indice n.151

Sardegna sotto l'assedio delle esercitazioni di guerra
Guerra e pandemia, stessa strategia: il nemico è in casa nostra!
Pisa, 2 GIUGNO: NESSUNA BASE PER NESSUNA GUERRA
31 marzo Sciopero delle persone immigrate
Aggiornamenti dai campi di internamento per immigrati
intervista ad un ex detenuto nel carcere di paola (CS)
palestina: NOSTRI PRIGIONIERI - NON DELUDETECI
Lettera dal carcere di Ivrea
da una Lettera dal carcere di Genova
Lettere dal carcere di Milano-Opera
Alcune considerazioni su videochiamate e videoconferenze
Lettera dal carcere di Corigliano Rossano (CS)
Lettera dall’ospedale Belcolle di Viterbo
Lettera dal carcere di Roma-Rebibbia
DAL CARCERE DI BUSTO ARSIZIO
Lettera dal carcere di Massama (OR)
Lettera dal carcere di Cremona
Lettera dal carcere di Badu e Carros (NU)
Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
aggiornamenti su alcuni processi giudiziari in corso



Sardegna sotto l'assedio delle esercitazioni di guerra
Condividiamo di seguito il post di A Foras sulla notizia dell'esercitazione NATO sull'isola che vedrà coinvolti
territori ben al di fuori dei poligoni, una vera e propria prova generale di assedio.

Brigata Sassari sulle falesie a Cala Gonone, incrociatori e navi militari (12 ormeggiate nel porto di Cagliari in questo
momento) che girovagano tra Poetto, Villasimius e Pula, caroselli della Nato sui cieli di Barbagia e Baronia, la
Sardegna si candida ad essere il prossimo bersaglio internazionale di una guerra aliena al popolo sardo.
7 nazioni della Nato, 4000 soldati, 65 navi e decine tra sottomarini, elicotteri, mezzi aerei e di terra hanno da poco
dato il via all'esercitazione internazionale Mare Aperto che imperversa sui mari e le coste sarde ma anche su tirreno
centro meridionale.
La sottosegretaria alla difesa Pucciarelli, in visita qualche giorno fa tra La Maddalena e Tavolara, è venuta a fare il
solito lancio di semini e briciole per piccioni come da decenni a questa parte si confà al suo ruolo istituzionale. Il
comparto militare dice: "per la Sardegna questi elementi d’organizzazione costituiscono anche un volano per lo sviluppo
territoriale, contribuendo in diverso modo ad alimentare e sostenere il loro tessuto economico, occupazionale e
sociale."
Davanti a un'aggressione armata della NATO sul nostro territorio, davanti ai dati di una inflazione record, una crisi
economica e gli alti livelli di spopolamento nei territori limitrofi alle basi militari, ci permettiamo di dire che
HANNO LA FACCIA COME IL CULO. Per questo vi invitiamo a condividere e partecipare alla prossime mobilitazioni in
preparazione e alla manifestazione contro l'occupazione militare promossa dall'assemblea contro la presenza militare in
Sardegna di Cagliari che si terrà a Sant'Anna Arresi il 22 maggio.
Perché un nuovo corteo a una base militare? Continuiamo a credere che l’occupazione militare della Sardegna sia una
delle dimostrazioni più esplicite del dominio coloniale che martoria la nostra terra. Devasta l’ambiente, sottrae enormi
porzioni di territorio a terra e a mare che potrebbero avere ben altro utilizzo, produce una monocultura economica che
si riverbera come ricatto occupazionale: impedisce forme altre di sussistenza, provoca la miseria di cui si fa forte per
continuare a dimostrarsi non solo necessaria, ma anzi benefica. Ma sappiamo bene che dietro questi specchietti per le
allodole quelle reti ci parlano da sempre di morte, sangue versato, sfruttamento per un tozzo di pane, inquinamento e
malattie. Noi lo sappiamo bene che per la nostra terra desideriamo altro che essere la colonia periferica di uno stato
che qui è presente soprattutto quando deve scaricare le tonnellate di proiettili e missili sue e dei suoi alleati, per
simulare quelle guerre che fanno sfregare le mani alla NATO. Stavolta la guerra non è scoppiata in Medio Oriente, ma
alle porte dell’Europa, e convincerci che stavolta siamo i buoni è diventato fondamentale. Ci dicono che proprio
stavolta è giusto stare zitti, è giusto guardare gli aerei partire senza farsi domande, è giusto che le basi ci siano e
intensifichino anche la propria attività. Non ci hanno mai convinto i loro discorsi, abbiamo sempre saputo che più
sangue scorre più lauti sono i loro guadagni, e che la loro ricchezza si espande tanto più ci impoveriscono e ci
soffocano. Lo sappiamo ancora meglio ora. Vogliono dividerci, dicono che chi è contro la NATO sta con Putin: questa
guerra è diversa dalle altre perché è vicina, ma è l’ennesima guerra tra predatori, tra due blocchi imperialisti che
mostrano i muscoli per guadagnare una posizione più forte, mentre a morire sono, come sempre, soprattutto i civili.
Il 19 Dicembre a Capo Frasca abbiamo dimostrato che noi per la Sardegna vogliamo qualcos’altro e che qui i militari non
sono i benvenuti. A Capo Frasca siamo riusciti a dire tutte e tutti insieme che dietro quelle reti, la terra ci
appartiene.
Ci piacerebbe riuscire a replicare una giornata felice come quella del 19 Dicembre, dimostrando che tagliare le reti e
invadere le basi è giusto e ancora possibile.
Vogliamo provare a farlo nel rispetto di ogni sensibilità e fedeli al motto tanti modi, un’unica lotta, facendo in modo
che ognuno trovi il proprio modo di essere presente, dimostrando che il movimento contro l’occupazione militare della
nostra terra è unito, forte e determinato, e lo è ancor di più mentre risuona l’eco di una guerra in Europa. Ma ci sta a
cuore anche ribadire che l’occupazione militare è solo una delle tante forme di oppressione con cui l’isola deve fare i
conti, per cui il 22 Maggio ci troveremo a lottare a Sant’Anna Arresi come un altro giorno ci opporremo a un nuovo
ecomostro, a delle scorie nucleari o al fianco di lavoratori sfruttati: per noi lottare contro le basi significa anche
lottare per la liberazione della Sardegna. Per questo pensiamo che sia importante, più di ogni altra cosa, esserci,
esserci sempre, esserci con i nostri corpi, perché se saremo una moltitudine, i nostri messaggi arriveranno più forti e
più chiari, per ribadire in maniera inequivocabile, ancora una volta, che la Sardegna quelle reti le vuole abbattere
tutte.
Assemblea contro la presenza militare in Sardegna
15 maggio 2022, da infoaut.org

***
22 MAGGIO A TEULADA: LE RETI VANNO GIÙ, MA NON ANDIAMO IN VACANZA
A farci desistere ci ha provato il sole cocente di un 22 maggio più caldo del solito, ci hanno provato i giornali,
creando la storia di manifestanti buoni e cattivi, ci ha provato la polizia, sempre presente a presidiare i luoghi dove
si prepara la guerra.
Ma nonostante questo, domenica al poligono di Teulada, in centinaia di persone abbiamo gridato sotto il sole gli stessi
messaggi contro chi ci impone le basi militari e contro le forze dell'ordine, che continuano a difenderle, e ancora una
volta metri di rete sono cadute a terra, sotto il taglio svelto di molte tenaglie.
Con l'aspirazione che le lotte in Sardegna si moltiplichino e che saremo sempre di più, vedere le reti cadere a terra,
dei luccicanti fuochi nel cielo subito dopo e un corteo unito dall'inizio alla fine, ci fa sempre bene al cuore.
Come a Capo Frasca il 19 dicembre, domenica a Teulada è stato evidente che la lotta contro le basi militari continua ad
animare questa terra, con persone di tutte le età, di tutte le estrazioni e che provengono da tutta la Sardegna e non
solo; che il movimento è unito e che non ci sono buoni e cattivi, che le pratiche di lotta continuano a vivere nelle
mani di molte persone e ora più che mai si vuole lottare per impedire che la Sardegna sia luogo in cui si accetta
passivamente la presenza militare, imposta dalla Nato e dallo Stato Italiano.
In questo periodo in cui vediamo le navi militari al porto di Cagliari, per lo svolgimento dell'imponente esercitazione
interforze "Mare Aperto", in cui i mezzi militari si incrociano sulle strade di tutta l'isola, in cui a pochi passi da
noi è in corso un guerra a cui la NATO si sta esercitando letteralmente sotto i nostri occhi, pensiamo infatti che non
possiamo che continuare a lottare.
E continuare a lottare non solo contro le basi, ma contro tutti i tipi di sfruttamento del territorio, come quello
turistico. Questo ora è stato proposto come proficua alternativa alle basi militari, mentre è solo un altro tipo di
sfruttamento, andando a cementificare le spiagge, creando lavoro sottopagato e arricchendo le solite poche persone.
I motivi per lottare non mancano, con il sogno di liberazione della nostra terra e con la consapevolezza che le pratiche
sono tante. Le giornate di lotta come quella di domenica sono belle, ma non bastano. Quest'estate di incendi, turismo ed
esercitazioni militari non ci faranno andare in vacanza.
GHERRAUS IMPARI PO UNA SARDINNIA LIBERA
Sardinnia Aresti


Guerra e pandemia, stessa strategia: il nemico è in casa nostra!
Gli esiti dell’ultima guerra in corso sono oggettivamente imprevedibili. Più aumentano i tempi di risoluzione del
conflitto e più aumentano i soggetti coinvolti, più si va verso possibili “incidenti”. D’altra parte è la stessa
produzione di armi a lasciare spazio sempre e comunque ad immaginari di guerra e solo per sanare le cicliche crisi del
capitale. Infatti, non appena intravvisti i soldi in arrivo con il PNRR, i produttori di armi e di sistemi di controllo
sociale si sono lanciati nell’impresa, per loro facile, di razzia delle risorse, pretendendo quel contante che era stato
spacciato dal governo come “ristoro” per quanti si sono ulteriormente impoveriti durante la pandemia, ma che, in realtà,
era già stato stanziato per il comparto Difesa attraverso le voci ‘transizione ecologica’ e ‘promozione della ricerca
scientifica e tecnologica’.
Leonardo avrà la sua grossa fetta di torta per ottimizzare il controllo urbano, le tecnologie di cybersicurezza per le
forze dell’ordine (tracciabilità, videosorveglianza, riconoscimento facciale, software predittivi dei crimini), i
satelliti, accesso allo spazio.
Insomma, cosa c’era di meglio per il capitale di una guerra dopo due anni di pandemia e conseguente acuirsi della crisi?
Distruzione di capitale costante e variabile, rottamazione dei vecchi strumenti bellici, ricostruzione e, nel frattempo,
proroga ovunque dello stato di emergenza per imporre condizioni di sfruttamento ancora peggiori di quelle già esistenti
e per impedire sul nascere qualsiasi reazione proletaria organizzata.
La permanente guerra sottesa ha creato le possibilità di sempre più grandi conflitti asimmetrici che coinvolgono
completamente le popolazioni civili sia per quanto concerne le morti sul campo sia in riferimento ai numeri degli esseri
umani costretti a migrare (che ormai sono due o trecento milioni). E l’accoglienza dei profughi ucraini getta ancor più
nel limbo gli afghani ed i siriani dispersi nei Balcani piuttosto che quelli provenienti dal nord Africa.
Come per ogni guerra anche per questa, in corso alle porte dell’Europa, vengono sciorinate motivazioni che spingono i
governi all’escursus bellico. Dalla carestia provocata ad arte da Stalin per mettere in riga gli ucraini contrari alla
collettivizzazione forzata nel 1930, al sostegno ai nazisti dato dai nazionalisti ucraini durante la seconda guerra
mondiale; eppoi il ribaltamento politico del regime ucraino nel 2014, la strage della casa dei sindacati di Odessa, il
mancato riconoscimento delle repubbliche del Donbass, l’ampliamento del fronte NATO verso est, per finire con
l’oggettiva invasione di due mesi or sono.
Ridotta a fantoccio della NATO, sottomessa alle ricette lacrime e sangue imposte dal Fondo Monetario Internazionale,
l’Ucraina ha è pur sempre un punto cruciale di passaggio per la fornitura del gas dalla Russia, nonché produttrice di
ingenti risorse naturali (è la prima in Europa per riserve minerali di Uranio) e possiede una rilevante posizione
mondiale per quanto riguarda l’agricoltura.
La Russia, dal canto suo, vorrebbe uscire dal ruolo di semplice fornitore di materie prime (sulle quale paga royalty
elevatissime alla stessa Ucraina). E che dire dei giacimenti di litio in Donbass? Un bel bottino. Ma lo scontro vero si
gioca, ovviamente, nei confronti della NATO ed in funzione dei nuovi rapporti di potere che potrebbero giocarsi con la
Cina.
Tutte queste motivazioni particolari (come ogni motivazione che spinge alla guerra fra vari stati) sono solo piccoli
paraventi aperti davanti all’unica vera e sola motivazione: l’imperialismo è guerra, perché è attraverso questa che il
capitale può rinnovare il suo ciclo di accumulazione. Non è un caso che l’industria militare finanzi specifici corsi di
laurea volti al marketing ed alla stessa produzione della guerra.
Non cadere nel gioco degli schieramenti è fondamentale tanto quanto fare ogni gesto sia nelle nostre possibilità per
inceppare il meccanismo militarista.
Solidarietà a chi lotta contro la guerra, il capitalismo, l'autoritarismo, i confini e per questo viene è rinchiuso
nelle patrie galere

***
Report sul presidio davanti a Leonardo S.p.A. del 27 maggio 2022
Una quarantina di compagne e compagni hanno dato vita a un presidio/volantinaggio davanti agli ingressi di Leonardo
(divisione militare) a Genova. Sono stati appesi striscioni sulla cancellata lungo il perimetro e sono stati distribuiti
i volantini che alleghiamo. I lavoratori presenti in azienda non erano più di 300 (tutti gli altri lavoravano in
"smart") e non li abbiamo nemmeno visti passare tutti perché stranamente l'ingresso (dalle 7.45 alle 9.45) quel giorno è
stato anticipato alle 7. La polizia presente in forze ha contribuito, suo malgrado, a un ulteriore rallentamento del
flusso di ingresso. Abbiamo poi proseguito il volantinaggio e il megafonaggio lungo la via principale del quartiere di
Sestri Ponente. (Dal Grimaldello, Genova)

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Sabato 2 aprile manifestazione in piazza Affari a Milano
Contro le politiche guerrafondaie dell'ENI e contro tutte le guerre
L’Italia è in guerra. I governi che si sono succeduti hanno coperto le operazioni belliche tricolori sotto un manto di
ipocrisia. Missioni umanitarie, operazioni di polizia internazionali hanno travestito l’invio di truppe sui fronti di
guerra in Somalia, Libano, Serbia, Iraq,
Afganistan, Libia. Quest’estate, per la prima volta in quarant’anni un ministro della Difesa, in occasione del
rifinanziamento delle missioni militari italiane all’estero, ha rivendicato spudoratamente le avventure neocoloniali
delle forze armate come strumento di tutela degli interessi dell’Italia.
Ben 18 delle 40 missioni militari all’estero sono in Africa nel triangolo che va dalla Libia al Sahel sino al golfo di
Guinea. Sono lì per fare la guerra ai migranti diretti in Europa e per sostenere l’ENI. La bandiera gialla con il cane a
sei zampe dell’ENI accompagna il tricolore issato sui mezzi militari.
Le multinazionali energetiche come l’ENI e le banche producono guerre e saccheggio ambientale. La guerra viene
progettata, organizzata, condotta da generali senza divisa e stellette, quelli che in giacca e cravatta siedono nei
consigli d’amministrazione delle multinazionali insieme ai loro strapagati consulenti. Sono loro che lasciano ad altri
il “lavoro sporco” mentre pianificano una guerra invisibile, che apparentemente non distrugge, non sparge sangue.
Il fronte non è solo sui campi di battaglia ma passa attraverso le nostre città e le nostre vite. Un fronte invisibile,
solo apparentemente silenzioso, ma che ogni giorno presenta il bollettino di caduti che hanno tanti volti. Il volto
della classe lavoratrice, con il carovita e il progressivo prelievo dai salari per finanziare le spese militari ormai
senza limite. Il volto delle giovani generazioni ripagate con la precarietà, con salari che bastano solo a sopravvivere.
Il volto dell’ambiente devastato per alimentare la macchina della produzione.
Essere in piazza significa denunciare tutto questo e lottare per una trasformazione sociale radicale che investa tutte e
tutti, umani e non umani, per costruire un presente ed un futuro senza sfruttamento, oppressione, guerre e saccheggio
dell’ambiente.
Contro informare, organizzarci e lottare sono le nostre armi. Le armi della dignità delle
persone e della coscienza antiautoritaria di classe.
Il conflitto imperialista tra la NATO, che mira a continuare l’espansione ad est cominciata dopo la dissoluzione
dell’Unione sovietica, e la Russia, che, dopo decenni di arretramento, ha deciso di passare al contrattacco invadendo
l’Ucraina, ha causato un grande balzo in avanti della propaganda militarista. Draghi ha deciso un ulteriore aumento
della spesa militare e l’invio di truppe sul fronte est della NATO. 500 militari, scelti tra gli incursori della Marina,
Col Moschin, Forze speciali dell'Aeronautica e Task Force 45, si vanno ad aggiungere ai 240 alpini in Lettonia e i 138
uomini dell'Aeronautica in Romania. Nel Mar Nero ci sono la fregata FREMM “Margottini” e il cacciamine “Viareggio”,
oltre alla portaerei “Cavour” con i cacciabombardieri F-35.
Noi non ci stiamo. Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia. Rifiutiamo la retorica patriottica e
nazionalista, diretta emanazione della logica patriarcale, come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro
pretese espansionistiche.
L’antimilitarismo, l’internazionalismo, il disfattismo rivoluzionario sono stati centrali nelle lotte del movimento dei
lavoratori e delle lavoratrici sin dalle sue origini. Sfruttamento e oppressione colpiscono in egual misura a tutte le
latitudini, il conflitto contro i “propri” padroni e contro i “propri” governanti è il miglior modo di opporsi alla
violenza statale e alla ferocia del capitalismo in ogni dove. Opporsi allo Stato di emergenza bellico, all’aumento della
spesa militare, lottare per il ritiro di tutte le missioni militari all’estero, per la chiusura e riconversione
dell’industria bellica, per aprire le frontiere a tutti i profughi, ai migranti e ai disertori è un concreto e urgente
fronte di lotta.
Il 2 aprile siamo quindi in piazza a denunciare le guerre scaturite dagli interessi delle multinazionali energetiche,
dal mantenimento di apparati militari sempre più costosi e dalla devastazione dell’ambiente schiacciato dalla logica
feroce del profitto. Per indicare in modo chiaro i responsabili manifestiamo nelle piazze del potere finanziario da
Piazza Affari a Piazza della Scala.
Contro le banche, i veri padroni del sistema energetico, i responsabili della rapina ambientale e del finanziamento
dell’apparato industriale militare. Per fermare le guerre non basta un no. Bisogna mettersi di mezzo. A partire dalle
nostre città.
RITIRO DELLE TRUPPE ITALIANE ALL’ESTERO
CHIUSURA E RICONVERSIONE DELL’INDUSTRIA BELLICA
BASTA SPESE MILITARI
SOLIDARIETA’ E ACCOGLIENZA AI PROFUGHI DI TUTTE LE GUERRE

