indice n.143
SEATTLE “ZONA LIBERATA”
SU COVID E MISURE SANITARIE
LETTERA DAL CARCERE DI VOLTERRA (Pi)
LETTERA DAL CARCERE DI PARMA
DAI CAMPI E DALLA LOGISTICA
INTERVISTE AI RIDERS
LETTERA DAL CARCERE DI PADOVA
DA DENTRO E FUORI I CENTRI DI RECLUSIONE PER IMMIGRATI
Sulla legge del 25 giugno e successiva circolare del DAP
lettera Dal carcere de l’Aquila
AGGIORNAMENTI SU REPRESSIone, PROCESSI, PRIGIONIERi/e
DUE LETTERE DAL CARCERE DI PIACENZA
LETTERA DAL CARCERE DI FERRARA
LETTERA DAL CARCERE DI AGRIGENTO
LETTERA DAL CARCERE DI PAVIA
LETTERA DAL CARCERE DI PESCARA
LETTERA DAL CARCERE DI GENOVA
LETTERA DAL CARCERE DI milano-OPERA
LETTERA DAL CARCERE DI REGGIO EMILIA
notizie DAL CARCERE DI UTA (CA)
A COSA SERVE IL CARCERE?
SUL CARCERE DI MODENA
DAL CARCERE DELLA DOZZA DI BOLOGNA
LETTERA DAL CARCERE DI UDINE
Lettera dal carcere Vigevano (PV)
dal carcere di santa maria capua vetere (ce)
NOTIZIE DALLE CARCERI
LETTERA DAL CARCERE DI SULMONA (AQ)
LETTERA DAL CARCERE DELLE VALLETTE DI TORINO
SEATTLE “ZONA LIBERATA”
C’è un salto di qualità nelle manifestazioni contro la polizia e contro l’amministrazione presidenziale Usa, a seguito dell’uccisione dell’afroamericano George Floyd. A Seattle i manifestanti hanno barricato gli ingressi a Capitol Hill, il distretto commerciale di Seattle, hanno occupato la stazione di polizia locale e proclamato una “zona autonoma” ed ora la presidiano in armi. La Zona autonoma di Capitol Hill” (“Chaz”), è stata proclamata dopo il ritiro delle forze di polizia locali su ordine del sindaco di Seattle, Jenny Durkan dei democrats. La zona autonoma è stata proclamata dai manifestanti “uno spazio di proprietà dei cittadini di Seattle”, e una “comune libera dalla polizia”. La polizia di Seattle ha abbandonato il Distretto orientale lunedì notte, dopo giorni di proteste.
I media statunitensi danno versioni contrastanti su quanto accade nella zona autonoma di Seattle. Per alcuni si stanno verificando atti di coercizione verso i commercianti. Altri media, come la “Cnn” e “New York Times”, descrivono invece un’atmosfera “di protesta pacifica, parte di comune, con comizio, distribuzioni gratuite di cibo, musica dal vivo, orti comunitari e proiezioni notturne di film”, in una atmosfera da “festa di quartiere”. La polizia di Seattle, che ha assecondato l’ordine del sindaco abbandonando il quartiere, ha avvertito che nella zona i tempi di risposta alle chiamate di emergenza sono triplicati. Nelle scorse ore alcuni agenti sono entrati a “Chaz” per rivolgere un appello pacifico ai manifestanti: il loro ingresso ha innescato tensioni tra gli occupanti: alcuni hanno chiesto di consentire l’accesso agli agenti, altri si sono mobilitati per impedirlo. Il presidente Usa, Donald Trump, ha commentato la situazione su Twitter, chiedendo al sindaco di Seattle di ristabilire l’ordine e la sicurezza “subito”, prima che sia lo Stato federale a dover intervenire. Per tutta risposta, il sindaco Durkan ha replicato, sempre su Twitter, “invitando” Trump a “garantire la sicurezza di tutti tornando nel suo bunker”. Sulla stessa costa ma molto più a sud, si registra un assalto “solitario” alla stazione di polizia di Paso Robles, che secondo le autorità è stata una vera e propria “imboscata”. Diversi agenti di Polizia sono rimasti feriti nel corso di diversi scontri a fuoco con l’uomo sospettato dell’imboscata alla stazione di polizia di Paso Robles, nella contea di San Luis Obispo, in California, durante la quale un agente era rimasto gravemente ferito alla testa. Il sospettato, identificato come Mason James Lira, di 26 anni, è stato braccato dalle forze dell’ordine, dopo l’attacco alla caserma. Un primo agente di polizia coinvolto nella ricerca del sospettato è stato ferito in uno scontro a fuoco. Più tardi Lira è stato nuovamente individuato dalla polizia, che ha ingaggiato un secondo conflitto a fuoco, culminato nel ferimento di diversi agenti e nell’uccisione dell’uomo armato.
Luglio, da un testo di Rino Condemi
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“IT’S ABOUT REVOLUTION”, intervista ad Angela Davis
L’invito a “cogliere l’occasione”, per citare il famoso slogan delle Black Panther Party for self-defence, è ciò che emerge dall’intervista ad Angela Davis, storica compagna femminista afroamericana, intervista fatta da Amy Goodman per l’emittente nord-americana indipendente “Democracy Now”, e di seguito tradotta.
AMY GOODMAN: Sono Amy Goodman. Mentre la rivolta nazionale contro la brutalità della polizia e il razzismo continua a turbare la nazione (Stati Uniti ndt) e il mondo, abbattendo le statue confederate e costringendo a fare i conti nei municipi e per le strade, il presidente Trump ha difeso le forze dell’ordine giovedì (11 giugno, ndt), respingendo le crescenti chiamate a de-finanziare la polizia. Ha parlato a un evento in stile campagna elettorale in una chiesa a Dallas, in Texas, annunciando un nuovo ordine esecutivo che consigliava i dipartimenti di polizia di adottare standard nazionali per l’uso della forza. Trump non ha invitato i primi tre ufficiali delle forze dell’ordine a Dallas, tutti afroamericani. La mossa arriva dopo che Trump ha chiamato i manifestanti “thugs=teppisti” e ha minacciato di schierare le forze armate statunitensi per porre fine a, cito “ribellioni e illegalità”. Questo è Trump che parla giovedì.
Presidente D. TRUMP: Vogliono sbarazzarsi delle forze di polizia. Vogliono davvero sbarazzarsene. Ed è quello che fanno, ed è lì che arriverebbero. E sì, sai, perché nelle posizioni più alte non ci sarà molta capacità di comando. Non è rimasta molta leadership. Invece, dobbiamo andare nella direzione opposta. Dobbiamo investire più energia e risorse nella formazione della polizia, nel reclutamento e nell’impegno della comunità. Dobbiamo rispettare la nostra polizia. Dobbiamo prenderci cura della nostra polizia. Ci stanno proteggendo. E se sono autorizzati a fare il loro lavoro, faranno un ottimo lavoro. C’è sempre una mela marcia, non importa dove tu vada. Hai delle mele cattive. E non ce ne sono molte. E posso dirti che non ce ne sono molte nel dipartimento di polizia. Conosciamo tutti molti membri della polizia.
AMY GOODMAN: Anche il candidato alla presidenza democratica Joe Biden chiede un aumento dei finanziamenti della polizia. In un editoriale di USA Today, ha chiesto ai dipartimenti di polizia di ricevere altri $ 300 milioni per, cito testualmente, “rinvigorire le attività di polizia della comunità nel nostro paese “. Mercoledì sera (10 giugno, ndt) Biden ha discusso dei finanziamenti della polizia in The Daily Show. Molti sostengono che la riforma non porrà fine al sistema di polizia intrinsecamente razzista. Dall’inizio del movimento di protesta globale, Minneapolis si è impegnata a smantellare il suo dipartimento di polizia, i sindaci di Los Angeles e New York City hanno promesso di tagliare i bilanci del dipartimento di polizia; e gli appelli a “togliere risorse economiche alla polizia” vengono ascoltati in spazi che sarebbero stati impensabili solo poche settimane fa. Bene, per ulteriori informazioni su questo momento storico, stiamo trascorrendo l’ora con la leggendaria attivista e studiosa Angela Davis, professoressa emerita all’Università della California, Santa Cruz. Per mezzo secolo, Angela Davis è stata una delle attiviste e intellettuali più influenti negli Stati Uniti, un’icona del movimento di liberazione dei neri. Il lavoro di Angela Davis su questioni di genere, razza, classe e carceri ha influenzato il pensiero critico e i movimenti sociali di diverse generazioni. È una delle principali sostenitrici dell’abolizione del carcere, una posizione formatasi anche dalla sua esperienza di prigioniera e fuggitiva nella lista dei 10 ricercati del Fbi più di 40 anni fa. Una volta catturata, ha dovuto affrontare l’imputazione per un reato che l’avrebbe potuta condannare alla pena di morte in California. Dopo essere stata assolta da tutte le accuse, ha trascorso la sua vita a combattere per cambiare il sistema di giustizia penale. Angela Davis, bentornata su Democracy Now! È bello averti con noi oggi per ora.
ANGELA DAVIS: Grazie mille, Amy. È meraviglioso essere qui.
AMY GOODMAN: Beh, pensi che questo momento sia uno spartiacque, una svolta? Tu, che sei stata una militante impegnata per quasi mezzo secolo, vedi questo momento come diverso, forse differente da qualsiasi periodo di tempo che hai vissuto? ANGELA DAVIS: Assolutamente. Questo è un momento straordinario. Non ho mai sperimentato nulla di simile alle condizioni che stiamo vivendo attualmente, la congiuntura creata dalla pandemia di Covid-19 e il riconoscimento del razzismo sistemico che è stato reso visibile in queste condizioni a causa delle morti sproporzionate nelle comunità di Blacks e Latinos. E questo è un momento in cui non so se mi sarei mai aspettata di sperimentare. Quando sono iniziate le proteste, naturalmente, attorno all’omicidio di George Floyd, Breonna Taylor, Ahmaud Arbery, Tony McDade e molti altri che hanno perso la vita a causa della violenza dello stato razzista e della violenza della polizia, quando sono scoppiate queste proteste, mi sono ricordata qualcosa che ho detto molte volte per incoraggiare gli attivisti, che spesso sentono che il lavoro che svolgono non sta portando a risultati tangibili. Chiedo spesso loro di considerare la lunghissima traiettoria delle lotte nere. E ciò che è stato più importante è la creazione di eredità, i nuovi campi di lotta che possono essere tramandati alle generazioni più giovani. Ma ho spesso detto che non si sa mai quando le condizioni possono dar luogo a una congiuntura come quella attuale, che sposta rapidamente la coscienza popolare e ci consente improvvisamente di muoverci nella direzione del cambiamento radicale. Se non si coglie l’occasione quando si presenta un momento del genere, non possiamo sfruttare le opportunità di cambiamento. E, naturalmente, questo momento passerà. L’intensità delle attuali dimostrazioni non può essere sostenuta nel tempo, ma dovremo essere pronti a cambiare marcia e affrontare questi problemi in diversi campi, tra cui, ovviamente, quello elettorale.
AMY GOODMAN: Angela Davis, sei stata a lungo leader del movimento “Critical Resistance”, il movimento per l’abolizione carceraria. E mi chiedo se riesci a spiegare la richiesta, come la vedi, cosa pensi che debba essere fatto, riguardo al fatto di sottrarre i fondi alla polizia e poi rispetto all’abolizione della prigione.
ANGELA DAVIS: Beh, l’appello a togliere i fondi alla polizia è, a mio avviso, una richiesta abolizionista, ma riflette solo un aspetto del processo rappresentato da questa richiesta. Sconfiggere la polizia non significa semplicemente ritirare fondi per le forze dell’ordine e non fare nient’altro. E sembra che sia questa comprensione piuttosto superficiale del tema che ha fatto muovere Biden nella direzione in cui si sta muovendo. Si tratta di spostare i fondi pubblici verso nuovi servizi e nuove istituzioni – i consulenti di salute mentale, che possono rispondere alle persone in crisi senza armi. Si tratta di spostare i finanziamenti verso l’istruzione, l’edilizia abitativa, le attività ricreative. Tutte queste cose aiutano a creare sicurezza. Si tratta di apprendere che la sicurezza, salvaguardata dalla violenza poliziesca, non è realmente sicurezza. E direi che l’abolizione non è principalmente una strategia negativa. Non si tratta principalmente di smantellare, sbarazzarsi di, ma si tratta di avere una visione differente. Si tratta di ricostruire di nuovo. E direi che l’abolizione è una strategia femminista. E si vede in queste richieste abolizioniste che stanno emergendo l’influenza fondamentale delle teorie e delle pratiche femministe.
AMY GOODMAN: Spiegalo ulteriormente questo punto.
ANGELA DAVIS: Beh, voglio che noi vediamo il femminismo non solo come affrontare le questioni di genere, ma piuttosto come un approccio metodologico per comprendere l’intersezione di lotte e nodi tematici. Il femminismo abolizionista contrasta con il femminismo basato sull’approccio carcerario (Carceral feminism, ndt), che purtroppo ha ipotizzato che questioni come la violenza contro le donne possano essere affrontate efficacemente usando la forza di polizia, usando la reclusione come soluzione. E naturalmente sappiamo che Joseph Biden, nel 1994, che afferma che il Violence Against Women Act è stato un momento così importante della sua carriera: il Violence Against Women Act è stato presentato all’interno del Crime Act del 1994, il Clinton Crime Act. E ciò che chiediamo è un processo di depenalizzazione, non – riconoscere che le minacce alla sicurezza, non provengono principalmente da ciò che viene definito un crimine, ma piuttosto dall’incapacità delle istituzioni nel nostro paese di affrontare i problemi della salute, questioni di violenza, istruzione, ecc. Quindi, l’abolizione consiste davvero nel ripensare il tipo di futuro che vogliamo, il futuro sociale, il futuro economico, il futuro politico. Si tratta di rivoluzione, direi.
AMY GOODMAN: Scrivi in “Freedom Is a Constant Struggle”, “L’ideologia neoliberista ci spinge a concentrarci sugli individui, noi stessi, vittime individuali e singoli autori. Ma come è possibile risolvere l’enorme problema della violenza dello Stato razzista chiamando i singoli poliziotti a sostenere il peso di quella storia e supporre che perseguendoli, esigendo la nostra vendetta su di loro, avremmo in qualche modo fatto progressi nello sradicamento del razzismo?” Quindi, puoi spiegare cosa stai chiedendo esattamente.
ANGELA DAVIS: Beh, la logica neoliberista presuppone che l’unità fondamentale della società sia l’individuo, e direi l’individuo astratto. Secondo questa logica, i neri possono combattere il razzismo cavandosela da soli. Questa logica riconosce – o non riesce, piuttosto, a riconoscere – che ci sono barriere istituzionali che non possono essere abbattute dalla determinazione individuale. Se una persona di colore non è materialmente in grado di frequentare l’università, la soluzione non è un’azione tesa a risolvere gli scompensi della società (affirmative action, ndt), sostengono che piuttosto la persona deve semplicemente lavorare di più, ottenere buoni voti e fare ciò che è necessario per acquisire i fondi per pagare le tasse scolastiche. La logica neoliberista ci impedisce di pensare alla soluzione più semplice, che è l’educazione gratuita. Sto pensando al fatto che siamo consapevoli della necessità di queste strategie istituzionali almeno dal 1935 – ovviamente anche prima – ma scelgo il 1935 perché è stato l’anno in cui W.E.B. Du Bois pubblicò il suo germinale “Black Reconstruction in America”. E la domanda non era cosa avrebbero dovuto fare i singoli neri, ma piuttosto come riorganizzare e ristrutturare la società post-schiavitù per garantire l’incorporazione di coloro che erano stati precedentemente ridotti in schiavitù. La società non poteva rimanere la stessa – o non avrebbe dovuto rimanere la stessa. Il neoliberismo resiste al cambiamento a livello individuale. Chiede all’individuo di adattarsi alle condizioni del capitalismo, alle condizioni del razzismo. Non esiste una sola era nella storia degli Stati Uniti in cui la polizia non sia stata una forza violenta contro i neri. La polizia nel sud emerse dalle “slave patrols” nel 1700 e nel 1800 che catturarono e restituirono schiavi in fuga. Nel nord, i primi dipartimenti di polizia municipali a metà del 1800 aiutarono a reprimere scioperi e rivolte contro i ricchi. Ovunque hanno soppresso le popolazioni emarginate per proteggere lo status quo. Quindi quando vedi un ufficiale di polizia che preme il ginocchio contro il collo di un uomo nero fino alla sua morte, questo è il logico risultato delle attività di polizia in America. Quando un agente di polizia brutalizza una persona di colore, sta facendo quello che vede come “il suo lavoro”. Ora due settimane di proteste a livello nazionale hanno indotto alcuni a chiedere il taglio delle risorse della polizia, mentre altri sostengono che farlo ci renderebbe meno sicuri (…). Un mondo “sicuro” non è un mondo in cui la polizia tenga sotto controllo i neri e le altre persone emarginate attraverso minacce di arresto, incarcerazione, violenza e morte. Ho sostenuto l’abolizione della polizia per anni. Indipendentemente dalla tua opinione sul potere della polizia, sia che tu voglia sbarazzarti della polizia o semplicemente per renderla meno violenta, ecco una richiesta immediata che tutti noi possiamo fare: ridurre il numero della polizia a metà e tagliare il budget a metà. Meno poliziotti equivale a minori opportunità per loro di brutalizzare e uccidere le persone. L’idea sta prendendo piede a Minneapolis, Dallas, Los Angeles e in altre città.
Giugno, liberamente tratto da contropiano.org
SU COVID E MISURE SANITARIE
Come Ambulatorio Medico Popolare di Milano vogliamo portare solidarietà alle compagne e compagni arrestati a Bologna, Roma, Napoli. Ennesima operazione repressiva da parte di uno stato che ha paura di chi lotta contro le ingiustizie e lo sfruttamento, e dopo una gestione miserabile dell'epidemia che lascia alle sue spalle numerose morti e un'altra crisi sociale ed economica che ricadrà come sempre su chi sta già pagando. Con queste operazioni lo Stato sta mostrando di avere sempre più paura di chi prova ad opporsi a questo scempio e sabotare questo modello di sviluppo.
Vorremmo prendere parola sulla situazione che abbiamo tutti vissuto in questi mesi: non tanto sull'epidemia in sé, ma piuttosto sulle cause e i retroscena che hanno reso così pesante il bilancio in vite umane.
Media ed esponenti del mondo medico e scientifico hanno da subito fornito un'informazione volutamente contradditoria e confusa con l'obiettivo di evitare consapevolezza su quanto stava accadendo e generare terrore e panico. Questo ha garantito che le decisioni prese da lì in poi fossero giustificate da principi scientifici il più delle volte supposti e mirassero a colpevolizzare i comportamenti individuali, giustificando così il sistema repressivo messo in campo e distogliendo l'attenzione dalle vere responsabilità e cause di questa pandemia. Cause che sono insite nel sistema produttivo, economico e sociale e sanitario capitalista. Un esempio evidente è il fatto che la misura sanitaria preventiva più adeguata, ovvero il distanziamento fisico, sia stato subito tradotto in distanziamento sociale. Mentre il primo di per sé non nega l'interazione consapevole tra gli individui, il secondo li deresponsabilizza e produce isolamento sociale. La crescente retorica bellica della "lotta al virus" ha visto la sua apoteosi con la spettacolarizzazione delle bare trasportate dai camion militari, espediente che nulla ha avuto di reale utilità, ma molto ha dato in termini di audience. Questi accorgimenti, quindi, hanno solo contribuito ad una diffusione del terrore finalizzata al controllo sociale, che ha portato alla chiusura di spazi di aggregazione sicura all'aperto mentre, al contempo, Confindustria otteneva di lasciare aperte le fabbriche e i luoghi di lavoro, senza garantire tutte le tutele necessarie ai lavoratori. Questo clima ha fornito il pretesto per accelerare quei cambiamenti delle condizioni sociali e lavorative che erano già in seno alle varie riforme capitaliste e che hanno lo scopo evidente di erodere i diritti delle persone e acuire le differenze economiche. In nome della pace sociale vengono imposti sacrifici e rinunce, quando invece è a noi evidente come chi ci governa stia muovendo guerra ai suoi sottoposti.
In secondo luogo questo clima di disinformazione e colpevolizzazione dei singoli individui ha avuto l'obiettivo di distogliere l'attenzione pubblica dalle cause profonde di questa drammatica situazione. In pochi hanno detto che questa pandemia ha avuto un effetto devastante perché ha colpito un sistema che aveva l'acqua alla gola già da diversi anni e che è quindi crollato facilmente. Per questo gli attuali amministratori hanno le stesse responsabilità di chi ha governato almeno negli ultimi 30 anni. Le cause sono da cercarsi lontano: la progressiva aziendalizzazione delle strutture sanitarie e il finanziamento elargito in base alle prestazioni effettuate (che hanno ufficializzato la mercificazione della salute); la regionalizzazione che ha creato 21 servizi sanitari diversi che hanno agito in modo differente, oppure la crescente privatizzazione di strutture ospedaliere e di cure intermedie, socio-assistenziali o anche la trasformazione delle R.S.A. in cronicari dove non si punta al recupero, ma all'accompagnamento alla morte. Questi sono solo alcuni esempi di un meccanismo in atto da decenni.
