indice n.144
Fuck you America. Notizie dagli USA
aggiornamenti dai campi di internamento per gli immigrati
Lettera dal carcere di Genova-Marassi
Lettere dal carcere di Bancali (SS)
Lettera dal carcere di Uta (CA)
Lettera dal carcere di Massama (OR)
Lettera dal carcere di Siano (CZ)
Lettera dal carcere di Rossano Calabro (CS)
Lettera dal carcere di Reggio Emilia
Lettera dalla comunità terapeutica di Belluno
lettera dal carcere di padova
Lettera dal carcere di Piacenza
Sulla battaglia contro l’estradizione in Italia di Vincenzo
Lettere dal carcere di Fresnes (Francia)
lettera dal carcere di terni
Lettera dal carcere di Tolmezzo (UD)
Lettera dal carcere di Milano-Opera
Lettere dal carcere di Lecce
Lettera dal carcere di Firenze
Lettera dal carcere di Parma
Lettera dal carcere di Agrigento
notizie dalle carceri
SORVEGLIARE E ISTRUIRE. la SCUOLA AL TEMPO DEL COVID
Maxiprocesso contro gli scioperi in Italpizza a Modena
Fuck you America. Notizie dagli USA
Cosa succederà adesso? Cosa mi accadrà? Cosa sarà di noi?
Domande che ci siamo posti, che spesso ci poniamo e che forse ci porremo ancora. Queste sono domande che si pongono
anche molte persone al di là dell’oceano, in quel “paradiso di democrazia” che sono gli Stati Uniti – e ne hanno ben
donde!
In un quadro politico raccapricciante da molti anni che, col COVID, ha mostrato le contraddizioni dei domini
capitalistici (ma non solo) e tutte le loro più profonde falle ricolme di piccoli e grandi interessi economici e
affarucoli di quartiere (dove per quartieri si intendono intere aree geografiche), reiniziano, anzi continuano gli
omicidi di neri da parte della Polizia statunitense. Non importa neppure se di uomini, di donne o transgender, perché
in America non amano le discriminazioni – basta che siano neri.
Fin dalla campagna elettorale, in assoluto il peggior presidente degli Stati Uniti (se mai ce ne fosse stato uno
migliore e seppur essere meglio di questo credo sia fin troppo facile) si era affiancato a gruppi estremisti di
destra che lo hanno sempre sostenuto prima e dopo la sua elezione, riportando indietro nel tempo intere aree a un
clima insostenibile.
Ed eccoli qui, i dati, che finalmente cominciano a uscire, a parte quelli che sono balzati sulle prime pagine di
tutti gli organi di stampa per la loro efferatezza ed arroganza nella commissione stessa dell’omicidio.
Vogliamo darvi pochi numeri che sono ufficiali e, quindi, non contestabili. Secondo uno studio del Proceedings of the
National Academy of Science of the United States essere uccisi durante un arresto da parte di un agente della Polizia
costituisce la sesta causa di morte per gli uomini di età compresa fra i 25 e i 29 anni appartenenti a qualsiasi
gruppo etnico. Ma, rispetto ai bianchi, gli uomini afroamericani sono 2,5 volte più a rischio, le donne 1,4 volte. In
pratica, in base alle statistiche ufficiali un ragazzo o un uomo di colore su mille verrà ucciso da un agente della
Polizia. Secondo il sito mappingpoliceviolence.org gli agenti che vengono accusati o condannati per questi eventi
sono l’1% .
Un altro sito fatalencounters.org tiene contezza degli omicidi di questo tipo. Il sito non è antagonista è proprio
fatto e gestito da uno (Brian Burghart) che dice che sapere di un numero così ingente di morti può essere di stimolo
a modificare l’addestramento degli agenti o le linee guida verso la Polizia. Bene – proprio lui ne dichiara nel solo
2018 circa 1.810: 1606 maschi, 189 femmine, 2 transgender e 13 il cui nome e gli altri dati sono stati omessi dalla
Polizia medesima… Puff! …spariti nel nulla dopo un arresto.
Ma quindi, questo schifo non è solo di oggi? - vi domanderete e sapete bene la risposta, il pregiudizio razziale
definito negli USA detto anche Racial Bias è talmente radicato, che non si ripercuote solo sui tassi di arresto di
uomini e donne afroamericani o transgender a volte anche violentate, ma si abbatte anche sul COVID.
Credo sia necessario, obbligatorio fare una piccola considerazione su questo evento che sta vessando tutti noi in
ogni dove e su cui gli stati stanno facendo la loro fortuna. In Nord America, ormai è talmente elevato il livello di
pregiudizio che, da alcune frange perviene anche l’accusa che il diffondersi della pandemia sia dovuto alle
condizioni di povertà in cui parte della comunità afroamericana vive.
Aspetta! Fatecelo dire con altre parole così provo a spiegarmi meglio: ma quindi stiamo dicendo che tu crei un
sistema in cui io sono senza mezzi, vivo una vita costretta proprio al centro del maggiore sistema capitalistico, non
ho i mezzi per curarmi perché tu hai privatizzato anche il tuo cesso ed è anche colpa mia ?! e quindi mi fermi in
continuazione per controlli e mi arresti e trasformi il distanziamento sociale richiesto per contrastare il COVID in
un sistema di repressione? Ma stiamo dicendo veramente questo?!
Crediamo di sì – purtroppo! A questo, per fortuna centinaia di migliaia si stanno ribellando in diverse forme e su
diverse aree del territorio, con conseguenti arresti e minacce alle famiglie. Prima però di darvi un cono di luce su
quanto accade e sulle pratiche di chi si oppone, avremmo piacere di fare alcune considerazioni sulla manna che il
COVID è stato per il sistema repressivo. Su questo tema che si intreccia, lo vedremo, drammaticamente con tutto il
resto, crediamo sia il caso di fare un passaggio almeno per darvi un primo spunto di riflessione.
Questa pandemia è stata una magnifica occasione per portare avanti due linee che il Potere cercava di instaurare e
consolidare da decenni: la repressione contro qualunque forma di opposizione che potesse anche solo rallentare la
sua corsa sfrenata verso il niente e l’isolamento.
Con il COVID, finalmente, hanno avuto la loro occasione d’oro, hanno potuto dire che non si poteva fare! Che le
manifestazioni non dovevano essere, che la gente, i lavoratori non potevano avvicinarsi troppo e parlare e
raccontarsi il filo rosso che li congiungeva; che ogni forma di opposizione sarebbe stata occasione di diffusione del
male, instillando in quelli meno adusi alla battaglia politica anche quasi un senso di colpa perché sentivano,
comunque, una sana e irreversibile spinta alla ribellione.
Poi, unitamente a questo, il concetto di isolamento che non è sanitario, ma è politico. E’ un isolamento in cui non
si condivide, non si comunica. Ognuno è solo e, quindi, più facilmente colpibile e oltremodo individuabile.
Quest’isolamento è lo strumento psicologico più utile per questa gentaglia che non vuole assolutamente che parliamo,
che ci diciamo quello che viviamo, che ci raccontiamo le schifezze che LORO fanno e che nel lungo periodo crea una
disperazione silenziosa che cerca di avvicinarsi a qualcosa, a qualcuno, pur di trovare la seppur minima
partecipazione, cercando così di piegare anche i più indomiti.
Sono due processi che chi vive le mura della prigione conosce bene e disprezza dal profondo di sé stesso e che sono
costantemente praticati dal Potere per creare divisioni e mantenere lo status quo. In questo clima, poi, i più miseri
uniscono alle dinamiche repressive, un’arroganza che non è più solo personale o umana, ma anche politica a fronte
della certezza dell’impunibilità.
Al netto di quello che vi andremo raccontando brevemente sui fatti, più nel dettaglio, degli Stati Uniti, ciò che ci
ha dato un po’ di respiro, è che dall’altro lato del mondo c’è tanta gente che lotta, che se ne fotte delle norme
repressive dei padroni, che agisce in tutti i modi per rivendicare il diritto ad esistere, a non essere discriminata.
C’è gente che pensa e che condivide percorsi di analisi dell’attuale e non si fa guidare da quattro pezzenti,
mantenendo autonomia di pensiero e di azione personale e politica. Vedere le singole azioni, le singole
manifestazioni in qualsiasi modo si presentassero (o venissero presentate dalla stampa) che ci arrivavano ogni giorno
sul telefono è stato un orgoglio.
Cola sangue dai Canyon degli USA, dalle meravigliose cascate del nord, sui pavimenti di petrolio del Texas e sulle
alture del Kentucky ed è sempre sangue nero.
Colano lacrime nere sui parchi immensi di New York, sulle pareti della Casa Bianca ed ogni goccia è un tamburo che
ricorda bene dove dovrà suonare.
God Save America- God Save Mr.Trump & his fucking system (Dio Benedica l’America – Dio benedica il Sig. Trump e il
suo fottuto sistema).
Alcuni fatti e piccole riflessioni come sopraindicato
Breonna Taylor – Louisville – 26 anni – afroamericana – uccisa il 13 marzo a seguito di una sparatoria fra agenti
durante una perquisizione nella sua abitazione (8 colpi di pistola – morta sul colpo) . Due soli agenti incriminati
e definiti in sentenza come giustificati a sparare un terzo incriminato per condotta pericolosa e rilasciabile su
cauzione lieve.
Daniel Prude - Rochester, New York, 30 anni – afroamericano con disturbi mentali – ucciso il 30 marzo 2020 – correva
nudo per strada – è morto in ospedale dopo che gli agenti l’avevano ammanettato, incappucciato e tenuto il viso
sull’asfalto per almeno due minuti.
George Floyd – Minneapolis - 47 anni – afroamericano – ucciso il 25 maggio – morto soffocato dopo che un poliziotto
gli ha premuto il ginocchio per 8 minuti sul collo.
Jacob Blacke – Kenosha – WI – 29 anni – afroamericano – ferito il 23 agosto alla schiena da 7 colpi di pistola da
parte di un poliziotto – è paralizzato . Tutti i capi di imputazione a carico dell’agente sono caduti.
Deon Kay – Washington D.C. – 18 anni – afroamericano – ucciso il 2 settembre da un agente durante un controllo –
colpito da un proiettile è morto in ospedale.
A seguito della morte di George Floyd anche il caso Taylor è saltato fuori con forza nelle ribellioni che hanno
infuocato le strade degli USA.
Minneapolis è stata messa a ferro e fuoco per giorni. Diversi gruppi comunitari, organizzazioni, liberal,
progressisti, e gente di sinistra si sono concentrati già sul luogo della veglia al defunto George, mentre chi voleva
confliggere si è ritrovato generalmente intorno al Commissariato. Questo ha significato una distanza di due miglia
tra due folle davvero diverse, una divisione spaziale riprodottasi anche in altre aree della città. Chi è andato a
fare gli espropri si è scontrato con la polizia in zone commerciali sparse fuori dalla sfera d’influenza delle
organizzazioni, mentre molti dei cortei della sinistra hanno escluso gli elementi combattivi con la sperimentata
tattica della “polizia di pace” in nome di un’avversione identitaria al rischio. Nessun partecipante era
precedentemente organizzato. La vittoria è stata ottenuta grazie a individui e gruppi indipendenti che hanno
coraggiosamente interpretato ruoli complementari e che hanno saputo cogliere le opportunità che si presentavano loro.
I primi assembramenti sono stati per certo chiamati da un’organizzazione afroamericana, ma tutte le azioni che hanno
sconfitto materialmente il commissariato sono stati intraprese dopo la fine di questa dimostrazione e da gruppi di
persone fuori da qualsiasi affiliazione o sigla. La folla ha potuto trasformare la situazione liberamente. La forza
che ha trionfato sul Terzo Distretto è stata una folla e non un’organizzazione giacché i suoi obiettivi, i suoi mezzi
e la sua composizione interna non erano regolati da un’autorità centralizzata. La forza nelle strade del 27 maggio
era situata in una folla perché i suoi componenti avevano poche aderenze all’ordine esistente che è amministrato
dalla polizia. Fatto cruciale, una tregua tra bande è stata chiamata dopo il primo giorno di sollevazione,
neutralizzando le barriere territoriali alla partecipazione. La folla proveniva in gran parte dai quartieri afro e
ispanici operai e poveri. Questo è stato particolarmente vero per coloro che hanno bersagliato la polizia e
vandalizzato ed espropriato negozi.
Coloro che non si identificano come “titolari” del mondo che li opprime sono molto più portati a combatterlo e farne
sacco quando se ne presenta l’opportunità. La folla non aveva interesse a giustificarsi con gli spettatori ed era
scarsamente interessata a “significare” alcunché ad alcuno all’infuori di sé stessa. Non c’erano segni o discorsi
solo slogan al servizio dei compiti tattici di “gasarsi” (“Fuck 12!”) e d’interrompere la violenza della polizia
esibendo una “innocenza" strategica (“Hands up! Don’t shoot!”).
Lo schema della battaglia e la “composizione”
Chiamiamo assedio le battaglie del secondo e del terzo giorno intorno al commissariato perché la polizia è stata
battuta per logoramento. Lo schema della battaglia era una intensificazione costante puntellata di salti di qualità
dovuti alla violenza della polizia e dall’espansione del conflitto nell’esproprio e negli attacchi ad edifici
aziendali. La combinazione dei ruoli sopra elencati ha aiutato a creare una situazione che era ingovernabile dalla
polizia, per quanto la polizia fosse tenacemente determinata a contenerla. La repressione richiesta da ogni sforzo di
contenimento intensificava la rivolta e la sospingeva ulteriormente nell’area circostante. Dal Giorno 3, ogni
struttura privata nel dintorni del commissariato del Terzo Distretto era stata distrutta e la polizia non aveva che
un “regno di ceneri” da esibire come trofeo dei suoi sforzi.
Vi forniremo considerazioni politiche più approfondite nei prossimi numeri sugli scontri di Minneapolis e
sull’organizzazione degli stessi. Vogliamo anche darvi un flash su Louisville. Louisville, nell’attesa della sentenza
emessa pochi giorni fa, dopo quasi 100 giorni di proteste che hanno attraversato tutta l’America e la città medesima
in particolare, è una città in stato d’assedio. La sentenza è avvenuta in una situazione tale per cui il Governatore
ha richiesto, nella notte precedente, il coprifuoco per rallentare la corsa degli scontri che il giorno dopo hanno
iniziato da subito a dilagare ovunque in città. Fino ad arrivare allo stato di emergenza deciso da Greg Fisher con
barricate e uffici pubblici chiusi. Niente ha fermato la protesta. 118 giorni di occupazione del Jefferson Square
Park.
Ma questa stessa ribellione è presente da Est a Ovest, diverse città americane hanno caricato l’ondata di sdegno e di
protesta con i propri morti sul territorio per cui anche a New York, Los Angeles, Seattle (qui il numero degli
arresti è più severo al momento circa 45, ma il numero non è consolidato), San Diego, Chicago, Nashville, Las Vegas,
Atlanta, Philadelphia. In particolare, a Portland, Seattle (dove si stanno sperimentando nuove forme di lotta e di
condivisione con la creazione di zone autonome) e Louisville, gli scontri sono stati più duri e organizzati.
settembre 2020
Transgender Cleo – tanto per ricordarvi che anche le trans possono spaccargli la faccia!
aggiornamenti dai campi di internamento per gli immigrati
CPR di Macomer. Il 20.01.2020, presso la struttura che per anni ha ospitato il carcere di Macomer apre un nuovo CPR,
in grado di detenere fino ad un massimo di 50 persone per volta, ma i cui lavori di ampliamento già da tempo avviati,
lo renderanno in grado di contenere un limite massimo di 100. Rispetto alla cittadina, rimane situato in zona
industriale al termine di una strada chiusa e ben sorvegliata lunga otto chilometri, in zona Bonu Trau.
La sua apertura ha richiesto il trasferimento di un consistente numero di agenti dalla penisola, inviati di stanza
appositamente per adempiere alle funzioni di ordine interno al CPR, la cui competenza amministrativa viene affidata
alla Prefettura di Nuoro. A vincere il consistente appalto di due milioni di euro per la gestione di tutti i servizi
all’interno è una multinazionale elvetica dei servizi, la ORS spa, già attiva in Germania, Polonia e Austria (la
quale le ha poi tolto la gestione dei servizi per i centri austriaci a causa di “cattiva gestione”, avendo riempito
un centro da 1800 posti con 4600 persone) e nel cui cda annovera varie ex figure politiche ed ex ministri,
specializzata da anni nella gestione di servizi e forniture nel mercato dell’“accoglienza”.
Ed è la stessa ORS ITALIA spa che in aprile vincerà anche il bando per la gestione del CAS/CPA di Monastir da 150
posti, luogo ove vengono deportati i migranti (in buona parte algerini) che percorrono le rotte verso la Sardegna
Hannaba-PortoPino. Il CAS di Monastir svolge infatti la funzione di una sorta “anticamera” verso il CPR di Macomer.
Sin dai primi giorni dopo l’apertura ufficiale del CPR, cominciano a registrarsi i primi disordini e la situazione
appare decisamente caotica: la città di Macomer viene letteralmente blindata da pattuglie delle forze dell’ordine e
militari montando posti di blocco e presidi 24h presso gli snodi principali della città, terrorizzando la comunità.
Le sirene delle ambulanze scortate dai militari nella notte vanno e vengono ripetutamente verso il pronto soccorso di
Nuoro allarmando il vicinato. Corrono voci circa pestaggi e problemi di ordine interno. Purtroppo nel corso dei mesi
la situazione non tende verso alcun miglioramento: gli avvocati hanno grosse difficoltà ad incontrare gli assistiti e
i detenuti a procedere con le nomine degli avvocati. Vari sono i tentativi di suicidio. Non si riesce a sapere quante
persone vengono detenute all’interno né in che condizioni vengano trattenuti.
Questo perché la gestione legale di orari e permessi su modalità e consultazione con gli avvocati non è affidata
all’autorità giudiziaria competente, né ad un tribunale e né ad un giudice di pace, bensì all’ente gestore, cioè la
ORS ITALIA spa stessa, che decide tempi e modi di consultazione tra avvocati e assistiti, influendo nei termini più
deleteri possibili.
A maggio un 28enne del Benin, esasperato dalle condizioni invivibili e dalla detenzione, sale in segno di protesta
sulle mura precipitando giù per 5 metri e rompendosi le gambe. Qualche tempo dopo un ragazzo detenuto all’interno del
Lager, si cuce le labbra in segno di protesta e alcuni detenuti del centro salgono sui tetti urlando e protestando a
gran voce per i trattamenti inumani che subiscono: la rivolta viene repressa dalla violenza poliziesca e quelli che
vengono ritenuti i responsabili dalla Prefettura vengono rapidamente trasferiti tra i CPR di Torino e Roma.
Quest’avvenimento conferma la realtà del CPR in quanto luogo di detenzione e tortura volto alla bieca speculazione da
parte di enti e compagnie pronte a lucrare su persone appositamente recluse in detenzione amministrativa, confermando
così ciò che abbiamo sempre sostenuto.
Nel corso dei successivi mesi emergeranno quelle che erano le rivendicazioni da parte dei detenuti in rivolta, i
quali denunciano in primis le ripetute violenze della polizia, il vitto di pessima qualità, l’uso smodato e
indiscriminato di robusti psicofarmaci a lento rilascio (giustificati dal fatto che ogni persona al suo ingresso
viene classificata automaticamente dall’infermeria come tossicodipendente o con tendenze al suicidio), le grosse
difficoltà a comunicare con gli avvocati e l’esterno, la difficoltà ad acquistare cibo attraverso gli spesini dati i
prezzi esorbitanti imposti e la carenza semi totale di attrezzature e beni di prima necessità come saponi e
vestiario.
Le schede si rendono doppiamente importanti dal momento in cui a Macomer è stato vietato ed impedito completamente
l’accesso di telefonini (con e senza fotocamera) all’interno del centro. Gli unici telefoni disponibili all’interno
del CPR sono tre telefoni (di cui ne funzionano solo due) a cui si può accedere attraverso le rare schede che il
centro mette a disposizione, e quasi sempre sotto la sorveglianza delle conversazioni da parte dei guardioni.
Le istituzioni competenti, simulano la più totale indifferenza. Non rilasciano alcuna dichiarazione per non esporsi e
lasciano affogare questa situazione di totale disagio e malessere nel silenzio. Pertanto verso luglio si raduna un
presidio dell’assemblea “No CPR né Macomer né altrove” sotto la Prefettura di Nuoro, con l’intento di protestare e
contestare l’esistenza stessa di questi centri, le torture e i soprusi che si compiono all’interno e il silenzio
totale nel quale vengono nascosti e sepolti. La richiesta che viene avanzata da parte del presidio è quella di far
entrare e dare accesso a pacchi di cibo, beni di prima assistenza e schede telefoniche raccolte nel corso di varie
iniziative.
E sebbene in un primo momento la prefettura ha dato segni favorevoli di apertura a tale richiesta, senza nessuna
sorpresa, ha successivamente tirato su un muro, impigliando la questione tra le maglie di una burocrazia dalle
tempistiche infinite e dai lunghi silenzi, rifiutando di fatto l’accesso di pacchi e aiuti di prima necessità.
Allo stato attuale, nulla è cambiato. Da ciò che sappiamo le condizioni all’interno non sono affatto migliorate
(tranne un simbolica dose d’acqua al giorno in più a testa per far fronte alla canicola estiva) e nulla ci è dato
sapere circa le condizioni di salute dei reclusi. Le comunicazioni dei detenuti con i rispettivi legali e con
l’esterno rimangono estremamente difficoltose.
Non abbiamo cessato di ricevere notizia, infatti, di tutte le insufficienze gestionali della ORS ITALIA spa che
rendono difficile il lavoro degli avvocati presso il CPR: dalla mancata comunicazione agli uffici competenti delle
nomine di avvocati di fiducia da parte degli internati, all’indisponibilità di mediatori per parlare con gli
assistiti. Così come sappiamo delle modalità superficiali con cui si conducono le udienze presso il giudice di pace,
non di rado svolte in modalità che non consentono agli avvocati di tutelare in maniera consona il proprio assistito.