Assemblea antimilitarista

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solidarietà ai lavoratori aeroportuali di Pisa
Massima solidarietà ai colleghi dell’aeroporto Galileo Galilei di Pisa che si sono rifiutati di caricare armi e
munizioni dirette in Ucraina. Questa guerra la pagheranno solo i lavoratori, e ora di dire basta.
I lavoratori portuali iscritti a USB vogliono manifestare la propria vicinanza e solidarietà ai loro colleghi del
trasporto aereo di Pisa che nella giornata di ieri, con coraggio, si sono rifiutati di essere complici di questa guerra.
Arrivati al Cargo Village di Pisa, pensando di dover caricare un volo “umanitario” si sono trovati di fronte ad armi e
munizioni dirette nel teatro di guerra in Ucraina. Armi utili ad alimentare ancora di più una guerra che non accenna a
finire. Armi che servono ad uccidere lavoratori come noi. Guerra che stiamo pagando direttamente con le conseguenze
sull’economia e aumenti vertiginosi dei prezzi. Propaganda di guerra che ci vorrebbe far credere che per ottenere la
pace dobbiamo inviare ancora più armi in Ucraina.
Noi lavoratori portuali rifiutiamo tutto ciò. Siamo a fianco delle popolazioni Ucraine, del Donbass e della Russia e non
vogliamo essere complici di questo conflitto.
Ma non stiamo parlando solo di una questione politica ed etica. Così come successo nel nostro porto qualche mese fa, con
un carico di materiale esplosivo diretto in Israele presso la Darsena Toscana, ci chiediamo quali protocolli di
sicurezza esistano nel momento in cui avvengono queste movimentazioni di materiale bellico. È normale che dei
lavoratori, e anche la popolazione, siano esposti a questi rischi?
Sabato USB Livorno sarà presente alla manifestazione contro la guerra di sabato 19 marzo alle 15 all’aeroporto di Pisa
15 marzo 2022, da usb.it/
Coordinamento USB lavoratori portuali Livorno

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31 MARZO: CON LA LOTTA DEI PORTUALI!
La nave Bahri fa di nuovo scalo a Genova, portando nelle sue stive armamenti micidiali che alimenteranno il genocidio
delle popolazioni sottoposte a bombardamenti devastanti, come avvenuto in Yemen, con migliaia di morti, distruzioni
massicce delle infrastrutture di base (fognature, acquedotti, ospedali), sviluppo di epidemie (il colera in Yemen ha già
fatto stragi di massa).
A foraggiare questo traffico infame sono tutti gli Stati, con in testa gli USA e i paesi europei, fra i quali uno dei
primi posti è occupato dall’Italia, che ipocritamente “ripudia la guerra”… ma esporta armi alla grande e alimenta
robustamente i conflitti quando servono gli interessi delle sue multinazionali, delle sue banche, dei suoi “oligarchi”
(eh si, gli “oligarchi” ci sono anche qui…).
Oggi, l’arrivo della Bahri cade in un momento particolarmente grave, con la guerra scatenata in Ucraina dal governo
reazionario di Putin, che intende con essa riconquistare una parte essenziale della vecchia sfera d’influenza
dell’imperialismo russo, ma di cui, tuttavia, il governo altrettanto reazionario di Zelensky è pienamente
corresponsabile, per essersi prestato alle manovre sempre più aggressive della NATO, degli USA e dei paesi europei.
Da Biden a Draghi, da Scholz a Macron, tutte le cancellerie, di qua e di là dall’Atlantico, spingono per inondare
l’Ucraina di armi sempre più micidiali, dopo aver indotto le frazioni borghesi a loro legate a prostituirsi alle
esigenze strategiche del “blocco occidentale” (un blocco, tuttavia, con molti contrasti interni), spingendo le classi
dominanti di Kiev nel baratro di una guerra devastante, una guerra che le potenze imperialiste, ad Est come ad Ovest,
non nascondono possa essere l’innesco di una spaventosa guerra mondiale nucleare.
Giovedì 31 Marzo, saremo in piazza, in solidarietà con i portuali USB in sciopero, per ribadire che solo la lotta dei
lavoratori può rappresentare un ostacolo sulla via che porta ad un conflitto generalizzato. Questa lotta parte dal
riconoscimento che “il nemico è in casa nostra”, è il governo Draghi e il grande capitale di cui esso è espressione!
Mentre gridiamo: “via le truppe russe dall’Ucraina!” battiamoci apertamente contro l’invio di armi da parte delle
“nostre” industrie belliche, per il ritiro delle truppe italiane dai confini dell’Ucraina e da tutti gli altri teatri di
guerra, contro le missioni militari del “nostro” imperialismo!
Apriamo il “fronte interno” contro la “nostra” borghesia, contro i “nostri” padroni, contro le alleanze internazionali
di cui fanno parte, a cominciare dalla NATO, dall’UE e da ogni futuro progetto di esercito europeo! A queste alleanze i
governi italiani partecipano per difendere gli interessi di sfruttamento e di dominio dei capitalisti nostrani, non
perché servi di Washington o di Bruxelles.
Generalizziamo la lotta che i lavoratori portuali stanno conducendo!
Blocchiamo i traffici d’armi ovunque siano diretti!
Denunciamo il militarismo crescente, la crescita degli stanziamenti per armamenti e i tagli alla spesa sociale, lottiamo
contro i bassi salari e il carovita, per un meccanismo automatico di adeguamento delle retribuzioni alla crescita
dell’inflazione, contro l’aumento dello sfruttamento e della repressione sui luoghi di lavoro e nei confronti dei
proletari combattivi, battiamoci contro la disoccupazione crescente e per il salario medio operaio a tutti i
disoccupati!
NO ALLA GUERRA IMPERIALISTA! SI ALLA LOTTA DI CLASSE INTERNAZIONALE!
PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNIAMOCI!

SI Cobas Genova
30 marzo 2022, da pungolorosso.wordpress.com


Pisa, 2 GIUGNO: NESSUNA BASE PER NESSUNA GUERRA
Condividiamo di seguito l’appello del Movimento No Base in vista della manifestazione nazionale che si terrà il 2 giugno
a Coltano (Pisa).

440.000 metri cubi di edifici. 73 ettari di territorio cementificato a fini militari. In un territorio già
insopportabilmente militarizzato. All’interno di un parco naturale, dove non si potrebbe cementificare un metro quadro.
In segreto, in aperto spregio alla trasparenza democratica e alla partecipazione popolare. A danno di chi ci vive e chi
ci lavora. Attraverso le procedure del PNRR, con soldi pubblici – 190 milioni di euro – che dovrebbero essere
ufficialmente destinati a fondamentali progetti ambientali e bisogni sociali. Nel contesto di un tragico e
pericolosissimo scenario di guerra in cui il governo decide di eliminare l’iva per i servizi e beni militari anziché
finanziare scuole, sanità, edilizia popolare e agevolata, misure di prevenzione e contrasto della violenza di genere.
Questo è ciò che ha cercato di imporre al territorio pisano e in particolare alla comunità di Coltano e al Parco di
Migliarino San Rossore Massacciuccoli il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi pubblicato il 23
marzo 2022 sulla Gazzetta ufficiale e tenuto nascosto da più di un anno da chi governa a livello locale, il sindaco
Michele Conti e il presidente della Regione Eugenio Giani, e nazionale. Un chiaro attacco alla democrazia rispetto al
quale la popolazione chiede il ritiro immediato del decreto.
Contro questa imposizione un territorio è insorto, con forza. Da ogni parte d’Italia arrivano solidarietà e sostegno.
Tanti territori si riconoscono in Coltano, perché i tratti costitutivi del progetto di base militare, sono propri del
sistema capitalista e patriarcale in cui siamo immers*.
Un sistema che associa la sicurezza al controllo, al filo spinato, ai mezzi blindati. Un sistema che vuole trasformare
Pisa nella più importante piattaforma logistica per la guerra, da Camp Darby all’aeroporto militare. Per noi la
sicurezza è diritto a un’abitazione dignitosa, autodeterminazione e indipendenza economica, un ambiente e un cibo sano,
servizi sociali che funzionano, diritti e sicurezza sul lavoro, libertà dalla violenza e dalla devastazione su corpi e
territori.
Un sistema che disprezza la tutela dell’ambiente e del paesaggio, perché è un ostacolo alla produzione continua e
incontrollata. Nel quale la guerra è il paradigma dell’inquinamento e della distruzione delle risorse. Per noi il mondo
che verrà avrà più campi da coltivare e meno speculazione edilizia, più biodiversità e meno ruspe, più tutela delle
risorse naturali, più risorse ai parchi per vivere meglio e più a lungo.
Un sistema che si fonda sull’economia di guerra che investe in armi, continua ad aumentare le spese belliche, invia
missioni militari all’estero è l’espressione più organizzata della violenza patriarcale che impone e riproduce identità
di genere funzionali a questo sistema. Noi vogliamo che le risorse pubbliche vengano utilizzate davvero per rimuovere
gli ostacoli di ordine economico, sociale, di genere e provenienza che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini
e delle cittadine.
Noi vogliamo un mondo di pace in cui le persone possano crescere e vivere sapendo che i loro diritti sono garantiti e
non debbano avere paura. Un sistema opaco, autoritario, patriarcale e razzista. Che pensa di poter decidere sulla vita
di tutti e tutte noi per decreto, scavalcando discussione e partecipazione.
La nostra idea di democrazia è ascolto, interesse collettivo, partecipazione, trasparenza.
Contro la costruzione di una nuova base militare a Coltano e in qualunque altro territorio, per ribadire che i soldi
pubblici devono essere spesi per la nostra sicurezza sociale e l’accesso ai servizi, la tutela dell’ambiente e del
territorio.
Per questo e per molto altro lanciamo una manifestazione nazionale a Pisa il 2 giugno. Per un 2 giugno contro la guerra!

***
il gasdotto trans adriatico non libererà l’italia dalla dipendenza russa
Nella sua informativa urgente alla Camera dello scorso 25 febbraio, Mario Draghi, augurandoci il rapido arrivo dei
tepori primaverili, ci ha annunciato l'imminente prospettiva della riduzione di disponibilità di gas come conseguenza
delle sanzioni verso la Russia, primo fornitore del fabbisogno italiano.
Bacchettando le (astratte) responsabilità di questa dissennata strategia energetica, il capo del governo ha ammesso di
avere un solo asso nella manica: riaprire le ultra inquinanti centrali a carbone. Senza fare la minima piega sulla
sconcertante svolta noir della tanto strombazzata “ripartenza green”, i maggiori organi di informazione italiani hanno
preferito amplificare la seconda parte del discorso di Draghi, quello dei buoni (e vaghi) propositi per il futuro:
“incrementare i flussi da gasdotti non a pieno carico come il TAP, dall'Azerbaijan, il Trans Med dall'Algeria e dalla
Tunisia, il Green Stream dalla Libia.” E così è seguita una fioritura di articoli e servizi televisivi che annunciavano
l'imminente raddoppio del gasdotto TAP, salvifico e benedetto ma tanto scioccamente contestato da rozzi ambientalisti
affetti da sindrome Nimby [inglese per Not In My Back Yard, "Non nel mio cortile", ndr].
E' dunque necessario fare un po' di chiarezza, non sulle ragioni dell'opposizione a TAP, che rimangono tutte
perfettamente in piedi, ma sulla favola della liberazione dalla dipendenza russa, partendo dal fatto che l'espressione
“portare a pieno regime” e “raddoppiare” fungono da sinonimi solamente nel lessico giornalistico italiano. Un raddoppio
è possibile?
Stando agli ultimi test di mercato effettuati dal consorzio Tap, no: almeno per il momento la proposta di estensione
dell'infrastruttura non ha trovato finanziatori interessati ad un affare che si dovrebbe concludere nel 2026 in un
panorama internazionale di forte instabilità. Giova ricordare qui che Tap è solo l'ultimo tratto di una condotta che
arriva in Puglia partendo dal mar Caspio e che attraversa la Georgia e la Turchia.
Di certo, costruire gasdotti comporta tempi lunghi e costi enormi: quello trans adriatico è una fra le infrastrutture
più costose della storia dell'UE: 40 miliardi di dollari, per lo più provenienti da stanziamenti di banche pubbliche.
Allora, è possibile almeno portare il gasdotto a pieno regime, come suggerisce Draghi? Forse, dipende, vediamo...
Al momento, come argomenta un dettagliato rapporto dell'Oxford Institute for Energy Studies, il corridoio sud del gas
che attinge alle riserve dell'Azerbaijan costituirà, almeno fino al 2030, un modesto contributo di approvvigionamento,
rispondendo a non più del 2% della domanda complessiva europea. Intanto, nel corso della riunione ministeriale del
Consiglio Consultivo del Corridoio Meridionale, tenuta a Baku il 4 febbraio scorso non si è fatto cenno alcuno a
progetti di implementazione e meno che mai di raddoppio. Infatti, al momento non si ha completa certezza della reale
consistenza dei giacimenti di Shah Deniz, che comunque il presidente azero Aliyev descrive come ricchissimi. In ogni
caso, per mettersi al sicuro, Aliyev il 22 febbraio è corso a Mosca a conferire con Putin e a rinsaldare l'alleanza e la
cooperazione fra i due paesi, anche e soprattutto sul piano delle risorse energetiche e del controllo del Nagorno
Karabakh.
Al grande tavolo ovale di Putin, Aliyev ha tenuto a precisare che “una cooperazione attiva tra Russia e Azerbaijan è
possibile anche in termini di coordinamento dei nostri sforzi in modo da comprendere chiaramente i volumi che possiamo
vendere... per non creare problemi a vicenda. Anche piccoli volumi a volte possono fare la differenza nel mercato del
gas. Per evitare ciò, siamo pronti e stiamo lavorando con la parte russa in questa direzione." Alla luce di queste
dichiarazioni e considerato che al massimo della sua capacità TAP porterebbe 10 miliardi di metri cubi di gas a fronte
dei 30 russi, pare azzardato parlare di TAP che salva l'Italia dalla dipendenza russa... Comunque, per non farci mancare
niente, nella grande gamma dei colori di questa vicenda ci entra pure un po' di giallo messo, questa volta, dal sindaco
del paese in cui approda il gasdotto. In una recente intervista il sindaco commenta le dichiarazioni di TAP che
annunciava di aver trasportato nel 2021 otto milioni di metri cubi di gas, di cui sei destinati all'Italia. Si domanda,
il sindaco, dove siano andati a finire questi metri cubi considerato che ancora manca un tronco di circa 90 km che deve
collegare TAP alla rete nazionale, tratto che Snam dichiara di consegnare nel 2028. E allora “dove vanno quei 6 miliardi
di metri cubi di gas che la società dichiara che arrivano in Italia e che rappresenterebbero il 9-10% del fabbisogno
italiano? In realtà potrebbero essere utilizzati nelle province di Brindisi e di Lecce nella rete collegata a Snam e
forse nella centrale turbogas Edipower di Brindisi, che brucia gas e produce energia elettrica. Ma è un quantitativo
eccessivamente alto per il fabbisogno locale. Qualcuno risponda a questo mio dubbio atroce”.
Intanto ci si appresta a stringere i rubinetti e ad accendere la carbonella… certamente consapevoli che le dipendenze di
solito non si risolvono cambiando spacciatore.

8 marzo 2022
NO TAP sempre e ovunque


31 marzo Sciopero delle persone immigrate
Il 31 marzo saremo di nuovo in piazza, in varie parti d’Italia, per denunciare il razzismo istituzionale che affligge
chi non ha la cittadinanza europea e per chiedere un radicale cambiamento delle politiche migratorie in questo paese.
Mai come oggi è evidente quanto l’Italia e l’UE stiano adottando misure differenziali a seconda degli interessi
geopolitici ed economici del momento. Improvvisamente, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Unione Europea ha tirato
fuori dal cilindro una direttiva del 2001 (pensata per i profughi kosovari in fuga dalle bombe della NATO e mai
applicata) che – giustamente – permette a chi scappa dalla guerra di essere regolarizzata/o senza passare per una
richiesta d’asilo, mentre una potente macchina di solidarietà si è messa in moto in tutta Europa, Italia compresa, per
accogliere i milioni di persone in fuga dai bombardamenti. Questi, nell’immaginario comune, sono “profughi veri” e
meritevoli.
Dov’erano e dove sono questi imprescindibili strumenti, quando si trattava di persone in fuga dalla Libia, dalla Siria,
dall’Iraq, dall’Afghanistan, dal Sudan, dalla Somalia, dallo Yemen, e da tutte le altre guerre, di cui l’Europa porta
una responsabilità pesantissima? Non sono forse anche queste guerre “alle porte dell’Europa”, Libia in primis? Perché
nel 2012 chi veniva costretto ad imbarcarsi dalla Libia per l’Italia, e sfuggiva alle bombe della NATO, è rimasto in
Italia per anni senza uno straccio di documento, in condizioni deplorevoli, spesso sfruttato nelle campagne? Perché nel
2015 si parlava di “emergenza” per numeri molto più contenuti di ingressi? E perché l’accoglienza e la solidarietà
incondizionate, anche oggi, sono riservate principalmente a chi ha il passaporto ucraino, mentre nel paese si trovano
migliaia di studenti e studentesse, lavoratrici e lavoratori stranieri che ancora una volta vengono respinti alle
frontiere o comunque sottoposti a ben maggiori ostacoli burocratici per poter entrare nello spazio UE? Per non parlare
di ciò che oggi accade, nel silenzio quasi totale, in Libia e Tunisia, dove migliaia di persone, fuggite da guerre a più
o meno alta intensità e accampate davanti ai quartier generali dell’agenzia ONU per i diritti umani in condizioni di
estremo disagio, chiedono da mesi di essere evacuate, ricevendo in cambio rastrellamenti, morte e indifferenza. È chiaro
poi che le guerre da cui si scappa oggi non sono soltanto quelle combattute con le armi, ma anche con il furto di
risorse (magari con il supporto militare), con la corruzione, la violenza politica e le loro conseguenze su scala
globale (in primis il cambiamento climatico). Da anni, immigrati e immigrate in Italia come in altri paesi europei
chiedono la fine di questo sistema che crea varie gradazioni di accesso ai diritti di cittadinanza e costringe chi ne è
escluso a molteplici forme di violenza e sopruso. La politica sa benissimo quanto queste persone siano necessarie
all’economia, come non manca di affermare periodicamente, facendo eco alle associazioni dei datori di lavoro,
Confindustria in primis. Lavoratrici e lavoratori immigrati possono essere pagati meno, sia che siano irregolari o
soggetti al ricatto del permesso di soggiorno. Quando non lavorano in nero, poi, contribuiscono in maniera determinante
a pagare le pensioni degli italiani. Infine, anche come “ospiti” di centri di accoglienza che speculano sulla loro
pelle, i richiedenti asilo sono una “risorsa”. Ma la politica fa finta di non volerli, alimentando le divisioni e l’odio
per distrarci dai veri problemi e dai loro responsabili e favorire lo sfruttamento.
Contro tutto questo, consapevoli che soltanto sottraendoci dal lavoro avremo nelle nostre mani un’arma di ricatto
potente, scenderemo in piazza il 31 marzo. Al governo portiamo rivendicazioni concrete frutto di lotte che vanno avanti
da anni, fra cui: la regolarizzazione di chi non ha il permesso di soggiorno,lo sblocco delle richieste di sanatoria, la
cancellazione del legame fra contratto di lavoro e permesso di soggiorno e della residenza come requisito per il
rinnovo, l’accesso alla cittadinanza e la facilitazione dei ricongiungimenti familiari, l’abolizione della detenzione
amministrativa, dei respingimenti e delle deportazioni, così come l’abolizione dei decreti sicurezza e la fine di ogni
abuso e discriminazione da parte delle istituzioni.
Per documenti per tutti/e e repressione per nessuno/a!
Gli appuntamenti fissati sono: Roma (h. 10 Piazza dell’Esquilino), Foggia (h.10 davanti alla Prefettura in C.so Giuseppe
Garibaldi), Torino (h. 10 davanti all’Ufficio Immigrazione della Questura in C.so Verona), Milano (h. 9.30 davanti
all’Ufficio Immigrazione della Questura in Via Montebello), Modena (h. 10:00 davanti alla Prefettura in Viale Martiri
della libertà). (marzo 2022, da hurriya.noblogs.org)

