indice n.153

un appello alla mobilitazione Dai portuali di Genova
Sciopero dei detenuti nelle carceri dell'Alabama
Uno sciopero della fame a oltranza per la libertà di tutte e tutti
Lettera dal carcere di Massama (OR)
41bis: quando lo stato di eccezione diventa norma
Lettera dal carcere di Secondigliano (na)
Testo di solidarieta’ dai membri della Lotta Rivoluzionaria
Da una lettera dal carcere di Civitavecchia (RM)
lettere dal carcere di torino
16 GENNAIO: MOBILITAZIONE PER LA LIBERTÀ DI LINA PINTO
basta licenza speciale per circa settecento persone (semiliberi)
MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO
Lettere dal carcere di Milano-Opera
Lettera dal carcere di Viterbo
Sulla sentenza contro il Comitato Giambellino-Lorenteggio


un appello alla mobilitazione Dai portuali di Genova
Negli anni scorsi, nel porto di Genova, una mobilitazione partita dai lavoratori del porto ha impedito l’imbarco di
materiale bellico diretto in Arabia Saudita e destinato alla guerra in Yemen. Analoghe manifestazioni a sostegno del
blocco del traffico di armi si sono tenute in altri porti europei contro le navi della compagnia saudita Bahri, che
rifornisce d’armi e mezzi militari tutto il Medio Oriente. Ma anche mobilitazioni contro produttori di armi, contro la
costruzioni di nuove basi militari, contro treni e aerei che oggi riforniscono conflitti accesi per puro interesse
economico e geopolitico.
Sono conflitti sanguinosi che mietono vittime giornalmente, devastano territori, alimentano la crisi climatica e
ambientale, spingono migliaia di persone ad abbandonare i loro paesi per emigrare.
Oggi siamo a un anno dall’inizio della guerra tra Russia e NATO per procura in Ucraina, guerra che non accenna a trovare
una soluzione.
Uno scontro iniziato nel 2014 da parte dell’Ucraina verso le zone del Donbass, che ha provocato decine di migliaia di
vittime di cui nessuno parla, sfociando in un conflitto allargato nel febbraio del 2022 e che oggi rischia di arrivare
ad un escalation nucleare.
Il conflitto avviene nel cuore dell’Europa, un conflitto in cui l’Italia è attivamente coinvolta con invio di armi e non
solo. Una guerra che ha delle cause che vanno al di là delle cose che vengono propagandate.
Una guerra che ci racconta come il capitalismo a guida dell’Occidente e degli USA in particolare sia in profonda crisi
che si trasforma in aggressioni militari sempre più aperte.
In cui non si esita di fronte a nulla, sacrificando i popoli coinvolti nascondendo però i veri obiettivi, inventando
scontri di civiltà laddove esiste innanzitutto uno scontro per l’egemonia economica, per la supremazia mondiale sullo
sfruttamento dell’intero pianeta.
Il complesso militare industriale è tra i molti responsabili di questa escalation, quello almeno che ci guadagna di più,
agendo in combutta con governi sempre pronti ad approvare politiche di saccheggio sulle risorse naturali in varie zone
del mondo.
Governi che nell’Unione Europea agiscono come burattini proni ai diktat USA nell’inviare armi in Ucraina per far
continuare il conflitto, armi sempre più potenti (ultima la richiesta dello scudo antimissile).
In Italia il Governo Meloni continua la politica “filoatlantista” del Governo Draghi dimostrando che non esiste nessuna
possibilità né volontà di disubbidire a una politica sanguinosa e fallimentare anche per lo stesso futuro della UE.
I lavoratori e gli sfruttati di ogni paese non hanno nulla da guadagnare. La guerra non è soltanto un enorme macello per
i popoli ma porta con se anche devastazione sociale, tagli di risorse per il lavoro e per il welfare per sostenere le
spese militari.
Porta ad aumenti delle tariffe che si scaricano sulle popolazioni mentre le speculazioni sui prezzi fanno lievitare i
profitti di pochi soggetti economici. Risorse pubbliche a favore della guerra, tolte a quelle che sono le richieste dei
lavoratori come il riconoscimento dei lavori usuranti o gli aumenti salariali in base anche all’aumento dell’inflazione.
O come le risorse negate al “reddito di cittadinanza” e la “disoccupazione”.
Soldi che vengono meno per la pubblica istruzione o la pubblica sanità. Fermarli però è possibile cominciando dai nostri
territori. Boicottando la guerra cominciando da casa nostra. Il 28 gennaio alle ore 18:30 al CAP di Genova in Via
Albertazzi 3r, come lavoratori del Porto, chiediamo a tutte le realtà di partecipare all’assemblea pubblica per
costruire assieme una giornata di mobilitazione a Genova per il 25 febbraio.
Chiediamo a tutti i lavoratori e lavoratrici, ai cittadini e alle cittadine, ai sindacati alle organizzazioni sociali,
collettivi, centri sociali, alle forze politiche di sostenere questa giornata; una occasione di lotta contro la guerra e
per la pace tra i popoli e tra gli oppressi.
Invitiamo tutti e tutte a raccogliere quest’appello.
Guerra alla guerra! Pace fra i popoli!
Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali
12 gennaio 2023, da contropiano.org


Sciopero dei detenuti nelle carceri dell'Alabama
2 ottobre - Al grido di "Non contribuiremo più alla nostra oppressione", migliaia di lavoratori detenuti nel sistema
carcerario dell'Alabama hanno iniziato uno sciopero il 26 settembre scorso per protestare contro le brutali condizioni
carcerarie, le condanne a sfondo razzista che subisce per la maggior parte la popolazione nera e latina e lo
sfruttamento del loro lavoro all’interno del carcere.
Sono circa 25.000 i detenuti che si trovano nelle 14 prigioni principali dello Stato e si occupano di tutti i lavori di
mantenimento delle strutture: cucinare, pulire, cucire uniformi, fare riparazioni e lavorare ai macchinari.
L'organizzazione dello sciopero è iniziata a giugno attraverso il Free Alabama Movement (FAM) all'interno delle mura, e
il gruppo di difesa e supporto Both Sides of the Wall. Questi gruppi hanno stimato che circa l'80% del personale delle
carceri dell'Alabama è attualmente in sciopero. (New York Times, 28 settembre)
Il primo giorno di sciopero, Both Sides of the Wall ha organizzato una manifestazione di ex detenuti, familiari e
sostenitori davanti al Dipartimento di Correzione (ADOC) nella capitale dello Stato, Montgomery. Le persone al presidio
si alternavano al megafono chiedendo il miglioramento delle cure mediche all’interno del carcere oltre al miglioramento
delle condizioni di detenzione oltre a richiedere di riformare le leggi sulle condanne e sulla libertà vigilata.
In un comunicato stampa del 28 settembre, il Dipartimento di Correzione dell'Alabama ha dovuto ammettere l'esistenza di
un "blocco del lavoro" nella maggior parte delle proprie carceri e questa dichiarazione è stata una novità, rompendo con
la consueta negazione di azioni politiche da parte dei detenuti e l’ammissione di una partecipazione diffusa allo
sciopero.
Ma se l’ADOC ha ammesso ciò che stava accadendo, le autorità carcerarie invece - nel tentativo di interrompere lo
sciopero - hanno ridotto il cibo a pasti freddi due volte al giorno, hanno fatto rientrare in carcere i detenuti in
libertà provvisoria per il permesso lavorativo costringendoli a preparare il cibo ed infine – secondo quanto riportato
dal FAM - lo Stato ha introdotto in carcere squadre antisommossa per placare lo sciopero:
"Giorno 5: mentre lo storico sciopero carcerario dell'Alabama si avvia agli ultimi giorni della sua prima settimana,
sembra abbastanza chiaro che l'ADOC vuole la violenza. Nelle ultime 72 ore, l'ADOC ha iniziato a chiamare squadre
antisommossa nelle carceri in piena uniforme CERT [correctional emergency response team] nonostante questo sia uno degli
scioperi più pacifici di sempre all’interno delle terribili prigioni dell'Alabama".
Richieste dei lavoratori incarcerati. Nel 2020, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha citato in giudizio lo
Stato dell’Alabama sostenendo che le condizioni delle carceri maschili violavano la Costituzione a causa dell’assenza di
protocolli di prevenzione verso la violenza tra detenuti, abusi sessuali e dall'uso eccessivo della forza da parte del
personale e dal mancato mantenimento di condizioni di sicurezza. Inoltre il rapporto ha rilevato che le principali
carceri dell'Alabama erano al 182% della capienza.
Le nove richieste avanzate dai prigionieri in sciopero, attraverso il Free Alabama Movement, affrontano queste e altre
questioni, andando al cuore dell'ingiustizia razzista perpetrata dallo Stato. (youtube.com/watch?v=E8_A2CLjiO4)
Un'importante richiesta delle FAM è quella di "abrogare immediatamente la legge sui pregiudicati". Questa legge punisce
con l'ergastolo senza condizionale i detenuti che hanno tre condanne per reati, anche se una o più sono vecchie di
decenni o sono per reati non violenti ed il 75% delle persone punite con questa pena in Alabama sono neri.
(alabamasmartjustice.org/reports/hfoa)
Alcune delle richieste della FAM includono: criteri obbligatori per garantire la libertà condizionale a tutte le persone
idonee; un processo semplificato per ottenere permessi di soggiorno per motivi medici; la revisione della pena per i
detenuti anziani con l’obiettivo del rilascio immediato; tornare ad usare il “credito di buona condotta” indistintamente
per tutti i detenuti per poter ridurre il tempo effettivo di permanenza in carcere. Altre richieste mirano ad abrogare o
modificare le leggi per evitare pregiudizi razzisti dell'applicazione della legge, come la sentenza presuntiva, la legge
sulle "sparatorie in auto" o il minimo di 30 anni per la libertà vigilata per i minorenni.
L'Alabama Board of Pardons and Paroles non concede quasi mai la grazia. Ad esempio nella riunione del 28 settembre ha
ascoltato 40 richieste e ne ha concesse solo tre. Inoltre l'Alabama ha registrato il più alto tasso di decessi nelle
carceri statali Usa a causa del COVID-19 (Brennan Center for Justice, 23 ottobre 2021).
Secondo Interrogating Justice, un’associazione che fa luce su come il sistema giudiziario sia inadeguato attraverso
analisi legali e reportage investigativi, l'Alabama ha il sistema carcerario più pericoloso del Paese. Il tasso medio di
mortalità carceraria del 2018 negli Stati Uniti era tra i 200 e i 300 decessi per 100.000 detenuti mentre il tasso di
mortalità dello Stato era di oltre 600 decessi per 100.000 persone e le aggressioni fisiche e sessuali sono state
altrettanto elevate. (tinyurl.com/397peh9x)
Ora l'Alabama intende destinare 400 milioni di dollari - quasi il 20% del finanziamento federale per il COVID-19 - alla
costruzione di due nuove mega-carceri maschili da 4.000 posti letto ciascuno. Il governatore Kay Ivey ha preso questa
decisione dopo che la sua amministrazione repubblicana era stata ostacolata da alcune organizzazioni come Black Lives
Matter ed altre abolizioniste nel firmare contratti con compagnie carcerarie private.
Schiavitù dentro le mura del carcere. Oggi, nelle carceri dell'Alabama, i lavori forzati, le condizioni disumanizzanti e
il numero sproporzionato di detenuti afroamericani sono la continuazione della schiavitù sotto un altro nome.
Le lettere dei detenuti che arrivano a parenti, famigliari, amici vengono firmate "schiavi dell'Alabama" e dicono che lo
sciopero è "per protestare contro la continua istituzione della neoschiavitù". (tinyurl.com/2bk43x3a). L'Alabama ha
iniziato ad affittare le prigioni a imprese private sin dal 1842. Con l'emancipazione delle persone ridotte in schiavitù
nel 1865, lo Stato ha iniziato il "sistema di locazione dei detenuti", progettato per ri-schiavizzare i neri
criminalizzandoli e sfruttandoli a livello lavorativo e quindi economico. Questo sistema è continuato fino ad oggi in
tutti Stati Uniti perché è stato legalizzato dal 13° emendamento della Costituzione che permette ancora la "schiavitù o
lavori forzati... come punizione per un crimine per il quale il soggetto dovrà essere debitamente condannato".
Da ricordare che l'Alabama è uno dei soli sette Stati che non pagano affatto i detenuti per il loro lavoro, insieme ad
Arkansas, Florida, Georgia, Mississippi, South Carolina e Texas, tutti ex Stati della Confederazione.
Ribellione, resistenza, liberazione. Ma l’Alabama è anche uno Stato che ha una lunga storia di resistenza dei neri a
qualsiasi forma di schiavitù, dall'insurrezione non realizzata del 1864 a Troy, definita da Herbert Aptheker "l'ultima
cospirazione di schiavi" negli Stati Uniti, all'organizzazione militante dei prigionieri dell'Alabama dal 1969 alla fine
degli anni Settanta. ("Rivolte degli schiavi negri americani", pag. 367)
Le condizioni nelle carceri dell'Alabama 50 anni fa erano le stesse di oggi: sovraffollamento, negazione di bisogni
primari come acqua potabile e utensili per mangiare, violenza incontrollata e lunghi periodi di isolamento. All'epoca i
detenuti si organizzarono come Inmates for Action (IFA) per fare scioperi del lavoro all’interno delle carceri di Atmore
e Holman. L'IFA organizzò anche corsi per i detenuti sulla teoria rivoluzionaria e sulla storia nera e i leader di
quest’organizzazione Chagina (George Dobbins), Yukeena (Tommy Dotson) e Frank X. Moore furono uccisi in carcere e la
campagna Justice for the Atmore-Holman Brothers si batté per denunciare la complicità dello Stato nel loro omicidio.
(search.freedomarchive.org)
Questa linea di resistenza continua tutt’oggi. Nell'aprile 2014 i membri del Free Alabama Movement hanno scioperato per
chiedere un salario per il lavoro carcerario che svolgevano per lo Stato e hanno organizzato un altro partecipato
sciopero nel 2016. ("Rivolta nelle carceri dell'Alabama", Workers World, 24 marzo 2016). Da ricordare che le maggiori
aziende che traggono profitto dal lavoro gratuito dei detenuti in Alabama sono: Access Secure Deposit, Access SecurePak,
Securus Technologies e Union Supply Direct.
In "A Flicker Turns into a Flame" di FAM si legge che: "L'incarcerazione di massa, il sovraffollamento incostituzionale
delle carceri e il trattamento disumano riguardano più l'economia che l'umanità delle persone… I numeri confermano la
nostra affermazione che il "denaro" è il motivo e il fattore più importante per spiegare le politiche e le condizioni
all'interno delle carceri". (freealabamamovement.com)
I lavoratori incarcerati dell'Alabama continuano la lotta per porre fine alla schiavitù e al lavoro forzato. Si uniscono
a migliaia di altri lavoratori dell'Alabama - come i Brookwood United Mine Workers al loro secondo anno di sciopero e i
lavoratori della Bessemer Amazon ancora in lotta per avere un sindacato nei posti di lavoro - e a miliardi di altri
lavoratori in tutto il mondo, in lotta per la liberazione.

ottobre 2022, tradotto da workers.org


Uno sciopero della fame a oltranza per la libertà di tutte e tutti
Riportiamo di seguito resoconti e notizie sullo sciopero della fame di Alfredo Cospito; come collettivo OLGa
partecipiamo a un’assemblea milanese di solidarietà. Tra le varie iniziative messe in campo, due cortei, uno il 29
dicembre e uno il 15 gennaio, che hanno visto scendere nelle strade un significativo ed eterogeneo numero di persone.
Dopo il trasferimento a Milano Opera, altre iniziative in strada con corteo spontaneo dalla stazione centrale e un
presidio sotto il carcere con diverse centinaia di partecipanti e con una presenza sempre più allargata. L’intento
dell’assemblea non è solo di proseguire con iniziative a sostegno dello sciopero della fame, ma di mantenere viva e
concreta la critica al regime di tortura del 41 bis, dell'ergastolo/ostativo e in generale al criterio della
“collaborazione” quale strumento premiale o punitivo di mobilità fra i circuiti carcerari che istituzionalizza
l'arbitrio e il baratto. Il 41 bis, l’ergastolo/ostativo sono solo la punta estrema di un sistema repressivo le cui
ricadute e i cui effetti li misuriamo ogni giorno: va contrastata la crescente criminalizzazione delle lotte sociali –
il tributo pagato è già altissimo in termini di repressione, misure preventive e carcere, in particolare della
componente anarchica – e va compresa la sua natura strumentale finalizzata a generalizzare un continuo inasprimento
dell'azione repressiva come la storia di questo paese ben ci ha insegnato.
I motivi della lotta di Alfredo sono elementi riconosciuti come propri da settori militanti, sindacali e sociali. Non
sono quindi circoscritti alla sola area anarchica nonostante le notizie diffuse dai media abbiano spesso il chiaro
intento di confinare in quell’area la breccia apertasi, con la coraggiosa lotta di Alfredo, nel consenso o silenzio che
regnava sul regime di tortura del 41 bis, vera pietra angolare che regola l'approfondirsi dell'arbitrio carcerario
attraverso l'onnipotenza di strutture come la Direzione Nazionale Antimafia Antiterrorismo e il Dipartimento
dell'Amministrazione Penitenziaria.

