indice n.139
Le guerre della NATO in Siria
presidio contro la nato a solbiate olona (va)
Trento: “Erdogan massacra, Unicredit lo finanzia”
Trento: sull’inizio del processo “Renata”
aggiornamenti dalle lotte contro i campi di internamento
Lettera dal carcere di Massama (or)
CARCERI DI PARMA E SAN GIMIGNANO: DUE FACCE DI UNA STESSA TORTURA
notizie dalle carceri
per mario trudu
LETTERe DAL CARCERE DI BANCALI (SASSARI)
non à l’état policier! libérez vincenzo!
lettera dal carcere di Pavia
lettera dal carcere di Torino
La libertà non ha documenti. Sempre complici e solidali
Lettera dal carcere di Belluno
Lettera dal carcere di Montacuto (an)
Lettera dal carcere di nuoro
Lettera da una comunità a belluno
LETTERA DAL CARCERE DI LA SPEZIA
IN SEGUITO AI FATTI DI MERCOLEDÌ 6 NOVEMBRE A TREVIGLIO (BG)
milano: ATTACCO POLITICO AL COMITATO AUTONOMO ABITANTI BARONA
Lampi dal mondo: cile in rivolta
Riflessioni sul Venezuela (seconda parte)
Le guerre della NATO in Siria
Annegret Kramp-Karrenbauer ministra della difesa della Repubblica Federale Tedesca (RFT) ha reso noto che: “Ora nel nord della Siria le truppe di
sicurezza internazionali vengono inviate con la testa. L'RFT ha già calcolato quel che può offrire agli alleati. 2.500 soldati della Bundeswehr verranno
inviati nel nord della Siria unità speciali insieme a carriarmati su ruote, artiglieri-armi pesanti...”.
Base di questa “offerta” è uno scenario secondo cui le “zone di sicurezza” sono state ripartite in settori ampi di circa 40 km e lunghi 30 km. L'RFT si è
assunta la direzione di una truppa internazionale in uno di questi settori con tre robusti battaglioni. Inoltre le unità devono essere sostenute
dall'alto da parte di “Tornado” - aerei militari per la guida e ricognizione e dei caccia-bombardieri. Aerei da guerra Bundeswehr già da tempo erano
attivi in Siria. Il tutto ieri è stato è stato legalizzato dal parlamento tedesco.
Il ministro della difesa USA, Mark Esper, nello stesso giorno della dichiarazione della ministra Kramp, ha salutato l'impiego in Siria di “truppe di
sicurezza internazionali” ma nello stesso tempo ha chiarito che Washington non ne prende parte. Gli USA hanno altri piani.
A margine di un incontro a Bruxelles con i suoi colleghi NATO, Esper ha detto che “Unità USA prenderanno posizione nella regione sud di Deir Al-Sor.
Questo per impedire che le milizie dell'IS abbiano accesso ai giacimenti di petrolio. Gli USA rafforzeranno la loro presenza militare nel nord-est della
Siria per dare sicurezza ai pozzi petroliferi prima che l'IS o altri attori destabilizzino la sicurezza. E' necessario perciò costruire, con mezzi
militari supplementari e in coordinazione con le 'unità di difesa popolare' kurde (YPG)”. Parti di quel territorio sono già governate dall'SDK (Forze
Democratiche Siriane, militano assieme donne e uomini kurd* e sirian*). Nell'incontro NATO a Bruxelles Esper ha confermato che: fino al 2024 tutti gli
stati membri dell'alleanza militare devono investire il 2% del loro prodotto lordo nel riarmo militare. Il segretario della NATO Jens Stoltenberg per
parte sua sottolinea i 'progressi' compiuti: “Noi siamo avviati in una tendenza positiva”.
Nello stesso tempo la Russia si è mostrata precccupata del'annunciato rafforzamento delle truppe USA in Siria. “Noi non vogliamo nuove difficoltà”, ha
detto nello stesso momento S. Rjabkov, vice-ministro degli esteri. Mosca vede nei diversi movimenti compiuti in Siria dagli USA, un ulteriore tentativo
di esercitare pressione sulla “direzione legittima che governa oggi in Siria”. W. Tschichov, rappresentante della Russia presso l'UE nei giorni scorsi
aveva già detto di non vedere nessuna ragione per un incontro con gli stati europei riguardo “alla creazione di una zona di sicurezza internazionale in
Siria. Noi crediamo che ciò sia completamente superfluo”. La Russia ha già inviato nel nord della Siria 300 militari-poliziotti.