Milano. Lunedì 28 Settembre è stato riaperto il nuovo CPR di Milano di via Corelli, chiuso dal 2014 a seguito delle
rivolte dei reclusi che avevano reso inagibile la struttura. Durante la giornata di Mercoledì 30 settembre, la strada
adiacente alla struttura è stata bloccata con un presidio ed è stato fatto un volantinaggio nel quartiere Ortica in
cui si trova questo lager. Nei prossimi giorni verranno rinchiusi i prigionieri, saremo sempre dalla loro parte,
dalla parte di chi lotta e di chi si ribella, non per pietà, non per carità, ma per solidarietà.
Il 2 ottobre, nel pomeriggio, qualche solidale si è recato sotto le mura e, pur non sapendo se qualcuno fosse già
stato rinchiuso, si è fatto un saluto solidale. La polizia si è immediatamente schierata in tenuta antisommossa.
Milano, ottobre 2020, intervista ad un compagno di Nuoro
***
Lunedì 28 Settembre è stato riaperto il nuovo CPR di Milano in via Corelli, chiuso dal 2014 a seguito delle rivolte
dei reclusi che avevano reso inagibile la struttura. Durante la giornata di mercoledì 30 settembre, la strada
adiacente alla struttura è stata bloccata con un presidio della rete No Cpr. Nel quartiere Ortica, in cui si trova
questo lager, nello stesso giorno è stato fatto un volantinaggio per informare gli abitanti. Il 2 ottobre, nel
pomeriggio, qualche solidale si è recato sotto le mura per un saluto solidale. La polizia si è immediatamente
schierata in tenuta antisommossa. Il 25 ottobre alle 15.30 si terrà un presidio organizzato dal collettivo Punto di
Rottura di Milano.
Lettera dal carcere di Genova-Marassi
Ciao cari compagni, a Marassi è sempre la solita vita, con tutto ciò, si è sbloccata un po' questa situazione
statica, comunque le cose stanno bloccate. Anzi, dalle 10 telefonate che ci erano state concesse per sentirci con i
nostri legali e famigliari, sono ritornate le classiche 6 chiamate mensili.
Avere un colloquio con l'educatore è un'utopia, parte del personale interno è ancora paralizzata, ma la cosa peggiore
è che quei pochi che ci sono, delegano agli altri le richieste da noi fatte, che poi finiscono nel dimenticatoio,
come sempre.
Qui non passano fornitura né prodotti per l'igiene personale, stò senza bolli, senza materiale per scrivere, a volte
mi devo assoggettare a qualcuno. Non ho alcun sostegno. Per poter lavorare mi manca il posto in graduatoria, spero
che succeda presto, mi darà un po' d'ossigeno per le cose primarie.
Stò anche sbattuto quassù a Genova a 900 km da dove dovrei stare. Stò messo come Cristo in croce... mia figlia, che
ora ha 15 anni, mi scrive e mi dice che ci penserà lei a fare di tutto anche per tirarmi fuori... Ciao Rosario.
12 luglio 2020
Rosario Mazzone, Piazzale Marassi, 2 - 16139 Genova
Lettere dal carcere di Bancali (SS)
Buongiorno! Purtroppo a causa della epidemia (covid 19) c'è stato un pò di caos in tantissimi istituti di pena, che
oggi sono quasi alla normalità, ma un duro colpo, secondo un mio pensiero è stato fuori, ci sono state parecchie
vittime, una cosa incredibile da non crederci. Non credo a tante pagliacciate che si dicono in t.v., ma sono convinto
che la questione del virus è stato qualcosa di sperimentale (chimico) da parte di qualche nazione per essere più
forte degli altri, qualche testa di c... e così ha distrutto interi paesi seminando vittime, paura e caos.
Su questo ho riflettuto tantissimo e ho capito che la vita per i grandi paesi non vale niente, per loro l'importante
è stare al di sopra degli altri ed avere il potere assoluto e poi si mostrano all'umanità, parlando di democrazia
(che belle parole).
Chi legge questo mio scritto non lo deve pensare come forma di recluso, ma deve soltanto capire che non si diventa
democratico, ma ci si nasce. Bella la vita se fosse vera.
Bancali, 5 luglio 2020
Salvatore Pulvirenti, Strada Provinciale 56 n. 4 - 07100, Bancali (Sassari)
***
Ciao [...] per quanto riguarda la situazione qui in AS2 è invariata. Anzi è peggiorata. Sai bene che tipo di attività
ricreativa abbiamo. Anche questo nuovo direttore è come i precedenti, si fa vedere solo quando si tratta di rapporti
disciplinari.
Dopo la pubblicazione della mia lettera nell'opuscolo hanno cominciato a fare più rapporti e sanzioni varie fra cui
esclusione dalle attività sportive, isolamento, etc...
Hanno pubblicato anche un articolo di giornale contro di me e altri detenuti della nostra sezione. Il giornale si
chiama Unione Sarda.
Il nuovo direttore ha inoltre cominciato a stringere le cose per noi perchè non gli piace che raccontiamo a chi è
fuori quello che succede dentro. Non vogliono che chiediamo i nostri diritti, ma solo che ci comportiamo come
schiavi. A [...] è stata bloccata la lettera in arrivo da Olga perchè ha la censura, e l'ufficio comando lo ha
richiamato facendogli una scenata per fargli paura.
Luglio 2020. Bouyahia Hamadi, Strada Provinciale 56 n. 4, 07100, Bancali (Sassari).
La lettera in questione richiama l’articolo di giornale “Terrorismo e pizzini, la blacklist della Guantanamo sarda”.
Si tratta di un articolo uscito nel luglio di quest’anno in cui viene stilata una biografia distorta dei prigionieri
condita di dettagli fasulli ma certamente appetibili per un lettore medio. Nel tempo si è riusciti a farsi raccontare
direttamente da chi ci è passato come è strutturata la Guantanamo sarda e la realtà che ne è emersa è ben diversa da
quella stereotipata dipinta dai media. Va evidenziato infatti come dietro allo spauracchio del terrorismo si celino
le peggio inchieste che negli ultimi tempi hanno seppellito sotto anni di galera decine di individui per fatti mai
avvenuti e con prove ridicole come dei post su facebook, cialtronamente interpretati da questurini e procure.
Persone quasi sempre senza un documento in tasca e senza la possibilità di godere di un sostegno legale o anche solo
affettivo, su cui il DAP e i giornalisti continuano periodicamente a speculare con articoli infamanti.
Ciò che c’è di unicamente veritiero nell’articolo sta proprio fra le parole del titolo: “Guantanamo sarda”. Con
l’idea di isolare letteralmente i detenuti accusati di terrorismo islamico il DAP si è infatti dotato di 3 sezioni di
AS2 sparse fra Bancali, Nuoro e Rossano Calabro, relegandoli e marginalizzandoli nei posti più sperduti dotati di
un’impronta particolarmente punitiva. Prima che il carcere di Bancali fosse completato la sezione era nella vicina
località a Macomer, mentre a Nuoro è stato riutilizzato un piccolo braccio di un ex 41 bis, inizialmente dichiarato
non a norma ma riadibito ad AS2 con una capienza di circa 7 persone.
Il capo del DAP Francesco Basentini ha affermato che Bancali risulta l’unica struttura in Italia realmente idonea ad
ospitare il circuito del 41 bis per via della ripartizione modulare degli spazi volta a scongiurare ogni possibilità
di comunicazione fra sezioni appartenenti a differenti circuiti e fra l’interno e l’esterno. Insomma, un lager
concepito con una vocazione ben precisa.
E’ stata inoltre la destinazione di parecchi detenuti trasferiti in maniera punitiva dopo le rivolte di inizio marzo.
I tentativi di impedire poi che si venga a conoscenza di quanto accade dentro sono molteplici: censura, lettere
cestinate o trattenute arbitrariamente, lettere spedite in carcere ma rispedite ai mittenti con la dicitura “detenuto
sconosciuto” nonostante il detenuto continui a trovarsi lì, pacchi mai recapitati e spariti nel nulla, rapporti
disciplinari per i contenuti oltraggiosi di lettere private, intimidazioni dell’ufficio comando contro chi osa
comunicare quanto accade dentro. E l’elenco potrebbe continuare.
Tutto ciò avviene anche altrove, ma può succedere con più facilità in luoghi del genere particolarmente isolati e
soprattutto con determinate “categorie” stigmatizzate.
Visto il persistere di questo clima vessatorio, indice del nervosismo del DAP e della direzione, è importante dare
eco alla voce di chi rompe il silenzio assordante che vorrebbero far regnare su alcune carceri. E Bancali è proprio
uno fra quelli.
Lettera dal carcere di Uta (CA)
Ciao! Oggi ho ricevuto i libri con il materiale cartaceo vario, anche l'altra volta ho ricevuto l'opuscolo ecc. [...]
Io il 23 dello scorso mese ho finito di scontare 15 gg. di isolamento e oggi ho iniziato 8 gg. di esclusione dalle
attività ricreative e sportive, ma di fatto hanno messo i cancelli (io sto in un braccio della stessa sezione - che è
fatta ad “L”- dove siamo in 4 ragazze) e in questo braccio non c'è nulla, perchè tutto ciò che parte della sezione è
nell'altro braccio (cioè socialità, lavanderia, telefono e 12 persone) alla fine è come una sezione di isolate e ora
ci devono far capire come funziona per andare di là! E anche per quella sanzione io stamattina mi sono incazzata
perchè volevo spiegazioni dato che ad una sanzione con la stessa “esclusione dalle attività ricreative e sportive”,
potevo andare nelle celle delle altre ragazze dato che poi i cancelli non c'erano…
Invece, a quanto mi han detto stamane io qua nel “mio” lato posso stare aperta con le altre 3 (2 perchè 1 è in
covid19) ma di là nell'altro lato non posso andare! Ma che senso ha!? Quindi oggi pomeriggio è salito l'ispettore e
ha detto che sarebbe andato ad informarsi dai suoi superiori…
Comunque solita rottura tutto quanto. Fuori come procede? Ricevo sempre la rassegna stampa, quindi sono informata,
meno male ora mi passa il materiale cartaceo!
Poi qua la sezione 41bis è quasi ultimata, si stan sbrigando per riuscire a terminare i lavori per dicembre. Quindi a
breve sarà attiva anche qua a Uta la sezione 41bis, con annessi trasferimenti da altre carceri.
P.S. Questi 8gg. di sanzione sono per una battitura fatta il 7 luglio con il maschile.
Un abbraccio, Madda.
Uta, 6 agosto 2020
Madda Calore, S.P. 1, Zona Industriale Macchiareddu - 09068 Uta (Cagliari)
***
Sardinna no est Italia. Saludi a Totus.
Il fatto che io vi scriva in testa a questa lettera Sardinna No Est Italia la dice lunga sulla mia posizione
politica, infatti sono un vecchio militante indipendentista sardo, fino al 2017 ero riuscito a scansare la galera, ma
una rapina ad un uficio postale di Cagliari, unitamente a due proletari cagliaritani, mi ha fatto varcare i cancelli
di questo “inferno”.
Il mio spirito anarchico, il mio rifiuto di qualsiasi tipo di autorità è stato un detonante (ne ero ben consapevole
che sarebbe successo), in una situazione spinosa come questa, alla mia ribellione, alle divise (cosa già presente
nella mia vita in libertà), ai loro sopprusi (non necessariamente fati a mne), alle loro viltà, miserie umane che
accomopagna le loro triste esistenza.
Ne ho pagato e ne stò ancora pagando le conseguenze, tanto che la mia condanna definitiva, per la rapina, di 5 anni
di carcere la sconterò tutta, infatti salvo complicazioni io uscirò il 30-10-2022…, le complicazioni sono un processo
che avrò il 20-11-2020 per oltraggio na due guardie di merda (del tutto falso il tutto), processo che tra l'altro
doveva iniziare nel'aprile 2022, invece con un colpo di mano orchestrato qua dentro, è stato anticipato al prossimo
novembre.
Durante questi quasi 3 anni di carccere mi sono trovato catapultato in una situazione della componente prigioniera
abbastanza complicata, dove i più non hanno paura di finire in galera, ma una volta che sono qua dentro diventano
degli agnelli, il/la loro principale consegna è quella di non regalare la galera allo stato, pertanto inghiottono
rospi, che fuori non si sognerebbero neanche di pensare, umiliazioni e direttive della componente securitaria, perchè
non vogliono prendere rapporti disciplinari, e quindi perdere quei giorni di liberazione anticipata (30 giorni ogni
anno di carcere scontato), tutto questo alimenta per buona parte la disunione presente fra i prigionieri, e di questo
ne sono ben consapevoli i secondini che alimentano con misure diverse di comportamento gli atteggiamenti nei
confronti di noi prigionieri.
Questa disunione per me è motivo di disagio, perchè poi a tutto quello scritto prima bisogna aggiungerci gli
atteggiamenti ruffiani, imbelli e chi più ne ha più ne metta …., il tengo famiglia alimenta situazioni grottesche,
dove in maniera repentina si cambiano posizioni, pensando alle creature lasciate in casa, prese poche ore prima...,
pertanto malgrado i problemi che si sono avuti con la repentina esplosione del coronavirus, e la chiusura delle
carcceri, quì ad Uta a parte agli inizi di marzo con qualche protesta, prontamente ridimensionata dalla direzione e
dai secondini con bastone e carota... l'ultima coda delle proteste si è avuta a fine agosto scorso, quando sono state
eliminate (quasi del tutto) le videochiamate e le telefonate aggiuntive, qui ci siamo rifiutati di entrare nelle
celle.
Il tutto è durato pochi attimi, perchè i secondini prontamente intervenuti con minacce e lusinghe, sono riusciti a
rompeere la “granitica” tenacia di noi tutti, infatti in quel'occasione c'è stata una defezione “composta”, visto che
buona parte dei prigionieri veniva “agganciata” a parte con la promessa di una via privilegiata per una
videochiamata e/o telefonata.
Questa è una realtà che non so se sia la norma, visto che è la prima volta che io entro in carcere, ma probabilmente
la situazione del carcere di Uta, proviene dal fatto, che buona parte della componente prigioniera, ha a che fare con
la tossicodipendenza … sia che sia assuntore oppure mercante, da ciò ne viene un notevole consumo di terapie di ogni
tipo, e pertanto un annebbiamento delle facoltà.
La commistione è ben visibile (tra tossici e mercanti), e di questo tutti noi perdiamo in iniziativa, in coesione e
purtropppo in scarsa affidabilità di questa parte dei prigionieri (come sempre è meglio evidenziare che meno malen
non sono tutti al non “schierarsi”).
Ora con il nuovo comparire del Covid 19, e nell'attesa della sua esplosione autunnale/invernale la situazione è di
attesa degli eventi, io personalmente non nutro molte aspettative di quei momenti, visto anche che la moltitudine di
tutti noi, è in attesa di risposte positive da parte della politica, dibattono tanto su indulti, amnistie,
scarcerazioni facili, e purtroppo anche (per fortuna non molti) sulle scarcerazioni di boss reclusi nel 41bis,
mentre a “tutti” noi non viene concesso un bel niente.
Eh sì tutto questo non incute a sognare rosee prospettive nel tempo, però io continuo a non demordere, perchè in
tutto questo delle persone con una dignità, con una voglia di riscatto… se ne riescono a trovare nel frattempo
cercando di creare una vivibilità, una risolutezza che possano contrastare il sistema carcere.
Che piano piano dovrà arrivare, la nostra sorte è nelle nostre mani e nella sola solidarietà e complicità di tutte/i
rivoluzionarie/i il tempo può apparire tiranno ma invece può essere benevolo se sapremo noi componente prigioniera,
voi soggetività rivoluzionaria fare sintesi di una situazione in divenire.
Quindi appare importante anche un'iniziativa come il convegno sul carcere organizzato da tutti voi, dove è da
elogiare il fatto che inquesto caso non ci siano state divisioni fra anarchici, comunisti e rivoluzionari su uno
spinoso problema quale è il carcere e qui viene fuori la mia natura indipendentista antiautoritario che è stato uno
dei fondatori e sostenitore fino all'ultimo del circolo Fraria di Cagliari , dove noi riusciamo senza nessun problema
ideologico a coesistere/coabitare come un circolo anarchico, comunista e indipendentista. Paulu Todde Fois,
presoneri indipendentista sardu
28 settembre 2020
Paolo Todde, S.P. 1 - Zona Industriale Macchiareddu - 09068 Uta (Cagliari)
Lettera dal carcere di Massama (OR)
Ciao compagni, dopo un mese il magistrato ha deliberato la restituzione del piego di libri che mi avete spedito, vi
ringrazio per i libri. Pur avendo vinto questa battaglia, si sono vendicati ritirandomi il computer, così mi hanno
bloccato anche gli studi universitari.
Uno dei vostri libri “Il freddo, la paura e la fame” aveva la copertina rigida e l'hanno depositato in magazzino. Qui
è l'unico carcere italiano dove è ancora vietata la copertina rigida, neanche più al 41bis lo è. Ho iniziato a
leggere la ricchezza delle nazioni, poi passerò agli altri.
Fa molto caldo, qui è micidiale, anche se siamo in aperta campagna, ma vicino al mare.
Voce che gira e che spostano la nostra sezione AS-1 a Cagliari, nei prossimi 50-60 giorni, anche se spesso succede
che gli “scienziati” che sono al ministero cambiano pensiero su quello che hanno programmato, vedremo cosa succede.
Ora vi saluto con un forte abbraccio a voi tutti. Pasquale.
24 luglio 2020
Pasquale De Feo, Loc. Su Pedriaxiu - 09170 Massama (Oristano)
Lettera dal carcere di Siano (CZ)
Cari Amici e Amiche dell'Associazione, è la prima volta che ho il piacere di scriverVi, in quanto sono pochi mesi che
sono stato declassificato dal regime di tortura del 41-bis e, come ben sapete, il D.A.P. preclude ormai da anni
qualsiasi tipo di interazione con organizzazioni e associazioni che s'interessino ai diritti degli appestati del III
milennio. [...]
Come ben sapete, è da un po' di mesi che si combatte con questo maledetto virus, il quale ha dimostrato (come se ce
ne fosse bisogno!) in modo chiaro e cristallino le criticità delle strutture carcerarie e la pochezza, la debolezza
della politica del nostro paese.
In questo paese di nani politici, basta un poveraccio mentale di giornalista che dà il via ad una serie di
sciocchezze mendaci e tutti in coro, all'unisono gridano “al lupo, al lupo! In più l'incapacità di un ministro che si
spaccia per tale e la sua sottomissione cieca al dogma giustizialista per dimostrare d'essere “salvatore della
patria” e la voglia smodata del facile consenso basato su semplicistiche descrizioni dell'inettitudine e dell'ignavia
più caustica e dannosa, coloro che non seguono il passato, il presente e l'incapacità di una persona, credono alle
puttanate più assurde e menzognere che ci propinano costoro, perchè il microfono ce l'hanno loro e ne fanno uso (e
abuso) e consumo a proprio piacimento quando non esiste contraddittorio. Ciò che dici non è la verità, ma solo
un'“omelia” a senso unico che somministri ai tuoi seguaci e accoliti di setta, i quali non fanno altro che
ingurgitarsi un'altra baggianata progettata a tavolino e fatta passare come scienza infusa – diceva Orwell, nel suo
1984, che chi detiene il controllo dell'informazione controlla il mondo… come dargli torto!? E, inoltre, asseriva che
“dire la verità nel tempo dell'inganno universale è un atto rivoluzionario”, ed è a questo che noi siamo chiamati!
Potrei mettermi qui, cari Amici e Amiche, a lagnarmi delle miriadi di ingiustizie subite nei 14 anni passati al 41-
bis, elencare le disfunzioni e le storture di questo istituto da cui Vi scrivo, per il giustizialismo ed il
pressapochismo strisciante in tutto il paese, delle vigliaccate giornalistiche e della pusillanimità e dell'arrivismo
e dell'ipocrisia di chi sa di quelle patenti menzogne e che per tornaconto le abbraccia, professa e propala
impunemente, delle stupidità incredibile con cui si fa fronte alle problematiche organizzative del sistema
penitenziario, ma… di cosa parlerei? Di quello che sapete già benissimo? E a cosa gioverebbe? Accordarmi al corale di
tanti altri non risolverà di certo i problemi. Le critiche vanno bene, ma se già sai in partenza che esse non
porteranno a nulla allora la strada da seguire è certamente un'altra! Sennò ti fai solo del male in più e ti si
marcisce il fegato in corpo. I personaggi ben noti degni di critiche e strali da parte nostra sono così per
“costituzione” di nascita, essi fanno solo il loro “lavoro” e lo fanno “bene”… come potresti cambiare chi ha fatto
dell'ipocrisia più aspra la propria professione di fede?! Badate bene, però, Amici e Amiche cari: il problema del
carcere non è la politica, non è il magistrato – sia esso inquirente, giudicante o di sorveglianza – bensì il
carcerato stesso! Non vogliamo accettarlo perchè ciò significherebbe porsi dinanzi alla realtà dei fatti com'è nuda e
cruda… e sappiamo bene quanto l'essere umano sia bravo a crearsi alibi, giustificazioni d'ogni tipo, dimenticare a
convenienza, nonché fuggire l'autocritica e l'autoanalisi lucide e oneste, senza infingimenti, senza nascondersi
“dietro al dito”, come si suol dire… sappiamo quanto si è bravi e pronti a tacciare gli altri di manchevolezza, ma
farlo con noi stessi è arduo. Nel momento in cui, invece si ha – si trova il coraggio – di mettersi di fronte allo
specchio, di “scendere ai ferri corti con se stessi” – come dice Michelstaedter –, ciò è sintomo benigno di crescita
vera (morale, intellettuale, civile), si è, cioè, sulla buona strada della consapevolezza che guiderà ogni passo,
impedendo di cadere negli stessi nocivi errori di sempre!
