesso che la tua storia è riuscita comunque a emergere rispetto ad altre. Mi viene in mente che sono morte
quattro persone in sciopero della fame nel 2023/24 nelle carceri italiane. Qualcosa che forse varrebbe la pena di
ricordare allo Stato. Ecco, i secondini, i carcerieri in 41 bis, sono dei secondini particolari, che cosa caratterizza
appunto il loro comportamento, il comportamento del G.O.M. della polizia penitenziaria all'interno del 41 bis rispetto
ai circuiti comuni?
D: Guarda questo, come l’hai chiamato tu G.O.M. è proprio un gruppo, Gruppo Operativo Mobile che è stato creato proprio
per il 41 bis. Vengono veramente addestrati a distruggere psicologicamente e fisicamente i detenuti. Vengono addestrati
a come insultare, come stuzzicare i detenuti per far sì che, oltre alla loro condanna, possano prendere altri processi
per minacce, per lesioni, qualsiasi cosa insomma. Loro devono cercare il modo di farti impazzire lì e questo è il
problema, la differenza fra i secondini dei [detenuti n.d.r.] comuni, dell'alta sicurezza e quelli del 41 bis. Non hai
vita lì dentro, sei solo uno che deve essere portato d'impazzire.
B: Quindi sostanzialmente non hai contatti con altri esseri umani, gli unici esseri umani con cui sei costretto a
relazionarti sono questi secondini addestrati per essere il più ostile possibile. Quindi una delle conseguenze, ma tra
l'altro una delle conseguenze studiate scientificamente, proprio dal 41 bis, è la privazione delle relazioni, la
possibilità di parlare normalmente con altri esseri umani. Tu sei stato appunto 5 anni all'interno di un contesto di
questo tipo. Rendiamocene conto. Se riuscissi a ricordarti ecco più o meno come è stato il processo di trasformazione di
questa tortura che è il 41 bis sulla tua individualità, dopo quanto tempo ti sembra che iniziano a farsi sentire,
iniziano a farsi sentire veramente gli effetti della privazione delle relazioni come effetti sulla mente e sulla
personalità?
D: Guarda Francesco, quello che ti può sembrare sbalorditivo è il fatto che quando entri lì dentro, per le prime
settimane, non riesci a renderti conto di dove ti trovi. Però dopo un po’ di settimane che cominci a renderti conto, ti
rendi conto che non hai vita e alla fine cerchi di capire il perché ti trovi là. Soprattutto con quali motivazioni,
perché oggi andare a finire nel 41 bis può sembrare una cosa incredibile, ma ci possiamo andare a finire tutti quanti
oggi al 41 bis. Non è vero quello che dicono che ci vanno a finire le persone peggiori. Anzi, io ti dico che oggi in 41
bis ci vanno a finire proprio le persone che non sono le peggiori, in quanto sono le più deboli e che possono essere
manipolate. Perché ormai oggi il 41 bis, ce l'hanno fatto capire in tutte le salse, non è altro che una fabbrica di
falsi collaboratori di giustizia. Perché oggi se non fai il collaboratore, il falso collaboratore di giustizia, tu non
esci dal 41 bis. Quindi non prendiamoci in giro, anzi non facciamoci continuare a prendere in giro.
B: Guarda sei stato veramente chiaro, è come anticipato proprio un punto sul quale ti avrei chiesto una riflessione,
perché appunto la fabbrica di pentiti è una dimensione del 41 bis. Tra l'altro una dimensione che ne sottolinea anche la
qualificazione in forma di tortura, perché infliggere sofferenza psicofisica a una persona in cambio di una confessione
vera o falsa che sia, è una forma di estorsione e l'estorsione è proprio uno degli elementi che caratterizza la tortura
in sede internazionale, come definizione. Tra l'altro un altro elemento che è capitato di sottolineare soprattutto nei
tuoi scritti è l'impossibilità di fatto di ottenere una revoca del 41 bis.