M. Abdi, dirigente dell'SDK in un'intervista all'agenzia kurda Hawar a sua volta considera positiva l'iniziativa di dar vita a una zona di sicurezza
internazionale. “Sebbene la proposta sia ancora in discussione, per parte nostra la condividiamo”. Su alcuni punti della comune dichiarazione d'intenti
diffusa contemporaneamente il 22 ottobre da Russia e Turchia, spiega Abdi… “non la condividiamo perchè contiene punti che infrangono gli interessi del
nostro popolo”, in proposito sottolinea che gli attacchi turchi continuano e che il futuro della popolazione kurda anche in Siria è in pericolo.
26 ottobre 2019, da jungewelt.de
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Che cosa spinge Volkswagen (VW) in Turchia
Basi dell'ampliamento della produzione VW in Turchia sono: l'assunzione di 4.000 opera*, i salari bassi e le sovvenzioni dello stato, con l'obiettivo di
costruire 300.000 auto l'anno.
Dopo mesi di trattative paiono rimossi quasi tutti gli ostacoli: questa nuova fabbricazione di auto VW nell'Europa dell'Est sorge in Turchia. “Siamo agli
incontri finali” dice a Berlino ai giornalisti Andreas Tostmann presidente dell'organo che dirige la produzione di VW. Fra pochi giorni avverrà
l'incontro a Ankara fra Herbert Diess, presidente di VW, e Erdogan, presidente della Turchia.
La costruzione della fabbrica costruita a Manisa, vicino a Smirne - importante porto sul mar Egeo (4 mln di abitanti) -, inizierà alla fine del 2020;
l'avvio della produzione è previsto all'inizio del 2022. Verranno prodotte VW Passat e Skoda 'Superb', della produzione (80-90%), è prevista la vendita
nell'Europa dell'Est, anche in Russia. (da jungewelt.de del 27 settembre 2019).
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Le fabbriche Volkswagen (VW) in Turchia
Segue un’analisi di Musa Asoglu (compagno kurdo) dal carcere di Amburgo, tradotta da gefangenen.info del settembre 2019.
La TAZ [quotidiano di 'sinistra' stampato a Berlino, ndr] il 23 luglio 2018 ha scritto che la fabbrica VW in Turchia è un “regalo a Erdogan”. Questo è
falso! La TAZ cerca di tenere segreto il potenziamento dei monopoli imperialisti. E' vero, piuttosto, che la fabbrica è stata costruita a Manisa che è
l'unica grossa città nelle mani di AKP (partito nazionalista della Turchia, guidato da Erdogan). Naturalmente i posti di lavoro e i profitti vanno a chi
è vicino a AKP, come fossero un regalo di Erdogan. In proposito il governo ha steso una legge nuova diretta ad investire in Turchia per la produzione di
almeno 100.000 auto e, importante, di importarne in numero illimitato esenti da dogane.
E quante auto importa VW? Sono migliaia soprattutto destinate ai mercati USA e Messico che siccome hanno motore diesel fanno ritorno in Europa, dove
diventano un regalo a Erdogan o a Merkel (cancelliera)? Merkel è rappresentante dell'industria automobilistica tedesca e non difensora dei diritti umani.
L'importante è: “chi deve pagare gli affari miliardari?” Naturalmente i popoli della Turchia.
Ritorno sulla TAZ: secondo questo quotidiano la Germania molto democratica non è molto democratica e non sostiene la Turchia. Alla TAZ non interessano i
i guadagni scorretti che la Germania trae dai monopoli imperialisti.
“Lunga vita al guadagno imperialista! Non un centesimo ai regimi collaboratori degli stati neocoloniali come la Turchia. Forse la TAZ riceve qualche
centesimo!”
Chi aiutano simili notizie? La cosiddetta “stampa d'opposizione” aiuta a migliorare le condizioni di sfruttamento, nient'altro. La TAZ è realmente
schierata contro lo sfruttamento neo-coloniale esercitato dal monopolio tedesco!? No, naturalmente no! Di una simile opposizione noi non abbiamo bisogno,
no grazie!