Il nostro primo e più grave errore è quello consistente nella totale (o quasi) istituzionalizzazione di cui ci siamo
lasciati fare oggetto. Il secondo è quello di vivere solo e unicamente di speranza … Vi prego di fermarVi un attimo
a riflettere su quanto dico e poi decidere se criticarmi, e come, oppure condividere il mio punto di vista e fino a
che punto.
Noi carcerati sin dal risveglio speriamo… speriamo che sia una buona giornata, pensando ai nostri cari nella
speranza che stiano bene e non accada loro nulla di male né manchi loro il necessario per vivere decorosamente;
sperando che nessuno ci venga a rompere le scatole con perquisizioni, abusi, soprusi etc.; sperando che l'avvocato
si occupi di noi, nella speranza che il processo vada bene; sperando di poter effettuare il colloquio con i nostri
cari, senza intoppi di sorta, che il viaggio per raggiungerci a migliaia di di km di distanza fili liscio; sperando
che l'educatore s'interessi alle nostre necessità e non latiti (per sua o per altrui negligenza); sperando che il
magistrato di sorveglianza prenda in considerazione una nostra richiesta o dia credito ad una nostra rimostranza per
un torto subìto e si adoperi ad eliminarlo facendo rispettare gli innumerevoli diritti di cui siamo portatori (sulla
carta) alla stregua di qualsiasi altro cittadino italiano/europeo; sperando che alla “domandina” che abbiamo
inoltrato venga data la sua “rispostina” e non sia rigettata senza un motivo o che si “perda” per strada; sperando –
in caso di trasferimento – di trovare un carcere dove le misure alternative, i permessi (premio e di necessità) ed
altri benefici vengano concessi, poiché in Italia devi essere “fortunato”… “qua” li danno i permessi, “lì” no, il
magistrato, la direzione, l'area educativa sono “stretti” o meno a seconda di come soffia il vento dell'antimafia di
quella o questa regione; sperando che il prossimo sia un buon governo, o almeno un tantino meno giustizialista di
quello presente e dei precedenti; sperando che il nuovo ministro della giustizia non affossi le recenti conquiste in
tema di diritti e abbia una certa cultura garantista, e lo stesso possa essere realmente interessato ai bisogni della
persona più che alle passerelle… si spera, si spera e si spera ancora. Come vedete, potrei dilungarmi
indefinitamente su questo argomento e con buone ragioni, ma non avrebbe senso. Su di una cosa, però, credo fermamente
che ci troveremo d'accordo senza indugi: noi viviamo lapalissianamente appesi ad una speranza e non abbiamo alcuna
certezza d'alcunchè, se non che stiamo e rimaniamo a “marcire” entro quattro mura. Come spesso non solo i leghisti
ci augurano – e che presto o tardi moriremo... di carcere o in carcere (e spesso l'una cosa non esclude l'altra. Anzi
si sovrappongono molto più di quanto la gente comune possa credere). Ora Vi chiedo: viviamo in tali condizioni per
cagione nostra od altri? Credo che il mio punto di vista sia chiaro: la colpa è nostra. Vi spiego perchè.
L'istituzionalizzazione di cui ho detto sopra è talmente pervadente e penetrante, ci siamo talmente appiattiti
interiormente e talmente lasciati mettere al giogo, che abbiamo smarrito la nostra identità. La nostra personalità di
uomini e donne combattenti. Non siamo più nemmeno in grado di renderci conto del pantano in cui stiamo sprofondando
e in cui finiremo per soffocare. Quando non si avverte la “malattia” la guarigione non può avvenire. E per quale
motivo ciò si è verificato? “Semplicemente” perchè chi giostra la nostra carcerazione – la nostra intera esistenza,
visto che questa è una “istituzione totale” – è stato (ed è) così “bravo” da saperci dividere! Ecco la parola magica:
Divide et impera, dicevano già millenni fa. E la sofferenza sta nel fatto che quando ti accorgi di questa deprecabile
situazione in cui tutti versiamo, ti rendi conto anche che la distanza che c'è tra noi è puramente immaginaria! Siamo
tutti nella stessa barca, ma ognuno crede di potersi salvare da sé, senza l'aiuto degli altri o addirittura a scapito
loro! Vi rendete conto!? Pertanto, Amici miei, se è vero – com'è vero – che chi è causa del suo mal deve piangere sé
stesso, al contempo è d'uopo rammentarsi ch'è inutile piangere sul latte versato. Una volta individuato il problema,
l'ostacolo, il nemico… se non lo si può aggirare, tanto vale affrontarlo “di petto”, dunque passare in rassegna le
proprie capacità e darsi da fare per farle fruttare al meglio. Bisogna risollevarsi da questo torpore in cui anche
troppo masochisticamente pare che ci siamo adagiati... via questa letargia! E reagiamo con tutte le nostre forze e le
nostre intelligenze, nel pieno rispetto delle regole, della Legge e nel modo più democratico possibile!
In questo paese ogni categoria ha la sua “rappresentanza”, un movimento o partito politico di riferimento ed
eventualmente, se non ce l'ha, se lo crea. Noi carcerati abbiamo almeno (teoricamente) 3 partiti cui poter far
riferimento, i quali (almeno sulla carta) combattono per i diritti dei più dimenticati. Il problema è, però, che
questi partiti – proprio come noi qui dentro – sono frazionati e in disaccordo tra loro su più d'una cosa e inoltre
non gli abbiamo mai dato quella forza vera per poter emergere ed affermarsi sulla scena politica dove realmente si
decidono le sorti del paese e quindi dei suoi cittadini. Una piccola considerazione da riguardare con occhio
prettamente “politico”: alle ultime elezioni il partito di Emma Bonino ottenne il 2,8%, il Partito Radicale l'1,5% e
Potere al Popolo l'1,2%: Sommando il tutto s'ottiene il 5,5%. Ora, partendo dal fatto che l'attuale governo si regge
grazie anche a quattro senatori di L.E.U., Vi lascio immaginare quanto sarebbe valso oggi quell'eventuale risultato
calcolato se quei tre partiti si fossero coalizzati, oppure si fossero fusi in uno solo. Inoltre, noi carcerati siamo
ben più di 50mila persone che solo affidandosi ai familiari più stretti potrebbero esprimere una quota di circa 100
voti a famiglia, cioè dai 4 ai 5 mln di voti. Se solo si credesse in questo – e cioè il mio accorato invito, dato che
ritengo sia l'unica “arma” reale per un riscatto concreto –, penso che potremmo poi decidere chi dovrebbe essere il
nostro interlocutore politico ed entrare seriamente a far parte di quella schiera di orientamenti che dettano
l'”agenda” politica sulle cose da farsi e come. Crediamoci e impegniamo le nostre forze in questo progetto, insieme
ce la faremo… Solo insieme!
Dal profondo del cuore e dell'animo battagliero, un caro e sincero saluto unito ad un immenso ringraziamento per il
Vostro infaticabile sforzo.
Siano (CZ), 13 luglio 2020
Un ergastolano da Catanzaro
Lettera dal carcere di Rossano Calabro (CS)
Carissimi fratelli, mi trovo detenuto nella casa di reclusione di Rossano sono “carcerato” dal 2015 e ho fine pena
nel 2041. La mia vicenda inizia ad ottobre 2015 quando una centina di agenti interpol decide di venirmi a prendere
all'estero e condurmi in Italia, ovviamente in carcere a Rebibbia, dove resto 4 giorni e mi trasferiscono a Viterbo.
Ci resto poco più di 3 anni, e sono stati 3 anni fruttuosi. Riesco a mettere in ginocchio tutto il carcere, riesco a
far trasferire la direttrice e far commissariare il carcere: troppi compagni morti in circostanze strane, botte e
tutti i tipi di soprusi e nel mio piccolo riesco a rendere più vivibile il “carcere”.
Poi di colpo vengo trasferito a Frosinone e mi trovo la stessa direttrice che prima era a Viterbo mi sono cadute le
p...e. Ubicato in una sezione con 8 celle, infestate di piccioni. Ovviamente scoppia una protesta finita in sommossa
e mi trasferiscono per ordine e sicurezza a Velletri, dove poco tempo dopo inizia l'epidemia Covid-19. Il giorno 9-3
-2020 scoppia una sommossa, 6 sezioni tutte distrutte e inagibili, mi prendono alle 2 di notte, mi mettono su un
furgone con tanto di pattuglie di scorta, senza niente, solo i vestiti che avevo addosso, diretto appunto a Rossano.
Arrivo il 10.3.2020 alle 13. Sono passati 5 mesi e dei miei vestiti niente. Ho denunciato la direzione del carcere e
ci sarà un processo.
Ho avuto il piacere di condividere la cella con un compagno di nome Hassan, aveva 70 anni. Per anni è stato il pilota
dell'elicottero del re di Persia. Ho letto nero su bianco la sua storia.
Costretto all'esilio ha deciso, forse in cerca della libertà, di venire in Italia. Abbandonato alle sue forze a Roma,
dove vendeva libri usati nei vari mercatini. Non curante delle regole di uno stato schifoso come l'Italia, riusciva a
guadagnare anche 10 euro al giorno e cosa ha ottenuto?? 5 anni di carcere per aver “ricettato” i libri usati.
Giunto a Velletri l'ho accolto come un padre. Bisognoso di cure non riusciva a farsi visitare dai medici. Un giorno
dopo aver fatto un po' di casino, finalmente viene visitato. Asmatico, riusciva a farsi dare un inalatore per l'asma.
Era felicissimo. Mi accorsi che il farmaco era scaduto da 3 mesi e poi addirittura negando che loro glielo avevano
dato. Tutto finì verso sera con una sommossa, sezione distrutta.
Io adesso qui a Rossano sono in sezione di “media sicurezza” (comune), ma in grande sorveglianza.
Non esiste da anni un direttore titolare, il tutto è lasciato nelle mani delle guardie e vi lascio immaginare come si
vive. Non funziona niente e il poco che funziona è rivolto ai calabresi. Se non sei calabrese non riesci nemmeno ad
accedere al magazzino per avere qualcosa. L'unica cosa buona è l'unione tra di noi, ma purtroppo ci sono troppi
“infiltrati”, che hanno deciso di usare la “divisa invisibile” che secondo me sono più indegni di quelli che la
portano veramente.
Stefano, 16 agosto 2020
Stefano Bottura, Contrada Ciminata Greca SNC - 87064 Rossano Calabro (Cosenza)
***
In primis vi comunico che io faccio parte dei detenuti che il 9 marzo hanno fatto la sommossa a Velletri, alla data
odierna però nessuno ha ricevuto niente dalla procura è anche vero che però da noi la situazione è stata molto
invasiva perchè la rivolta è stata fatta in 6 sezioni da 50 detenuti ciascuna, per cui ci sono quasi 300 detenuti
implicati e questo penso finisca in un “maxi” processo. A me personalmente intendono condannarmi perchè dicono che
sono il “capo promotore” e organizzatore dei disastri successi, anche perchè ho precedenti specifici.
In questo carcere siamo stati trasferiti circa 20 detenuti, tutti a causa rivolte dai carceri di Velletri, Foggia e
Salerno.
Io sono l'unico in cella da solo per ordini dall'alto!!! in poche parole ci sarà in futuro un processo “finto” dove
tutti avranno una condanna.
Anche qui sono stati riattivati i permessi premio, solo che al rientro si fanno 14 giorni di isolamento e poi in
sezione ci sono lavoranti che tutti i giorni escono all'esterno a lavorare e poi tornano nelle sezioni normali. A
nessuno è mai stato fatto alcun tampone, perchè?? Vi rispondo io! Se venissero fatti i tamponi a tappeto in tutti gli
istituti il risultato sarebbe molto preoccupante e in quel momento i carceri scoppierebbero davvero.
Ma tutto questo non interessa a Bonafede, se nò poi sarebbe costretto a dimettersi.
In questo momento i problemi principali sono 2, giustizia e covid-19, ma io voglio dare una spiegazione “ironica”,
cosa ci possiamo aspettare da un ministro della Giustizia che di cognome fa Bona ...fede??? le stesse aspettative di
un ministro della salute che di cognome fa “Speranza”!!! Passiamo alle cose serie.
Quì nessuno è stato gravato dal 14-bis, anche perchè esiste una sezione di isolamento con solo 10 celle, tra cui 3
occupate da mesi, 1 da Battisti Cesare, e le altre vengono usate dai processati al loro rientro, tutti i tipi di
sanzioni, incluso il 14bis sono stati sospesi a tempo indeterminato. Appena avrò novità dal tribunale circa la
sommosa, vi informerò. Colgo l'occasione per ringraziarvi e per ogni vostra esigenza sono a dosposizione. Un saluto
fraterno.
25 settembre 2020
Stefano Bottura - Contrada Ciminata Greca SNC - 87064 Rossano Calabro (Cosenza)
Lettera dal carcere di Reggio Emilia
Compagni di Ampi Orizzonti, prima di tutto grazie per aver pubblicato l'articolo sugli accadimenti di questo lagher.
L'opuscolo Olga, che faccio girare nella 6a sezione penale, da sempre, suscita molto interesse tra il proletariato
recluso. I resoconti di quello che avviene all'interno delle Istituzioni totali in Italia è motivo di scambi di idee
e rende viva la quotidianità monotona e noiosa. Lo stesso plauso va alla Cassa AntiRep di Cuneo e a Sicilia
Libertaria che mi fa pervenire mensilmente il giornale.
Nel 1976, Lotta Continua, era forte come realtà a S. Benedetto del Tronto e noi di Porto S. Giorgio andavamo in
quella cittadina perchè era la più vicina città costiera (dista solo 30 km). Lì conoscemmo dei ragazzi e ragazze di
qualche anno più grandi di noi che già facevano parte di L.C.. A Porto S. Giorgio facevamo parte di una banda che si
chiamava TAU STREET. Da lì in poi, noi sangiorgesi, ci avvicinammo sempre di più ai discorsi dei più grandi.
Studiavamo all'I.T.I. Montani di Fermo. In quella scuola si sono diplomati Moretti, Peci, Spina, Piunti, Jacopini ed
altri che già, lasciati i C.P.M. erano entrati nel Partito armato della Brigate Rosse. Il resto è storia ed atti
giuridici.
Lo scopo di questa lettera è in verità una richiesta. Se fosse possibile ricevere l'opuscolo Olga regolarmente (io li
conservo tutti gelosamente come i 'Quaderni Piacentini', con qualche copia in più, così da poterli distribuire a più
reclusi. E se è possibile ricevere materiale alternativo come: 'Foglio Ribelle', o 'Nel ventre della bestia', che ho
trovato bellissimo.
Come anarco-marxista, la tristezza di vivere nel 2020 in un mondo che non è ancora pronto per un discorso sul
progresso sostenibile, dove c'è ancora intolleranza per la diversità, le deportazioni.
Per concludere, il tutto sotto gli occhi di un governo che fa in modo, o aiuta, a far persistere uno stato di guerra
perenne dovuto alla sovrapproduzione.
Con stima e affetto ma sempre a pugno chiuso. Marco.
18 agosto 2020
Marco Ricci, via Settembrini, 8 - 42123 Reggio Emilia
***
Compagni milanesi, ho ricevuto il vostro scritto contenente le 6 domande su come sono andate le cose: sia l'8 marzo e
riguardo l'emergenza covid 19. Ed ecco quello che abbiamo deciso di comunicarvi.
Per quanto riguarda le rivolte quà, nelle sezioni penali, posso assicurarvi che noi non eravamo informati sui fatti
avvenuti nei padiglioni della Casa Circondariale. In quel tempo ricoprivo il ruolo di bibliotecario e scrivano, ma
questo tipo di attività esula dall'ingresso nella sezione C.C. Loro hanno i propri scrivani e noi del penale non
possiamo avere contatti con loro. Io però dalle finestre ho visto personalmente l'ingresso dei 100 sbirri in tenuta
antisommossa e tornate ad informare le 2 sezioni penali, l'antisommossa aveva già fatto il suo lavoro.
I promotori sono stati trasferiti tra il massima sicurezza Ascoli Piceno e il Borcaglione di Ancona, da custodia
attenuata qual'era è ora organizzato come un C.R. portando la capienza da 70 ad oltre 100 detenuti. La sezione del
41bis di Ascoli Piceno quando c'eravamo noi, fino al 2017, erano 44 posti ora 88 dove si trovano i riottosi deportati
da qua.
La novità è che mercoledì 16/09 sono arrivati degli ispettori del ministero della giustizia e se ne sono andati 4
giorni dopo. Hanno trovato anomalie sulla struttura (le celle non hanno doccia e né acqua calda) e inoltre nei
bilanci (entrate e uscite).
Gianluca Condeano come direttore è stato immediatamente sollevato dall'incarico e al suo posto ora c'è Lucia
Monastero che quì a Parma svolgeva la mansione di vicedirettrice. Per quanto riguarda l'emergenza covid 19 trovo
schifoso il fatto che giustamente i settori primari della società siano stati edotti sulla prevenzione, ma che né lo
stato e che neanche il tessuto sociale non abbiano mai parlato che al'interno della galera, qui nello specifico, non
ci sia stata nessuna prevenzione se non quella che si può definire a macchia di leopardo. Specifico: alcune guardie
avevano le mascherine, altre no e così come tutti gli operatori esterni che dopo il 5 maggio sono tornati al lavoro.
Per quanto riguarda questo lagher, a mio avviso è stata una pura botta di culo che non ci siano stati infettati. Il
Collettivo Antirep mi ha tenuto sempre informato e a tal proposito devo dirvi compagni che i reclusi deceduti non
sono 14 ma 17. Abbiamo inviato a tutte le aree sanitarie la richiesta degli esami delle autopsie, ma è sceso un
silenzio più orribile delle morti stesse.
Noi Anarchici siamo convinti che molti decessi siano stati dei veri e propri omicidi di Stato. Il silenzio della
magistratura poi non è soltanto il segno tangibile che gli sbirri sono coperti da loro, ma autorizzati anche ad
uccidere… Roba da brividi.
Questo istituto dal 13 novembre 1991 ha annoverato 320/330 decessi, lascio a voi qualsiasi considerazione. La 3/a
sezione circondariale non ha ancora i caloriferi e le finestre, entrambe distrutte durante la sommossa.
La preoccupazione e lo sgomento di tutti i prigionieri e detenuti è sempre per gli affetti esterni e dalle notizie
della tv sembra che la scienza sia ancora lontana dal trovare un vaccino. Quello prodotto dalla nostra madre Russia,
in quanto russo, avrà molte difficoltà. Spiegare il perchè mi sembrerebbe stupido.
Aspettiamo l'opuscolo e il giornale Lotta Continua e materiale informativo.
A pugno chiuso Marco Ricci - Collettivo politico prigionieri
27 settembre 2020
Marco Ricci, via Settembrini, 8 - 42123 Reggio Emilia
Lettera dalla comunità terapeutica di Belluno
Dalle montagne del nordest italiano.
Cari/e compagni/e, vi scrivo dalla Comunità Terapeutica di Belluno e quello che pensavo erano rose e fiori si è
rivelata invece una zona di mafia dove i dirigenti sotto il nome di una onlus dal nome Solidarietà non son altro che
porci che si ingrassano sopra le nostre fatiche e spalle.
Quì io lavoro 7 giorni su 7 nel mantenimento di 3 cavalli (che oramai amo) e me li usano spesso come ricatto per le
mie richieste.
Poi coltivo ed ho avviato un orto da zero già l'anno passato. Ci metto tanto impegno e mi pagano per il tutto 200
euro al mese, neanche 10 euro al giorno. Mi aiuta una compagna che viene retribuita 0 euro. Capisco che sono poche le
entrate e che è appena stato avviato, ma pure io e la ragazza dobbiamo vivere.
Oltretutto visto i miei studi di agraria e la conoscenza in erboristeria, ci siamo messi a confezionare cuscinetti di
Aretusa (un'erba che rilassa il sonno ed evita incubi) e giustamente ho chiesto se per la loro vendita potessi
ricavare i soldi per me stesso e la compagna che li cuce con nostri materiali. La risposta è stata che per il
direttore è meglio se non li facciamo. Ho chiesto almeno un pacco di tabacco a settimana ma pure la risposta è stata
negativa. Oltretutto la maggioranza delle piantine sono state comperate da volontari, genitori e pure le due galline
che accudisco.
Per non parlare del lavoro in bar. Lì veniamo pagati 10 euro al giorno. Per chi lavora in Caritas o altri lavori la
paga è uguale. Qui la struttura è a pezzi, il cibo che arriva a volte è immangiabile, i servizi sono pessimi. Io
d'inverno faccio le notti in caldaia (9 ore anche 10) per essere pagato sempre 200 euro al mese e in più i cavalli.
Qui c'è uno sfruttamento a dismisura e se ti ribelli torni in carcere. Io mi sono stufato di essere buono e adesso
voglio buttare fuori, vomitare tutta la sottomissione, tutte le ingiustizie, tutti i soprusi. Ma che vi dico...
queste strutture non ci aiutano.
Gli stipendi degli operatori sono da fare. Ma i porci che stanno a Roma hanno 2-3 case… la bella vita e qualcuno non
è altro che un ex-tossico. Queste comunità non sono altro che succursali delle carceri, luoghi di deposito per
l'affollamento dei detenuti. Qui hanno iniziato ad arrivare persone di tutti i tipi tra cui noi detenuti.
Lottiamo uniti anche contro questi lager di sfruttamento umano, per l'uguaglianza e contro l'ingrasso di questi porci
che usano la solidarietà per mascherare la mafia e le ruberie anche ai danni dello stato dunque di tutti i cittadini
che pagano le tasse.
Io sopravvivo con 30 euro al mese perchè 190 euro li dò a mia figlia che ha 10 anni. Non riesco nemmeno a comperare
qualcosa da mangiare ma solo le sigarette. Mai una… Saluti… Strigo.
26 giugno 2020
Fabio Visintin, via Reiu, 63 Loc. Tedol - 32100 Belluno
lettera dal carcere di padova
Innanzitutto voglio ringraziare per tutto quello che state facendo in questi anni per sostenerci nei nostri momenti
bui. Io sono ancora qua nel lager di Padova (il penale).