D: Sì ma guarda Francesco, io rimanevo sbalordito, ne parlavo con i miei avvocati. L'avvocato Pintus che comunque è una
storica sulle discussioni del 41 bis e altrettanto con l'avvocato Lauria. Noi cercavamo di far capire che tutte le
motivazioni che mi avevano portato al 41 bis erano tutte menzogne e a prescindere da quello che dicevo io, che comunque
ero l'imputato e comunque per il codice penale e il codice di procedura penale, l'imputato non ha l'obbligo di dire la
verità e quindi poteva essere anche non credibile. Quando noi presentavamo le carte dove dimostravamo che tutto quello
che avevano scritto nel rinnovo, nella richiesta del 41 bis era tutto falso - cioè il tribunale di sorveglianza di Roma
è solo un passacarte, cioè non leggevano le carte - non si rendevano conto che tutto quello che presentavamo noi, era
tutto scritto. E addirittura carte che uscivano dal ministero della giustizia e che non potevano essere false, ma loro
invece non se ne sono fregati di niente e quindi hanno continuato a mentire sulla menzogna. E questo si fa solo per un
motivo, perché si deve pagare, come diceva un carissimo amico mio che oggi è in ascolto, far pagare una pena nella pena.
E questo credo che non sia veramente per un paese democratico.
B: Allora, io spero che questa riflessione molto lucida, molto puntuale che stai condividendo si unisca come pezzettino
di critica contro qualcosa che dovrebbe veramente essere demolito, come il 41 bis. Ma dal piano del conflitto in qualche
modo e dell'analisi, vorrei tornare ancora un secondo su che cosa faccia concretamente questa forma di tortura alle
persone che imprigiona, che seppellisce di fatto, perché in generale dopo 5 anni una persona di solito cambia
profondamente, cambia profondamente anche nella vita normale cosiddetta all'esterno, perché si cresce, ci si trasforma e
si cambiano interessi eccetera... 5 anni però in un contesto di tortura psicofisica quotidiana penso ti cambino molto di
più, o quantomeno in un modo quasi scientificamente studiato. Appunto pensiamo alla privazione di spazi, la privazione
di orizzonti anche sensoriali, di poter vedere delle distanze diverse, di poter conoscere persone, di poter vivere degli
imprevisti e via dicendo… ecco quali cambiamenti ti sembrano più difficili da invertire, quali sono le difficoltà, se
ancora ne provi ecco dopo qualche mese di fuoriuscita da questo circuito nella tua quotidianità?
D: Guarda Francesco, io per quanto riguarda gli spazi, oggi io cerco di prendermi tutti gli spazi possibili e
immaginabili, tutti gli spazi che non ho avuto in questi 5 anni. Per quanto riguarda invece le relazioni con le persone,
credimi, è una cosa veramente difficile. Io ancora oggi e dopo tre mesi dalla mia uscita da quell'inferno, non riesco
ancora a relazionarmi con le persone in un modo adeguato. Ho sempre quell'immagine di quelle persone, di quei discorsi e
quindi credimi, è veramente difficile. Spero quanto prima di poter riprendere il cammino lasciato e la vita lasciata 5
anni fa.
B: Eh guarda, noi non possiamo che augurarti e sia a te su sia tutte le altre persone che stanno vivendo una tortura di
questo genere, di poter riprendere in mano la propria esistenza. Rendiamoci però conto, partendo da quello che ci stai
dicendo, le cicatrici anche non fisiche, delle cicatrici che lascia un tipo di tortura di questo genere nelle persone
che vi sono sottoposte. Se non hai altre riflessioni da condividere e ovviamente hai tutto lo spazio che vuoi per farlo,
passerei poi a una canzone che ci avevi proposto. Però prima ti chiedo appunto se vuoi aggiungere qualcos'altro
D: Guarda ci sarebbe da fare un'intera giornata sul 41 bis. Però credo che per oggi basta così, perché poi credo che tu
sappia che la mia lotta sta andando anche oltre una semplice giornata di podcast e quant’altro. Mi sto muovendo con i
miei legali proprio per l'abolizione di questo 41, perché credo che vada abolito, non sono più gli anni di piombo del
92-93 e quindi non credo che oggi ci sia più motivo di esistere per questo 41.
B: Sì, è retaggio di una dimensione militare che come raccontavi tu è assolutamente obsoleta. Sappi però appunto che al
di là della diretta di oggi, noi siamo sempre lieti di contribuire alla lotta contro un regime di tortura, quindi in
qualunque altra occasione tu voglia ricontattarci, per noi sarà esclusivamente un piacere darti voce.