Resoconto presidi del 31 marzo 2022
Il 31 marzo siamo tornat* in piazza per pretendere documenti per tutt*, un cambiamento radicale delle politiche
migratorie, per denunciare il collegamento tra razzismo e sfruttamento, per dire che siamo qui, che vogliamo che lo
stato lo riconosca e non siamo più disponibili ad aspettare e a essere pres* in giro.
La determinazione era tanta, in ogni piazza. Oggi c’eravamo, nonostante la pioggia torrenziale, nonostante la stanchezza
per una lotta che sembra eterna, eravamo carich*, con la voglia nelle mani e nella voce di ottenere risposte alle nostre
richieste.
A Milano la polizia ci voleva impedire di manifestare vicino all’Ufficio Immigrazione, la questura di via Montebello.
Con determinazione abbiamo occupato la strada per tre ore, urlando che volevamo documenti per tutt* e repressione per
nessun* e che è ora di finirla con il razzismo e lo sfruttamento. Non ci siamo mossi di un metro.
A Foggia abbiamo ottenuto un tavolo con il vicario del prefetto e il capo dell’Ufficio Immigrazione della questura.
Proprio la questura aveva bloccato, infatti, la ricezione di nuove richieste di Protezione Speciale, precludendo a
moltissimi lavorator* immigrati* (parliamo di centinaia di persone) la possibilità di regolarizzarsi nel territorio dopo
anni e anni di precarietà e sfruttamento. Adducendo varie scuse, tra cui l’emergenza dei profughi ucraini – ancora una
volta dividendo le persone tra meritevoli di soggiorno e non – rifiutava di accogliere nuove domande di Protezione
Speciale. Con la determinazione di oggi abbiamo ottenuto lo sblocco: la questura si è impegnata, infatti, a
ricominciare, da domani, la ricezione delle domande.
Abbiamo, inoltre, denunciato le condizioni molto faticose in cui vivono i richiedenti asilo del CARA di Borgo Mezzanone,
a cui non vengono fornite possibilità adeguate ad una vita decente, come gli spetterebbe di diritto, con una evidente
mala gestione delle risorse (dato che risparmio significa guadagno per i soliti noti). La prefettura si è impegnata a
procedere con un’ispezione e la nuova direttrice si è resa disponibile a parlare direttamente con chi voglia denunciare
problemi all’interno della struttura.
A Torino un presidio e un volantinaggio hanno preso spazio e voce di fronte all’Ufficio Immigrazione. E i lavoratori
immigrati che vivono e lavorano nella Piana di Gioia Tauro hanno volantinato e attaccato striscioni nelle strade di
Rosarno e di Gioia Tauro.
A Roma e a Modena siamo stat* pres* in giro per l’ennesima volta. Mentre a Modena il tavolo ottenuto in prefettura non
ha dato nessuna risposta a chi aspetta dal 2020 di essere regolarizzato attraverso la fallimentare sanatoria e che oggi
gridava lì fuori “da qui non ce ne andiamo, senza documento”, a Roma, il Ministero dell’Interno ha negato l’incontro che
aveva promesso, riconfermando la volontà di ignorare queste richieste e di giocare con la vita delle persone.
La rabbia contro le prese in giro e la sordità del Ministero è risuonata nelle diverse piazze, perché tutto questo fa
parte di quella guerra quotidiana che viene condotta contro le persone immigrate ogni giorno in Italia. Nel frattempo,
l’Italia stessa insieme agli altri stati europei nutre le sue guerre – ad alta e a bassa intensità- ai confini
dell’Europa (nel Mediterraneo così come in Ucraina), per poi stabilire canali differenziali di regolarizzazione per chi
scappa da queste guerre.
Sappiamo che contro tutto questo bisogna continuare a lottare. Che oggi sono arrivati dei risultati, ma che non è finita
qui. Oggi abbiamo bussato, la prossima volta entriamo senza chiedere il permesso. (da facebook.com/documentipertutt)


Aggiornamenti dai campi di internamento per immigrati
CPR di Milano. Da un paio di mesi al Cpr di via Corelli hanno di nuovo i cellulari dopo il ricorso vinto da uno dei
reclusi a dicembre 2021. Dal 7 maggio finalmente hanno iniziato a chiamare e dare qualche notizia sulle condizioni
all’interno. Le sezioni attualmente attive sono due su quattro (le altre due sono state rese inagibili dalle rivolte).
Le notizie arrivano da una delle sezioni, dove ci sono circa 22 ragazzi e provengono in prevalenza da Algeria, Tunisia,
Marocco, Mali, Bosnia Erzegovina e Perù. Le espulsioni verso Marocco, Algeria e Tunisia sembra avvengano il mercoledì,
giovedì e venerdì e che li prelevino intorno alle 2 o 3 di notte. In una sezione a parte c’è un ragazzo in isolamento
perché positivo al Covid-19. Quello che lamentano è la mancanza di lavoro e di visite con i familiari.
La cosa peggiore è, come dice uno di loro “che non abbiamo il diritto di essere visitati dalle nostre famiglie, non ci
danno un solo libro da leggere. Stiamo tutto il giorno senza poter fare nulla che possa distrarre la nostra mente”. In
molti dicono che è per questo che un ragazzo qualche giorno fa “ha perso un po’ la testa, parlava da solo e urlava”.
Dato che non è stato soccorso nella sezione è scoppiata una protesta, hanno sbattuto finestre e porte perché era l’unica
cosa che potevano fare. Nonostante questo, il ragazzo si trova ancora in cella senza aver ricevuto nessun tipo di
assistenza medica o psicologica. I ragazzi hanno parlato di lenzuola fatte di tessuto-non-tessuto, quasi di carta, che
si strappano e danno allergie, lasciando scoperti i materassi malconci. Il cibo, fornito dal Progetto Mirasole della
fondazione Arca Onlus, è come sempre di pessima qualità e proprio oggi è scoppiata una protesta dopo l’arrivo di cibo
“che nemmeno i maiali mangerebbero, roba incredibile, fa schifo, puzza” […] “Abbiamo fatto sciopero e abbiamo gettato
tutto a terra”. Dicono che gli avvocati ci sono (d’ufficio o nominati da loro), ma che il consiglio che viene dato è
sempre quello di aspettare e aspettare. Due o tre tra medici o infermieri presenti prescrivono solo terapie di base o
psicofarmaci.
La sera del 9 maggio, verso le 21.30, è iniziata una protesta con il lancio del cibo marcio che, per l’ennesima volta,
era stato loro “servito”. Hanno dato fuoco a materassi, per altro ignifughi, che fanno un fumo terribile, e alla
spazzatura nell’area aperta. La protesta riguardava anche il mancato soccorso di un ragazzo con problemi, si agita
sempre e molto e parla da solo, oltre a dormire nei bagni. Uno dei reclusi si è ferito gravemente ai piedi ed è stato
portato all’ospedale, non si sa quale per ora, per poi ricevere la denuncia per la protesta al suo rientro nel Cpr.
(maggio 2022, da Punto di Rottura - Contro i Cpr fb)

CPR di Torino. A due mesi dall’inizio del mandato di ORS s.r.l. per la gestione del CPR di Torino la situazione dentro
il centro rimane aberrante. Il Centro si sta nuovamente riempiendo: ogni giorno vengono portate dentro nuove persone che
dopo un tampone e la superficiale visita del solito dottor Pitanti sono trattenute in isolamento nell’Ospedaletto per 2
settimane. Continuano i sequestri dei telefoni personali al momento dell’ingresso, e le condizioni di sopravvivenza
quotidiane continuano ad essere raccapriccianti: il cibo è praticamente marcio e nelle strutture fatiscenti non
funzionano i servizi igienici. Le deportazioni proseguono e le persone vengono prelevate dalle aree nel cuore della
notte per essere trasferite in aeroporto via pullman della polizia. Gli atti di autolesionismo, continui, e le proteste
vengono repressi con violenza.
Durante il presidio solidale del 25 aprile al Centro di permanenza per il Rimpatrio di corso Brunelleschi, dopo aver
ripetuto più volte il numero del telefono che utilizziamo per sentire i reclusi, da dentro ci hanno chiamato due
persone. Un ragazzo tunisino detenuto nell’area Verde ci ha raccontato le condizioni che vivono quotidianamente nel
centro. Rispetto allo stato delle aree, alla fornitura di cibo scaduto, alla possibilità di comunicare con l’esterno,
nulla è cambiato con il subentro di ORS. Dalle parole di chi ci ha chiamate sappiamo che il giorno precedente tante
persone recluse sono state male, qualcuno è stato addirittura portato in ospedale, perché l’unico pasto fornito
consumabile (è in corso il Ramadan) era marcio e avvelenato. I reclusi inoltre continuano ad avere difficoltà a
comunicare sia coi parenti (le schede telefoniche per l’estero costano 5 euro e danno a disposizione 8 minuti) sia con
gli avvocati: pare che in questi giorni le videoconferenze con i difensori siano sospese. Pochi giorni fa inoltre sembra
che parecchie persone siano uscite dall’area Bianca, probabilmente per essere rimpatriate.
La seconda persona che ci ha contattato presente nell’area Blu ci ha parlato dei suoi problemi fisici, totalmente
ignorati e silenziati dall’infermeria del centro. Una delle tante situazioni drammatiche in cui le cure di cui si
avrebbe bisogno vengono sistematicamente negate. Come nelle carceri, non esiste possibilità di ricevere un’assistenza
sanitaria adeguata a problematiche più o meno gravi.
Una brevissima riflessione sulla gestione di questi posti: la nuova società gestrice ORS si presenta in assoluta
continuità con la vecchia GEPSA, che per anni ha avuto l’appalto del Centro di Torino. Questa continuità rappresenta
semplicemente l’interesse di chi prende in carico questi luoghi: il guadagno. Chi lucra e specula sulla vita delle
persone recluse non ha alcun interesse per il benessere o la salute di chi è richiuso. Nessun cambio di gestione di
questi posti può portare ad un miglioramento delle condizioni di vita di chi è detenuto. L’unico miglioramento possibile
è la distruzione dei CPR. (maggio 2022, da nocprtorino.noblocs.org)

Accordi per deportazioni. Mercoledì scorso, 13 aprile 2022, durante una banale interrogazione parlamentare di routine,
la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha sbandierato i risultati della cooperazione fra governo italiano e governo
tunisino rispetto al numero di rimpatri effettuati nei primi mesi dell’anno: 850 i tunisini deportati. A partire
dall’estate del 2020, numerose riunioni e scambi diplomatici italo-tunisini hanno rinforzato la collaborazione tra
questi due paesi con lo scopo di impedire le partenze, mettendo in opera un’attività di intercettazione delle
imbarcazioni nelle acque territoriali tunisine e dei respingimenti delle stesse e aumentando i rimpatri dei cittadini
tunisini dall’Italia verso la Tunisia. Il numero di rimpatri è cresciuto in modo rilevante negli ultimi cinque anni. La
Tunisia è la principale destinazione dei cittadini rimpatriati dall’Italia (più di 1.922 cittadini tunisini nel 2020 e
1.872 nel 2021), ed è anche la principale nazionalità delle persone recluse nei CPR. Nel 2020, su un totale di 4.387
prigioner* nei Centri, 2.623 persone, di cui 13 donne e 2.610 uomini, erano di origine tunisina. Secondo i dati del
Ministero dell’Interno italiano, nei primi sei mesi del 2021,circa 1.270 cittadini tunisini sono stati trasferiti nei
CPR. Dal 1 gennaio al 15 novembre 2021, 2.465 tunisini sono transitati attraverso i CPR, cioè il 54,9% del totale
(4.489). In seguito al rinnovo degli accordi tra la Tunisia e l’Italia del 2021 la procedura di deportazione è stata
notevolmente accelerata ed il rimpatrio può aver luogo pochi giorni dopo l’arrivo al centro. Il ritorno in Tunisia
generalmente avviene attraverso voli charter diretti all’aeroporto internazionale Enfidha-Hammamet (dati estrapolati
dallo Studio sui rimpatri in Tunisia).
Il 9 e il 10 giugno si riunirà il Consiglio Europeo “Giustizia e Affari Interni” a Lussemburgo. Il Consiglio “Giustizia
e affari interni”, che si riunisce ogni tre mesi, mira ad elaborare politiche comuni su vari aspetti transfrontalieri in
termini di controllo, sicurezza e repressione. Il Consiglio “Giustizia e affari interni” (GAI) è composto dai ministri
della giustizia e degli affari interni di tutti gli Stati membri dell’UE. I ministri della giustizia si occupano della
collaborazione giudiziaria in materia civile e penale, mentre i ministri degli affari interni sono responsabili, tra
l’altro, della migrazione, della gestione delle frontiere e della cooperazione di polizia. In questa sede si presentano
i dati delle attività svolte e si negoziano i termini, anche e soprattutto economici, delle azioni future.
Quando si discuterà nel sostegno economico all’Italia del New EU Migration Pact certo sarà comodo sbandierare, come per
ogni buon bilancio aziendale, dei numeri rassicuranti sull’impegno e sul ruolo svolto, in modo tale da giustificare
nuove richieste e petizioni. Il Patto europeo su migrazione e asilo è un documento programmatico pubblicato il 23
settembre 2020 con il quale la Commissione europea ha esposto le linee guida che orienteranno il lavoro in tema di
migrazione nel prossimo quinquennio e, nello specifico, nel quale si cerca di promuovere un sistema comune dell’UE per i
rimpatri.
A proprio dire, la Commissione fonda il Patto su tre princìpi:
1. Nuove procedure integrate per stabilire rapidamente lo status all’arrivo. Ciò prevede, tra le altre, il potenziamento
della banca dati Eurodac tramite il rilevamento delle impronte digitali e la loro registrazione e un ruolo più incisivo
della guardia di frontiera e costiera europea, FRONTEX, il cui impiego è implementato e attivo dal 1º gennaio 2021.
2. Un quadro interno comune “per la solidarietà e la condivisione della responsabilità”.
3. Un cambiamento nell’approccio alla “cooperazione con i Paesi terzi”.
Se non può che saltare agli occhi il becero rovesciamento del significato di “solidarietà”, qui intesa come accessorio
sbirluccicante a braccetto del concetto di “responsabilità”, non si può non notare come questo secondo punto altro non è
che il tentativo di bilanciare l’implicazione pratica obbligatoria e compartecipata dei vari paesi con lo spargimento di
riconoscimenti politici e ricompense economiche. L’approccio alla “gestione migratoria” viene ora definito come
“unitario”, che è il nuovo nome dato alle politiche di esternalizzazione dalla prospettiva eurocentrica. Infatti,
rispetto al terzo punto, è superfluo commentare come i cosiddetti partenariati con paesi terzi siano strumentali al
controllo delle partenze attraverso la sorveglianza, la repressione, i respingimenti e le detenzioni, non senza le
adeguate compensazioni.
Non per nulla, senza giri di parole, a proposito del nuovo Patto europeo il vicepresidente della Commissione, Margaritis
Schinas, aveva dichiarato che l’obiettivo finale era quello di impedire agli stranieri di entrare sul territorio europeo
attraverso accordi con i paesi extraeuropei di origine e di transito e con un investimento sull’agenzia per il controllo
delle frontiere esterne. A Lussemburgo faranno comodo quindi un po’ a tutti 850 miserie da mettere sul piatto della
bilancia: costano poco, ma si trasmuteranno in un dato da cui trarranno profitto sia il governo tunisino, interlocutore
privilegiato e, se non affidabile, quantomeno concreto per la Farnesina, sia l’Italia, che potrà sbandierare un numero
in positivo per dimostrare il proprio impegno ed efficacia. Del resto, non sono proprio briciole quelle da spartire, fra
i 9,88 miliardi di euro del Fondo Asilo, migrazione e integrazione e i 6,24 miliardi di euro del Fondo per la gestione
integrata delle frontiere. (18 aprile 2022, da passamontagna.info)

Rinchiusi nei "CPR" ucraini sotto le bombe. Intanto Frontex ne "aiuta" 732. C'è una tragedia nella tragedia, ed è quella
dei cittadini e delle cittadine extra UE che allo scoppio della guerra si trovavano in Ucraina, e che, fuggit*, stanno
ricevendo anche in UE, e anche in Italia, un trattamento - dal punto di vista dei diritti e dell'accoglienza -
differenziato rispetto a quello previsto per i profughi ucraini, quando un trattamento lo ricevono. Ma la situazione
forse peggiore è quella di coloro che si trovavano nei centri di detenzione per persone migranti (l'equivalente dei
nostri "CPR") e che lì a tutt'oggi sono rimasti rinchiusi, vicino all'attuale fronte, sotto i bombardamenti. A
denunciarlo è ancora Human Rights Watch, qualche giorno fa, riportando alcune testimonianze di persone terrorizzate,
impossibilitate a scappare. Nel frattempo, Frontex, the European Border and Coast Guard Agency non sta con le mani in
mano: in un post dell'altro giorno su Facebook, nell'auto celebrarsi per l'assistenza data ai 6 milioni di profughi
ucraini, precisa - a scanso di equivoci - di avere "aiutato" 732 cittadini extra UE a rientrare sani e salvi nei paesi
di origine. Chissà quanti tra questi non l'hanno fatto spontaneamente e magari proprio da lì erano fuggiti chiedendo
asilo... Tanti sono i dubbi, e altrettante le certezze, di violazioni dei diritti umani delle persone migranti, e delle
disparità di trattamento tra queste ultime, in questa orribile vicenda. Se poi l'assistenza ora data ad Ucraine ed
Ucraini in UE sarà effettiva ed efficiente come sbandierata, si vedrà. Già nelle nostre città gli sportelli
specializzati a tutela dei diritti delle persone migranti dicono che vi sono le avvisaglie che così proprio non è.
(Milano, 13 maggio 2022 - da FB Mai più lager - no ai CPR)

Dati sui morti in mare dall’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Nel 2021, più di 3.000 persone hanno
perso la vita o sono scomparse mentre cercavano di raggiungere le coste dell’Europa attraversando il mare: 1.924 nel
Mediterraneo e 1.153 lungo la rotta africana che porta alle isole Canarie. Nel 2020 si contavano 1.544 persone morte o
disperse su entrambe le rotte. Questi numeri riguardano solo i tragitti marittimi e, probabilmente, sono ancora maggiori
le cifre delle morti registrate lungo le vie di terra. Molti migranti provenienti dall’Africa, prima di raggiungere le
coste e tentare la sorte del viaggio in mare, devono affrontare i deserti, i centri di detenzione nelle zone di confine
e i sequestri a opera di trafficanti e contrabbandieri. Tra il 2018 e il 2019, circa 1.750 persone hanno perso la vita
lungo le strade che passano per la Libia e l’Egitto. Da gennaio 2022 a fine aprile già 478 persone sono scomparse prima
di raggiungere le coste. E si tratta di un numero che non tiene conto degli ultimi naufragi conosciuti. L’11 aprile, al
largo di Surman, davanti alla Libia, un gommone carico di 20 persone si è rovesciato in acqua. Si sono contati 2
sopravvissuti, 4 morti e 14 dispersi. Il 16 aprile un barchino con a bordo 35 persone si è capovolto al largo di
Sabratha, nell’area occidentale delle acque libiche. Nessuno si è salvato: 6 morti e 29 dispersi. Tra il 23 e il 24
aprile si è registrata l’ultima tragedia. Una imbarcazione che trasportava 120 persone ha fatto naufragio a largo di
Sfax, in Tunisia. Il bilancio è stato di 12 morti e 10 persone scomparse.
Lo stesso giorno della pubblicazione del rapporto dell’Unhcr, Fabrice Leggeri, direttore dell’Agenzia europea della
guardia di frontiera e costiera (Frontex), ha annunciato le sue dimissioni. L’Ufficio europeo antifrode (OLAF) ha
pubblicato i primi risultati di una indagine avviata nei mesi scorsi su presunte condotte illecite da parte
dell’agenzia. Leggeri sarebbe stato a conoscenza e avrebbe occultato le prove dei respingimenti di alcune imbarcazioni
con a bordo migranti, effettuati dalla guardia costiera greca nella zona del Mar Egeo. Leggeri è lo stesso che nel 2016
ha accusato le ong di essere un fattore di attrazione (pull factor) per i migranti in fuga dalla Libia; e ha contribuito
ad assimilare le attività di soccorso in mare a una pratica da interdire e contrastare: e, di conseguenza, a promuovere,
nei confronti delle ONG che operano principalmente nel Mediterraneo, una campagna di delegittimazione. Ha guidato
Frontex dal 2015 al 2022.