I morti per la pandemia sono stati tantissimi: al continuo calo dei posti letto negli ospedali pubblici il privato ha risposto aumentando sì i posti letto, ma solo per le terapie maggiormente remunerative (chirurgia specialistica, trapianti ecc.), al posto di quelli destinati alla medicina "non remunerativa", cioè proprio quelli che sarebbero serviti in questi mesi. Per questo i malati sono stati abbandonati a casa – per chi ce la aveva – ad aspettare l'aggravarsi della loro condizione. Tutto questo anche perché, in questi anni, la medicina territoriale di base è stata smantellata, con la complicità di molti medici di base e associazioni di categoria. Questa visione della sanità ospedale-centrica ha reso questi luoghi costantemente sovraffollati, mal gestiti e oberati di lavoro. Forse avere più presidi medici sul territorio, maggiormente vicini ai malati e in grado di rispondere più tempestivamente all'emergenza, sarebbe stato più efficace, ma purtroppo l'efficienza non è una priorità nel discorso sulla salute pubblica. La priorità invece sembra essere piuttosto quella di creare un sistema unicamente rivolto alla cura e che ha completamente dimenticato la prevenzione.
Non dimentichiamo che gli ospedali sono stati i luoghi dove più di altri si è diffuso il contagio, anche tra operatori non dotati di adeguati dispositivi di protezione individuale: operatori presentati come eroi dai media, ma il cui lavoro è giorno per giorno reso sempre più difficile e burocratizzato.
Mai come in questo caso a noi sembra evidente che il binomio medicina/potere esista, che sia sbagliato, e che si fondi su tutta una serie di professionisti che non si muovono al servizio della comunità, ma che sposano le dinamiche di potere, cercando di ottenerne sempre di più.
Le nostre proposte per migliorare la situazione sono semplici: riappropriamoci del benessere come idea collettiva, rifiutando una società che fa ammalare i cittadini, tenendoli in condizioni di lavoro, stress, nocività ambientali eccetera, spesso molto precarie e dettate dall'ottica della mera produzione.
Chiediamo che venga costruita una sanità pubblica di tipo territoriale e gratuito, basata sulla prevenzione e sull'accessibilità alle cure per tutt* e non sul profitto economico.
Crediamo che il solo metodo utile per ottenerla sia quello della partecipazione pubblica e collettiva alle decisioni che si prendono nel campo della salute.
Solo in questo modo potremmo opporci allo scempio già in atto!
Ciò che vada rivisto non sia semplicemente la gestione delle emergenze, ma direttamente il modello di sanità pubblica.
LETTERA DAL CARCERE DI VOLTERRA (Pi)
Cari compagni di Olga, vi scrivo per ringraziarvi e per comunicarvi che sto continuando a ricevere l'opuscolo che trovo interessante e istruttivo.
Qui alla REMS le cose vanno abbastanza bene, purtroppo per colpa del Covid 19 abbiamo, anche noi, avuto diverse restrizioni, sono state bloccate le uscite, le attività e tutti i colloqui. Io aspettavo di vedere mio figlio, per il suo compleanno che festeggia di aprile. Non ho potuto vederlo perciò spero che a luglio, mese del mio compleanno l'emergenza sia passata e possa incontrarlo. Poco prima che arrivasse questa rottura di virus avevo iniziato a lavorare nella biblioteca di Volterra, adesso sto aspettando che l'emergenza passi per poter ricominciare.
15 maggio 2020
Alberto Mennucci - Rems D-2 Borgo San Lazzato, 5 - 56048 Volterra (Pisa)
LETTERA DAL CARCERE DI PARMA
Ciao compagni e compagne, innanzitutto vi ringrazio per l'opuscolo e tutti i giornali. Un ringraziamento va a tutti quelli che lavorano ad Associazione Ampi Orizzonti, come sapete mi chiamo Izzo Carmine e sono napoletano. Mi trovo da 20 anni in queste maledette mura, soffro di molte patologie le quali sono psichiatriche, cioè PSICOSDI DELIRANTE CRONICA con problemi alimentari. Poi sonno affetto da BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA (BPCO), la BPCO è una malattia cronica dei polmoni che causa fiato corto e tosse. E mi trovo in una sezione normale e sono una persona a rischio Covid 19. Qui a Parma ai comuni ci sono casi di coronavirus, ci hanno sempre tenuti all'oscuro di tutto. Invece all' AS3 è tutto tranquillo. Ci hanno dato subito 10 telefonate al mese, più 1 ora di SKAYPE alla settimana. Eppure l'Emilia Romagna è zona rossa. Nella condizione della fase 2 ci sono morti in America Latina e in Brasile si contano tanti morti al giorno. Ormai questa epidemia non la fermano più fino a quando non trovano il vaccino. Qui a Parma ci danno mascherine e disinfettante ogni mese, e si deve camminare con la mascherina. Io invece, quando vado al passeggio mi metto mascherina e guanti perché ho due buchi ai polmoni e sono a rischio di infettarmi, mi trovo da solo in stanza e questa è una cosa buona. La mia famiglia non ha subito nessun contagio grazie al Signore. Nella somma è un periodo storico che verrà scritto nei libri di storia e che a quasi tutti piacerebbe essere tra quelli che lo raccontano. Adesso tutto segue uguale e tutto è tranquillo. Per adesso qui il virus niente, ma ci sono molte persone malate di cardiopatia e diabete e tante malattie, ma non si muove una foglia.
23 giugno 2020
Carmine Izzo, via Burla 59 - 43122 Parma
DAI CAMPI E DALLA LOGISTICA
Una sanatoria per pochi
Dal 1 giugno 2020 è cominciato il periodo in cui si possono inviare le domande per la cosiddetta “sanatoria per immigrati” promossa dal governo italiano nella speranza di far emergere il lavoro nero ed evitare la mancanza di lavoratori e braccianti a seguito della pandemia di Covid-19. I termini iniziali del 15 luglio sono stati estesi al 15 agosto a seguito del basso numero di domande che finora sono state presentate.
La sanatoria, per come è stata approvata, non è né per tutti né semplice da ottenere. È questa, come quasi sempre accade, una proposta che nasce dalle preoccupazioni dei padroni riuniti in Coldiretti e Confindustria di non avere abbastanza lavoratori agricoli stagionali per quest’anno e dunque di non poter mantenere alti i propri profitti. Non è una sanatoria popolare e non aiuta gli immigrati.
La legge riguarda esclusivamente i settori dell’agricoltura, allevamento e pesca (braccianti, lavoratori dei campi), dell’assistenza alla persona (badanti) e del lavoro domestico (colf), escludendo e lasciando completamente ai margini tutti gli altri, in particolare i settori dell’edilizia, della logistica e della ristorazione, che non possono usufruire di questa norma.
In secondo luogo, è importante mettere in luce come il limite principale di questa sanatoria sia quello di aver lasciato il potere di azione ai datori lavoro, i quali spesso non hanno nessun interesse nell’auto-denunciarsi per regolarizzare un dipendente, ma al contrario tendono a mantenere sommerso il lavoro in nero per accrescere i propri profitti. Oltretutto pochi datori di lavoro sarebbero disposti a pagare il contributo di 500 euro a loro carico previsto per ogni lavoratore a copertura delle spese per la procedura di regolarizzazione. Esiste poi l’ostacolo del reddito. I datori di lavoro devono possedere un reddito minimo di 30.000 euro/annui per i settori agricoli e di 27.000 euro/annui per i settori del lavoro domestico o di assistenza alla persona (20.000 euro/annui per nuclei famigliari con un solo soggetto).
Infine ultimo, ma non per importanza, gli stranieri irregolari sprovvisti di permesso di soggiorno o scaduto dal 31 ottobre 2019 devono poter dimostrare di essere arrivati in Italia prima dell’8 marzo 2020 e di non essere più usciti dal Paese dopo quella data, attraverso una documentazione proveniente da organismi pubblici, come ad esempio il Comune, la Prefettura, la Questura o tramite l’attestazione di presenza sul territorio italiano. Questo è non solo improbabile e ridicolo ma è anche contraddittorio da parte di un sistema di potere, espresso dal governo italiano, che negli ultimi decenni ha usato ogni mezzo per criminalizzare i flussi di persone rendendoli illegali, clandestini e sottoponendo i migranti a pericoli e difficoltà infinite.
Tutti coloro che riusciranno nell’impresa di farsi riconoscere il proprio lavoro, potranno fare domanda di permesso di lavoro temporaneo. Non c’è nessuna certezza e affidabilità nella burocrazia e nelle leggi. C’è chi verrà nuovamente truffato per avere un contratto, chi si vedrà rifiutare la domanda di regolarizzazione, chi non potrà proprio accedervi, chi riperderà il sudato permesso, chi dovrà comunque vivere in baracca, lavorare senza tutele e rischiare la vita per un salario che sarà sempre e comunque troppo basso.
Siamo certe e certi che ci sarà da lottare ancora e più di prima contro chi affama e nega i diritti. Noi sappiamo da che parte stare. (Luglio, Punto di Rottura-Contro i Cpr)
18 giugno, Saluzzo. Comunicato dal presidio davanti al Comune
“Siamo braccianti agricoli, siamo lavoratori delle campagne di Saluzzo, siamo un movimento solidale. Lottiamo per mettere fine al razzismo, allo sfruttamento, alla violenza della polizia. Il video della morte di George Floyd ha aperto gli occhi al mondo su uno dei più grossi problemi delle società in cui viviamo: il razzismo.
ANCHE IN ITALIA L’ARIA È IRRESPIRABILE: razzismo e violenza poliziesca sono all’ordine del giorno! Lo vediamo negli omicidi razzisti che si sono moltiplicati negli ultimi 30 anni, negli accordi con la Libia, nei respingimenti e nei naufragi nel Mediterraneo, negli sguardi e nelle parole di disprezzo sui mezzi pubblici, nelle differenze di salario, nell’accesso differenziato alla sanità e ai diritti di cittadinanza… la lista è lunga.
Uno degli esempi più emblematici è quello delle condizioni lavorative e abitative dei braccianti, da nord a sud Italia: gli immigrati sono buoni da sfruttare, ma le loro vite non valgono. Soltanto nell’ultima settimana abbiamo assistito alla morte di Adnan Siddique, ucciso a coltellate perché sosteneva i lavoratori sfruttati nelle campagne siciliane, e di Mohammed Ben Ali, rimasto carbonizzato nell’incendio del ghetto di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia.
Nel comparto agroalimentare della zona di Saluzzo ogni anno durante la stagione della raccolta noi lavoratori delle campagne, tutti immigrati, viviamo in condizioni pessime, tra accampamenti informali e soluzioni emergenziali di accoglienza del tutto inadeguate e fortemente limitative delle libertà di chi ci vive. Quest’anno, a causa delle misure anti-coronavirus, non viene garantito nemmeno il progetto di accoglienza stagionale gestito in passato dal Comune, e per altro verso viene inviato l’esercito in modo da assicurarsi che non si creino accampamenti di fortuna. Noi lavoratori, sul cui lavoro si regge la ricchissima economia locale, siamo costretti a dormire all’addiaccio nei parchi, senza doccia, e come se non bastasse con la polizia che ci ruba le coperte per motivi di decoro pubblico. E ovviamente con condizioni di lavoro tutt’altro che idilliache, stante che non vengono rispettati orari, paghe minime, e contributi previdenziali. Anche le vite dei braccianti contano e per questo motivo vogliamo, innanzitutto e immediatamente, strutture abitative adeguate, nel rispetto delle misure anti-covid, di cui peraltro il Governo si riempie la bocca ormai da anni, parlando di misure anticaporalato e di fine dei ghetti.
Abbiamo richiesto un incontro al Comune di Saluzzo da svolgersi durante il presidio sottostante, alla presenza di tutte le parti in causa: Prefetto di Cuneo, sindaco di Saluzzo e dei comuni limitrofi, associazioni padronali (Coldiretti e Confagricoltura) e terzo settore”.
Il 2 luglio la questura di Cuneo ha notificato 4 procedimenti penali assieme a un foglio di via ad alcuni dei braccianti protagonisti della giornata di mobilitazione di giovedì 18 Giugno. Il 18 giugno si è infatti tenuto un presidio di fronte al comune di Saluzzo volto a richiedere una soluzione abitativa per i lavoratori impegnati nelle campagne, che da settimane dormono per strada esposti alle intemperie e alla prepotenza delle forze dell’ordine. Viste le deludenti risposte da parte di associazioni datoriali e istituzioni, rappresentate in particolare dal sindaco di Saluzzo Mauro Calderoni e dalla viceprefetta, dopo l’incontro i lavoratori hanno deciso di muoversi in corteo per la città, dirigendosi infine verso il PAS del Foro Boario, ovvero la struttura adibita all’accoglienza dei lavoratori, quest’anno tenuta chiusa. (Da CassaAntirep)
Milano: TNT licenzia e ingaggia i gorilla contro lo sciopero
Nella vertenza contro il licenziamento dei lavoratori interinali che lavoravano da anni nell’impianto TNT di Peschiera Borromeo, ieri giovedì 9 luglio in Prefettura la FedEx/TNT aveva fatto un’offerta che non poteva non essere rifiutata dai lavoratori e dal SI Cobas: 15 assunzioni dal … 1 gennaio 2021 (quando un qualsiasi pretesto collegato alla crisi potràannullare l’offerta). E l’esclusione dai 15 della maggioranza di lavoratori a cui hanno mandato contestazioni disciplinari, in gran parte fasulle, fatte nel periodo costellato da scioperi.
Il SI COBAS ha contro-proposto le assunzioni a settembre, e il criterio da stabilire era in base all’anzianità; la FedEx ha risposto picche… e si era preparata per l’inevitabile sciopero della sera: spostando buona parte delle lavorazioni da Peschiera, dove c’è un’importante presenzadel Si Cobas, a San Giuliano, dove i lavoratori, in buona parte precari, non sono sindacalizzati, e assoldando una quarantina di vigilantes, la sua polizia privata, per aggredire il picchetto di sciopero.
Quando una parte del picchetto di Peschiera, operai licenziati e solidali, si è trasferita davanti al magazzino di San Giuliano, sono stati aggrediti da queste “guardie private” che a spintonate hanno fatto strada ai camion, sotto lo sguardo benevolo della pattuglia della polizia, cheanziché fermarli li aveva evidentemente incoraggiati all’aggressione.
Venuto meno l’aperto appoggio dello Stato che in due scioperi precedenti aveva mandato oltre un centinaio di poliziotti a sgomberare e aggredire gli scioperanti, FedEx riproduce in Italia i metodi usati durante gli scioperi di fine Ottocento e inizio Novecento dai capitalisti americani, che ingaggiavano il personale dell’Agenzia Pinkerton, per infiltrare i sindacati,fornire guardie, tener fuori dalle fabbriche scioperanti e sospetti aderenti ai sindacati, e reclutare squadre di gorilla per intimidire i lavoratori. Anche qui, con la connivenza dei poteri statali. È questo il futuro delle relazioni sindacali in Italia?
La violenta aggressione poliziesca del 9 giugno è stata un boomerang perché ha portato all’estensione del sostegno alla lotta contro i licenziamenti, e alla sua politicizzazione. Anchel’uso di gorilla al soldo del padrone americano si rivelerà un boomerang se la risposta sarà l’estensione del sostegno ai lavoratori licenziati e alla lotta contro la precarizzazione. Ieri sera e per tutta la notte hanno scioperato, soprattutto perché hanno percepito che l’attacco non si limita a Peschiera Borromeo ma investe l’intera filiera FedEx/TNT, per un piano di ristrutturazione, riorganizzazione dei magazzini a livello nazionale, tutti i lavoratori di FedEx/TNT di Piacenza, di Brescia, di Bologna (dove sono stati trovati 36 lavoratori positivi al Covid-19 a causa della mancanza di adeguate misure di sicurezza: contro l’azienda che voleva continuare a lavorare, il SI Cobas ha chiesto la chiusura per la sanificazione, chiusura poi disposta dall’AST). FedEx ha pagato un costo pesante per la propria intransigenza.
La lotta alla TNT non riguarda solo 66 licenziati, ai quali TNT offre soldi pur di liberarsi di lavoratori sindacalizzati. Riguarda la ristrutturazione del gruppo, che vuole potenziare la distribuzione del materiale sul piano internazionale e aumentare quella che chiama “flessibilità” occupazionale e che in realtà significa precarizzazione, con lavoro a termine esoprattutto interinale, formula ideale per spezzare la presenza sindacale sottoponendo i lavoratori a un continuo ricatto. Negli USA, con questi metodi, FedEx ha impedito l’ingresso del sindacato tra i 250 mila lavoratori in centinaia di magazzini. Dove questi si organizzano, licenzia gli organizzatori con pretesti disciplinari inventati per terrorizzare tutti. Occorre sconfiggere questa linea in Italia.
E la lotta non riguarda solo FedEx/TNT. I suoi concorrenti in Italia DHL, GLS, SDA, BRT ecc. guardano alla vertenza TNT pronti a seguire FedEx nella politica antisindacale e nella ristrutturazione del settore, se questa avesse successo.
Sarebbe la ri-precarizzazione del settore della logistica dopo che nei gruppi più concentrati dopo oltre un decennio di lotte i lavoratori sono passati dal semischiavismo al rispetto, da salari di fame a salari decenti, e stanno lottando per migliorare le condizioni di lavoro e la sicurezza. I padroni vorrebbero spegnere il fuoco del settore che in questo decennio ha tenuta accesa la fiaccola della lotta e conquistato importanti miglioramenti, per evitare che esso si estenda agli altri settori, che la crisi metterà in movimento nei prossimi mesi. Per questo la provocazione di FedEx della notte scorsa non deve restare senza risposta, una risposta ferma e ampia di tutto il movimento che in questi mesi non ha accettato che la salute fosse sacrificata al profitto, che non accetta che la precarietà diventi lo standard del lavoro, che non accetta la sottomissione del lavoro agli interessi del capitale, e che per questo hastretto un Patto d’Azione per un fronte unico anticapitalista, che ha permesso di coagulare un fronte ampio di forze solidali: a Milano e a Piacenza in ogni picchetto erano presenti centinaia di persone, il che vuol dire una forza sul campo capace di resistere alla repressione scatenata dai padroni. (10 luglio 2020, da pungolorosso.wordpress.com)
INTERVISTE AI RIDERS
Negli ultimi mesi a Milano, in seguito ad alcune restrizioni fatte da Trenord rispetto alla possibilità di portare le proprie bici sui treni, sono partite alcune proteste dei rider. Alcuni di loro ci hanno raccontato come sta evolvendo la situazione.
Quali sono le istanze portate dai rider? Ci può essere un superamento di queste istanze con uno sguardo ad altre problematiche?
A - Le ultime proteste a Milano sono nate perché Trenord ha impedito ai rider di salire sul treno con la bici e molti sono costretti a farlo per lavorare, perché gli affitti in città sono troppo alti. Sono rider e anche pendolari. In generale il lavoro dei rider è considerato autonomo, ma i meccanismi che lo regolano sono nei fatti quelli di un lavoro subordinato, anzi per guadagnare di più non basta fare più ore, bisogna fare più consegne. È come lavorare a cottimo. Perciò le istanze dei rider sono innanzitutto legate al contratto e alle tutele di base, come la malattia o le ferie. In queste ultime proteste poi molti hanno portato anche il problema della sanatoria, che non è stata allargata ai rider, e insieme tutto quello che è legato al permesso di soggiorno. Penso che le problematiche che si incrociano facendo questo lavoro siano moltissime e sicuramente non si possono risolvere solo con un contratto diverso.
Quali sono stati i momenti più significativi di queste prime mobilitazioni?
A - Sicuramente i cortei in bici sono stati momenti importanti di queste mobilitazioni, soprattutto perché in gran parte, almeno all’inizio, poco organizzate e piene di entusiasmo. Poi purtroppo ci sono di mezzo sindacati come la UIL, che cerca di spegnere ogni vivacità e di contrattare con la polizia anche il minimo dissenso, o come UGL, che invece ha intrapreso una campagna a favore del cottimo.
B - I momenti più significativi a Milano sono stati una biciclettata spontanea (17 giugno), partita da Piazza dei Mercanti, che ha toccato le maggiori stazioni di Milano. Un secondo momento è stato un corteo/sciopero in bici più organizzato svoltosi il 19 giugno. In altre città italiane, come ad esempio Torino, nel corso degli ultimi due anni ci sono stati diversi momenti significativi e lo scorso primo maggio c’è stato uno sciopero partecipato da molti riders. Le lotte dei riders sono diffuse in tutto il mondo: lo scorso primo luglio in Brasile c’è stato uno sciopero partecipato da migliaia di riders.
Che spirito c’è tra i ragazzi che stanno intraprendendo questa lotta?
A - Quando si fanno le consegne il più delle volte si è da soli, soprattutto nei paesi più piccoli in cui siamo pochi, quindi essere insieme a centinaia di rider e occupare le strade principali di Milano, costringendo la polizia a rincorrere a piedi, è molto bello.
B - L’umore tra i riders è altro. Ci sono tanta rabbia e presa bene!
C - lo spirito è sicuramente positivo, c'è una gran voglia di fare, di lottare, di essere presenti. come ho già detto il bello di questa piazza è il fatto che è spontanea e genuina. ci sono sicuramente degli aspetti contraddittori e problematici, sicuramente in piazza si sono visti atteggiamenti non belli ma nel complesso penso che questa è una lotta iniziata dal nulla e con questi presupposti non c'è che ben sperare
D - A essere precisi, ad oggi (10 luglio), non parlerei di questi episodi come fase iniziale di una precisa lotta con chiare prospettive ragionate. Parlerei piuttosto di una specifica lotta per le bici sul treno, molto spontanea, che ad oggi pare quasi conclusa: in questo momento Trenord ha già ritratto il divieto garantendo dei vagoni appositi per il trasporto delle bici in determinati orari sulle tratte più frequentate dai riders, e dopo questa notizia non ci sono più stati momenti di rilancio.