Sì, sì, la TAZ dice sempre “Noi abbiamo scritto tanto sul caso di Deniz Yucel (*) e il regime di Erdogan”. Ma la TAZ non trae mai paragoni fra Deniz
Yucel e i prigionieri sotto l'art. 129-b (pari al 270-bis in Italia). L'isolamento in Germania è tanto più estremo che in Turchia. Fino ad oggi non è mai
stato assolto o rilasciato nessun sospettato 129-b. La situazione giuridica qui è dunque uguale a quella riservata a Deniz Yucel in Turchia. Lui è stato
liberato dopo un anno di carcere mentre noi siamo in carcere da 6 anni di cui 3 in isolamento.
Quindi la TAZ è realmente contro i procedimenti politici e l'isolamento arbitrario?
Stop a questa cronaca. Termino questa lettera con saluti e amore rivoluzionari.
(*) Giornalista e autore turco-tedesco, collabora con il quotidiano Die Welt, per cui ha lavorato anche come corrispondente con base a Istanbul. Nel
febbraio 2017 è stato arrestato e rinchiuso in un carcere di massima sicurezza a Silivri, vicino a Istanbul, accusato di propaganda al terrorismo e
spionaggio per conto dell’intelligence tedesca.
presidio contro la nato a solbiate olona (va)
Il “Forum Contro la Guerra” indice per Domenica 10 Novembre dalle ore 15 un PRESIDIO davanti alla BASE N.A.T.O. di Solbiate Olona.
La struttura di Solbiate Olona é uno dei nove Comandi NATO di Reazione Rapida, e conta su oltre 400 militari di stanza più altri nel caso di iniziative
particolari.
La NATO é la macchina da guerra più imponente della storia umana. Considerando anche i suoi partner è responsabile del 68% della spesa militare mondiale.
USA e NATO si autodefiniscono “poliziotti del mondo” ma i loro interventi armati comportano bombardamenti, morti e feriti (90% civili), saccheggio e
devastazione dei territori, inquinamento e contaminazione radioattiva, aumento dei flussi migratori, campi profughi, militarizzazione delle frontiere,
maggiore sfruttamento e impoverimento dei lavoratori.
Da un circa un mese la Turchia (il secondo più numeroso esercito della NATO) ha invaso la Siria, forte dell'assenso sostanziale dell'Alleanza, come già
accadde con l'attacco di Francia e Inghilterra (con la complicità Italiana) ai danni della Libia. La NATO ha aggredito, in violazione dell'articolo 5 del
suo stesso statuto e del diritto internazionale la ex Jugoslavia nel 1999, la Libia nel 2011, combatte in Afghanistan da 18 anni, accetta che gli USA, da
sempre al suo comando, facciano il bello e il cattivo tempo invadendo nel 2003, grazie ad una colossale menzogna, l'Iraq, stracciando i Trattati sui
missili antibalistici, quello sui missili di teatro in Europa, gli accordi sul nucleare civile Iraniano, ecc..
La Turchia è uno dei maggiori clienti dell’industria bellica italiana, dispone ad esempio di elicotteri T129 (acquistato e prodotto su licenza Agusta-
Westland-Leonardo) usati nell'attacco al territorio curdo-siriano, mentre il governo italiano blocca solo i contratti futuri.
Nello scorso maggio, i lavoratori del porto di Genova hanno creato un blocco che ha impedito alla nave saudita Yanbu della compagnia Bahri di caricare
sistemi destinati ad un uso militare. Anche nel territorio che ci circonda, si producono beni e servizi per il mondo della guerra. Ma i camalli di Genova
hanno dimostrato che ribellarsi è possibile!
Le guerre sono inaccettabili non soltanto per il loro carico di distruzione e morte. Esse sottraggono risorse a sanità, istruzione, pensioni, trasporti,
messa in sicurezza del territorio. L'Italia per l'attività militare spende oggi 70 milioni di euro al giorno ma, rispettando gli impegni NATO, supererà i
110 milioni quotidiani.