D: E per me sarà un piacere essere ascoltato, essere sui vostri canali.
B: Grazie ancora, senti appunto raccontaci un po’, presentaci questa canzone, dici qualcosa di questa canzone che
ascolteremo dopo averti salutato.
D: Questa canzone nasce dopo l'omicidio di Giulia Cecchettin, perché oramai questo fenomeno dei femminicidi, guarda, è
una cosa che non se ne può più. Io penso, io essendo padre di una figlia, penso, un genitore quando la figlia esce di
casa con la sola paura di non poterla più riabbracciare, allora veramente qua ci dobbiamo fermare un attimo e cominciare
a capire e a far capire che qui ci sono gli uomini e dobbiamo veramente distinguerci da questi qua. Questa canzone nasce
insieme a un ragazzo veramente eccezionale, Raguel. La canzone si chiama “Par na minacc (sembra una minaccia)” e quindi
consiglierei a tutti quanti di andarla ad ascoltare, di fare le proprie valutazioni ed eventualmente di prendere atto di
questo fenomeno qui.
B: Domenico, ti ringrazio ancora e ci salutiamo sulla sulle note di questa canzone a presto un abbraccio.
D: Grazie a tutti buona giornata.
***
Per continuare a parlare di 41 bis, riportiamo le dichiarazioni lette in aula da un compagno (Michael) e una compagna
(Maya) accusati di Manifestazione non autorizzata per un presidio a gennaio 2023, in sostegno ad Alfredo Cospito in
sciopero della fame. Le dichiarazioni hanno voluto ribadire la solidarietà ad Alfredo, e a tutte le persone rinchiuse in
41 bis.
Oggi sono qui, accusata di essere fra gli promotori di una manifestazione non autorizzata in solidarietà al compagno
anarchico Alfredo Cospito avvenuta il 28 gennaio 2023 a Lecco.
In quel momento Alfredo era in sciopero della fame dal 20 ottobre 2022, contro il regime di 41 bis a cui era stato
sottoposto dal maggio 2022.
Non mi compete e non mi interessa l’esito dell’accusa di cui sopra, mi preme invece affermare, oggi come allora, la mia
solidarietà alla lotta di Alfredo contro il regime di tortura legalizzata in cui è tutt’ora rinchiuso.
In quell’occasione sono scesa in piazza, ho parlato e ho volantinato, come in molte altre occasioni, in altre città, in
presidi e cortei.
Ho espresso la mia preoccupazione per la vita di Alfredo, trasferito due giorni dopo dalla sezione 41 bis del carcere di
Bancali (SS) al reparto sanitario 41 bis del carcere di Opera (MI), a causa dell’aggravamento delle sue condizioni di
salute.
Ho preso posizione contro il regime di detenzione in cui, lui e molti altri prigionieri, si trovano, un regime dove la
vita è deprivata della vita stessa: ogni momento della giornata è regolamentato e monitorato dai carcerieri; si ha una
sola ora d’aria al giorno dove la socialità è condivisa con altre massimo 3 persone scelte dal carcere; si possono
tenere solo un massimo di 4 libri in cella e i giornali e la posta vengono censurati; non c’è possibilità di vedere il
cielo, perché le finestre hanno le bocche di lupo, o di toccare un filo d’erba, perché il passeggio è in uno spazio
angusto con alte mura e fitte grate sopra; si hanno i colloqui con i familiari solo per un’ora al mese, ma senza nessun
contatto umano o affettivo, il vetro divisorio e il citofono impediscono abbracci o anche solo una carezza; per non
parlare dello spazio in cui si trascorrono 23 ore della giornata, stanze di 3,5 m x 1,5 m, con branda, sedia, tavolino e
wc, non c’è spazio per muoversi o camminare.
Di fronte a questa tortura della deprivazione sensoriale, psicologica, culturale e affettiva come non esporsi con la
propria persona contro il regime di tortura del 41 bis?