Nonostante le mie esperienze girando tante carceri ed ho visto di tutto, ero anche convinto di aver capito come
funzionano gli altri istituti ma ora qua a Padova è tutta un’altra storia. Qua nel penale di Padova comandano gli ex
volontari, manipolatrici le sorelle Favero che ora con la loro ingannevole falsità Ornella è diventata la presidente
nazionale del volontariato. Fondatrice del giornale Ristretti Orizzonti che all’inizio nel ‘98 era gratis e
nell’inizio del ‘99 è diventato a pagamento con la scusa di aiutare i carcerati che in realtà aiuta solo se stessa e
sua sorella Rossella che si occupava una volta della rassegna stampa. Ora sono loro i proprietari della azienda
pasticcera (il Giotto e l’azienda di call center) immaginati quando era venuto qua quel coglione di Renzi in visita
in questo carcere è andato via con due furgoni di torte e panettone in cambio di un assegno di 50.000 euro per
comprare qualche divano, sedie ecc. Che io realtà è stato speso meno di 5.000 euro e il resto l’hanno diviso loro
(queste informazioni ce l’ho avuta da una fonte attendibile).
Oltre questi il carcere è comandato da un ispettore capo Antonello Toffanio che sa solo comportarsi da Fascista
usando la violenza in tutti i modi (parlare, decidere, offendere, rapporti, isolamento, ecc.). Il Direttore qua è
solo una facciata non di più, garante dei detenuti non esiste. La sanità non parliamo proprio peggio del quinto
mondo. Immagina che qua con me in sezione c’è un detenuto morto vivente che soffre di tante malattie, reumatismi,
artrosi diffusa, infermità mentale, borderline, emicrania. Non riesce a stare in piedi per un minuto tutto il suo
corpo gli fa male perfino l’aria (l’altro giorno mi ha confidato che ogni giorno prega dio di farlo passare al di
là). Quando me lo ha detto ho pianto tutta la notte, questa è la storia del detenuto: Mehajebia Abdel Aziz di
nazionalità algerina (spero che questo messaggio arrivi anche all’associazione el Shabab di Francia e a qualsiasi che
possa aiutarlo). Immagina, queste sue patologie gli hanno fatto perdere 60 kg in quattro mesi. E ora è immobilizzato
alla branda in attesa della morte. La cosa che mi rattrista e mi fa incazzare è che a questi merdosi del sistema non
gliene frega un cazzo di nessuno.
Questo è un piccolo assaggio del cosiddetto carcere modello di Padova. Senza parlare di quel Satana del prete detto
Don Marco che è peggio di Donald Trump. Due palazzi e tutto un business di una setta satanica materialista fatta di
imbrogli e furbizia meschina sulle spalle dei detenuti che sono diventati anche loro schiavi che a volte sono
esasperati per avere un padrone. Concludo. Un saluto a tutti i compagni.
Eddi Karim, via due palazzi 35/A - 35136 Padova
Lettera dal carcere di Piacenza
Un anno e tre mesi sono passati dal giorno del nostro arresto, il 21 maggio 2019, e, forse un po’ in ritardo, è sorta
per me la necessità di scrivere due righe pubbliche, dopo le migliaia di pagine private, su tutta questa faccenda.
Per prima cosa mi preme ringraziare le decine di compagni che, in un modo o nell’altro, sono stati per me (lontani
ma) presenti durante questi mesi, foss’anche solo con una cartolina: la consapevolezza che fuori da queste mura
continui ad esistere il mondo che ho lasciato, con le sue contraddizioni ma anche con il suo carico di slanci e
passioni, mantiene in vita, se non organicamente, sicuramente dal punto di vista emotivo e intellettuale. Purtroppo
non è stato (e non è) un percorso detentivo “facile” (se mai ne esistano), tra l’estradizione, L’Aquila e l’AS3, ma
in nessun momento ho sentito di perdere contatto con il mondo esterno, i dibattiti, la lotta, e di questo posso solo
ringraziare i compagni che si sbattono e le persone che mi amano (spesso le due cose coincidono). GRAZIE.
Detto ciò, va ammesso che l’aver scelto di non espormi “pubblicamente” attraverso nessun mezzo, perché non è mia
abitudine e perché reputo che in certe circostanze siano i fatti a parlare meglio di qualunque comunicato, per certi
versi abbia creato un po’ di confusione, anche e soprattutto in merito all’aspetto tecnico e processuale. Cercherò di
rimediare.
Operazione “Prometeo”. Il capo d’accusa che ci viene contestato è il 280 del codice penale: “attentato con finalità
di terrorismo”, più una sequela di aggravanti come il concorso e, di nuovo, la finalità di terrorismo (come si
applichi l’aggravante di terrorismo ad un reato con finalità di terrorismo è un’astrazione giuridica che ancora non
mi è chiara). Niente associazione, niente porto d’armi da guerra, ma l’attentato viene definito “micidiale”, ovvero
si qualifica come “attentato alla vita”; la pena parte dai 20 anni, aumentati di un terzo perché “rivolto contro
persone che esercitano funzioni giudiziarie o penitenziarie”.
Il teorema inquisitorio ha ben poco di concreto: gli inquirenti sostengono di aver localizzato il negozio cinese nel
quale sarebbero state vendute le buste utilizzate per il confezionamento degli ordigni (nonostante i saggi grafici
cui sono stati sottoposti tutti i dipendenti non collimino con la scrittura che compare sui plichi ricevuti) e
possiedono una ripresa di una telecamera di sorveglianza della piazza antistante il negozio in cui Beppe ed io siamo
ripresi a uscire dal medesimo. Tutto qua. Usciamo dal negozio senza avere in mano gli acquisti contestati, nessuno
scontrino emesso in quell’orario coincide con i prezzi del materiale che si vorrebbe acquistato, nessuna traccia di
impronte digitali o DNA, nessuna confessione rubata con intercettazioni ambientali o telefoniche. Ma si sa, due
anarchici che fanno compere in un negozio cinese, a due passi dall’abitazione di uno dei due, nella città in cui SI
IPOTIZZA e nel momento in cui SI IPOTIZZA che siano stati confezionati gli ordigni… è più che sufficiente.
Per concludere, una ricerca informatica effettuata a Genova sugli indirizzi dei destinatari dev’essere opera del
terzo compagno che trascorreva il weekend in quella città con loro, Robert. Quest’è, né più, né meno.
Ora, che le procure di mezza Italia amino fare castelli in aria è risaputo, questa volta in aggiunta alla solita
mancanza di concretezza hanno sfoderato la vena epica e letteraria. Il mito di Prometeo è noto ai più: ruba il fuoco
(la conoscenza) agli dei per farne dono agli uomini, e perciò viene punito. Chi in questa rappresentazione si
appropri della e si autoassegni la parte di dio, è evidente. E se su certi sacri ruoli non va posato nemmeno lo
sguardo, figuriamoci l’impudicizia di far loro arrivare un messaggio così chiaro come una busta farcita di polvere
pirica. Stereotipica di Prometeo è l’IRRIVERENZA. Egli profana un monopolio, in questo caso quello della giustizia,
che non compete agli uomini, e la prometeica punizione è più che severa, è fatidica. E dunque, a prescindere
dall’inconcretezza degli indizi, qualcuno va punito, e se sono degli anarchici tanto meglio. Ad oggi, nessun
legislatore ha osato scalfire il sovradimensionamento né l’inconsistenza dell’accusa, d’altronde è nientemeno che
dagli dei che arrivano le direttive, e Prometeo è di monito a tutti, servi compresi.
2 piccioni con una fava. L’anarchico, inutile dirlo, ha il fisique du rôle: nel disegno iperbolico degli inquirenti
capita a fagiuolo. E infatti, il 90% delle cartacce cui ho avuto accesso (inutile dire che gli atti completi mi sono
preclusi, visto che si tratta di più di 200.000 pagine e il carcere dimmerda in cui sono capitata non è attrezzato
per consentirmi l’accesso al formato digitale) è la solita solfa su cui imperniano TUTTE le operazioni in chiave
antianarchica degli ultimi anni: criminalizzazione della solidarietà, dei rapporti affettivi, travisamento delle
opinioni, fantasie morbose da incasellamento questurino. Lungi da me volermi lanciare in un afflato vittimistico:
l’anarchico dello stato è nemico, con l’autorità in guerra e, si sa, in amore e in guerra tutto vale. Non mi aspetto
tenerezza, e sono profondamente convinta che l’espressione “un giusto processo” non sia altro che una circonvoluzione
a metà tra l’ossimoro e la sinestesia. Ma è bene, a fini d’analisi, parlare anche di questo. Sulla base delle sparate
di Sparagna estrapolate direttamente dagli atti del processo Scripta Manent, i ROS dedicano non poche pagine a quello
che vorrebbe essere un diagramma linneano della storia dell’anarchismo, cercando a tutti i costi di inquadrare ciò
che inquadrabile non è (e partono nientemeno che da Bakunin… che onore!), e di comprendere ciò che, inutile dirlo,
compreso non verrà mai dentro alle mura di una questura.
Allo stesso modo viene trattata la solidarietà ai prigionieri, che in questo caso assurge direttamente a movente,
essendo uno dei riceventi le buste incriminate Santi Consolo, ex direttore del DAP. E così interessarsi alle sorti di
un compagno, o addirittura di un amico, incappato nelle maglie della giustizia, è fattore incriminante; persino
inviare una cartolina (firmata) a chi è detenuto assume l’aura del sospetto.
Altro capitolo intero, se non pensassi di starmi già dilungando troppo, si potrebbe dedicare a quella che viene
definita “l’analisi della personalità degli indagati”: i toni passano da fantasiosi a paradossali, letteralmente. La
partecipazione a un dibattito acceso e attuale (e non solo in seno al “movimento”) come quello sulle tecniche forensi
e d’indagine, in particolare sull’utilizzo del DNA e sulla creazione di una banca dati genetica nazionale e
internazionale, si trasforma come per magia nell’ossessione del colpevole, assillato dalla costante paranoia di
venire arrestato; ogni parola catturata dai microfoni viene letta come criptica (si sa, sono furbi questi anarchici!
Quando dicono “Prendiamoci un caffè” in realtà vogliono dire: “Chi porta il C-4?”); svarioni filosofico-esistenziali
senza capo né coda, cui nemmeno i diretti interessati saprebbero dare un senso, offrono lo spunto per interpretazioni
di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. E qui mi fermo perché, letteralmente, potrei andare avanti ore, ma dal
paradosso non ci sono conclusioni logiche da trarre. Infine:
Sui termini di custodia cautelare. Parecchie volte, ultimamente, mi è stato domandato per corrispondenza: “Ma come? E
i tuoi termini non scadono più? Non esci?”. Giusto per chiarire: il termine indicato dal codice penale per questo
tipo di reato è di 1 anno, ovvero avrebbe dovuto scadere il 21 maggio 2020. Ma poi, a marzo, il covid. A quel punto
escono, a distanza di circa un mese, due Decreti Presidenziali che prorogano di poco più di 30 giorni ciascuno TUTTE
le scadenze e le prescrizioni. La GIP di Milano, ad oggi non saprei spiegare il perché, tiene in considerazione solo
la prima proroga, e fissa allo scadere del 90° l’udienza preliminare, che congela definitivamente i termini, il 22
giugno.
Nel corso dell’udienza si sentenzia l’incompetenza territoriale della procura milanese in favore di quella di Genova,
tutti gli atti vengono inviati a nuovo giudice e… sorpresa! Il conteggio dei termini di custodia cautelare riparte da
zero!
Si è poi svolta una prima udienza preliminare a Genova il 29 luglio, con rinvio all’11 novembre. Il ché significa che
quando avremo fatto 18 mesi di carcere preventivo sapremo, forse, quanto tempo passerà ancora prima che inizi il
processo. Quest’è. Vi rimando alle considerazioni di cui sopra in merito al “giusto processo”.
E su questi tecnicismi chiudo questa lunga ma doverosa disquisizione, con l’idea di renderla “pubblica” attraverso i
soliti canali. Molte altre cose vorrei aggiungere, ma non è questa la sede. Un abbraccio fraterno a tutti i compagni,
compreso mio padre, uno più stretto a quelli rinchiusi. In ogni caso nessun rimorso. Salud y Anarquìa. Nat.
Nota: ho saputo dopo confronto con l'avvocato nuovo (prima d'ufficio perchè non conoscevo avv. qui) che ho una
sentenza a mio sfavore grazie alla negligenza dell'avv. D'ufficio. La Francia può non consegnare i politici agli
stati che li richiedono, e con delle accuse mal formulate come le mie, si poteva fare una buona difesa politica e
forse vincere, forse no ma almeno provarci. Ho fatto bene quindi a oppormi, perchè ora vivo qua e qua voglio restare
e non voglio essere trattata come un pacco postale a piacimento degli sbirri. Abbiamo 2 possibilità ora, 1. è andare
in cassazione e il tutto dura 40 giorni, sennò sperare in un ritardo dell'Italia; dopo la delibera dell'8 luglio,
l'Italia ha 10+3 gg di tempo, se non arrivano il procuratore della Francia chiama e chiede le intenzioni, l'Italia
può prorogare max 1 mese, e se dopo quel mese non viene scadono i termini e si proverà a richiedere n'a messa in
libertà! E l'avvocato è furioso per questi arresti fatti così! Più o meno questa è la situazione.
settembre 2020
Natascia Savio, Strada delle Novate 65, 29122 Piacenza
Il 11 e 18 novembre ci saranno le udienze preliminari a Genova. Dato che le udienze preliminari sono a porte chiuse e
non si sa se tradurranno Nat e Beppe in tribunale o meno. A Nat è stata rimessa la censura per 6 mesi. Sia Nat che
Beppe hanno fatto richiesta di trasferimento ed entrambi hanno avuto un rigetto. Per Beppe è iniziato anche il
processo per l’attacco alle poste di Genova. C’è stata una presenza solidale fuori dal tribunale. Beppe, Natascia e
Robert erano stati arrestati con l’accusa di aver inviato, nel 2017, tre pacchi esplosivi ai pm Sparagna e Rinaudo e
a Santi Consolo, all’epoca direttore del DAP di Roma. Ora Robert è libero dal carcere.
Sulla battaglia contro l’estradizione in Italia di Vincenzo
L'udienza del 2 ottobre è durata circa tre ore e mezza. Ha parlato prima il giudice spiegando che a seguito della
risonanza mediatica, assunta dalla vicenda, soprattutto da parte del mondo della cultura, si è resa necessaria una
certa trasparenza da parte della Corte manifestatasi tramite l'allestimento di un'aula della capienza di una
cinquantina di persone e limitando al minimo se non eliminando del tutto la presenza delle forze dell'ordine.
Questo, precisiamo noi, è il frutto del lavoro dei primi comitati e della costituzione del comitato ad Angers oltre
che delle molteplici attività delle radio locali. Detto ciò il giudice ha esposto i tre possibili esiti della
situazione in oggetto:
1. Il Mandato di Arresto Europeo (Mae) è valido e il compagno viene estradato in Italia e accompagnato in galera.
2. Il Mae è valido e il compagno viene incarcerato in Francia
3. Il Mae non è valido... (non si è espresso)
Segue l'intervento del Procuratore, che è l'alter ego del nostro Pm. Intervento arrogante ed esagerato che è entrato
nel merito del processo per i fatti di Genova 2001 e ha anche pronunciato diverse inesattezze (come il fatto che
Vincenzo sia stato arrestato nel corso del controvertice, cosa falsa perchè lui fu arrestato un anno dopo).
Informandoci circa il curriculum professionale del soggetto è venuto fuori che lo stesso ha seguito un processo per
stupro dicendo che "ci sono stupri e stupri, dipende dalle circostanze e dal contesto". Quello di cui si è occupato
lui era uno stupro accettabile. Purtroppo ha avuto la meglio la sua tesi.
Infine, è intervenuta la difesa che, anche a detta dei compagni, ha fatto un buon lavoro. Ha studiato molto e
finalmente compreso cosa è qui in Italia il reato di devastazione e saccheggio all'interno del quale vengono fatti
ricadere altri vari reati e per tale motivo continua a risultare poco chiaro nella sua definizione giuridica. E' vero
che anche la Francia a seguito delle proteste dei Gilets Jeunes si sta attrezzando giuridicamente per inserire i
concorsi, eccetera, ma è vero che loro si devono esprimere in merito a fatti risalenti all'anno 2001 quando tutto
questo apparato in Francia non esisteva nel modo più assoluto. Inoltre il cassazionista che si è unito al pool ha
avuto l'idea di aggiungere alla memoria della difesa la presunzione di innocenza. Per farla breve, la pena di
Vincenzo è una sommatoria di vari reati tra i quali il più pesante e grave è devastazione e saccheggio, ma mai emerge
un fatto specifico, cioè un fatto commesso inequivocabilmente da lui (basta guardare le ore di riprese video), il che
significa che i quasi 13 anni comminati sono dettati da una sommatoria di concorsi (non commetti effettivamente il
reato, ma sei lì e non fai nulla per evitarlo e vieni identificato, quindi per concorso ti accollano ogni cosa). Qui
in Italia conosciamo bene il concorso, i francesi, per fortuna, rimangono ancora allibiti.
Infine è intervenuto brevemente anche Vincenzo che ha ripreso e controbattuto le diverse inesattezze del Procuratore
tra cui l'avere detto che stare in carcere in Italia o in Franica è uguale. Sì certo, stare in carcere è comunque
essere privati della propria libertà, ma in Italia per le vicende del G8 c'è sempre stato diciamo un certo
accanimento, oltre al fatto che lo scorso marzo ci sono stati 9 morti nel carcere di Modena in circostanze ancora
tutte da chiarire per le rivolte anti covid e quindi per le pessime condizioni delle carceri italiane.
La seduta è stata tolta intorno alle 17.30 ed è seguita una serata di solidarietà e sostegno organizzata dal neonato
comitato di Angers. Prima forse c'è stata una conferenza stampa anche con la presenza di alcuni volti noti ella
cultura come eric Vuillard (ma su questo non ho informazioni chiarissime).
Il pronunciamento sull'estradizione di Vince si terrà il 4 novembre alle ore 13.30.
La vendetta dello stato è un piatto che viene servito congelato...
A Milano, dalle ore 12 del 2 ottobre, si è tenuto un rumoroso presidio di solidarietà davanti al consolato francese
che per l’occasione era blindato dalle forze dell’ordine.
Milano, ottobre 2020
***
Napoli, 17 settembre. C’è stata una nuova udienza del processo per devastazione e saccheggio ai danni di nove
imputati colpevoli, insieme a tanti e tante, di essere sceso in piazza a contestare Matteo Salvini l'11 Marzo 2017
quando oltre diecimila abitanti di questa città si ribellarono al capo leghista. Durante l'udienza la polizia ha
identificato un gran numero di solidali accorsi a dare solidarietà agli imputati con uno striscione.
Ribadiamo la necessità di una solidarietà ampia e compatta che non lasci soli gli imputati di fronte alla repressione
che mira a isolare, dividendo tra “buoni” e “cattivi”; non accettiamo il gioco strumentale di chi vuole
depoliticizzare quella manifestazione criminalizzando 9 persone e rivendichiamo quella giornata di mobilitazione
cittadina contro ogni fascismo, razzismo e sessismo. Il processo è stato rinviato al 19 Novembre: anche in quella
occasione saremo al fianco degli imputati dentro e fuori al tribunale, perché la solidarietà è un'arma. (Laboratorio
politico Iskra, Napoli).
Bolzano, ottobre 2020. Secondo grado del Processo Brennero a Bolzano per i fatti relativi alla giornata di
manifestazione contro frontiere e razzismo di stato del 7 maggio 2016: udienze 2/9/23 ottobre, la sentenza d’appello
è prevista per il 23 ottobre.
In primo grado sono stati chiesti oltre 300 anni di carcere, l’accusa comprende il reato di devastazione e
saccheggio. All’udienza del’11 settembre è stata fatta in aula una dichiarazione da parte di una ventina di imputati.
Il sabato prima della sentenza ci sarà un’iniziativa in piazza a Bolzano.
Lettere dal carcere di Fresnes (Francia)
Ciao, dopo 536 giorni di latitanza sono stata arrestata il 26 luglio scorso vicino St. Etienne. Ho vissuto il mio
arresto come la prima messa in scena di una rappresentazione ripetuta mille volte nella mia testa, o meglio 536
volte… Mi è sembrato che tutto andasse al rallentatore: gli sbirri col passamontagna che mi puntano contro i loro
fucili, mi sbattono a terra e mi chiedono il nome che così spesso ho taciuto in questi ultimi tempi e che mi ha fatto
strano pronunciare. In seguito la SDAT (reparto antiterrorista della polizia francese, ndt) mi ha portato a Parigi:
quattro ore di viaggio con le manette dietro la schiena in compagnia dei loro passamontagna. Pochi chilometri prima
di arrivare nella loro sede a Levallois-Perret mi hanno bendato gli occhi. Sempre loro, due giorni dopo il mio
arresto, mi hanno condotto prima in tribunale e poi nella prigione di Fresnes.
Durante l’udienza che ha convalidato il mio arresto, ho accettato senza esitare la mia estradizione. Avevo seguito
con attenzione ciò che era capitato a Vincenzo Vecchi (che approfitto per salutare) che invece aveva preferito
rifiutare l’estradizione dandosi una possibilità di rimanere libero in Francia. Per quanto mi riguarda questo avrebbe
significato attendere il processo in Francia invece che in Italia dove si trovano gli altri accusati nell’operazione
Scintilla, al momento tutti liberi ad eccezione di Silvia, sottoposta tuttora a divieto di dimora dal comune di
Torino.
Sembra che negli ultimi tempi l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo e l’estradizione che ne consegue,
costituiscano per la giustizia europea delle semplici formalità burocratiche da espletare. Lo abbiamo visto
recentemente in Italia in diverse riprese, ma anche in occasione della repressione seguita alle rivolte di Amburgo o
in Grecia e in Spagna. Le polizie europee affinano le proprie armi e le loro collaborazioni sembrano essere sempre
più strette, con scambi di soffiate e favori. Alla luce di questi ultimi avvenimenti penso che stia a noi
interessarci alla questione e studiarne i meccanismi.