***
I detenuti di Folkston (Georgia- Usa) contro l’espansione del CIE
Molte organizzazioni e comitati per i diritti degli immigrati hanno prestato particolare attenzione all'espansione della
struttura che forma il CIE di Folkston nel sud-est della Georgia, vicino al confine con la Florida. Nonostante
l’amministrazione Biden aveva promesso che non avrebbe più rilasciato contratti a operatori privati nella gestione delle
prigioni, il Gruppo GEO è stato autorizzato ad espandere la struttura carceraria di Folkston a circa 3000 letti, creando
così il più grande centro di detenzione per immigrati negli Stati Uniti. Le organizzazioni contrarie ai Cie e per i
diritti degli immigrati hanno organizzato un evento il 16 aprile scorso per protestare contro l'espansione della
prigione a scopo di lucro.
La giornata ha avuto diversi momenti: c'è stato un evento per famiglie principalmente immigrate che hanno parenti o
amici detenuti, c’è stato un momento per i più piccoli con cibo e giochi in un parco vicino al centro di Folkston, ed
infine un momento di contestazione e protesta di fronte all’entrata del CiE che si è trasformato un piccolo corteo
attorno alla struttura. Proprio in quel momento, diverse decine di detenuti che erano nel cortile durante l’ora d’aria,
quando hanno visto arrivare i dimostranti con striscioni e cartelli, sono andati verso il recinto con i pugni alzati. In
solidarietà (reciproca) e per 90 minuti, hanno cantato e scambiato informazioni con i loro sostenitori e da fuori sono
venuti a conoscenza che all’interno era in corso uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni disumane
delle carceri e dei CIE. La giornata di lotta è stata molto intensa ed emozionante ma ha dato alle persone dei comitati
e delle organizzazioni - venuti da tutta la Georgia e dal nord della Florida - la forza di continuare a resistere e
lottare con l’obiettivo di "Shut Down Folkston!” – smantellare il Cie di Folkston!

16 aprile 2022, tradotto da workers.org


intervista ad un ex detenuto nel carcere di paola (CS)
Nel 2013/2014 le forze libiche hanno cominciato a sparare su tutti gli immigrati che erano in Libia. Mi sono imbarcato
con altri 536, io unico bianco. A 15 ore di navigazione dalla costa libica, il naufragio. Veniamo soccorsi dalle Ong e
poi solo io vengo portato in questura a Reggio Calabria. Resto in carcere a Reggio Calabria 6 mesi poi trasferito a
Paola con l’accusa di essere lo scafista, quindi di favoreggiamento alla clandestinità, in quanto unico bianco. A Paola
arriva la condanna, dopo 9 mesi, a 10 anni. Mi stavano rubando la vita. Sono sempre rimasto chiuso in cella. Avevo in
programma di andare in Germania e farmi una vita.
Mi ero trasferito dalla Palestina in Egitto, facevo il carpentiere nel 1997/98. Poi in Yemen. Quando hanno ammazzato un
ragazzo, Mohammad al-Durrah [Il 30 settembre 2000, il secondo giorno della Seconda Intifada, il dodicenne Muhammad al-
Durrah è stato ucciso nella Striscia di Gaza durante le proteste e le rivolte diffuse nei territori palestinesi contro
l'occupazione militare israeliana, ndr], da quel fatto era iniziata la rivoluzione e ho incominciato ad attaccare i
paesi arabi per la mancanza di una reazione giusta. Mi sono di nuovo trasferito in Egitto e non potevo tornare in
Palestina, poi ancora in Libia dove restai un anno circa.
Nel carcere di Paola per 3 anni non sono uscito dalla cella e nessuno mi ha mai chiesto nulla. Dopo questi tre anni
entro in una scuola per la lingua italiana. Da quel momento ho iniziato a scrivere “Memorie di un prigioniero” e lettere
di sei pagine al collettivo Olga [che non sono arrivate, se non qualche poesia, ndr]. Non avevo nessun diritto se non
magiare e dormire. Ho provato a fare qualche “domandina”, ma non ascoltavano niente.

Come hai avuto l’opuscolo di Olga?
Da un ragazzo marocchino con una condanna a 18 anni che mi aveva detto di essere un amico di M.

Il carcere come era suddiviso?
Tutto il carcere era speciale, per lunghe pene, ergastoli. Quasi tutti italiani ed erano dentro per mafia, erano
calabresi. Picchiavano continuamente gli altri prigionieri davanti alle guardie e alle telecamere. Il sangue era
ovunque. Mi prendo la responsabilità totale di quanto dico. Posso dare i nomi di chi è stato picchiato. Per esempio un
ragazzo georgiano, gli hanno messo la testa tra le sbarre e l’hanno picchiato. Per invidia, era un atleta e molto bravo
a calcio. Nessuno è intervenuto. Quando entri ti fanno vedere una faccia d’angelo che poi si trasforma in diavolo.
C’erano tantissimi gruppi, uno per sezione, d’accordo con le guardie. Solo dopo 3 anni ho incominciato ad andare
all’aria, per trenta miniti o un’ora. Dentro non c’era riscaldamento, muffa ovunque e puzza. Per questo tanti si
ammalavano. Ho conosciuto molta gente buona, italiani, che mi facevano regali ancor di più dopo aver saputo che ero
palestinese. Io curo la gente indemoniata con i versetti del Corano. Uno zoppicava e l’ho curato facendo una bella
figura con gli altri.
Ogni mese c’era uno sciopero del carrello, pranzo e cena, per protestare per il cibo e per i colloqui. Ho i dati precisi
di questi scioperi e delle loro motivazioni. Dopo uno sciopero di due giorni con porte rotte, insomma più caldo, la
comandante donna, arrogante, ha fatto peggiorare le condizioni. Non dava la possibilità a nessuno di parlare. Io non
avevo diritti, mi usavano per dissuadere gli altri. Nella sezione dove ero rinchiuso altri 7 erano in cella da soli.
Quando ho fatto uno sciopero è intervenuta in aiuto l’ambasciata palestinese. Per questo ero solo in cella, per
studiare. Anche l’insegnante della scuola mi ha aiutato. Sempre tranquillo, volevo scontare la pena e andarmene. Mi
dicevo, che ero in carcere, ma non ero morto.
I prigionieri devono poter parlare, spero aprano le porte per dare la possibilità di esprimere, di scrivere, di parlare
delle proprie sofferenze. Datemi una pagina ogni numero dell’Opuscolo perché io possa parlare con tutti i detenuti.
Là dov’ero le guardie stavano impaurite, la gestione era secondo me non dello Stato ma come se fosse civile, intendendo
non militare, non statale.
In tutte le carceri in Italia contano molto i soldi. I prodotti venduti dentro per il cibo costano il doppio, i prezzi
sono molto esagerati.

Il lavoro dentro come era gestito? C’erano anche produzioni per l’esterno?
Non mi sembra ci fosse altro lavoro che quello interno. Ho lavorato poco solo tre mesi a 240 euro al mese ma toglievano
80 euro per luce e acqua. La Caritas aiutava solo gli italiani. Una volta uscito poi dal 5/6 al 5/8 2021 sono stato al
Cpr di Bari. Non è altro che un brutto posto per soddisfare la propaganda mondiale. Si sta male, non c’è niente anche se
il cibo era buonissimo. Erano 10 sezioni, dove si stava tutti insieme senza distinzioni di provenienza, comandate da una
banda di donne. Molto affollato, nessuno ti parlava. Ci davano 2,5 euro al giorno.
Non ho visto medici. Un ragazzo stava per morire, l’hanno chiuso e nessun soccorso è arrivato. La porta si apriva solo
per gli avvocati e per le udienze. Per la gente da deportare, veniva prelevata da 5 persone, una donna e 4 militari.
Tutti gli operatori erano donne, e a me sembrava strano. Comunque dentro si rivolgevano a noi con cortesia e non ho
visto pestaggi. C’era la Tv e l’ambiente era buono, mi sembra strano ma era così.

***
NOTE SUL QUADRO NORMATIVO CHE REGOLA L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Di seguito stralci inerenti il quadro normativo in materia di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” tratto dal
rapporto “Dal mare al carcere. La criminalizzazione dei cosiddetti scafisti” su dalmarealcarcere.blog. Nell’introduzione
gli autori dicono che: “Questo rapporto nasce dalla volontà delle associazioni autrici di far luce sulla
criminalizzazione dei cosiddetti ‘scafisti’ da parte dello Stato italiano. Ha come premessa fondamentale la condanna
della chiusura delle frontiere, che comporta l’eliminazione di quasi ogni modo di poter giungere in Europa per vie
sicure, soprattutto per persone provenienti dal sud globale. Riconosce l’applicazione della legge penale funzionalmente
a queste politiche di chiusura, e si pone in una posizione radicalmente critica alla criminalizzazione
dell’attraversamento delle frontiere, incarnata in questo caso dalla figura del cosiddetto scafista”.

1. Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il reato che viene subito contestato a chi viene
identificato come colui che ha guidato un’imbarcazione diretta in Italia con a bordo dei migranti, o come colui che ha
assunto un ruolo nel corso della navigazione, è quello di cui all’art. 12 del Testo Unico Immigrazione (c.d. reato di
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) previsto dall’ordinamento italiano al fine di scoraggiare, punire,
reprimere gli ingressi in violazione delle norme che regolano l’ingresso regolare in Italia e, in tal modo, proteggere i
confini dello Stato.
La norma punisce non solo chi promuove, dirige, organizza, finanzia il traffico di esseri umani, ma anche chi
materialmente trasporta migranti sprovvisti di visto di ingresso, e, in generale, chiunque con il proprio comportamento
faciliti l’ingresso illegale di stranieri in Italia o in altro Stato europeo. E’ evidente come questo reato non intenda
punire solo i membri dell'organizzazione che controllano e gestiscono il traffico di migranti, ma chiunque assuma un
ruolo, anche minimo e/o insignificante, che di fatto favorisca e aiuti l’ingresso di migranti in territorio nazionale.
Viene così posto sullo stesso piano il membro dell’organizzazione di trafficanti e colui che guida l’imbarcazione, o
tiene la rotta, a prescindere dalle circostanze e delle modalità che lo hanno spinto a “contribuire” all’ingresso dei
migranti nel territorio italiano. Si capisce così come quello che interessa allo Stato italiano è far di tutto per
evitare che persone senza visto di ingresso entrino in Italia e lo fa punendo chiunque contribuisca, volontariamente o
no, al viaggio dei migranti verso il suo territorio. Il bene giuridico tutelato dal reato di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina è l’interesse dello Stato a difendere i confini nazionali, e di conseguenza i migranti che
rischiano la vita o vengono sfruttati economicamente per effettuare i viaggi non sono considerate persone offese, a meno
che non dimostrino di avere subito un grave danno (violenze, torture, la perdita di un parente nel corso della
traversata). La pena prevista per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (non aggravato, c.d.
favoreggiamento semplice) è quella del carcere da 1 a 5 anni e della multa di 15.000 euro per ciascuna persona agevolata
all’ingresso irregolare. Le pene sono aumentate o diminuite da circostanze aggravanti e attenuanti previste dal medesimo
art. 12 TUI. […] In particolare, il caso di c.d. favoreggiamento qualificato prevede una reclusione da 5 a 15 anni. Le
aggravanti contestate più di frequente sono l’elevato numero di passeggeri e le condizioni pericolose della barca; a
volte si ritrova anche l’accusa dell’utilizzo di armi. […] La legge prevede un aumento ulteriore di pena nel caso in cui
vengono accertate più aggravanti cumulativamente. Si nota come le pene previste per questo reato, soprattutto qualora
siano ritenute applicabili le aggravanti, sono elevatissime: si può arrivare a una pena pari a 15 anni di carcere ancora
elevabile se ci si guadagna un ingiusto profitto. Nel caso ad esempio di un capitano che ha condotto un’imbarcazione con
a bordo più di 5 persone, magari ricevendo un compenso economico per la sua attività, considerato dalla Polizia e dalla
Procura un ingiusto profitto, egli può rischiare per il solo fatto di aver guidato quasi 20 anni di carcere. In realtà,
le pene più alte per un capitano su una barca in cui nessuno è morto si aggirano intorno ai cinque anni, ma dovrebbe far
riflettere che agli occhi del sistema italiano questa rappresenta una pena “lieve”. […] Non va dimenticata l’esistenza
della pena pecuniaria, che viene applicata in modo sistematico con conseguenze surreali: è normale per qualcuno essere
condannato a 3 anni di carcere e un milione di euro in multa. Come si è detto il reato di favoreggiamento
dell’immigrazione irregolare non prevede che debba esserci il fine di lucro per esserci il reato, con la conseguenza che
se qualcuno favorisce uno straniero irregolare a entrare nel territorio italiano commette il reato a prescindere dal
fine che l’ha spinto a farlo.
2. Omicidio e altri reati. L’art. 12 TUI non è l’unico reato contestato ai c.d. scafisti. Esso come si è visto
rappresenta spesso il reato base, quello che viene in rilievo per aver guidato l’imbarcazione, tenuto la rotta e, in
generale per aver avuto un ruolo, o presunto tale, nella navigazione. Purtroppo però durante le traversate possono
verificarsi delle circostanze non direttamente poste in essere dal c.d. scafista di cui però lo stesso viene ritenuto
responsabile (nonostante in molti casi tali circostanze siano state causate da azioni – o da atti omissivi – di enti
istituzionali sia in modo diretto che indiretto attraverso le politiche di chiusura delle frontiere operate dagli Stati
europei). Questo succede quando l’imbarcazione affonda o si ribalta e ci sono vittime tra i migranti. In questo caso
viene contestato il reato di omicidio plurimo ai c.d. scafisti sia nella forma di cui all’art. 589 c.p. che dell’art.
586 c.p. La prima norma prescrive il reato di omicidio colposo punito con la pena del carcere fino a 5 anni, che può
essere aumentata fino a 15 anni se le vittime morte o ferite sono più persone. La seconda, rubricato “morte come
conseguenza di altro delitto”, prevede che se come conseguenza di un reato doloso si verifica, in maniera non voluta, la
morte o la lesione di una persona l’autore del reato venga punito con le pene prescritte per l’omicidio colposo (art.
589 c.p.) o per le lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) ma aumentate. Le pene in questo modo, sommate a quelle
previste per l’art.12 aumentano ulteriormente e si può arrivare fino alla pena dell’ergastolo.
3. Associazione per delinquere e le procure antimafia e antiterrorismo. Tutti i casi relativi all’articolo 12 del TUI
vengono attenzionati da una particolare sezione delle procure, la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), - presente
solo in determinati Tribunali, ossia in quelli ove ha sede la Corte di Appello (in Sicilia sono a Palermo, Catania,
Caltanissetta e Messina) - che, invece, li tratta direttamente quando è contestato altresì il reato di associazione per
delinquere. Il percorso che ha portato la DDA a nutrire interesse per tutti i procedimenti, a prescindere dalla sua
competenza, è scandito da varie circolari e decreti legge che rappresentano in sé dei momenti topici della
criminalizzazione delle migrazioni. Il ruolo della magistratura antimafia è quello di indagare e processare le
organizzazioni criminali nazionali e internazionali. Il codice penale italiano prevede il reato di associazione a
delinquere – ai sensi dell’art. 416 c.p.– quando tre o più persone si associano per commettere uno o più reati, punito
con una reclusione dai 3 ai 7 anni. Le procure che perseguono i casi relativi all’art. 416 sono le DDA e non le procure
presenti in ciascun tribunale, al fine di favorire un maggiore coordinamento nazionale nella persecuzione dei casi di
criminalità organizzata.
Come mai, quindi, la DDA ha avuto così tanto interesse in questi casi? E cosa c’entra la
legislazione anti-Mafia con la migrazione? Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina, art. 12 TUI, non comporta necessariamente anche un’accusa di associazione per delinquere, né tanto meno
quella di associazione per delinquere di stampo mafioso. Ma quasi dall’istituzione del reato di cui all’art. 12 nel
1998, notiamo un tentativo costante di passare le indagini e la persecuzione dei casi di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina ai vari organi dell’antimafia, ovvero la DDA, la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) e
la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA). La ragione risiederebbe nel fatto che la magistratura
antimafia, anche se non vuole limitarsi a perseguire gli ultimi anelli della catena del traffico – cioè i capitani –, ma
vuole, al contrario, arrivare ai vertici internazionale del traffico di esseri umani, per fare questo ha bisogno
comunque di avere tutte le informazioni utili possibili, comprese quelle inerenti ai procedimenti cd minori – quelli
contro i capitani.
Con la Convenzione di Palermo del 2000 – che ha istituto l’unità sulla criminalità organizzata delle nazioni unite
(UNDOC) – si è cercato di creare un filo conduttore che unisse lo smuggling (contrabbando) e il trafficking con il
crimine internazionale. Si propose allora che le Procure antimafia italiane sarebbero potute essere un modello per la
lotta contro il traffico internazionale di droga, di armi e anche di essere umani. E con l’attuazione in Italia del
Protocollo di Palermo nel 2006, la legge italiana ha coinvolto gli organi dell’antimafia nel modo più inquietante,
permettendo l’utilizzo di operazioni sotto copertura (art. 9, legge 146/2006) nell’ambito del contrasto al reato di art.
12, comma 3 del TUI, cioè nel caso di favoreggiamento con aggravanti, e passando alla procura antimafia tutte le
indagini su reati di natura ‘transnazionale’. Dal 2010, a seguito dell’aumento degli arrivi sulle coste pugliesi e
calabresi, si cominciò a far strada tra le procure l’interesse per i casi contro gli scafisti e, soprattutto, quelli
volti, non a perseguire chi guidava la barca, ma a ricostruire la gerarchia dell’organizzazione criminale
internazionale. Nell’estate del 2013, la procura antimafia di Catania ha iniziato di seguire una serie di casi collegati
alle navi madri gestite da egiziani, fra l’altro cercando di accusarli dell’art. 416 c.p. A questo punto l’interesse
dell’antimafia è diventato nazionale, con una nota dalla DNAA che cerca di affrontare il problema di giurisdizione che
era ormai diventato il nodo del problema processuale nei processi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Un
cittadino egiziano che ha protestato contro l’intervento delle autorità italiana (parole ascoltate in
un’intercettazione): “Non possono farlo, possono salire, fare quello che vogliono, ma poi devono lasciarli andare.”
Questo attesta che, fino al 2013, non era possibile per la polizia italiana arrestare gli equipaggi delle navi madri in
acque internazionali.
Per affrontare questo problema – e anche assicurare la misura cautelare per gli indagati – la Direzione Nazionale
Antimafia ha costruito un lungo e complesso argomento sull’esistenza della giurisdizione italiana in acque
internazionali, essenzialmente imponendo la sua autorità in quanto l’ente principale impegnato nella lotta contro le
organizzazioni internazionali criminali. L’argomentazione, tra altro, si basa sull’idea che la connessione fra nave
madre, piccola imbarcazione e navi di soccorso (in questo caso, le navi di Frontex e della marina militare)
costituissero “una catena” – un argomento identico a quello che successivamente sarebbe usato nel confronto delle Ong.
[…] Sempre nel 2013, nel tentativo di aumentare la possibilità di raggiungere i vertici internazionali del traffico di
persone, la DNAA ha richiesto che i tribunali ordinari, in qualsiasi caso di imputazione per favoreggiamento
all’ingresso clandestino che potenzialmente sottendesse un contesto di associazione per delinquere, comunicassero le
informazioni dei casi medesimi alle procure antimafia. Questa non vuol dire, però, che tutti i casi erano poi stati
assegnati alle procure antimafia; p.e. tantissimi casi sono rimasti di competenza delle procure ordinarie presso i
Tribunali di Agrigento, Ragusa e Trapani. I tentativi di passare questi casi alla gestione dell’antimafia sono poi
continuati: il Decreto Minniti del 2017 ha stabilito che i casi di associazione per delinquere finalizzata al
favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina fossero di competenza delle Procure Antimafia; infine, nel 2019,
il decreto ‘Sicurezza Bis’ ha sancito la competenza della DDA per tutti i casi di favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina.
4. Giurisdizione nazionale. Va evidenziato inoltre come l’Italia considera sottoposti alla sua giurisdizione (si
considera quindi lo Stato competente a giudicare) i reati commessi dai c.d. scafisti anche quando il trasporto di
migranti avvenga a bordo di un’imbarcazione priva di bandiera, è stato accertato in acque extra territoriali e nelle
acque nazionali italiane si è verificato solo l’ingresso dei migranti. La Cassazione infatti lo stabilisce dal 2014.
Questo comporta che il numero di procedimenti penali contro i c.d. scafisti è elevatissimo in Italia e questo non solo
per la sua posizione geografica, ma anche per la volontà dello Stato italiano di giudicare condotte che, essendo
avvenute all’estero, potrebbero interessarle meno. Fondamentalmente la linea giuridica è stata stabilita in seguito al
documento della Direzione nazionale antimafia menzionata sopra. La logica si basa sul concetto dell‘autore mediato’,
cioè che anche se ci sono vari attori che pongono in essere un segmento della condotta nella ‘catena’ del reato, pur non
volendo commetterlo o farne parte, la loro presenza non spezza la connessione fra l’atto originale e l’eventuale
effetto; cioè nel nostro caso, l’atto della nave madre rimane un reato punibile in Italia anche se l’eventuale
l’ingresso clandestino è commesso da una nave di soccorso non punibile. Per la Corte di Cassazione, la nave di soccorso
rappresenta nient’altro “che un tassello essenziale e pianificato di una concatenazione articolata di atti”. Questo è il
caso sia di una nave militare, di Frontex o di una Ong.