Io oggi come ieri continuo a portare con la mia voce, i miei pensieri e le mie azioni questa lotta di giustizia sociale,
in solidarietà ad Alfredo e a tutti coloro che ancora subiscono quel regime. Oggi come ieri ripeto: fuori Alfredo dal 41
bis, fuori tutti/e dal 41 bis.
***
Voglio prendere parola in questo processo per continuare a contribuire al dibattito che lo sciopero della fame di
Alfredo Cospito ha creato lo scorso anno, riportando anche in questi luoghi, come i tribunali, il discorso sui regimi
carcerari di tortura che lo Stato italiano utilizza.
Per prima cosa voglio sottolineare che Alfredo si trova ancora oggi in quella mordacchia medievale del 41 bis, e il mio
pensiero non può che andare a lui anche in questo momento.
Quindi, visto che mi si processa perché il 28 gennaio 2023 ho deciso di scendere in piazza a Lecco, insieme a decine di
altre persone, per portare solidarietà e vicinanza ad Alfredo, allora già in sciopero della fame da oltre 100 giorni, e
a quelle oltre 750 persone che vivono sulla propria pelle il regime di tortura del 41 bis, mi sembra giusto riportare
anche in quest’aula ciò che ho detto da un megafono quel giorno in piazza.
Alfredo è un compagno anarchico rivoluzionario, che ha deciso, dal 20 ottobre 2022, di intraprendere uno sciopero della
fame ad oltranza per la declassificazione dal 41 bis dopo aver vissuto sulla propria pelle l’orrore di questo regime. La
sua lotta ha svegliato chi, per anni, non si è accorto di quello che avveniva nelle segrete di stato del 41 bis. Anche
solo per questo non posso che ringraziarlo della sua indomita passione per la libertà. Ha intrapreso questa lotta
innanzi tutto per sé stesso; tuttavia, da anarchico, ha voluto anche portare la sua lotta personale sul piano politico,
scoperchiando il vaso di Pandora di questa forma di tortura legale italiana a nome di tutti i detenuti nella sua stessa
condizione.
Ma cos’è il 41 bis?
Il 41 bis è un regime carcerario adottato nel 1992, come provvedimento temporaneo e di carattere emergenziale, a seguito
delle stragi mafiose di quegli anni. Col tempo lo stato italiano lo ha risistemato a suo piacimento, ampliandone
l’applicazione a molte categorie di prigionieri. Il 41 bis, caso forse unico nel mondo, è uno strumento di tortura
decretato per legge. Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, in accordo con la procura Antimafia e il
Garante per i detenuti, regolamenta la vita delle prigioniere e dei prigionieri entrando in ogni istante della loro
giornata; isolamento totale per 23 ore al giorno, 3-4 libri al massimo da tenere in cella, una sola ora di colloquio al
mese solo con i familiari dietro un vetro divisorio e parlando con un citofono, censura della corrispondenza, divieto di
ricevere informazioni sui propri interessi o sul proprio territorio addirittura dai quotidiani (gli articoli “non
adatti” vengono ritagliati dalle guardie), e molto altro. Queste restrizioni nulla hanno a che fare con questioni di
sicurezza: rappresentano invece delle vessazioni gratuite, la vendetta dello stato. In pratica si vuole seppellire vivo
il prigioniero, annichilendolo e umiliandolo. Contro tutto questo Alfredo ha lottato con l’unico mezzo che gli rimaneva,
il proprio corpo.
Citando Alfredo:
«La mia lotta contro il 41 bis è una lotta individuale da anarchico, non faccio e non ricevo ricatti. Semplicemente non
posso vivere in un regime disumano come quello del 41 bis, dove non posso leggere liberamente quello che voglio, libri,
giornali, periodici anarchici, riviste d’arte e scientifiche e di letteratura e storia. L’unica possibilità che ho di
uscire è quella di rinnegare la mia anarchia e vendermi qualcuno da mettere al posto mio. Un regime dove non posso avere
alcun contatto umano, dove non posso più vedere o accarezzare un filo d’erba o abbracciare una persona cara. Un regime
dove le foto dei tuoi genitori vengono sequestrate. Seppellito vivo in una tomba, in un luogo di morte. Porterò avanti
la mia lotta fino alle estreme conseguenze, non per un “ricatto” ma perché questa non è vita».