Scopro la prigione al tempo del coronavirus: la quarantena regolamentare ai nuovi giunti, la mascherina per ogni
spostamento e per tutta la durata dell’aria, la sospensione di ogni attività e cella chiusa 22 ore su 24. Al termine
della mia quarantena e alla vigilia della data prevista per la mia estradizione, io e tutte le altre detenute
presenti nella sezione delle nuove giunte siamo state messe per la seconda volta in isolamento sanitario con la scusa
che avevamo condiviso l’ora d’aria con una nuova giunta risultata positiva al covid. I test ai quali siamo state
sottoposte dopo questo conclamato caso, e che all’inizio ci era stato detto non fossero possibili per tutte le
detenute, ora sono prassi per tutte le nuove giunte. Non sorprende vedere come l’amministrazione penitenziaria arrivi
perennemente in ritardo.
Durante la primavera scorsa le misure adottate dall’amministrazione penitenziaria in risposta al diffondersi del
Covid19 hanno causato delle rivolte e una forte solidarietà nelle prigioni. Sfortunatamente, almeno qui, sembra che
convivere con il virus sia diventato la norma, e al timore che una nuova giunta sia positiva e possa contagiare le
altre si aggiunge la paura di vedersi sospendere i colloqui, come è successo a noi quest’ultima settimana. I magri
palliativi concessi in primavera dall’amministrazione penitenziaria sotto forma di crediti telefonici fanno ormai
parte del passato e un piccolo gruppo di nuove giunte non può essere all’altezza delle grosse mobilitazioni dello
scorso marzo. Aspetto l’estradizione da un momento all’altro e so che molto probabilmente quando arriverò in Italia
mi aspetterà un terzo periodo di isolamento sanitario.
Per il momento mi godo tutte le dimostrazioni di solidarietà dopo tanto silenzio. Malgrado le pubblicazioni sul tema,
sicuramente preziose, la latitanza viene considerata ancora troppo spesso come un’avventura romantica e si pensa di
solito ai/alle compagni/e come liberi/e. In quest’anno e mezzo non mi sono mai mancati né la solidarietà né un
sostegno caloroso, non mi è mai mancato nulla, ma non si è liberi quando si è privati della propria vita.
Avrei voluto essere in strada assieme ai/lle miei compagni/e durante le manifestazioni in risposta allo sgombero
dell’Asilo, ho accompagnato con il pensiero lo sciopero della fame lanciato da Silvia, Anna e Natascia, ho pensato
ogni giorno ai/lle compagni/e arrestati/e nelle ondate successive. Avrei voluto essere al fianco dei miei familiari
quando hanno conosciuto dei momenti difficili e avere loro notizie durante il lock-down.
Oggi sono pronta e determinata ad affrontare i prossimi mesi, ma il mio pensiero va a coloro che sono ancora in giro,
spesso lontani dalle persone care. Spero possano rimanere in giro fin tanto che lo vorranno e che gli incontri che
faranno diano loro il calore e la forza per continuare a lottare. Carla.
Fresnes, 19 agosto 2020
Per l’operazione “Scintilla”, Carla è stata arrestata, latitante, in Francia. Il Riesame c’è stato il 18/09 e ha dato
esito negativo. La PM Pedrotta ha insistito nel fare collegamenti tra l’op. Scintilla e i gli ultimi procedimenti a
carico di Peppe (fabbricazione materiale esplosivo, riqualificato in pirotecnico dalla cassazione, dunque Peppe è
uscito) e di Beppe (poste Genova), questo per tentare di dare a ciascuno di questi episodi in un’impalcatura più
generale e provare a tenerli insieme. Ha la censura, richiesta dal carcere. Ha 2 colloqui al mese in presenza.
Per scriverle ricordiamo il nuovo indirizzo:
Carla Tubeuf, Via Gravellona 240 - 27029 Vigevano (PV)
***
Carissimi amici compagni e amiche compagne di Olga! Ricevo con immenso piacere il vostro piego di libri, e vi
rispondo subito, sperando che questo scritto possa raggiungervi presto. Vi ringrazio per le cartoline, opuscoli,
libro e saluti, saluti che vi rigiro con affetto!
Io sto bene, oggi fa un mese che sono costretto a stare in questo carcere, tutto sommato ormai mi ci sono abituato,
ciò significa che tengo botta e non mollo, ho una buona energia fisica e mentale, buon umore e tanta tanta forza,
oltre che tanta rabbia per questa ennesima infame operazione. Questa volta attaccano la solidarietà portata ai
fratelli prigionieri, attaccano le idee, il nostro modo di vivere. Niente di più squallido, ma d'altronde cosa
aspettarsi dai nostri nemici? Nulla, è infatti a testa alta e con immenso coraggio si affronta questa detenzione. La
cosa che mi rafforza di più è sapere che la nostra idea e la solidarietà non conoscono sbirri, catene, tribunali e
carceri, quando capiranno che la nostra meravigliosa idea non potrà mai essere rinchiusa? Non esiste carcere che la
potrà fermare, così come la solidarietà, che supera ogni barriera.
Dopo 3 anni mi ritrovo di nuovo dall'altra parte del muro che odio e combatto, ricevo tanta posta, cosa che mi dà
tanta energia nel resistere in questa infame galera. In entrata sembra veloce, ma in uscita è un po' lenta, penso sia
soprattutto dovuto dalla distanza. Vi racconto un po' come si svolge la vita in questo carcere parigino.
All'arrivo dopo i vari controlli di rito (spogliarsi nudi e consegna dei tuoi averi) ti portano in una sala dove ti
registrano, poi ti fanno mettere una mano su un aggeggio (suppongo per riconoscimento impronte più biometria del
corpo) e ti fanno una foto, dopodichè ti viene consegnata la carta d'identità del detenuto con dati personali. Poi si
cambia sala, ti fanno fare una doccia e ti danno il kit d'igiene, ovvero shampoo, dentifricio e spazzolino,
asciugamano, maglietta e ciabatte. Poi ti portano nella 1° divisione (arrivanti) e dopo farti posare le cose in cella
si va subito a colloquio con la direttrice della sezione.
Viste le mie accuse vengo messo in cella solo (per me va bene) e durante il colloquio ti viene spiegato come funziona
la sezione e consegnata una busta con 2 buste per spedire, già affrancate, penna, fogli bianchi e regolamento del
carcere. Di solito in prima divisione rimani 5-6 giorni, ma causa Covid, questi giorni diventano 14 per isolamento
sanitario, dove infatti in cella si sta soli o a volte in due. Isolamento sanitario che si riduce solo a questo (ti
danno pure le mascherine, un kit da 5 perchè poi le docce (tutti i giorni e 6 per volta) e l'ora d'aria (1 ora al
pomeriggio) la si fa con tutti gli altri. Infatti nonostante le tante ore in cella e solo, ho comunque stretto
qualche buona relazione.
Dopodichè il 27 giugno, passo in seconda divisione, considerate che qua ci sono 3 divisioni più il femminile, e io
vengo destinato alla 2° cella sempre solo per via delle accuse, chissà perchè mi chiedo, ma l'arrivo fu un po'
burrascoso a causa le condizioni igienico-sanitarie scadenti (e poi ti fanno la morale di essere pulito, mannaggia a
loro) praticamente la cella che trovo è super sporca, muri che trasudano sporcizia, mobili ammuffiti e tante tante
blatte, mi arrabbio e mi rifiuto di entrare e così inizia il battibecco con il sergente della divisione, che mi dice,
se vuoi ho celle anche messe peggio. Mi vengono consegnati prodotti per pulire e inizio la battaglia contro lo sporco
e le blatte. Ribalto tutto e allago la cella, acqua che arriva fino al corridoio e anche nell'atrio (sto al quarto
piano) torna la guardia tutta arrabbiata, ma rispondo a tono e ci mandiamo a quel paese (questo racconto l'ho girato
ai compas di St.Etienne che lo pubblicarono su “Lè Numèro Zero” sito di contro-informazione).
D'altronde devo pur pulire, no? Poi butto via i mobili, ritorna la guardia e mi dice qua sei a Fresnes non al
Grand'Hotel, e se butti via i mobili non potrai averne altri, al che rispondo dicendo sono a Fresnes non al
Grand'Hotel, non ho bisogno di questa roba marcia. Dopo “domandina” scritta, dopo 4 giorni arriva la disinfestazione,
cosa che non elimina del tutto il problema, ma almeno ora va decisamente meglio, grazie anche alla pulizia costante.
Ho anche rifiutato il cibo per 1 giorno!
Qua in sezione cambiano un po' di cose rispetto alla prima divisione, abbiamo più ore d'aria (8.30-10.30/14.30-16.30)
e molta più scelta nella lista della spesa e 3 docce settimanali. Dimenticavo di dire che all'arrivo se si ha l'ok
del magistrato, puoi avere le telefonate, ti consegnano una scheda con codice personale dove puoi registrare massimo
20 numeri. Questa però ti viene data in un secondo momento, perchè per iniziare ti danno un'altra scheda che però non
dura più di 3 giorni. Anche qua fortunatamente capìto bene a livello di vicini di cella, con cui instauro subito un
buon rapporto, cosa che dura ancora oggi, e anzi più passano i giorni, più ci conosciamo e più va meglio.
Bene! Le passeggiate si svolgono in un piccolo e squallido cortile, le guardie ti vengono ad aprire la porta, ti
ordinano di mostrare la carta d'identità e di restare allineati, scendere in silenzio e non far caciara, dura sempre
molto poco perchè camminando parlando e non troppo allineati con conseguenti non far caciara, dura sempre molto poco
perchè poi camminiamo parlando e non troppo allineati con conseguenti urla e richiami.
Il cortile, come dicevo, è un quadrato di cemento dove non siamo mai più di 10 a parte la domenica che siamo 20-30,
infatti a fare le promenade (aria) siamo sempre le celle più vicine. Poi il cortile è telecamerato e sopra le nostre
teste c'è il gabbiotto degli sbirri che ci spiano, l'unica nota positiva è la presenza della cabina telefonica dove
almeno si possono sentire i propri cari. Il cortile dell'aria toglie il respiro, ma la buona qualità dei rapporti che
si è instaurata aiuta a respirare, in un posto che fa di tutto per togliertelo.
La posta qui è di default censurata, mi spiego, puoi comunicare a plico chiuso solo con avvocato, autorità, tribunale
ecc. infatti la posta arriva sempre aperta e sempre aperta devi lasciarla nella buca attaccata sulla porta dove ogni
mattina alle 7 la guardia viene a prenderla, se la si chiude il rischio è che non venga spedita.
Qua le porte della cella sono blindate, e si comunica con gli altri giusto dalle finestre. Il vitto è quello che è,
insomma cibo da galera, che arriva già cucinato da una cucina esterna, qua viene riscaldato, impacchettato e
smistato, meglio farsi la spesa, solo che la plaque elettrica costa più di 40 euro, e non tutti possono
permettersela. Poi quando vado alle udienze (ormai finite) per la mia estradizione a cui mi sono opposto, mi viene
applicato su una sola scala di 3, un livello di sicurezza 2, che consiste nell'avere una cintura intorno al busto e
vengo ammanettato all'occhiello di questa cintura (altezza pancia), poi uno sbirra/o (ah sì, qua le guardie sono
miste) si lega a me con una corda, uno si posiziona davanti e uno dietro con tanto di giubbotto antiproiettile:
insomma n'a messa in scena.
La Francia acconsente all'estradizione nonostante non sia d'accordo, quindi quando avverrà si tratterà di una
deportazione. Le possibilità di un ricorso in Cassazione sono poche, e ci si può augurare che l'Italia tardi a venire
a prendermi, andando così incontro a una scadenza termini, qua non possono tenermi più di 2 mesi da quanto ho capito.
So che il riesame è andato male, ma rimango forte, non mi faccio troppe illusioni e rimango concentrato alla mia vita
qui, vivendo sereno giorno per giorno. Modo migliore per restare calmo e lucido. Non nascondo che il momento più
bello della giornata è quando arriva la posta, e ringrazio tutte quelle persone che mi hanno dedicato un pensiero,
compresi voi!
Per concludere vi chiedo di farmi avere contributi sulla questione estradizione (se esistono) perchè, essendomi
trovato impreparato vorrei capirci qualcosa di più, soprattutto attendo riflessioni a riguardo, confrontandoci!
Chiudo qua, potete tranquillamente pubblicare questa lettera sull'opuscolo, ecco se la trovate utile fate pure!
Vi abbraccio calorosamente e vi saluto a pugno chiuso compagne amiche - compagni amici! Roby
13 luglio 2020
Roberto Cropo, via Raffaele Majetti, 70 - 00156 Roma
lettera dal carcere di terni
Sull’operazione Bialystok
Queste brevi note, scaturite da una prima rapida lettura delle carte a mia disposizione e che riguardano la
cosiddetta Operazione Bialystok, sono state scritte con l’intento di permettere una comprensione, seppur
superficiale, causa il punto di vista soggettivo, degli elementi salienti contenuti in questa nuova inchiesta
antianarchica e degli sviluppi della repressione che da essa si possono evincere. Le ondate repressive seguono da
sempre i movimenti ciclici del conflitto sociale, tanto che spesso siamo portati ad affermare che non c’è “niente di
nuovo sotto il sole”. Tuttavia analizzare i mutamenti di paradigma e degli strumenti in essa utilizzati, accanto a
quelli che avvengono nella società nel suo complesso, ci permette di contestualizzarle individuandone le cause e gli
obiettivi specifici, e di sviluppare di conseguenza le strategie di resistenza e di contrattacco indicate. La
repressione non é infatti sempre uguale a se stessa e comprenderla nel suo trasformarsi dovrebbe essere d’’interesse
a chi si prefigge di “far sempre meglio” nella lotta anarchica contro ogni potere.
Nel caso specifico che mi riguarda la parte più interessante è costituita dal resoconto che il PM ha fornito al GIP
con la richiesta delle misure cautelari. Fin dalle sue prime pagine appare evidente “l’ampio sguardo” che aspira ad
avere l’inchiesta, il cui dichiarato obiettivo è quello di comprendere il recente evolversi del movimento anarchico
attivo nel territorio italiano e, nella fattispecie, di quella che viene chiamata da qualcunx “Nuova Anarchia”. A
questo scopo si fa ampio ricorso alla ricostruzione storica elaborata nell’ambito dell’indagine Scripta Manent a
partire dalla “spaccatura” del movimento a seguito dell’ inchiesta Marini in “fazione lottarmatista” (a favore di
un’organizzazione stabile e riconoscibile) e “fazione a favore dell’anonimato”, che avrebbe portato in seguito allo
sviluppo delle ormai famose quattro tendenze dell’anarchismo insurrezionalista: “classica”, “informale” (altro modo
utilizzato per indicare la tendenza definita “lottarmatista”), “sociale” ed “ecologista”. A seguito delle condanne in
primo grado contro la FAI, risultato coronato dopo decenni di indagini e processi falliti, gli inquirenti sembrano
oggi voler “far fruttare” quanto stabilito giurisprudenzialmente da questa lunga serie di sentenze. E questo sembra
valere anche per quanto riguarda i metodi d‘indagine. Come per l’Op. Scripta Manent, nella quale l’analisi dei
documenti sembrava aver avuto una discreta centralità nelle indagini, il ROS continua infatti a distinguersi per un
monitoraggio centralizzato (e privilegiato) dell’ effervescenza anarco-insurrezionalista attraverso uno studio
sistematico della “pubblicistica d’area”. Questa metodologia è la stessa elaborata all’interno dell’ex nucleo
anticrimine del tristemente famoso generale Dalla Chiesa per contrastare il ribellismo armato degli anni ’70 e ’80:
un contesto vasto e caotico viene scandagliato, sezionato, schematizzato e ricomposto per farne un quadro decifrabile
dalla mentalità a forma di legge di magistrati e inquisitori vari. È così, seguendo lo stesso metodo, questa “Nuova
Anarchia” si caratterizzerebbe secondo gli inquirenti per un superamento delle ormai tradizionali divergenze sull’uso
o meno di sigle e rivendicazioni per spostarsi verso una posizione più “fluida” che predilige l’alternanza del loro
utilizzo con l’anonimato, in base alle valutazioni del momento. Questo passaggio sarebbe avvenuto seguendo i
“dettami” che Alfredo Cospito avrebbe promulgato dal carcere attraverso vari articoli usciti sui giornali anarchici
Vetriolo e Fenrir.
Nel quadro dell’inchiesta che mi riguarda le persone indagate sono quindi descritte come una sorta di “eredi” della
FAI che avrebbero fatto proprie le “indicazione” del Cospito, e questo alla luce dell’associazione contenutistica tra
il “documento clandestino” “Dire e Sedire” (scritto a loro attribuito), assimilabile alla rivendicazione dell’attacco
alla caserma dei carabinieri di S. Giovanni a Roma, e a quelli espressi più generalmente dalla FAI (conflittualità in
opposizione all’attendismo, risposta alla repressione con l’azione, campagne di solidarietà).
Ulteriori evidenze sono costituite dalla solidarietà rivolta alle individualità prigioniere a seguito dell’Op.
Scripta Manent con la partecipazione ad assemblee o iniziative e da una corrispondenza con Alfredo in carcere.
Inoltre diverse azioni avvenute, rivendicate e non, ma sempre associate alla solidarietà, assieme ad alcuni dei
contenuti divulgati nel merito dell’Operazione Panico sarebbero un “chiaro indizio” di questo passaggio di strategia.
Un altro elemento che bisogna focalizzare e su cui ruota l’inchiesta è invece di ordine puramente giuridico. Il
problema che si cerca di risolvere attraverso le numerose inchieste e operazioni che ciclicamente investono le realtà
anarchiche è costituito, come ammesso dagli stessi inquirenti, dalla difficoltà di applicare i reati associativi alle
modalità organizzative anarchiche. A questo proposito l’accusa cita come novità giurisprudenziali la sentenza del
tribunale di Riesame di Firenze in merito all’associazione a delinquere ipotizzata nel processo Panico e quelle nei
confronti della FAI. La prima si esprime nella natura dei vincoli associativi indicando che essi “non devono
necessariamente avere carattere di continuità” ma basta che essi siano attivi in funzione del fine dell’associazione,
ovvero per un suo rafforzamento. Essendo la partecipazione ad un’azione anarchica essenzialmente a “forma libera”,
essa può assumere quindi una “consistenza” variabile. Per quanto riguarda invece l’organizzazione FAI, si era già
espressa nel 2013 la Corte di Cassazione stabilendo il suo effettivo carattere eversivo in quanto essa: é formata da
una pluralità di cellule autonome che condividono un determinato credo ideologico; è animata da un dibattito interno
che ne indirizza l’operato; prevede dei ruoli specifici che possono essere diversi da quelli comunemente attribuiti
ad un’associazione, essendo anch’essa un’organizzazione anarchica, e quindi senza capi; ha l’obiettivo dichiarato di
voler distruggere l’attuale assetto istituzionale ed economico; accetta il rischio di vittime collaterali.
Questi aspetti, uniti ad altri più generici come per esempio quelli indicati precedentemente (conflittualità,
solidarietà…), vengono anch’essi utilizzati per inquadrare l’anarchismo contemporaneo e associarne le caratteristiche
alla FAI presentandoli come delle “inquietanti corrispondenze” e poter così contestare il reato di 270 bis nell’Op.
Bialystok. Concetti e strumenti che sono patrimonio dell’anarchismo da secoli vengono così presentati come
caratteristiche peculiari di un’organizzazione eversiva, e di conseguenza ogni loro manifestazione potenzialmente
tacciabile di “contiguità ideologica”:
- Il mutuo appoggio in caso di repressione e la “solidarietà conflittuale” sarebbe uno strumento terroristico in
quanto metodo assunto dalla FAI (leggasi “campagne di solidarietà”).
- La manifesta volontà di opporsi alle diverse forme del potere e del capitalismo (come l’opposizione al predominio
tecnologico) diventa un “progetto eversivo”.
- La naturale dinamicità del movimento anarchico che si esprime attraverso il dibattito interno avrebbe la funzione
di far convergere le diverse componenti su obiettivi comuni (“istigare e progettare azioni violente”).
- L’interesse verso tematiche di respiro internazionale e casi repressivi avvenuti all’estero sono “un’espressione
anonima della progettualità FAI”.
Si comincia così a creare la bozza di quello che sembrerebbe profilarsi come una sorta di reato ideologico:
l’intenzione di voler abbattere lo Stato e le diverse forme di potere, la prassi del mutuo appoggio, la solidarietà e
il supporto verso le individualità prigioniere, i contributi al fermento di idee e al confronto tra diversi approcci,
analisi, strategie, insomma tutto ciò che caratterizza l’anarchismo nel suo senso più ampio è potenzialmente
associabile al terrorismo. Anche qui potremmo dirci, niente di nuovo. Ma vorrei porre l’attenzione sul fatto che
questi elementi non sono estrapolati da un generico pensiero anarchico, ma ricondotti alle posizioni di una
“rinomata” organizzazione terroristica. La differenza è evidente. Ma manca ancora un passaggio per dare il colpo
finale al nostro quadro indiziario. Come previsto dalla legge per essere ammesso il terrorismo in relazione ad una
associazione deve essere dimostrata l’effettiva possibilità che quest’ultima sia capace di atti consoni a mettere a
repentaglio la democrazia, la normale attività dell’istituzioni, o come minimo a destare “panico e terrore nella
popolazione”. Ed è qui che viene sfoderato l’ultimo brillante concetto per puntellare l’architettura dell’accusa. Se
il riproporsi di elementi simili tra diverse rivendicazioni o nei fatti specifici contestati (come per esempio
indicare il ruolo di ENI nello sfruttamento della Terra, i rapporti tra Libia e Italia in merito all’immigrazione o
l’interesse verso determinate individualità prigioniere o casi repressivi come l’Op. Scintilla o lo sciopero della
fame delle anarchiche rinchiuse all’Aquila) sono considerati “evidenti indicazioni” di un medesimo progetto
criminoso, e se i “rapporti fluidi” all’interno di un’ambiente che condivide i presupposti della lotta anarchica si
configurano parimenti come “vincoli associativi”, allora è proprio quest’ultimo a creare la possibilità effettiva di
una reale minaccia alla stabilità del potere, e a costituire conseguentemente motivo di allarme nelle istituzioni.