palestina: NOSTRI PRIGIONIERI - NON DELUDETECI
La dichiarazione del movimento dei prigionieri palestinesi fatta arrivare alle principali emittenti televisive e
giornalistiche arabe il 17 marzo 2022 denuncia le gravi violazioni del diritto internazionale in materia dei prigionieri
politici e la violenza persecutoria esercitata dal boia sionista nei loro confronti ormai da anni. In questa
dichiarazione i prigionieri affermano di inasprire la lotta allo scopo di ottenere i loro diritti in conformità con le
leggi internazionali. Le condizioni di prigionia alle quali sono costretti sono diventate insopportabili e la politica
delle punizioni collettive inaccettabile. Va ricordato che la direzione carceraria nazi-sionista ha annullato tutti gli
accordi con il movimento dei prigionieri palestinesi come risposta all’evasione di sei palestinesi dal carcere di
massima sicurezza. Tale passo consiste in: annullamento delle visite familiari; gravissima negligenza nella cura
sanitaria; l’uso continuo dell’isolamento carcerario; togliere il diritto ad informarsi confiscando radio, Tv e
giornali; ridurre il tempo di fora (aria) a mezz’ora giornaliero; in collaborazione con l’Autorità Nazionale Palestinese
(ANP), azzeramento dei contributi alle famiglie dei prigionieri, rendendo il sequestro dei loro cari molto oneroso per
le stesse; uso della violenza e tortura anche collettive da parte dei reparti speciali nazi-sionisti con irruzioni quasi
quotidiane nelle diverse celle.
A tutto ciò va aggiunta la lotta dei prigionieri in detenzione amministrativa giunta al suo 79° giorno di boicottaggio
delle corte militari contro tale prassi. Appena fatta pubblica questa dichiarazione la risposta del boia sionista non si
è fatta attendere; esso ha subito messo in isolamento tutta la direzione del movimento dei prigionieri palestinesi in
regime di isolamento e con essi gli imam della preghiera del venerdì 18 marzo.
Non deludeteci - è il titolo/slogan di questa nuova ondata di lotta e con esso si rivolgono principalmente ai movimenti
della resistenza palestinese in primo luogo e in secondo luogo essi fanno una richiesta diretta ai giornalisti arabi e
non, di infondere il maggior sforzo possibile a sostegno di questa lotta. A tutte le fazioni palestinesi i prigionieri
chiedono una direzione unificata per dare maggiore peso alla campagna di sostegno e solidarietà. Nella loro
dichiarazione/annuncio i prigionieri parlano in maniera eloquente sia alle masse palestinesi, sia a quelle arabe e
dicono di essere certi del loro generoso sostegno, come sempre. I prigionieri palestinesi nella loro dichiarazione non
si scordano di avanzare una richiesta di sostegno ai governi e movimenti della resistenza araba e a tutti i liberi nel
mondo.
Questa impostazione e queste dirette richieste sono a dimostrare: la grande determinazione di portare avanti questa
lotta fino in fondo; la drammaticità della situazione dei prigionieri e il loro timore di essere abbandonati e di stare
soli contro il boia sionista; il grande livello di unità raggiunto dai prigionieri palestinesi dentro e fuori le carceri
nazi-sioniste.
I prigionieri Palestinesi dichiarano uno sciopero della fame collettivo che inizia il 25 marzo 2022. La dinamica dello
sciopero dovrebbe portare tutti i prigionieri allo sciopero della fame entro la quarta settimana. Essi inizieranno ad
ondate di centinaia di prigionieri che entrano in sciopero.
Questo sciopero è l’atto più estremo ed elevato della lotta dei prigionieri che ricordiamo è iniziata tempo addietro
con:
1- lo scioglimento della direzione dei gruppi politici all’interno delle carceri sioniste, costringendo la direzione al
dialogo con ogni singolo prigioniero:
2- rifiuto della “cura sanitaria”, cura si fa per dire visto che vengono negati i farmaci tranne quelli banali come
l’Aspirina e la Tachipirina.
Le risposte dei diretti interessati non si è fatta attendere, fazioni politiche palestinesi e non, giornalisti e Tv e
soprattutto le masse palestinesi ed arabe hanno subito cominciato con il lancio della campagna di solidarietà e
sostegno. Tutti tranne l’ANP che finora non ha aperto bocca, già, all’ANP agiscono come da copione, non sorprendono mai


21 marzo 2022, da hadfnews.ps


Lettera dal carcere di Ivrea
Ciao carissime compagni e compagne e Olga, a livello di infermeria si fanno desiderare io devo essere operato di ernia e
qua mi hanno detto che devo ricominciare da capo tutte le visite, vi allego il foglio che a Marassi mi ha rilasciato il
chirurgo.
[…] poi qua certi medicinali te le devi pagare tu, io e il mio legale abbiamo fatto una denuncia perché c'è il rischio
che si strozza l'ernia, bisogna prendere seri provvedimenti, sto veramente male.

7 Marzo 2022
Santo Gianesini, C.so Vercelli, 165 - 10015 Ivrea


da una Lettera dal carcere di Genova
[...] Spero di trovarvi tutti bene prima di tutto. A me va come sempre, un giorno si mettono gli occhiali, un giorno si
mettono i problemi quotidiani, a volte il tempo mi sembra che si ferma in questo angusto e piccolo posto, perché sto da
solo in un cubicolo di 3 metri per due. Poi qui da quando c'è questa nuova variante Omicron le cose si sono ristrette
ancor di più.
Ci sono colloqui sporadici con educatori, psicologi, esperti, Assistenti Sociali, in poche parole siamo blindati perchè
il mese scorso è scoppiato un focolaio di positivi al Covid ed ancora adesso c'è una sezione che l'hanno aperta per la
quarantena ed è zeppa piena, quando ci sono le visite mediche ci dobbiamo mettere dei camici verdi, mi sembra di vivere
in un altro mondo, credetemi. A volte ci chiudono il blindo, se c'è qualche persona con la temperatura corporea alta, e
ogni settimana fanno dei tamponi a campione. Bene, oltre a questo si respira aria di tensione che per questo c'è in ogni
carcere, si dorme poco perchè, almeno a me, questo mi comporta uno scompenso emotivo e più che altro psicologico, non ne
posso più, veramente.
Le visite ospedaliere sono bloccate come pure i trasferimenti, comunque tocca andare avanti e lottare, lottare e ancora
lottare sennò si è sopraffatti, poi come sapete la mia situazione è un po' carente in tutto perchè non ho chi mi segue e
c'è il bisogno delle cose primarie che mancano sempre, poi sto da solo in cella per cui spesso rimango senza caffè,
senza lamette, bolli, prodotti per l'igiene personale che qui forniscono […]
Purtroppo mi posso rivolgere solo a voi perchè qui operano dei volontari dellla misericordia, ma non danno nulla tranne
un'ora di preghiera a settimana e ti danno qualche libro […] Non c'è la lavanderia come negli altri istituti e quindi
tocca lavare gli indumenti sotto la doccia perchè l'acqua calda non c'è.
E' un disagio per tutto qui a Marassi. Sono stato in varie carceri d'Italia ma quello che sto passando qui c'ha
dell'incredibile, mi sembra di essere nel medio Evo e la direzione non fa niente nonostante facciamo reclami con
petizioni di firme, rifiutiamo il vitto, a volte si salta la spesa, ma non si conclude mai niente perchè diventa uno
svincolamento dai diritti che ci vengono omessi e alla fine diventa tutto uno scarica barile, e chi si è visto si è
visto.
Cari compagni e compagne scusate questo mio sfogo ma è così purtroppo e so che mi comprenderete. Se volete pubblicate
anche questo su Olga, poi per il resto mi sono rivolto al mio legale per denunciare le omissioni e le carenze di questo
carcere e la mia salute che non è per niente compatibile con questo istituto. Il fatto è anche che siamo in pochi in
questa forma di lotta, più che denuncia perchè a loro modo, la massa dei detenuti comune pensano alla liberazione
anticipata, alle misure alternative, al lavoro interno nel carcere. Io sto qui da circa due anni e mezzo e mi dicono che
per causa di salute la mia, che mi permetterebbe di svolgere qualche mansione leggera, è molto arretrata e mi paralizza.
Insomma ti girano e ti rivoltano come un calzino ed io non ho da fare un mese o un anno di carcere ma sono anni, quasi
due mani piene anche se qualcosa l'ho risolto, con il mio avvocato ma ci sono cose che purtroppo sono chiuse e lì non
possiamo fare nulla, se non aspettare fino all'ultima sentenza e poi chiedere la continuazione tra un paio di anni se
tutto va bene, ma per ora ho il fine pena provvisorio al 2029 mentre l'anno scorso era al 2035. Qualcosa mi è stato
tolto dall'appello[…]
Ciao da Rosario.

19 febbraio 2022
Rosario Mazzone, Pz.le Marassi, 2 - 16139 Genova


Lettere dal carcere di Milano-Opera
Ho ricevuto una cartolina 28/12 penso che l'hai mandata tu. Non so dove si sia fermata. Purtroppo la giustizia non
funziona per i troppi strali del processo. Purtroppo la giustizia non funziona per i troppi cavilli procedurali. Abbiamo
da tre a quattro volte il numero di avvocati delle Nazioni europee e confrontabili con l'Italia. I magistrati non sono
percentualmente in numero minore. Le risorse spese, pro capite, sono superiori a quelle delle altre nazioni europee.
Così in carcere, abbiamo il più alto numero di agenti di protezione per il numero dei detenuti. Eppure niente funziona.
Che cosa sarà che non funziona? Posso dirlo io che sono esperto, purtroppo, del sistema giustizia e ancora più del
penale. Anche qui è una questione organizzativa e non di COVID. Ma nel marasma si tende a limitare tutte le libertà
quali, ad esempio, il divieto di accesso per i volontari pur vaccinati (ho fatto la terza dose il 2 dicembre). Né ci
permettono ancora i colloqui a distanza con mezzi elettronici; giustizia, sicurezza o afflittività? Il mese scorso un
cinese si è tolto la vita. Dove sto io c'è sempre acqua fredda e non danno neanche il materiale per la pulizia in cella
e per la sezione per il resto si va avanti per il meglio possibile un saluto a tutti i tuoi cari tutti gli amici.

8 marzo 2022
***
Carissimi, Beh! La politica sul Covid sta cambiando qualcosa anche qui ad Opera. E credo che rispecchia la stessa
situazione che tu mi hai spiegato sugli insegnanti lì fuori; infatti a parte l'utilizzo della mascherina non ci sono
altre obiezioni ultimamente qui dentro; e così stiamo aspettando la prossima decisione che prenderanno per i colloqui e
credo che ci saranno altre aperture a riguardo.
Dei contagi si interessano relativamente, non c'è più così terrore iniziale, infatti, siamo arrivati a più di una
cinquantina di contagiati e non c'era alcun allarmismo. Chi viene contagiato lo portano al centro clinico fa la sua
quarantena arriva il tampone negativo e lo riportano in sezione. Quindi la stessa politica che stanno attuando fuori
l’abbiamo anche qui dentro.
La tensione si è quasi azzerata così come con quelli della media sicurezza, certo che abusi inizialmente sono stati
fatti e sono stati anche fatti processi che sono in corso e non so dove approderanno. Questo perché in questo istituto
c'è proprio molta politica, non è un piccolo istituto dove non interessa nessuno e gli interessati qui dentro verranno
certamente sorvegliati da questi poteri forti, quindi il direttore, il comandante che sono persone che permettono questo
sistema saranno diciamo salvaguardati da queste inchieste. Purtroppo siamo in Italia qui si è consapevoli come funziona
il sistema, e non ci sarà mai un giusto motivo per far cambiare questa malsana situazione. Perché è radicato nel tessuto
sociale qualsiasi esso appartiene perché ognuno di esso ha la sua dose da questa anomala gestione. Per ora mi soffermo
qui in attesa di tue nuove saluto calorosamente con forte abbraccio a te e tutti e tutte le compagne.

14 febbraio 2022
***
[…] Qui si naviga a vista, come dici tu le emergenze non finiscono mai; dopo il covid ci si è messa la guerra di Putin e
visto che l’Italia è uno stato basato, oltre sui padroni, ma soprattutto sull’emotività, non ci resta che sopportare le
solite indottrinazioni, c’è la massa del popolo che segue tutto quello che i padroni impongono ai mass media di
indottrinare il popolo. Tra l’altro Putin la propaganda la fa da sempre; purtroppo i media sono i servi dei padroni, dei
dittatori, cosi sfacciatamente che una persona non ha più una propria opinione.
All’interno dell’istituto non è cambiato ancora nulla sulle regole, c’è stato un cambiamento ma, in negativo, il covid
la fa da padrone qui dentro ci sono contagi a bizzeffe, un paio di decessi nelle ultime settimane, tutto passa
sott’acqua, non fanno uscire nulla li fuori, ma questo non è che sta succedendo solo qui a Opera. Quasi in tutti gli
istituti sono messi così. Per ora mi soffermo qui, in attesa di buone nuove saluto tutti con un forte abbraccio.

26 aprile 2022


Alcune considerazioni su videochiamate e videoconferenze
Da una lettera dal carcere di Milano-Opera di marzo 2021: “Non si può negare che con questa pandemia ci sono state per
noi delle conquiste tecnologiche che prima era impensabile anche supporre, ora sarà una gioia immensa ritornare a poter
effettuare le sei ore di colloquio al mese, ma perdere i contatti tecnologici tipo Skype, whatsapp, sarà una botta
tremenda perché con questi mezzi abbiamo avuto la possibilità di vedere i nostri cari nei loro spazi nelle loro case,
abbiamo potuto vedere e conoscere cose che ci venivano solo raccontate ai colloqui e terminare questa esperienza per
molti sarà un trauma. Per davvero ci ritroviamo a un incrocio di non sapere quale sia giusta la decisione che
prenderanno, una cosa è certa, per noi quelli del DAP prenderanno certamente quelle decisioni più restrittive e punitive
non può essere diversamente”.