Per tutto questo, a prescindere da quello che si deciderà in questo processo, continuerò a portare le mie idee e la mia
parola nelle strade e nelle piazze.
Per la liberazione di Alfredo Cospito. Per l’abbattimento del regime di tortura del 41 bis.
Contro ogni galera.
Lettera dal carcere di Opera (MI)
Il mio amico Antonio ha ricevuto il libretto nuovo con il suo articolo dentro, bello grazie. Qui è la solita vita, si
cerca di far passare le giornate, ma tutto sommato se sai farti la galera riesci a gestire qualsiasi cosa, fidati. Figa,
lo sai due settimane fa c'era un mio amico che stava male, aveva la sua età più o meno 52 anni. Diceva da tre giorni
alle guardie che stava male e non lo ascoltavano. Il primo giorno ha chiesto il tampone covid, non hanno avuto tempo di
farglielo, il terzo giorno è uscito dalla cella, stava cadendo a terra, per fortuna l'abbiamo preso al volo e l'abbiamo
portato in infermeria subito, dopo mezz'ora era incubato al centro clinico per colpa di chi non ha ascoltato. Purtroppo
pace all'anima sua (Lucino). Dopo tre giorni poverino è morto. Era un mio grandissimo amico, lo conoscevo almeno da otto
anni, una bravissima persona. E’ stata una botta terribile per me, è un periodo bruttissimo. Natale e Capodanno li ho
passati a mangiare patate lesse e scatoletta dei cani, figa. Sono ridotto male ma l'importante è che mi sono ripreso al
95%, terapia zero, niente, sto facendo il bravo giovincello da 6 mesi, “perfettino”.
La relazione interna ed esterna tramite educatrice e psicologa del carcere è positiva [...]
Comunque proprio oggi è successa un'altra disgrazia. La seconda in due settimane. A due miei amici gli è scoppiato il
fornello addosso, uno si è bruciato le gambe e l'altro è in ospedale. È messo molto male. Pensa cosa succede in questo
carcere di merda, avere paura di fare un caffè.
Ieri mi è arrivata la lettera raccomandata più brutta della mia vita. Anche se all'inizio non mi ha scosso, poi sono due
giorni che non dormo. E’ morto mio papà, pace all'anima sua. Mi sono tagliato il collo, ho messo 8 punti e adesso devo
convivere con il rimpianto di non averlo vissuto come avrei voluto [...] ora posso dire sono solo e nella merda totale.
Mi hanno rigettato il 30 OP per andare al funerale perché è troppo distante, sono 500 km. Niente, un altro problema
grande con cui convivere in carcere.
21 gennaio 2024
Fabio Londero, Via Camporgnago 40 - 20141 Opera (Milano)
Se io non torno, brucia tutto
Comunicato dei lavoratori GKN
Ci giunge questa notizia: 2 operai morti e 6 dispersi nel crollo di un cantiere nella costruzione di un nuovo
supermercato in via Mariti a Firenze. Sgomento. Rabbia. Dolore. Come quando sai che si cade ma ora hai avvertito forte
vicino a te il rumore del tonfo.
Come quando sai che ovunque si muore ma ora il sangue è lì a due passi da te.
3 morti al giorno di media. Lo sapevi che doveva succedere di nuovo, lo sapevi. Perché è una guerra e in guerra si
muore.
Che sarebbe successo lì no. E ora provi questo sgomento. Un misto tra un dolore atroce e la vergogna per tutte le volte
che hai dovuto usare queste stesse identiche parole. Che nel momento in cui vengono pronunciate, già si vergognano di
sè: perchè l'unico fatto è che si continua a morire, qualsiasi sia oggi la formula del tuo dolore.
Ed in fondo è solo colpa nostra. Colpa nostra che lo permettiamo. Che non siamo stati in grado di imporre nuovi rapporti
di forza. E allora: allora loro devastano le nostre vite. Con il lutto, con la precarietà, non pagandoci, speculando
ovunque sul nostro territorio, con l’inflazione da profitto, bucando territori ovunque, coinvolgendoci in nuove guerre
come carne da macello o da propaganda, togliendoci la verità e sostituendola con narrazione tossica. Vita che se ne va.
Di colpo o gradualmente, vita che se ne va.