Durante le settimane di mobilitazione lo spirito dei ragazzi è stato davvero incazzato e trascinante. Nelle frasi gridate e nei gesti di queste persone si percepiva tutta la rabbia di chi è abituato ad essere trattato come l'ultima ruota del carro, da schiavo, e ad un certo punto non ci sta più! L'impedimento materiale di poter lavorare non poteva davvero passare in silenzio per tutti i ragazzi che passano ogni giorno ore e ore sulla bicicletta cercando di guadagnare il necessario per provare ad assicurarsi una vita vivibile per loro e chi gli sta vicino. Mi auguro che questa esperienza possa servire come stimolo per il futuro e di certo ora è più chiaro come tra molti riders ci sia una buona disposizione nel lottare con forza per le proprie istanze senza troppe mediazioni, siano esse basilari come la semplice richiesta di poter lavorare.
LETTERA DAL CARCERE DI PADOVA
Ciao come stai? Come stanno i ragazz*? Vi scrivo questa lettera dal carcere penale -casa di reclusione- di Padova dove mi hanno trasferito il 18/05/2020 dopo averli denunciati per presunta associazione a delinquere e sfruttamento della mano d’opera dei detenuti per le multinazionali le griffe mondiali come Prada, Dior, Ray Ban ecc. ecc., tramite Luxottica, e Fedon & figli e altre multinazionali. Spero che questa mia denuncia non vada archiviata come tante altre in passato. Il bello che mi hanno trasferito ora a Padova e sono rimasto scioccato dalla realtà di questo lager, che fino a qualche settimana fa l’hanno descritto come un carcere modello, invece la realtà è tutto il contrario anzi peggio di tutti, i tre che hanno intervistato hanno parlato bene del carcere. L’hanno fatto per avere dei permessi premio. (Tutto quello l’ha trasmesso canale 9 che è uno show organizzato dal prete e direttore con tre computer). Le persone qua soffrono (la maggioranza) 7/8 piano. Solo un piano che sono dei lavoranti fissi cioè la quinta sezione (che fanno pasticceria e call center). Tutto il resto fa schifo, i secondini picchiano i detenuti, l’abuso di potere a gogo. Un carcere diretto e comandato da una banda senza scrupoli protetti dallo schifoso sistema. La sanità peggio del quinto mondo, medici inesperti, usano la Tachipirina per qualsiasi dolore. I detenuti sedati con gli psicofarmaci a volontà. Io sinceramente sto cercando di avere qualche indirizzo per indicarlo per uscire ai domiciliari. Basta sono arrivato oltre il limite e voglio continuare a lottare da fuori. […] Viviamo in un paese dove la verità è inaccettabile e dove le cose diverse sono diventate normale e viceversa, per colpa dell’ignoranza e della politica marcia e del sistema corrotto e perverso. A volte rifletto su chi governa questo paese, pensando al comico Beppe Grillo o al deficiente di Di Maio&Renzi e Zingaretti che non sanno pronunciare una frase di italiano, per non parlare della nana la strega Meloni e del rincoglionito ignorante di Salvini e hanno anche la faccia tosta di parlare male di noi anarchici perché amiamo l’amore e la libertà. Boh. Concludo con un saluto a tutti e un abbraccio fraterno forte a tutti voi e tutti i compagni in lotta.
6 giugno 2020
Eddi Karim, via Due Palazzi, 35 - 35136 Padova
DA DENTRO E FUORI I CENTRI DI RECLUSIONE PER IMMIGRATI
25 giugno – CPR di Torino. L’unico modo che hanno i reclusi per comunicare con l’esterno è quello di utilizzare le schede telefoniche che dovrebbero comprarsi a loro spese perché da qualche mese è proibito loro avere telefoni propri. Nella saletta c’è un televisore da cui hanno seguito e continuano a seguire quello che succede fuori, i colloqui con amici e familiari sono ancora sospesi, sono permessi solo quelli con il proprio legale. Al momento le aree aperte sono la blu, la viola e la gialla per un totale di circa una cinquantina di reclusi; non tutte le stanze di queste tre aree sono agibili a causa dei danni causati dalle rivolte dell’autunno; le gabbie dell’isolamento vengono utilizzate per mantenere quindici giorni i nuovi arrivi in quarantena forzata. A metà aprile è stata consegnata a ogni recluso una mascherina che non è stata più cambiata da allora non sono state fornite ulteriori protezioni, come del resto non sono mai state date informazioni riguardanti le modalità e i rischi del contagio. I detenuti non hanno segnalato casi di covid all’interno del centro mentre è da segnalare il consueto e sempre più pernicioso avvelenamento con gli psicofarmaci nel cibo e di terapie a base di medicinali che causano uno stato comatoso in cui la persona mantiene per alcune ore la stessa posizione “con la bocca spalancata come se stesse dormendo”. L’assistenza sanitaria è assente, la disperazione a causa delle continue provocazioni delle guardie e la condizione di isolamento hanno spinto in questi mesi i reclusi a compiere più volte gesti estremi come lo sciopero della fame pur di ricevere delle cure mediche.
Dopo il periodo di lockdown “la normalità” è ritornata anche dentro il CPR: da inizio giugno i nuovi arrivi sono in aumento mentre alcune frontiere, tra cui quella marocchina, sono ancora chiuse. Un ragazzo ci ha raccontato che la scorsa settimana, durante un’udienza con il giudice di pace gli hanno prolungato la permanenza nel centro di altri 30 giorni concludendo che a loro giudizio “l’ospite non ha mai collaborato con le autorità durante i sei mesi di permanenza”. Purtroppo secondo lui non è il primo caso del genere in queste ultime settimane. Ieri ci hanno chiamato dall’area viola dicendo che in mattinata tutte le persone che erano nell’area blu sono state spostate in blocco all’interno dell’area bianca appena ristrutturata perché dovrebbe arrivare a breve un nuovo gruppo, probabilmente dal centro di Macomer. Nei giorni scorsi infatti il CPR sardo è stato sede di rivolte e contro i detenuti considerati agitatori è già in azione la macchina repressiva.
7 luglio – Presidio sotto il Cpr di Macomer. A fine gennaio lo Stato italiano nelle vesti della prefettura di Nuoro, in accordo con la società privata Ors Italia e con l’amministrazione di Macomer, ha deciso di aprire nella stessa città un C.P.R., ovvero un Centro di Detenzione e Rimpatrio, una struttura atta a rinchiudere gli immigrati irregolari. Risse, ferimenti, tentativi di suicidio, atti di autolesionismo e molto altro hanno continuato a susseguirsi in tutti questi mesi: ricordiamo l’episodio che ha visto protagonista uno dei prigionieri, che esasperato dal rinvio del suo rilascio dalla struttura è salito su un muro per urlare il suo desiderio di libertà precipitando poi giù. Ancora pochi giorni fa, un uomo si è cucito la bocca con ago e filo, e a questi episodi si aggiungono gli scioperi della fame e i tanti momenti di una rivolta ininterrotta all’interno del C.P.R. che porta spesso le persone rinchiuse a salire sul tetto della struttura in segno di protesta per condizioni di vita disumane. Dalla viva voce delle persone recluse abbiamo la certezza del superamento del limite di detenzione per alcuni, abbiamo notizie di violenze da parte della polizia, di cibo non buono, della continua somministrazione di psicofarmaci e visite mediche scarse e superficiali. Abbiamo ricevuto richieste di beni di prima necessità assenti all’interno e ci è stato raccontato dell’ingiustizia di non poter stare davanti al giudice di pace che decide della loro vita e della quasi impossibilità di comunicare con l’esterno.
luglio 2020, notizie tratte da autistici.org/macerie e hurriya.noblogs.org
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DALLE FRONTIERE, EST E OVEST
11 giugno, Oulux (da un comunicato tratto dal sito passamontagna.info)
Si, abbiamo occupato. Abbiamo occupato gli scantinati della chiesa di Claviere. E quando ci hanno sgomberati siamo entrati nella ex-casa cantoniera di Oulx. Ci siamo presi degli spazi che erano necessari per incontrarci, parlarci, organizzarci. Contro le frontiere. Contro i sistemi di sfruttamento e selezione che le necessitano. Per portare solidarietà attiva a tutte quelle persone che si ritrovano discriminate, differenziate, sotto il continuo ricatto per ottenere un pezzo di carta, di uno stato che le massacra e del capitale che le sfrutta. Abbiamo occupato. Lo abbiamo fatto e ce lo rivendichiamo. E siamo ancora qui. La casa cantoniera esiste ancora e la lotta alla frontiera è molto più ampia dei 24 indagati/e per queste occupazioni e delle 17 persone che stanno cercando di cacciare via. Centinaia e centinaia di persone da ogni continente hanno attraversato questi spazi. Chi, indipendentemente dal possesso o meno dei documenti, determinato a scegliere dove e come vivere, chi per lottare questo sistema di sfruttamento, esclusione e differenziazione. Tra ieri e oggi i carabinieri hanno provato a notificare 17 divieti di dimora da Oulx, Claviere, Bardonecchia, Cesana, Salbertrand. Accusa: occupazione in concorso della Casa Cantoniera di Oulx. Ci accusano di aver strumentalizzato il fenomeno migratorio in alta Valle Susa, di aver fatto azioni di propaganda politica, di aver favorito l’attraversamento illegale del confine dei “migranti”, mettendo in pericolo la loro vita. Come se le persone con cui per due anni ci siamo organizzati, abbiamo riso, scherzato, parlato, pianto, fossero dei manichini inermi, oggetti privi di facoltà di scelta. Anche sulla carta straccia che i carabinieri ci hanno consegnato stamattina, lo stato infantilizza e rende passive le scelte autonome di chi, del resto, sa benissimo dove vuole andare. Rimandiamo le accuse al mittente: nessuno sarebbe costretto a rischiare la vita se non fosse inseguito da un sistema che non fa altro che succhiare e sputare, se non esistessero confini e documenti.
Ps – in tutta questa merda, almeno una cosa ci fa sorridere: sbirri e giornalistx sottolineano stupitx la massiccia presenza femminile nella lotta contro le frontiere. In effetti è vero: siamo tante, siamo incazzate e saremo sempre di più.
1 luglio, Claviere: Caccia all’uomo in frontiera. Chez JesOulx, Rifugio Autogestito
Nella scorsa notte siamo arrivati in cinque a Claviere con il pullman. Dopo aver camminato per tre chilometri, ho visto a lato del sentiero una persona nascosta dietro gli alberi che è subito saltata fuori puntandoci una torcia accecante ed urlando: “stop, polizia, fermatevi!” Abbiamo provato a girarci e scappare, ma c’era un’altra persona che ci puntava con una torcia. L’unica possibilità è stata di rifugiarci tra gli alberi. Il bosco era troppo buio e pericoloso, inoltre stava diluviando, ma ci siamo comunque precipitati giù per nasconderci. Le due persone hanno provato ad impaurirci minacciandoci: “se non uscite, mandiamo i cani!” Eravamo spaventati e non volevamo uscire. In seguito, abbiamo visto altre persone munite di torcia che ci venivano incontro. Quindi, ci siamo addentrati ancor di più nel bosco, sapendo che rischiavamo parecchio inoltrandoci nel buio più totale. Siamo rimasti nascosti per più di un’ora. Nel frattempo gli agenti continuavano a cercarci mentre dal nostro nascondiglio si vedevano le luci muoversi. A quel punto eravamo quasi accerchiati e non ci è rimasta altra soluzione che tornar indietro. Quando siamo tornati a Claviere, eravamo affaticati e affamati. Ci siamo addormentati sotto il ponte di Claviere fino al mattino, poi verso le 5 ci siamo svegliati e tornati a Oulx.
Le (non) fughe di chi (non) fugge dal CARA di Gradisca
Apprendiamo dai media locali di una serie di fughe/non fughe da parte dei richiedenti asilo “ospitati” nel CARA avvenute dal retro del campo. In un articolo dettagliato, oltre a tutte le sfumature di preoccupazione della sindaca di Gradisca, viene posta la domanda sul perché questo succeda visto che a questo punto dell’emergenza sanitaria “gli ospiti” possono regolarmente uscire come “gli autoctoni”. Posta la domanda ai diretti interessati incontrati per strada, la risposta appare piuttosto semplice: «Andiamo al supermercato!», ci dicono. In posti come il CARA, che il vitto sia scarso (un bicchierino di latte con due biscotti a colazione, riso in bianco con un pezzo di pane a pranzo etc) e che in passato arrivasse anche avariato, inadatto e insufficiente non è una novità, come non lo è che i richiedenti asilo cerchino da sempre di autorganizzarsi i pasti, attività spesso ostacolata durante tutte le gestioni fuori e dentro alla struttura. Le uscite contingentate poi, una persona circa ogni 10 minuti, imposte in maniera del tutto arbitraria dall’ente gestore, determinano lunghe attese davanti al cancello per guadagnarsi l’uscita che per qualcuno spesso neppure avviene, visto che sono circa 200 le persone ad oggi ad abitare al CARA. Questo avrà sicuramente influito sulla ricerca di strade alternative. Al governo regionale e nazionale e a chi gestisce il centro importa principalmente che le uscite siano contenute, affinché di queste persone “se ne vedano di meno in giro. Ci dispiace constatare infine che una certa propaganda politica, fatta anche attraverso i media locali, continui ad avere presa sui cittadini di Gradisca e ne fomenti le paure. C’è chi poco tempo fa ha dichiarato a proposito dell’installazione del centro quarantena che Gradisca non si merita altri migranti, noi siamo dell’avviso che siano i migranti a non meritarsi posti come il CPR e il CARA di Gradisca, luoghi disumani di speculazione economica e politica!
Il 13 luglio, al Cpr di Gradisca, un ragazzo albanese è rimasto senza vita e un ragazzo marocchino al momento è ricoverato in terapia intensiva nell'ospedale di Gorizia. Circolano varie versioni dei fatti. Durante il primo pomeriggio ci sono state rivolte nella zona rossa del CPR; la notizia della morte si sta diffondendo tra le varie zone della struttura, da dove ci raccontano che nella zona rossa è stato bruciato un materasso. Nella zona blu, quella dove si trovavano i due ragazzi, sono stati sequestrati tutti i cellulari. In serata c’è stato un Presidio di una sessantina di solidali davanti al Cpr.
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OLTRE LE FRONTIERE (Da Hurriya.noblogs.org)
Grecia. Scioperi della fame nel lager di Petrou Ralli e resistenze agli sgomberi ad Atene
Il 9 giugno, 16 delle 26 donne recluse hanno iniziato uno sciopero della fame. Lunedì 15 giugno 40 immigrati detenuti hanno a loro volta dato vita a un nuovo sciopero della fame, rifiutando il pranzo e reclamando il loro rilascio e l’accelerazione delle decisioni per le loro richieste d’asilo. In serata lo sciopero della fame è stato attuato da 120 persone recluse e continua anche nella giornata di martedì.
Martedì 16 giugno l’assemblea popolare di Exarchia ha organizzato un presidio davanti al Ministero per la migrazione e l’asilo per protestare contro le condizioni di Petrou Ralli e per la chiusura del lager. Sempre nella giornata di lunedì 15 ad alcune persone che avevano ottenuto lo status di rifugiato è stato permesso di trasferirsi ad Atene dal campo di Moria sull’isola di Lesbo, come tentativo delle autorità di decongestionare il lager, dove sopravvivono in terribili condizioni ancora altre 16.000 e più persone. Il governo greco non ha provveduto a fornire nessuna risposta abitativa, e le persone sono state costrette ad accamparsi in piazza Vittoria, prive di tutto. Rifugiati e solidali hanno chiesto un incontro con il Sindaco di Atene Bakoyannis per pretendere soluzioni sul piano abitativo, ma la risposta è stata l’arrivo di agenti e bus della polizia per sgomberare la piazza. Solo grazie alla presenza di un buon numero di solidali e alla determinazione dei/delle rifugiati è stato possibile evitare che lo sgombero della piazza avvenisse in giornata. Alle 4 di mercoledì 17 giugno, con un blitz a sorpresa varie forze di polizia in assetto antisommossa hanno sgomberato piazza Vittoria. Quando i solidali sono accorsi la polizia aveva già costretto, pena l’arresto immediato, circa 80 persone a salire negli autobus per portarle nel campo di Eleonas, nella zona industriale di Atene. Circa 12 solidali sono stati fermati. In risposta è stata convocata una manifestazione.
Dal 1° giugno il governo greco ha attua lo sgombero progressivo delle 11.237 persone rifugiate che finora usufruivano di un alloggio nelle strutture di accoglienza. Il governo si vanta di aver già gettato in strada circa 2.000 persone. Sono molte le iniziative organizzate da immigrati e solidali per resistere agli sgomberi avvenute nelle ultime due settimane.
20 giugno, Malta. Proteste ed evasioni nei centri di detenzione per migranti
Alle 8, dopo la conta mattutina, le guardie del centro di detenzione di Ħal Far a Malta si sono accorte della scomparsa di 21 persone. L’evasione è avvenuta sfondando un muro di recinzione del lager. Una ricerca è in corso su tutta l’isola ma dopo 2 giorni per fortuna ancora nessun fuggitivo è stato rintracciato. Nei campi di concentramento a Malta le proteste e le rivolte sono frequenti, l’ultima si era svolta il 16 aprile. Nei vari centri dell’isola sono recluse le persone appena sbarcate, ufficialmente per un massimo di sei settimane ma in realtà a tempo indeterminato.
Sulla legge del 25 giugno e successiva circolare del DAP
Sono diventati legge (25 giugno 2020, n. 70) i contenuti dei decreti legge 30 aprile 2020, n. 28 e 10 maggio 2020, n. 29. Questi due provvedimenti erano stati emessi dal Governo al fine di gestire la recente emergenza sanitaria e presentavano disposizioni che hanno fatto molto discutere. L’occasione della conversione dei decreti in legge è stata adoperata per emanare diverse nuove norme che hanno poco a che fare con l’emergenza causata dal Covid-19. Quello che possiamo dire è che i colloqui definiti “in presenza”, ovvero i colloqui, verranno resi talmente impraticabili da far diventare ordinari i colloqui “a distanza”.
Segue una breve rassegna di alcuni articoli e dei contenuti della successiva circolare del DAP. Chi volesse avere copia integrale di tali atti non ha che da chiederli e provvederemo ad inviarglieli.
Sulle norme “antiscarcercazione”, che costituivano la risposta governativa alle scarcerazioni di alcuni detenuti in regime di Alta Sorveglianza che avevano suscitato un forte clamore mediatico e politico, il decreto aveva modificato gli artt. 30-bis e 47-ter ord. penit., stabilendo che, prima della concessione di un permesso (art. 30) e della cosiddetta detenzione domiciliare “in surroga” (art. 47-ter, comma 1-ter), oppure della proroga di quest’ultima, l’autorità procedente dovesse acquisire alcuni pareri: in caso di richiesta proveniente da detenuti per delitti ex art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., il parere del procuratore distrettuale, da cumulare – in relazione a soggetti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ord. penit. – a quello del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Ciò è rimasto sostanzialmente immutato, in fase di conversione del decreto in legge, nonostante l'indicazione dell'Istutito Superiore della Sanità (ripresa nella circolare del DAP di cui si parlerà più avanti) di "favorire l'applicazione di misure alternative alla detenzione per tutte le persone che presentano gravi patologie che possono essere significativamente complicate dal COVID-19".
Sono state introdotte alcune modifiche, sostanzialmente formali, per rimediare al profilo di illegittimità costituzionale recentemente denunciato, tramite questione di legittimità, dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto e da quello di Sassari circa le tempistiche che non garantivano l'acquisizione delle informazioni sullo stato di salute del detenuto e un confronto fra le parti.
Per quanto riguarda la giustizia penale, anche se le norme speciali cessano il 30 giugno 2020, i provvedimenti che – ai sensi dell’art. 83, d.l. 18/2020 – hanno disposto il rinvio, o la celebrazione di udienze “a distanza” e a porte chiuse, continuano a restare efficaci.
Sulle disposizioni in materia di corrispondenza telefonica delle persone detenute viene anzitutto stabilito che l’autorizzazione alla corrispondenza telefonica possa essere concessa, oltre quanto stabilito nel comma 2 dall’art. 39, “in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, nonché in caso di trasferimento del detenuto”. Inoltre l’uso del telefono è ora concesso, anche una volta al giorno, con “figli minori o figli maggiorenni portatori di una disabilità grave”, oppure nei casi in cui la conversazione “si svolga con il coniuge, con l’altra parte dell’unione civile, con persona stabilmente convivente o legata all’internato da relazione stabilmente affettiva, con il padre, la madre, il fratello o la sorella del condannato qualora gli stessi siano ricoverati presso strutture ospedaliere”.
Per quanto riguarda i colloqui fra Garanti dei detenuti e ristretti in 41 bis, il Garante nazionale "accede senza limitazione alcuna all’interno delle sezioni speciali degli istituti incontrando detenuti ed internati sottoposti al regime speciale di cui al presente articolo e svolge con essi colloqui visivi riservati senza limiti di tempo, non sottoposti a controllo auditivo o a videoregistrazione e non computati ai fini della limitazione dei colloqui personali". Anche i Garanti regionali possono svolgere "colloqui visivi", i quali devono però essere "videoregistrati". Molto diversa è, infine, la posizione dei Garanti "comunali, provinciali o delle aree metropolitane": costoro possono accedere agli istituiti ove sono ristretti i soggetti sottoposti al regime del 41 bis "esclusivamente in visita accompagnata" e solo per "verificare le condizioni di vita dei detenuti" e non sono ammessi colloqui.
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La successiva circolare del DAP detta quindi le "linee per gestione della vita degli II.PP. nel tempo successivo al 30 giugno 2020" sulla base dei dettami della legge sopra citata, tenendo conto del fatto che l'emergenza sanitaria è stata proclamata con effetto fino al 31 luglio 2020.