Questa non è l’unica testimonianza positiva che arriva dalle prigioniere e dai prigionieri sulla possibilità di avere un
contatto con i familiari e il loro ambiente attraverso le videochiamate. Oltre a quanto riportato nella lettera ci sono
altri motivi che rendono apprezzabile l’utilizzo delle comunicazioni telematiche, uno tra questi è legato alla
lontananza dei propri cari dal carcere in cui si è rinchiusi. I costi economici degli spostamenti, il tempo necessario
per percorrere queste distanze, le lunghe attese per accedere ai colloqui unite alle perquisizioni e agli sgarbi subiti
da parte delle guardie, fanno sì che l’opzione videochiamata venga vissuta come un vantaggio. Come scrive un altro
prigioniero, "non si può giudicare da fuori, non è proprio possibile, e la nostra aspirazione a un mondo senza galere
deve tener conto di come si vive dentro". E certo, con la sospensione dei colloqui del marzo 2020 la possibilità di
comunicare "in remoto" è stata accolta favorevolmente come "male minore" rispetto al non comunicare affatto.
Vorremmo però, senza la minima pretesa di dire da fuori cosa si debba fare in carcere, richiamare l’attenzione sui
rischi legati alla possibilità che da un presunto vantaggio derivino conseguenze per i colloqui di persona. La ministra
Cartabia ha ripetutamente affermato che “riguardo alle nuove forme di comunicazioni telematiche implementate nel periodo
pandemico, esse, a detta di tutti, hanno dato un grande sollievo alle tensioni in carcere, non v’è dunque ragione per
non estenderne il mantenimento anche a cessata emergenza pandemica, parallelamente, in aggiunta al ripristino dei
colloqui e delle lezioni in presenza, che peraltro sono ormai riattivati nella quasi totalità delle sedi penitenziarie”.
Hanno dato “un grande sollievo alle tensioni in carcere”, qui si annida una delle possibili motivazioni per cui la
ministra si dichiara così tanto favorevole al mantenimento delle videochiamate. Le carceri erano state messe a ferro e
fuoco durante le rivolte del marzo 2020, scatenate proprio a causa dell’interruzione dei colloqui a motivo del dilagare
del Covid19. Ricordiamo per inciso che intanto le guardie continuavano a entrare e uscire senza precauzioni. Ora, se con
le videochiamate hanno ottenuto di allentare la tensione, certamente la stessa formula potrà essere riutilizzata in
qualunque momento critico accampando una qualsiasi altra emergenza. La storia insegna che di emergenza in emergenza si
stabilizzano misure restrittive, che riducono le possibilità di usufruire di quelle, piccole o grandi, concessioni su
aspetti della vita quotidiana in carcere ottenute negli anni passati attraverso lotte durissime. I colloqui potrebbero
subire nuove limitazioni, potrebbero diventare sempre più difficili da ottenere, tra discriminazioni su chi li può
richiedere e prenotazioni che allungano i tempi, fino a essere interrotti con ogni pretesto. Cosicché, dall’essere “in
aggiunta ai colloqui”, le videochiamate andrebbero, all’occorrenza, nuovamente a sostituirli.
Inoltre, il controllo da parte delle guardie di quanto si dice durante le videochiamate è indubbiamente più agevole
rispetto ai colloqui che si svolgono in camerate affollate in cui è complicato distinguere le varie voci e seguire le
comunicazioni. Ci sono già stati casi in cui la videochiamata è stata immediatamente interrotta a seguito di
intercettazioni su passaggi ritenuti “pericolosi”. Lo stesso avviene per la ”concessione” di posta via mail. Questo
“servizio” offerto alle e ai prigionieri è, oltre che costoso e quindi riservato solo a chi se lo può permettere,
soggetto a un immediato controllo. Molto più facile della lettura delle lettere in cui si deve interpretare una
calligrafia spesso incomprensibile, affrontarne la lunghezza e la quantità. Una perdita di tempo non certo gradita agli
addetti a questo infame lavoro. Infatti la posta sta da tempo subendo pesanti ritardi e blocchi che rendono sempre più
arduo mantenere il contatto con l’esterno.
Il controllo sulle videochiamate è legato anche alle discriminazioni attuate attraverso le modalità di concessione nel
numero e nella frequenza, secondo quella logica premiale tanto funzionale per gestire il conflitto nelle carceri. Il che
crea dissidi tra chi sostiene di averne in numero inferiore ad altri. E le guardie incrementano e godono di queste liti
tra prigionieri e tra prigioniere.
Un altro aspetto dell’introduzione di tecnologia di comunicazione digitale è quello relativo alla videoconferenza, che
sostituisce la presenza in tribunale durante i processi.
Il processo in videoconferenza è stato introdotto nel gennaio 1998 e, come recita la legge n. 11, si applica nei
confronti di chi è detenuto in regime di 41bis, nei casi in cui sussistano gravi ragioni di sicurezza e ordine pubblico
e qualora il dibattimento sia di particolare complessità e la partecipazione a distanza risulti necessaria a evitare
ritardi nello svolgimento. Questa “partecipazione a distanza” imposta, nata per chi è in regime di 41bis, viene estesa
con la legge 374 dell’ottobre 2001 (Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale) anche ai “reati
di terrorismo”. La videoconferenza applicata ai processi sta ora rapidamente allargandosi a tanti i prigionieri che si
ritiene lo “meritino”, vista anche la genericità dei casi previsti. È una novità pericolosa, sicuramente il tipo di
dibattimento processuale che va delineandosi vede una progressiva scomparsa dell’imputato, un crescente condizionamento
a priori della giuria e lo strapotere inquisitorio dei pubblici ministeri. La partecipazione a distanza da eccezione
legata alla sussistenza di certi parametri sta diventando la regola. Non è più necessario un provvedimento del giudice
(né una richiesta in tal senso) che verifichi la sussistenza di gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico o la
particolare complessità del dibattimento, quando la partecipazione a distanza risulti necessaria a evitare ritardi nel
suo svolgimento. Abbiamo assistito o subito processi in video conferenza, potendo verificare direttamente come questo
strumento renda difficoltoso, quando nemmeno possibile, difendersi. La videoconferenza trasforma le persone imputate in
fantasmi, la loro corporeità è negata con la conseguente impossibilità di intervenire concretamente nel dibattimento. I
collegamenti, spesso tecnicamente difettosi, si interrompono, non si riescono a seguire gli interventi e il contatto con
gli avvocati diviene frammentato se non impossibile. Uno stillicidio di immagini sfuocate e di parole strozzate. Insomma
un attacco alla difesa e un’umiliazione costante. Anche in questo caso comunque tra chi sta in carcere la
videoconferenza viene avvertita come una possibilità di evitare trasferimenti faticosi per raggiungere dal carcere il
tribunale: sempre incatenati come bestiame, in balia di guardie che si divertono a guidare ad alta velocità facendoti
sobbalzare sui sedili di ferro, con tempi eterni in cui si resta chiusi in cellette in attesa di entrare in aula ecc.
Come si diceva in uno scritto della Cassa AntiRepressione delle Alpi occidentali che abbiamo pubblicato nel numero di
Olga di dicembre 2020, “è innegabile che nell'immediato, in una situazione critica, il surrogato tecnologico di un
colloquio guardandosi negli occhi, di un abbraccio può alleviare la sofferenza del distacco e della mancanza. Ma
sappiamo anche quanto studio e impegno il sistema carcerario dedichi a spersonalizzare il recluso/a, a rendere difficili
se non impossibili i suoi legami con l'esterno, ad avversare espressioni e momenti di umanità che riescono, a fatica e
anche con sofferenza, a sopravvivere all'istituzione totale… In questo campo, le tecnologie di comunicazione digitale,
dentro e fuori le galere, permettono al Potere un "salto epocale" verso un'esistenza sempre meno reale e sempre più
dipendente da strumenti che solo una struttura politica ed economica che fagocita risorse ed energie, sfruttando
popolazioni e territori può fornire. Perché, andando al sodo, proprio questa è la leva ingannevole su cui questo mondo
tecno-consumista si fa forza: ti dà qualcosa che magari nell'immediato ti può servire, far piacere o dare una certa
comodità, ma se tu dovessi mettere sul piatto questi vantaggi con la nocività che comporta la sua produzione e con le
conseguenze che causa il suo utilizzo, allora ti renderesti conto che il conto non torna. Fino a prendere coscienza che
quella tecnologia che sui binari degli interessi del Potere ti offre ciò che prima era impensabile, di fatto riduce le
capacità reali, umane di vivere e resistere. E ti viene poi difficile, passo dopo passo, riuscire a farne a meno o a
sottrarsi dalla sua imposizione… Insomma tra processi in videoconferenza e videochiamate, potrebbe non essere lontana la
disgrazia per cui se si finisce in carcere non si potrà più vedere di persona, dal primo all'ultimo giorno della propria
reclusione, una persona cara da fuori o facce amiche durante un'udienza in tribunale. Forse, nel tentativo di dare una
risposta parziale, realisticamente percorribile, alla questione "videochiamata o colloquio in presenza", potremmo
fermarci sulla garanzia che ciascun recluso/a possa scegliere liberamente quale modalità adottare, ma ciò chiaramente
non risolverebbe le criticità di fondo rispetto al sistema tecnologico necessario allo straripante potere della
comunicazione digitale. E del resto sarebbe assurdo pretendere che la sola popolazione reclusa sia chiamata a rinunce e
prese di posizione che qua fuori, in una società ampiamente conquistata da queste nuove tecnologie, stentano a
diffondersi ed esprimersi in comportamenti personali e collettivi conseguenti. Per cominciare, tanto dentro quanto fuori
dalle galere, è da coltivare una lucidità critica rispetto alla natura e all'utilizzo della comunicazione digitale, alle
nocività ambientali e sociali che questa comporta, agli obiettivi a corto e a lungo periodo che facilita ai poteri
politici ed economici che la amministrano e nei fatti la impongono: solo a partire da una simile predisposizione potremo
pensare forse di trovare modi e comportamenti per impedire che le nostre vite rimangano per sempre imbrigliate nelle
reti di un assolutismo tecnologico senza via di scampo”.

Milano, maggio 2022
Lettera dal carcere di Corigliano Rossano (CS)
Libertà per Stefano detenuto a Rossano.
Buongiorno Olga, ieri ho ricevuto il vostro plico di novembre era già tre mesi che non ricevevo niente, di sicuro le
hanno buttate. Per quello che leggo sull'opuscolo tutti gli istituti si lamentano sia dell'infermeria, sia dell'area
educativa. Quasi quasi viene il sospetto che si siano messi d'accordo per quanto riguarda l'infermeria ti racconto che
dopo aver fatto una radiografia toracica il dottore ha confuso e non diagnosticato una bella polmonite interstiziale e
bilaterale che avevo io. La dermatologa mi ha visto il piede e ha iniziato a curarmi con una pomata sbagliata perché
secondo lei avevo solo un eczema.
Poi ricovero in ospedale per la polmonite, e dopo verrà visita dermatologica, 5 medici e il primario dell'ospedale di
Catanzaro la diagnosi è stata “tumore al piede”. E proprio uno schifo e nessuno fa niente. Ovviamente per la polmonite
sono finito a Catanzaro nel reparto infettivi con crisi respiratoria. Totale 15 giorni di isolamento polmonare con
l'ossigeno e 5 flebo al giorno ti lascio solo immaginare il mio stato. Ora rientrato a Rossano ho ancora una saturazione
di 89/100 con relativi problemi annessi sto aspettando solo l'esito della biopsia del piede per sapere se il tumore è
benigno o maligno.
Il fatto è che quando mi hanno dimesso mi hanno fissato una visita di controllo per il 14 gennaio poi non so cosa sia
successo perché hanno cambiato l'appuntamento e lo faccio il tre e il quattro gennaio. Ho paura siano arrivati gli esiti
della biopsia ma questa è la vita e ci sono compagni che stanno peggio di me. In merito alla tua richiesta ti informo
che qui a Rossano si fanno i WhatsApp, totale sei al mese da un'ora ognuno, poi due volte al mese si possono fare i
colloqui visivi, con obbligo di green pass mascherine e il solito distanziamento. Tutto questo l'abbiamo ottenuto con la
forza incluso l'apertura delle celle, prima era tutto chiuso. Piano piano si sta vivendo meglio ma a qualcuno di noi è
costata cara, denuncia, rapporto con 15 giorni di isolamento. Gli unici che hanno vinto sono quelli che hanno trasferito
tutti in carceri “modello”. Ovviamente a me non è andata bene però alla fine me la sono cavata con 15 giorni di
isolamento con relativo rapporto disciplinare […]. Saluti a pugno duro grazie per la compagnia e i vostri opuscoli.
Stefano.

26 dicembre 2021

***
Carissimi amici, vi scrivo per informarvi delle novità che ho. Ho vinto la prima battaglia per me e tutti i compagni di
questo indegno Istituto. In primis oggi inizio lo sciopero della fame sete e farmaci perché la situazione è peggiorata.
Sono 32 giorni che sono in isolamento polmonare e respiratorio in una cella al piano terra sotto l’infermeria, senza
riscaldamento nè guardie. Insomma un tugurio isolato. Pensate che adesso sono le 4 di mattina e mi sono congelato dal
freddo, cosa che succede ormai da 32 giorni. Ho distrutto tutte le plafoniere della cella. Sono senza luce. Le ho
buttate in corridoio. Quando è venuta la guardia gli ho tirato la televisione dietro (è la terza che rompo in 10 giorni)
e visto che fa freddissimo ho acceso un fuoco bruciando un mobiletto ahaha. Però ho dovuto aprire la finestra e così fa
ancora più freddo. Vetro finestra rotta da 32 giorni. Manca tutto. Si può vivere così? Oggi gli amici in sezione
inizieranno una battitura fino a quando mi fanno salire e stasera non rientreranno in cella tutte le 31 persone della
mia sezione. Però ho vinto la prima battaglia, sono riuscito a far licenziare la dirigente sanitaria e suo figlio
medico, con ingresso proibito in istituto da ieri mattina. Dopo 5 relazioni al magistrato di sorveglianza e alla Procura
scritti personalmente da me ho ottenuto l'apertura delle indagini in Procura dove ho chiesto in ognuna delle querele ben
500.000 euro a testa, più risarcimento dei danni. In totale sono ben 5.000.000 euro. Spero non li hanno in contanti così
gli pignorano la casa e quando sarà finito il processo la venderò a un centesimo a una famiglia bisognosa, meglio se
straniera così soffrono di più. Comunque adesso la situazione è molto grave. Esiste il medico di guardia solo dalle 8
alle 14, poi pomeriggio e notte non c'è nessuno. È assurdo, rischiamo tutti la vita io per primo. Comunque questa
mattina mi portano come sempre il cellulare per fare WhatsApp con la famiglia […] Alla fine dovrà venire la
sorveglianza a prenderselo il telefonino, perché non glielo do. Mi serve per motivi di salute, così se mi sento male
chiamo la direttrice direttamente ahaha. Sai che casino succede ahaha. Ma chi se ne frega tanto peggio di così non si
può ahaha. Vi prego di aiutarmi con questo casino perché da solo non ci riesco. Tanto oggi mi faranno la denuncia per
aver devastato la cella e distrutto i beni di questo infame cella. Un saluto a pugno duro a tutti voi con stima e
rispetto.

6 marzo 2022


Lettera dall’ospedale Belcolle di Viterbo
Ciao carissimi compagni/e un saluto collettivo a Olga a pugno chiuso. Mi trovo ricoverato qui all’ospedale Belcolle
Viterbo UOC Medicina protetta. Malattie infettive. Direttore dott. Giulio Starvivi. U.O.S Medicina Penitenziaria
territoriale.
Amici miei è dal 2/3/2022 che sono ricoverato come vi avevo già scritto giorni fa. Oggi vi scrivo per illustrarvi come
mi trovo e si trovano tutti gli altri prigionieri, ma io sono ancora a testa alta a lottare. Claudio “ombra” per i
vostri diritti. Avevo fatto a posta queste scritture ospedaliere per voi detenuti, per non stare in un ospedale comune,
dove puoi, anche se sei detenuto, fare quello che vuoi, anche con la scorta. Di fronte avete tutto senza queste cazzo di
autorizzazioni, e soprattutto non si può fumare…
“Dobbiamo vincere tutti insieme”
Mi trovo in questo ospedale, che è una galera, che non auguro a nessuno, in stanza solo, come già lo sono a Rebibbia, ma
qui è la differenza che stai chiuso 24 ore su 24, puoi uscire solo per le visite (sedia a rotelle e navette). Io qui ci
devo rimanere un mese solo per un piccolo intervento alla vescica per togliere un polipo e già ho fatto di nuovo tutte
le analisi per quanto riguarda l’intervento più importante, togliere i tumori, ma non ora perché l’appuntamento sti
imbecilli l’hanno fissato a fine mese. E io devo rimanere per forza qui, senza dimettermi come l’altra volta a ottobre
2021 e solo ora mi hanno ricoverato. Ma è uno strazio credetemi, delle volte parli da solo. Non puoi neanche fare una
socialità anche breve! Li sento gridare i pazienti che vogliono fumare una sigaretta, anche se ce le hanno depositate
nel magazzino. Qui vicino alla mia cella ospedaliera la n. 5 che si affaccia davanti al pronto soccorso ci vorrebbe una
protesta qui fuori dal reparto di medicina protetta per voi prigionieri. Che con tutto chi si sta male vuole fumare,
come si faceva prima, invece adesso hanno messo scritto sul foglio del ricovero “accetto di non fumare” e sei obbligato
a firmare. Durante il ricovero presso la UOC a medicina protetta non è consentito fumare (secondo la vigente normativa);
non è consentito uscire dalla propria stanza di degenza. Ma che cazzo dicono, quale vigente normativa che sono proprio
loro i primi a fumare, dalla polizia penitenziaria, gli infermieri, e i medici. Certo non si fanno vedere, ma in tasca
gli ho visto le sigarette. Ho lo strumento elettronico per fumare. Allora compagni/e miei questa normativa per voi
prigionieri la vogliamo togliere protestando pacificamente. Ammetto che anch’io ho voglia di fumare. Ma l’ultima volta,
e non solo io avevo fatto casini, si sono tagliati le braccia come ho fatto io. E dopo un po’ quasi tutti i prigionieri
ricoverati si dimettono per questo motivo. Ma è giusto… Sono di nuovo incazzato per questo motivo “L’unione fa la forza”
compagni miei.
Scrivetemi urgente compagni miei. Ma forse vi ritroverò mobilitati qui fuori a protestare e io da qui dentro sarò fino
alla morte con voi. Cambiamo questa vigente normativa del cazzo ognuno di noi è padrone della propria vita. Negli
ospedali comuni non è così come qui a Viterbo!
Pubblicate questa lettera (facciamo di più compagni/e). Questo sistema falso fatto a cazzi loro (non ci sto). Grazie da
tutti noi prigionieri.
Per esteso firmata Perrone Claudio “Anarchico” “Ombra”
W l’anarchia l’unica via… lotta continua insurrezionalista


Lettera dal carcere di Roma-Rebibbia
Ciao a tutti gli amici di Milano, ai compagni/e un saluto a tutti. Un saluto collettivo Olga.
Io dal 4 aprile non ho più il covid. Mi è durato un mese e mezzo. Ieri ho avuto un battibecco con l'ispettore per avere
quello che mi spetta. I miei diritti. Ho quasi aggredito n. 2 secondini, ma purtroppo ero chiuso per via del covid, ma
gli ho tirato in faccia i piatti dell'amministrazione, e facevo un casino per farmi aprire la cella, caso vuole dopo è
arrivata la sorveglianza e mi ha dato ragione, così dopo le 15 fino alle 18 e delle volte fino alle 20 di sera. Troppo
isolamento aperto gratuito e mi è partita la testa.
Ora sono finalmente negativo un po’ di raffreddore ma quando ero positivo sono stato male solo un giorno sabato 12 Marzo
di notte e domenica 13 Marzo, ora gli orari sono tornati normali e vado finalmente all'aria. Il 5 aprile ho fatto il
colloquio con i miei familiari, prima non potevo andare da nessuna parte, neanche al ricovero per il problema dei tumori
ai polmoni: Ma non mollo! forse tra un pò avrò questo ricovero all'ospedale di Belcolle Viterbo, per fare queste
benedette ultime due visite, prima dell'intervento e spero che da un male, ne esca una cosa buona. La libertà, che sarà
difficile, ma io ci sto provando insieme al mio avvocato che mi sta aiutando molto, come sta facendo. La direzione
sanitaria ma c'è anche chi se ne frega una dottoressa è andata via da qui con tutto questo caos dei detenuti, era brava.
Ma c'è sempre un'altra dottoressa che ci aiuta, certo non come la precedente che ora lavora all'ospedale di Roma
“Policlinico" di preciso non so bene quale ospedale, ma ho ricevuto i suoi saluti e mi ha fatto piacere. Tramite la
nuova dottoressa e le infermiere, tutte donne, solo uno è un uomo Michele, uno stronzo! e di Casini ne ho fatti.
Figuratevi sono indesiderato all'ospedale Sandro Pertini con tutto che stavo male una guardia che mi conosce bene mi ha
provocato dicendomi dai sfogati dammi un pugno, io gli dicevo di andarsene, questo è successo a ottobre 2021 io stavo
con la flebo al braccio e sul letto alla fine mi sono alzato mi sono strappato la flebo e gli ho dato una sediata in
testa, un casino. È venuta la dottoressa, ha sentito un uccello, ed è venuta, mi ha dato ragione, e mi ha dimesso a
codice sei. Non ci sono più tornato perché loro non mi vogliono. A Viterbo è successo anche lì ma ugualmente non mi
hanno fatto niente, ma mi rompono i coglioni qui, qualche guardia e a partire dal capo posto brigadiere e ispettori.
Ormai il brigadiere dell'ospedale di Belcolle sa come sono fatto e si comporta bene con me, a parte qualche infame di
guardia, qualche infermiere che prendono un vaffanculo. E ci si mette pure quelli che fanno le pulizie la mattina
affanculo tutti. Ho il diritto di essere curato, va avanti da Frosinone questa storia, quasi tre anni, ma muoiono prima
loro che io. Vi farò sapere mie ulteriori sviluppi e notizie!
Per quanto la lettera che vi ho spedito da pubblicare non è che è migliorato molto, ma ora grazie a noi prigionieri
gestiamo la sezione, al primo piano g 11 c'è proprio l'anarchia. lo dicono tutti, gli infermieri, e qualcuno e andato
via, hanno piallato il capoposto e l'ispettore e va bene così. Invece qui dove sono io G11 secondo piano non si
avventurano perché sanno a cosa andranno incontro. Hanno paura di una nuova rivolta. […] Con me ce l'hanno a morte e
prima o poi questi infami me la faranno pagare caro!! ormai è una vita che sono qui dentro a queste fottute galere, mi
comporto bene con chi si comporta bene con me, gli altri secondini sono stracci frustrati oppressi peggio di noi.
Per una società senza classi né prigioni per unire le forze e rafforzare il sostegno alla lotta contro il carcere. Ora
carissimi compagni/e, un forte abbraccio solidale a tutti voi. Un saluto a tutti i compagni prigionieri amici e detenuti
comuni. Ciao a presto compa. Ombra, anarchico insurrezionalista, viva l'anarchia unica via.
Un saluto a Stefano Cucchi ucciso dal sistema e a tutta la sua famiglia Ilaria Cucchi ha vinto la sua lotta dopo 12 anni
tutti condannati e la storia è questa, Ilaria sei grande.