Come espresso infatti dalla sentenza del Riesame di Roma che ha confermato le misure cautelari in carcere, ciò che
indicherebbe la pericolosità operativa dell’associazione sarebbe appunto “il contesto” all’interno del quale essa si
trova ad operare. In altre parole se esiste un “intorno” capace di accoglierne le “proposte operative” e metterle in
pratica, allora non è necessario che le persone indagate siano effettivamente passate all’azione per indicarle come
promotrici di un progetto “eversivo” e quindi facenti parte di un’associazione terroristica. Viene utilizzata insomma
la formula che generalmente precisa l’ambito in qui debba esprimersi l’istigazione a delinquere (perché l’istigazione
si profili deve necessariamente esserci un contesto “sensibile” a raccogliere l’invito a delinquere) per stabilire
quello del terrorismo. Ci troviamo di fronte ad una sorta di inversione della causa con l’effetto. Non è perché
esiste un’organizzazione/associazione eversiva che conseguentemente vengono messe in atto delle azioni pericolose per
l’ordine costituito. Piuttosto viene costruito un discorso tautologico secondo cui sarebbe perché esiste un
“intorno”, in questo caso l’anarchismo, al cui interno circolano dei contenuti come la solidarietà e la volontà di
distruggere lo Stato, il Capitale e le loro espressioni, e perché parallelamente si registrano dei fatti che sono il
tentativo di perseguire nella pratica quei contenuti, che deve di conseguenza esistere necessariamente
un’associazione terroristico/eversiva che li pianifica. A mio parere sembra chiaro a questo punto che un o degli
elementi che si voglia colpire con questa ennesima operazione sia il dibattito anarchico e, più nello specifico, la
“comunicazione attraverso l’azione”. Vengono infatti citati, tra le pagine dell’indagine, diversi “scambi” avvenuti
tramite rivendicazioni, anche internazionalmente, con rimandi ad altre azioni, richiami a concetti espressi altrove,
dichiarazioni di solidarietà verso anarchicx prigionierx in altri stati ecc. Questo viene fatto per delineare i
tratti di un contesto recettivo a proseguire “il filo” di percorsi o ragionamenti propagandati da singoli gruppi o
individualità, attraverso una rivendicazione o un semplice scritto. Una proposta di intervento, o una determinata
riflessione, per poter essere colta deve essere visibile, chiara, riconoscibile. Deve quindi “apparire” all’interno
di un contesto, e la rivendicazione e il contributo scritto, al di là del mezzo di diffusione utilizzato, hanno
proprio questo scopo. Inoltre con questi presupposti il reato associativo può facilmente diventare un nebuloso
cappello da poter calare in maniera indiscriminata su chiunque faccia in qualche modo riferimento a contenuti e
pratiche ritenute di volta in volta motivo di preoccupazione per le istituzioni, come per esempio il sabotaggio della
macchina delle espulsioni, l’opposizione alla guerra, o ad una particolare ondata repressiva. Ma potenzialmente essi
vanno persino oltre, ovvero nella direzione di tacciare come terroristiche le stesse basi teoriche e le pratiche più
elementari dell’anarchismo. All’oggi sono ancora necessarie dei fatti che generino un certo livello di allarme nelle
istituzioni per giustificare una simile ipotesi di reato. È per questo motivo che nell’inchiesta vengono inseriti
l’attacco a firma FAI di S. Giovanni e l’incendio di alcune macchine appartenenti al car sharing “eni enjoy”,
attribuito a una persona che secondo l’accusa non farebbe neanche parte dell’associazione o che vengono riportate le
proteste che avrebbero portato al trasferimento di Paska dal carcere di La Spezia. Fatti che avrebbero “impedito a
un’istituzione dello Stato di svolgere correttamente le sue funzioni”, come supporto all’ipotesi terroristica (tesi
che ha permesso agli inquirenti di tentare perfino di includere Paska nell’associazione, tentativo fallito soltanto
per un errore tecnico del GIP). O che vengono citati diversi altri attacchi incendiari avvenuti nella capitale che,
seppure non attribuiti a nessuna delle persone indagate, sarebbero tuttavia riconducibili a loro essendo “simili per
tipologia di obiettivo, metodologia d’azione e rivendicazione solidale”. O che venga espressa preoccupazione a causa
di alcuni plichi esplosivi inviati nel marzo 2020, principalmente nei dintorni di Roma, per giustificare
“l’effettività del pericolo”. Questi ultimi sono tra l’altro contenuti in una nota integrativa alla richiesta delle
misure cautelari, il che mi dà conferma del carattere preventivo della loro applicazione. Come nel caso
dell’Operazione Ritrovo, anche questa richiesta si trova infatti nel cassetto del GIP da diversi mesi, ma con lo
stato d’eccezione che ha accompagnato il diffondersi del corona virus si deve essere creata una pressione di tipo
emergenziale che ha spinto il GIP a firmarla. Credo che l’accelerazione di alcuni processi dell’evoluzione Stato-
Capitale provocata dalla crisi del corona virus riguardi anche l’ambito repressivo, la gestione dell’insorgenza
interna e dell’ordine pubblico in generale e che sarebbe bene incominciare già da ora a sviluppare ragionamenti che
possano essere utili per fronteggiarlo. Spero che questo scritto possa essere un contributo in questa direzione,
invito chiunque a ribattere e ampliare queste considerazioni che sono per forza di cosa limitate dalle mie conoscenze
e pertanto il riflesso di uno sguardo parziale. Col cuore, la mente, la mano. Nico, uno dex 6 di Bialystok
settembre 2020
Nico Aurigemma, Str. Delle Campore 32 - 05100 Terni (TR)
Il 3 novembre ci sarà l’udienza in Cassazione per il ricorso fatto dalla difesa contro il pronunciamento del
tribunale del Riesame, che aveva confermato le detenzioni in carcere. Nelle motivazioni del riesame è stato fatto un
ampio uso delle sentenze di primo grado di Panico e Scripta Manent, per far passare dei “dati di fatto” pur essendo
sentenze di primo grado. Il 3 novembre è anche prevista l’udienza richiesta avverso le scarcerazioni da parte del pm
Dambruoso per l’operazione Ritrovo. Curiosa coincidenza, stessa data, stessa sezione e stesso giudice dell’udienza
Bialystok. Per l’operazione Ritrovo continuano le misure (obbligo di dimora con rientro notturno).
***
Solidali con gli imputati nel processo “Scripta Manent”
A Settembre si terranno a Torino numerose udienze del processo d’appello dell’operazione “Scripta Manent”, in cui 23
anarchiche e anarchici sono imputati a vario titolo per episodi e pratiche di attacco che appartengono al patrimonio
delle lotte contro l’Autorità. Operazione su operazione, processo dopo processo, lo Stato affina gli strumenti
giuridici per criminalizzare l’agire anarchico e rivoluzionario, colpire le lotte, soffocare la solidarietà,
inasprire l’isolamento carcerario per le prigioniere e i prigionieri. Da una parte, lo Stato e il Capitale, con le
discriminazioni, la repressione, lo sfruttamento, le guerre e le stragi di cui si rendono responsabili ogni giorno
Dall’altra diverse pratiche e strumenti per mettere in discussione, ostacolare, attaccare ruoli e strutture
responsabili di tutto questo. Siamo orgogliosi e orgogliose di aver scelto da che parte stare. Orgogliose e
orgogliosi di lottare.
Giovedì 24 Settembre dalle 9: presenza all’aula bunker del carcere delle Vallette (dentro e fuori).
Sabato 26 Settembre ore 11: presenza solidale in P.za Borgo Doria (Torino).
Domenica 27 Settembre dalle 15: presidio al carcere di Alessandria.
Solidali con gli imputati nel processo “Scripta Manent”.
Ostili all’alienazione dei processi in videoconferenza e ai provvedimenti per impedire la presenza solidale in aula.
Contro tutte le forme di reclusione.
Per non dimenticare le proteste e le rivolte nelle carceri del Marzo scorso, represse dallo Stato con 13 morti,
pestaggi e trasferimenti di massa.
Per rivendicare che lottare è giusto e necessario.
Settembre 2020, Cassa Anti Repressione delle Alpi Occidentali
Nelle udienze 7, 8, 9 settembre il pm Sparagna ha fatto e concluso la sua requisitoria, passandosi continuamente la
parola con il procuratore generale di corte d’assise in appello. Hanno richiesto la condanna per tutti, negando il
riconoscimento del “ne bis in idem” (divieto di doppio giudizio per il medesimo fatto), il non riconoscimento delle
attenuanti generiche per tutti e, nello specifico, la non continuazione del reato per quello che riguarda il
ferimento di Adinolfi. Si richiede anche il riconoscimento del reato di strage per l’attacco alla caserma dei RIS di
Parma. Il 9 Alfredo ha rilasciato una dichiarazione, successivamente anche Lello. Le udienze continueranno anche a
novembre e la sentenza è prevista per il 24 novembre.
***
A Treviso il 23 novembre inizierà il processo a Juan in corte d’assise con giuria popolare. Il capo d’imputazione è
strage. Il 23 novembre ci sarà una presenza in aula. Non si sa se Juan verrà trasferito o meno, visto anche che per
l’udienza del 2 luglio la traduzione è stata annullata all’ultimo momento. Per scrivere:
Juan Antonio Sorroche Fernandez, Strada delle Campore n. 32 05100 TERNI
Lettera dal carcere di Tolmezzo (UD)
Carissimi amici [...], avevo ricevuto con piacere e senza problemi la posta 1 del 13.3.2020 n. 2IVC0004394108 alla
quale avevo prontamente risposto con una lunga missiva che però è stata trattenuta. Adesso non so dunque cosa posso
scrivervi e cosa no. Vado per tentativi. Anzitutto vi invio un abbraccio, siete in gamba. Poi ho sostenuto l’esame di
Diritto del Lavoro che ho superato con 30/30, e adesso sto preparando Diritto Amministrativo nonostante non abbia mai
tempo, occupato come sono a difendere i miei diritti. Proprio oggi mi sono state notificate le ordinanze del MdS di
Udine con cui sono stati accolti tutti i reclami avverso tutti i rapporti disciplinari che mi fanno giornalmente
perché oso salutare gli altri detenuti chiamandoli per nome e perché mi rifiuto di alzare i piedi durante i continui
controlli con il metal detector. Infatti, la prassi penitenziaria prevede che la contestazione degli addebiti avvenga
ad opera del solo comandante su delega del direttore, in violazione dell’art. 81, comma 2, DPR 230/2000 (così si è
espressa Cass. Sez. I, 21.12.2017 n. 16914, RV 272786). Il MdS di Udine è dello stesso avviso ritenendo “che la
delega in sede di contestazione debba avvenire alla presenza di due persone, il direttore che contesta compitamente
il fatto, appunto alla presenza del comandante, come previsto espressamente dall’art. 81, comma 2, reg. es., e che il
primo possa conferire delega scritta […] ma solo ad un funzionario” (MdS Udine, ord. 17.6.2020 n. 2020/506 SIUS). Per
cui un reclamo presentato correttamente comporterà l’annullamento di qualunque sanzione (vi allego una bozza di
reclamo generico). Ultimamente si è pronunciata la Corte costituzionale, con sentenza n. 97 depositata il 22 maggio,
ha dichiarato incostituzionale l’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f) O.P. nella parte in cui prevedeva il divieto
di scambio oggetti tra appartenenti allo stesso gruppo di socialità. Nonostante questo e nonostante io sia titolare
di ordinanza del MdS di Sassari che mi permette di scambiare i libri con i miei compagni di gruppo, al momento
l’amministrazione si rifiuta (in palese violazione dell’art. 136, comma 1, Cost., secondo cui la norma dichiarata
incostituzionale cessa di avere effetto dal giorno successivo al deposito delle motivazioni di sentenza). Il 23
giugno ho avuto udienza dinanzi al MdS di Sassari per la sostituzione del commissario ad acta che si rifiuta di dare
esecuzione ad un provvedimento (che stranamente è lo stesso direttore resistente: io ho chiesto che venga nominato il
comandante della GdF di Tolmezzo), anche alla luce della seguente sentenza di Cassazione: “Il magistrato di
sorveglianza, a fronte della presentazione, da parte dell’interessato, dell’istanza rivolta ad ottenere la
sostituzione del commissario ad acta già nominato per l’ottemperanza di precedenti provvedimenti, avrebbe dovuto
svolgere gli opportuni accertamenti e le necessarie valutazioni di merito, verificando se l’ottemperanza fosse stata
compiuta o se sussisterebbero le condizioni per l’adozione di ulteriori provvedimenti, ivi compresa l’eventuale
sostituzione del commissario ad acta” (Cass.Sez.I, 13.2.2019, n.35654, dep. Il 5.8.2019, Attanasio). A proposito poi
la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 59 del 12 febbraio, depositata il 26 marzo 2020, ha dichiarato estinto il
procedimento per il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente del TdS di Perugia in
quanto quest’ultimo in data 29 ottobre 2019 ha rinunciato perché nel frattempo la nota su Capecchi mi è stata
consegnata (se vi ricordate il conflitto era nato perché il Presidente aveva inviato la nota affinché mi venisse
consegnata, ma l’Amministrazione si era rifiutata). Tuttavia l’ordinanza è importante perché da conto del fatto che
l’Amministrazione si è arresa ed ha eseguito gli ordini pur di non far pronunciare la Consulta. Ultimamente, dopo 20
mesi di istanze quotidiane, sono venuto in possesso della nota DAP con cui fu disposto il mio trasferimento da
Sassari a Roma. Io sospettavo che fosse avvenuto perché lì mi venivano accolti molti reclami riguardanti lo studio
(acquisto computer, acquisto libri, scambio libri coi compagni di gruppo, accesso in biblioteca centrale), ma adesso
ne ho la certezza perché risulta scritto nero su bianco: “… egli, presso la sede penitenziaria di Sassari, ha tenuto
un atteggiamento consapevolmente orientato ad ottenere, tramite reclami alla Magistratura di Sorveglianza, “successi”
finalizzati a stravolgere le modalità di attuazione del regime 41 bis e in diversi casi raggiungendo l’obiettivo
prefissato. Egli infatti è stato oggetto di diverse ordinanze di accoglimento di reclami che, anche al fine di
garantire uniformità di gestione nell’ambito dell’istituto dovranno essere tempestivamente sottoposte al Magistrato
di Sorveglianza di Roma per le determinazioni del caso.” (nota DAP 18.7.2017 n. 0235001). Ovviamente ho impugnato
tale nota DAP. Vi scrivo solo questo, ossia nulla di che, sperando che almeno questa vi arrivi. Vi invio un abbraccio
con affetto Alessio.
27 giugno 2020 [timbro “visto censura” 9 luglio 2020]
Alessio Attanasio, via Paluzza, 77 – 33028 Tolmezzo (Udine)
***
Al Magistrato di Sorveglianza di ...
Oggetto: reclamo avverso la sanzione disciplinare irrogata dal CDD in data ...
Il sottoscritto ... nato a ... il ... attualmente ristretto presso la casa circondariale di …, con il presente atto
propone RECLAMO ex art. 69, comma 6, lett. a) O.P. avverso il rapporto disciplinare e la relativa sanzione di cui in
oggetto.
Motivi del reclamo
Violazione dell’art. 81, comma 8, DPR 230/2000 dal momento che la comunicazione dell’atto sanzionatorio deve
contenere l’esposizione dei fatti, le fonti di prova e le motivazioni della decisione. (1)
Violazione dell’art. 81, comma 2, DPR 230/2000 poiché la contestazione è stata effettuata dal solo comandante senza
la presenza del direttore: invero, quest’ultimo può delegare soltanto un altro funzionario, ed il vizio di forma non
resta assorbito in caso di partecipazione al Consiglio di Disciplina. (2)
Violazione dell’art. 38, comma 1, O.P. poiché il fatto commesso non è espressamente previsto come infrazione del
regolamento: invero, la mancata corrispondenza tra il fatto concreto e la fattispecie astratta vìola il principio
generale di tassatività. (3)
Violazione dell’art. 38, comma 2, O.P. poiché la sanzione non risulta essere adeguatamente motivata. (4)
Violazione dell’art. 81, comma 4, DPR 230/2000 poiché non vi è stata alcuna comunicazione della convocazione dinanzi
al Consiglio di Disciplina (deve essere comunicato sia il giorno che l’ora esatta). (5)
Violazione dell’art. 38, comma 3, O.P. perché vi è sproporzione tra fatto contestato e sanzione irrogata.
Per questi motivi si chiede l’accoglimento del reclamo e l’annullamento di sanzione e rapporto disciplinare.
(luogo e data) In fede...
(1) MdS di Reggio Emilia 22.11.2004 n. 48/04 reclami.
(2) Cass. Sez. I, 21.12.2017, n. 16914, RV272786; Mds Sassari 26.9.2017 n. 2017/2393 SIUS;
MdS Udine 17.6.2020 n.2020/506 SIUS.
(3) Cass. Sez. I, 26.6.2017, n. 37792.
(4) Cass. Sez. I, n. 48828/2009; MdS Roma 6.5.2019 n. SIUS 2018/9736.
(5) Cfr. Cass. Sez. I, 7.10.2019 n. 43862/19; MdS di Novara 7.10.2013 n. SIUS 2013/4262; MdS di Sassari 19.5.2016 n.
SIUS 2015/6889; MdS Romsa 4.6.2018 n. SIUS 2017/21232; TdS roma 18.10.2019 n. SIUS n. 2019/306.
***
Udine: PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ CON I DETENUTI DEL CARCERE DI VIA SPALATO
Saremo davanti al Sert per denunciare quello che i detenuti del carcere di Udine ci hanno detto più volte: la
malasanità in carcere è tortura. Infatti il dispositivo sanitario-giudiziario costituisce un blocco micidiale che ha
portato lo scorso 15 marzo alla morte di Ziad e comunque, ultimamente, almeno un morto all'anno; e inoltre ad avere
attualmente quasi il 60 % di detenuti reclusi in via Spalato in carico al Sert di Udine. Ci saremo per denunciare
queste pratiche, che servono solo a zittire chi protesta in carcere e ad annientare i conflitti. Dalla parte di chi
si ribella e lotta, fuori e dentro il carcere!
Sabato 26 settembre: davanti al SERT, via Pozzolo 330
Assemblea permanente contro il carcere e la repressione – Udine-Trieste
Lettera dal carcere di Milano-Opera
Qui novità importanti non ce ne sono, tutto è stagnato si continua ad andare avanti alla cieca con circolari nuove da
parte del DAP, ma aperture vere non ce ne sono. Ci fanno andare avanti con videochiamate e Skype. I colloqui
continuano ad essere con un solo familiare, un’ora per due volte al mese, con guanti mascherina e vetro divisorio. Se
abbracci il familiare si va in quarantena in attesa del tampone. E a mio avviso non cambierà nulla finché, gli
scienziati non trovano un vaccino sicuro e questo poi arriva anche a noi. Infatti non basterà che trovino un vaccino
per sconfiggere questo virus, bisogna poi che questo arrivi anche a quei poveracci che è la massa della società. Noi
apparteniamo agli ultimi, e per ultimi siamo predestinati a ritornare a una vita normale che poi in questi posti non
è mai normale. Mettici poi che lo stato ha una parte di noi, ci fanno fare i ballerini tra il regime 41 bis e l’as1.
Oramai siamo una merce che la destra e la sinistra italiana usano senza vergogna per coprire le loro ruberie verso il
popolo votante.
Noi siamo quelli che loro, con le varie commemorazioni che si sono stabilite durante l’anno gridano “al lupo, al
lupo!”. Sono così stomachevoli con loro i media che gli danno voce ci sono momenti che nemmeno sanno cosa farsene di
noi, trafficano in pace e non serviamo come […] e così veniamo bombardati di circolari da qualche psicopatico che non
sa come trascorrere il tempo nel suo ufficio a Roma e così decide di non farci passeggiare a una certo ora del giorno
o di farci chiudere i blindati e altre stronzate del genere. Riabilitarsi? Ci si ribella, ma lo si fa in questi
regimi individualmente. Ci sono molti anziani e la maggior parte litigano perché gli si porta la pasta fredda dalle
cucine, ma si sta zitti se non gli fanno abbracciare la moglie. Spesso è frustrante, ma è così e si va avanti. […].
La classe governante, gli imprenditori, i professionisti, i negozianti, la classe proletaria è uno scalare con un
comune denominatore, la mentalità. Si pensa allo stesso modo nelle proprie cose, differentemente da quando c’era un
solo operaio; allora si era coscienti che il pesce grande mangiava il più piccolo. Oggi non è più così e la lotta è
più tosta quando si decide o si ha sempre quell’indole, quel carattere di battagliare per il giusto. Un abbraccio a
tutti i compagni.
***
UN PRESIDIO AL BECCARIA
Sabato 3 ottobre siamo andati a salutare i ragazzi rinchiusi al minorile “Beccaria”. L’edificio è in ristrutturazione
dal lontano 2008 e ad oggi un intero padiglione è ancora chiuso. Per questa ragione c’è parso di capire che i
detenuti pur essendo pochi, siano in una condizione di sovraffollamento, “risolta” trasferendoli nelle strutture più
vicine come Bologna e Torino. Nelle ore passate sotto le mura ci è stato riferito da alcuni amici che abbiamo
incontrato lì fuori che i ragazzi hanno le ore d’aria scaglionate; quando sono rientrati dall’aria, si sono
affacciati e ci hanno risposto in vari modi, tranne a domande esplicite su come stessero dentro e come fosse passato
il periodo del covid. Abbiamo però lasciato un indirizzo cui scriverci e sicuramente torneremo là sotto. (Alcuni
presenti sotto il carcere).