Abbracciamo forte i cari, perché sono parte della nostra famiglia.
Non permettiamo che il rito prenda il sopravvento sul dolore reale.
Che sia sciopero generale. Che non si provi a balbettare, esitare, sciopero generale. #insorgiamo
Collettivo Di Fabbrica - Lavoratori Gkn Firenze
LA PIENA È PASSATA?
Segue il testo del volantino distribuito in piazza a Forlì mercoledì 17 gennaio, durante il presidio di alcuni comitati
degli alluvionati contro la visita di Giorgia Meloni e Ursula Von Der Leyen, ricevute nella sala comunale per una
conferenza stampa, in cui hanno promesso l’arrivo dei finanziamenti europei del Pnrr per la pretestuosa “ricostruzione”
delle infrastrutture nei territori colpiti dall’alluvione del maggio scorso (teoricamente stiamo parlando di opere di
ripristino della viabilità e di cosiddetta “difesa idraulica”). Ore prima a Bologna era stato siglata, a tal proposito,
la firma dell’accordo per lo Sviluppo e la coesione tra il governo italiano e la Regione Emilia Romagna, alla presenza
del presidente della regione, Stefano Bonaccini. In una piazza forlivese blindata all’inverosimile, transennata da tutte
le parti e con un numero spropositato di mezzi antisommossa, celerini e digossini, e di auto blu al seguito del capo del
Governo, molti i cori delle persone alluvionate, che aspettano ancora i risarcimenti promessi da maggio dal governo,
contro questa ignobile passerella elettorale, il tutto condito con qualche bestemmia in romagnolo. Ad 8 mesi di
distanza, nel forlivese e non solo, sono ancora diverse le persone che non possono rientrare nelle loro case, e che sono
ospitate da amici o, a spese loro, in qualche camera di albergo.
Oggi, mercoledì 17 gennaio 2024, nella sede comunale di Forlì, Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, incontra Ursula
Von Der Leyen, presidente della Commissione europea, per una conferenza stampa sul Fondo europeo di solidarietà, i cui
finanziamenti dovrebbero servire a ricostruire parte delle infrastrutture delle zone colpite dalle alluvioni del maggio
2023. Saranno presenti vari esponenti del governo e pare anche il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini,
alla guida di una delle regioni più cementificate d’Italia.
Questo a 8 mesi di distanza dall’alluvione di maggio.
A prescindere da quella che sarà la destinazione dei soldi promessi, se arriveranno e soprattutto a chi arriveranno, la
vera notizia è un’altra. Otto mesi fa, nell’immediatezza del disastro, Meloni non aveva avuto il coraggio di farsi
vedere a Forlì, forse per paura di proteste troppo veementi, preferendo passerelle in qualche paesino defilato. Oggi
invece si sente abbastanza coraggiosa da affrontare la piazza romagnola. La piena della collera popolare è già passata?
Meloni, Von Der Leyen, Bonaccini, questi personaggi espressione dei poteri locali, nazionali e sovranazionali si fanno
vedere in questo momento, perché ci saranno tra qualche mese le solite scadenze elettorali (ce ne sono sempre): europee
ed amministrative. Sperano che millantare successi inesistenti sulla “ricostruzione” post-alluvione possa portare voti.
Durante l’alluvione in Romagna abbiamo visto una totale impreparazione e sostanziale inutilità dello Stato italiano, dal
centro alla periferia. Non è una questione di destra o sinistra; comuni retti da giunte dell’una o dell’altra fede
politica, laddove i territori che amministrano sono stati sommersi da acqua fango e frane, hanno agito (tardi) allo
stesso modo e con gli stessi risultati.
Abbiamo detto inutilità? Rettifichiamo… l’utilità degli apparati statali è stata quella di opporre stupide limitazioni
all’ingresso dei volontari nelle zone allagate e, come abbiamo registrato in diversi casi, ritardare o interdire
l’accesso alle strutture di prima accoglienza alle persone sfollate. Queste, specialmente all’inizio, sono state ovunque
abbandonate e per uscire dalla situazione che le aveva colpite han dovuto fare l’unica cosa saggia che c’era da fare:
rimboccarsi le maniche e fare da sé. Il lavoro dei volontari, spesso spontaneo e noncurante dei divieti imposti dalla
Protezione civile, ha fatto il resto. Il che dimostra che l’organizzazione dal basso è sempre la via migliore; che non
solo si può fare a meno dello Stato ma che SI DEVE, perché laddove non è IL problema (e sovente lo è) è comunque un
impiccio o un ostacolo.