8 aprile 2022
Claudio Perrone, via Majetti, 70 - 00156 Roma

***
Di seguito riportiamo una lettera che abbiamo ricevuto anni fa dal carcere di Rebibbia e che all’epoca non avevamo
pubblicato. E’ del compagno Enko che salutiamo di cuore ora che i trova in libertà.

Decalogo
Ok ti hanno bevuto un'altra volta e ti rode. Perquisa, transito, sezione… Hai due anni addosso ma ti senti nudo come un
verme! In cella quattro sgallettati che si atteggiano a boss di staminchia. Non più tua moglie o marito, non i tuoi
amici la mamma o i compari. Oggi sei solo peggio di un cane. Allora: -fatti se due notti insonni e se devi piangere
fallo quando sei nel cesso. -esci fuori all'aria e cammina… cammina solo finché non ti cedono le gambe. E se incroci
sguardi incuriositi dall'ultimo arrivato evita atteggiamenti coatti, ma saluta per primo solo i più anziani, “i ferri
vecchi”. - i primi tempi non guardare gli altri, nei corridoi oppure all'aria; guarda i muri, studia gli spazi… -stai
male? fuori ti sfondavi E mo senti l'astinenza? Non morirai,tranquillo; Stai solo a partorire te stesso, con tutta la
tua ruggine e argento che hai nel cuore e nel cervello!! Caccia agli attributi, resisti! - stai meglio? Alla conta fatti
trovare sveglio: non è tua madre che viene a rimboccare le coperte, è una guardia che se di notte sei crepato metti una
croce sul taccuino, fa una chiamata e va avanti al prossimo blindo. -Quindi fatti trovare vivo alza il culo dal letto.
Tieniti in forma. - A proposito di guardie, si fanno chiamare assistenti, so agenti! Portano la divisa. E per quanto
simpaticoni, per quanto a furia di vederli ti sembreranno familiari, sono quelli che ti aprono, ma soprattutto ti
chiudono il blindo. Non c'è scusa di fame o posto fisso. Tu hai tirato giù un passamontagna. Sei allergico ai “Signor
sì,” “comandi”: non lo puoi fare, non lo vuoi fare, perché sei altro e di chiudere un uomo in un buco nero, non c'hai lo
stomaco, che magari fuori faceva i peggio inpicci ma restando libero, pure di distruggerti!
Ah se ti sei fatto “battezzare” o giochi a fare il mafioso… ste due chiacchiere non sono per te: con le guardie ci
parlavi già, anzi… le paghi pure, gli vendi i tuoi simili, “Signor sì” ne dici a valanga, tutti i giorni, fino al giorno
in cui ti pentirai, perché hai di che pentirti. Hai mai sentito di un bandito che si pente? No te lo dico io. -in cella
se sei frustrato e fai le prepotenze ai più fragile, sei un cesso, un omino piccolo piccolo. Non ti togli niente con gli
infami. Sto “decalogo” non riguarda soprattutto te. Che sto “decalogo”, ste due righe sono scritte con le tue stesse
ferite e cicatrici, sangue, sbarre, trasferimenti punitivi e isolamenti… Sono due consigli scritti da chi ha pagato ma
Incorreggibile, non rieducabile, non “esclude un ritorno”. Due consigli da compagni di cella, niente di più. -ti sei
accorto che manca un punto per arrivare a dieci? E’ perché è il più delicato. 10 -Guardati allo specchio e, se riesci a
non abbassare lo sguardo, esci all'aria o in corridoio e che siano guardie o compagne di sventura, tieni lo sguardo
attento all'altezza dello sguardo loro. Non smettere di cercare amici, ma scegli bene e non scordare di ricordare… chi
sono i nemici! E in culo alla giustizia, la loro!
Ad maiora! Enko e compas


DAL CARCERE DI BUSTO ARSIZIO
Venerdì 25 marzo, alla sera, secondo i media locali, un detenuto avrebbe appiccato un fuoco all'interno della propria
cella, lasciandoci quasi le penne. Pare che la sua azione abbia dato il La a più di un ulteriore incendio nell'istituto.
Ovviamente è impossibile ricostruire cosa abbia scatenato questa protesta. Quel che sappiamo, è che da tempo all'interno
del carcere di Busto Arsizio si respiri aria di tensione, tant'è che già un anno fa la ministra Cartabia in occasione di
un sopralluogo parlava di potenziamento del sistema di videosorveglianza e aumento del personale viste le "fasi
cicliche" di innalzamento della tensione a causa del sovraffollamento.
Anche in quest'occasione, come da copione, il rappresentante di turno del sindacato di polizia Montella sollecita
attenzioni date le "continue aggressioni da parte dei detenuti" ai poveri secondini, che anche questa volta contano due
agenti intossicati che avrebbero eroicamente salvato la vita ai detenuti.
Come se questo non bastasse a farci venire il vomito, aggiunge che, se il primo detenuto ad aver appiccato le fiamme
avrebbe problemi psichici, gli altri lo avrebbero seguito per il gusto di farlo, in quanto folli ed endogenamente
"criminali". A tal proposito lamenta "il gravissimo errore commesso chiudendo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari,
strutture che in qualche modo riuscivano a contenere soggetti psichiatrici".
Ci siamo sentiti di voler dare voce ai detenuti, e per questo Domenica 27 ci siam recati sotto il carcere di Busto
Arsizio. Siamo riusciti per una manciata di minuti a comunicare con un detenuto che come ci aspettavamo, ci ha
comunicato che all'interno delle mura gli abusi e le violenze sono quotidiane e che non esiste assistenza sanitaria.
Abbiamo imparato, anche grazie alle rivolte di due anni fa, che proprio la mancanza di assistenza possa portare
silenziosamente alla morte dei detenuti, così come i pestaggi quotidiani da parte dei secondini. Le telecamere però, in
quest'ultimo caso smettono di funzionare non lasciando traccia alcuna di questi avvenimenti.
Solo il coraggioso racconto di ciò che accade da parte di chi subisce riesce a far emergere la nostra e la loro
narrazione. Spetta a noi, fuori dalle gabbie del potere, far sì che i tentativi di alzare i toni al loro interno non
siano stati vani e diffonderne i contenuti e le rivendicazioni.
Purtroppo, l'arrivo di due fantozziani figuri con mitraglietta alla mano, ha interrotto la comunicazione ma non prima
che riuscissimo a ripetere un indirizzo a cui scrivere per tenerci in contatto.
Vale la pena riportare un paio di battute di questi ceffi così, per strappare un sorriso e dargli la sagoma che
meritano.
Chiaramente in difficoltà nel gestire la situazione, e anche un pò confusi nel capire come potessero farlo alzan la
cornetta cercando di chiamare disperatamente dei rinforzi, malgrado già la quasi totalità dei solidali si fosse
allontanata lentamente verso le proprie macchine con in mano l'impianto agile frettolosamente smontato (dopo aver
cercato di placcare goffamente una compagna con in mano la cassa e aver ceduto lo sguardo all'invito di un' altro che
pretendeva di farsi controllare il documento).
"Ma cosa chiamate i rinforzi? Stiamo andando via! Ma vi ridono in faccia"
Telefonata: "Mi scusi qua ci sono dei ragazzi che fanno una manifestazione con..e.. con.. le trombette ecco! Sono..
dod..cinq...stanno andando via!"
"Ma vi pare? Siete usciti, due sbirri, guardie, con la mitraglietta, e non riuscite a gestirvi dieci persone coi
fischietti!"
"Sbirro, guardia, ci sarai tu! Io sono un assistente! Assistente! Mica siamo allo zoo!"
Così, perchè se le telecamere non vedono anche l' intendimento deve essere interrato, insieme ai detenuti e le loro
istanze.
Non lasciamo soli i detenuti di Busto Arsizio! Esprimiamo solidarietà e rompiamo il silenzio che avvolge le condizioni
terribili in cui sono costretti!
Seguiranno aggiornamenti. Solidali con i detenuti di Busto.

marzo 2022, da Facebook Cordatesa


Lettera dal carcere di Massama (OR)
Ciao compagni, ho ricevuto il vostro plico, vi ringrazio per quello che mi avete mandato. Qui siamo in quarantena da un
paio di settimane, la nuova variante, seppur leggera come un’influenza, è molto contagiosa, nonostante giriamo con le
mascherine quando usciamo dalla cella. La guerra scoppiata con l’invasione dell’Ucraina a lungo andare coinvolgerà anche
l’Italia e l’Europa, speriamo che non diventi nucleare perché, come disse Einstein, la quarta guerra mondiale si
combatterà con le pietre. È arrivata una nuova direttrice, Luisa Pesante, ci auguriamo tutti che cambino un po’ le cose
e il carcere si apra un po’, essendo che nel tempo è imbalsamato a se stesso. Sono in attesa di avere risposta della
semilibertà che ho discusso il 10 novembre 2020 e ancora mi devono notificare l’esito. Vi chiedo se potete spedirmi una
decina di buste A4 gialle che usate voi, sono resistenti per spedire libri o documentazione, qui non ce le fanno
comprare. Vi auguro di trascorrere buone feste. Vi saluto con un forte abbraccio. Ciao.

Oristano 23 marzo 2022
Pasquale De Feo, Loc. Su Pedriaxiu - 09170 Massama (Oristano)

Lettera dal carcere di Cremona
Ciao Ragazzi, spero che questa mia vi trovi in salute, qui il solito apri e chiudi.
Non so se vi è arrivata l’ultima mia perché la ‘posta in entrata’ mi arriva tutta insieme una volta al mese e quindi, se
vi è possibile, vorrei un feedback su quella ‘in uscita’, spero comunque, nonostante i sicuri controlli vi arrivi primo
o poi.
Ho una buona notizia e una neutra: quella buona è che mi hanno concesso il penultimo periodo di liberazione anticipata e
quindi se settimana prossima mi concederanno i 68 giorni che ho chiesto per il sovraffollamento il 9 agosto, presentando
l’ultimo periodo di buona condotta, uscirei; quella neutra riguarda l’applicazione della libertà vigilata per tre anni
che dovrei scontare come pena accessoria a fine pena: sono riuscito ad avere un colloquio con il magistrato di
sorveglianza competente, che qui è quella di Mantova per chiederle come si sarebbe comportata su questa cosa e mi ha
fatto sapere che non aveva, ancora, né richiesto né ricevuto il mio fascicolo dall’ufficio di sorveglianza di Pavia
competente per il periodo che ho passato alla casa di reclusione di Vigevano e quindi ho dovuto presentare questa
benedetta richiesta per conto mio sperando nella valutazione prima del fine pena, altrimenti dovrei scontare minimo un
anno.
Ho terminato il periodo di volontariato presso lo sportello giuridico e sono tornate le giornate in sezione a sfuggire
all’ozio; il covid come è arrivato è passato senza che nulla cambiasse, hanno riaperto solo due colloqui al mese (super
green pass deluxe alla mano) ma di corsi neanche l’ombra quindi rimangono solo il campo da calcio tre volte a settimana,
le carte, il risico cucinare e le due palle che mi sto facendo calcolando anche che quando uno è a fine pena le giornate
sembrano non passare mai!
Vi chiedo quindi se è possibile inviarmi la qualunque la leggere…. La biblioteca qui si basa su libri di religione e tom
clancy. Questo è quanto, mandandovi i soliti abbracci vi ringrazio del supporto e della presenza.

Cremona, 8 marzo 2022
Luca Finotti, via Palosca, 2 - 26100 Cremona

***
Apprendiamo da alcuni quotidiani che la sera del 3 giugno alcuni detenuti del carcere di Cremona hanno appiccato un
incendio in alcune parti del secondo e terzo piano rendendo necessaria l’evacuazione di un’ottantina di detenuti. Sempre
stando alle ricostruzioni fornite dai giornali e rese loro da rappresentanti sindacali delle polizia penitenziaria, il
motivo della protesta sarebbe da attribuire alla “mancata somministrazione di uno psicofarmaco”.


Lettera dal carcere di Badu e Carros (NU)
Ciao a tutti e a tutte. Vi scrivo oggi per la prima volta, perché è da un anno circa che un compagno mi passa le vostre
riviste. Mi hanno colpito, e ho deciso anch'io di scrivere ciò che accade in questo lager dello Stato, chiamato Badu e
Carros.
Dal 2012 mi trovo in carcere, allora avevo 21 anni, ad oggi ne ho compiuti 31, e quello che ho visto in questo decennio,
la brutalità, l'impunità, lo schifo, hanno segnato per sempre il mio animo in modo indelebile. Ciò ha portato in me un
crescendo di rabbia e odio verso questo inutile stato, che ci reputa suoi figli solo quando ci deve punire, e contro
coloro che, abusando e nascondendosi sotto quella vergognosa divisa, umiliano, opprimono e torturano noi, le nostre
personalità, i nostri diritti, la nostra dignità. Lo scopo di questi esseri e di posti come questi è quello di avere un
detenuto che si riconosca colpevole che si adatti alla condanna, agli stupidi privi di senso regolamenti interni, alle
angherie, fino a creare (a chi si rassegna e abbassa la testa) zombie, scatole vuote con forma umana privi di
personalità, che scodinzolano a ogni graduato che incontrano. Cosicché il carcere e chi opera al suo interno possano
affermare "abbiamo rieducato il detenuto”.
Io a tutto ciò mi sono ribellato, ho deciso di non riconoscermi in questo assurdo sistema... ho deciso di lottare. Ciò
mi ha portato a subire intimidazioni, angherie e giorni nell'isolamento, senza acqua calda e a volte neanche l'acqua
fredda, denunce e tutto ciò che lo stato e i suoi servi attuano in casi di ribellione. Ad oggi mi mancano sei mesi, ho
quasi finito la pena e a tutti i miei compagni amici non smetterò mai di dire che insieme possiamo battere e abbattere
il carcere!!
Come tutti i luoghi di Stato in cui i suoi aguzzini possono fare quello che vogliono, anche qui a Nuoro le brutalità e
le umiliazioni sono all'ordine del giorno e sono la regola di questo inutile sistema. Sono stati massacrati a suon di
manganello calci pugni due detenuti uno albanese, e uno di nazionalità zingara. Senza contare due tunisini e un ragazzo
sardo, a cui dopo le botte hanno iniettato la famosa “puntura" rendendolo zombie per svariati mesi. Perquisizioni
umiliazioni come fare eseguire le flessioni nudo quella senza nessun motivo a parte quello di “sicurezza”. I colloqui te
li fanno usufruire per un tempo da loro determinato, si inventano regole assurde, a seconda della guardia, per non darti
il pacco colloquio. Se aprì bocca rapporto isolamento! La rieducativa e in completa simbiosi con questo sistema. Le
educatrici sembrano addestrate ad Auschwitz, perpetrano continui soprusi negando di chiudere le sintesi godendo
nell’abusare il loro poco potere morale. Si esce a fine pena!! l'area sanitaria, copre tutto in caso di pestaggi da
parte delle guardie, e come medici… meglio lasciar stare… ci siamo capiti.
Ti danno tachipirina per tutto!! Tutto questo avviene con il tacito consenso della stragrande maggioranza della
popolazione detenuta che per un lavoro di 100,00 € e un permesso premio sono succubi, complici e in simbiosi con questo
assurdo lager di Stato chiamato Badu e Carros. Voglio precisare che tutti questi trattamenti sono riservati a chi tra di
noi alza la testa e guarda in faccia e sfida i suoi aguzzini a chi come me acquisisce la consapevolezza di cosa è la
ribellione in una società che accetta solo schiavi e padroni e schiaccia chi non si adegua questa regola; e insieme, la
consapevolezza di ciò che è la repressione che colpisce l'individuo finché è solo e da solo risponde alle ingiustizie
che subisce, ma non può nulla nel momento in cui gli oppressi si organizzano per ribellarsi all'oppressione.

12 marzo 2022


Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
Carissimi compagni, come sempre con piacere ricevo vostre notizie come ho ricevuto l'opuscolo e altri documenti che ho
fatto leggere ad altri compagni carcerati vicino a me. Vi scrivo per farvi avere mie notizie anche se mi viene male
scrivere perché vedo nebbioso, perché da tre mesi ho la cataratta agli occhi e vi scrivo perché vi voglio esprimere
tutta la mia riconoscenza e la mia vicinanza insieme a tutti i compagni di Olga.
Per quello che riguarda la cataratta, devo fare l'intervento, è più di tre mesi che sono in lista di attesa. Mi hanno
detto che è normale, perché succede anche fuori dalle carceri che passano dai sei mesi a un anno per fare l'operazione.
Per noi carcerati la situazione di questa epidemia è un problema per diversi motivi. Nelle carceri mancano i medici e
tanti rischiano la vita perché non ci sono cure adeguate perché manca tutto. Altro problema sono i pochi contatti
familiari e si deve essere vaccinati per fare i colloqui la sola cosa che abbiamo per tenere i contatti con la famiglia
sono 30 minuti la settimana tramite videochiamate e telefonate settimanali di 10 minuti. Il carcere è una condizione cui
non ci si può abituare senza perdere se stessi e il senso della misura di quel che deve essere la vita di un uomo nelle
condizioni in cui si può essere umani. saluti cari a tutti.

5 aprile 2022
Antonino Faro, P.le Vittime del dovere - 67039 Sulmona (L’Aquila)


aggiornamenti su alcuni processi giudiziari in corso

Cassazione per Scripta Manent: iniziativa solidale a Torino.
Il 25 maggio, la Corte di Cassazione deciderà in merito al processo relativo all’inchiesta Scripta Manent, processo nel
quale una compagna, Anna, è stata condannata a 16 anni e 6 mesi, e tre compagni, Nicola, Marco e Alfredo rispettivamente
a 13 mesi, 21 mesi e 20 anni. Fra i reati per cui sono stati condannati, oltre all’associazione sovversiva e i reati
fine ad essa collegati, per alcuni di loro vi è quello di strage. Come al solito lo Stato attua la politica
dell’inversione delle responsabilità, quando nella realtà è lo stesso Stato che ogni giorno commette stragi impunite
nelle guerre, nelle carceri, nei mari, sul lavoro, nelle strade, in una costante pratica affermata del monopolio della
violenza. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale,
viene duramente represso.
Per questo, sotto processo ci sono le pratiche rivoluzionarie che gli anarchici e le anarchiche hanno sempre sostenuto e
che da sempre fanno parte del loro percorso. Dietro a questa, come ad altre vicende giudiziarie, c’è il tentativo degli
inquirenti di voler rileggere sotto la loro lente di ingrandimento la storia del mondo anarchico, dividendolo tra buoni
e cattivi. Finalità del processo è la volontà di zittire i compagni distribuendo anni di galera. Opponiamoci a queste
logiche repressive, rimandiamo al mittente la responsabilità delle stragi, difendiamo le pratiche rivoluzionarie.
Sabato 21 maggio saremo in strada a Torino, ore 10 P.zza Borgo Dora, zona Balon.
Per Alfredo Cospito, arrestato a settembre 2012, già condannato a 9 anni e 5 mesi per il ferimento di Adinolfi
(amministratore delegato di Ansaldo Nucleare) e a ulteriori 20 anni nel processo “Scripta Manent” svoltosi a Torino, è
ora stato disposto il regime penitenziario del 41 bis. Al momento nello stesso carcere di Terni dove si trovava già
recluso.