Le condizioni fisiche, dopo quasi quattro mesi di sciopero della fame, sono ovviamente sempre più gravi: ha perso 45
chili e i valori sono prossimi al collasso. Nella notte del 25 gennaio è caduto in doccia rompendosi il naso. Pur di
mantenerlo in 41bis, da lunedì 30 gennaio 2023 Alfredo è stato trasferito al Centro clinico del Carcere di Milano Opera,
sostenendo che sia un centro di avanguardia. Peccato che non ci siano medici e infermieri in numero neppure vicino alla
sufficienza e manchino i macchinari. Ogni giorno due soli infermieri si devono occupare di 600 detenuti che necessitano
di cure. Alfredo fa sapere che nulla è cambiato rispetto a Bancali. Il medico di parte non ha ancora avuto il permesso
per entrare. Ora prospettano il trasferimento all’ospedale San Paolo, referente per le carceri con stanze isolate per il
41bis.
Il 20 ottobre 2022 Alfredo Cospito entra in sciopero della fame a oltranza contro il 41bis e l’ergastolo ostativo.
Nell'udienza in cui dichiara l’inizio dello sciopero della fame, essendo “presente” in videoconferenza, il suo
intervento viene interrotto con un clic sul computer e non sarà possibile avere contezza delle sue parole. Dal 4 maggio
era rinchiuso nel regime di 41bis del carcere di Bancali, Sassari. Il 25 ottobre anche Juan Sorroche, condannato in
primo grado a 28 anni di carcere per due ordigni, senza conseguenze lesive, contro una sede della Lega a Villorba di
Trieste, entra in sciopero della fame fino al 25 novembre. Il 27 ottobre Ivan Alocco, in carcere in Francia, inizia lo
sciopero della fame che interromperà dopo 35 giorni per poi riprenderlo il 22 dicembre e terminalo il 23 gennaio. Dal 7
novembre, e per 38 giorni, Anna Beniamino dal carcere di Rebibbia intraprende lo sciopero della fame. Nelle carceri
greche, turche e cilene partono a staffetta scioperi della fame in solidarietà. In Inghilterra il prigioniero Toby
Shone partecipa allo sciopero della fame. In Cile dal 31 gennaio prigionieri anarchici e sovversivi ripartono con il
digiuno. Nei processi in svolgimento in Italia i compagni e le compagne fanno dichiarazioni spontanee in cui
solidarizzano con Alfredo.
Il 5 dicembre 2022, all’udienza della Corte d’Assise d’appello di Torino per il ricalcolo della pena, richiesta dalla
Corte di Cassazione, sia Alfredo che Anna fanno dichiarazioni. Alfredo dichiara che continuerà lo sciopero della fame
“per l’abolizione del 41 bis e dell’ergastolo ostativo fino all’ultimo mio respiro”. I giudici si rivolgono alla Corte
Costituzionale perché si esprima sulla richiesta della Cassazione di riqualificare in strage politica il reato di strage
(nel precedente processo di secondo grado “Scripta Manent” le condanne erano state di 20 anni per Alfredo e 17 per
Anna), relativamente all’attacco, senza vittime, alla Caserma allievi ufficiali dei carabinieri di Fossano. Il reato di
strage politica, strage contro la sicurezza dello Stato, prevede l’ergastolo ostativo e costituisce uno dei più gravi
reati dell’ordinamento giuridico. Non vi è stato fatto ricorso nemmeno per piazza Fontana, per la stazione di Bologna o
per le stragi di Capaci e via d’Amelio.
Il 19 dicembre 2022, a 61 giorni dall’inizio dello sciopero della fame, il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigetta il
ricorso contro il provvedimento di detenzione. Per il ricorso avanzato dal difensore arriverà tra tre mesi la decisione
della Cassazione, il 20 aprile, poi anticipata al 7 marzo. La dottoressa di parte commenta “Per allora sarà morto”. Poi
verrà di nuovo anticipato al 24 febbraio, comunque troppo oltre i limiti di sopravvivenza.
Il 13 gennaio 2023, l’avvocato di Alfredo, Flavio Rossi Albertini, ha presentato un’istanza di revoca del 41bis al
ministro di Giustizia Nordio fondata su nuove evidenze non presenti al momento della decisione del Tribunale di
Sorveglianza di Roma. Era stato lo stesso ministro a lamentare in una nota l’assenza di un suo formale coinvolgimento,
eppure tace ancora. Mentre ora, a più di 110 giorni dall’inizio dello sciopero, si scatenano i “duri” al governo
annunciando la posizione della fermezza, Alfredo deve restare in 41bis.
La grande determinazione di Alfredo in questa lotta che mette in gioco la sua vita lo sostiene così tanto da essere
ancora in grado di reggere il suo totale digiuno. Lotta per tutti e tutte, non per essere liberato solo lui dal regime
di tortura del 41bis, ma perché venga abolito. Il garante dei detenuti Palma ha definito la scelta di Alfredo
ottocentesca e, sì, può essere anche così che si spiega una coerenza e una serietà nella lotta ormai carente. Gli
suggerisce di restare in vita e di scegliere altre forme di lotta. Ma se prima di questo sciopero della fame non si
poteva nemmeno nominare il 41bis, non lo si poteva mettere in discussione senza essere accusati di collusioni con i
“mafiosi” e di indebolire l’operato del sistema Antimafia italiano, quale altra forma di lotta suggerisce il garante?
Alfredo ha rotto il muro di silenzio sulla forma più agghiacciante del regime carcerario italiano e sul carcere tutto.
La sua lotta ha avuto la forza di aprire uno squarcio sulla ferocia di questo regime. Il 41bis, per come lo conosciamo
ora, esiste dal 1992 con lo scopo dichiarato di interrompere il rapporti con l’esterno per gli appartenenti ai
cosiddetti sodalizi mafiosi, ma il vero intento di questo trattamento penitenziario non è riducibile all’impedimento di
interrompere i contatti, come recita il provvedimento che lo istituì, ma di costringere, per uscirne, a dissociarsi, a
pentirsi, ad accusare qualcun altro da mandare dentro al proprio posto. Isolare, punire, annientare e seppellire. Questo
è lo scopo di un regime che ormai in tanti definiscono di tortura, in cui si è totalmente tagliati fuori dal mondo, da
qualunque rapporto anche con altri detenuti che non siano quelli decisi dalle direzioni, chiusi in celle spoglie, spesso
sottoterra, nelle quali anche l’esposizione di una foto deve passare al vaglio dei direttori e con un massimo di 4 libri
al mese. I colloqui, uno al mese, si svolgono dietro al pannello di plexiglas. L’ora d’aria si svolge in cunicoli
coperti da protezioni da cui anche la luce del sole stenta a passare. Né i familiari ammessi ai colloqui né gli avvocati
possono portare fuori neppure una parola del detenuto, pena denuncia con rischio di condanne da 3 a 7 anni di carcere.
Anche la dottoressa di parte che visita Alfredo è stata diffidata dal continuare a dare notizie attraverso Radio Onda
d’Urto, pena la perdita del permesso di vederlo. Mentre per le visite di parte al carcere di Opera non arrivano i
permessi.
Dai media di regime
In tutto il paese e in tante parti di Europa e del mondo si sono attivate numerose iniziative di solidarietà che hanno
riaperto il dibattito pubblico sugli aspetti repressivi del sistema carcerario italiano di cui il 41bis è la punta di
diamante. Un trattamento di brutale disumanità che, caso forse unico, è normata per legge democraticamente votata in
Parlamento. Un provvedimento previsto come emergenziale e che invece, come ci ha storicamente dimostrato il potere che
di emergenza in emergenza annulla lo spazio di opposizione, è diventato permanente. Una minaccia dello Stato verso
chiunque non resti a testa china di fronte allo sfruttamento nei luoghi di lavoro, nella scuola con l'alternanza scuola-
lavoro, alla distruzione dell'ambiente, al saccheggio dei territori, alla guerra e al razzismo di stato. Dopo una fase
di silenzio mediatico, nelle prime settimane di sciopero della fame, i quotidiani cominciano a dare notizia della lotta
di Alfredo e delle iniziative dei solidali. La cosiddetta società civile inizia a prendere parola. Chi sostiene quel
regime tace. Le sollecitazioni dei garantisti, di alcuni intellettuali, di giudici e giuristi, di politici, da Massimo
Cacciari a Gherardo Colombo, firmatari di un appello indirizzato al ministro della Giustizia, di Luigi Manconi da sempre
critico instancabile del 41bis, ma non del sistema che lo ha ideato e che continua ad applicarlo, si moltiplicano e le
interviste all’avvocato di Alfredo riempono i palinsesti radiofonici in tutto il paese. L’attenzione viene posta in
particolare sull’inadeguatezza della decisione di mettere in 41bis un anarchico. Manconi: “L’anarchico in 41bis. È
totalmente illegale!” e Cacciari: “Che c’entra di grazia questa misura con gli anarchici?” insistendo sulla mancanza di
misura di questa decisione. La protesta estrema di Cospito, si dice anche nell’appello al ministro di giustizia e al Dap
(Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) firmato da giuristi, giudici, intellettuali ecc. ecc. segnala molte
anomalie, specifiche e generali come la frequente sproporzione tra i fatti commessi e le pene inflitte. Ma, nonostante i
tentativi di limitare a un caso specifico la critica, una breccia sul regime in quanto tale si apre perché Alfredo lo ha
reso inevitabile sostenendo di lottare per chi è rinchiuso in quel regime e non solo per se stesso. La delegazione del
Pd in visita a Bancali è stata “accolta” da Alfredo, che li ha tenuti fuori dalla cella, con queste parole “se volete
parlare con me prima parlate con gli altri detenuti”. Il campo “democratico” comunque parla. I quotidiani pubblicano
articoli critici per il silenzio dello Stato sulla protesta di Alfredo, sul fatto di avere messo un anarchico in 41bis
definendolo una forzatura, ma ormai anche sul regime del 41bis in quanto tale. Mai prima era accaduto che ci si
esprimesse in questi termini, Alfredo ha aperto una breccia in un muro che il sistema antimafia italiano aveva blindato.
Da “Vanity Fair” all’“Avvenire” passando per i quotidiani più quotati come “Corriere” e “La Repubblica”, i giornalisti
esprimono perplessità e il regime viene descritto per quello che è. Su “Libero” si legge, e lo riportiamo perché fa
proprio strano sentire adesso parlare così del 41bis,: “[Alfredo Cosptito] ora non può leggere né studiare né ricevere
corrispondenza, e poi basta palestra, biblioteca, conversazioni con altri carcerati. Ha a disposizione due ore d'aria al
giorno in uno spazio di pochi metri quadrati delimitato da alti muri, con una rete metallica che impedisce anche di
guardare il cielo. E gli è permesso vedere solo altri tre detenuti sottoposti allo stesso regime carcerario, per un'ora
al giorno… Una tortura. Cospito è di fatto un ‘sepolto vivo’ E poi c'è tutto il discorso sull'ergastolo ostativo...
l'ergastolo ostativo tornò in auge, a furor di procure, all'epoca degli attentati a Falcone e Borsellino. Quella
stagione è ormai passata, ma nessuno s'azzarda a metter mano in maniera davvero incisiva alla questione - nonostante i
continui richiami della stessa Corte Costituzionale e per evitare di essere additato, biecamente, come ‘amico dei
mafiosi’. E così, si continua a punire con la morte civile – perché di questo si tratta – coloro che non
‘collaborano’... Se poi ti ostini pure a cercare di sopravvivere, magari esprimendo opinioni non obbligatoriamente
condivisibili, ecco, allora ti seppelliscono direttamente. Conclusione: la pena comminata ad Alfredo Cospito è del tutto
sproporzionata, non degna di un Paese civile.” “Il Riformista” definisce un atto fuori legge l’aver messo un anarchico
in 41bis. Su Radio 3 si usano espressioni quali “Organizzazione scientifica della tortura”, “deprivazione sensoriale”.
Il 41bis viene definito in tanti interventi come carcere duro, ma vale la pena non dimenticare che il carcere è duro in
tutte le sue forme. Il numero dei suicidi nel 2022 parla da sé. Comunque sia, di questa società civile non ci fidiamo
certamente, non sono le loro voci che mettono in discussione il sistema ma la lotta di Alfredo e di chi che la sostiene.
Che si aprano delle crepe nel consenso può essere interessante, quanto meno le loro parole tolgono il silenziatore sullo
sciopero di Alfredo e la sua lotta non è più questione da poter relegare all’interesse di un gruppo ristretto di
anarchici. Ma non è certo da questi o da chi magari deciderà di non accollarsi un morto che deriveremo la nostra forza.
Il silenzio della parte avversa continua, si apre un piccolo scorcio con Nordio che dichiara di non aver ricevuto
richieste, suggerendo forse che facendole potrebbero essere accolte? Solo il fanatico accalappia “mafiosi”, il
procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, prende parola per sostenere che la misura viene sempre applicata dopo attente
valutazioni da parte dei magistrati e che quindi non si può parlare di 41bis come se si fosse al bar! A lui interessano
i titoloni sui giornali per le sue retate a strascico... che poi in effetti si leggono al bar! Lo segue, senza
esprimersi apertamente, il capo del DAP Carlo Renoldi (ora sostituito da Giovanni Russo pm della Direzione Nazionale
Antimafia e Antiterrorismo) che, alla richiesta del giornalista de “La Repubblica” di commentare la vicenda di Alfredo,
risponde: “Preferisco non parlare di singoli casi, rispetto ai quali è più giusto che il ministero si esprima con atti
formali. Da parte del Dipartimento vi è molta attenzione verso il fondamentale diritto alla salute di tutte le persone
detenute.” Di fatti i suicidi in carcere nel 2022 sono stati 84!
Poi la “questione” Alfredo diventa il titolo d’apertura dei media e riempe tutti i palinsesti. Si scatenano coloro che
avevano fino a ora taciuto. Il 41bis non si deve toccare, ritorna il ritornello con l’accusa per chi lo critica di
colludere con la criminalità organizzata e di allucinanti ipotesi di intesa tra Alfredo e i “mafiosi” perché parla con
loro. Chi lo ha messo in 41bis ha deciso anche i tre detenuti con cui può fare la socialità, e in quel regime chi ci
sta? Con chi mai potrebbe scambiare due parole se non con chi è nel suo gruppo. Ma non è neppure il caso di polemizzare.
Bastano le parole del suo avvocato. “Si vede che non conoscono Alfredo, il rischio è che diventino tutti anarchici”
risata a seguire.
Solidarietà nelle strade in Italia e nel mondo. Tornando a far parlare Alfredo, per quel po’ che è possibile data la sua
esclusione dal confronto e dovendo usare ciò che riportano i media che sanno così bene stravolgere i contenuti, ecco
cosa ci arriva da “La Repubblica”: "Io so che se non risolvono questo problema morirò. Sarà la mia ultima battaglia ma
andrò comunque fino in fondo. Ho solo questa arma, ho solo il mio corpo. Sono un anarchico, per definizione l'anarchia
non ha una struttura formale, non ho reti cui impartire ordini. Noi combattiamo lo Stato ma non ci sono legami di questo
tipo, per questo non merito il 41 bis che andrebbe tolto a tutti, anche ai mafiosi. Sono costretto a usare lo sciopero
della fame per farmi sentire, perché è l'unico mezzo che mi è consentito. Io ancora reggo ma se continuo così so che tra
poco non avrò più la forza per alzarmi da questo letto". Tocca a noi fuori sostenere Alfredo. Le manifestazioni di
solidarietà si sono estese in tutta Italia e nel mondo sin dalla sua reclusione in 41bis. Iniziate con letture e
informazioni nelle piazze su quel regime di isolamento totale, di deprivazione fisica e sensoriale, scandite da
striscioni calati dai palazzi di giustizia, scritte sui muri delle città. Proseguite poi, una volta iniziato lo sciopero
della fame di Alfredo, con cortei spontanei, interruzioni di eventi pubblici, e occupazioni di luoghi da cui far sentire
le voci dei solidali. Le sedi della Rai di tante città in Italia, Genova, Trento,Torino, Cagliari, Bolzano ecc. sono
state ripetutamente imbrattate od occupate per evidenziare l’occultamento della notizia sullo sciopero della fame.
Luoghi di villeggiatura sono stati contrassegnati da messaggi di solidarietà con Alfredo per i turisti in passeggiata.
Striscioni e scritte durante il “Lucca Comics”. Striscioni calati dal Campanile di Giotto a Firenze, sul Palazzo ducale
di Genova. Spettacolo interrotto al teatro Argentina di Roma. Interrotta a Venezia la IX edizione teatro in carcere e a
Milano letture che interrompono l’incontro “Tra le mura” all’interno della mostra di foto nelle carceri “Ri-scatti” alla
presenza, tra gli altri, dei direttori delle carceri di Bollate e San Vittore. Entrate alla messa a Bologna, occupazione
della chiesa della Gran Madre a Torino con corteo a seguire. Manifesti appesi ai muri in occasione del 12 dicembre per
ricordare chi è che fa le stragi, intervento a Milano sotto uno striscione in piazza Fontana. Presidi ripetuti nelle
piazze delle città e sotto le carceri. In particolare le reiterate e costanti presenze sotto Bancali, dove è rinchiuso
Alfredo. Cortei nazionali a Roma, Torino, Milano. Comunicati di solidarietà da organizzazioni sindacali, da gruppi di
lavoratori, dai portuali di Genova, dal movimento dei disoccupati di Napoli, sostegno e ripresa dello sciopero della
fame nelle manifestazioni di giovani in lotta per il pianeta e da tutto il mondo, solidarietà dai prigionieri dal Cile
all’America tutta e all’Europa. Presenze sotto il consolato italiano a Bruxelles, striscioni e presidi a Salonicco. Ad
Atene striscioni durante lo sciopero generale, graffiti al porto di Amburgo. A Berlino, interruzione di una conferenza
dal titolo “Perché l’Italia è cosi difficile da governare?” alla Freie Universitat, intervento presso l’istituto
italiano di cultura e il 23 novembre un corteo. In Euskal Herria fogli murari. Non sono mancate idee e fantasie come
l’occupazione di una gru nel centro di Milano di inizio novembre quando i media sono stati costretti a rompere il muro
di silenzio, l’iniziativa si è ripetuta a Bologna e a Firenze con l’occupazione del tetto di Palazzo Vecchio. Poi è
stato trasferito a Milano Opera e le presenze in strada si sono ancor più moltiplicate in tutte le città, a Roma e
Milano in particolare. Molte azioni sono state messe in campo in Italia e nel mondo e, pescando in qua e in là per
rendere l’idea, ne riportiamo alcune. Un ripetitore sabotato a Trento, a Berlino blocchi stradali e attacchi incendiari
a bancomat, a un furgone GA-Tec/Sodexo l’azienda del gruppo che gestisce direttamente le carceri (in Inghilterra e in
Cile) rivendicato dalla cellula autonoma Anna Maria Mantini, a un camion di servizio della KONE, a mezzi della polizia e
del parco auto Amazon, e bruciata un auto del consolato italiano, attacco incendiario a Buenos Aires contro una
pattuglia della polizia e concessionarie auto, a Santiago del Cile un attacco esplosivo contro gli uffici dell'industria
chimica Oxiquin S.A, sabotata antenna 5G a Grugliasco, ad Anzola Emilia, a Taggia e a Chiavari incendiati mezzi MARR,
coinvolta nel rifornimento dei pasti di carceri e centri di espulsione per immigrati, a Roma, infrante vetrine e
bancomat di Unicredit, Benetton e Banca Popolare di Milano e petardoni alla Rai, cassonetti incendiati, attacchi a una
banca e a un postamat e ancora devastate vetrine e bancomat di una banca Carige, ad Atene attacco incendiario contro un
mezzo della DB Shenker responsabile del progetto “Tren Maya”, per lo sviluppo di linee ferroviarie in territorio
messicano che serviranno l’esercito messicano, un agguato alla pattuglia in moto della polizia, incendiato un furgone
della Cosmote e i macchinari di un cantiere della metropolitana. Sempre ad Atene, attacco incendiario contro i veicoli
di Susanna Schlein, primo Consigliere dell’Ambasciata d’Italia. A Madrid infrante vetrine di una sede di Endesa, di
pertinenza Enel e attacco incendiario contro un furgone dell’impresa di telecomunicazioni Digi. A Barcellona imbrattato
e rotta una vetrina del Consolato italiano, a Varedo (MI) colpita una sede della Lega, a Perugia danneggiati mezzi della
sede direzionale Unicredit, sabotaggio contro la linea ferroviaria Tav nel tratto Torino-Chivasso, bloccati erogatori
di energia per auto a Lecce e a Roma. In Francia attacco incendiario contro una infrastruttura nucleare, ad Amburgo
contro Hertz, martellate a un’agenzia interinale a Foligno, a La Paz attacco esplosivo nel quartiere borghese di
Calacoto contro l’ambasciata italiana, a Torino sabotati semafori che hanno creato un bel caos nel traffico: “volete
toglierci la voce noi vi togliamo la luce”. Una chiamata internazionale all’azione per la settimana dal 22 al 28
gennaio. I testi scritti di Alfredo sono stati distribuiti costantemente durante incontri e iniziative, dato che lo si è
voluto mettere sotto silenzio assoluto. Dopo il trasferimento, a Milano auto della polizia locale bruciate, a Berlino
attacco incendiario contro l’auto diplomatica del primo consigliere dell’ambasciata d’Italia, a Roma attacco incendiario
contro cinque veicoli di TIM, a Spoleto attacco contro la villa dello stragista Giorgio Del Papa e tanti attacchi altri
ancora in tutto il mondo.
Milano, febbraio 2023
***
Dichiarazione di Alfredo Cospito all’udienza di appello per il ricalcolo delle condanne nell’ambito del processo Scripta
Manent (Torino, 5 dicembre 2022).