Non è infine da sottovalutare anche il mostruoso impatto delle guerre sull'ecosistema Terra già in crisi. Il solo esercito degli Stati Uniti,
contribuisce ad almeno il 5% delle emissioni di gas serra totali. A questo bisogna aggiungere l'inquinamento esorbitante delle produzioni belliche a
partire dal nucleare militare che usato potrebbe causare l'estinzione del genere umano e forse della vita sul pianeta.
Per questo al presidio affermiamo il nostro NO alla GUERRA! NO alla NATO!
Forum Contro la Guerra
Trento: “Erdogan massacra, Unicredit lo finanzia”
Giovedì 17 ottobre, un gruppo di compagni si è posizionato davanti alla sede centrale dell’Unicredit di Trento con un grande striscione contro
l’aggressione militare in Siria da parte dell’esercito turco. Di seguito il volantino distribuito.
Quello che l’esercito turco sta facendo in questi giorni in Siria è noto a tutti. Siamo di fronte a una spietata aggressione militare contro la
guerriglia e le comunità curde, ad assassinî mirati, al progetto esplicito di deportare in Siria decine di migliaia di profughi fuggiti dalla guerra e,
contemporaneamente, ad un ulteriore scatenamento del maglio repressivo contro il dissenso interno alla Turchia. All’imprigionamento di migliaia di
oppositori politici, di insegnanti e di altri lavoratori, si aggiunge l’arresto persino di giornalisti che hanno osato criticare l’intervento militare in
Siria.
Il riferimento al fascismo storico è tutt’altro che retorico. Nei villaggi e sulle montagne del Kurdistan si stanno attuando stragi e rappresaglie del
tutto simili a quelle realizzate dai nazifascisti nell’autunno del 1944 a Marzabotto, a S. Martino, a Caprara e sul Monte Sole, quando, assieme ai
partigiani, furono fucilati in pochi giorni 700 paesani “colpevoli” di non denunciare all’occupante le attività della Resistenza. Donne, uomini e
bambini: tutti “terroristi” agli occhi del Reich e dei fascisti, proprio come lo sono oggi contadini, guerriglieri, dissidenti agli occhi della “Grande
Turchia”.
Ma non ci uniremo al coro di chi chiede alle democrazie di intervenire contro il “dittatore Erdogan”. Dietro la mano assassina del “Sultano” c’è il
grande capitale occidentale. Lo Stato turco è membro influente della Nato: alleanze e “tradimenti” sono funzionali alla spartizione delle risorse
energetiche e alla creazione di zone di influenza economica. Le armi che uccidono in Siria sono state vendute dagli industriali di mezzo mondo (per i
produttori di armamenti italiani, lo Stato turco è il terzo acquirente). L’attacco che Erdogan conduce contro l’organizzazione dei lavoratori attira gli
investitori stranieri (per parlare dei padroni di casa nostra, basta pensare a Marangoni). La devastazione ambientale provocata dalle miniere di carbone
è finanziata in Occidente.
Per non parlare dei dieci miliardi di euro che la democratica Unione Europea ha fornito ad Erdogan per fermare e, se del caso, ammazzare migliaia di
immigrati in fuga. L’esternalizzazione in Turchia della frontiera europea ha trovato tutti d’accordo, destra e sinistra, sovranisti e liberali.
La banca che, a livello internazionale, finanzia maggiormente il regime turco è l’italiana Unicredit (partecipata al 41% dalla turca Yapi Kredi Bank).
Per questo siamo qui oggi. Perché il sangue che scorre in Siria parte anche da questi uffici lindi e ordinati.
Tra l’altro, domani comincia a Trento il processo contro sette nostri compagni, “terroristi” per lo Stato italiano come lo sono i curdi per quello turco.
Ebbene, una delle azioni di cui alcuni di loro sono accusati è di aver sabotato un bancomat di Unicredit in solidarietà con la resistenza curda. Una
piccola azione, certo, ma precisa, concreta, giusta. Contro il terrorismo degli Stati e del capitale.
Un’azione che ricorda, proprio mentre i governanti versano lacrime di coccodrillo per i morti in Siria, il valore dell’internazionalismo tra gli
sfruttati di tutto il mondo, unica via di uscita dal baratro verso cui ci stanno portando.