Contro il 41bis, solidarietà rivoluzionaria con l’anarchico Alfredo Cospito
Il 5 maggio è stato disposto il regime del 41bis al compagno anarchico Alfredo Cospito.
La volontà dello Stato di sotterrare vivi (‘anche’ poiché in 41bis ci sono circa 800 prigionieri/e ndr) compagne e
compagni anarchici nel regime disumano dell’isolamento totale era nell’aria da tempo. Lo aveva preannunciato l’allora
procuratore antimafia e antiterrorismo De Raho nel luglio del 2020, allorché insisteva sulla necessità di aprire nuove
sezioni di 41bis, cercando di creare un fantasioso quanto ponderato parallelo tra mafia e anarchici insurrezionalisti
per costruire il contesto adatto. Quelle parole arrivavano infatti poche settimane dopo la strage di Stato compiuta
nelle carceri (dove sono stati uccisi 16 detenuti), e la primaria necessità è stata quella di ricercare un “colpevole”
delle rivolte scoppiate all’interno, sapendo benissimo che le disumane condizioni carcerarie bastano e avanzano per
“istigare” i detenuti a rivoltarsi.
Secondo De Raho anarchici e mafia sarebbero stati accomunati dal “progetto di soffiare sul fuoco della povertà per i
propri fini”, e tale retorica è stata il movente e l’occasione per insieme ripulirsi le mani sporche di sangue e
accelerare un progetto repressivo. La strage di Modena è stata un monito per chiunque voglia lottare, le conseguenze
repressive un modo per dipingere il “colpevole” e mettere sotto la polvere la natura stragista dello Stato. Una vecchia
storia: Piazza Fontana a Milano, Piazza della Loggia a Brescia, la stazione di Bologna… i progetti del potere non sono
affatto una novità.
Il regime del 41bis era già stato disposto per altri rivoluzionari nel 2006, ma oggi lo Stato da un’ulteriore stretta.
Ciò che era accaduto con le operazioni anti-anarchiche del 2019 – in particolare con il trasferimento delle compagne nel
carcere simbolo del 41bis de L’Aquila – aveva già l’aria di un test. La direzione repressiva dello Stato era già un
programma: “è ora di spedire gli anarchici al 41bis”. Oggi si aprono le porte del “carcere duro” per Alfredo, e questo
non è solo l’isolamento riservato a chi non ha mai abbassato la testa ed ha continuato a lottare anche nelle dure
condizioni detentive, bensì un monito, che vuole diventare un precedente, per tutto il movimento anarchico (e per quello
rivoluzionario ndr).
Dal carcere Alfredo ha sempre contribuito al dibattito con l’esterno ed è evidente che questa ulteriore restrizione ha
l’obiettivo di stroncare il più possibile ogni suo rapporto. L’accusa di strage inoltre, così come sta venendo
utilizzata nei confronti di Alfredo, di Anna e di Juan, è il ribaltamento delle responsabilità storiche dello Stato e
dei suoi nemici ed è un chiaro strumento di attacco verso tutti i rivoluzionari, perché è proprio utilizzando
quell’accusa – ma potenzialmente anche quelle di associazione sovversiva e terrorismo – che il 41bis potrebbe essere
disposto per altri compagni e compagne. Un regime disumano che discende dalle sezioni di isolamento totale usate alla
fine degli anni Settanta per stroncare l’ondata di conflitto sociale e autorganizzazione proletaria (anche armata) che
aveva sovvertito radicalmente i rapporti di forza tra le classi nel decennio precedente.
Mentre gli Stati dichiarano guerra ai poveri di tutto il mondo, mentre i conflitti militari tra grandi potenze
moltiplicano le stragi tra gli oppressi, mentre la macchina tecno-militar-industriale accelera la sua corsa ridefinendo
la vita stessa per meglio controllarla, lo Stato non vuole avere ostacoli e deve distruggere i cuori che ancora battono,
che ancora non si sono arresi e possono diventare una minaccia.
Per questo la nostra solidarietà va ad Alfredo, il nostro sguardo alle nostre mani.
Per contrattaccare serve fiato, servono domande e servono risposte. Ma soprattutto servono determinazione e coraggio, se
non vogliamo che l’organizzazione sociale che ci soffoca divori come un rullo ogni centimetro delle nostre vite.
Contro il regime di 41bis! Contro tutte le galere, contro tutti gli Stati! Solidarietà con Alfredo! (12 maggio 2022
anarchici e anarchiche di Trento e Rovereto, da ilrovescio.info)

Contro il 41bis, L’Aquila 2017
Un’iniziativa tenutasi a L’Aquila nel 2017 in solidarietà alla prigioniera comunista Nadia Lioce, sottoposta da oltre 19
anni all’isolamento e quindi al 41bis, è stata trasformata, da zelanti giudici, in un processo a carico di 31 compagni e
solidali che a quella iniziativa avevano preso parte.
Le accuse sono di manifestazione non autorizzata Art. 18 comma V del R.D. 773 del 18 giugno 1931. La data dell’inizio
del processo è stata fissata per il 18 maggio 2022.
Pensiamo che questo processo non deve essere un’occasione per difendersi dall’accusa di aver partecipato ad una
manifestazione non autorizzata, quanto quella di cogliere il momento per riaffermare la nostra solidarietà e la nostra
lotta contro il carcere in quanto strumento di controllo, repressione e annientamento dell’intera classe di subordinati
al dominio del capitale. Il 41bis, in quanto tortura e isolamento ne rappresenta la parte più avanzata.
Oltre alla compagna Lioce ci sono centinaia di proletari/e sottoposti alla tortura dell’isolamento nelle democratiche
carceri italiane, dove sono rinchiusi ancora compagni/e da circa 45 anni. Oltre che a migliaia di prigionieri/e tenuti
in condizioni miserabili.
Negli ultimi anni nulla è cambiato se non in peggio. L’inizio della sciagurata gestione pandemica fù inaugurata con la
strage di Stato di 14 prigionieri, 9 dei quali nel mattatoio di Modena (la maggioranza proletari immigrati), per poi
proseguire con pestaggi generalizzati in moltissime carceri, non ultime Poggioreale e Santa Maria Capua Vetere. Questo
in risposta alle richieste di garanzie e di non aggravare la situazione vietando colloqui con familiari e difensori,
cosa che avrebbe instaurato di fatto un regime di ulteriore isolamento massificato.
La strage è stata ordinata dal governo ed eseguita dal D.A.P. perché tutti si dovevano attenere alle sciagurate
direttive governative e ogni minima forma di dissenso andava annientata. Anche all’esterno la situazione montava: multe,
arresti, denunce, divieti di manifestare come strumenti di appiattimento di ogni senso critico e procedere alla gestione
di una profonda crisi proprio delle strutture capitaliste e procedere così a liberarsi di quanti lavoratori e operai
costituivano in di più nei processi di produzione e lavoro di sfruttamento.
La gestione della pandemia non è stata altro che la funzionalizzazione di apparati statali alla tendenza alla guerra con
la messa in campo di strategie di divisioni e contrapposizioni tra proletari e nello stesso movimento proprio in
previsione di un conflitto armato da scatenare in Europa. Guerra che non può essere attuata se non annichilendo ogni
voce che ad essa si contrappone e mettendo in campo le peggiori ideologie guerrafondaie, di mistificazione e quant’altro
rientra nelle pratiche della propaganda di guerra, appunto, anche sul fronte interno!
È in questo quadro, solo accennato, che va letta la repressione di ogni soggetto e organizzazione.
Le rinnovate accuse di associazione a delinquere verso quanti lottano per un lavoro e una vita dignitosa, la montatura
del ritrovamento di un’arma (nel cesso!) nella sede di un sindacato di base e così via, fino alla repressione delle
lotte fuori i cancelli delle fabbriche e dei depositi della logistica dove si attuano modelli di lavoro neo schiavistico
e dove, durante iniziative di lotta, sono stati uccisi dai crumiri due operai.
Rilanciare la lotta contro il 41bis. Solidarieta’ a tuti i prigionieri e le prigioniere rivoluzionari. Proponiamo un
dibattito cittadino contro carcere e repressione da tenersi quanto prima. (Napoli, aprile 2022)

Operazione Bialystok. Il 5 maggio sono arrivate le richieste di pena, da 5 anni a 8 anni e 8 mesi. La mattina del 12
giugno del 2020 il Raggruppamento Operativo Speciale dei carabinieri mise in scena l’ennesima operazione anti-terrorista
contro gli anarchici e le anarchiche in Italia a firma della procura di Roma. Cinque finirono nelle segrete dello Stato
e inizialmente due rimasero reclusi ai domiciliari (ora tutti a piede libero). Tra le accuse mosse nei loro confronti la
solita associazione sovversiva con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere. Tra le principali motivazioni
dell’inchiesta l’attacco, tramite ordigno esplosivo, alla caserma dei carabinieri di San Giovanni a Roma [7 dicembre
2017], l’incendio di diverse auto car-sharing ENI-Enjoy [28 febbraio 2019], presidi sotto le mura di diverse carceri,
l’organizzazione di dibattiti, assemblee e concerti benefit.
In sede di processo è un certo colonnello Imperatore del ROS (Raggruppamento Operazioni Speciali dei Carabinieri) a
riferire della costruzione dell’ipotesi giudiziaria. Questo personaggio sembra essere stato scelto più per le sue
capacità mnemoniche che per la sua intelligenza. È chiaro che il suo scopo sia quello di creare una rappresentazione del
mondo anarchico nel suo complesso che giustifichi un’inchiesta che non ha sostanza. A questo scopo, incitato dalle
giudici e dal Pubblico Ministero (il quale è stato poco più di una comparsa per quasi tutto il processo, confermando il
fatto che questa figura giuridica svolga in molti casi un ruolo di mero passacarte alle dipendenze delle forze di
polizia), ha compiuto diversi voli pindarici spaziando dalla gambizzazione del dottor Mammoli nel ’77 ad opera di Azione
Rivoluzionaria alle azioni esplosive rivendicate dalla FAI, dal contesto anarchico cileno a quello greco, il tutto ben
condito da ogni sorta di illazioni spettacolarizzanti per creare un quadro generale di pericolosità del movimento
anarchico che giustificherebbe l’intervento repressivo specifico. Il suo scopo è nient’altro che quello di una macchina
del fumo col fine di suggestionare le giudici e la corte popolare in mancanza di elementi probanti solidi. Il punto più
basso (o più alto, dipende se si considera la scala della decenza o quella dell’assurdo), e al contempo più indicativo
della mentalità inquisitoria di questi personaggi, è stato quando il colonnello ha affermato che “Alfredo Cospito è
l’anarchico più importante al mondo in vita”.

Juan Sorroche, arrestato il maggio 2019 per cumolo di pene di circa otto anni dopo due di latitanza, è ora sotto
processo accusato di strage per un “attentato” a una sede della lega a Treviso dell’agosto 2018. L’11 giugno ci sarà un
presidio a Treviso in occasione della sua dichiarazione, non in aula ma in videoconferenza come ormai è usuale.

Inizia il processo per il presidio sotto San Vittore per la rivolta di marzo 2020
Il 4 maggio 2022 è iniziato il processo per la presenza solidale sotto il carcere di San Vittore durante la rivolta del
9 Marzo 2020.
È la sera dell’8 Marzo quando ci giunge la notizia di proteste nel carcere di Opera.
Il giorno dopo, tutta l’Italia è in ‘zona rossa’ ma allertati dalla sera prima decidiamo di andare anche sotto a San
Vittore. Arrivati in prossimità delle mura notiamo del fumo, sentiamo parecchio rumore arrivare da dentro il carcere e
vediamo che alcuni detenuti sono sul tetto. È rivolta.
Durante la pandemia, la maggior parte della popolazione ha vissuto una situazione sociale, psicologica ed economica a
dir poco difficile, con misure restrittive simili ad uno scenario di guerra. Mentre fuori la campagna di terrore
costringeva la popolazione chiusa in casa e criminalizzava ogni sorta di socialità, le carceri continuavano ad essere
sovraffollate. “Fuori a due metri di distanza, dentro 8 in una stanza” recitava un manifesto affisso pochi giorni dopo.
Mentre i colloqui con i parenti venivano sostituiti da pochi minuti di videochiamata, la polizia penitenziaria
continuava ad entrare e uscire dalla struttura ogni giorno. Per la prima volta dopo decenni esplodevano rivolte
incontrollabili nella maggior parte delle carceri italiane. La richiesta fu più che spontanea e logica: libertà,
indulto, fateci uscire!
Rivolte dentro, sostegno fuori.
Tornando a noi. Un gruppo di solidali e parenti, appresa la notizia di San Vittore in fiamme si raduna velocemente sotto
le mura. Ad attenderli un gran numero di poliziotti. La giornata all’esterno si svolge per lo più in maniera tranquilla:
interventi, cori, battiture, musica e qualche scambio di informazioni tra detenuti e solidali. Non sono mancati anche
momenti molto toccanti come quando una ragazza incinta ha comunicato il sesso del figlio al proprio compagno affacciato
tra le sbarre.
Nel pomeriggio è anche stato allestito un gazebo con cibo e acqua. “Finché voi starete sul tetto a resistere, noi
staremo qua fuori!”.
Durante il pomeriggio un gruppo di persone si sposta sotto un altro “braccio” del carcere. Lì si trova anche uno degli
ingressi. Dopo qualche minuto arriva un pullman della Polizia Penitenziaria pieno di uomini in divisa pronti a dare una
mano alle guardie già presenti all’interno per reprimere la sommossa. Davanti all’ingresso però si trova questo gruppo
di persone che viene subito spostato a manganellate dalla celere.
A distanza di due anni, il 4 Maggio, è iniziato il processo per i fatti avvenuti in quel frangente. Le accuse per cinque
persone sono di “resistenza” e “oltraggio” con le varie aggravanti. (Nelle indagini preliminari, pare per degli sputi
verso la celere, hanno provato ad utilizzare il reato di ‘pandemia colposa’ che non è passato).
Intendiamo mettere a conoscenza tutti e tutte di questo processo, che riguarda una delle giornate più intense degli
ultimi anni, dove in tutta Italia tantissimi detenuti hanno lottato con coraggio e determinazione per la loro libertà,
subendo nei giorni successivi vessazioni, violenze e torture di ogni tipo. Ricordiamo anche i 14 detenuti uccisi in quei
giorni. Per un mondo senza galere.

Le condanne del 15 ottobre e l’impellenza di reagire
Il 24 maggio, si è concluso l’ultimo grado di giudizio per i fatti del 15 ottobre 2011.
A distanza di 11 anni e mezzo dalla manifestazione oceanica che invase le vie di Roma, lo Stato e i suoi tribunali hanno
confermato a 6 compagn* pene che vanno dai 5 anni e 4 mesi ai 6 anni e 6 mesi.
Come documentiamo da anni, questo processo “politico” si è sviluppato in diversi filoni volti a differenziare la natura
dei reati, con alcuni compagni e compagne ai quali è stata affibbiata la premeditazione degli scontri e della resistenza
che impedì alle forze dell’ordine l’agibilità di movimento nell’intero quadrante intorno Piazza San Giovanni.
Il 15 ottobre è stato il momento di precipitazione di una stagione di mobilitazioni contro la crisi e il costante
impoverimento scaturito da essa. Una manifestazione che nessun soggetto politico era in grado di controllare o gestire
nella quale la rabbia di 200 mila persone ha messo in atto una giornata vivace e di riscatto collettivo.
Giornate come questa e come il 14 dicembre hanno segnato un punto di non ritorno non solo per chi le ha vissute con il
sogno di sfidare il presente ma anche per l’apparato repressivo che con questo processo ricorda che in questo paese
“democratico” non c’è spazio per un dissenso che radicalizzi le istanze di chi sta in basso nella catena alimentare
capitalista.
Ieri a Roma, centinaia si sono riuniti davanti al “palazzaccio” della cassazione che ha confermato le pesanti condanne
comminate in secondo grado.
Domani più che mai il nostro compito sarà quello di continuare a sostenere coloro che pagano il prezzo per la rivolta di
tutt*, pretendendo la liberazione di chi è divenuto capro espiatorio da dare in pasto alla stampa.
Oggi a distanza di 11 anni, le possibilità di una vita dignitosa si sono ancora più ristrette, compressi tra una ripresa
economica che non c’è stata, la tragicità della pandemia e l’attualità di una guerra che è monito del futuro che ci
aspetta per garantire la riproduzione di un’sistema fondato sulla privazione di molti a fronte della ricchezza di pochi.
Quest’ennesima manovra repressiva su una giornata di riscatto non deve scalfire la nostra consapevolezza della necessità
di reagire allo stato di cose presenti. (25 maggio 2022, da infoaut.org)

Il processo "robin hood" si avvia verso la sentenza. Il 26 maggio alle 9:00 tutti e tutte davanti al tribunale di milano
per la requisitoria dell'accusa.
13 dicembre 2018, ore 5:30 del mattino, 9 membri del Comitato Abitanti Giambellino Lorenteggio vengono arrestati, 6
famiglie aderenti sgomberate, lasciate per strada senza alcuna proposta di alloggio alternativa, e messa sotto sequestro
la Base di Solidarietà Popolare, centro delle attività del comitato. L'accusa è di 'associazione a delinquere
finalizzata all'occupazione'.
I crimini per cui si vuole richiamare all'ordine le nove persone imputate sono l'insieme di azioni con le quali, nel
corso degli anni, insieme agli abitanti di un quartiere dall'esistenza travagliata, sono stati costruiti degli spazi di
solidarietà e vita in comune, in risposta all'incuria reiterata a cui quei luoghi e la loro popolazione sono stati
abbandonati:
Una mensa popolare gratuita per il quartiere; un doposcuola dove bambini e bambine con storie famigliari difficili hanno
studiato, imparato a rispettarsi e a collaborare, tornando anno dopo anno; un ambulatorio, dove medici volontari davano
informazioni di base; uno sportello a cui rivolgersi quando bollette, sfratti, cantine allagate erano resi
inaffrontabili dall'ostacolo della lingua.
Una squadra di calcio gratuita. Un orto ad accesso libero. Una scuola serale di italiano. L'organizzazione sistematica
di pulizie nei cortili e nei palazzi, dove albergavano topi, scarafaggi, detriti e immondizia atavici.
Un esperimento di vita profondo e importante, contro una profonda emergenza sociale, causata dalla consapevole
distruzione dell'edilizia residenziale pubblica.
Il processo volge al termine: nell'esito di questa vicenda si gioca la scommessa di un paradigma in potenza. Un
probabile modello futuro applicabile con certezza (della pena) a tutto ciò che sceglierà di porsi in contrasto con
l'ordine, costituitosi in scala sociale, rigida, brutale.
Questo tocca da vicino tutte le vite che non si adattano ai ritmi di trasformazione della città. Chiamiamo tutti e tutte
ad una forte presenza dentro e fuori dall'aula in cui verranno formulate le richieste dell'accusa.
CI VEDIAMO IL 26 MAGGIO ALLE 9:00 DAVANTI AL TRIBUNALE DI MILANO.
Per le persone arrestate, per il Comitato Abitanti Giambellino Lorenteggio, per ogni comunità resistente che costruisce,
in luoghi e forme diverse, una vita da opporre all'esclusione che le viene imposta. (da FB 20 maggio 2022)