Leggo soltanto quattro righe. Prima di scomparire definitivamente nell’oblio del regime del 41 bis lasciatemi dire poche
cose e poi tacerò per sempre. La magistratura della repubblica italiana ha deciso che, troppo sovversivo, non potevo più
avere la possibilità di rivedere le stelle, la libertà. Seppellito definitivamente con l’ergastolo ostativo, che non ho
dubbi mi darete, con l’assurda accusa di aver commesso una “strage politica”, per due attentati dimostrativi in piena
notte, in luoghi deserti, che non dovevano e non potevano ferire o uccidere nessuno e che di fatto non hanno ferito e
ucciso nessuno. Non soddisfatti, oltre all’ergastolo ostativo, visto che dalla galera continuavo a scrivere e
collaborare alla stampa anarchica, si è deciso di tapparmi la bocca per sempre con la mordacchia medievale del 41 bis,
condannandomi ad un limbo senza fine in attesa della morte. Io non ci sto e non mi arrendo, e continuerò il mio sciopero
della fame per l’abolizione del 41 bis e dell’ergastolo ostativo fino all’ultimo mio respiro, per far conoscere al mondo
questi due abomini repressivi di questo paese. Siamo in 750 in questo regime ed anche per questo mi batto. Al mio fianco
i miei fratelli e sorelle anarchici e rivoluzionari. Alla censura e alle cortine fumogene dei media sono abituato,
queste ultime hanno l’unico obiettivo di mostrificare qualunque oppositore radicale e rivoluzionario.
Abolizione del regime del 41 bis.Abolizione dell’ergastolo ostativo.Solidarietà a tutti i prigionieri anarchici,
comunisti e rivoluzionari nel mondo. Sempre per l’anarchia.
Alfredo Cospito.
***
Dichiarazione di Anna Beniamino all’udienza d’appello per il ricalcolo delle condanne nell’ambito del processo Scripta
Manent (Torino, 5 dicembre 2022)

Questo è un processo politico, che si è mostrato teso fin dall’inizio alla somministrazione della pena esemplare,
processo alle nostre identità di anarchici più che ai fatti, processo a chi non abiura le proprie idee. Una strage senza
strage attribuita senza prove è il culmine di un crescente impegno di Antiterrorismo e Procure per esorcizzare lo
spettro dell’anarchismo d’azione. Nello stesso disegno si colloca l’imposizione del regime 41 bis ad Alfredo Cospito,
reo di intrattenere rapporti con il movimento anarchico dal carcere. Lo sciopero della fame ad oltranza che il compagno
sta portando avanti dal 20 ottobre è l’extrema ratio contro isolamento e deprivazione sensoriale, fisica, psichica,
contro un bavaglio politico. Bavaglio che gli ha impedito finanche di leggere le motivazioni dello sciopero stesso. Il
41 bis è il grado estremo di accanimento dei regimi differenziati: carceri dove l’isolamento continuato e il
sovraffollamento delle sezioni comuni sono le due facce di un sistema teso ad annullare l’individuo. Carceri dove le
stragi, quelle vere, si sono verificate e si verificano: nella repressione delle rivolte del 2020, nello stillicidio di
suicidi, nel trattamento dei più poveri e fragili tra i prigionieri come “materiale residuale” della società tecno-
capitalistica imperante. Se qualcosa accadrà ad Alfredo Cospito qualsiasi individuo dotato di pensiero critico capirà
chi siano i mandanti ed esecutori del suo annientamento fisico, non essendo riusciti ad effettuare quello politico e
ideale.Sono cosciente di essere ostaggio di un sistema che nasconde dietro al feticcio di “sicurezza” e “terrorismo” il
suo collasso politico, economico, sociale, ambientale.Opporsi a questo è necessario. Potete distruggere la vita delle
persone, non riuscirete a spegnere il pensiero e le pratiche antiautoritarie. Non riuscirete a spezzare la tensione
rivoluzionaria, non riuscirete a spegnere l’anarchia. Saluto Alfredo e tutti i compagni. Anna Beniamino

***
Caso Cospito, l’accusa di strage come atto politico
Alfredo Cospito non ha ucciso nessuno ma è in carcere, al 41-bis, con modalità afflittive che rasentano la tortura,
condannato per “strage”. Ora, se uno cerca “strage” sul dizionario Treccani, la prima definizione che trova è “uccisione
violenta di parecchie persone insieme”. Invece se uno lo cerca sul codice penale trova all’art. 422 una definizione
diversa: è colpevole di strage “chiunque […] al fine di uccidere compie atti tali da porre in pericolo la pubblica
incolumità”. C’è un evidente scarto di senso fra il significato della parola nel senso comune e quello che assume nel
codice penale, uno scarto che permette di applicare la norma alle fattispecie più disparate. Nel 1998, un magistrato
arrivò addirittura ad accusare strumentalmente di “strage” Rosario Bentivegna e gli altri partigiani che avevano agito a
via Rasella – non per la legittima azione di guerra contro gli occupanti nazisti, ma per avere usato un “mezzo
offensivo” atto a “porre in pericolo la vita e l’incolumità personale non soltanto di chi costituiva l’obiettivo
dell’azione, ma anche di tutte le altre persone che per avventura fossero state presenti o si fossero trovate a
transitare in via Rasella o nelle zone adiacenti”. La parola chiave è “per avventura”:  per la legge, perché si dia
strage è indifferente che si sia verificata o meno una “uccisione violenta” di persone; basta immaginare che “per
avventura qualcuno avrebbe potuto farsi male” (da notare come la clausola finale dell’articolo di legge, “pubblica
incolumità” sia molto più ampia e generica di quella iniziale, “al fine di uccidere”. E comunque non è affatto provato
che il gesto di Cospito avesse il fine di uccidere e non fosse solo un atto dimostrativo). La peculiarità del reato di
strage dunque sta in primo luogo in quel “per avventura”, “atto a”. Per capirsi: affinché ci sia furto bisogna che
qualcosa sia stato rubato, affinché ci sia omicidio bisogna che qualcuno sia stato intenzionalmente ucciso: se no, è
tentato furto, tentato omicidio o omicidio preterintenzionale. Solo per il reato di strage un danno tentato o anche solo
possibile (secondo l’inquirente) spedisce all’ergastolo al pari di un massacro con spargimento di sangue. Tra via
Rasella e la vicenda di Cospito esistono differenze abissali; ma lo scivolamento semantico tra il senso comune e il
senso giuridico della stessa parola aiuta a capire il parallelo tra l’uso che si è fatto di questo strano reato. Nel
caso di via Rasella, facilita strumentalmente la confusione nell’opinione pubblica tra la ipotetica strage “per
avventura” e l’azione contro i nazisti, facendo quindi passare per criminale l’intera Resistenza. Nel caso di Cospito,
fatte salve tutte le proporzioni, alimenta lo stereotipo degli anarchici bombaroli sanguinari (rinforzato descrivendo la
Federazione Anarchica  Informale come una struttura gerarchica simile alla mafia – che sarebbe poi l’obiettivo
dichiarato del 41bis). In altre parole: il codice finge di definire la strage come reato comune ma lo trasforma in reato
politico. Dopo tutto, l’art. 422 del codice penale vigente ricalca parola per parola quello analogo del codice fascista
Rocco del 1930, salvo che allora la pena prevista era la morte, e se non facciamo qualcosa questa rischia di essere
anche la pena finale di Alfredo Cospito.
17 gennaio 2023, da napolimonitor.it
Lettera dal carcere di Massama (OR)
Ciao compagni, vi scrivo dopo aver ricevuto il vostro plico, come sempre vi ringrazio per il vostro impegno e la vostra
disponibilità. Vi invio documenti vari di un mio amico che attualmente si trova da vari anni nei sotterranei del regime
di tortura del 41 bis di Sassari. Dal giorno del suo arresto nel 1993, ha trascorso oltre 25 anni in 41 bis, con una
relazione che viene riciclata dal 1993,dalla lettura degli scritti si apprenderà tutta la sua vicenda persecutoria. Gli
scritti di una sola pagina, li ho estrapolati dalle sue lettere d’accordo con lui prima di andare l’ultima volta in 41
bis nel 2012.
Il tribunale speciale di Roma che discute tutti i 41 bis d’Italia è anticostituzionale, perché calpesta il diritto
stabilito nella costituzione che ogni cittadino ha diritto al suo giudice naturale. Il suo avvocato in aula si tolse la
toga e rimise il mandato per non legittimare l’operato illegale del tribunale di sorveglianza di Roma.
Dare spazio e voce a chi non ne ha, aiuta a lenire i dolori imposti legalmente.
Vi abbraccio a voi tutti.

Pasquale De Feo, località Su Pedriaxiu - 09170 Massama (Oristano)

Di seguito riportiamo uno degli scritti di Davide che Pasquale ci ha inviato segnalando che tale scritto insieme ad
altri è presente nel libro “Diversamente vivo. Lettere dal nulla del 41 bis” a cura di Davide Emmanuello e Pino
Roveredo, pubblicato nel 2019 da Libriliberi. Per chi lo volesse leggere faremo in modo di procurarglielo.

***
Odissea persecutoria della tortura del 41bis
La storia di un tormento istituzionale che sembra non avere mai fine, una tortura democratica in cui l’arbitrio è un
fatto divenuto ovvio e naturale, quella di Davide Emmanuello.
Premessa introduttiva. La logica emergenziale con la quale ragionano i giuristi della legislazione sovverte il
funzionamento del gioco probatorio. Messo da parte il corredo delle garanzie si da luogo a un metodo che permette il
funzionamento di un sistema di tortura del “41bis” che per vie legali raggiunge obiettivi illegittimi.
In ambito penitenziario la competenza dei tribunali di sorveglianza viene sistematicamente offesa dalla pretesa
superiorità del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) che si ritiene unico figlio legittimo del
ministero della giustizia.
Così questo sistema di tortura del 41bis nutrito da preoccupazioni più virtuali che oggettive, rompe l’asimmetria fra
mezzi legali e fini legittimi.
Attraverso funambolismi giuridico-investigativi, è permesso alla legge di aggirare se stessa, mentre intelligenze del
diritto (le stesse che danno vita al ministero della giustizia) consentono la sistematica violazione delle più
elementari regole del diritto che permettono il funzionamento legale della legge.
Succede con sistema del 41bis che decreti a firma del ministro della giustizia riportano note informative che in termini
di prevenzione dovrebbero rappresentare l’intelligenza investigativa, risultando, in assenza del gioco probatorio
l’espediente legale, che attraverso l’eccessiva tolleranza imposta al controllo giurisdizionale, permette la permanenza
illegittima di persone nel circuito speciale a tempo indeterminato.
Nota espositiva. Venti anni di carcere, di cui quindici sottoposto a regime di tortura del 41bis; tre revoche disposte
da tre diversi tribunali di Sorveglianza, disattese da tre ministri della giustizia, sono il risultato di come il
sistema della tortura del 41bis si autoregola in funzione di modalità contrarie ai principi del diritto.
Cronaca dei fatti. Cronologicamente, l’odissea che sto scrivendo e vivendo iniziò con il mio arresto nel 1993, e la
contestuale sottoposizione al regime di tortura del 41bis.
Con la notifica del decreto a firma del ministro, venivano sospese nei miei confronti tutte quelle regole trattamentali
previste dall’Ordinamento Penitenziario a salvaguardia dei diritti umani. Dal 1993 al 2003 mi furono notificati 19
decreti di proroga; così per dieci anni ininterrottamente subivo ogni sei mesi il rinnovo del decreto ministeriale, in
violazione dei principi giurisprudenziali fissati dalla Consulta, che imponevano a ciascun decreto di proroga
motivazioni non stereotipe basate su fatti recenti (circostanza disattesa ad ogni notifica della proroga).
Contro il decreto di proroga, la Consulta stabilì che si poteva proporre reclamo entro dieci giorni dalla notifica;
questa garanzia non ebbe altro che un valore formale: i tribunali di Sorveglianza fissavano la trattazione del reclamo a
una data che superava il tempo d’efficacia (6 mesi) del decreto, e all’udienza veniva dichiarato inammissibile.
Succedeva che intanto il ministro firmava un altro decreto di proroga e quello precedente ormai inefficace non veniva
valutato.
Così il sistema repressivo che usava la tortura istituzionalizzata, disattendeva quelle timide garanzie costituzionali,
grazie alla complicità tollerante concessa dal legislatore sulla legalità del controllo giurisdizionale.
Nel 2003 il regime di tortura del 41bis non aveva più oggettive legittimazioni emergenziali. L’emergenza virtuale
foriera di opportunità, fu il motivo reale per cui questo regime divenne stabile per legge. Il legislatore corresse solo
gli aspetti bocciati in precedenza dalla Corte Costituzionale e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, mantenendo
alto il livello d’afflittività e salvando l’apparato repressivo.
Nel 2003, quando l’avv. Dominici propose reclamo al Tribunale di Sorveglianza di Roma, il controllo giurisdizionale
tramite una giurisprudenza ormai rivisitata dalla Corte Costituzionale e voluta dalla Corte Europea, aveva acquisito un
maggiore potere di sindacabilità. Così, dopo dieci anni di regime di tortura di 41bis, in assenza di qualsiasi elemento,
mi veniva riconosciuto insussistente il pericolo di collegamenti con la criminalità.
Avvenuta la revoca nel 2003, mi ritrovai a regime di E.I.V. (elevato indice di vigilanza) dove restai circa quattro
anni. L’E.I.V. era un circuito nato al di fuori di ogni regola, che in seguito fu rottamato nel 2009, cambiandone solo
il nome in AS1; un’operazione truffaldina per eludere la sentenza della Corte Europea. Il D.A.P., senza emettere un
provvedimento motivato e senza una notifica, decideva nei miei confronti l’esclusione da tutte le opportunità al di
fuori della sezione, obbligandomi alla permanenza in un circuito fantasma, senza la tutela di un giudice competente per
giurisdizione.
Il 10 gennaio 2007, dopo anni di permanenza abusiva in regime di E.I.V., il ministro della giustizia firmava un nuovo
decreto di tortura del 41bis. Questi signori ritengono che la tortura persecutoria, avvenendo in democrazia, si
legittimi.
Seconda applicazione. Per la seconda volta, fui sottoposto alla tortura “democratica” e trasferito al carcere di Ascoli
Piceno. La nuova riapplicazione, non si fondava sui fatti commessi dopo la revoca, disposta nel 2003 dal tribunale di
Sorveglianza di Roma, né su elementi nuovi non considerati dal giudice all’atto della revoca.
Il tribunale di sorveglianza di Ancona, investito per competenza con reclamo proposto dall’avv. Dominici, in udienza
dispose il rinvio per chiedere al ministero quali fossero gli elementi nuovi sopravvenuti alla revoca del 2003; il
tribunale, pur riconoscendo che il decreto era identico a quello revocatomi nel 2003 (tribunale di Sorveglianza di
Roma), non sospese il regime di tortura del 41bis. Alla nuova udienza, il ministero in risposta confermava l’esigenza
del ripristino della tortura del 41bis, anche in assenza di fatti nuovi. Riteneva sufficienti la latitanza di mio
fratello e riproponeva gli stessi motivi, già non ritenuti idonei dalla sentenza di Roma che a suo tempo lo disapplicò.
Purtroppo in materia penitenziaria la competenza dei tribunali di Sorveglianza viene sistematicamente offesa dalla
pretesa “superiorità” del DAP che si ritiene figlio unico legittimo del ministero. L’unica speranza per avere giustizia
rimaneva la Corte Suprema di Cassazione. Il ricorso per cassazione presentato dall’avv. Dominici, venne dichiarato
ammissibile dal Procuratre generale, e su sua richiesta fu annullato dalla Corte, con rinvio agli atti per la
trattazione presso il tribunale di Sorveglianza di Ancona. Rimasi in regime di tortura del 41bis fino alla fissazione
dell’udienza nel luglio del 2008. in udienza sopravvenne un fatto nuovo: la morte, durante un’operazione di polizia,
condotta dalla questura di Caltanissetta, di mio fratello Daniele, all’epoca latitante. L’unica nota su cui insisteva il
ministero decadeva con la morte di mio fratello.
Il tribunale di Sorveglianza di Ancona, l’11 luglio 2008 disponeva la revoca della tortura del 41bis. Per la seconda
volta una corte mi revocava la tortura fisica, che ormai si era impadronita della mia serenità, e che rimarrà sempre
dentro di me. Come mai il ministero della giustizia violava le norme che non ignorava?
Disposta la revoca fui trasferito nella sezione abusiva di E.I.V. Del carcere di Voghera (PV). Dopo quattro mesi, il 18
novembre 2008 i ministro firmava un nuovo decreto, così mi ritrovai in una cella della sezione di tortura del 41bis del
carcere di Opera (MI).
Terza riapplicazione. Un nuovo decreto di sottoposizione al regime di tortura del 41bis sarebbe stato legittimo solo nel
caso in cui, dopo la revoca, fossero stati commessi nuovi reati. Ma questo non fu neanche ipotizzato. Fu una nota
informativa, vero funambolismo giuridico-investigativo che permise (e permette) alla legge di aggirare se stessa.
Queste note informative che danno vita ai decreti ministeriali, dovrebbero rappresentare l’intelligenza investigativa in
termini di prevenzione, ma la logica emergenziale con cui il legislatore impone di ragionare, sovverte il gioco
probatorio: non è ciò che è accertato a provare ciò che è sospettato, ma ciò che è sospettato è provato dalla sua stessa
verosimiglianza; il resto viene regolato dal sistema. Il corredo delle garanzie è stato dimenticato dai giuristi della
legislazione e il sistema di tortura del 41bis si autoregola meccanicamente attraverso modalità simili all’ostracismo
ateniese (dalla nota non si sa chi è la fonte, non si conosce il dove, quando come e perché dei fatti).
Successe nel mio caso, che la squadra mobile di Caltanissetta scrisse una nota informativa che recitava testualmente: “…
da attività investigativa è emerso che l’Emmanuello è in contatto con l’attuale reggente esterno della famiglia al quale
impartisce ordini, ricevendo anche comunicazioni” (va premesso che tutto ciò venne smentito indirettamente negli anni a
venire da un’ondata di collaboratori). La nota informativa non era corredata da alcuna indicazione che ne consentisse la
fondatezza. Ciò fu motivo di reclamo proposto dall’avv. Dominici al tribunale di Sorveglianza di Milano. Il tribunale
milanese, il 3 aprile 2009 rinviò la trattazione per acquisire i dettagli necessari su quanto accertato con testuale
richiesta: “posto che della suddetta attività investigativa appare rilevante ai fini del decidere, essendo stata
espressamente menzionata nel decreto impugnato, ma le cui risultanze non sono state inviate come invece avrebbe dovuto
essere”.
Richiesta che il tribunale avanzò tramite il DAP esercitando il potere di sindacato giurisdizionale che in materia di
proroga concerne nella piena valutazione dei presupposti applicativi. Questa richiesta avanzata dal D.A.P. Conforme alla
giurisprudenza costituzionale non ebbe risposta. In sostanza, succedeva che la nota informativa non conteneva altro che
parole in libertà, e prima ancora del tempo a confermarlo, già la risposta negativa degli apparati di sicurezza lo
dimostrava.
All’udienza del 19 giugno 2009 per la trattazione, il tribunale milanese, contraddicendo la richiesta avanzata dal
D.A.P., concludeva: “la circostanza che il D.A.P. Non abbia inviato l’esito dell’attività investigativa come richiesto
da questo tribunale alla scorsa udienza, appare del tutto ininfluente”.
Con queste testuali parole il tribunale dichiarava ininfluente un’attività investigativa in forza della quale
unicamente, sarebbe stato possibile, al sistema, in modo legale per la terza volta, ripristinare il regime di tortura
del 41bis già revocato precedentemente da ben due tribunali. Questo è il metodo che permette il funzionamento del
sistema di tortura del 41bis, che ottiene per vie legali ciò che non sarebbe legittimo attraverso acrobazie giuridico-
investigative.
Se il tribunale di Sorveglianza di Milano si fosse attenuto alla giurisprudenza costituzionale, in risposta della nota
informativa avrebbe preteso il riscontro probatorio, ristabilendo ciò che il sistema di tortura del 41bis esclude, cioè
l’asimmetria fra mezzi legali e fini legittimi. Il reclamo da noi proposto fu così rigettato, e il ricorso per
cassazione, pur ritenuto censurabile dal Procuratore generale, fu dichiarato infondato.
Il decreto aveva efficacia fino al novembre 2010; puntualmente il ministero allo scadere mi notificò la proroga per
altri due anni.
La nota informativa “incriminata”, che aveva fatto scattare preventivamente il regime di tortura del 41bis venne tolta
dal decreto di notifica, mentre il nuovo venne motivato con fatti riesumati dai decreti precedenti, che erano stati
ritenuti inidonei dai tribunali che avevano revocato il regime di tortura del 41bis.
Sarebbe assurdo immaginare intelligenze del diritto, le stesse che danno vita al ministero della giustizia, ignorare le
regole più elementari delle leggi e del loro funzionamento.
Come da prassi, l’avv. Dominici propose reclamo; per competenza intervenuta con la nuova legge, fu presentato al
tribunale di Sorveglianza di Roma.
Dopo un anno, l’udienza fu fissata il 28 ottobre 2011, e l’esito fu l’annullamento del decreto ministeriale con la
testuale motivazione: “…in assenza di circostanze veramente nuove, concrete e attuali… il collegio reputa non
legittimamente emanato il decreto impugnato” (ordinanza 5 novembre 2011).
Con la revoca, da Opera (MI) fui trasferito nella sezione AS1 di Catanzaro, dove attualmente sono ristretto. Oggi, dopo
la revoca, mi trovo ad attendere penosamente una quarta decisione, perché la suprema Corte di Cassazione, per cavillose
questioni di diritto, ha accolto il ricorso della D.N.A., annullando di conseguenza l’ordinanza di revoca.
Una situazione insostenibile, una lenta agonia per la quale non appare risolutiva la garanzia giurisdizionale. Una forma
di persecuzione paragonabile ad una sofisticata tortura psicologica studiata dalle stesse menti del diritto…
Tutto appare insufficiente per neutralizzare gli espedienti messi in atto da una macchina burocratica, programmata per
l’annullamento dei diritto fondamentali della persona.