Solidarietà con Sasha, Nico, Rupert, Agnese, Stecco, Poza e Giulio.
anarchiche e anarchici
Trento: sull’inizio del processo “Renata”
Venerdì 18 ottobre, si è svolta a Trento la prima udienza del processo “Renata”. I compagni imputati erano presenti in aula (anche Stecco, per cui non è
stata disposta la videoconferenza). L’udienza, contrariamente al previsto, è stata a porte chiuse.
Sentiti i tre testi convocati dalla difesa, i PM, invece di pronunciare la requisitoria, hanno presentato nuove prove (cosa che in teoria, con il rito
abbreviato, non potrebbero fare), per cui il giudice ha rinviato tutto (requisitoria, arringhe difensive e, molto probabilmente, sentenza) al 26 novembre
[rispostata poi al 5 dicembre ma per la sentenza, ndr].
All’esterno del tribunale, l’ottantina di compagni e solidali sono partiti in corteo per le vie di Trento spiegando e difendendo le azioni di cui sono
accusati i sette compagni. Anche il presidio lanciato per le ore 18,00 davanti a Sociologia si è trasformato in corteo. Gli interventi si sono incentrati
in particolare contro la guerra in Siria, visto che una delle azioni contestate ad alcuni compagni è un sabotaggio ai danni di Unicredit, principale
finanziatrice di Erdogan.
Durante il percorso, oltre a scritte e manifesti, è stata imbrattata di vernice rossa la sede centrale di Unicredit, di cui sono state infrante alcune
finestre.
Di seguito il testo collettivo dei compagni imputati nel processo.
Ai cuori ardenti
«L’anarchico non guarda al successo, alla vittoria, alla competizione. Lotta, perché è giusto. E in qualsiasi lotta la perdita fa parte della vita. Non
cambia idea perché perde e tanto meno rinuncia alla lotta successiva. Il Sistema si autoalimenta per il popolo che non lotta, non perché è invincibile.
Il lavoro dell’anarchico è instillare nel popolo la rivolta, non a segmenti ma continua. Come un’onda che si ritira e poi torna. Mi chiedete se
vinceremo? Mi fate la domanda sbagliata. Chiedetemi se lotteremo e vi risponderò di sì». (Luigi Galleani)
Oggi abbiamo deciso di dire la nostra sull’operazione “Renata”. In altri scritti è stata analizzata l’inchiesta, sia negli aspetti repressivi generali
dello Stato, sia riguardo gli strumenti tecnologici, inquisitoriali e giuridici usati per colpire chi ancora osi battersi per qualcosa di diverso e soffi
ancora sulle ali della libertà.
Abbiamo deciso di non rivolgerci alla Corte che ci giudicherà né alla solerzia dei nostri repressori. Non è l’aula di un tribunale il luogo in cui oggi
scegliamo di parlare.
Vogliamo parlare in quei luoghi in cui si lotta, dove c’è ancora spirito critico, dovunque ci siano donne e uomini coscienti che tante cose vanno
cambiate ora, che questo stato di cose va rivoluzionato.
Quindi parleremo dei fatti di cui siamo imputati o che sono inseriti nell’inchiesta.
Queste azioni – notturne o diurne, individuali o collettive – si inseriscono in un conflitto che va ben al di là dei fatti specifici o del territorio in
cui sono collocate. Esse sono frutto di uno scontro più ampio, quello tra gli sfruttati, gli sfruttatori e chi li difende.
Di queste azioni condividiamo lo spirito, l’etica, il metodo, gli obiettivi, indipendentemente da chi le abbia compiute. Esse parlano da sole, sono
comprensibile ai più, indicano una strada – quella della liberazione. Puntano il dito contro chi vive di sfruttamento e guerra, di odio e violenza,
auspicano qualcosa di più, qualcosa che metta fine alle peggiori atrocità e barbarie, ma soprattutto mirano a distruggere il muro della rassegnazione, in
tempi così poveri di solidarietà umana, di ribellione, di pensiero critico.
Chi in questi anni ha detto e tutt’ora dice che simili azioni non servono a nulla, che il gioco non vale la candela, che nulla cambierà, che l’essere
umano ha perso in modo definitivo il senno riducendo la vita a una costante guerra fratricida, ha smesso di sognare, ha smesso di interrogarsi sui
responsabili delle ingiustizie e sulle cause che hanno portato la società ad un livello morale, ambientale e materiale a dir poco inquietante.