Si stabilisce che l'isolamento precauzionale di 14 giorni per coloro che facciano ingresso negli istituti penitenziari provenienti da altro luogo e ogni altro detenuto che rientri in istituto provenendo dall'esterno (permesso premio, di necessità, etc). Il DAP regionale di Puglia e Basilicata specifica che "...il Nuovo Giunto ove asintomatico ed in assenza di evidenze di contatto con casi accertati SARS-COVID positivi sia collocato, ove possibile, in cella singola o in area separata per 72 ore dope le quali eseguito il tampone oro-faringeo in caso di negatività potrà essere trasferito in sezione insieme agli altri detenuti...".
In caso di saturazione delle camere di isolamento e quindi di insufficienza di spazi, sulla base di uno schema redatto da un gruppo del Ministero della Salute, si applicano i seguenti principi nel presupposto che i trasferimenti debbano avvenire solo per "estrema necessità": riunire i ristretti secondo criteri (di raggruppamento, secondo caratteristiche comuni a più persone da isolare, quali possono essere la previa convivenza, le frequentazioni assidue, l'arresto collettivo, etc) e la riduzione della durata dell'isolamento attraverso il ricorso sequenziale a test diagnostici.
Per quanto riguarda i colloqui si stabilisce che la riduzione dei colloqui "in presenza", con la garanzia di almeno un colloquio mensile, non risulta sottoposto al termine del 30 giugno. I direttori degli istituti hanno il potere discrezionale di deciderli con indicazione di massima che comunque "il più ampio accesso al colloquio visivo è tuttavia consigliabile".
Dal 1° luglio, non vale più quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 4 del decreto legge 10 maggio 2019, n. 29, concernente lo svolgimento a distanza dei colloqui.
Allegata alla circolare c'è una bozza di "protocollo operativo nazionale per la prevenzione ed il controllo dell'infezione da SARS-Cov2 nelle carceri". Il seguente protocollo operativo dovrebbe seguire i principi del Rapporto dell'ISS COVID-19 n. xxx/2020 "Indicazioni ad Interim per la Prevenzione e il Controllo dell'Infezione da SARS-CoV-2 negli Istituti Penitenziari e in altre Strutture con Limitazione delle Libertà Personale e delle linee di indirizzo sull'emergenza COVID-19" formulate dal Tavolo di Consultazione
Permanente per la Sanità Penitenziaria, le cui indicazioni generali sono: di proseguire, ove possibile, il percorso già avviato, di progressiva riduzione del sovraffollamento nelle strutture; di favorire l'applicazione delle misure di prevenzione all'interno degli Istituti Penitenziari; di utilizzare la possibilità, per gli specifici casi, di attivare le misure di isolamento sanitario; di utilizzare tutte le misure di prevenzione sanitaria (pre-triage, utilizzo appropriato di DPI) per i nuovi ingressi, gli operatori, i visitatori, ecc; di prevedere in casi emergenziali e in via del tutto eccezionale spazi alternativi idonei alla gestione dei casi che necessitano di isolamento; di favorire l'applicazione di misure alternative alla detenzione per tutti le persone che presentano gravi patologie che possono essere significativamente complicate dal CAVID-19.
Nella bozza di protocollo operativo redatto dal DAP una lunga parte è dedicata ai colloqui con i familiari percepiti come "un momento di rischio". Si auspica:
- la continuità dei videocolloqui, modalità che potrà essere ampiamente assicurata a tutti coloro che dovessero preferirla e comunque che potrà essere affiancata al colloquio ordinario, anche per garantire il numero minimo di colloqui mensili;
- esigenza di un meccanismo di prenotazione, così da assicurare uno scaglionamento dei colloqui ed evitare assembramenti;
- possibilità di disporre una durata inferiore a quella di un'ora da comunicarsi preventivamente al detenuto e ai familiari;
- modalità e caratteristiche di effettuazione del pre-triage di ingresso dei familiari, per cui appare necessaria la disponibilità di personale con competenze sanitarie;
- misure di prevenzione da adottare nella fase di accettazione del colloquio (ad esempio, laddove possibile, effettuazione delle stesse tramite vetro divisorio o plexiglass);
- riduzione del numero di familiari ammessi contemporaneamente a colloquio al fine di evitare assembramenti (preferibilmente presenza di un solo familiare);
- indicazioni circa l'eventuale accesso di minori, persone anziane o soggetti particolarmente esposti al rischio contagio in relazione alle pregresse condizioni di salute.
- definizione delle norme di comportamento durante il colloquio, quali il distanziamento ed il divieto di contatto fisico; detenuti e familiari dovranno essere preventivamente edotti di tali norme di comportamento, con l'avvertenza che, in caso di violazione, il colloquio verrà immediatamente sospeso.
- sanificazione delle sale o disinfezione della sala colloqui;
- definire la tipologia di DPI di cui deve essere munito il familiare durante le fasi di pre-triage, accettazione, perquisizione, colloquio e uscita. Occorre altresì stabilire se il familiare dovrà munirsi autonomamente di tali DPI (in assenza dei quali è inibito l'accesso) o se gli stessi devono essere forniti al momento dell'arrivo.
Per quanto riguarda i pacchi, "altro fattore di rischio", le indicazioni già date riguardano "l'opportunità di invio tramite corriere o altra modalità idonea a evitare/ridurre ulteriori momenti di 'contatto' tra il familiare ed il servizio (anche attraverso l'istituzione di punti di recapito)".
Milano, luglio 2020
lettera Dal carcere de l’Aquila
Riportiamo le parti della lettera-appello pubblicata su alcuni quotidiani della lunga lettera inviata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella da Salvatore Cappello, condannato all’ergastolo e che da 23 anni è in 41 bis. A divulgare la missiva è stata l’associazione Yairaiha Onlus di Cosenza che da anni si batte contro l'ergastolo ostativo.
Illustrissimo Presidente chiedo di essere fucilato nel cortile dell'istituto, così la facciamo finita perché, dopo 24 anni, non voglio più morire tutti i giorni, voglio morire una sola volta. Alla S.V. Illustrissima affinché intervenga a far eseguire la condanna inflittami dalla Corte d'Assise di Catania e Milano cioè la condanna a morte nascosta dietro la parola ERGASTOLO, con FINE PENA 9999, cioè FINE PENA MAI! Chiedo che la condanna venga eseguita perché dopo 24 anni, di cui 23 passati al 41 bis, SONO MORTO già tante di quelle volte che non lo sopporto più; ogni volta che lo rinnovano muoio; quando guardo gli occhi dei miei figli, dei miei cari, di mia moglie penso che la condanna a morte è anche per loro. E non voglio che muoiano tutte le volte lo rinnovano con scuse banali e senza fondamento, per questo chiedo di morire.
Non intendo impiccarmi o suicidarmi perché l'ho visto fare tante di quelle volte che non voglio pensarci. Siete voi che dovete eseguire la sentenza perciò chiedo che venga eseguita tramite fucilazione nel cortile dell'istituto, così la facciamo finita perché, dopo 24 anni, non voglio più morire tutti i giorni, voglio morire una sola volta perché non basta che tu stia scontando l'ergastolo, non basta che lo sconti pure con la tortura del 41 bis, c'è anche la cattiveria.
Che so... sei un 41 bis? Non puoi farti nemmeno un uovo fritto. È questa la lotta alla mafia? Tu hai preso 30 anni (senza uccidere nessuno) per estorsione ed associazione? Con l'art. 4 bis li sconti tutti senza benefici, ma, se tu hai ucciso un bambino, lo hai violentato, sconti 20 anni e niente 41 bis, niente restrizioni. Questo è lo Stato italiano! Che so, rubi un tonno per fame? Sconti dai 3 ai 5 anni; poi c'è chi ruba milioni di euro, quelli vanno a Rebibbia in attesa dei domiciliari! E sono peggio dei mafiosi perché loro hanno giurato fedeltà allo Stato.
No sig. Presidente, non sono un santo, sono, o meglio, ero, un delinquente. Ma sono 10 anni che ho dato un taglio a tutto per amore dei miei figli e dei miei cari. Ma ciò non è servito a niente perché le procure non vogliono che tu dia un taglio al passato, o ti penti o sei sempre un mafioso da sfruttare tutte le volte che fanno un blitz sfruttano il tuo nome per dare più risalto per dare più peso al blitz e tu ci vai di mezzo solo perché un megalomane fa il tuo nome; non vogliono nemmeno che i tuoi figli lavorano perché vogliono che seguono le “orme del padre”, se trovano lavoro vanno dal datore di lavoro e gli dicono che stanno facendo lavorare il figlio di un mafioso. Se non lavorano dicono che non lavorano. Ma, ringraziando Dio, i miei figli lavorano tutti, lavori umili, ma lavorano, e fanno sacrifici per venirmi a trovare.
Se chiedo la fucilazione lo faccio anche per loro, per non dargli più problemi. Sa cosa vuol dire ricevere un telex che dice che tua figlia è ricoverata in fin di vita, vedi se puoi telefonare? No al 41 bis non posso chiamare; ho un solo colloquio al mese o una telefonata. Se avevo ucciso un bambino non ero “mafioso”, non avevo 41 bis, allora si, assassino di bambini se ricevevo un telex tipo “mamma ha la febbre”, allora potevo telefonare, chiedere colloqui e tutto. Questa è la legge italiana!
Signor Presidente, sono 23 anni che non ho una carezza dei miei genitori, che non abbraccio i miei figli, che non tocco la mano di mia moglie, perciò mi chiedo “è questa la vita che devo fare fino alla morte”? E allora facciamola finita subito, fucilatemi!
p.s. Non restituite il corpo alla mia famiglia, sarebbero per loro altri problemi. Grazie.
L’Aquila, 7 luglio 2020
AGGIORNAMENTI SU REPRESSIone, PROCESSI, PRIGIONIERi/e
11 giugno. Dopo un anno e mezzo di latitanza, Gabriel Pombo Da Silva era stato arrestato lo scorso 25 gennaio in territorio portoghese in base alla OEDE (il mandato d’arresto europeo), la Audiencia Provincial ha rigettato la richiesta di annullamento della OEDE. Gabriel è stato trasferito nel carcere di Mansilla de las Mulas Paraje Villahierro-24210 Mansilla de las Mulas (León)-España
12 giugno, Roma. Operazione “Bialystock”. La mano dello Stato attraverso i suoi carabinieri del Ros e il procuratore Dall’Olio ha portato via altri sette tra compagni e compagne, di cui due sono agli arresti domiciliari e cinque in carcere tra Italia, Francia e Spagna. Viene contestata la solita associazione sovversiva con finalità di terrorismo oltre ad alcuni reati specifici tra cui l’incendio di qualche auto del car sharing dell’Eni (le auto Enjoy) e l’attacco esplosivo alla caserma dei Carabinieri di Roma San Giovanni del dicembre 2017. Per Paska, di nuovo ai domiciliari, viene contestato anche il 270sexies per la solidarietà che avrebbe portato pressione al carcere di La Spezia e avrebbe determinato il suo trasferimento.
Il riesame del 30 giugno, non per Francesca e Roberto che sono in territorio spagnolo e in Francia in attesa dell’estradizione, ha confermato le misure e le accuse. Paska ora è libero. Francesca è stata poi estradata il 13 luglio.
Nico Aurigemma, Str. delle Campore, 32 – 05100 Terni TR; Francesca Cerrone, via Aspromonte 100 – 04100 Latina; Claudio Zaccone, Strada Monasteri 20 – 96014, Cavadonna, (SR) ; Flavia Digiannantonio, via Bartolo Longo 72 – 00156, Roma ; Roberto Cropo, Num ecrou: 1010197 Centre pénitentiaire 1 allée des thuyas – 94261 Fresnes CEDEX FRANCIA
Operazione “Prometeo”. Il 22 giugno si è tenuta l’udienza preliminare per l’operazione “Prometeo” a Milano. Gli avvocati hanno ottenuto dal gip il cambio di sede processuale a Genova per incompetenza territoriale della procura di Milano. Beppe, Natascia e Robert furono arrestati il 21 maggio 2019 dai carabinieri del Ros, guidati dai pm Piero Basilone e Alberto Nobili del pool antiterrorismo di Milano, accusati di 280 (attentato con finalità di terrorismo). Il 2 dicembre 2019 Robert è stato scarcerato senza alcuna misura cautelare. Il 10 luglio si è tenuta un’altra udienza presso il tribunale di Genova. Il giudice ha risposto all'istanza scritta dei difensori spostando l'udienza al 29 luglio e, probabilmente, da remoto perché questo potrebbe essere un caso senza possibilità di opposizione.
Natascia Savio C.C. San Lazzaro, Strada delle Novate, 65 – 29122 Piacenza; Giuseppe Bruna C.C di Pavia – Via Vigentina, 85 – 27100 Pavia
27 giugno, Trento. Il tribunale del Riesame si è nuovamente espresso negativamente sulle misure cautelari dei compagni e le compagne coinvolti nell’operazione “Renata”, da mesi sottoposti a obbligo di dimora con rientro notturno.
Operazione “Scripta Manent”. Il 1° Luglio, presso l’aula bunker delle Vallette di Torino, è iniziato il secondo grado del processo che in primo grado ha portato a condanne molto alte: 20 anni per Alfredo, 17 per Anna, 9 per Nicola e 5 per Marco e Sandro. I/le compagni/e imputati/e sono accusati di 270 bis e di varie azioni antimilitariste, contro i CPR, in solidarietà agli anarchici prigionieri, contro caserme, sedi e uomini delle istituzioni a firma FAI e FAI/FRI, dal 2003 a oggi. Gli imputati prigionieri (a parte Gabriel Pombo Da Silva) hanno seguito l'udienza in videoconferenza, in aula e sul piazzale fuori dall'aula un manipolo di solidali ha fatto presenza. Il PM non aveva rispettato i tempi per presentare il suo ricorso, ma un acrobatico ricalcolo da parte dei giudici ha stabilito che il ricorso è valido... Il processo continua quindi anche per gli imputati assolti in primo grado. Le prossime udienze sono fissate per il 15 e 22 luglio, poi si andrà a settembre (e probabilmente inizio ottobre).
Alfredo Cospito, Nicola Gai e Alessandro Mercogliano, via Arginone, 327 – 44122 Ferrara; Marco Bisesti, Strada Casale, 50/A – 15121 Alessandria (AL); Anna Beniamino C. C. di Messina “Gazzi”, via Consolare Valeria 2 – 98124 Messina.
2 luglio, Venezia. La Procura di Venezia ha chiuso le indagini contro Juan Sorroche per l’attacco contro la sede della Lega a Treviso dell’agosto del 2018. Il compagno, in carcere a Terni da più di un anno per vari definitivi di pena e condannato dal tribunale di Brescia a due anni e sei per possesso di documenti falsi e di un coltello, è accusato di “attentato con finalità di terrorismo” e di “strage”.
Juan è stato rinviato a giudizio davanti alla Corte di Assise di Treviso. Prima udienza il 23 novembre 2020.
Juan Sorroche , Str. delle Campore, 32 – 05100 Terni TR
2 luglio , Caltagirone. Davide, attualmente detenuto al carcere di Caltagirone, è in 14bis. Davide ci fa sapere che il 7 luglio ha iniziato lo sciopero dell'aria contro il 14bis che gli è stato applicato per due rapporti disciplinari presi al Pagliarelli e contro le soppressioni della direzione.
Davide Delogu, Casa Circondariale Caltagirone, Contrada Noce S. Nicola Agrò ̶ 95041 Caltagirone (CT)
10 luglio. Il tribunale del Riesame ha deciso la scarcerazione senza ulteriori misure per Peppe Sciacca che si trovava nel carcere di Alessandria arrestato con l'accusa di aver preparato degli attacchi con pacchi bomba, e inserito nell’operazione “Scintilla”. Il 17 Giugno la cassazione aveva accolto il ricorso e declassificato il reato in quanto il materiale non è considerabile esplosivo ma pirotecnico.
12 luglio. Arrestato e messo ai domiciliari l’attivista No Tav Emilio. Uno degli attivisti colpiti alcuni mesi fa da misure cautelari della procura di Torino (divieto di dimora e obbligo di firma). Secondo la Digos, avrebbe violato più volte i provvedimenti partecipando a manifestazioni e iniziative No Tav in Clarea, in occasione dei lavori per l’allargamento del cantiere Tav.
15 luglio, Torino. Sentenza per Boba, accusato di incendio doloso. Era i1 febbraio 2019 quando, dopo un saluto fuori dal carcere delle Vallette, era divampato un incendio che aveva distrutto un laboratorio di pasticceria. La condanna è molto alta, e una minaccia per tanti, 4 anni. In udienza la giudice aveva disposto la scarcerazione di Boba, con 3 firme alla settimana.
22 luglio, Brescia. Si terrà il processo di appello contro Manu. Arrestato nel maggio del 2019, detenuto in carcere fino al marzo del 2020 e tutt’ora agli arresti domiciliari. Il 22 novembre scorso Manu è stato condannato a 3 anni e 2 mesi con l’accusa di aver aiutato Juan durante la sua latitanza. Il tribunale di Brescia non gli ha contestato solo “procurata sottrazione alla pena”, ma anche “favoreggiamento” con l’aggravante di “terrorismo” perché Juan è stato arrestato dopo più di due anni di latitanza con l’accusa di aver attaccato la sede della Lega di Treviso, procedimento di cui nessuno – né Juan né tanto meno Manu – poteva essere a conoscenza.
luglio 2020
Notizie tratte da fonti dirette e da Roundrobin
DUE LETTERE DAL CARCERE DI PIACENZA
Le tre lettere da Piacenza e Ferrara che seguiranno sono di compagne e compagni che ora sono diversamente liberi, ma fuori dal carcere.
Carissimi OLGA, ricevo oggi il vostro piego di libri e non potete capire - o forse sì- quanto sia stato propizio, perché io ed Elena (come i nostri amici coimputati) siamo in isolamento sanitario e non ci fanno andare né in biblioteca né in palestra. Protestando arrabbiandoci siamo riuscite ad ottenere 1 libro per me (dato che non avevo nulla da leggere se non le indagini e gli stuoini per fare ginnastica). Quindi grazie!
Con Elena abbiamo mandato uno scritto alla CassaAntirep per non dover scrivere cento volte le nostre condizioni da far girare – e forse prima che arrivi questa qua lo avrete letto. Appena entrata ho chiesto il vitto vegan e il medico mi ha risposto “A casa tua fai come vuoi” … sono state più comprensive le secondine che hanno parlato con la cucina e questo la dice lunga sul ruolo dei medici qui. Sono 17 anni e di certo non sarà qui che desisterò! Immagino già sappiate che questo carcere è piuttosto socialdemocratico per quello che ha mostrato finora: dopo 3 giorni che chiedevamo il regolamento c'è stato dato con aggiunto la “Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti”. Ed è proprio qui che dovremmo battere, non sulle sue brutture (che per quanto siano sistemiche non sono sistematiche e non ne rappresentano la norma), ma sulla sua edificazione come pilastro di questa società di dominio, come tortura perché richiede la domesticazione e la sottomissione ad un sistema improntato sullo sfruttamento. Il rivoltarsi (o l'accettare la rivolta pure individuale, come atto liberatorio in sé) contro ciò che troviamo inaccettabile ed insopportabile deve inevitabilmente essere punito. Le carceri servono a monito dei “cittadini” e come tortura dei nemici (ovvero di tutti coloro che non rispettano i diktat del sistema). Quando sono venuti ad arrestarmi, dopo un primo momento in cui ho dovuto raccogliere le idee – dovete sapere che abito sola in una casetta tipo delle fate vicino ad un boschetto “il mio vicino abita a 1,5 km e c'erano 8 carabinieri” -, non ero troppo sconvolta quando mi hanno detto che ero in arresto -, quando scegli coscientemente di essere un'anarchica e/o di iniziare un percorso rivoluzionario che, non solo mette in discussione lo status quo, ma sostiene apertamente l'azione diretta contro strutture e poteri di dominazione, la carcerazione è il minimo scotto che lo stato si appresta a farti pagare. Ma non devo spiegarlo a voi, giusto? Mi sembrava doveroso farvi sapere chi sono, dato che conosco qualcuno di voi solo di vista), rifiuto qualunque tipo di sostanza che dia dipendenza (fumo, alcool e droghe) non come spirito puritano di rinuncia ma all'interno di una prospettiva rivoluzionaria in cui l'individuo è in rivolta permanente contro un sistema drogato e drogogeno, per usare le parole di “Intorno al drago”. Avevano già provato a chiedere il mio arresto (0p. Mangiafuoco) mal il GIP non aveva firmato l'istanza e il processo si chiuse in udienza preliminare con un “non luogo a procedere”. Sempre i ROS di Bologna. Che altro dire se non GRAZIE? Come dicono i Kafka (una punk band): “Conosco i miei nemici con nomi e cognomi”. Un abbraccio (Nicole, 20 maggio 2020)
***
Ciao compagne/i di Olga, qui tanta rabbia e tanto odio per ogni gabbia e divisa come sempre, ma stiamo bene. La presenza di Natascia qui, che domani fa un anno di carcere, è stata fondamentale per noi anche se ancora non abbiamo potuto abbracciarla a causa dell'isolamento sanitario. Ieri sera abbiamo sentito un bel saluto fuori e ci siamo date da fare per farci sentire e anche qualcun'altra ha urlato. Dal maschile si è sentito un bel macello. Non stiamo perdendo occasione per pressare per avere tutto ciò che ci spetta e finalmente le guardie hanno smesso di cercare di instaurare un rapporto cordiale e di dirci “Buongiorno” e Buonasera”. Il terzo o il quarto giorno ci hanno mandato l'ispettore in sezione che ci ha fatto la sua bella lezioncina didattica affermando che loro in tutte noi vedono delle persone prima che delle detenute, così come nelle altre carceri italiane. Gli ho risposto che non credo proprio che sia così e non penso manco che lo credano i 14 morti ammazzati durante le rivolte di marzo, né i loro parenti e amici.