Lettere dal carcere di Lecce
Ciao cari compagni e compagne di Ampi Orizzonti, sono un detenuto della provincia di Caserta, mi trovo qui a Lecce
alla sez. AS3 da nove anni.
Qualche giorno fa un mio amico mi ha fatto vedere il vostro opuscolo e parlato di voi.
Ho trovato veramente interessante le problematicità che affrontate e sarei contento di ricevere quando potete
materiale delle vostre problematiche che affrontate. Ed anche chiedervi se posso essere di aiuto.
Anni fa mi trovavo a Palmi sez. Eiv e là venivano varie associazioni. Ricordo che sono stati molto utili nel
sostenerci ad alcune proteste perchè insieme a noi c'erano anche alcuni “terroristi”, così li definisce questo stato.
Per me sono compagni che lottano per una giusta e comune lotta.
Non voglio prolungarmi, poi man mano vi spiegherò la mia vita fatta da 20 anni di cella di cui 10 anni tra 41 Bis ed
Eiv. Vi ringrazio del vostro sostegno. (6 agosto 2020)
***
Ciao carissimi amici di “Ampi Orizzonti”, chi vi scrive è un ragazzo che purtroppo è in carcere per errori fatti in
adolescenza, sconto la condanna con questo sistema indegno senza oppormi. Anche nei testi biblici c'è Cristo, che già
a quei tempi c'è chi dice di dar a Cesare ciò che è di Cesare, io sconto la mia pena e tolgo il disturbo a questo
sistema corrotto fatto e diretto da sola gente borghese e senza scrupoli. Io non mi sento più di appartenere a questo
sistema.
Comunque cari amici vi faccio sapere con grande gioia e stupore che ho ricevuto molto materiale inerente alla vostra
causa, alle tematiche che cercate di divulgare con il vostro impegno, vi stimo infinitamente! Siete come una lucciola
in una notte – un piffero che dà speranza a chi la speranza l'ha persa, conoscendo sulla propria pelle la realtà di
questo sistema corrotto e sbagliato.
Vorrei rendermi utile in qualche modo nei vostri confronti, ma so bene che nella mia posizione posso fare ben poco o
quasi niente. Comunque se posso rendermi utile in qualche modo fatemelo sapere ok? Intanto vi esorto a non mollare
mai la vostra causa!
Ho dato un vostro manifesto ad un compagno che come me ha a cuore le vostre tematiche e credo che vi scriverà anche
lui al più presto.
Vi ringrazio immensamente per il libro che mi avete spedito, ve lo restituisco con immensa gratitudine. Io credo che
l'autore “Ernest Hemingway” oltre alla morale che ha voluto far percepire a tutti i lettori, la mia lettura è anche
che quello è ciò che succede alle nazioni avide, le nazioni capitaliste. Che fanno tutto per accumulare Beni,
Capitali, ma alla fine se li porta il vento…
In questo sistema Capitalista si accumula per farne cosa? A che ti servirà creare tutte queste disuguaglianze quando
si arriva alla fine del percorso della vita? Il ragazzo credo che sia il chiaro esempio di ciò che sarebbe stato un
paese più equo, garantendo pasti a grandi e piccini - il vecchio se ne rende conto quando ormai è troppo tardi. Lo
cerca ma sa che ormai è troppo tardi e non potrà fare niente per farsi aiutare.
Comunque cari amici a parte questa mia visione un po' fuori dal coro, vorrei e ve ne sarei immensamente grato se mi
potreste mandare qualche altro libro con argomenti più consoni alle vostre tematiche, certamente lo leggerei e ve lo
rispedirei subito, non perdereste niente ve lo assicuro, garantisco con la mia parola. “Un popolo ignorante non sarà
mai libero”.Magari se sono di molte parole eviterò di scrivervi inutilmente e sarà una corrispondenza volta solo a
nutrire la mia sete di sapere. E magari se ci saranno novità o aggiornamenti che riterrete opportuno farmi sapere me
lo farete sapere voi ok?
E poi cari Amici di “Ampi Orizzonti” vorrei anche sapere se avete la possibilità di farmi conoscere altre
organizzazioni che come voi portano alla luce cause sconosciute agli occhi di tutti. Vorrei avere i loro contatti per
poter rimanere costantemente aggiornato sulle vostre lotte. E magari un giorno in libertà unirmi a voi e alla vostra
causa! Io credo in ciò che sogno, e con questo credo di essermi reso chiaro! Con questo ora miei cari amici di “Ampi
Orizzonti” vi saluto e vi abbraccio fortemente, vi stimo tantissimo! Non mollate mai! Spero di ricevere vostre
ulteriori notizie presto. Con immensa stima. (Lecce, 6 agosto 2020)
Lettera dal carcere di Firenze
Ciao carissimi operatori di “Associazione Ampi Orizzonti”, è la prima volta che scrivo a voi. Volevo far sapere a
qualcuno le condizioni in cui viviamo noi detenuti, all'interno di questo ex carcere a custodia attenuata.
Per quattro mesi, a parte le guardie, non si è visto nessuno, “eravamo in piena pandemia”, funzionava giusto la
cucina, e si vedeva giusto il medico e le infermiere. Ma a livello di direttrice e educatori nulla. Praticamente
abbandonati a noi stessi, novanta anime. Il 13 gennaio sono uscito in permesso premio accompagnato da un volontario
sei ore.
Poi ho chiesto un secondo permesso che mi è stato bloccato per emergenza “corona virus”. Il 7 giugno ne ho richiesto
un altro, finalmente il 6 agosto è arrivato con esito positivo, sempre 6 ore e sempre accompagnato, peccato però che
fino a fine agosto non riuscirò a uscire “se va bene” visto che stanno aumentando i contagi.
Purtroppo il magistrato che firma è provvisorio, di conseguenza non si prende molte responsabilità e posso anche
capire. Quello che non capisco è all'interno dell'istituto è soprattutto perchè la mia educatrice non ha contattato
il volontario nei primi giorni, ha aspettato una settimana, lo ha chiamato mercoledì 5 agosto, si perchè loro vengono
sempre di giovedì, infatti ho parlato con lui e quà c'è da ridere perchè mi ha risposto che venerdì 7 sarebbe partito
per le vacanze.
Mi sento preso in giro sembra quasi una manovra combinata per non farci uscire.
Comunque questa notte non sono riuscito a dormire dal nervoso, sapendo che ho il permesso in matricola e devo
aspettare ancora almeno un mese se va bene. Non ho mai avuto rapporti disciplinari, e vado d'accordo con tutti. “C'è
qualcosa che non va”.
Credetemi quasi tutta la popolazione detenuta sta facendo richiesta di trasferimento. Siamo veramente messi male. Non
vi annoio con tutte le mie lamentele in queste ultime righe vorrei spiegare chi sono io.
Il 31 dicembre sono tre anni, sì perchè nel 2017 non ho fatto a tempo a festeggiare capodanno alle venti e trenta mi
hanno fermato e via definitivo di due anni e sette mesi, poi me ne sono arrivati altri, due anni e mezzo. Tutte
denunce per stupidaggini, nessuna flagranza di reato.
Spero in una vostra risposta anche perchè non scrivo con nessuno, il mio babbo è deceduto mia mamma praticamente non
la conosco. Se volete magari due righe oppure se avete la possibilità di qualche gadgets, mi farebbe piacere. Scusate
la pessima scrittura e soprattutto gli errori. Un saluto. (7 agosto 2020)
Lettera dal carcere di Parma
Gentilissima Olga e tutti i compagni e tutte le compagne di Ampi Orizzonti.
Per prima cosa vorrei parlarvi di quel ragazzo che hanno ucciso a Colleferro le 4 bestie, così le definisco, che
proprio in questi giorni la guardia di finanza gli ha tolto pure il sussidio di cui beneficiavano per fare la bella
vita, quante persone che non possono nemmeno comprarsi il pane e loro 4 facevano una vita di lusso. Ma la guardia di
finanza ha scoperto che prendevano il reddito di cittadinanza e adesso devono restituire i 30.000 euro che si sono
presi: e poi il magistrato gli ha cambiato il reato da loro commessi, da omicidio volontario a omicidio
preterintenzionale, e con questo o prendono l’ergastolo o 30 anni perché c’è pure il reato di razzismo.
Anch’io sono un detenuto ma non ho mai fatto una cosa del genere: sono un uomo di fede di pace e di amore e non porto
odio a nessuno e nemmeno rancore, non so se la mia lettera di prima l’avete ricevuta, ma ne ho fatto già un’altra. Vi
ringrazio di tutto il vostro lavoro che fate è molto impegnativo e fate sapere tutto quello che succede nelle
carceri. Non so se verrà pubblicata questa mia lettera, ma se lo fosse, mandate tanta solidarietà alla mamma di
Willy. Un forte abbraccio a tutti. (Settembre 2020)
Lettera dal carcere di Agrigento
Car* compagn*, l'avvocato con una sua lettera mi ha spiegato un po' di cose su cosa potrà avvenire quando ci sarà
l'appello che dovranno fare sulla condanna di primo grado, dove sono stato condannato a 12 anni.
L'appello potrebbe capovolgersi se il pubblico ministero si fosse appellato e di conseguenza potrebbero contestarmi
solo l'aggravante dell'art. 280bis cp (codice penale); ma non però il secondo aggravante l'art. 270bis cp, perchè non
ci sarebbero sufficienti elementi per supporrere un'associazione; però il 280bis possono contestarmelo in quanto gli
attentati incendiari li rivendicai al dibattimento di primo grado, come in primo grado mi dichiarai: militante
dell'estrema sinistra-antifascista.
Non sono ansioso di conoscere se verrà ribaltata la sentenza, se verrà contestata l'aggravante art.280bis o se mi
verrà abbassata la condanna.Qualunque fosse la loro decisione che prenderanno l'accetto perchè continuo a ribadire
che ciò che feci doveva essere fatto e continuo a ribadire senza vittimismo e nemmeno piagnistei di non fare un passo
indietro, né intendo mantenere le distanze dagli “anarchici” come ribadii al dibattimento di primo grado.
Intanto: ho ricevuto il vostro piego di libri che conteneva fogli bianchi, tre cartoline, e “Ampi Orizzonti” che è
stato depositato al casellario, perchè materiale ritenuto “non commerciale” […]. Anche altri compagni di Rovereto
(Tn) mi hanno spedito piego di libri che al momento è stato inviato all'autorità giudiziaria per una visione del
contenuto, poi dovrà decidere se trattenerla oppure consegnarmela.
Oggi sono scaduti i sei mesi della censura in data 24/08/020, ma, al momento, non mi è pervenuto nessun rinnovo della
censura.
Vi mando un mio abbraccio a tutt* voi, attendo un vostro scritto. Ciao, Mauro.
25 agosto 2020
Mauro Rossetti Busa, p.zza Di Lorenzo, 1 Contrada Petrusa - 92100 Agrigento
Il Tribunale di Sorveglianza di Palermo ha prolungato a Mauro la censura per altri tre mesi, nonostante che il 24
agosto avesse terminato i 6 mesi; i motivi addotti sono i seguenyti: “emergono elementi allarmanti, evidenzianti la
inequivoca necessità di proseguire l'attività di elevato controllo al fine di assicurare la tutela delle esigenze di
sicurezza e ordine interno ed esterno al carcere, nonché la prevenzione della commissione di delitti di particolare
allarme sociale.”
notizie dalle carceri
Segue una rassegna di notizie e informazioni sulle carceri riportate da diversi giornali nazionali e locali.
Chiediamo a tutti i prigionieri di portare contributi diretti sui fatti riportati, in modo tale da liberarci dalla
stampa dei sindacati di polizia penitenziaria e dei governi di turno.
28/29/30 settembre, da Il Domani, Nello Trocchia, Santa Maria Capua Vetere: La spedizione punitiva della polizia in
carcere. Ecco le prove degli abusi. Il 6 aprile nel carcere di Santa Maria Capua Vetere circa trecento poliziotti
hanno picchiato selvaggiamente i detenuti. Ci sono almeno un centinaio di indagati, incastrati dai racconti di chi ha
subito le violenze e dai video nelle mani dei magistrati. Dopo il 6 aprile, diversi articoli di stampa hanno posto la
questione, ma il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha sempre ribadito che nessuna agitazione prevede
l’uso della violenza. I video delle telecamere di sorveglianza del carcere, ora agli atti dell’inchiesta della
procura di Santa Maria Capua Vetere, provano i pestaggi.
Alcune testimonianze di un ex prigioniero del carcere ora fuori: “Aprono una cella alla volta. Entrano nella mia e
dicono “avete fatto la protesta?” e giù manganellate, botte. Ci hanno devastato”. Quello che stava accadendo nelle
celle era solo l’inizio. “nel corridoio c’erano polizotti a desta e sinistra, al nostro passaggio partivano con
calci, pugni, manganellate, fino al piano terra”. I detenuti dovevano guadagnarsi l’uscita attraversando il corrido
e le scale. Nei video si vedono detenuti inginocchiati, schiacciati contro il muro, finiti con costole rotte e traumi
di ogni genere. “sono tornato in cella in ginocchio non riuscivo a stare in piedi”. "Ricordo che c'era anche un
detenuto sulla sedia a rotelle. Anziano e diabetico. Hanno colpito con il manganello anche lui. Di questa violenza
c'è il video, l'ho visto". "Noi non avevamo niente, abbiamo solo subito, sono le classiche "pezze d'appoggio" per
giustificare gli abusi, ad alcuni detenuti hanno tagliato le barbe, il massimo dell'umiliazione". Un funzionario del
DAP: "Mandare un contingente di agenti provenienti da altre carceri, come è accaduto al Francesco Uccella, è un
errore madornale. Gli agenti che vengono da fuori sanno che in quel carcere non torneranno più e non si controllano.
Alla fine da lì andranno via".
Al momento, l'indagine è nella fase preliminare, con la notifica agli indagati di un decreto di sequestro e
dell'avviso di garanzia. Decreti notificati, lo scorso 11 giugno, all'esterno del carcere di Santa Maria Capua
Vetere.
26 settembre, Napoli. "Una vita non può valere una condanna". È questo lo slogan urlato delle mogli dei detenuti che
hanno improvvisato una protesta fuori dal carcere di Poggioreale. Incatenate tra di loro si tengono per mano e
stringono delle catene formando una barriera umana per impedire la circolazione delle automobili. Urlano per farsi
ascoltare da chi, secondo loro, ha abbandonato i propri cari ad un ingiusto destino e gridano per farsi sentire dai
mariti, figli, fratelli e padri che sono nella casa circondariale.
Sempre a Poggioreale l’11 settembre una donna si era incatenata: "Mio figlio tossisce sangue e allora mi sono legata
qua, davanti al carcere, e ci resto finchè non lo curano".
27 settembre, Milano. In Europa calano i reati e i detenuti. In Italia sempre meno delitti, ma le carceri esplodono.
Il dato principale pubblicato dai dati Eurostat riguarda il numero di detenuti in Europa nel 2018 per 100.000
abitanti: 111, la cifra più bassa degli ultimi anni. Numeri che dimostrano un generalizzato e diffuso calo delle
persone detenute e confermano anche la diminuzione dei reati commessi. Inoltre, resta alto il tasso di
sovraffollamento: 115%, quarti su 27. Ancora una volta l'Italia si piazza ai primi posti in Europa per questo
drammatico ed annoso problema.
La lettura dei dati sul numero di ristretti dal 2009 al 2018 mostra un netto calo a partire dal 2013 (per gli effetti
della sentenza Torreggiani della Cedu) seguito, però, da una rapida risalita che ha portato ai 61.131 detenuti del
2018. Numero rimasto sostanzialmente costante fino all'esplosione dell'emergenza da Covid-19 (al 29 febbraio 2020 vi
erano ancora 61.230 detenuti). Vero che i provvedimenti adottati per gestire l'emergenza sanitaria negli istituti
penitenziari hanno comportato una riduzione del numero dei detenuti (52.520 al 5 giugno 2020, secondo il bollettino
del Garante nazionale), ma ciò non è stato sufficiente a risolvere il problema del sovraffollamento: la capienza
regolamentare è, infatti, di circa 51.094 detenuti, ma quasi 4.000 posti non sono disponibili per lavori in corso.
Peraltro, i numeri dimostrano un continuo aumento della capienza delle carceri italiane (dai 44.838 posti del 2009 ai
51.141 del 2018), a dimostrazione di come non sia sufficiente costruire nuovi istituti per risolvere il problema del
sovraffollamento.
23 settembre, Viterbo. Una foto della madre, deceduta. Tommaso Costa la teneva con sé nella cella del carcere di
Viterbo, dove è detenuto. Gli agenti di Mammagialla trovano quell'immagine il 3 maggio 2016, e la sequestrano perché
"eccedente (18 x 15) le misure massime (10 x 15) stabilite dal regolamento interno" del carcere. Un provvedimento
contro il quale Costa si "ribella", rivolgendosi al magistrato di sorveglianza di Viterbo che però "rigetta il
reclamo". Ma detenuto ricorre in Cassazione, chiedendo la restituzione della foto "in virtù del fatto che l'immagine
della madre deceduta era da ritenere funzionale alla cura del proprio diritto all'affettività". La suprema corte
accoglie il ricorso
23 settembre, Roma. Sì ai domiciliari anche se l'ospitante non garantisce il mantenimento al detenuto. Corte di
cassazione - Sezione II penale - Sentenza 21 settembre 2020 n. 26507. La capacità economica di chi si rende
disponibile a ospitare nella propria casa il detenuto che chieda il beneficio degli arresti domiciliari non incide
sulla concessione degli stessi. E, come afferma la Corte di cassazione con la sentenza n. 26507 depositata ieri, il
giudice "non deve" prendere in considerazione tale elemento ai fini della concessione della detenzione domiciliare,
in quanto la sua decisione va fondata solo sull'idoneità del luogo indicato per la detenzione domiciliare e sulla
raggiunta valutazione che escluda la "prevedibilità" di un mancato rispetto delle prescrizioni, che vengono imposte
al richiedente la misura alternativa al carcere.
22 settembre, Irlanda. Prigionieri in sciopero della fame per solidarietà con un detenuto palestinese. Oltre una
cinquantina di prigionieri irlandesi (in gran parte militanti repubblicani, ma anche "comuni") rinchiusi nella
prigione di Maghaberry (Irlanda del Nord, un carcere tristemente ben noto a generazioni di Repubblicani) si sono
uniti allo sciopero della fame del Dr. Issam Hijjawi Bassalat per protestare contro l'isolamento imposto al detenuto
palestinese dalle autorità carcerarie. Originario della West Bank, in UK dal 1995, Bassalat è considerato un
militante antimperialista oltre che eminente esponente della sua comunità in Scozia. Il sessantaduenne medico
palestinese era stato arrestato con nove militanti repubblicani in seguito a una operazione - denominata "Operazione
Arbacia" - contro la New IRA (repubblicani dissidenti contrari agli accordi di Pace). Frutto di un'ampia
collaborazione tra Servizi britannici (MI5), polizia irlandese (Gardai), polizia scozzese, polizia londinese e
centinaia di membri della PSNI (polizia nord-irlandese).
Afflitto da varie patologie (in questi giorni ha subito una IRM), il Dr. Issam Hijjawi Bassalat è attualmente
rinchiuso a Foyle House, prigione considerata pericolosa in quanto contaminata dal Covid-19. Bassalat aveva avviato
lo sciopero della fame il 16 settembre dopo essere stato nuovamente sottoposto all'isolamento. E immediatamente i
prigionieri irlandesi - repubblicani e non - sono entrati in sciopero della fame al suo fianco. Dopo che gli è stata
rifiutata anche la scarcerazione su cauzione, il medico palestinese dovrebbe ora far ricorso all'Alta Corte per poter
rimanere in libertà, per quanto vigilata, fino al processo.
22 settembre 2020, Iran. Rricoverata in terapia intensive da 40 giorni, Nasrin Sotoudeh è in sciopero della fame in
difesa dei diritti dei detenuti. Sono gravi le condizioni dell'avvocatessa iraniana per i diritti umani vincitrice
del Premio Sakharov, attualmente detenuta. A renderlo noto è stato il marito Reza Khandan, che ha denunciato
l'impossibilità di avere contatti con la moglie, finita in terapia intensiva al Taleghani Hospital di Tehran per
insufficienza cardiaca, dopo 40 giorni di sciopero della fame. La protesta è iniziata l'11 agosto, contro le
condizioni di detenzione dei prigionieri politici in Iran.
18 settembre, Roma. Il governo vuole carceri più belle... e spera che tutti ci restino dentro. Nella bozza dei
progetti del Ministero della Giustizia da finanziare con i fondi europei (Recovery fund) ci sono 600 milioni per
costruire e ristrutturare gli edifici, ma poco o niente per il reinserimento sociale dei detenuti. Edilizia
carceraria, soprattutto. Poi lavori socialmente utili, quindi gratuiti. Infine qualche spicciolo per le misure di
reinserimento sociale, ma solo per i minorenni. Nulla, invece, è previsto per gli adulti: solo il finanziamento per
lavori di manutenzione all'interno delle carceri stesse.
In sostanza, la manutenzione ordinaria delle carceri verrebbe appaltata ai detenuti stessi, che sono anche i
lavoratori più economici sul mercato. Nessuna spesa sarebbe ipotizzata per il reinserimento sociale dei detenuti, con
percorsi di formazione che permettano di avere una possibilità di impiego una volta scontata la pena.
17 settembre, Milano. "A San Vittore celle con 7 detenuti chiusi quasi tutto il giorno in 20 mq". A denunciarlo
l'associazione Antigone Lombardia dopo che le sue osservatrici si sono recate in visita nella struttura. Celle da
sette detenuti in 20 metri quadri, corridoi e reparti inaccessibili. Questa la situazione del carcere di San Vittore
all'indomani dell'emergenza coronavirus. A denunciarla l'associazione che si occupa di diritti dei detenuti Antigone
Lombardia, dopo che le sue osservatrici hanno visitato la struttura detentiva per monitorarla.