Tra le svariate cose raccontate nei faldoni, emerge che in questi anni siamo scesi molte volte in strada con caschi e bastoni contro partiti e movimenti
come Lega, Casapound e Sentinelle in piedi. Abbiamo criticato in decine di volantini, manifesti e iniziative di vario tipo le loro responsabilità
storiche e le loro politiche reazionarie: gruppi politici e religiosi che promuovono l’odio fra gli sfruttati, che difendono la classe padronale, che
alimentano una società basata sul privilegio, sul razzismo, sul patriarcato e molto altro.
In questi tempi aridi di lotte e di scontro sociale, ci si scandalizza per le pratiche di autodifesa in strada, dimenticando, assieme al passato in cui
ciò era patrimonio comune, il buon senso minimo di distinguere la violenza reazionaria da quella proletaria. Non solo ci si dimentica di quello che
polizia, carabinieri, Chiesa e fascisti hanno fatto in questo Paese, ma delle violenze dell’altro ieri: di Genova 2001, di Firenze, di Macerata e tante
altre ancora. Visto che il loro ruolo e il loro compito sono sempre gli stessi, abbiamo sempre ritenuto importante che la loro azione non trovasse né il
silenzio né la tranquillità nel territorio in cui viviamo.
E a proposito della rivolta di Genova 2001, e della vendetta di Stato che continua ad abbattersi sui compagni per quelle giornate, è sconcertante leggere
con quale chiarezza un’intelligenza collettiva riuscì all’epoca a prefigurare una serie di scenari: devastazione globalizzata, neoliberismo sfrenato,
riscaldamento climatico, politiche anti-immigrati che producono nuovi schiavi… un ordine sociale giunto ormai all’implosione.
Un altro silenzio che non accettiamo è quello che circonda le morti nelle carceri e nelle caserme. Da quando è stato aperto il carcere di Spini a Trento,
molti detenuti si sono suicidati, altri ci hanno provato, altri ancora sono morti per le negligenze mediche o per lo zelo repressivo dei magistrati di
sorveglianza. Abbiamo conosciuto il dolore e la rabbia dei famigliari, degli amici, di chi ha perso il proprio figlio nelle mani dello Stato, ma abbiamo
purtroppo conosciuto anche l’indifferenza e il silenzio dei più, malgrado simili tragedie siano più vicine di quanto si creda.
Uomini e donne che ricoprono coscientemente il ruolo di aguzzini decidono di contribuire a difendere una società fondata sulla paura, sul ricatto, sulla
vendetta, sulla violenza e sul pregiudizio. E noi saremo sempre pronti a denunciarne le responsabilità, a ostacolarne il lavoro, a spingere altri a
prendere posizione contro questi assassini in divisa, con il doppiopetto da burocrati o in camice bianco.
Chi ha cercato di incendiare le auto della polizia locale ha dato un segnale in tal senso. I poliziotti locali non sono solo quelli che indicano le
strade alla bisogna, ma anche quelli che partecipano agli sfratti delle persone che non riescono a pagare l’obolo al padrone di casa, quelli che sparano
alle spalle di un ragazzino, come è successo a Trento qualche anno fa, quelli che picchiano delle persone di colore, come è successo a Firenze, che
applicano i Daspo, che partecipano alle retate contro chi è senza documenti e compiono tante altre nefandezze.
Le espulsioni, i campi di concentramento – si chiamino CPR o Hotspot –, i morti in mezzo al mare, in montagna o lungo i binari di una ferrovia sono lo
scenario quotidiano di questo mondo a cui vorrebbero farci abituare. Per questo sono stati bloccati i treni ad Alta Velocità in solidarietà con chi è
congelato su un sentiero di montagna o chi è stato risucchiato da un treno merci a qualche chilometro da casa nostra. Sempre per questo, il 7 maggio
2016, al Brennero ci siamo scontrati con la polizia e abbiamo bloccato ferrovia e autostrada. «Se non passano gli esseri umani, non passano nemmeno le
merci»: questo era lo spirito di quella difficile giornata.
Di fronte al ghigno feroce del razzismo di Stato, dovremmo scandalizzarci perché qualcuno, nell’ottobre del 2018, ha attaccato la sede della Lega di Ala?