Oggi una guardia ha fatto la splendida e voleva perquisirmi prima di andare all'aria; mi sono rifiutata. Al rientro abbiamo trovato un capoccia, forse il vice dell'ispettore. Mi sono rifiutata di nuovo scusandomi e alla fine hanno perquisito solo il tabacco. Niente di diverso da ciò che accade altrove, credo. Provocazioni e tentativi di rendere mansuete e a capo chino le persone a cui hanno già tolto la libertà. Ma la dignità non me la levano. Per il resto quest'operazione pare proprio un chiaro tentativo di spezzare le idee e le pratiche di solidarietà, ma io son convinta ancora più di prima di ciò che ho in cuore e di ciò che sono le pratiche di lotta anarchiche. Da qui tutta la mia solidarietà e rabbia per tutte e tutti le e i compagne/i in gabbia o con altre misure. Che quest'ennesima operazione repressiva dia slancio e concretezza alla solidarietà. Un abbraccio forte e grazie sempre, la vostra forza arriva forte e chiara. (Elena, 20 maggio 2020)
LETTERA DAL CARCERE DI FERRARA
Ciao compagni/e di Olga, Qui è Duccio dal carcere di Ferrara.. Grazie mille del pacco con i libri inviatomi, davvero. Io e Guido siamo in cella assieme – per ora – in isolamento sanitario ai nuovi giunti almeno fino a metà settimana. La situazione è tranquilla, le strutture sono decenti e pure il vitto; le guardie sono delle merde non trascendono la misura (personalmente – per me che sono alla prima esperienza carceraria – vedere come trattano i lavoranti, da schiavi, è ciò che mi fa più schifo a pelle); la posta ci pare regolare e veloce. I nostri compagni a Bologna sono sul pezzo, vi chiediamo semmai di star loro vicini per come potete. Speriamo di vederci presto fuori di qui!
Un abbraccio a tutti/e voi. (Duccio, 24 maggio 2020)
Apprendiamo che l’ex direttore del carcere di Ferrara, Francesco Cacciola, sarà il nuovo garante dei detenuti per Ferrara... Che garanzia!
LETTERA DAL CARCERE DI AGRIGENTO
Ciao compagno, ho ricevuto la tua lettera datata 07-04-'20, la tua prima lettera, perché quella precedente datata 16-03-'20 venne bloccata ed inviata al Magistrato di Sorveglianza per una sua valutazione del contenuto, e sempre in data 16-03-'20 venivo a farti sapere che la tua lettera era stata bloccata – quindi bloccano anche quella che cercavo d'inviarti. Ecco il perché la tua lettera non venne restituita. Le motivazioni: nel mio manoscritto sarebbero emersi potenziali elementi pregiudizievoli per l'ordine e la sicurezza penitenziaria nonché quella pubblica – potrebbe anche escludersi che dietro l'apparenza di un significativo evento in realtà vi possono essere messaggi relativi agli eventi in parola già avvenuti o ad altri ulteriori che potrebbero avvenire. Pertanto le circostanze – in relazione alla gravità delle recentissime rivolte nei penitenziari 2020, alla capacità e tipologia criminale del detenuto. Dopo averti spiegato le ragioni del perché è probabile che questa lettera venga trattenuta e magari quale teorema si inventeranno per trattenerla distintivamente.
Non sei solo – avevo inviato ai compagni di Firenze C.P.A. Una mia autobiografia con descrizione/esaltazione delle proprie vicende processuali/giudiziarie, ed avrei incitato espressamente alla rivoluzione nel mondo ed alla necessità della lotta contro lo stato, circostanze che – in relazione alla gravità delle recentissime rivolte penitenziarie cioè un'entità comunque idonea a determinare l'ulteriore divulgazione e condivisione del messaggio, emergerebbe la necessità di intervenire onde prevenire pericoli per l'ordine e la sicurezza.
Quindi anche la tua lettera che avrei dovuto ricevere il 6-03-'20 fu trattenuta perché nel manoscritto inviatomi da te sono emersi potenziali elementi pregiudizievoli per l'ordine e la sicurezza penitenziaria nonché quella pubblica. Morale della favola si capisce che stiano tentando di volere colpire le condivisioni politiche e se non altro il pensiero.
Nemmeno quando ero in regime AS2 c'erano castelli campati nell'aria, nonostante che avessi avuto monitoraggio sulla posta. Mentre non trovandomi in nessun regime di massima sicurezza, ma vita in comune, mi verrebbe impedito di esprimere i miei pensieri, mi viene impedito di avere condivisioni e anche la prova visiva nell'avere sequestrato una lettera indirizzata al “Partito-Comunista” e sequestrata la lettera dell'Associazione Ampi Orizzonti inviatomi il 23-04-'20 perché a suo dire l'opuscolo in questione appartiene ad una collana di opuscoli con cui, tra le altre cose, potrebbe fomentare la lotta contro l'amministrazione degli istituti penitenziari e le istituzioni in generale.
Quindi se mi scrivete una favola c'era una volta il lupo cattivo forse le lettere non comportano pericolo, mi fa ricordare negli anni 40/45 che ai detenuti per non politicizzarsi passavano i giornalini di Topolino. Qui non ti danno i giornalini di Topolino, ti bloccano la posta. Per il resto cerco di andare avanti come si può. Sono stato denunciato per avere imbrattato i muri della cella. Quando verrò sentito dal magistrato dirò: che anziché di fare le denunce per un piccolo scritto, l'amministrazione dovrebbe pulire la discarica che c'è sotto le finestre delle celle. Salutatemi tutti, ti abbraccio Mauro.
10 maggio 2020
Mauro Rossetti Busa, p.za Di Lorenzo, 1 Contrada Petrusa - 92100 Agrigento
LETTERA DAL CARCERE DI PAVIA
Carissimi/e, spero che questa mia vi trovi bene! Vi scrivo per segnalarvi una situazione (l’ennesima!) grave che mi sono trovato ad affrontare tra il pomeriggio del 3/7 e la mezzanotte del 4/7! Come sarete a conoscenza sono rinchiuso da circa 1 anno in una cella da solo nella sezione “protetti” delle galera di Pavia!! Ho da sempre rifiutato tale collocazione mettendo in atto varie forme di lotta (sciopero della fame, sciopero dell’aria…)
La (parola che non riesco a capire) sanitaria della galera di Pavia pur non avendomi mai sottoposto a nessuna visita medica (anche se c’era una richiesta specifica del GIP Basilone) ha dichiarato che sono in trattamento (con cosa?) per il linfonodo alla tiroide (mai controllata qui) e che ho avuto una grave forma di bronco-polmonite e in caso di
necessità avrebbero provveduto a soccorrermi!!
Venerdì (3/7) pomeriggio su Pavia è arrivato un grosso temporale con raffiche di vento, non facendo in tempo a chiudere la finestra, il vento ha chiuso il blindo della mia cella, qui accade sovente quando c’è tanto veto… devo precisare che i campanelli per chiamare i secondini non funzionano, devi solo urlare!! in questo caso il detenuto lavorante
avvisa il secondino di turno che sono “chiuso”, lo sento dalla mia cella... non ho mai chiamato un secondino da quando sono rinchiuso in questa fogna, la loro presenza mi irrita... aspettando che si sarebbero degnati di riaprire il blindo come tutti insezione, mi occupo di altro nella cella sapendo che verso le ore 21 sarebbero comunque passati con l’infermiere che distribuisce psico-farmaci... alle ore 20:30 circa il secondino zelante apre lo spioncino del blindo e gli dico subito di aprire il blindo come tutti gli altri che sono molto agitato e non riesco a respirare!
Mi risponde con un Sì e sparisce!! Verso mezzanotte, con il cambio turno dei secondini fanno la conta... non so cosa sia successo, non ricordo niente, mi sono ritrovato sul pavimento pieno di bava con 4/5 secondini che mi continuavano a chiamare, qualcuno diceva che forse ero morto!! Non hanno mai chiamato il medico, né l’infermiere, non sono mai stato visitato anche in queste circostanze… ho capito da un pezzo perché sono stato collocato in questa sezione in questo carcere!
Alle ore 10:30 circa vengo chiamato in infermeria (04/07/20) dopo aver avvisato l’infermiere del mio malessere e di aver perso conoscenza durante la notte. Davanti al medico di turno gli dico l’accaduto durante la notte: è presente l’infermiera e un secondino “graduato” che assiste alla conversazione, mentre mi prende i parametri gli manifesto al medico un dolore forte alla fronte per la botta presa con la caduta, l’infermiera mi dice che non si vede nulla e nel spiegargli che sarebbero venuti a mezzanotte quando ero disteso ul pavimento com’era quando mi hanno trovato i secondini in turno magari si sarebbero accertati sul momento!
A sto punto interviene il secondino presente che con tono minaccioso mi dice che “parlo troppo” e che devo parlare solo di medicine!! Presenti il medico di turno e l’infermiera (dicono la moglie di un secondino) non fanno una piega!! Ho fatto richiesta delle cartelle cliniche vediamo se me le portano!! Spero che questa vi arrivi e non sparisca!!
Vi chiedo di essere partecipi con me contro questo collocamento in questa sezione e questa galera!! Fate girare a più persone e siti possibili! Di galere si muore!
Mi rialzo A TESTA ALTA Vomitando tutto il mio odio a questo collocamento!!
Libertà per i compa romani! Beppe.
Giuseppe Bruna, Via Vigentina, 85 - 27100 Pavia PV
LETTERA DAL CARCERE DI PESCARA
Compagni/e di Ampi Oriho ricevuto i libri, vi ringrazio per la vostra solidarietà. Per via di questo Covid qui sono con l'acqua alla gola, volevo inviarvi l'ultimo libro da me pubblicato, “Finchè galera non ci separi”, Haze-Auditoriumedizioni (W.W.W. HAZE - AUDITORIUMEDIZIONI.IT).
Di libri ne ho pubblicati due, il primo: “Senza speranza e senza disperazione” Rupe Mutevole Edizioni; il secondo (in agosto 2019) “Finchè galera non ci separi”, sono 86 poesie con Cd - 18 poesie musicate, voce del caro amico Pier Paolo Capovilla, musiche Paki Zennaro, il tutto arricchito dai disegni (acquarelli) di Andrea Chiesi, la prefazione è dell'amico Luca Pakarov. Delle mie due pubblicazioni (tutte poesie) non ne ho mai fatto - nè voluto fare – una questione economica, scrivo per il piacere che mi dà, la poesia è una sorta di necessità spirituale per me. Con il mio editore non ho mai voluto firmare contratti, è bastata (ed ho voluto) una stretta di mano, comunque, dopo avervi spiegato per sommi capi, la mia attuale situazione, appena mi sarà possibile vi invierò il mio libro. Ringraziandovi, un saluto complice e anarchico a tutti/e voi. A presto, Emilio.
19 maggio 2020
Emidio Paolucci, via San Donato, 2 - 65129 Pescara
Abbiamo ricevuto il libro, lo abbiamo trovato molto interessante, profondo e a tratti ironico. Insomma, ci è piaciuto molto.
LETTERA DAL CARCERE DI GENOVA
Carissimi compagni di Ampi Orizzonti, ieri ho ricevuto la vostra lettera dove mi dite che presto vi farete vivi. Io purtroppo non sto in un'ottimale situazione, sia a livello psicologico e sia a livello salutare e per giunta, come vi dissi nella scorsa lettera, sono rimasto praticamente da solo, non mi segue più nessuno, un po' perché non ho più i genitori e per determinate situazioni qualche sorella e fratello se ne sono dovuti andare a vivere in Australia. In questo carcere sto male perché nessuno ti dà una mano di nessun genere. Con i detenuti comuni è una guerra ogni giorno. Credetemi, è un inferno. Poi questi che è scoppiata la pandemia del coronavirus siamo stati, o meglio, sono stato isolato totalmente. Già mi trovo in una sezione distaccata dalle altre perché mi ritengono uno da bollino rosso, siccome vengo dal carcere di Salerno, dove ci sono state rivolte non solo per quelle che sono scoppiate per il COVID19; ma è più di un anno che in quel carcere ci sono rivolte, risse, proteste per vivere in modo degno, così ci sono stati pestaggi da parte degli agenti della polizia penitenziaria ed io sono uno di quelli che, come un pacco postale sono stato sbarcato prima ad Ariano Irpino, poi a La Spezia, poi a Sanremo ed ora sono 5 mesi che sto bloccato qui a Marassi di Genova. Per questo mi ero rivolto a voi per un sostegno. Sono due anni e mezzo che sto dentro e ne devo fare altri 5 ancora. Non so davvero come fare, faccio richieste per avere un sostegno dai volontari che operano negli istituti, ma qui non si vede mai nessuno. Non si vedono Educatori, Psicologi. Parlare con qualcuno è un'utopia; le domandine spesso vengono cestinate o spariscono. Ditemi voi se questa non è una tortura. Purtroppo è un sistema che vige un po' in tutti gli istituti della penisola e non c'è verso di avere o far valere il mio diritto. È tutta una presa in giro. Ti dicono sempre, “poi vediamo”, “se ne parla domani”, “ora non è possibile” e intanto si vive come le bestie. […] Comunque in questo carcere che già porta una nomina, perché è una struttura vecchia che negli ultimi anni hanno fatto qualche ristrutturazione, ma pensate che dove sto io ci sono ancora le T.V. Vecchie, AMSTRAD, MIVAR, praticamente cassoni. L'acqua calda è erogata in orari che poi non sono compatibili con le cose che si fanno in certi orari perché a quell'ora si va all'aria, si va al campo, in saletta e spesso l'acqua la becchi fredda. Non abbiamo il frigo in cella, come in quasi tutti gli istituti. Le A.S.L. funzionano a singhiozzi. Si effettua un colloquio al mese; le cause si fanno in video-conferenza e non c'è la privacy perché ci sono agenti assieme a noi, persone che entrano e escono dalla sala della videoconferenza. Dagli avvocati si è iniziato ad andare solo una decina di giorni fa. Anche se io non posso, perché sono della Campania ed il mio legale lo sento per telefono. Nell'incontro con gli avvocati ci sono al centro i “plexiglass, come pure ai colloqui ed in matricola”. La mascherina la dobbiamo acquistare noi alla spesa. Non ci passano disinfettante adeguato. Ci danno solo una fornitura al mese che serve a poco, perché, non solo è roba di sottomarca ma non puoi mai arrivare a fine mese. Parlare con un Comandante o la Direttrice è un miraggio e gli ispettori purtroppo ti sentono pure, ma non possono autorizzare certe richieste particolari. Mi sembra di essere tornato indietro di 20 anni e me la sto vedendo brutta. Ho fatto richiesta per essere avvicinato nei pressi della Campania, perché sto cercando di riallacciare i rapporti con una figlia. A volte mi scrive, ma mi accorgo che non sta bene. Credetemi sto male per tante cose e non vedo uno spiraglio, anche perché sono ancora ricorrente e l'avvocato può fare poco perché il mio domicilio poiché a Norcia ci fu il terremoto e ho la casa in affitto che è inagibile. [...]
25 giugno 2020
Rosario Mazzone C.C. Piazzale Marassi, 2 - 16139 Genova
LETTERA DAL CARCERE DI milano-OPERA
Le prospettive non sono così rosee per il futuro di noi prigionieri in queste patrie galere. Vivevamo già in ristrettezze rasente alla illegalità prima dell’evento dell’epidemia, il dopo sarà oltremodo peggiore. I colloqui per esempio, la copertina dell’opuscolo rispecchia l’attuale colloquio. Manca solo il vetro divisorio. Lo stato attualmente può garantirci solo un’ora di colloquio al mese con persona adulta di 18 anni e non oltre i 65, con mascherine e guanti, non puoi stringere la mano al visitatore ne tantomeno portargli una bottiglia di acqua. Questo è il massimo; chi ha figli, nipotini, genitori ultra 65 decade per legge di questo stato il diritto di coltivare gli affetti di parenti, nonni e di figlio e di marito se la moglie supera i 65 anni. Durante la fase cronica dell’epidemia lo stato ha dato la possibilità a noi prigionieri di contattare i nostri cari tramite tecnologia Skype, WhatsApp. Un contatto freddo con i propri cari ma, pur sempre una possibilità di vivere, viversi, ma lo stato per motivi di sicurezza ha deciso di limitare e a togliere di mezzo per motivi di sicurezza (non si capisce l’uso criminologico) questa possibilità di vivere i familiari. Quindi in quanto ai colloqui ci avviamo al distacco totale dai familiari. Lo stato, solo uno stato di merda, razzista, dittatoriale è capace di imporre per decreto la fine degli affetti.
La sanità? In questi luoghi latita con l’epidemia o senza non cambia nulla. Per la società libera non sono all’altezza di garantire delle sane cure, come possono garantirla a noi qui dentro. Che serve parlarne se è lo stesso presidente della repubblica con atti ufficiali a dire tutto l’incontrario di tutto e la società in generale lo applaude? Come si può pensare che in questi luoghi viene garantito il diritto costituzionale di essere curato? Chi è questo demente che lo dà per certo? Questo stato vigliacco ci ha condannati a morte e tutte queste è questo che dobbiamo pagare a spese dei contribuenti. Ci hanno condannati a morte e non hanno il coraggio di ripristinare il boia; l’Italia culla del diritto! Nei giorni scorsi hanno fatto morire un ragazzo di 48 anni da 30 anni imprigionato con una malattia rara e da 10 anni veniva tagliato pezzettino per pezzettino alla volta sino all’arrivare a metà gambe. L’hanno fatto morire qui dentro, nessun giudice ha avuto il coraggio di mandarlo a morire a casa, perché? Perdere la salute in questi posti dove garantivano che lo potevano curare e non è stato il solo che non hanno curato, centinaia di morti andati via in silenzio Questo è quello che garantisce la sanità in questi posti, a chi 25 anni fa per decreto ci ha condannati morte. Le prospettive per il futuro sono disastrose, certo non ci arrendiamo, lottiamo si fa di tutto per sopravvivere, di tenere testa a questi megalomani dei politici, ma è dura. Le ragioni non possono nulla contro le forze quanto poi queste forze sono imposte da chi ha assaporato un potere che non intende lasciare. Siamo imprigionati da questo potere, carne da mattatoio e non possiamo fare altro che aspettarci ulteriori privazioni causa corona virus. Una scusa come l’altra basta avere un motivo per farci sentire sempre di più dei […] umani, ogni scusa va bene.
Ora è di moda il virus. E si andrà avanti per un po’ così. Togliendoci ogni diritto, quelli di coltivare gli affetti familiari, quelli di curarti e quelli di difenderti visto che ai tribunali non si va più. Quando ti va bene c’è la videoconferenza che non si capisce nulla e così andiamo avanti nello stato culla del diritto!
24 giugno 2020
LETTERA DAL CARCERE DI REGGIO EMILIA
Ai compas di Nuovi Orizzonti. Le misure indette dall’OMS nei lager di stato sono state inesistenti. Ogni giorno vissuto, la sera, quando mi buttavo sulla branda, pensavo: oggi ho rubato un altro giorno alla morte. Le guardie portavano la mascherina noi prigionieri no. Ad un certo punto nella bacheca della sezione appare un foglio nel quale c'era scritto che potevamo comprarcele. Una mascherina (di tipo chirurgico) al modico prezzo di 2,50 e tre invece a 4,50. Ma la costituzione italiana non dice che lo Stato si fa garante della sanità del popolo italiano? Sostanzialmente, la costituzione dice tante belle cose che però vengono applicate ad uso e consumo di chi l'amministra. Il sovrappopolamento non è stato neanche considerato per quanto riguarda il distanziamento preventivo. Il ministero della giustizia, diretto dal “fenomenale”, Alfonso Bonafede, l'incompetenza fatta uomo, non ha chiaro che in un cubicolo è impossibile il distanziamento preventivo. Così come nelle sezioni: tutti insieme appassionatamente”. In questa emergenza Covid 19 il governo ha mostrato tutta la sua inefficienza. Le omissioni nelle RAS, tanti poveri anziani morti. A Greta Thumberg gli hanno rubato il futuro, a noi hanno ucciso la memoria storica. L'indifferenza con la quale sono state trattate tematiche importanti, appunto le omissioni, interi settori lavorativi senza aiuti economici e le ciliegine sulla torta, le rivolte del'8 marzo. E i referti delle autopsie dei 14 morti all'interno dei lager di Stato dove sono? Tutti morti per overdose? Sembra improbabile. Il metadone viene somministrato in boccette o con uno strumento che immette il dosaggio in un contenitore. Il tutto, dopo la somministrazione, viene posto in una cassaforte o come minimo in un armadio chiuso a chiave (rigorosamente in metallo). Noi anarchici invece pensiamo che i 14 decessi sono frutto dell'operato degli sbirri dell'antisommossa. Una cosa che potrebbe trovare conferma dagli atti di violenza delle polizie negli stati mondiali, vedasi Regeni, Zaki, e i soggetti di colore uccisi negli Stati Uniti e senza escludere il caso Cucchi. Ma la Repubblica ha le idee chiare: rimette in libertà i boss e Carminati. Niente da dire sul fatto che siano stati rimessi in libertà, ma forse il sistema legislativo italiano è commerciabile … Insomma una cosa da rabbrividire. E il popolo italiano che li va pure a votare. Facendo insediare a palazzo Madama dei conservatori di poltrone che gestiscono il potere attraverso le mafie. Aristotele afferma: i principi della legge sono quelli di farli apparire legali. Liberi tutti! Libere tutte (A cerchiata): Contro le galere planetarie. A PUGNO CHIUSO
21 giugno 2020
Marco Ricci, via Settembrini, 8 - 42123 Reggio Emilia
notizie DAL CARCERE DI UTA (CA)
F. è attualmente un detenuto del carcere di Uta. La sua situazione è quella comune a tanti prigionieri: è stato trasferito in un luogo lontano da quello in cui viveva, l’Emilia Romagna. Con le misure anti-Covid e le difficoltà di spostamento le possibilità di rivedere la sua famiglia, che non vede ormai da 2 anni, sono ancora più esigue. Per questo motivo ha deciso di richiedere all’amministrazione penitenziaria il trasferimento in un carcere emiliano ma purtroppo non ha ricevuto risposte. Ha così deciso di intraprendere uno sciopero della fame di circa 20 giorni che gli è costato la perdita di 15 kg di peso. La dirigenza del carcere ha provato a placare la sua determinazione con alcune promesse non mantenute e per questo motivo il detenuto ha deciso di mettere in pratica degli atti di autolesionismo, alcuni anche molto eclatanti, come tagliarsi la pancia ed ingerire pezzi di vetro. Mercoledì 10 giugno, in un momento di sconforto ha messo a bollire l’olio e se lo è gettato nella schiena, provocandosi una grave ustione, con pezzi di pelle letteralmente in necrosi. Dall’amministrazione penitenziaria ancora non arrivano risposte e F. continua a restare nel carcere cagliaritano, mentre valuta di riiniziare lo sciopero della fame ad oltranza. Chiediamo di far girare questa notizia per fare in modo che ciò che succede all’interno di quelle mura non sia un segreto e che tutti sappiano qual è la vera faccia dell’istituzione penitenziaria. F. è attualmente un detenuto del carcere di Uta. La sua situazione è quella comune a tanti prigionieri: è stato trasferito in un luogo lontano da quello in cui viveva, l’Emilia Romagna. Con le misure anti-Covid e le difficoltà di spostamento le possibilità di rivedere la sua famiglia, che non vede ormai da 2 anni, sono ancora più esigue. Per questo motivo ha deciso di richiedere all’amministrazione penitenziaria il trasferimento in un carcere emiliano ma purtroppo non ha ricevuto risposte. Ha così deciso di intraprendere uno sciopero della fame di circa 20 giorni che gli è costato la perdita di 15 kg di peso. La dirigenza del carcere ha provato a placare la sua determinazione con alcune promesse non mantenute e per questo motivo il detenuto ha deciso di mettere in pratica degli atti di autolesionismo, alcuni anche molto eclatanti, come tagliarsi la pancia ed ingerire pezzi di vetro. Mercoledì 10 giugno, in un momento di sconforto ha messo a bollire l’olio e se lo è gettato nella schiena, provocandosi una grave ustione, con pezzi di pelle letteralmente in necrosi. Dall’amministrazione penitenziaria ancora non arrivano risposte e F. continua a restare nel carcere cagliaritano, mentre valuta di riiniziare lo sciopero della fame ad oltranza. Chiediamo di far girare questa notizia per fare in modo che ciò che succede all’interno di quelle mura non sia un segreto e che tutti sappiano qual è la vera faccia dell’istituzione penitenziaria.