16 settembre, Imperia. Riduzione di telefonate e videochiamate: protestano i detenuti. Con l'emergenza Covid era
aumentato il numero di telefonate e anche videochiamate con Skype e WhatsApp. I detenuti hanno così iniziato a
sbattere posate e altro materiale contro le grate della cella. La protesta iniziata alle 21.50 è proseguita per
un’ora.
12 settembre San Gimignano (Si). Pestaggi, citati i responsabili civili di Giustizia e Salute. Presunte violenze sui
detenuti, prima udienza preliminare per 5 poliziotti e un medico. Giovedì scorso si è celebrata la prima udienza
preliminare per decidere il rinvio a giudizio dei cinque poliziotti più un medico operanti nel carcere di San
Gimignano. I sei sono coinvolti nella vicenda del presunto pestaggio a un detenuto - il reato contestato è quello di
tortura - che poi, secondo ricostruzioni, venne lasciato in una cella ferito e svenuto.
8 Settembre, Piacenza. "Rubavamo per dare i soldi ai pusher. E alla Levante erano tutti d'accordo". L'ammissione
dell'appuntato Montella in carcere dal 22 luglio con altri 4 carabinieri. E ora la caserma riapre. Prima nega, schiva
le accuse pesanti come macigni che l'hanno trascinato in carcere per le violenze, le torture, le rapine agli
spacciatori e il traffico di droga in caserma a Piacenza. Nelle mani della Procura ci sono ore di intercettazioni che
hanno registrato in diretta le violenze e gli affari illegali dei carabinieri. Il principale indagato dell'inchiesta
che ha ferito l'Arma si difende negando che parte della droga sequestra andava agli spacciatori arrestati per
convincerli, dopo averli anche picchiati, a diventare confidenti. Succedeva lo stesso con i soldi presi agli
arrestati, che finivano anche nelle sue tasche.
5 settembre 2020, Roma. Bonafede porta la Polizia penitenziaria dentro l'Antimafia. Con un annuncio - passato
incredibilmente in sordina nei media - il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha affermato che "dal prossimo
10 settembre un Nucleo della Polizia penitenziaria entrerà a far parte della Direzione Nazionale Antimafia e
Antiterrorismo: 7 unità supporteranno il Procuratore Federico Cafiero De Raho analizzando ed elaborando informazioni
provenienti dall'ambiente penitenziario, in particolare dal circuito dell'Alta sicurezza". Agenti che forniranno "un
apporto decisivo in un settore sensibile come quello delle carceri" e in particolare, precisa ulteriormente il
ministro a scanso di equivoci, si occuperanno dell'analisi e dell'elaborazione "delle informazioni provenienti
dall'ambiente penitenziario, in particolare dal circuito dell'Alta sicurezza".
5 settembre 2020, Sardegna. Carceri in difficoltà: a Uta e Oristano detenuti in più rispetto alla capienza. La
fotografia della realtà detentiva al 31 agosto esaminata da Maria Grazia Caligaris (Associazione Socialismo Diritti
Riforme). "Hanno superato il numero regolamentare i detenuti della Casa Circondariale "Ettore Scalas" di Cagliari-Uta
(563 per 561 posti) e della Casa di Reclusione "Salvatore Soro" di Oristano-Massama (266 per 263). "Quello che salta
agli occhi - sottolinea - è la situazione delle Colonie dove a fronte di 613 posti disponibili ci sono soltanto 271
detenuti (200 stranieri). In particolare, l'incidenza maggiore con l'82,8% di stranieri si registra a Is Arenas-Arbus
dove sono recluse 70 persone (176 posti) di cui 58 straniere. Al secondo posto di questa singolare classifica si
colloca Mamone-Onanì con 133 reclusi (320 posti) 106 dei quali stranieri.
Infine, con 52,5% stranieri (36 su 68) c'è Isili (117 posti). In Sardegna sono complessivamente private della libertà
2.051 persone (37 donne) per 2.611 posti. Una situazione ottimale ma solo apparentemente. Sottraendo i posti vuoti
delle Colonie e delle sezioni chiuse per lavori, circa 90 posti soltanto a Badu 'e Carros, il margine di spazio
disponibile si riduce drasticamente e mostra la sofferenza dei posti nelle carceri costringendo i detenuti a
convivere in 3 o addirittura in 4 in celle progettate per 2 persone".
2 settembre 2020, Milano-Opera. Chiuse le indagini sui fatti del 9 marzo: in 22 sotto accusa. I detenuti si
ribellarono agli agenti della polizia penitenziaria chiedendo l'amnistia per il rischio coronavirus devastando le
celle e i corridoi. Le indagini della Procura della Repubblica di Milano si sono focalizzate su 22 di loro che,
chiusa l'inchiesta, ora rischiano concretamente di finire sotto processo per resistenza e minacce a pubblico
ufficiale, danneggiamento e incendio doloso. le indagini sono state coordinate dal sostituto procuratore milanese
Enrico Pavone che fa parte del pool antiterrorismo guidato dal pubblico ministero Alberto Nobili. Gli investigatori
inizialmente avevano puntato l'attenzione e denunciato un centinaio di detenuti, ma il loro numero si ridotto dopo
l'esame dei filmati delle telecamere di sorveglianza e grazie alle dichiarazioni di alcuni degli indagati che hanno
scagionato molti dei compagni assumendosi tutta la responsabilità dei principali episodi di violenza. A rischiare il
processo sono 15 italiani e sette extracomunitari.
1 settembre, Roma. Intercettazioni, da oggi più poteri ai pm. Anche sull'uso del trojan. In vigore la riforma. Entra
oggi in vigore la nuova disciplina degli ascolti. Al pm spetterà il ruolo di primo piano: sarà lui, infatti, a
decidere cosa è rilevante per le indagini e cosa non lo è. Le intercettazioni irrilevanti saranno coperte dal segreto
e non potranno mai essere pubblicate. Quelle rilevanti, invece, verranno inserite nel fascicolo, saranno pubbliche e
quindi potranno essere diffuse. Gli ascolti avverranno in una sala dedicata. Le attività di intercettazione
ambientale mediante utilizzo dei trojan, già consentite per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione, saranno estese anche ai delitti degli incaricati di pubblico servizio. Viene consentita
l'utilizzabilità delle intercettazioni effettuate per mezzo del captatore anche per la prova dei reati diversi da
quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, a condizione che si tratti di reati contro la
pubblica amministrazione puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni o di delitti attribuiti alla
competenza della Procura distrettuale.
6 agosto, Ivrea (To). Episodi di violenza archiviati, ora si chiede a Torino di avocare l'inchiesta. È stato il
Garante regionale Bruno Mellano a risollevare l'attenzione su quattro episodi che hanno una tortuosa storia
giudiziaria e per i quali garante e associazione Antigone hanno chiesto che sia la procura generale di Torino ad
avocare i fascicoli.
I maltrattamenti dei detenuti all'interno della "cella liscia", quella che dalle guardie penitenziarie veniva
chiamato "l'acquario": una stanza al piano terra del carcere che avrebbe dovuto essere la sala d'attesa
dell'infermeria e dove, invece, i detenuti venivano chiusi anche per ore, senza che nessuno potesse vedere
all'interno, mentre erano sottoposti a trattamenti "di contenimento". Le segnalazioni riportavano tre pestaggi
specifici e quella che è stata battezzata la "repressione di ottobre" per i fatti avvenuti nella notte tra il 25 e il
26 ottobre 2016. Testimonianze molto dure nelle quali si raccontava di almeno due detenuti vittime delle guardie
carcerarie, trattenuti prima in una delle celle del carcere e poi nel cosiddetto "acquario", la stanza che veniva
usata, illecitamente, come "cella di contenimento". La Garante nazionale, Emilia Rossi, dopo una visita a Ivrea
confermò il racconto delle vittime in una relazione ufficiale: "Gli agenti fecero ingresso nella stanza di uno di
loro lanciando il getto dell'idrante sul pavimento interno e lo presero violentemente a schiaffi e pugni sul viso e
sulla testa e, quando era scivolato a terra, a colpi di manganello sul costato". A febbraio di quest'anno, quando a
Torino è scoppiato il caso Vallette, l'avvocata della garante, Maria Luisa Rossetti, ha chiesto aiuto alla procura
generale depositando un'istanza di avocazione. Fino a ora non sono arrivate risposte e intanto la procura di Ivrea ha
chiesto nuovamente l'archiviazione che il gip aveva respinto.
6 agosto, Torino. Cadute e denti rotti, quegli strani incidenti avvenuti in carcere. Il Garante regionale dei
detenuti: "In un anno 75 infortuni con motivazioni lunari". Da gennaio 2018 a fine settembre dello stesso anno sono
stati registrati 166 strani incidenti all'interno del carcere di Torino, infortuni etichettati come accidentali che
destano molto sospetti. Ancor di più visto che 75 si sono verificati all'interno di un solo padiglione. Dopo i fatti
riscontrati al carcere Lorusso-Cutugno, una vicenda che ha portato a indagare 25 persone e a rimuovere il direttore
del carcere Domenico Minervini, quei fatti devono essere riletti con grandissima attenzione: "Leggendo il resoconto
di quegli incidenti emerge che si tratta di infortuni raccontati con motivazioni che potrei definire lunari - dice
Mellano - denti rotti mangiando una insalata, tumefazioni al naso causate da collanine appuntite, cadute dallo
sgabello mentre si gioca al solitario. Tutti episodi che lasciano perplessi".
4 agosto, Roma. Il 30 Luglio il ministro Bonafede ha firmato il decreto di riorganizzazione del Gruppo Operativo
Mobile. Nuovi poteri al Gom, così il reparto speciale assumerà la gestione del 41bis. Autonomia amministrativa e
contabile, obbligo di relazionare solo una volta l’anno (prima era ogni 3 mesi) al capo del Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Con il decreto del 30 luglio firmato dal ministro Bonafede, il Gruppo
Operativo Mobile (Gom) della Polizia penitenziaria diventa sempre di più un corpo del tutto autonomo, dove può
compiere una vera e propria gestione totale dei 41 bis. il direttore del Gom, oltre a gestire le finanze con tutto
ciò che ne deriva, può spostare uomini e mezzi in autonomia. Il rischio che il Gom diventi totalmente distaccato dal
Dap si fa sempre più concreto. Il Gom, nel passato, si è trovato al centro di pesanti polemiche e denunce per la scia
di pestaggi lasciati all’interno delle carceri dopo il suo passaggio, come quello nella struttura di San Sebastiano
di Sassari dell’aprile 2000, e per le brutali perquisizioni nel carcere milanese di Opera, fino alla gestione della
caserma Bolzaneto, con relative torture, durante il G8 di Genova 2001. Ora non è più così da anni, perché operano
gente qualificata e professionale. Ma il rischio di un ritorno al passato è sempre in agguato, soprattutto se rischia
di diventare un “corpo estraneo” al Dap e quindi relativamente fuori controllo.
Milano, ottobre 2020
SORVEGLIARE E ISTRUIRE. la SCUOLA AL TEMPO DEL COVID
Segue una breve intervista ad un insegnante di una scuola della periferia milanese che si trova a misurarsi con una
nuova organizzazione scolastica, in virtù della prorogata emergenza sanitaria Covid.
Il tanto sbandierato rientro a scuola, dopo la chiusura primaverile, è iniziato…
Come ogni anno, dopo la pausa estiva, i primi a entrare a scuola siamo noi prof per organizzare il nuovo anno
scolastico. E bisogna dire che la prima impressione non è stata delle migliori. Ci siamo trovati di fronte a spazi
architettonici completamente sconvolti. L’edificio è un cantiere aperto.
Il governo e, nella fattispecie, la ministra dell’Istruzione avevano annunciato cambiamenti atti ad affrontare in
sicurezza il nuova anno scolastico.
Il problema nasce proprio da cosa si intenda per migliorare e se in nome della sicurezza si possano e debbano attuare
dinamiche che oggettivamente vanno a peggiorare realtà precedenti.
Rimanendo sul piano degli spazi architettonici, in pedagogia è oramai una certezza che l’interazione migliore tra i
ragazzi avvenga in luoghi il più ampi possibili. La struttura in cui tantissimi bambini e ragazzi passeranno
quest’inverno più della metà della loro giornata è stata trasformata in un luogo claustrofobico. Contraddizione nella
contraddizione, le indicazioni sanitarie, pur andando nella direzione di caldeggiare spazi ampi che facciano
rispettare la famosa distanza di sicurezza, hanno imposto il rimpicciolimento di luoghi precedenti per crearne di
nuovi a norma Covid. Mi spiego. C’è voluto il Corona virus per smantellare le famigerate classi pollaio, aule di 30
mq che ammassavano quasi 30 alunni, e ci si aspetterebbe che finalmente questi ultimi vadano a vivere luoghi pensati
per i loro bisogni e necessità. Gli studenti saranno invece spostati in aule ricavate dalla distruzione e
soppressione di spazi di socializzazione importantissimi come la mensa scolastica, luogo in cui, quotidianamente, più
di 200 ragazzi tutti insieme mangiavano, ridevano e scherzavano.
Quindi i cambiamenti sono veramente importanti, drastici e senza ritorno direi. La cara, bella mensa di un tempo non
esisterà più. Non penso che gli operai del Comune, passato il Covid, butteranno giù i tramezzi alzati e neanche che
si costruirà ex novo un’altra ala dell’edificio per il refettorio. La paura che la nuova disposizione anti-Covid di
consumare il pasto in classe, da temporanea sia adottata per sempre, è reale. Il timore è che l’emergenza si
normalizzi, che le misure restrittive diventino la regola.
Il ministero ha dato disposizione di eleggere un “referente emergenza Covid” per plesso. Sarà in suo potere
controllare e segnalare che tutte le disposizioni prescritte dal protocollo Covid approntato dal governo siano
attuate. Le misure prevedono che dall’entrata all’uscita della scuola, gli studenti non siano più liberi di muoversi
in autonomia. Saranno scortati, in ogni loro movimento, dagli adulti presenti. È vietato qualsiasi tipo di
assembramento. La mascherina non potrà mai essere abbassata, pena 3 giorni di sospensione. Sono stati affissi nei
corridoi, nelle aule e sui pavimenti di tutta la scuola cartelli segnaletici che vietano, delimitano, indirizzano
qualsiasi tipo di movimento. È stato addirittura predisposto un senso unico di camminamento per far defluire il
passeggio ed evitare assembramenti. Al di là della futura efficacia, il tutto mi sembra estremamente inquietante.
Sembrerà un’affermazione forte, ma la scuola assomiglia sempre di più a un carcere.
Gli altri insegnanti cosa dicono di tutta questa situazione?
Siamo in una condizione di quasi totale servitù volontaria, giustificata da un presunto senso di responsabilità
indotto. Tranne sparute voci fuori dal coro, la stragrande maggioranza dei colleghi vive una dimensione di
estraniamento. Si è costretti ad attuare misure liberticide che vengono da ogni lato della società e della cultura
propinate, nel migliore dei casi, come la panacea necessaria per superare il momento di crisi. Ma, ripeto, l’unica
cosa certa è che tutti avvertiamo che niente sarà come prima. Non che le cose prima andassero nella direzione
migliore, ma l’emergenza Covid ha di fatto accelerato dinamiche che finora erano state aspramente criticate da tutto
il comparto pedagogico. Una su tutte, l’utilizzo massivo della tecnologia digitale, come elemento disumanizzante ed
estraniante. Di contro, la nostra scuola ha già deciso che, fino a data da destinarsi, i colloqui con i genitori,
effettuati in presenza fino allo scorso febbraio, verranno effettuati in videoconferenza.
Milano, settembre 2020, intervista a un insegnante
Maxiprocesso contro gli scioperi in Italpizza a Modena
I processi riguarderanno due vertenze importanti, quella consumatasi ai cancelli dell’azienda Alcar Uno di
Castelnuovo Rangone, e quella relativa alla rinomata Italpizza di Modena – vertenze assurte agli onori della cronaca
nazionale, in tempi diversi e per ragioni diverse. La Alcar Uno, storico marchio della lavorazione carni suine, è
stata anche il teatro, oltre che di una dura battaglia sindacale, del gaglioffo tentativo di incastrare Aldo Milani,
incappato nel 2017 in una provocazione dagli esiti fallimentari; mentre la vertenza Italpizza, ha investito
un’eccellenza dell’export italiano, vezzeggiata e iper-protetta dalla politica locale .
Gli inquisiti-operai sono sostanzialmente accusati di aver picchettato i cancelli di aziende in cui hanno speso anni
e anni della loro vita – ivi producendo valore e profitti. Nell’impostazione della Procura, lo sciopero è l’arma del
reato. La busta paga e la dignità, il movente. La scena del delitto: la precarietà, i cambi appalto, le finte
cooperative, l’abuso di contratti penalizzanti – le storie tristemente comuni, ormai di massa, dell’Emilia di oggi.
Per ognuno di questi imputati sono state raccolte e depositate dettagliatissime notizie di reato: tutto quello che
nel corso dei picchetti, dei canonici “tafferugli” o dei normali presidi, nel corso di mesi, hanno fatto, non fatto,
e persino quello che hanno detto, parola per parola; tutto riportato (con esiti qua e là di involontario umorismo),
nero su bianco nell’avviso di conclusione delle indagini. Quasi duecento persone, sommando i due processi. Uno sforzo
di trascrizione enorme che avrà tenuto impegnato un esercito di funzionari per chissà quanto tempo. Ce li immaginiamo
a sbobinare e visionare ore e ore di filmati e discutere circa l’attribuzione dei reati: “Tizio ha detto ‛sbirro di
merda’, Caio ha dato una spinta al sovrintendente…“.
Lo scandalo è aver scoperchiato un pentolone di cui nessuno voleva sentire l’odore; perché gli insaccati sono
saporiti ma guai a guardarci troppo dentro: agli ingredienti come ai rapporti di lavoro.
Si perché la cosa buffa è che con i loro scioperi, soprattutto dentro tante aziende dell’agroalimentare modenese,
questi lavoratori lanciavano delle denunce assai precise e dettagliate: attenzione, istituzioni, il problema non è
solo la nostra condizione di sfiga e sfruttamento; perché lo Stato italiano sta perdendo da anni fior di milioni in
elusione fiscale e contributiva, con i soliti giri marci di cooperative e appalti interni. Tanto per capirci, il
patron della Alcar Uno, il vecchio signor Levoni, è finito nei guai, accusato di una maxievasione da 80 milioni – con
sequestro monstre di fabbricati, terreni ed auto d’epoca; ed è stato pure rinviato a giudizio per corruzione –
insieme a un giudice tributarista accusato di fargli da gentile consulente. Eppure quelli che hanno denunciato per
anni queste nefandezze, finiranno a processo prima di lui. Bello no?
200 operai alla sbarra. Sembra una vecchia storia della Spagna franchista. Ma questo numero riguarda solo i due
procedimenti principali citati all’inizio. Ci sono poi gli 11 relativi agli scioperi Emilceramica, i 22 della
Bellentani, i 60 della GLS, i 40 della GM e molti molti altri (dati gentilmente forniti dai Si Cobas modenesi che
ormai stanno perdendo il conto). Il processo Aemilia, quello contro la ‘ndrangheta, per capirci, ha contato solo 240
imputati. La strage del carcere di Sant’Anna, ci scommettiamo, non ne vedrà manco uno.
Nelle accuse contro i manifestanti, il vero elemento disturbante è il blocco dei cancelli. È quello che proprio non
va giù ai padroni: il fluire delle merci in entrata e in uscita – più sacro del Gange – non va interrotto per nessuna
ragione. Non si scherza con i fatturati: la merce è tutto, la vita umana poco, la Costituzione niente, i contratti
meno di niente.
Un normale sciopero con astensione del lavoro si può ancora tollerare – tanto ormai la folla dei precari ipericattati
(stagisti, appalti, contratti variamente a termine, somministrati), garantisce una base di “fidelizzati obtorto
collo”, che non può permettersi di scioperare. Gli strumenti di ricatto sulla condizione attuale della classe operaia
– in certi settori più simile al Diciannovesimo secolo che al Ventesimo appena trascorso – sono tanti e facilmente
esigibili dalle imprese. I blocchi no. Quelli non se li possono proprio permettere. Sono sommamente diseducativi. Se
diventassero pratica di massa, l’Italia andrebbe sottosopra entro qualche settimana: vogliamo più soldi o blocchiamo
tutto; più diritti; più sicurezza; più assunzioni; più ospedali, più scuole pubbliche… Bel casino, sarebbe. Sono i
blocchi delle merci e dei cancelli a trasformare l’irritazione padronale in vendetta istituzionale.
Se Modena è stata il laboratorio avanzato della repressione, dovrà diventare il contro-laboratorio della solidarietà
militante e della intelligenza collettiva: usare la macchinazione giudiziaria, contro le retoriche d’impresa e le
ideologie securitarie, che sono i gemelli degeneri di questa epoca. Bisogna fargli passare la voglia di istruirli, i
processi contro il lavoro.
4 settembre 2020, liberamente tratto da carmillaonline.com
Sabato 3 ottobre si è tenuta a Modena una manifestazione a carattere nazionale per contrastare il tentativo di
reprimere e criminalizzare le lotte del comparto logistico che in questi ultimi 10 anni hanno rappresentato il più
importante punto di riferimento per le prospettive di crescita del movimento operaio. Diverse centinaia i
partecipanti, molte le delegazioni operaie e una massiccia presenza di forze di polizia nella piazza centrale della
città dove si è svolto un comizio in cui tanti sono stati gli interventi e, in uno di questi, si è anche collegata la
repressione antioperaia ai 9 morti avvenuti proprio a Modena durante le rivolte carcerarie del 9 marzo, un gruppo di
compagn* portava uno striscione per ricordarli e ha chiuso la giornata facendosi sentire sotto le mura del carcere
cittadino.
A Parma, nello stesso tempo, è stato fatto un presidio rumoroso di fronte al punto vendita di Ital Pizza inaugurato
all’interno di un centro commerciale proprio lo stesso giorno.