Catanzaro, 3 agosto 2012

***
Di seguito pubblichiamo una notizia di gennaio giuntaci dalla Cassa Anti Repressione delle Alpi occidentali con invito
alla diffusione. Segnaliamo che nel 2017 è stato pubblicato per la casa editrice Libriliberi un libro di Alessio
Attanasio dal titolo “L’inferno dei circuiti differenziati (41-bis, aree riservate, 14-bis, AS)”. Per chi volesse
leggerlo faremo in modo di inviarlo.

Su richiesta di Alessio Attanasio, recluso nella sezione AS1 di Massama (Oristano), diffondiamo la notizia che Alessio
ha dovuto affrontare recentemente due gravi soprusi da parte del personale di custodia.
Prima gli è stata rifiutata la consegna della sedia con schienale prescrittagli dal medico per alleviare i dolori
causati da una lombosciatalgia cronica di cui soffre.
Lo scorso 2 gennaio invece, per impedire ad Alessio di telefonare al suo legale, un gruppo di secondini ha cercato di
strangolarlo, e solo l'intervento di altri detenuti presenti ha impedito che l'aggressione avesse conseguenze gravi.
Nonostante i numerosi testimoni e il fatto che l'aggressione sia stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza, Alessio
è stato colpito da un provvedimento disciplinare per essersi difeso dal tentativo di strangolamento. Per questo Alessio
ha sporto una denuncia contro il commissario dei secondini e un reclamo contro il provvedimento disciplinare a cui è
stato sanzionato dopo l'aggressione subita, in cui tira in causa i secondini responsabili dell'aggressione e il
personale del carcere (direttrice, educatrice e criminologa) che hanno cercato di insabbiare i fatti. Alessio ci chiede
di diffondere questa notizia perché, come scrive nel suo reclamo, "... si tratta di prassi penitenziarie ancora in uso
in molti istituti che vengono avallate dai direttori, dagli educatori e dai criminologi...".
A seguito della sanzione disciplinare, dal 25 gennaio è stato spostato in isolamento appunto per scontare la sanzione.
Le zelanti guardie hanno aggravato arbitrariamente l'isolamento tenendo il blindo della cella chiuso per 24 ore al
giorno: secondo Alessio si tratta di una ritorsione per punire il fatto che non intende ritrattare la denuncia
dell'aggressione da cui ha dovuto difendersi.
Alessio, dopo 20 anni ininterrotti di 41bis (è stato declassificato l'anno scorso ed è ora in regime di AS1), soffre di
disturbi claustrofobici riconosciutigli anche da passati provvedimenti della magistratura di sorveglianza.

Per esprimere solidarietà ad Alessio:
Alessio Attanasio, Località Su Pedriaxiu - 09170 Massama (Oristano)


41bis: quando lo stato di eccezione diventa norma
Di seguito riportiamo la trascrizione dell’intervento di un sindacalista dell’USI e lavoratore dell’ospedale San Paolo
di Milano, ora in pensione, fatto all’incontro pubblico del 27 novembre 2022 al Cox 18 a Milano.

Parlerò di alcune questioni, magari non note a tutti. Però bisogna andare un po’ indietro nel tempo, al passaggio della
sanità penitenziaria, con un decreto Dpcm del 2008, dal ministero di Grazia e Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale
(SSN).
Ovviamente il SSN è stato riformato e molte spettanze sono state poi date alle Regioni e, a loro volta, dalla regioni
alle ASL. Quindi con questo passaggio avvenuto nel 2008 hanno iniziato a costruire negli ospedali veri e propri reparti.
Reparti tipo penitenziari che all’apparenza per chi andasse al San Paolo a prenotare una visita oppure in ambulatorio
oppure in camera operatoria o in sala parto non si accorge di nulla, vede solo un’unica parete verde, non c’è nessun
cartello, c’è qualche telecamera che molti non vedono. Nessuno si accorge di questa costruzione che è stata fatta nel
2004, una costruzione che è avvenuta in tempi rapidi perché quando c’è una necessità di quel tipo di investimenti si
parte sempre a farli in modo veloce, per quanto invece riguarda l’organizzazione, il personale, i servizi, quelli
tardano a venire. Comunque è stato costruito questo reparto che prevedeva in origine 15 posti letto e ora sono 20 per i
detenuti, diciamo, ordinari e 2 letti per il 41bis all’interno di questa sezione. Quindi, dal 2004 il San Paolo è
diventato polo di riferimento di tutte le strutture carcerarie di Milano. San Vittore, Opera, Bollate e il minorile, il
Beccaria, e di tutti quei servizi afferenti ai vari Sert che adesso si chiamano Serd, cioè quelli che si occupano più
che altro di tossicodipendenze e devianze. Il San Paolo è diventato il riferimento di tutto questo.
Quella legge riferita al Dpcm prevedeva quindi il trasferimento del personale, delle strutture, delle opere come beni
immobili, cioè tutto al SSN tralasciando solo la parte della sicurezza che era demandata sempre al ministero di Grazia e
Giustizia come responsabilità, per organizzare il trasporto, la sorveglianza ecc. ecc. Ma non è che il decreto del 2008
fosse stato il primo, questo è stato un problema portato avanti già dai primi anni '70 e poi si arrivò a una stesura in
un decreto legge nel 1999 in cui erano contenuti i vari enunciati di principio che erano quelli dell’assistenza
sanitaria per tutti, nessuna distinzione tra il cittadino libero e il cittadino detenuto, prevedeva l’iscrizione al
Servizio sanitario del detenuto come anche l’esenzione alla compartecipazione alle spese sanitarie cioè l’esenzione per
i detenuti stessi. Quindi questo era un primo decreto che dava degli orientamenti iniziali che poi prevedevano, dal
2000, l’inizio del trasferimento delle competenze per arrivare al 2008 con un decreto più ampio, più organico, più
circostanziato per come dovevano essere queste modalità di trasferimento. Bene, tutto questo è avvenuto però è rimasto
bene o male sulla carta perché non tutte le regioni hanno attivato questo percorso. L’attuazione della medicina
penitenziaria all’interno degli ospedali è a macchia di leopardo, quindi ci sono alcune regioni che non hanno nulla e
altre come la Lombardia che è piuttosto avanti. Per cui la Lombardia, e quindi di conseguenza il San Paolo, accetta
detenuti anche da altre regioni come nel caso di Totò Riina e di Provenzano che dal carcere di Parma sono stati
trasferiti all’interno della sezione 41bis del San Paolo. Quindi questa è una realtà più o meno assodata nel tempo.
Naturalmente rispetto a questo argomento c’è stata una presa di posizione come Usi, sindacato che opera nella sanità, e
che è abbastanza diffusa qui in Lombardia. Avevamo fatto degli esposti, anche delle assemblee pubbliche sul territorio
come nel 2001 alla cooperativa Magolfa in Barona. Vedevamo in tutto questo dei problemi e non tanto perché eravamo
contrari in teoria al passaggio dell’assistenza sanitaria dal ministero di Grazia e Giustizia al Servizio sanitario
pubblico, anzi al contrario vedevamo di buon occhio questo, ma perché sapevamo che poi nella pratica non sarebbe stato
così. Perché nella pratica dopo l’applicazione del Servizio sanitario nazionale del ‘78 c’è voluto ben poco poi per
smantellarlo nella sostanza infatti già dopo una decina d’anni si parlava di aziendalizzazione, di manager nella sanità
e di una privatizzazione che iniziava a muoversi in grande stile. Quindi perché vedevamo del pericolo? Perché come si fa
ad assumere, cioè a costruire una sezione di 41bis sotto la sala parto, di fianco alla sala operatoria, con alla
sinistra un centro di ambulatori e un corridoio dove c’è l’accesso ai Cup, alle prenotazioni, in un posto dove passano
in media in un giorno più di mille persone? Quindi è un problema, ci sono stati in passato attentati di stampo mafioso
per far capire che il 41bis andava eliminato, se ricordate ci sono stati vari attentati strani e una preoccupazione di
molti operatori c’era. Come la preoccupazione per i diritti sindacali compressi perché, per esempio, il San Paolo è
pienissimo di telecamere. Abbiamo telecamere che dipendono dal SSN, abbiamo telecamere che dipendono dalla direzione
universitaria, abbiamo anche quella, e poi abbiamo le telecamere che sono gestite dalla direzione penitenziaria le cui
immagini vanno a Roma e a cui noi non possiamo avere accesso. Come non possiamo avere accesso all’interno delle
strutture o meglio non possono avere accesso le persone un po’ scomode oppure non grate e io sono una di quelle. Un
tempo facevo il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e avevo avuto una richiesta da lavoratori interni che
volevano una ispezione per verificare le condizioni di lavoro ed è stato negato perché ero persona non gradita.
Giustificato dicendo che si poteva benissimo mandare un altro rappresentante sapendo benissimo che i rappresentanti dei
lavoratori sono eletti proprio dai lavoratori e che c’è differenza tra varie sigle sindacali. Quindi, una sigla
confederale che magari non dà problemi viene ammessa alle ispezioni invece quelle di altre organizzazioni sindacali no.
Già questa è una compressione dei diritti sindacali come anche quella che dicevo del controllo, delle telecamere che
solo quelle del servizio sanitario sono 82 poi ci sono quelle del ministero, dell’università, quindi il posto più
controllato d’Italia. Questa è stata la peculiarità di questo ospedale che vive sempre sperimentazioni di varie forme di
fare sanità e che già va avanti dagli anni Ottanta. Quindi noi contestavamo, avevamo fatto anche richiesta di
ripensamento alla regione per modificare questi piani e dicevamo perché dei lavori come quello della palazzina Aids e i
due piani del reparto di malattie infettive tardavano anni per essere realizzati quando invece una struttura carceraria
in quattro e quattr’otto l’hanno messa su?
Il personale che poi viene a lavorare in queste strutture attualmente non è personale del servizio sanitario pubblico
perché è personale completamente in mano, per il 98%, alle cooperative. Infermieri, medici, psicologi, tecnici che
vengono tutti o dalle cooperative, o hanno contratti CoCoCo oppure a gettone. Mentre la situazione del personale
strutturato che dipende dal San Paolo si riduce magari solo al coordinatore o ex capo sala, come lo si vuole chiamare,
qualche altro assistente sociale o qualche psicologo oppure vecchio personale che è passato dal ministero di Grazia e
Giustizia al Servizio sanitario, ma di nuove assunzioni non se ne parla. Anche perché nei vari contratti che vengono
approvati una quota sostanziosa, che credo che sia al 30%, è riservata all’assunzione di personale precario, quindi con
le forze che dicevo prima si va avanti. Però ciò che preoccupa del decreto del ‘99, e l’abbiamo denunciato, è quello che
dice, senza citarvi leggendolo l’articolo 230, che il personale sanitario può essere assoggettato dal personale
dell’amministrazione penitenziaria in casi specifici di urgenza. Quindi è come se noi personale sanitario, medici,
infermieri, ausiliari, Os ecc. fossimo alle dipendenze di queste amministrazioni e ci trasformassero in potenziali
secondini. Tutto questo è stato denunciato e un esempio pratico di questa attuazione, io credo quindi è una mia
interpretazione personale, l’abbiamo verificato quando c’è stata nel 2003 la morte di Dax e con conseguenza poi il
pestaggio avvenuto nel Pronto Soccorso del San Paolo. Fu preso militarmente il possesso della struttura senza che il
personale potesse dire nulla. Anzi, sia i medici che il direttore responsabile e tutto il personale non hanno potuto
fare nulla. Ci sono stati interi reparti della Celere, dei carabinieri, che hanno accerchiato il Pronto Soccorso e
dall’ingresso principale che andava verso la sala d’attesa e dal corridoio che attraversava un reparto normale, quindi
l’area di osservazione, marciavano militarmente per accerchiare quei pochi compagni che erano lì in sala d’attesa e che
erano sconvolti dalla morte del compagno, di Dax, che è avvenuta nel marzo del 2003. Quindi anche in quella occasione
non si è potuto fare nulla anche se si sono chieste interpellanze per chi era responsabile di quella situazione, se era
stato il direttore sanitario oppure l’amministrazione diciamo delle forze dell’ordine, ma anche questo è caduto nel
nulla. Un tipico caso che dà la misura di come poteva avvenire il trasferimento di un detenuto ed era questo che
succedeva nei primi tempi perché all’inizio c’è stata una fase di ostentazione proprio visiva di questo potere che ti
controlla, che ti reprime. Addirittura dalle sette del mattino iniziavano a girare gli elicotteri sulla struttura poi,
dopo qualche ora, iniziavano i caroselli dei cellulari sempre intorno all’ospedale, Famagosta ecc. Giravano
continuamente per poi arrivare, quando c’era il trasferimento del detenuto, con uomini della penitenziaria quelli più
speciali, quelli vestiti alla Robocop, non so se erano i Gom o meno, comunque erano vestiti diversamente dai secondini
normali, tutti piazzati sul tetto del Cup che è una struttura a un piano, tutti armati con mitra che naturalmente
spaventava sia noi lavoratori sia chi veniva magari a prenotare. Quando poi c’era il trasferimento dalla struttura
carceraria ai vari servizi e venivano da noi per fare le Tac, le Risonanze o le Pet di medicina nucleare, ogni volta che
c’era un trasferimento interno tutto si bloccava. Si bloccavano gli accessi degli ascensori, automaticamente tutto
veniva chiuso, tutte la varie stanze che si affacciavano sul percorso dalla medicina penitenziaria ai vari servizi erano
bloccate, piantonate con una ostentazione proprio voluta che però è durata poco nel senso che è durato 4 o 5 volte.
Forse perché era costoso impiegare tante forze per un trasferimento. Avranno visto che non era molto conveniente, ma
penso che fosse anche per spaventare un po’ la gente, il personale, per poi passare adesso a trasferimenti quasi anonimi
nel senso che avvengono senza che nessuno ne sappia nulla. I detenuti in 41bis hanno magari anche un altro nome forse
per non farli individuare dal personale che svolge gli esami o le visite, hanno tutti generalità diverse e un codice
pure diverso che a noi non è dato modo di vedere. Questo è quello che volevo dirvi, non so se eravate a conoscenza di
questa creazione che c’è qui a due passi, ma c’è dal 2011 per il 41bis e dal 2004 per il carcere ordinario.