Da evasioni.info
A COSA SERVE IL CARCERE?
Segue un contributo di Nicoletta Dosio, detenuta No Tav, liberata il 18 aprile 2020.
Da quest’esperienza una cosa l’ho imparata: che il fine esplicito ed istituzionale del carcere è quello di ridurre all’obbedienza, cieca, contro qualsiasi coscienza critica, ogni autonomia: a questo sono finalizzati lo stravolgimento dei tempi e degli spazi, l’arbitrarietà degli ordini, la sistematica repressione di ogni obiezione, la violenza psicologica e l’umiliazione delle perquisizioni corporali ogni volta che ti muovi, le battiture dei blindi nelle ore più improbabili, le celle buttate all’aria per cercare il nulla assoluto, l’obbligo di domandina scritta al direttore per le cose più ovvie (comprare i gettoni per la lavatrice, ricaricare la scheda telefonica, mandare a casa oggetti o libri….), la chiusura delle celle più volte nella giornata senza un preciso motivo, la prepotenza delle guardiane che negano o concedono a capocchia, il sentir chiamare “Africa”, “india”, “Cina” le tue compagne dalle secondine che ne cancellano volutamente nome e cognome….Uno degli ultimi interfaccia è stato con quella che ci teneva a sottolineare il suo grado… ” si sente offesa? Da cosa? Parla con me come se fossimo fuori dal carcere…Qui le regole sono diverse….” Le regole sono le loro, rispetto alle quali loro sono tutto e tu non sei niente. Solo se diventi un utile strumento, poi essere, minimamente, tenuto presente. Nel momento in cui sei pronta a chiamare le guardiane per risolvere un litigio con la tua compagna di cella o non hai problemi a dare informazioni su come si comportano e di che cosa parlano le “attenzionate speciali”, allora sei sulla buona strada, in gara per rientrare nella “società civile” … L’unico carcere accettabile è quello abolito.
SUL CARCERE DI MODENA
Segue un contributo sul carcere di Modena fatto da un compagno che è stato lì rinchiuso.
Dopo le nefandezze dette in questi mesi riguardo la rivolta di Modena, una testimonianza importante, uscita sul sito settimana news il 29 giugno, è quella del medico trovatosi negli ambulatori assieme a un’infermiera durante la rivolta. Il medico descrive la situazione in cui si sono trovati e di come i detenuti, mentre distruggevano il carcere, abbiano fatto due cordoni per far uscire entrambi gli assistenti sanitari al grido “sanità!”. Questa breve descrizione coccia con il racconto pompato a spron battuto dai media ufficiali. I peggiori epiteti si sono susseguiti per mesi, e tutt’ora nel momento della finta quiete si vuole far pagare ai detenuti rivoltosi le negligenze, la repressione cronica di un sistema basato sull’annientamento degli uomini e donne recluse. La cosiddetta società civile modenese cerca di ripulirsi la facciata dopo quello che è successo omettendo le sue responsabilità. Essa ha come porta voce il sindaco di Modena e vari esponenti delle associazioni locali, che reclamano la immediata ristrutturazione della struttura detentiva, la quale ora è operante solo nel nuovo padiglione, rattoppato alla ben e meglio prima di essere parzialmente riaperto. All’interno si trovano circa 80-100 detenuti. Un “vanto” di questa struttura malconcia è il fatto che una dozzina di detenuti sia stata scelta dalle autorità per colmare le lacune sanitarie rispetto al fatto che decine e decine di detenuti hanno problemi legati al trauma post rivolta (Le sonore bastonate? Il piombo sparato ad altezza uomo?) o a problemi di tossicodipendenza o psichiatrici. Questi mesi di forte tensione hanno sicuramente inasprito la situazione all’interno di tutti gli istituti, la sanità non viene garantita e quindi serve la manovalanza e la disponibilità di uomini reclusi disposti a prendersi in carico una persona in difficoltà. Reclamare la riapertura di una struttura detentiva, ancora di più dopo gli ultimi avvenimenti, fa comprendere che questa società non ha altro modo di risolvere i problemi sociali che reprimendo, perché affidarsi a strutture statali come il DAP, solo questo vuol dire, solo il linguaggio della violenza sa parlare. I detenuti e detenute di Modena hanno dovuto mandare all’aria il carcere per far comprendere che sono persone ancora vive, solo la lotta – anche se repressa brutalmente – ha saputo dare voce a una istanza che dovrebbe essere garantita come la sanità, ma che in realtà è da sempre negata.
DAL CARCERE DELLA DOZZA DI BOLOGNA
Tratto dal testo “Considerazioni” dopo il presidio del 26 giugno, a cura dello spazio “Il Tribolo” di Bologna.
Venerdì 26 giugno eravamo tante/i là sotto; siamo arrivati sotto le sezioni dei comuni e dell’AS3 e finalmente, dopo mesi, siamo riusciti a comunicare bene con chi è rinchiuso. Sin dal nostro arrivo si sono alzati dalle celle cori per la libertà e contro le galere. Tutta la nostra vicinanza e complicità è stata portata alle compagne e ai compagni arrestati con l’Op. Bialystok. Abbiamo riportato ai prigionieri quello che sta succedendo anche in altre carceri, un quadro che fa emergere senza mezzi termini che le strette imposte nel periodo dell’emergenza coronavirus hanno tutta l’aria di voler essere prolungate il più possibile da parte del DAP e delle direzioni dei penitenziari: dalle limitazioni ai colloqui, 1 o 2 al mese col plexiglass, alla stretta sui regimi a celle aperte, sino alle ripetute intimidazioni verso chi alza la testa. Dalle sezioni dei comuni hanno raccontato che perdurano le limitazioni sui colloqui (uno al mese col plexiglass) e sulle ore d’aria (solo due al giorno) in tutto il carcere; diversi sono ancora i casi di prigionieri ammalati di COVID, o quantomeno di sospetti tali, tenuti nelle sezioni con gli altri e si parla di persone a cui le “cure” sono “garantite” con la sola somministrazione della solita tachipirina; per quanto riguarda il cibo, con il carrello del vitto è un susseguirsi di pasta, pane e riso, mentre l’uso delle docce è limitato a 5 minuti, altrimenti si riceve rapporto da parte delle guardie; regolari sono le perquisizioni delle celle intorno alle 4 di notte; i prigionieri hanno lamentato l’assenza di educatori (alcuni invece li hanno insultati senza mezze misure) e di qualsiasi tipo di attività lavorativa o meno; molti di loro hanno residui di pena bassi e magari anche un domicilio, ma non vengono fatti uscire; il detenuto che a fine maggio aveva dato fuoco all’infermeria (ad oggi ancora fuori uso) è stato picchiato e sbattuto in isolamento. Più volte le guardie in borghese presenti sulle mura di cinta, con chiaro intento intimidatorio, hanno rivolto le loro telecamere verso i detenuti che comunicavano con i solidali.
LETTERA DAL CARCERE DI UDINE
Alla attenzione dell'Associazione “Senza sbarre”.
Noi detenuti del carcere di via Spalato […] dichiariamo che è da mesi che ci lamentiamo per la piccola quantità di cibo che viene distribuita, e anche, altra cosa grave, che alcuni di noi hanno portato in visione all'ispettore di turno cibo crudo, cibo scaduto e maleodorante.
Non solo: alcuni detenuti hanno trovato nel loro piatto di spinaci e gnocchi anche scarafaggi morti. Tutto questo lo lamentiamo da mesi, e anche veniva portato in visione il mangiare scaduto e avariato ad un ispettore di turno, e lui lo segnalava anche, ma continua tutt'ora lo stesso; addirittura persone che hanno avuto problemi alla pancia, chi vomito ed alcuni, più fortunati, si astengono al ritiro del vitto. Ma chi non può purtroppo farlo, deve avere la fortuna di farcela, quanto meno avere culo, che alcune volte [il vitto] arriva in condizioni discrete, ma sempre cibo scaduto e con forti odori, tipo pesce, uova, e sughi con pasta cruda, e sughi non cotti bene. Purtroppo tanti di noi abbiamo reclamato ed alcuni non ritirano più il vitto, poi troviamo fuori dalle porte della cucina molti scarafaggi, che vengono poi anche trovati negli spinaci e nelle zuppe di verdura. Poi i continui nidi di scarafaggi, formiche, piccoli topi e addirittura scorpioni, che fuoriescono dai lavabi, bagno, wc, doccia. Siamo invasi da ogni forma di insetti che portano malattia, non c'è igiene nelle celle, sono muri sporchi, bagni con muffa e privi di aerazione, non c'è sanificazione di nessun genere, gente malata che ha problemi igienici sanitari. […]
Seguono 22 firme
Lettera dal carcere Vigevano (PV)
Ciao ragazzi sono detenuto qui al carcere 'Piccolini' di Vigevano, ho personalmente apprezzato la vostra manifestazione di ieri sera, se vi può interessare come vengono trattati i diritti dei detenuti qui dentro, vi posso informare che ci sono molte negligenze e mancanze da parte dei preposti, appuntati, guardie, chiamateli come volete, nei confronti di noi detenuti, a partire dai semplici assistenti, fino al comandante, io stesso ho preso schiaffi solo per aver richiesto di essere spostato di cella per una incompatibilità con la persona che mi avevano associato.
Non ci forniscono i prodotti per igienizzare le celle specialmente in questo periodo di emergenza, ci danno da mangiare il minimo per la sopravvivenza e sempre le stesse cose. Sono anni, mi riferiscono, che qui il cibo o meglio il menù è sempre lo stesso e non basta mai, lo danno con il contagocce e il direttore fa monopolio sui prodotti alimentari, cioè, se cerco di farmi mandare dalla famiglia un prodotto che risulta nella lista spesa interna non lo fanno entrare, ti costringono a comprarlo dal carcere, ovviamente con i prezzi molto più alti rispetto al di fuori.
Gli educatori li vedi dopo mesi, il SERT ancora meno, fanno solo reperire il metadone a chi gli spetta, ma dottori, psicologi e psichiatri non sono mai presenti. L'unica soluzione per alcuni è, come è successo a me: affidarsi ai dottori interni con terapie alternative ma con pochi benefici. Ad esempio: io usavo eroina, cocaina, hashish e ho passato i 15 giorni più brutti della mia vita! Ho avuto anche l'esperienza di essere stato messo in isolamento per sospetto Covid 19. Il cibo fa veramente schifo come tutto il resto. Qui il direttore fa molta economia con prodotti di bassa qualità, a volte anche compromessi dalla conservazione, secondo il mio parere errata, o comunque non secondo i canoni di conservazione, guastando così la qualità del cibo. La sorveglianza fa abusi e prepotenze come e quando vogliono. Io sono stato preso a schiaffi più volte solo per aver chiesto alcune cose di mio diritto, ma, oltre a non ottenere nulla, appena fuori dalla portata della telecamera sono stato menato. Io sono qui in attesa di processo, ma dovrei scamparla con i domiciliari. Ma mi metto nei panni dei miei compagni, che hanno anni da scontare, come sia difficile e sofferente vivere in queste condizioni qui (o minacci di tagliarti o non ottieni nulla. In tema di Covid 19: abbiamo passato e tutt'ora viviamo con la paura di essere contagiati. Le guardie hanno le belle mascherine con le decorazioni (polizia penitenziaria), invece a noi ci hanno fornito delle mascherine non a norma prodotte nel reparto femminile e tuttora non le hanno mai cambiate anche se usurate dai continui lavaggi. In questo momento delicato non ci forniscono i prodotti per poter igienizzare le celle, 2 rotoli di carta igienica al mese e basta. La situazione qui è molto a rischio e tutti temiamo per la nostra salute: non igienizzano nulla nemmeno le docce comuni, una vergogna, a mio parere. Voglio ringraziarvi per la manifestazione che avete fatto, è stata gradita da tutto il carcere e continuate in questa protesta perché sentire da noi che al di fuori c'è qualcuno che si preoccupa per la popolazione detenuta, da forza per resistere e sperare che qualcosa possa cambiare.
Mi scuso per la lettera un po' grezza e magari con qualche errore ortografico, ma credo che il concetto di quello che volevo esprimere sia chiaro! Sentiamoci, aspettavamo dal governo qualcosa e vedere voi lì fuori manifestare per noi alimenta una speranza che non deve morire nel cuore dei detenuti perché avremo sbagliato ma abbiamo una dignità e non ce la possono negare. GRAZIE MILLE RAGAZZI NON MOLLATE MAI!
15 maggio 2020
Il 27 giugno si è tenuto un sotto le mura del carcere di Vigevano per sostenere le ragioni di chi è li rinchiuso/a, ragioni apprese sia per corrispondenza epistolare che per racconti diretti fatti ad una compagna lì detenuta fino alla sua recente scarcerazione.
L'arrivo di una trentina di solidali è stato salutato calorosamente dal maschile che non ha mancato di urlare dalle finestre una serie si problemi che si vivono in quel carcere, dal caldo intenso reso più insopportabile dal divieto di poter comprare dei ventilatori all'impossibilità di poter fare i colloqui con i minori di 14 anni e comunque sempre attreverso il vetro divisorio. Ci siamo impegnati a sostenere le ragioni delle proteste e in particolare l'obiettivo immediato del ripristino dei colloqui senza alcuna delle limitazioni introdotte e senza per questo dover rinunciare alle telefonate o ai colloqui telematici.
La presenza dei carabinieri si è mantenuta a distanza e non ha interferito con lo svolgimento del presidio.
dal carcere di santa maria capua vetere (ce)
Segue un testo liberamente tratto dalla trascrizione di una puntata di “Battiture” su “radio asilo” con una parente di un detenuto del carcere di Santa Maria Capua Vetere (S.M.C.V.) del 15 aprile 2020.
Questa rivolta che è scoppiata la domenica di cui tu parli è stata descritta evidentemente in modo strategico da TV e giornali come una rivolta aggressiva, una rivolta ingestibile; noi sappiamo che non è stato così. Vuoi dirci in effetti che cosa è stato nella realtà?
Noi praticamente tramite voci abbiamo saputo che nel carcere di S.M.C.V era iniziata una rivolta per un caso di Coronavirus che fu anche annunciato da Samuele Ciambriello, il garante dei detenuti. Allora praticamente la rivolta non è stata violenta. E’ vero i detenuti del reparto Nilo di S.M.C.V. hanno preso i letti e hanno sigillato il padiglione e si erano impossessati del padiglione, ma niente di grave perché loro non hanno procurato danni né al penitenziario e nemmeno alle guardie.
Quindi dopo questa protesta assolutamente pacifica, dopo aver saputo che una persona in Alta Sicurezza appunto era stata contagiata e portata all'ospedale Cotugno, dopo che cosa è accaduto, che cosa hanno fatto alle persone detenute?
I detenuti trovarono un accordo con la direttrice per parlare con Marco Puglia [magistrato del Tribunale di Sorveglianza, ndr] ma pacificamente, cioè loro volevano soltanto essere ascoltati. Quando Marco Puglia poi dichiarò che la protesta non era stata una rivolta ma anzi sottolineo una protesta pacifica perché non hanno arrecato nessun danno, lui praticamente aveva, come dire, consolato i detenuti, li fece stare ovviamente più tranquilli e ognuno tornò chi nelle proprie celle. All'atto che Marco Puglia mette piede fuori dal penitenziario salgono questi caschi blu, ovviamente non so da dove provengono e tutto il resto, però la direttrice chiamò dei rinforzi proprio per far pestare i detenuti. E da lì si scatenò l'inferno, cioè fu un massacro. I detenuti erano tranquilli e la rivolta era finita il giorno prima quindi non c'è stato nessun motivo per pestare questi detenuti; come per esempio il fatto dell'olio bollente, tutta la storia delle spranghe, tutte quelle storie fasulle, non è vero niente.
Tu pensi quindi che fossero non gli agenti della penitenziaria che lavorano qui ma degli agenti esterni chiamati dalla direttrice.
Praticamente questa informazione che ho appena detto, che è entrata questa squadretta dentro il carcere, li ha chiamati la direttrice. Perché la direttrice nell’incontro che anche io personalmente ho avuto con lei mi ha detto: io purtroppo non ero in grado di gestire la situazione e ho dovuto chiamare rinforzi, così si sono trovate queste guardie dentro, all'interno del carcere. Praticamente i detenuti sono stati privati della loro dignità, sono stati rasati barba e capelli come nei campi di concentramento, addirittura sono state bruciate le barbe con gli accendini, cioè stiamo parlando veramente di un massacro, quello che dico è un trauma vero e proprio quello che hanno subito i detenuti, il perché tutto questo, cosa che loro non hanno fatto; addirittura i detenuti sono stati spogliati e picchiati.
Posso solo immaginare che sia molto difficile per te parlare di tutto questo è accaduto e che sia molto faticoso anche dare tutti i dettagli, però i dettagli sicuramente servono per far capire alle persone che ci ascoltano le vere e proprie torture che purtroppo hanno dovuto subire le persone che sono dentro perché in qualche modo credo che sia importante. Volevo anche chiederti perché so che voi come parenti il giovedì, quindi il 9 aprile, siete state ancora sotto le mura di quel carcere per sapere appunto della situazione dei vostri cari, perché intanto in qualche modo anche se le telefonate, le videochiamate vi erano state ostacolate, comunque in qualche modo eravate riuscite a sapere della situazione che era accaduta all’interno. Ti va di raccontarci come si è svolta quella mattina in cui vi siete ritrovate sotto le mura del carcere?
A noi sono state negate le videochiamate perché ovviamente non potevano far vedere la condizione dei detenuti, con la scusa che non c'era linea. Noi ovviamente tramite telefonate ricevute il giorno dopo, io personalmente a mio marito l’ho sentito il lunedì e il giorno che successe tutto quel massacro, poi l’ho sentito direttamente il venerdì, non ce la faceva nemmeno ad alzarsi da sopra il suo letto, vabbè, comunque tramite le chiamate e le registrazioni che abbiamo fatto noi parenti dei detenuti, i detenuti piangevano al telefono dicendo che li avevano massacrati, che li avevano torturati e tutto il resto, e noi ci siamo incontrati tutti quanti fuori al carcere di S.M.C.V. per una protesta pacifica, infatti c’erano anche gli striscioni. Quando eravamo lì era tutto tranquillo, eravamo soltanto noi e il giornalista de Il Mattino e il cameraman di Now tv. Praticamente una volta arrivate lì iniziarono a uscire tutte le guardie penitenziarie fuori, a chiamare rinforzi, carabinieri, polizia e tutto il resto. Noi ovviamente parlammo con il capo, con il comandante dei carabinieri e lui voleva trovare un accordo per far finire questa protesta e così ci trovammo ad entrare all’interno del carcere di S.M.C.V. in tre persone: io e due mie amiche. Avemmo questo incontro con la direttrice. In questo incontro la direttrice c'ha detto che i detenuti sono stati pestati, ce l’ha confermato. Ha parlato anche di mio marito e di mio cognato, ha detto è vero, sono stati pestati, loro stanno al reparto Danubio, le celle d'isolamento, mio marito e mio cognato con un altro paio di detenuti. Lei però ovviamente negava tante versioni perché comunque qua si entra nella tortura vera, e lei questo ce lo negò. Quando poi mi accorsi che ci stava soltanto prendendo in giro, ce ne uscimmo e noi non ci volevamo più muovere da là fuori perché la direttrice mi disse tra un’ora ti faccio chiamare da mio marito. Mi chiamò il venerdì però, il giorno dopo, perché poi noi alla fine ce ne andammo perché i carabinieri poi si misero contro di noi, abbiamo avuto anche le denunce noi mogli e parenti.