Non saranno comunque gli interventi e le opere finanziate con i soldi europei a darci la sicurezza che non si ripetano
ancora frane e alluvioni. Si compatteranno argini e strade coi fanghi della precedente alluvione, si faranno lavorare le
imprese amiche, ed intanto si continuerà ad abusare del territorio come prima, più di prima. A Faenza, ma non solo, si
stanno già mettendo in vendita come edificabili i terreni alluvionati. Gli speculatori sono già al lavoro, le imprese
non smetteranno di inquinare, il cemento di riversarsi sulle zone che ancora ne sono sgombre, e la politica darà il suo
avvallo come sempre. Basta guardare al distretto commerciale “Formì” di fronte al casello dell’A14 di Forlì, al progetto
del metanodotto della linea adriatica Snam in Appennino, in zone sismiche e a rischio frana, o al nuovo mega-polo di
Amadori a San Leonardo a Forlimpopoli, che scaricherà altro cemento (65mila metri quadri per 8 piani di altezza).
Lo abbiamo detto più volte e lo ripetiamo: quella che stiamo vivendo non è una naturale fase ciclica, il cambiamento
climatico è indotto dal nostro impatto sul pianeta. Quest’impatto si chiama capitalismo. Per la sete di profitto dei
padroni, stiamo permettendo che il mondo che abitiamo si inabissi.
Ci sarebbe poi altro da dire: di fronte all’allargamento della guerra globale ad intermittenza, che dall’Ucraina alla
Palestina, passando per il Mar Rosso e per i paesi del Medio Oriente, sta muovendo i suoi passi in direzione della
catastrofe planetaria e dello scontro tra superpotenze, con lo spettro nucleare come possibilità più che immaginaria,
appaiono ridimensionarsi le recriminazioni di chi – pensiamo alle medie e grandi imprese – lamenta di aver “perso tutto”
con l’alluvione. Non stanno forse perdendo tutto le popolazioni di Gaza sotto le bombe e l’assedio dello Stato
israeliano? Ricordare anche le complicità delle istituzioni che Meloni e Von Der Leyen rappresentano nel genocidio che
si sta compiendo a Gaza è esercizio troppo radicale? É forse troppo ricordare il continuo invio di armi, che sta
alimentando le guerre tuttora in corso nel mondo, da parte dell’Italia e degli altri stati europei? Per noi questi due
aspetti – la distruzione del territorio e dell’ambiente (che genera calamità) e il fenomeno della guerra (che produce
morte) – sono legati indissolubilmente e fanno capo alla concezione capitalistica del mondo contro cui lottiamo.
Non siamo tuttx sulla stessa barca! Lo si è detto durante il periodo pandemico, quando il divario tra ricchi e poveracci
si è fatto più grande e le aziende hi-tech hanno raggiunto profitti da capogiro, ma evidentemente è necessario ribadirlo
anche adesso. Tra chi ha “perso tutto” durante l’alluvione noi facciamo una enorme differenza tra possidenti e
poveracci. Del resto è la stessa differenza che fanno le istituzioni, dimostrato dal fatto che alle persone alluvionate
sono arrivati meno della metà dei risarcimenti promessi, briciole! Loro stanno con i ricchi, noi coi poveracci; loro
stanno con i padroni, noi con coloro che vengono sfruttati da quelli; loro stanno con le imprese devastatrici
dell’ambiente e con le lobby del cemento, noi con chi alloggia nelle case popolari e si ritrova ancor’oggi col fango
nelle cantine e nei corridoi; loro con le ditte che fabbricano armi, noi con i disertori di tutte le guerre e con chi
resiste all’oppressione. Se i ricchi, i padroni e i possidenti un bel giorno perdessero tutto, ne saremmo davvero
felici.
Anarchici e anarchiche
Equal Rights Forlì
da piccolifuochivagabondi.noblogs.org