Lettera dal carcere di Secondigliano (na)
A tutti i “compas” del collettivo OLGa e dell’associazione Ampi Orizzonti, un saluto da Claudio. Vi scrivo queste poche
righe - con la speranza che vi arrivino – per chiedervi: a) vi è arrivata la posta che vi ho inviato? B) come sta
andando la raccolta firme?
Ricevo costantemente la rassegna e sono al corrente dell’azione intrapresa da Alfredo e da altri compagni.
Credo che quanto accaduto ad Alfredo sia molto grave e che si corra il rischio di creare un precedente non da poco
introducendo al 41 bis chiunque segua una politica diversa (scusate gli errori dovuti alla mia piccola disgrafia) penso
che siamo ad un punto di svolta in cui va fatto qualcosa, credo che l’asticella del confronto vada alzata anche
mediaticamente proprio per tutelare il compagno al 41, il quale altrimenti rischia di non uscirne vivo. La sua scelta è
stata molto forte e importante. Mi sono chiesto cosa potevo fare e come potevo dare il mio contributo. Nel mio piccolo
ho scritto il testo che vi invio al cui interno troverete il mio comunicato al quale seguirà un’istanza formale. Penso
che sia il momento di spingere ed inviare la raccolta (a cui va cambiata l’intestazione e sulla quale va fatta
pressione) ma credo che vada rivisto anche il modo di comunicare al fine di raggiungere una collettiva missione, Su
questo punto possiamo confrontarci volentieri. [...]
Vi mando un abbraccio. Solidarietà e resistenza ai prigionieri, Claudio.

29 novembre 2023
Claudio Cipriani, via Roma verso Scampia, 350 - 80144 Secondigliano (Napoli)

***
41 BIS-ERGASTOLO OSTATIVO-PENE ALTERNATIVE
Solidarietà Carceraria contro la pena di Morte
La nascita del 41 bis. Nel maggio del 1977, con un decreto ministeriale a firma di Bonifacio-Lattanzio-Cossiga
(rispettivamente Ministro della Giustizia, della Difesa e degli Interni) intitolato " per il coordinamento dei servizi
di sicurezza esterna degli Istituti Penitenziari", venne attribuito al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa il potere di
coordinamento per la sicurezza interna ed esterna degli Istituti Penitenziari, il quale individuò alcune carceri più
sicure ove destinare i detenuti più pericolosi. (Elton Kalica, La pena di morte viva, pp. 62). Nacquero così le carceri
speciali.
Introducendo la norma dell'art. 90 si assegnava al Ministro della Giustizia il potere di sospendere il trattamento
penitenziario nei reparti o negli istituti ove si trovavano i detenuti sottoposti alla norma, per un periodo
strettamente necessario e definito.
Tale articolo cambiò pelle il 10 ottobre 1986 con la legge Gozzini, n° 663, prendendo il nome di art. 41 bis, di fatto
venne sostituito il contenente ma il contenuto rimase identico. Sospensione del trattamento, censura della posta,
concessione di un solo colloquio mensile ecc. ecc.
L'art. 41 bis fu originariamente pensato per punire i "terroristi" promotori di rivolte carcerarie col fine di isolarli
totalmente dal resto della collettività interna. Solo nel 1992 fu esteso agli indagati o condannati per reati di
Criminalità Organizzata per i quali ricorrano gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, onde, facendo riferimento
anche ai reati commessi fuori dalle carceri.
La censura della posta, i colloqui e le telefonate ridotte, l'impossibilità di cucinarsi, il vestiario limitato e tutto
il resto fungono da deterrente devastante contro l'individuo, mirando ad un vero e proprio annichilimento dell'essere
umano. Il regime di 41 bis è la forma più esecrabile di tortura verso il genere umano che si possa applicare ai propri
simili. Di fatto è uno degli strumenti coercitivi di controllo più letali, da considerarsi non tanto illegale e anti-
costituzionale, quanto immorale, inumano e degradante, degno dei peggiori campi di concentramento, un’arma chirurgica in
mano all'Istituzione Totale delle carceri.
La pena di morte. La pena di morte è la condanna con la quale si decreta la fine del condannato, conosciuta anche come
pena capitale viene applicata ancora oggi in molti paesi come: la Corea del Nord, la Cina gli Stati Uniti ecc. In alcuni
luoghi viene addirittura applicata per le diversità di genere o di religione, così ci si ritrova a vivere in una società
che condanna a morte omosessuali e dissidenti. Anche l'Italia ha avuto i suoi alti e bassi. La pena di morte nel nostro
paese fu abolita per la prima volta nel 1889 tranne che per i crimini di guerra, successivamente ripristinata nel 1930
dal Codice Rocco il quale prende il nome da Alfredo Rocco, Guardasigilli del Governo Mussolini. Il Codice Rocco meglio
conosciuto come Codice Penale, insieme alla costituzione è una delle fonti di Diritto Italiano ancora vigenti, non a
caso in alcune leggi odierne troviamo ancora la dicitura Regio Decreto. La pena capitale venne successivamente abolita
nel 1944 per essere ripristinata nel 1946 è abolita definitivamente nel 1948 tranne per i casi di guerra ove entra in
vigore il Codice Militare. Nel 1994 a seguito di un referendum popolare fu definitivamente abolita anche dal Codice
Militare, inoltre fu chiesta l'abolizione in tutti i paesi membri dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, tale proposta
partì proprio dall'Italia, promotori della moratoria furono l'associazione Nessuno tocchi Caino e il Partito Radicale.
Dopo un lungo ostruzionismo il 15 novembre del 2007, sostenuta dal Parlamento Europeo la moratoria universale sulla pena
di morte venne approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con 99 voti favorevoli, 52 contrari e 33 astenuti.
Il 18 dicembre l'Assemblea Generale Delle Nazioni Unite con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti mise fine alla
sua applicazione. La moratoria fu fortemente voluta dall'Italia. Ora, quello che mi chiedo io è: "come mai un paese così
civile, che ha lottato per l'abolizione della pena di morte, il quale si è fatto portavoce e promotore di innumerevoli
iniziative continua ad applicare tale pena ai suoi cittadini?". Perché signori miei, fino a quando lo Stato, in nome di
quello che sembra essere diventato un giustizialismo mediatico continua ad applicare l'ergastolo ostativo, il fine pena
9999, non sta facendo nient'altro che applicare una pena di morte mascherata, ancor più lenta e dolorosa. Nessun
cittadino vorrebbe farsi giustizia da solo, o meglio, sono veramente in pochi quelli che lo farebbero. Tutti sanno che
uccidere un uomo è una cosa orribile, un reato mostruoso di cui nessuno vorrebbe macchiarsi, ma allo stesso tempo, tutti
invocano il giustizialismo chiedendo allo Stato di macchiarsi del reato di omicidio. Possiamo raccontarcela in 1000 modi
diversi, possiamo trovare tutte le scusanti che vogliamo, finché appoggeremo l'applicazione dell'ergastolo ostativo non
lottando per la sua abolizione, anche le nostre mani saranno sporche del sangue degli ASSASSINI.
"Parmi assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano è puniscono l'omicidio, ne
commettano une esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino in pubblico assassinio." (Cesare
Beccaria).
Art. 27 Costituzione della Repubblica Italiana: [...] L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna
definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.
Misure Alternative alla detenzione. Le misure alternative sono quelle misure che hanno lo scopo di realizzare la
funzione "rieducativa" della pena. Tali misure vennero introdotte con legge 6 luglio 1975 n° 354, successivamente
vennero ampliate con la legge del 27 maggio 1998 n° 165 e in seguito ridotte con l'introduzione della legge ex Cirielli
la quale rideterminò il calcolo della prescrizione dei reati equiparandoli ai massimi della pena del reato contestato,
causò un aumento delle condanne in termini di recidiva e suscitò dei dubbi sulla sua costituzionalità. Ad ogni modo, le
misure alternative consistono in: Affidamento in prova al servizio sociale (con o senza lavoro), Detenzione domiciliare,
Regime di semilibertà e Liberazione anticipata.
Come detto poc'anzi le misure alternative hanno una funzione "rieducativa" del soggetto, ri-e-du-ca-ti-va, scusate la
mia divergenza di idee con l'Istituzione ma sul discorso della rieducazione avrei tanto da dire. La parola rieducato
presuppone che un individuo debba essere ri-educato rispetto ad un determinato comportamento, rispetto a quella che
viene definita una devianza, ossia un comportamento non conforme alle norme e aspettative culturali di base, ma chi
stabilisce cosa non è educato, chi stabilisce cosa e quali sono le devianze? La famosa linea di demarcazione. Come si
definisce un comportamento normale? È normale ciò che è più comune? Ciò che è in linea con le credenze culturali del
contesto sociale in cui ci troviamo? È normale colui che rispetta le norme ed è anormale chi non le rispetta? O meglio,
è considerato sbagliato non rispettare una norma anche quando questa norma è moralmente ingiusta? Quante volte
riflettiamo su queste domande? La scelta del comportamento definito deviante dipende dal contesto sociale in cui esso si
manifesta o in cui si vive. Ad esempio ancora oggi, in alcune culture alle donne è vietato fare politica, una loro
partecipazione è tuttora ritenuta deviante. "Un azione non ci offende in quanto crimine, ma definiamo criminale un atto
perché offende le norme sociali di base". Piano piano capirete dove voglio arrivare.
Art. 3 Costituzione della Repubblica Italiana: Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali
[...].
Art. 21 Costituzione della Repubblica Italiana: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con
la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta a autorizzazioni o censure.
Vi starete chiedendo cosa centri questo con le misure alternative, c’entra c’entra. Ora ci arriviamo. Alfredo Cospito
(che non conosco personalmente ma al quale do tutto il mio sostegno come prigioniero) è un anarchico attualmente
ristretto al regime di 41 bis presso il carcere di Bancali (Sassari), la sua deportazione all'interno del 41 bis non
sarebbe da attribuire ai reati commessi, quanto all'impegno e al contributo politico (non in linea con l'Istituzione).
Durante la lunga detenzione Alfredo ha intrattenuto relazioni epistolari costanti, con appartenenti alla sfera anarchica
confrontandosi su varie tematiche politiche e non, collaborando con riviste della stessa matrice e alla pubblicazione di
testi sulla storia del movimento. La sua attività si è sempre svolta in modo trasparente e perspicuo. Ciò nonostante è
stato raggiunto svariate volte da avvisi di garanzia per il reato di "istigazione a delinquere". La sua esternazione di
pensieri politici è stata sempre pubblica e intelligibile. (Queste sono le informazioni che ho appreso tramite rassegna
stampa). Come sottolineato dall'avvocato Albertini, nel caso di Alfredo il 41 perde la sua funzione, che è quella di
decapitare l'associazione criminale tagliando i collegamenti tra il detenuto e i componenti di tale associazione. Nel
caso di Alfredo la Ministra che ha firmato il decreto ha inteso bloccare, interrompere, perseguire e censurare qualsiasi
forma di esternazione del pensiero politico non in linea.
Lo stesso tribunale del riesame di Perugia dalle informazioni ricevute, conclude al massimo con la contestazione di una
propaganda sovversiva violenta, che lo stesso legislatore considera non più punibile in quanto, una sola esternazione di
pensiero. "Le norme non scritte delineano a volte i confini dell'ordine sociale".
Jakobs, giurista tedesco, descrivendo il diritto penale del nemico, sostiene che si tratta sempre di diritto, il quale
però non viene applicato ai semplici cittadini che hanno commesso un reato, ma si indirizza al "nemico" sociale, andando
a sanzionare i comportamenti dei soggetti che non hanno semplicemente violato la norma giuridica, ma che non riconoscono
più l'intero Ordinamento Giuridico dello Stato, e pertanto, devono essere messi in condizione di non nuocere, non tanto
per ciò che hanno commesso, ma per ciò che rappresentano agli occhi della società.
Non si punisce il reato, ma il reo; "si punisce per quel che si è" e non "per quel che si fa". Il diritto penale del
nemico diventa di fatto un NON DIRITTO. "Gli studi penologici ci dicono che la funzione latente del sistema di giustizia
penale è prevalentemente quella di trasformare dei trasgressori della norma penale in criminali, cioè in soggetti
pericolosi e quindi in nemici (M. Pavarini, I nuovi confini della penalità. Introduzione alla sociologia della pena.
Edizione Martina, Bologna 1996. Elton Kalica, La pena di morte viva, Meltemi Linee 2019, pp. 46).
Quindi potremmo dire che quando delle azioni offendono la Coscienza Collettiva vengono punite con sistemi coercitivi o
non proporzionati all'azione stessa.
Alcuni gruppi sociali hanno il potere di definire le norme, creare le regole e decidere che determinati comportamenti si
possono sostenere e quali sono da considerarsi devianti, altri gruppi non hanno questo potere, di conseguenza essendo la
minoranza dovranno operare con non poca fatica per spostare i confini di ciò che è ritenuto accettabile. È accettabile
che un individuo venga sottoposto al regime di 41 bis per esternare, anche se in maniera forte, il proprio pensiero
politico? Perché se ciò è accettabile dovrete accettare che un giorno qualcuno entri in casa vostra e vi arresti per
aver manifestato idee divergenti da quelle del sistema.
È accettabile che vengano applicate sentenze di morte tramite l'applicazione dell'ergastolo ostativo anche quando non vi
siano i presupposti per farlo? È accettabile che venga applicata la pena di morte, anche in maniera velata? Perché se
accettate questo dovrete accettare che un giorno possa capitare a voi o a un vostro caro, e cosa direte allora? Cosa
farete se la pena applicata non ha nessun fondamento ma funge solo da monito per chi non si allinea con il pensiero
collettivo?
Alfredo dal 20 ottobre ha deciso di intraprendere uno sciopero della fame ad oltranza, ossia sino alla morte, per
protestare contro il regime a cui è sottoposto perché ritiene che non valga la pena vivere in quelle condizioni. La
lotta di Alfredo non è soltanto la lotta di Alfredo per Alfredo, è la lotta contro un regime di tortura, è la lotta
contro la pena di morte, è la lotta contro l'ergastolo ostativo, è la lotta di ognuno di noi e deve essere una lotta
collettiva, alla quale tutti dovrebbero partecipare. Non combattere per una vita equivale a commettere un omicidio. In
questo scenario colloco la funzione delle pene alternative, in questo scenario colloco il "beneficio".
Ad oggi l'unico modo per uscire dal "lager" come il 41 bis è la collaborazione, ma chi finisce al 41 bis per aver
esternato un pensiero politico divergente, su cosa dovrebbe collaborare? Ad oggi l'unico modo per accedere ai benefici
di legge per chi ha l'aggravante dell'art. 4 bis è sempre il pentimento, la collaborazione, la dissociazione ecc. Vuoi
accedere al beneficio? Ti devi dissociare, anche dall'ideologia, devi fare il mea culpa. Ciò si verifica anche tra noi
detenuti in regime comune. Vuoi accedere ai benefici? Devi adottare una linea di comportamento conforme, rifiuti di
lavorare (il più delle volte sottopagato) per l'Istituzione totale carceraria? Hai preso parte ai disordini come quelli
avvenuti nel marzo 2020? Non importa se durante quei disordini sono morti 13 detenuti fatti passare ed etichettati come
drogati, non sei in linea con il regime che ti viene imposto? Molto probabilmente non accederai ai benefici di legge. A
questo punto il beneficio diventa uno strumento per assoggettare l'individuo carcerato al Controllo Sociale, che altro
non è che l'insieme degli incentivi e delle "punizioni" che promuovono la conformità nella vita sociale. La domanda che
tutti si dovrebbero porre è: La lotta contro l'ergastolo ostativo e contro il regime di tortura quale il 41 bis è una
lotta giusta? Se la vostra risposta è sì vi dovreste chiedere, come posso collaborare? Come posso supportare Alfredo?
Come dare il mio contributo a detenutx come Anna, Ivan e Juan, anche loro entrati in sciopero della fame per sostenere
il compagno Alfredo? " E ai quali, anche se non li conosco personalmente, invio tutta la mia solidarietà carceraria".
Perché ricordo, la lotta contro la pena di morte è la lotta di tutti.
Io queste domande me le sono già poste, la risposta che mi sono dato è scontata, è ovvia, ma mi trovo comunque dinanzi
ad una scelta. Di scioperi della fame durante la mia carcerazione ne ho fatti veramente tanti, anzi tantissimi direi, ho
portato il mio corpo all'esasperazione con un continuo altalenare di peso. Quello che ho imparato a mie spese però é che
non è tanto lo stress fisico a colpirti (almeno, questo vale per me) quanto quello psicologico che è devastante, perché
superata la soglia è veramente devastante.
Nessuno sa cosa vuol dire uno sciopero della fame a oltranza, chi lo sapeva non lo può di certo raccontare, tutti gli
altri sanno però cosa vuol dire intraprendere uno sciopero della fame lungo e duraturo, e chi sa di cosa sto parlando
non me ne farà una colpa se dico che fisicamente in questo momento non mi sento in grado di intraprendere questa via
come segno di solidarietà. Ma ciò non toglie che qualcosa va fatto, va dato un segnale, anche forte, ed io invito ognuno
di voi a darlo in base alle proprie possibilità, io decido di darlo in base alle mie, è sono queste.
Comunicato di Cipriani Claudio dal penitenziario di Secondigliano. In solidarietà ad Alfredo il quale ha intrapreso uno
sciopero della fame ad oltranza contro il regime di 41 bis, contro l'ergastolo ostativo e ai compagnx che lo supportano.
In solidarietà a tuttx i detenutx che si trovano reclusi nel regime afflittivo del 41 bis, e a tuttx coloro che sono
sottoposti alla pena di morte tramite l'applicazione dell'ergastolo ostativo. In solidarietà e come forma di rispetto
per tutti coloro che giornalmente si battono per l'abolizione di queste norme e regimi, i quali sono da considerarsi
anticostituzionali.
Rinuncio, come scelta personale e a questo punto come scelta politica all'applicazione anche futura dei benefici, quali
eventuali affidamenti, detenzione, semilibertà, pur non essendo ancora nei termini per la loro applicazione, in quanto
ritengo questi benefici strumenti volti ad assoggettare il detenuto, che al momento della loro entrata in vigore si è
sempre più annichilito dinanzi alle molteplici forme di sopruso. Per cui sino a quando il governo non prenderà la
decisione civica e morale di abolire l'ergastolo ostativo in quanto pena di morte, sino a quando non ci sarà una riforma
giudiziaria volta allo smantellamento dei regimi di tortura e sino a quando il prigioniero Alfredo Cospito non sarà
declassificato dal regime di 41 bis a cui è sottoposto io non richiederò e non accetterò alcuna proposta di beneficio.
Seguirà a mezzo di un secondo comunicato, la formulazione dell'istanza con la quale formalizzerò la mia volontà di
rinunciare ai benefici di legge dinanzi alla Magistratura per i motivi elencati.
Se un carcerato può voler rinunciare alla libertà in nome della libertà penso che ogni carceratx possa a modo suo, dare
il proprio contributo, anche minimo.
La mia speranza e che tuttx i/le detenutx si riuniscano in una azione collettiva non violenta contro l'ergastolo
ostativo, e a favore di tutti i punti elencati sulla petizione che attualmente gira all'interno degli Istituti,
intraprendano uno sciopero collettivo della spesa dei generi del sopravvitto con l'esclusione di acqua e tabacchi. Un
abbraccio a tuttx, Claudio.