Che sostegno invece avete trovato fuori dopo il coraggio che avete dimostrato nel dire ad alta voce che cosa è accaduto dentro quelle mura, qualcosa si è mosso, qualcuno sia interessato?
L'unico sostegno che abbiamo trovato: ci siamo date noi forza a vicenda. Noi tutte le mogli dei detenuti perché abbiamo dei gruppi su whatsapp e ci muoviamo tra di noi tramite social, anche con l'aiuto dei garanti però, perché poi abbiamo avuto la fortuna che dal carcere sono usciti agli arresti domiciliari e quindi avremo la prova vivente, delle persone che sono uscite, le avevo mandate anche ai garanti che, pubblicandolo, li hanno contattati anche le testate giornalistiche e ovviamente abbiamo avuto anche più voce perché ho contattato il detenuto in persona che ha vissuto quella vicenda e ci stiamo facendo sentire ancora di più. Ci stiamo muovendo soltanto noi, con le nostre forze, tramite social; purtroppo era l'unico modo perché qua come si dice ci hanno abbandonato veramente tutte le istituzioni, ci hanno veramente abbandonato.
Volevo anche chiederti: vi era mai capitato prima di ritrovarvi come gruppo di parenti sotto le mura di quel carcere per avanzare delle richieste o per sostenere le persone all’interno, oppure questa è stata la prima la prima volta?
Ci divedevamo in gruppetti, invece adesso siamo molto più unite. Parlo per me, è stata la prima volta questa cosa di unificazione insieme alle altre, che ci siamo state per fare questa lotta, perché stiamo lottando per avere giustizia per i nostri familiari, perché la cosa che noi vogliamo è che loro pagano la loro pena, no che mi devo stare a casa a piangere sapendo che ci hanno fatto veramente molto male, perché credimi la settimana santa per me è stato un calvario, è stata veramente bruttissima.
S.M.C.V. è un carcere che definire sovraffollato è poco: potrebbe detenere molte meno persone di quelle che ci sono all’interno: adesso ci sono circa un migliaio di persone detenute ma ce ne sono almeno duecento oltre la capienza che avrebbe; è un carcere che ha sicuramente tanti problemi, anche di carattere strutturale, come sentivo anche da altri parenti. A partire per esempio dalla carenza d'acqua che spesso c'è… ti va di dirci un po’ quali sono le difficoltà maggiori di quel carcere.
Le difficoltà maggiori sono: praticamente noi qua fuori abbiamo delle regole, mantenere le distanze, indossare guanti e mascherine e usare disinfettanti. Purtroppo questo loro non lo possono fare perché primo non hanno guanti e mascherine e secondo nella cella ci sono quattro persone o più, quindi non possono mantenere nessuna distanza di sicurezza. Quindi loro non sono per niente al sicuro, e noi famiglie fuori stiamo malissimo perché abbiamo paura per la loro salute. Praticamente vengono torturati anche moralmente loro, perché temono per la loro vita. Loro sono entrati per scontare una condanna, non per morire a causa di un virus, questa è la cosa. Poi il carcere di S.M.C.V. sta vicino una discarica, quindi fra mosche, zanzare, è una lotta continua; poi l'igiene è una cosa scarsissima in quel carcere, non se ne parla proprio; pure quando per esempio noi accediamo ai colloqui veramente fa paura là dentro perché si potrebbe prendere ogni tipo di malattia per l'igiene che c'è in quel carcere. Noi famiglie fuori stiamo malissimo, malissimo, ma loro dentro staranno ancora peggio, questa è la verità. E non credo che un essere umano possa sopportare tutto questo perché non è nemmeno giusto, è un’ingiustizia quella che stanno subendo dallo stato, perché comunque è lo stato che permette tutto questo.
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13 giugno. La stampa riporta di una rivolta in atto al carcere di S.M.C.V., mentre la polizia penitenziaria protesta all'esterno contro le indagini a carico di 57 secondini per torture e violenze commesse nei mesi scorsi a danno dei detenuti.
Apprendiamo da alcune parenti che alcuni detenuti del reparto Danubio si stanno gravemente e pericolosamente autolesionando da due giorni allo scopo di ottenere il trasferimento, dopo aver appreso che nel corso delle perquisizioni a carico dei secondini, sarebbero state trovate numerose armi improprie (mazze chiodate) nella disponibilità della polizia penitenziaria. Proprio per il timore di subire nuove rappresaglie da parte della polizia penitenziaria, i detenuti del reparto Danubio stanno adesso protestando per ottenere la chiusura del reparto in cui si sentono in grave pericolo e la cessazione delle condizioni inumane di detenzione.
Parenti e amici dei detenuti a Poggioreale, Pozzuoli e Secondigliano [pagina FB]
NOTIZIE DALLE CARCERI
Segue una rassegna di notizie e informazioni sulle carceri riportate da diversi giornali nazionali e locali. chiediamo a tutti i prigionieri di portare contributi diretti sui fatti riportati, in modo tale da liberarci dalla stampa dei sindacati di polizia penitenziaria e dei governi di turno.
12 luglio, Cagliari: 110 nuovi detenuti in 41bis in arrivo al carcere di Uta
La sezione per i detenuti in 41bis nel carcere di Uta doveva essere pronta già dal 2013, ma le alterne vicende del cantiere hanno lasciato in alto mare le celle. Il Dap romano vorrebbe compiere il lavoro già a fine agosto. Lo stanziamento iniziale per quel padiglione era di 18 milioni, su un quadro finanziario complessivo dell'intero carcere che ha raggiunto l'esorbitante cifra di 94,5 milioni di euro. Le opere rimesse in cantiere per la conclusione del padiglione 41 bis di Uta costeranno alla fine, salvo nuovi oneri in corso d'opera, un milione e 600 mila euro. Durante la realizzazione sono già stati mandati a processo 12 responsabili tra impresari e funzionari. La scelta e giustificazione di questo trasferimento è dettata dal fatto Uta e a Bancali sono le uniche carceri con celle a norma per dimensione vivibilità. Quasi un terzo dei detenuti in regime di 41 bis saranno così in Sardegna, sui 700 complessivamente presenti nelle carceri italiane.
10 luglio 2020, Milano-Opera, "al 41bis non si applicano le pronunce della consulta"
La denuncia dell'avvocato Eugenio Rogliano. Nonostante la Consulta abbia dichiarato incostituzionale il divieto dello scambio di oggetti di modico valore tra detenuti al 41bis, alcune carceri lo vietano tuttora. La Corte costituzionale ha sentenziato che cade il divieto assoluto di scambio di oggetti di modico valore, come generi alimentari o per l'igiene personale e della cella, per i detenuti sottoposti al regime del 41bis appartenenti allo stesso "gruppo di socialità". Non è la prima volta che alcuni istituti non si adeguano subito alle sentenze. C'è il caso della Cassazione, quando ha riconosciuto ai carcerati sottoposti al 41bis il diritto a due ore d'aria, ma è accaduto che al carcere di Spoleto non avrebbero - al tempo rispettato questo diritto e il detenuto Alessio Attanasio ha protestato.
9 luglio, Dap: tavolo con sindacati penitenziari per nuovo modello di custodia
Il documento a cui sta lavorando il gruppo di lavoro del DAP per lo studio di un nuovo modello di custodia si avvarrà anche del contributo offerto dalle organizzazioni sindacali del comparto sicurezza non dirigenziale, dei dirigenti penitenziari e di Polizia penitenziaria e del comparto funzioni centrali. Il gruppo di lavoro entro la fine di luglio elaborerà una relazione finale e costituirà la base di una successiva circolare del Dap.
9 luglio, bologna: decine di detenuti indagati per la rivolta alla Dozza
Inchiesta in Procura e provvedimenti disciplinari. I reclusi fanno ricorso. Incendio doloso, danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale, atti vandalici, devastazione e interruzione di pubblico servizio. Queste sono le accuse a seguito della rivolta nel carcere della Dozza scoppiata il 9 marzo scorso e durata più di 24 ore. Nell'inchiesta in fase di indagine ci sono già i nomi di decine di detenuti che, secondo le relazioni di servizio della polizia penitenziaria e i filmati acquisiti, parteciparono alla violenta sommossa. Se l'inchiesta penale è ancora in corso, la direzione della Dozza ha invece già presentato il conto sul piano disciplinare a una cinquantina di detenuti. Le sanzioni vanno dalla sospensione dalle attività e dalla socialità per dieci o quindici giorni al trasferimento in altra struttura per chi ha avuto le condotte più pesanti.
9 luglio, Caltanissetta: "ridotte le video-chiamate e non possiamo più portare cibo"
I detenuti a metà della scorsa settimana avevano cominciato lo sciopero della fame, avendosi visto togliere le giornaliere chiamate da 10 minuti con i propri cari, ridotte a 2 chiamate al mese. Non solo l'eliminazione delle video chiamate, con cui ai detenuti viene in pratica impedito di vedere i bambini, ma anche i colloqui visivi ridotti ad uno al mese e per solo un'ora. "Niente video chiamate, colloqui visivi ridotti - segnala una moglie di un detenuto - ma non possiamo più portare nemmeno mangiare ai nostri mariti. Non possiamo portare nessun tipo di cibo, tanto meno salumi e formaggi che possono però essere comprati in carcere a 35 euro al chilo. Tutto questo è disumano, abbiamo bisogno di aiuto".
27 giugno, Bologna.
Vivevano nel centro di accoglienza di via Mattei due degli operai contagiati alla Bartolini. L’Asl valuta la chiusura del centro.
18 giugno: Cassazione penale sull’ergastolo ostativo
Segnaliamo l’ordinanza con cui la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale, nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla liberazione condizionale.
4 luglio, Milano: la rivolta dei detenuti a San Vittore
A 12 detenuti è stato notificato l'avviso di chiusura delle indagini con le accuse di sequestro di persona, devastazione e saccheggio, lesioni personali e rapina. L’inchiesta nei confronti di 12 detenuti, 5 italiani e 7 nordafricani, accusati di devastazione e di aver tenuto sotto sequestro tre agenti, di averli rapinati e minacciati di morte.
4 luglio, Padova: sentenza n. 242 del 18 giugno 2020
Con tale sentenza, il tribunale del lavoro di Padova, a quanto consta in assenza di precedenti, si è occupato della qualificazione del rapporto di lavoro di un detenuto inquadrato come lavoratore a domicilio e la conseguente illegittimità del pagamento a cottimo. Precisamente il giudizio ha avuto riguardo ad un detenuto dipendente di una cooperativa sociale che operava all'interno del carcere di Padova in aree specificamente adibite e organizzate, gestendo in appalto il call center dedicato alla prenotazione di prestazioni e visite specialistiche dell'azienda sanitaria locale, mediante utilizzo di personale detenuto quale operatore telefonico pagato a cottimo (determinato sulla base del “numero dei contatti”, così in sentenza). Da qui la conseguente dichiarazione di illegittimità della retribuzione a cottimo, “inferiore e aleatoria, produce un effetto ablatorio di un diritto retributivo riconosciuto dalla contrattazione collettiva nazionale” (così in sentenza).
2 luglio, Lecce: vietato l'uso di skype per i colloqui con le famiglie, monta la protesta
I detenuti ristretti nei reparti C1 e C2 (si parla di circa 500 persone), infatti, hanno attuato una protesta, battendo contro le inferriate le suppellettili presenti nelle celle. A rendere noto quanto accaduto, Pasquale Montesano, Segretario Generale Aggiunto di Osapp il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria. "All'origine della protesta - spiega il sindacalista - la frettolosa e non preannunciata Circolare con la quale si sospende il sistema Skype per i colloqui con le famiglie, decisione, questa, che rafforza ancor di più la nostra convinzione di un'Amministrazione Penitenziaria nel caos più totale e nella disorganizzazione che stanno generando forti rischi a un sistema sull'orlo del precipizio.
30 giugno: caso Roberto Spada
La testata al giornalista ha connotazione mafiosa per modalità tipiche. Ove l'aggravante sia commessa nella forma "oggettiva" dell'utilizzazione del metodo mafioso ("avvalendosi delle condizioni previste dalla norma), non presuppone necessariamente l'esistenza di un'associazione di tipo mafioso, essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso: essa è pertanto configurabile finanche con riferimento ai reati-fine commessi nell'ambito di un'associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo, essendo necessario e sufficiente che l'associazione appaia sullo sfondo, perché evocata dall'agente, sicché la vittima sia spinta ad adeguarsi al volere dell'aggressore o ad abbandonare ogni velleità di difesa per timore di più gravi conseguenze.
30 giugno, Cassazione: dire "buon appetito" al 41bis non è uno scambio di informazioni
Rigettati i ricorsi di Dap, Ministero della Giustizia e direzioni delle carceri di Sassari e Viterbo. Dopo aver dichiarato che è illegittimo sanzionare il detenuto al 41bis che ha dato "la buonanotte" a un gruppo diverso da quello di socialità, ora la Cassazione - con diverse ordinanze - ha dichiarato illegittimo anche la sanzione data a due detenuti al carcere duro per aver detto "buon appetito" ad altri detenuti ristretti fuori dal loro gruppo di socialità. Per la Cassazione, però, i ricorsi sono inammissibili. Aver sanzionato chi ha augurato "buon appetito", ha determinato una inutile afflizione, non prevista e quindi non consentita.
3 luglio, Mesina irreperibile: la Cassazione aveva stabilito il ritorno in carcere
La "primula rossa" del banditismo sardo sarebbe in fuga dopo il provvedimento dell'alta Corte che ha respinto il ricorso dei suoi legali, rendendo definitiva la condanna a 30 anni.
3 luglio, Consiglio d'Europa: "l'isolamento al 41bis sia limitato il più possibile"
Il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa ha adottato ieri una raccomandazione che aggiorna le regole penitenziarie europee risalenti al 2006. Il testo è stato elaborato dal Consiglio di cooperazione penologico del Consiglio d'Europa con rappresentate italiano dal 2018 il magistrato del Tribunale di Brescia Anna Ferrari. Il Consiglio d'Europa richiede poi che l'isolamento sia limitato il più possibile a casi specificamente previsti in quanto gli effetti sulla salute del detenuto, salute fisica e mentale, sono deleteri. Osservazioni anche dall'Italia in relazione alla compatibilità con il citato articolo 41bis per i reati di mafia e terrorismo. La legislazione, dunque, deve stabilire un limite temporale massimo nel quale il detenuto sia collocato in isolamento, con l'auspicio che lo stesso sia quotidianamente visitato da un medico e riceva la visita del direttore del penitenziario o quanto meno del personale di polizia penitenziaria.
20 giugno, Modena: gli amici di Sasà vogliono sapere cos'è successo
"Noi amici teatranti di Sasà siamo tanti e siamo indignati e chiederemo a gran voce che si faccia un po’ di luce nel buio di quelle notti della democrazia, del diritto, della dignità, della Costituzione”. Salvatore Cuono Piscitelli aveva 40 anni, era una delle 13 persone detenute, che, tra l’8 e il 10 marzo, hanno perso la vita durante le rivolte scoppiate in tutta Italia. I suoi amici teatranti dell’istituto di Bollate hanno saputo solo da pochi giorni che tra quei morti, per molte settimane rimasti senza nome, i loro corpi cremati subito dopo le autopsie. Le poche notizie trapelate dicono che, dopo le proteste e come centinaia di altri, è stato trasferito da Modena, dove era recluso, ad Ascoli, ma ad Ascoli non è arrivato vivo. La Procura di Modena indaga per ‘omicidio colposo plurimo”, senza indagati per quello che si sa. Dai primi rilievi, era emerso che i ribelli sarebbero morti per avere ingerito metadone e altri medicinali saccheggiati dalle infermerie. Ignoto, al momento, l’esito dei test tossicologici e sierologici, così come non sono emersi i dettagli del contesto dei tumulti. Sui morti sono tanti gli interrogativi senza risposta, e i più forti da lasciare senza risposta, riguardano proprio Modena. Come è possibile che ben quattro detenuti del carcere di Modena siano deceduti durante il trasporto in altri istituti penitenziari?
20 giugno, L’Aquila: 10 anni di "detenzione disumana" al 41bis, accolta l'istanza
Per dieci anni, ben 3.679 giorni, un recluso al 41bis de L'Aquila ha dovuto subire una detenzione disumana. Così il tribunale di Sorveglianza aquilano ha accolto l'istanza presentata dai legali del detenuto, stabilendo che dal momento dell'ingresso nel carcere abruzzese deve riconoscersi la violazione dell'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo come interpretata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu). Perché? Sul muro del corridoio della sezione c'è un oblò attraverso il quale gli agenti penitenziari possono osservare il detenuto mentre è al bagno. Spioncino progettato appunto per consentire al personale addetto alla vigilanza di ispezionare l'eventuale presenza del detenuto al bagno. Per il recluso al 41bis, il tribunale di Sorveglianza ha quindi riconosciuto ben 3.679 giorni di trattamento disumano e, non potendo farsi luogo alla corrispondenza dell'indennizzo economico come richiesto dal detenuto con il suo reclamo non avendo ancora espiato 26 anni di pena, ha disposto che la pena sia ridotta di 367 giorni complessivi.
12 giugno, Pavia: "pestati in carcere", la denuncia dei detenuti
Un esposto in procura degli stessi detenuti punta l'indice contro alcune guardie della polizia penitenziaria. "Il giorno successivo alla rivolta mi hanno denudato e picchiato", accusa un recluso in tre pagine di denuncia. Nel documento, che indica testimoni e fa nomi e cognomi, si ricostruisce la sua versione, che dovrà ora essere vagliata da un magistrato. Altri detenuti stanno preparando altri esposti. Il presunto pestaggio sarebbe avvenuto il giorno successivo alla rivolta. Un detenuto di 47 anni spiega essere stato sorpreso dall'incendio mentre si trovava all'interno della sua cella. "Abbiamo avuto paura di morire intrappolati, per il fuoco o per il fumo - si legge nella denuncia. Dopo 15 minuti vediamo delle persone in corridoio, non sono agenti. Ci aprono la porta e siamo salvi. Il panico è generale. Molti detenuti raggiungono il tetto". La rivolta dura diverse ore e solo dopo le due di notte nel carcere si ritorna alla calma. I rivoltosi scendono dal tetto e ritornano nelle celle. Ma al mattino, secondo il detenuto, accade qualcosa di strano. "Arrivano in sezione 35 agenti, sono muniti di manganelli e cominciano a percuotere con violenza le porte metalliche delle celle - è la denuncia. Alcuni aprono le celle una alla volta e cominciano a picchiare i detenuti, altri vengono portati nella saletta di ricreazione, di fronte alla mia cella". Anche il detenuto, secondo la sua versione, viene prelevato. "Vengo prima aggredito verbalmente, mi dicono che sono saliti sul tetto ma non è vero - si legge - poi mi viene ordinato di spogliarmi e di fare piegamenti sulle gambe. A un certo punto uno ordina lo stop e un altro mi colpisce con due pugni". Secondo la denuncia del detenuto il presunto pestaggio sarebbe continuato in saletta. "Altri agenti mi circondano e prendono a manganellarmi, finisco a terra tra gli insulti - si legge. Mi riparo contro il muro". Una volta in cella, "trovo la stanza devastata, la spesa non c'è più", si legge nella denuncia. Accuse gravi, tutte da verificare. Nessuna dichiarazione dai vertici del carcere e dalla direttrice, Stefania D'Agostino. Per Gian Luigi Madonia, segretario regionale dell'Uspp, "i fatti accaduti tra il 7 e il 9 marzo hanno rappresentato una situazione ormai fortemente compromessa delle carceri italiane ma il personale ha gestito egregiamente la delicatissima criticità. Sui presunti pestaggi non mi esprimo, c'è piena fiducia nell'autorità giudiziaria".
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16 giugno, Egitto
Due giorni fa è giunta la notizia della morte per suicidio della compagna Sarah el-Hegazy. Era stata arrestata nell’ottobre del 2017 insieme a 57 altre persone per aver sventolato la bandiera arcobaleno al concerto della band libanese Mashru’ Leila. Dopo l’arresto è stata interrogata dalla sicurezza di stato, poi arrestata con l’accusa di incitare comportamenti immorali, infine torturata e seviziata dalle guardie in carcere. Uscita dopo un anno, additata e discriminata dalla società, colpevolizzata e accusata dagli islamisti e dagli uomini di religione, con la paura di finire di nuovo in carcere, come succede abitualmente nell’Egitto dei militari, decide di chiedere l’asilo in Canada dove aveva continuato a lottare per i diritti delle persone LGBTQI+.
22 giugno, Egitto. Aggredita la famiglia del prigioniero Alaa
Da tre mesi le visite per i detenuti della prigione di Tora, al Cairo, sono annullate. Da due settimane circola anche la notizia che ci siano casi di Covid-19 dentro la galera. Ma non esiste alcuna comunicazione ufficiale. Il regime impedisce ad Alaa e a tanti altri prigionieri ogni tipo di comunicazione con le famiglie o i loro avvocati. A maggio Alaa ha fatto anche uno sciopero della fame di 37 giorni per chiedere che ai detenuti fosse permesso di partecipare alle udienze, di comunicare con i propri familiari e per il rilascio dei prigionieri durante l’epidemia di Coronavirus. Alaa si trova nel carcere di massima sicurezza di Tora, una sorta di 41 bis, in isolamento, senza ora d’aria, libri, posta, e privato di tutto. Il regime, tuttavia, continua a percorre la sua strada di violazioni e repressione. Così dopo tre settimane senza ricevere alcuna notizia da parte del figlio Alaa, sabato scorso, la dott.a Soueif ha deciso di protestare – per l’ennesima volta – davanti al carcere. È lei stessa a raccontare come sono andate le cose: “Mi hanno fatto aspettare più o meno 5 ore, di modo che tutte le persone venute a fare i colloqui se ne fossero già andate. Allora hanno preso quanto avevo portato, cibo, medicine, vestiti intimi e hanno rifiutato di far entrare disinfettanti. Poi però hanno detto “non c’è lettera” da parte di Alaa e allora ho rifiutato di andarmene. Finita la fase delle richieste è iniziata quella della prevaricazione. Hanno iniziato a dire che dovevano chiudere e che dovevo andare fuori, e quando mi sono rifiutata, il colonnello Muhammad al-Nashar mi ha detto che mi avrebbe denunciata. Mi ha strattonato il braccio finché non mi ha fatto uscire poi hanno chiuso la porta del carcere, lui è sparito e basta”. Nella notte tra il 21 e il 22, la dott.ssa Leila, è stata raggiunta dalle sue due figlie Mona e Sanaa e hanno deciso di continuare la protesta dormendo in presidio fuori dalle mura del carcere. Più o meno alle 5 di mattina sono state aggredite da un gruppo di donne che le ha malmenate rubando tutto quello che avevano di fronte gli sguardi delle guardie che nonostante le richieste di aiuto hanno deciso di non muoversi. Sanaa scrive su FB: “Hanno mandato delle criminali per picchiarci davanti alla prigione, mentre gli ufficiali e gli uomini stavano lì a guardare. Un uomo in borghese ha soltanto detto: portatele fuori dalla barriera, non picchiatele qui”. (Da Hurriya)
16 giugno, Cile
Offensiva della Polizia, denunciate le LasTesis: accusa di incitamento ad azioni violente contro le istituzioni. L'azione legale identifica 4 attiviste del collettivo e le accusa di aver realizzato una chiamata di "Fuego a los pacos. Fuego a la yuta" (fuoco ai poliziotti, fuoco alla polizia). Secondo l'istituto di polizia, "è preoccupante che attività come quelle svolte dal suddetto gruppo possano ancora una volta provocare reazioni di forza e di aggressione contro le unità di polizia e il loro personale, cosa che lungi dal costituire un evento isolato all'inizio della contingenza sociale, a partire dal 18 ottobre 2019, è diventata un'azione abituale". (Da Coordinadora Niunamenoschile)
26 luglio, Palestina.
La Palestinian Prisoners' Society (PPS) ha dichiarato in un rapporto, pubblicato in occasione della Giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura, che la tortura praticata dall'occupazione israeliana contro i prigionieri palestinesi non si limita alle tattiche violente utilizzate durante l'arresto e l'interrogatorio, con l'obiettivo di rimuovere le confessioni. Le autorità israeliane di occupazione utilizzano metodi fisici e psicologici di tortura contro prigionieri e detenuti palestinesi. Secondo il rapporto, il 95% dei detenuti e dei prigionieri è sottoposto a tortura, dal momento del loro arresto, durante gli interrogatori, nonché in carcere, con isolamento, condizioni di vita difficili e degradanti, nonché abbandono medico. Il periodo di interrogatorio è quello in cui gli investigatori intensificano l'uso della tortura, al fine di ottenere confessioni dal detenuto attraverso metodi di tortura fisica e psicologica, tra cui: privazione del sonno mediante sessioni di interrogatorio di 20 ore, pestaggi, schiaffi, calci, abusi verbali, minacciando di arrestare un membro della famiglia, demolizione dell’abitazione, rifiuto del bagno, esposizione a temperature estreme o rumore continuo. La tortura dei prigionieri palestinesi in custodia israeliana continua, nonostante i trattati e le convenzioni internazionali contro la tortura in tutte le sue forme. Il 13 luglio, ci sono stati momenti di forte tensione nella prigione di Ofer dopo che le guardie israeliane hanno preso d’assalto violentemente le celle dei prigionieri palestinesi. Le guardie carcerarie, pesantemente armate e accompagnate da cani d’assalto, hanno fatto irruzione nelle celle 5 e 12 della sezione 16 e hanno attaccato diversi detenuti palestinesi. Dopo che i prigionieri hanno risposto all’attacco, il servizio penitenziario israeliano ha punito tre di loro, mettendone due in isolamento e trasferendo il terzo in un’altra prigione. I prigionieri palestinesi hanno protestato contro l’attacco colpendo le porte e rifiutando la colazione. Ci sono circa 4.700 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, sottoposti a incursioni quotidiane, torture psicologiche e fisiche, trasferimenti arbitrari e negligenza medica deliberata. Tra loro ci sono 541 che scontano l’ergastolo, 400 incarcerati senza né accusa né processo, e 700 che soffrono di gravi problemi di salute, 10 dei quali malati di cancro. (Da Infopal e Imemc)
1 luglio, Yemen: centinaia di persone fatte sparire e torturate in carcere
Il rapporto di un'organizzazione yemenita per i diritti umani, Mwatana, documenta oltre 1.600 casi di detenzioni arbitrarie e centinaia di torture e morti nelle prigioni segrete che le due parti in guerra gestiscono dal 2016. Secondo l'organizzazione yemenita per i diritti umani Mwatana, entrambe le parti in guerra - il movimento Houthi e le forze governative filo-saudite - gestiscono prigioni segrete e ufficiose nel paese. È lì dentro che dal 2016 vengono fatte sparire centinaia di persone, sottoposte a brutali abusi. Nel rapporto di 87 pagine presentato ieri, che parla di almeno undici centri di detenzione non ufficiali in Yemen, sono documentati oltre 1.600 casi di detenzioni arbitrarie, 770 casi di sparizioni forzate, 344 di tortura e almeno 66 decessi. "Torture e forme di maltrattamento crudeli, disumane e degradanti", scrive Mwatana. "Il numero e la gravità degli abusi hanno avuto un impatto sociale significativo", aggiunge l'organizzazione che spiega come intere famiglie non abbiano saputo per lunghi periodi di tempo dove i loro casi fossero detenuti. Secondo il rapporto, intitolato "In the Darkness: Abusive Detention, Disappearance and Torture in Yemen's Unofficial Prisons", basato su 2.566 interviste a ex prigionieri, familiari, attivisti e avvocati, i responsabili delle carceri sono sia il movimento Houthi che le milizie pagate e addestrate dagli Emirati Arabi Uniti, una delle due petromonarchie (insieme all'Arabia Saudita) a controllare de facto il sud del paese, dove è presente il governo del presidente Hadi e numerosi gruppi armati separatisti in rotta costante con Riyadh. Nello specifico gli Houthi avrebbero carceri non ufficiali nel quartier generale dei servizi segreti e a Taiz in edifici residenziali, mentre le forse emiratine gestirebbero campi nella provincia di Aden e il governo in quella di Ma'rib. Nel settembre dello scorso anno, un comitato di esperti delle Nazioni Unite, denominato Group of Regional and International Eminent Experts on Yemen, aveva denunciato almeno 37 casi di abusi sessuali su detenute da parte delle forze emiratine in prigioni segrete nel sud dello Yemen. Alla base "600 testimonianze e numerosi documenti", spiegavano gli esperti del comitato creato nel dicembre 2017 dall'Alto Commissariato Onu per i diritti umani. (Da nena-news.it)
3 luglio, Stati Uniti: lazzaretto San Quentin, il covid sferza le prigioni
Il picco di contagi verificatosi a San Quentin ha ragioni precise. Il 30 maggio sono arrivati dal carcere di Chino, a sud est di Los Angeles, 121 internati, un trasferimento dovuto all'esplosione dell'epidemia che aveva già provocato 16 morti nella prigione. Fino a quel momento la situazione a San Quentin, zona di San Francisco, era relativamente tranquilla, poi l'emergenza e la mancanza di controlli durante i trasferimenti. Il carcere vedeva la presenza di 3.507 detenuti, ovvero il 113,8% rispetto la capacità totale di 3.082 posti. (Da Il Dubbio.news)
Milano, luglio 2020
LETTERA DAL CARCERE DI SULMONA (AQ)
Carissimi compagni, vi scrivo questa lettera per farvi avere mie notizie, e vi mando un documento che un gruppo di 50 prigionieri della sezione AS1 aderisce a una lotta che riteniamo giusta, per quelle che sono le nostre possibilità. Qui le cose vengono dimezzate come i colloqui e le telefonate, concedono quel minimo essenziale per placare gli animi infuocati giustamente dei carcerati, anche se si parla per iniziative e piccole lotte per cercare di migliorare le condizioni, è sempre difficile avere dei riscontri con la direzione che ha un atteggiamento del tutto refrattario alle richieste dei carcerati.
Noi sappiamo che le battaglie non possono essere settoriali che riguardano solo certe categorie di prigionieri perché rischiano di rivelarsi “zoppe” e di essere facilmente recuperate da persone che fanno il proprio tornaconto. In certe lotte è importante anche riuscire ad attirare l'attenzione (quindi in questo senso spero si capisca la nostra scelta della protesta pacifica ma concreta).
Certamente si spera che in tutto non si arriva a qualche “contentino ad personam” che non cambia però le condizioni generali degli obiettivi proposti.
Per noi gli obiettivi sono quelli generali e specifici che giocano attorno alla questione specifica e parziale per cui si sta lottando, che sono bisogni di tutti avere il diritto di telefonare e fare la videochiamata con i famigliari – un piccolo virus che ci dice, molto semplicemente, che il paziente è diventato un cliente, che la salute è una merce, come ogni cosa ormai. Per gli uomini che lottano per i propri diritti non esiste una sola strada, un solo strumento, una sola idea che porta alla libertà, e solo la ricchezza dell'esperienza collettiva che nel raccogliere le idee e le esperienze di ognuno cresce matura e ogni giorno fa un passo avanti verso la propria emancipazione. Siamo contro tutte le galere per un mondo di uomini liberi, perché il senso del giusto non lo si troverà mai in qualche codice. Ci fa piacere se pubblicate su l'opuscolo di OLGa il documento e la lettera.
Vi saluto a tutti con affetto. Antonino.
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Al Direttore della Casa di Reclusione di Sulmona dr Sergio Romice, E.P.C. Al Magistrato di Sorveglianza di L’aquila; Al Direttore del Dap; Al provveditore regionale PRAP Lazio-Abruzzo-Molise; Al Garante nazionale delle persone private della libertà personale; Al Garante regionale delle persone private della libertà personale; Al Sindaco del comune di Sulmona; Al prefetto di L’Aquila; Al presidente degli avvocati presso il Tribunale di Sulmona; Alla preside dell’istituto scolastico IPAA Errigo Serpieri di Avezzano.
A seguito delle nuove disposizioni da Lei emanate in data 01.06.2020 e rese note con l’affissione in bacheca degli avvisi della sezione detentiva (ufficialmente entreranno in vigore il 08.06.2020) per regolamentare la fruizione dei colloqui telefonici e i colloqui con “modalità a distanza”; in riferimento al Decreto-legge 1’ maggio 2020, n. 29, e alle disposizioni della circolare G.DAP 12.05.2020 N.0156964.U, in queste disposizioni riscontriamo:
1. L’introduzione di una discriminazione tra sottocircuiti detentivi delle sezioni AS1 e AS3 contravvenendo alle basilari norme dettate dall’ordinamento penitenziario in materia di trattamento educativo della pena (v. circ DAP 3619/6069 del 21.04.2009) nello specifico riguarda la fruizione delle telefonate settimanali concesse in numero di tre a settimana alle sezioni AS3 e in numero di due alle sezioni AS1
2. Un riscontro negativo al numero delle telefonate settimanali e alle videochiamate mensili delle quali, ognuno di noi avrebbe potuto fruire in riferimento alle disposizioni della circolare G.DAP 12.05.2020 n. 0156964,U, emessa dal Direttore Generale del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria, Sezione Detenuti e Trattamento; nella quale, oltre a tracciare le linee guida nazionali sulle modalità da seguire per l’espletamento dei colloqui visivi in presenza all’interno degli istituti di pena, detta anche la possibilità e facoltà del detenuto di chiedere di fruire di tutti i colloqui in “MODALITÀ A DISTANZA”.
Avevamo richiesto circa quindici giorni addietro un colloqui tra Lei e una delegazione in rappresentanza dei detenuti ristretti nel reparto verde, piano 2°, lato A, B e OSSERVAZIONE; nel quale volevamo esporre le nostre problematiche relative alla ripresa dello svolgimento dei colloqui visivi e, più nello specifico, le nostre esigenze alla continuità di intrattenere i rapporti aggettivi con i familiari in costanza dell’emergenza sanitaria e, con le difficoltà connesse alle limitazioni che stanno comportando nell’esercitare compiutamente il nostro diritto di incontrare i familiari attraverso i colloqui visivi in presenza e una serie di altre problematiche interne inerenti la vivibilità gestione delle sezioni detentive. Abbiamo riferito queste necessità all’Ispettore coordinatore della nostra sezione detentiva.
Colloqui che sinora non è realizzato con nostra grande amarezza e delusione.
Abbiamo sempre rispettato e aderito alle limitazioni da Lei decise e intervenute nostro malgrado come abbiamo fatto in precedenza dal mese di marzo, tra l’altro, in quelle disposizioni abbiamo riscontrato che questa Direzione carceraria ha attuato solo in parte le raccomandazioni emanate dal DAP con la circolare del 21.03.2020 n 0096018.U; ad esempio: non ha attuato le video chiamate con i telefoni cellulari, non ha aumentato i limiti di spesa per ciascun detenuti, l’utilizzo senza costi del servizio lavanderia, la gratuità delle telefonate settimanali incrementate; nonostante tutto e queste ultime, con senso di responsabilità e spirito di comunità non abbiamo protestato o creato disguidi che potessero turbare la serenità interna del carcere e il buon prosieguo delle operazioni di vita giornaliera.
Tutte queste problematiche e difficoltà quivi dette emergere e considerata da parte nostra l’impossibilità di aderire alle nuove disposizioni limitative intraprese dal Suo ufficio e che vanno ben oltre alle disposizioni indicate nella circolare emessa dal DAP, ci vediamo obbligati e a malincuore ad annunciarLe con largo anticipo che dal 08.06.2020 intraprenderemo una protesta pacifica, civile e non violenta della quale, ci teniamo a precisarLe che non venga etichettata o strumentalizzata come una azione di rivolta, ce ne guardiamo bene da questa forma estrema che non rientra nei nostri intenti e propositi, i quali , son ben altri e già definiti e identificati nei paragrafi di cui sopra e che ripetiamo essere quelli in primo luogo di esercitare il nostro diritto e facoltà secondo le direttive emanate dal DAP nella circolare. G. DAP 12.05.2020 n.0156964.U nello svolgimento di fruire di tutti i colloqui in “MODALITÀ A DISTANZA” sino alla data del 30.06.2020 e poi, in secondo luogo, di poter definire le altre problematiche interne di vivibilità che per brevità di esposizione abbiamo già accennato per elencazione al coordinatore della nostra sezione detentiva.
La nostra protesta pacifica consisterà nella sospensione delle attività lavorative di sezione assegnateci, rinuncia di andare alle aree dei passeggi, alle salette hobby, alle sale computer, alle attività scolastiche e culturali, rinuncia di acquistare gli alimenti e beni dal servizio dell’impresa al sopravvitto affinché non si arriverà a una soluzione equilibrata e condivisa delle problematiche sin qui esposte.
Seguono le firme dei detenuti proponenti.
LETTERA DAL CARCERE DELLE VALLETTE DI TORINO
Siamo le detenute ed i detenuti del Carcere di Torino e con questa nostra lettera chiediamo che venga nuovamente presa in esame la proposta per la liberazione anticipata di 75 giorni (cinque mesi annuali).
Il problema delle carceri, dovuto al numero in eccesso di detenuti, ristretti in strutture fatiscenti, non si risolve con le misure alternative. Infatti, le misure alternative vengono applicate o meno in base alla discrezionalità dei magistrati di sorveglianza; purtroppo Torino ha il primato di rigetti ed inoltre l’accesso a queste misure non è praticabile per tanti ristretti (mancanza di un domicilio, di un sostegno esterno, carenza di percorsi di reinserimento o riabilitativi per tossicodipendenti).
Anche con il diffondersi del COVID-19, la situazione del sovraffollamento delle carceri non è migliorata e ci riteniamo fortunati di non aver fatto la fine dei residenti delle RSA.
Siamo il paese con le pene più alte d’Europa e pur facendo parte dell’UE il nostro sistema giuridico e penitenziario non è adeguato rispetto a quello degli altri stati membri ed alle normative comunitarie, testimonianza non sono solo le storie di noi detenuti, ma soprattutto le sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani e le sanzioni di cui l’Italia è stata oggetto. L’accoglimento della liberazione anticipata speciale, estesa per l’intera popolazione detenuta, compresi coloro che hanno l’articolo 4 bis darebbe una sorta di civiltà ed utilità all’espiazione.
Nelle carceri si riflettono le stesse problematiche e gli stessi disagi sociale “dell’esterno” prima fra tutte la carenza di occupazione e di prospettive per il futuro.
Tutto ciò provoca un divario tra la popolazione detenuta stessa, si crea un distinguo tra detenuti di serie A, che lavorano, studiano o sono inseriti in corsi e detenuti di serie B.
Coloro che riescono a lavorare o frequentare un corso hanno la possibilità di farsi conoscere e seguire dagli educatori ed hanno così più possibilità di entrare in un percorso lavorativo e di reinserimento sociale evitando una più probabile recidiva in cui potrebbero incappare coloro che durante la detenzione sono abbandonati a loro stessi. Riducendo il sovraffollamento si ridà alla pena la sua finalità “rieducativa”, con un minor numero di detenuti si verrebbero a creare concrete possibilità (per un cambiamento), sia per noi che per gli operanti dell’area trattamentale che avrebbero l’opportunità di seguire al meglio il percorso dei detenuti e di finalizzarlo alla rieducazione ed alla diminuzione della recidività. Quest’ultimo aspetto riguarda sia chi compie sia chi subisce i reati ed in uno stato civile non dovrebbe essere sminuito.
Chiediamo inoltre che questa legge sia retroattiva all’anno in cui venne sospesa: dic. 2015
I detenuti del PAD F, ICAM, B, A, C, E
La lettera è stata inviata a garanti e istituzioni senza ricevere risposta.
Da Osservatoriorepressione.info
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Dopo la notizia riportata dalla stampa torinese che riguarda l'accoltellamento di un barista da parte di una donna, poi arrestata, qualcuno ha deciso di scriverle in carcere. Quella che segue è la sua risposta diffusa via web.
Ciao! Mi rallegro molto di aver ricevuto la tua lettera mi hanno messo da sola in una cella e sto facendo lo sciopero della fame perché mi mettano con una compagna. Però adesso che ho ricevuto la tua lettera mi sento meno sola e ho più coraggio ti spiego come veramente sono andate le cose: ho letto un annuncio che in un bar si cercava una barista. Quando sono venuta a fare il colloquio il padrone del bar ha detto di venire a fare la prova in minigonna, vestita così per “ attrarre i clienti”. Quando ero venuta a fare la prova qualche giorno dopo ho scoperto che non dovevo piacere solo ai clienti , pero soprattutto a lui. Nella cucina del bar, lui mi ha chiesto di mostrargli una foto dei miei disegni (sono un’artista) e mentre gli mostravo le foto mi ha toccato il seno e le parti intime. Mi ha detto che darà il lavoro alla ragazza più “disponibile con lui”. Poi mi ha chiesto di mostrargli altre foto… e mi ha toccata di nuovo. Io provavo schifo però siccome avevo bisogno del lavoro, l’ho lasciato fare. Poi quando lui ha chiuso il bar, mi ha detto: “te ne vai senza neanche farmi un massaggio?”. A questo punto mi ero ribellata e ho detto che non ero una prostituta. Quando tornavo a casa, ho pensato a tutte le altre ragazza, straniere, povere, di cui lui sicuramente si rea approfittato come ha fatto con me. Soprattutto adesso con il covid quando la gente è disperata per il lavoro. E sono tornata al bar il giorno dopo per accoltellarlo. Era sicuramente un gesto impulsivo che pagherò caro, però l’ho fatto per tutte voi. Perché i porci come lui sono tanti. Sicuramente passerò molti anni in carcere.
Però ti dirò una cosa: sono confortata dal pensiero che almeno lui penserà adesso 2 volte prima di mettere le mani sporche su una ragazza che viene a lavorare. Magari ci pensarà 1000 volte. E ho la coscienza pulita. Mi hanno messo tentato omicidio. Pero lui è andato in ospedale in codice giallo….figurati! Sono felice che non è morto. Lui ha due
figli e anche se è un porco, i figli hanno diritto al padre. Non lo volevo ammazzare. Volevo solo che smettesse di farlo con le ragazze... Perché se fanno questo alle donne è perché pensano che siamo indifese… a un uomo non gli mettono le mani addosso perché di un uomo si aspettano un pugno in faccia mentre una donna...
Mi faresti un grande servizio se racconti questo ai giornalisti. Perché adesso il porco nega tutto, e forse la mia unica speranza di provare ciò che realmente era successo è se le altre ragazze che hanno fatto la “prova“ vengano fuori e testimoniano contro di lui.
Ti saluto!