Per Alfredo Cospito
Testo di solidarieta’ dai membri della Lotta Rivoluzionaria
Lo sterminio fisico e morale dei combattenti rivoluzionari e dei prigionieri politici, o costringerli alla rinuncia
politica e al pentimento, è sempre stato l'obiettivo dello stato e della capitale. Per raggiungere questo obiettivo, gli
stati hanno creato condizioni speciali di detenzione e di isolamento per coloro che hanno impugnato le armi contro il
regime, per coloro che chiamano "terroristi". Uno degli esempi di detenzione speciale oggi è il modello italiano dell’
art. 41 bis.
Secondo la legge italiana, il ministro della "Giustizia" ha il diritto di revocare le regole di trattamento di alcuni
detenuti e di ordinarne il loro trasferimento a condizioni speciali di detenzione. Le condizioni speciali di cui
all'articolo 41 bis, impongono il completo isolamento sociale e sensoriale, limitando i contatti con altri detenuti,
limitando i colloqui di parenti di venire concessi una volta al mese , non con contatto fisico ma col vetro divisorio,
limitando o vietando la corrispondenza e il possesso di libri , riducendo il tempo dei detenuti a una (1) ora al giorno
all’aria e aumenta il tempo di reclusione in cella.
Queste condizioni sono una forma di tortura volta a schiacciare i prigionieri militanti e in generale coloro che sono in
questo regime. Il compagno anarchico Alfredo Cospito è in questo regime dal 5 maggio 2022 nel carcere Bancali (Bancali
in Sassari) della Sardegna per ordine dell'ex ministro della "Giustizia" Marta Cartabia, condannato per atti della
Federazione Anarchica Informale (FAI-informale ). Dal 20 ottobre il compagno ha iniziato uno sciopero della fame contro
il regime di isolamento. In solidarietà con il compagno Alfredo, anche i compagni Juan Sorroche sono in sciopero della
fame dal 25 ottobre, Ivan Alocco incarcerato in Francia anche dal 27 ottobre e la compagna Anna Beniamino dal 7
novembre.
Questa politica repressiva degli stati con le condizioni speciali di detenzione è qualcosa che è stato avviato per
decenni e si è evoluto e cresciuto.
L'inizio è stato fatto dagli USA, già negli anni '60 con le unità di alta sicurezza all'interno delle carceri dove sono
stati detenuti membri di organizzazioni come ad es. le Pantere Nere, il BLA.
Negli anni '70, lo stato della Germania occidentale costruì le celle bianche a Stammheim dove si tenevano membri della
RAF, quattro dei quali furono uccisi nel 1976-77.
La Gran Bretagna ha stabilito condizioni di detenzione speciali per i prigionieri dell'IRA in cui 10 prigionieri
dell'IRA sono morti in sciopero della fame nel 1981. Ciò coincise con la riforma del governo Thatcher dell'epoca che
rovesciò il regime precedente non riconoscendo lo status politico dei combattenti dell'IRA imprigionati.
In Spagna, le unità FIES hanno creato condizioni speciali di detenzione, mentre nel 2000 lo stato turco ha creato le
carceri F΄ per isolare e schiacciare i combattenti rivoluzionari che fino ad allora vivevano in comunità, raggruppati in
celle.
Quando i rivoluzionari turchi iniziarono lo sciopero della fame nel dicembre 2000, molti furono assassinati dopo
l'intervento delle forze di sicurezza e dell'esercito.
La grande ipocrisia degli stati e delle autorità giudiziarie è che mentre non riconoscono lo status del prigioniero
politico o dell'opponente politico al di fuori del sistema di rappresentanza statale, applicano leggi speciali, i
cosiddetti "antiterroristi", conducono processi speciali nelle carceri e stabiliscono condizioni di detenzione speciali
per i membri delle organizzazioni di guerriglia, per i combattenti rivoluzionari. Lo stato italiano è uno dei più
innovativi allo sviluppo di questa politica repressiva.
Alla fine degli anni '70, quando lo stato italiano affrontava una guerriglia ad alta intensità, modernizzò il suo
arsenale penale introducendo una legislazione "antiterroristica" creando allo stesso tempo prigioni speciali o ali di
sicurezza speciali destinate principalmente ai membri delle organizzazioni di guerriglia, come le Brigate Rosse. C'è
stato anche la legge Cossiga attuata dal 1978 al 1983, che ha legalizzato la tortura per estrarre informazioni per
smantellare le organizzazioni armate e sono state approvate anche le leggi sui pentiti. Il regime detentivo dell’
articolo 41 bis è un'evoluzione in peggio di questa politica repressiva. Oltre al compagno Cospito in questo regime ci
sono tre (3) prigionieri politici pure, membri delle nuove Brigate Rosse arrestati nel 2003, Nadia Lioce, Marco
Mezzasalma e Roberto Morandi. Un'altra compagna di reclusione, delle nuove Brigate Rosse, Diana Blefari che per anni era
stata tenuta in isolamento nel regime del 41 bis si è suicidata.
È certo che anche qui in Grecia lo stato sogna simili condizioni di detenzione per i combattenti rivoluzionari. Un primo
tentativo di creare tali condizioni sono state le carceri di tipo C nel 2014, che erano state costruite principalmente
per i condannati per azioni armate, ma sono state abolite dopo uno sciopero della fame da parte di prigionieri politici
e anarchici nella primavera del 2015.
Oggi, con il nuovo codice penale che il governo ND ha recentemente votato, si formano prigioni o reparti "ad alta
sicurezza" destinati, tra l'altro, ai detenuti condannati per guerriglia - articolo 19 A dell’C.P - cioè, secondo la
legge "antiterrorismo", nel 187 A così come per altri prigionieri "indisciplinati". In queste carceri di "maggiore
sicurezza", finora non e’ chiaro di quali condizioni prevarranno al loro interno ma è molto probabile che lo stato greco
tenterà di attuare condizioni di isolamento secondo i principi americani ed europei ravvicinamento dell'articolo 41 bis
italiano, cioè, annullerà le regole per il trattamento dei detenuti come sono applicate nel resto delle carceri greche.
Le lotte contro tali condizioni di detenzione che costituiscono forme di tortura sono imperative nel ampito della lotta
contro lo stato e il capitale. Ecco perché nessun detenuto come il compagno Alfredo Cospito non dovrebbe rimanere da
solo.
SOLIDARIETÀ AL COMPAGNO ANARCHICO ALFREDO COSPITO
SOLIDARIETÀ A TUTTE/I LE/ I COMBATTENTE/I RIVOLUZIONARIE/I IMPENITENTE/I

I membri imprigionati della Lotta Rivoluzionaria
Pola Rupa – Nikos Maziotis


Da una lettera dal carcere di Civitavecchia (RM)
[...] La breve vacanza milanese è stata un po’ stancante. Ora ti racconto il viaggio che così hai qualcosa di cui
parlare il giovedì! [all’assemblea settimanale del collettivo OLGa, cui Dayvid ha dato in passato il suo generoso
contributo, NdR]. Praticamente sono uscito dalla cella a Civitavecchia alle quattro del mattino di giovedì per entrare
in quella di San Vittore (come al solito 6°A) alle quattro del mattino di venerdì e alle sei mi hanno portato in udienza
(anche per questo sembravo uno zombie altro che attore). La novità sta nel fatto che per le traduzioni hanno iniziato ad
utilizzare aerei militari della guardia di finanza e quindi c’è una procedura che fa rimpiangere il vecchio giro
carceri. In pratica la tratta Civitavecchia - S. Vittore diventa prima aeroporto Capo di Chino, lì attendi in furgone
tutti i detenuti da vari carceri da Secondigliano, Frosinone, Viterbo etc. Quando l’aereo è pieno via a Palermo, lì
scendono i detenuti che devono essere tradotti in Sicilia e salgono altri quindi riparte, aeroporto militare di Bologna
e lì in pullman a Brescia, Bergamo, Bollate, San Vittore. Ti lascio indovinare l’unico stronzo che doveva andare a San
Vittore. Però devo dire che l’aeroporto di Punta Rais è bellissimo c’è praticamente il mare sulla pista di atterraggio e
poi vedervi ne è valsa la pena. Il lunedì mattina alle sei mi hanno riportato qua. [...]

2 Gennaio 2023
Dayvid Ceccarelli, via Aurelia Nord, km 79,50, SNC - 00053 Civitavecchia (Roma)

***
Riceviamo e diffondiamo la dichiarazione letta da Dayvid in aula nel tribunale di Milano il 2/12/2022, durante l'udienza
del processo "Rompere il silenzio", e data come motivazione per non rientrare dall’aria per un’ora a San Vittore, in
solidarietà con Alfredo.

Il motivo per cui oggi ho scelto di stare in quest’aula e presenziare a quest’udienza è uno solo. Ho deciso di essere
qui ed usare questo mezzo, la dichiarazione spontanea, perchè è uno dei pochi che la condizione di detenuto mi lascia.
Voglio usarla per urlare la mia rabbia verso una situazione che voi, uomini e donne di tribunale, dovreste conoscere. Mi
sto
riferendo alla condizione detentiva del compagno Alfredo Cospito dal 25 maggio sottoposto al regime del 41 bis. Faccio
una premessa: l’atto che ha portato Alfredo in carcere e da lui stesso rivendicato in aula è la gambizzazione dell’A.D.
di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi in conseguenza del disastro atomico e conseguente strage della centrale di
Fukushima. Per questo, a mio avviso, quest’atto fa parte a pieno titolo di tutte quelle luci che hanno illuminato da più
di un secolo il cammino di molti sfruttati e ribelli, tra cui io. Questa è l’anarchia di azione e per questo non può che
trovare tutta la mia complicità e solidarietà. Venendo a tempi più recenti il fatto che Alfredo nonostante gli anni di
carcere non si sia mai piegato e abbia sempre con costanza invidiabile portato avanti le sue lotte
pubblicamente ha fatto aggravare il suo regime detentivo fino alla massima espressione di tortura psicologica e
sensoriale che il nostro ordinamento prevede: il 41 bis. Regime a cui si è opposto decidendo dal 20 ottobre di
intraprendere uno sciopero della fame fino alle estreme conseguenze.
Non voglio qui perdere tempo chiedendo umanità o facendo l’elenco delle immani restrizioni che questa detenzione
prevede. Come scriveva Machiavelli qualunque Stato, sia esso monarchico o repubblicano, basa la sua opulenza, la sua
ricchezza e la sua forza sul delitto. Per me semplice persona che prova a vivere d’anarchico è impensabile chiedere
giustizia a quest’ultimo o a uno dei suoi rappresentanti, ma qualunque azione tesa ad aumentare la forza della lotta di
Alfredo contro il 41 bis può avvicinare alla necessità a lui e a noi più prossima: averlo in salute e in contatto con i
suoi affetti.
Per il declassamento di Alfredo. Per la fine delle gabbie fisiche e mentali che rendono possibile lo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Per l’anarchia.
Dayvid


lettere dal carcere di torino
Di seguito due lettere, la prima di Stefano, ora trasferito a Cuneo, è arrivata alla Cassa antirepressione delle Alpi
Occidentali, la seconda invece è una lettera di Giorgio che approfondisce le condizioni di vita dei detenuti e le
mobilitazioni che ci sono state negli ultimi mesi. La lettera è del 6 novembre ed è stata pubblicata sul blog
infoaut.org. Nel frattempo Giorgio è stato trasferito ai domiciliari con tutte le restrizioni dopo oltre 8 mesi di
detenzione cautelare.

Ciao, mi sa che è da un po’ di tempo che non ti scrivo. In questo periodo quasi tutte le trasmissioni della radio non
trasmettono, almeno i giornali anarchici mi arrivano. Non riesco ad avere molte notizie di Giorgio. I saluti e presidi
fuori continuo a sentirli, però non riesco a sentire bene le parole, i comunicati che dicono. Da metà luglio circa sono
accadute diverse cose qui dentro, è mancata l’acqua dalle docce e, a volte per alcune ore, anche dal rubinetto.
Nella sezione 11 dove mi trovo ci si è rifiutati di entrare nelle celle: dopo aver parlato con qualche responsabile di
sezione si è ottenuto di rimanere aperti in sezione per due ore (17.30 - 19.30). Dopo qualche settimana si è risolto il
problema dell’acqua in doccia e siamo ritornati a stare sempre chiusi in cella.
Per quanto mi riguarda la mia situazione è peggiorata. Ho avuto febbre fino a 38°, tosse con catarro, raffreddore, mal
di testa, debolezza, perdita di appetito. Dopo aver fatto due tamponi sono risultato positivo al COVID. Mi hanno
trasferito al blocco D, in isolamento e con il blindo chiuso: da qui si vede l’ingresso del carcere e il blocco
femminile, al quale esprimo solidarietà per la lotta che stanno facendo. Nella sezione in cui mi trovo in questo momento
siamo solo tre detenuti: è rimasta vuota anche la cella davanti a me, almeno prima scambiavo due parole. L’ora d’aria la
mattina e quella del pomeriggio è deprimente, lo spazio non è molto più grande della cella e anche qui sono solo.
Per curarti ti portano solo la Tachipirina, ho fatto la richiesta dello sciroppo per la tosse ma dovrò aspettare 15
giorni circa.
Concludo sperando di uscire tra un anno dal carcere e avere una pena alternativa, è davvero dura rimanere tre anni
minimo qui dentro, spero di vederci fuori, se vuoi fai uscire le notizie che ti ho dato.

6 settembre 2022
Stefano Mangione, via M. A. Aglietta, 35 - 10151 Torino
***
Da diversi mesi non scrivo lettere. Il tempo scorre rapidamente nel tran tran carcerario, ma un giorno di tranquillità
non c’è mai. La sezione dove sono, la quinta, è un via vai incessante di prigionieri e di avvenimenti.
Episodi di tutti i tipi: litigi per futili motivi di convivenza in spazi ristretti, episodi incresciosi, incomprensioni
tra etnie diverse. Oggi nella quinta sezione sono presenti 18 italiani, 4 albanesi, 5 senegalesi, 10 arabi, 2 georgiani,
2 slavi, 2 romeni.
Fare una riunione ogni quindici giorni per mantenere comportamenti corretti tra di noi, codici di relazione adeguati al
contesto, isolare o qualche volta allontanare, con le buone se possibile chi non si attiene alle decisioni prese o non è
gradito per essersi “macchiato” di reati odiosi. Non ci sono solo rose qui, ma anche tante spine.
Costruire una rete di prigionieri che abbia fiducia nell’agire collettivo non è facile. Individuare soggetti di
riferimento per costruire livelli di autorganizzazione per risolvere da soli i problemi, grandi e piccoli che siano,
richiede tempi lunghi e tortuosi. Tra i prigionieri “attivi” ci sono differenze tra chi “impegnato” lo fa per altruismo
e vocazione antistituzionale e chi è “interessato” a guadagnare punti, nella speranza, per nulla scontata, che ciò porti
a benefici nelle relazioni dei vari educatori o nella concertazione tra custodi e custoditi.
Continua inesorabile lo stillicidio di suicidi nelle carceri: ad oggi sono 75. Solo a Torino ben 3 negli ultimi mesi. In
un carcere metropolitano come le “Vallette” si addensano così gravi contraddizioni, patologie e dipendenze, che
producono dentro la macchina opprimente della sorveglianza malattie, psicosi, depressioni ed in alcuni casi morte.
Domenica 24 luglio al Blocco C si era impiccato un 38enne pakistano, Nuamad Khan, con patologie psichiatriche. La notte
di ferragosto Alessandro Gaffoglio, 24 anni, al suo primo arresto, si è soffocato con un sacchetto di nylon al Blocco A
in una sezione di medio o basso rischio psichiatrico. Era stato portato lì dopo aver cercato di togliersi la vita al
Blocco B, alla decima sezione Nuovi Giunti, dove le prime quattro celle sono per i “detenuti problematici”, celle prive
di tutto con il blindo chiuso, isolati e senza possibilità di andare all’aria. Quella volta il segretario della UIL
Polizia Penitenziaria ci aveva deliziato, miserabile sciacallo, con queste righe in un comunicato stampa: “… Questo
suicidio è ascrivibile, in parte, al fallimento del modello detentivo che con la falsa denominazione di sorveglianza
dinamica viene attuata con celle aperte con ristretti (Ndr – Noi) per lo più in ozio e sottoposti a vigilanza
irrisoria…”
Venerdì 28 ottobre dopo l’apertura delle celle, verso le 8, due prigionieri della quinta e settima sezione, che fanno
parte del gruppo di sostegno interno al Blocco B (gruppo volontario ed autogestito che si occupa di organizzare attività
sportive e di assistenza) sono saliti al terzo piano “Nuovi Giunti” per invitare chi vuole ad andare in palestra. Mentre
passavano di cella in cella dopo aver aperto un blindo socchiuso si sono accorti che un giovane del Gambia, Tecca Gimbe,
penzolava con un cappio al collo appeso alla plafoniera del neon e si era “lasciato andare” dal letto a castello. Era
chiuso in cella da solo. Sono accorsi agenti ed infermieri ma non c’è stato nulla da fare nonostante il massaggio
cardiaco attuato.
Al pomeriggio ascoltando la trasmissione “Aria” su Radio Blackout abbiamo saputo del presidio organizzato per domenica
30 nel pratone esterno. Sabato all’aria abbiamo chiacchierato per capire cosa fare, si è deciso di fare la battitura
alle 17:30 – 18 di domenica. Alla quinta sezione si è preparato uno striscione con un lenzuolo tagliato in sei riquadri,
con la colla fatta con acqua, farina, zucchero e dentrificio (mah…), con le lettere ricavate con i sacchi neri della
spazzatura a formare la scritta “Basta Morti!!!”. Appenderlo è stata un’impresa lunga e macchinosa, oltre le sbarre c’è
una griglia che occupa tutta la superfice dei finestroni.
A fine agosto abbiamo saputo dello sciopero a staffetta in corso al padiglione femminile, così insieme ai prigionieri
più “impegnati” con cui vado all’aria (quattro sezioni su dodici del Blocco B), alcuni che si ricordano delle lotte
degli anni 70/80, altri più rappresentativi delle varie etnie, abbiamo organizzato lo sciopero del carrello. Ogni giorno
a rotazione, una sezione su otto, rifiutava a colazione, pranzo e cena il carrello. Non abbiamo coinvolto il terzo piano
dove ci sono i Nuovi Giunti, perchè essendo appena arrivati non hanno le possibilità per rifiutare il carrello. Lo
sciopero è riuscito bene in tutte le sezioni, con un buon livello di autogestione, garantendo che gli “indigenti”
(coloro che non possono fare la spesa) usufruissero dei pasti collettivi.
La Cassa Antirepressiva a settembre ci ha spedito una petizione da far girare e firmare. Le richieste andavano
dall’abolizione dell’ergastolo ostativo, del 41 bis e della recidiva infraquinquennale ex art.99, fino al ripristino del
75 giorni di liberazione anticipata, ai colloqui intimi ed alla concessione permanente delle dieci telefonate mensili. I
prigionieri più “impegnati” si sono dati da fare per la circolazione tra tutte le dodici sezioni del blocco con il
risultato finale di 250 firme. Non male…
A fine luglio è arrivata dal carcere di Sulmona la nuova comandante della Polizia Penitenziaria per occupare il posto
rimasto vacante dopo che il precedente comandante era stato implicato nel processo per torture sui detenuti. La sua
nomina è stata salutata come molto positiva dalla solita cordata dei sindacatini della Polizia Penitenziaria che fanno
lobby sperando nella costituzione di gruppi di intervento rapidi di agenti addestrati, anche col taser, contro alcuni
gesti di insofferenza ingigantiti ad arte. Adesso stiamo riflettendo sulla necessità di mobilitarci nel mese di
dicembre, cercando di coinvolgere anche gli altri blocchi del carcere.
Un grazie da tutto il Blocco B per i presidi.
Un saluto per tutti i compagni e le compagne dell’Associazione a Resistere che dell’autonomia e del contropotere fa la
propria via maestra.
Un saluto a tutto il movimento No Tav, a coloro che fanno vivere i Mulini in Clarea, al presidio di San Didero e un
invito a non spaventarsi per quanto avvenuto al presidio di Venaus. Ringrazio tutti coloro che mi spediscono cartoline,
lettere, giornali e libri vari.
Un abbraccio prigioniero.

Torino, 6 novembre 2022
Giorgio Rossetto, via M. A. Aglietta, 35 - 10151 Torino


16 GENNAIO: MOBILITAZIONE PER LA LIBERTÀ DI LINA PINTO
Da metà ottobre ANGELA PINTO (Lina) è stata buttata in carcere senza tener conto dell’età avanzata (76 anni) e delle
svariate patologie, in parte legate anche all’età, di cui soffre. Da quel momento su di lei è calato l’oblio del sistema
giudiziario e carcerario che contraddistingue l’infamia del nostro bel paese.
L’1 gennaio è stata ricoverata per un malore. Il tempo passa e le sue condizioni psicofisiche si aggravano, come spesso
succede a chi è privato di libertà. Perché il carcere è questo: annichilimento dell’essere umano. Tutte le pressioni
fatte alle istituzioni cittadine, per far attivare la macchina del welfare, si sono trasformate in promesse disattese. A
nessuno, importa di Lina. Nessun impiegato dello stato sembra voler guardare negli occhi Lina e ascoltare la sua storia.
Come il giudice, automa senza scrupoli né umanità che continua a rigettare ogni istanza di scarcerazione o di
attenuazione delle misure cautelari, perché Lina è reclusa nel carcere di Lecce senza nemmeno essere stata condannata.
Di fatto hanno deciso di ammazzarla in carcere, in Italia se sei povero muori in carcere. Lo stato di diritto di cui
tanto ci vantiamo col resto del mondo è illusorio, la democrazia che siamo bravissimi a esportare con le bombe non è
diversa da quella di alcuni paesi ritenuti regimi dittatoriali dall’opinione pubblica.
La stessa persecuzione vissuta dai Mapuche, dai Curdi, dai Palestinesi e da tanti altri popoli oppressi oggi si è
concretizzata amaramente anche in Italia. E lo vediamo ad oggi anche nella prigionia politica di Alfredo Cospito,
rinchiuso e in sciopero della fame al 41bis. Come Rete internazionalista e anticarceraria chiamiamo alla mobilitazione
internazionale in solidarietà con Lina: il giorno 16 gennaio 2023 dalle 8.30 saremo presenti fuori dal tribunale penale
di Bari in Viale Saverio Dioguardi 1, dove si svolgerà l’udienza e dove faremo sentire forte il nostro grido ribelle.
Chiediamo a movimenti, collettivi, associazioni e chiunque percepisca il dolore di questa ingiustizia di essere per
strada o fuori alle sedi che rappresentano la malvagità dello stato italiano ognuno con le proprie pratiche di dissenso.
Solo la lotta paga. La solidarietà è un’arma, la solidarietà è una prassi, usiamola! Fuori tutte e tutti dalle galere,
libertà per Lina!

gennaio 2023, da mapucheit.wordpress.com


basta licenza speciale per circa settecento persone (semiliberi)
Sui modi ed i passaggi per sradicare il carcere dalla propria persona...
La mezzanotte tra San Silvestro e Capodanno “sarà la più grande “retata” di ergastolani e condannati a lunghe pene mai
avvenuta” perché 700 detenuti semiliberi dovranno rientrare in carcere dopo due anni e mezzo di misura alternativa,
perché alla mezzanotte del 31 dicembre finirà la licenza straordinaria che, all’inizio dell’emergenza pandemica, era
stata data da una delle normative Covid ai detenuti in semilibertà per evitare che il loro quotidiano uscire dalle celle
di giorno e rientrare in carcere la notte, favorisse la circolazione del virus. Non ci sembra proprio che l’emergenza
carceri sia finita e lo dicono chiaramente le condizioni a cui le persone rinchiuse sono sottoposte e lo ribadiscono –
se mai ce ne fosse bisogno – l’elevato numero di suicidi nelle carceri del Paese. Nulla funziona, dal sovraffollamento
alla sanità, passando per tutto il resto. Ne abbiamo parlato con un detenuto ergastolano che non ha mai smesso di alzare
la voce contro l’intero sistema carcere.

Dal 31 dicembre finirà questa licenza speciale per circa settecento persone (semiliberi) ed è stato un gioco sporco, una
schifezza. Non puoi, dopo un anno e mezzo, due o addirittura tre anni prendere dei detenuti abituati a stare fuori con
le mogli, con i familiari, i bambini che sono abituati a cercare, a stare con il papà che gioca con loro e
improvvisamente il papà deve tornare a dormire in carcere, è chiaro che il bambino lo sente, lo cerca, questa è la cosa
più schifosa che c'è, una tortura proprio per i familiari, i bambini, si stanno vendicando sui bambini, non tanto sui
detenuti, tu non puoi torturare un bambino, il bambino è più sensibile, cerca il papà.
Alcuni nel frattempo avevano anche trovato un lavoro, li hai distrutti, chi si è aperto una piccola attività, tipo il
pizzaiolo, la sera deve lavorare e chi me la guarda la pizzeria? Lo distruggi, non è più inserimento.
Prima di tutto l'inserimento non esiste in Italia, è tutta una farsa, una presa in giro, ma quale inserimento, ma chi
devi inserire? Non vedo questa parola “inserire”, educare, a me mi ha educato mio padre, mia madre, i miei genitori,
mica le educatrici, l'educatrice si farà educare lei dalla sua famiglia. E' una schifezza, perché il presidente della
Repubblica, lui Sergio Mattarella, hanno messo lui perché gli avevano ammazzato il fratello magistrato per poter
continuare questa tortura su il 41bis, è stato tutto un gioco, io quando ero a Pianosa sono stato due anni al 41bis,
avevano messo il direttore a cui avevano ammazzato il fratello o il padre a Rebibbia a Roma, hanno messo lui per
torturare i detenuti, infatti diversi pentiti li hanno presi sotto tortura, se dicevano la verità io non lo so però in
verità è un po' difficile, cose inventate, tutto un gioco, una schifezza; il 41 bis serve soltanto per torturare.
La pena di morte in Italia perché non la mettono? Non perché sono umani, non sono assolutamente umani, ma perché si
devono divertire sui detenuti, anni, anni e anni finché tu non ci lasci le penne. E' tutta tortura che ti fanno, è un
trucco, “noi siamo umani, non mettiamo la pena di morte” ma in realtà sono infami, schifosi, non mettono la pena di
morte per questo scopo, per divertimento, per sadismo per torturare per 30-40 anni le persone; di umanità non ne
parliamo, sia da parte della Chiesa, dei politici, ma quale democrazia? Nazismo, sadismo, divertimento sadico è questa
la mia opinione dopo tantissimi anni di carcere.
Tu hai una casa e quindi anche se dovrai tornare a dormire in carcere, di giorno potrai continuare ad uscire; ma chi una
casa non ce l'ha? Lo chiudono completamente, se io non facessi il volontario mi chiuderebbero. Se uno perde casa o
lavoro, oppure l’attività di volontariato ti chiudono perché la semilibertà si basa su due cose: il lavoro o volontario
e la casa  in cui ti cambi, ti lavi, ti cucini qualcosa, perché da semilibero non ti spetta più niente dal carcere,
anzi, mi hanno addirittura rubato 20 euro, sono scomparsi, chiesi alla guardia: “dove sono i miei 20 euro”? Mi sono
scomparsi”... “Che ne sappiamo” risponde la guardia, “Li avevate voi” gli dico io (i soldi in carcere vengono depositati
all’ingresso in appositi armadietti le cui chiavi sono in mano alle guardie, ndr). Prima ancora, quando rientravo
prelevavo 200 euro di pensione, poi li scambiavo, entravo, metti con 180 euro, mi davano la ricevuta con scritto 80 e
gli chiedevo: “Gli altri 100 dove sono?” Io cominciavo a fare casino, poi arrivava l'ispettore a dirmi che avevano
sbagliato. Invece ci sono altri detenuti che hanno più paura, hanno paura che li chiudano o che gli facciano rapporto,
quindi stanno zitti, entrano con 80 euro e gli altri 100 scompaiono. E' un gioco, più di una volta mi è successo: il
pezzo piccolo te lo danno, il grande se lo tengono. A Opera, durante le perquisizioni avevi due stecche di sigarette,
una volava, se la portavano e la stessa cosa le scarpe nuove nei pacchi appena arrivati. Le guardie carceriere in
maggior parte vengono dalle montagne, dai piccoli paesi, non sanno cosa fare, sono disoccupate e fanno l'istanza per
fare le guardie carcerarie che è l'unico posto in cui possono andare. Con chi hai a che fare? Questa è la sostanza, la
realtà. (…). Sono come gli zappatori, per carità io gli voglio bene agli zappatori, fanno i brocoletti, l’insalata, è
sempre buono, infatti non offendiamo gli zappatori, ho detto come funziona il carcere, quello é, la realtà per me è
quella che ho potuto constatare io. Comunque tornando al discorso dei semiliberi, se tu parli di inserimento perchè lo
chiudi il detenuto, per due anni questo ha vissuto con la famiglia, non ha commesso reati, normale, perciò ora tu lo
chiudi, su quale reato ora tu lo chiudi? Perchè deve scontare questa pena? Allora perchè l'hai buttato fuori notte e
giorno? Lascialo fuori, se sbaglia, se commette qualche reato va bene ma se sono fuori e non ho commesso niente perchè
ora mi stai chiudendo? È un abuso totale, non ho commesso niente. Invece a Capodanno ci hanno fatto rientrare tutti,
bastava prorogarlo (si riferisce al Decreto Legge n° 137/2020, ndr), e poi si parla di inserimento, sì, mi inserisci di
nuovo ma in carcere. I detenuti richiusi sono incazzati, ma non parlano, hanno paura, escono ma hanno paura di perdere
la licenza, non è come si dice che in democrazia si può dire ciò che si vuole, non è vero, questa è la realtà. Alle 7 di
mattina esco, perchè mi chiudi, a fare che, se stò tutta la giornata fuori? Per andare a dormire al fresco, sì ma
d'estate si muore dal caldo! E' una cosa stupida, anzi no, è una tortura, basterebbe fare la sorveglianza fuori dalle 7
del mattino fino alle 23.00 per cosa entro in galera? Per dormire solo? Io alla mattina mi sveglio, faccio il caffè e
esco, poi non hanno neanche i posti, si lamentano del sovraffolamento, dove li mettono questi 700 detenuti? Li mettono
quattro, cinque, sei in cella, li mettono anche per terra, sì, anche per terra li fanno dormire, i letti a castello da
due posti ne fanno quattro, bastava imporre il rientro notturno a casa loro, io ho anche scritto al presidente,
reclamavo, all'ultimo scrivevo sempre “assassini, assassini” se tutti facessimo così, detenuti semiliberi, art. 21,
scrivessimo loro assassini, perchè è questo che sono, assassini, torturano le persone, se ne fregano, ma con la scusa
dei permessi, licenze, e cose simili, è diventato quello che è, i detenuti non si muovono, hanno la speranza negli altri
e questa è la cosa più schifosa che c'è, invece bisogna attaccare sempre, fargli capire che sono loro gli assassini. Se
non ti aiuti tu, chi ti aiuta? Tu come sempre ti devi aiutare da solo e poi gli altri magari ti aiutano, però se non
parti prima cosa speri? Io la vedo così.


MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO
Perché esistono ancora sezioni psichiatriche in carcere se gli OPG sono stati chiusi? Nel 2014 chiusi gli Ospedali
Psichiatrici Giudiziari (OPG) il Ministero della Giustizia con una circolare del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione
Penitenziaria) ha istituito le A.T.S.M. (Articolazioni Tutela Salute Mentale).
Bisogna sapere che la legge 81/2014 riserva agli autori di reato dichiarati “incapaci di intendere e di volere per
infermità mentale” – definiti “folli rei” – un iter giudiziario diverso da quello destinato ai comuni, che prevede le
Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), istituite, appunto, dopo la chiusura degli OPG.
In questo iter giudiziario la pericolosità sociale di derivazione manicomiale la fa ancora da padrona, ma non tutti però
finiscono nelle Rems. Nello specifico le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono sezioni istituite nelle carceri per
quelle detenute e quei detenuti con una valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi successiva al
giudizio – definiti “rei folli” – e che non possono perciò accedere alle Rems, che prevedono inoltre già di per sé
lunghe lista di attesa.
Cambiano le parole ma non la sostanza, morto un OPG se ne fa un altro. Le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono
luoghi di annichilimento della personalità che esasperano la sofferenza della detenzione con l’isolamento prolungato, la
contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Si tratta di strutture che non solo non hanno nulla di “terapeutico” ma
che nascono proprio per la necessità dell’istituzione penitenziaria di contenere e sedare le intemperanze dei ristretti
in relazione al contesto detentivo. Voragini su cui non vogliamo siano spenti i riflettori.
Direzione e medici all’interno delle ATSM possono mettere in atto proroghe in modo estremamente violento e discrezionale
(30 giorni prorogabili che possono tradursi in mesi di isolamento), questo nonostante sulla carta, a seguito della
sentenza 99/2019 della Consulta, sia prevista la possibilità che il giudice possa disporre che, la persona che durante
la detenzione manifesti una “grave malattia di tipo psichico”, venga curata fuori dal carcere e quindi concederle, anche
quando la pena residua sia superiore a 4 anni, la misura alternativa della detenzione “umanitaria” o in “deroga”, come
già previsto per le persone detenute con gravi malattie fisiche.
Il carcere-manicomio. L’ambiente carcerario può essere terribilmente nocivo per coloro che sono sfornitə di strumenti
adeguati. Le difficoltà evidenti di una vita “libera” fatta di precarietà, impoverimento di beni materiali, reti sociali
e di conseguenza di qualità del vivere, depauperano anche quelle risorse soggettive utili ad affrontare l’impatto con
una quotidianità come quella carceraria. Gli addetti ai lavori denominano con “sindrome da prigionizzazione” le profonde
difficoltà, l’alienazione e la sofferenza che la detenzione può comportare. La solitudine, la fatiscenza strutturale
degli ambienti, gli spazi freddi e ristretti, l’alto numero di reclusə, l’insalubrità del cibo, l’assenza di acqua e
docce adeguate, gli psicofarmaci a profusione e, se va bene, la tachipirina per ogni esigenza, l’impossibilità ad
accedere a prevenzione, visite specialistiche, nonché a seguire i propri percorsi terapeutici, esasperano la reclusione
causando fragilità, menomazioni e patologie che spesso dal carcere si protraggono anche dopo la scarcerazione.
Condizioni dove l’eccezione non è tanto la ‘malasanità’ ma trovare medici non conniventi con le guardie. Il non rispetto
del principio di territorialità inoltre rende ancora più dura l’esperienza della detenzione. Una quotidianità carceraria
che oltre ad essere priva di dignità umana è, post pandemia e post rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo:
dalla potenziata discrezionalità di ogni singola Direzione carceraria e Sanitaria, all’abuso di potere delle guardie
penitenziarie. Senza considerare che il timore dei contagi e delle conseguenti politiche di gestione da parte delle
Direzioni continua a rappresentare una fonte di ansia per chi è reclusə, oltre che uno strumento di vessazione e
ricatto. Non adattarsi può tradursi in chiusura in sé stessi nel tentativo estremo di individuare una via di fuga. Come
“fughe”, in fondo, sono spesso i numerosi suicidi e i moltissimi gesti autolesivi che ogni giorno si susseguono nelle
patrie galere. Nel 2022 sono state 84 le persone detenute che hanno scelto il suicidio e chissà quante l’hanno tentato.
E questi sono i numeri ufficiali, spesso in difetto. Numeri che si uniscono ai segni indelebili lasciati dalle torture
fisiche e psichiche, nonchè dai processi, seguiti alle rivolte del marzo 2020, rivolte soppresse con la morte di almeno
14 detenuti (quelli di cui si hanno riscontri ufficiali) e con le violentissime mattanze che non possiamo nè vogliamo
dimenticare, un grido rimasto inascoltato. Le disposizioni decise dall’amministrazione penitenziaria per “arginare” il
pericolo dei contagi si tradussero nel 2020 nel totale isolamento delle persone detenute dal resto del mondo. Una
quotidianità rinchiusa nelle celle, sempre però sovraffollate, poiché tutte le attività furono sospese. Niente colloqui
con i familiari, impediti gli ingressi a qualsiasi operatore esterno. I criteri che caratterizzano il regime del 41bis
furono estesi, di fatto, a tutte le sezioni presenti nelle carceri, così come la stessa norma prevede qualora lo Stato
lo ritenga opportuno. In piena emergenza sanitaria, infatti, si decise di sottoporre interi reparti a molte delle rigide
regole previste per questo regime piuttosto che adottare soluzioni volte alla riduzione del sovraffollamento e quindi ai
rischi di contagio, sull’onda del più bieco e cinico giustizialismo che da anni caratterizza le politiche dei governanti
di questo paese. In questi mesi il 41bis, regime di totale isolamento e di deprivazione sensoriale, da sempre presentato
dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) e dai maggiori organi di informazione come lo “strumento più
efficace nella lotta alla mafia”, ha rivelato la sua vera essenza: una tortura normata. E ciò è stato possibile grazie
alla drammatica scelta del compagno Alfredo Cospito che ha definito la quotidianità all’interno di quelle sezioni “una
tomba per vivi” ed ha intrapreso, dal 20 ottobre 2022, uno sciopero della fame ad oltranza contro il 41bis e l’ergastolo
ostativo, due “abomini del sistema penitenziario”.
Per noi non si tratta di costruire altre sezioni o “repartini”, ma di svuotare quelli già esistenti. Quelli che parlano
solo di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite con le loro leggi razziste e liberticide:
oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della
popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si
cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato “recupero sociale”). Questo
grazie a leggi come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e
Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è certo il grande narcotraffico – un giro miliardario che allo Stato
e alle sue mafie fa evidentemente comodo così – ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti
sociali o non è spendibile in termini di profitto. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria del carcere
come strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, volto al mantenimento dell’ordine
attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione
capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli
sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale
parte della violenza statale viene duramente repressə, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.
Bologna: il repartino psichiatrico femminile con la sezione “nido” accanto. A Bologna l’Articolazione Tutela Salute
Mentale prevede cinque posti e coinvolge unicamente il femminile. La collocazione isolata degli ambienti e il numero
esiguo delle recluse previste conferma gli aspetti di segregazione che caratterizzano la sezione. Ad oggi nonostante
diverse pressioni per la chiusura dell’articolazione non solo questa è ancora aperta ma addirittura millantata sui
giornali come esempio “pragmatico” da seguire ed estendere.
Nel 2020/2021 lavori di ristrutturazione ne avevano comportato la chiusura provvisoria, quindi il trasferimento delle
detenute presenti in quel momento in “articolazioni analoghe fuori regione”. Tra queste vogliamo ricordare Isabella P.,
37 anni, accusata di furto, estorsione e minaccia a pubblico ufficiale, morta il 15 febbraio 2021 nel carcere femminile
di Pozzuoli a causa delle massicce dosi di psicofarmaci somministratele e dei trattamenti ricevuti. Sarebbe dovuta
uscire nel 2026, era alla sua settima carcerazione. Era considerata una detenuta difficile. A 18 anni aveva subito il
suo primo Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Gli stessi lavori di ristrutturazione che hanno visto trasferire Isabella hanno portato all’inaugurazione, a luglio
2021, della nuova “sezione nido”, tre celle adiacenti all’articolazione salute mentale per detenute madri con bambini
fino a tre anni. Il Garante dei detenuti ha dichiarato di sentirsi “preoccupato” per l’apertura di questa sezione
accanto ai locali dell’articolazione psichiatrica, dai quali, giorno e notte, uscirebbero “grida e lamenti”. Purtroppo
nonostante la legge 62 del 2011 indichi in questi casi di favorire gli arresti domiciliari e /o la creazione di case
famiglia protette, ad oggi rimane assente un concreto interessamento per il superamento anche di questi istituti.
Per questo invitiamo tuttə sabato 28 gennaio a Bologna e a Imola, per una giornata di lotta antipsichiatrica,
approfondimento e scambio.
Assemblea antipsichiatrica
15 gennaio 2023, da antipsi.noblogs.org

Lettere dal carcere di Milano-Opera
[…] in quanto i pacchi. Capisco chi non è abituato a questi metodi carcerari, confrontarsi per la prima volta lo trova
assurdo e restrittive le regole carcerarie; chi invece vive da anni queste assurdità, non ci fa più caso. Sempre che si
garantisce quel minimo che ci fa sentire soddisfatti, ma qui dentro non si può mai essere soddisfatti perché ci si
confronta quotidianamente con la premeditazione di chi vuole che stiamo in sofferenza e nel patimento del desiderio. […]
ti confermo che ho ricevuto libri e opuscolo.
Qui dentro poi non è cambiato nulla in questi ultimi mesi la solita tiritera. Stiamo aspettando a gennaio per capire
come si comporterà la direzione con le video e le telefonate visto che il prossimo 31 scadrà l'emergenza del covid.
Certo che non ci aspettiamo nulla di buono vista la loro politica di restrizione. Pensa che in un'ultima circolare a noi
AS 1 ci impediscono anche la visione dei canali digitali, roba da manicomio. Colgo anche l'occasione di fare a te e a
tutto il collettivo i miei auguri più cari per le prossime festività. Un abbraccio forte a tutti.
12 dicembre 2022

Lettera dal carcere di Viterbo
Compagne e compagni, innanzitutto vi ringrazio della vostra esistenza, poiché date voce a noi che soffriamo di fronte a
un sistema che ci toglie la voce e ci opprime e ringrazio un compagno detenuto, che mi ha portato a conoscenza di questa
vostra realtà.
In questo momento sono detenuto a Viterbo per un cumulo di reati tra i quali più del 60% sono stati costruiti e montati
da magistratura, carabinieri e polizia. Ma il fatto che vi voglio raccontare è successo 24 anni fa ad Haiti, a Port-au-
Prince, avevo 15 anni e non era uno stinco di santo, ma penso che nessun umano o animale (in realtà anche noi siamo
animali) debba sopportare quello che ho vissuto sulla mia pelle.
Mi trovavo in una strada senza uscita, con una Jeep, a me e a un mio compagno, è stata chiusa la strada di uscita da una
Jeep dei reparti speciali della polizia armata di M-16, GLOCK 19 e 357 ciascuno. Ci intimarono di scendere e di
sdraiarci per terra col viso in giù e subito ci sono saltati addosso con un calcio sul bacino e uno dietro la nuca.
Quando siamo arrivati in caserma sono passato davanti ad un vetro e ho visto il mio labbro superiore quasi toccare il
mio naso e quello inferiore toccare il mento. Ho passato più di 5 ore a rotolare in discesa e in salita a forza di
calci, pugni, manganellate e colpi di calcio di fucile, quando si sono stancati mi hanno buttato in una cella, che qui
in Italia potrebbe essere massimo per due, con altre 5 persone. Era la cella della caserma, spoglia di ogni cosa, dove
non potevamo neanche allungare le gambe e ogni 4 ore due di noi dovevano stare in piedi vicino alle sbarre. Non avevamo
neanche un minuto di aria, tranne tre volte a settimana, nei quali ci mandavano a defecare e a farci spruzzare acqua ad
alta pressione. Per urinare in cella c'era un secchio all'angolo della cella, dunque dovevamo scavalcarci a vicenda per
arrivarci. La nostra colazione era una brodaglia con un po' di avena e il nostro pranzo, riso fagioli e sassi.
Ho passato i miei primi due mesi di carcere, sono stati così una vera violenza psicologica, fisica, atta a eliminarci,
annientarci l'anima, per altri due mesi mi trasferirono nel carcere principale della capitale dove mi hanno fatto
percorrere 400 m fino alla cella a colpi di mazze da baseball.
Arrivato in un cellone di 300 persone (ma fortunatamente lo spazio c'era), come rituale di benvenuto ho subito il
pestaggio di quasi tutti i trecento; il giorno dopo, buongiorno e buonasera. Almeno lì potevamo stare aperti dalle 8:30
alle 11:30 e dalle 12:30 alle 16:30. Mia madre e mio nonno (in quel periodo mi faceva da padre), quando mi condannarono
a 7 anni di reclusione, pensarono di farmi del bene premendo sulle persone giuste per farmi mettere in un carcere
minorile. Fu il loro più grande sbaglio, lì eravamo in 92 all'inizio ma siccome c'era un morto ammazzato ogni due tre
giorni e portavano qualcun altro al posto del morto di turno.
Non mi voglio troppo dilungare sulle condizioni igienico-sanitarie, ma una delle cose più impressionanti di questa
situazione era dover defecare su di una montagna di feci con sopra una colonia di blatte volanti. Fortunatamente siamo
riusciti ad organizzare una fuga di massa nella quale fu ucciso qualche compagno.
Non si resiste 7 anni in queste condizioni, tutto questo male può generare nient'altro che altro male. Ho sentito
storie peggiori anche di questa, e tutto questo viola ogni principio fondamentale dell’ umana convivenza pacifica.
dicembre 2022


TRE PUNTI E UN APPELLO
Sulla sentenza di primo grado del processo contro il Comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio (Milano)
Mercoledì 9 Novembre si è concluso il primo grado del processo contro il Comitato Abitanti Giambellino-Lorenteggio. Si è
concluso con delle condanne che vanno da un minimo di 1 anno e 7 mesi, fino ad un massimo di 5 anni e 5 mesi. Il reato
per cui siamo stati condannati è 'associazione a delinquere con la finalità di occupazione e resistenza'.
Veniamo insomma accusati di esserci organizzati per occupare lo sfitto e resistere agli sgomberi. Come abbiamo già
detto, il Comitato Abitanti Giambellino Lorenteggio era un comitato di lotta territoriale in un quartiere popolare di
Milano in cui esistono e persistono tante - troppe - problematiche, di cui la questione casa è solo la più evidente ma
non è affatto l’unica. Quello che abbiamo fatto nel corso dei nostri anni di attività è provare a vivere il quartiere in
maniera differente, costruendo legami e iniziative per dare una possibilità a noi stessi e al quartiere tutto. Pensiamo
al doposcuola di quartiere, alla mensa popolare, alla squadra di calcio, allo sportello anti-crisi, allo sportello
medico così come alle feste, i pranzi e i cortei.
Le case popolari in Giambellino sono gestite da ALER (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale) che, per riparare alle sue
perdite di bilancio dovute a operazioni di speculazione edilizia, lascia sfitte le case popolari con la scusa
dell’inagibilità o del degrado per poterle poi rivendere al miglior offerente. Speculazione edilizia per riparare ad
altra speculazione edilizia. In particolare, Giambellino è da anni al centro di un grosso progetto di trasformazione
immobiliare che ha visto fino ad ora demolire già diversi blocchi di case popolari per far posto alla costruzione di 3
fermate della metropolitana nel raggio di poche centinaia di metri, e a nuove costruzioni la cui natura non è ancora
stata specificata. Il comitato fin dalle prime fasi esplorative del progetto ne denunciava le volontà gentrificatorie.
Abbattere case popolari a Milano, la città con gli affitti più alti del Paese, significa ricostruire nel mercato
privato, come successo nell’ex-quartiere popolare di Isola, ora riconvertito a quartiere di aperitivi.
Secondo la procura occupare una casa vuota da 10 anni significa cancellare il diritto di qualcun altro. Evidentemente
anche i giudici hanno valutato la stessa cosa, così come hanno reputato l’esistenza di un’emergenza abitativa
esclusivamente nel segno di un problema di ordine pubblico.
- Il primo punto da chiarire per noi è quindi questo: L'EMERGENZA ABITATIVA NON E' UNA QUESTIONE DI ORDINE PUBBLICO. Non
esistono "strutture organizzate per occupare sistematicamente tutto lo sfitto", esistono persone senza casa che si
organizzano per occuparla. In Giambellino questo accadeva negli anni in cui esisteva il comitato, così come accadeva
prima che il comitato esistesse e ovviamente accade ancora oggi che il comitato è stato distrutto dalla repressione.
Continuerà sempre ad accadere finché la casa sarà trattata come merce, finché ci saranno affitti a prezzi folli, finché
le case popolari saranno distrutte e la speculazione edilizia avanzerà incontrastata.
- Sul tema della speculazione edilizia emerge un secondo punto fondamentale: l’operazione repressiva nei confronti del
comitato ha tra le sue cause gli interessi dei colossi del capitale immobiliare che si muove su questa città. Il
progetto iniziale di riqualificazione del quartiere prevedeva investimenti per 80 milioni di euro, aumentati in vari
momenti e supportati dal sorgere di progetti sempre nuovi, gli ultimi previsti direttamente dal PNRR. Grandi scontri nel
dibattito pubblico, ma Comune di Milano, Unione Europea, Regione Lombardia così come Fondazione Cariplo, Cassa Depositi
e Prestiti, fondazioni e associazioni varie sono tutti complici nel perseguire l’unico interesse concreto di questo
mondo: il denaro, lo sfruttamento, la possibilità di gestire una metropoli come Milano a discapito di ogni forma di vita
che può essere sacrificata al suo vorace funzionamento, o risultare eccedente e da eliminare.
- C’è un terzo punto da evidenziare rispetto a queste condanne, quello che allarga lo sguardo su tutto il panorama
dell'espressione del dissenso: la sentenza nei nostri confronti è una sentenza politica che tocca chiunque prenda la
decisione di lottare.
Le pratiche per cui veniamo ritenuti colpevoli di associazione a delinquere sono pratiche comuni a tutti coloro che si
oppongono a ciò che reputano ingiusto e che scelgono di vivere insieme in determinate forme, in Italia e nel mondo
intero.
L’occupazione, così come la partecipazione a un picchetto, sono patrimonio comune di uno spettro estremamente ampio di
lotte, che arriva a noi attraverso il corso di secoli.
Le lotte sindacali, la lotta NoTav, le lotte antimilitariste e ambientaliste così come ogni creazione di momenti di
condivisione che fuoriescono dal raggio d'azione del consumo e della “legalità”, come le taz o le feste autorganizzate
di cui si è parlato così tanto in questi giorni, con l’obiettivo di ampliare la possibilità di intercettare e
sequestrare beni, e condannare fino a 6 anni di carcere.
Questa sentenza è un attacco a tutti e tutte e si inserisce perfettamente in un contesto di repressione sociale troppo
vasto in cui un sindacato diventa un’associazione a delinquere, un’azione di protesta contro una sede della lega e le
sue propagande razziste viene punita con 28 anni di galera, viene riesumato il regime di 41bis contro chi ha deciso di
non accettare a testa bassa, la disciplina dell’ergastolo ostativo viene inasprita e il MAE (mandato di arresto europeo)
permette di scalare i confini nazionali per perseguitare, a distanza di decenni, chi è stato presente nelle piazze e
nelle strade in giornate di lotta, di festa e di attacco.
Poiché tocca tutti e tutte, bisognerà pensare insieme a come rispondere.
L’invito che facciamo ora è proprio questo: organizzarsi per dare una risposta collettiva.
Alla luce dei tre punti che abbiamo voluto mettere in rilievo organizzare i prossimi passi deve essere un intento
condiviso da tutte quelle persone che si sentono coinvolte.
Noi siamo disponibili, a partire da oggi, alla discussione e alla condivisione.

14 novembre 2022, da infoaut.org