Nel novembre 2016, a Trento e a Rovereto, furono incendiate diverse auto di Poste Italiane. Nelle scritte lasciate sui luoghi delle azioni e riportate
dai giornali, si faceva riferimento alle responsabilità di P.I che, tramite la propria controllata Mistral Air, si arricchiva deportando nei Paesi di
origine donne e uomini privi dei documenti in regola per vivere in Italia. Senza contare che P.I. investe una parte dei propri introiti nei fruttuosi
affari dell’industria degli armamenti. Ci chiediamo quale differenza ci sia tra i fatti accaduti negli anni Trenta e Quaranta e quelli di oggi? Perché si
ricordano le vittime di allora con gli ipocriti mea culpa e nulla sembra scuotere oggi i cuori dei più?
Non passa giorno senza che su giornali, siti, televisioni si legga o si veda questa o quella guerra. Guerre per procura, guerre per interessi
geopolitici, guerre per il territorio, di territorio, per il potere. Guerre che provocano i grandi spostamenti di uomini e donne. A promuovere queste
guerre non sono solo gruppi industriali come la FIAT (con l’Iveco) o gli AD di Leonardo Finmeccanica e Fincantieri. Al loro servizio c’è una schiera di
tecnici e scienziati, un esercito in camice bianco, con i guanti e le mani sterilizzate, che lavora nei laboratori delle nostre città, nelle università a
due passi da noi. In nome della scienza e del progresso, si giustifica qualsiasi “scoperta”, senza che da quei luoghi si sollevi un qualche interrogativo
di fondo: «A cosa porta tutto ciò?», «che scenari nuovi apre?», «a chi serve davvero?». Ecco allora che nel democratico e pacifico Trentino, l’Università
collabora con l’esercito italiano, aiuta le istituzioni israeliane a meglio pianificare l’oppressione del popolo palestinese, fa entrare nei propri
Consigli e nelle proprie aule le principali aziende di armi. Di fronte a questa palese connivenza, ci si sorprende che ignoti abbiano incendiato,
nell’aprile del 2017, il laboratorio Cryptolab all’interno della Facoltà di Matematica e Fisica di Povo? Quando sugli stessi siti universitari si
illustra la collaborazione con l’esercito?
E che dire dell’incendio di mezzi militari, la notte del 27 maggio 2018, all’interno dell’area addestrativa del poligono di Roverè della Luna? Oltre a
ruspe e camion, sono stati dati alle fiamme tre carri armati Leopard. Di produzione tedesca, sono gli stessi carri che Erdogan ha utilizzato e utilizza
per schiacciare la resistenza curda. Come dicevano dei manifesti antimilitaristi apparsi in Germania anni fa: «Un mezzo militare che brucia qui =
qualcuno che non muore in qualche guerra». Un concetto di una semplicità… disarmante.
Sempre a proposito di antimilitarismo e di internazionalismo, nelle carte dell’inchiesta si parla di sabotaggi ai bancomat dell’Unicredit, banca che,
senza contare i suoi investimenti nell’industria bellica, è la principale finanziatrice del regime fascista di Erdogan, che proprio in questi giorni sta
mostrando tutta la sua ferocia in Siria e contro il dissenso interno. E poi si menzionano i sabotaggi ferroviari in occasione dell’Adunata degli Alpini.
Per chi non ha eroi da onorare, ma carneficine da maledire, quei gesti di ostilità contro la sfilata del nazionalismo e del maschilismo gallonato hanno
riattivato un minimo di memoria storica: le diserzioni, gli ammutinamenti, le sommosse per il pane, gli scioperi nelle fabbriche, gli spari contro gli
ufficiali particolarmente odiati dalla truppa, le rivolte al grido di “guerra alla guerra!”, il posizionamento intransigente “contro la guerra, contro la
pace, per la rivoluzione sociale”, oggi sempre più attuale.
Noi sosteniamo i portuali di Genova, di Le Havre e Marsiglia che si sono opposti al carico-scarico di materiale bellico destinato all’esercito saudita
che da anni massacra la popolazione yemenita con bombe fabbricate, fino all’altro giorno, in Italia. Ma non ci accontentiamo. Vorremmo che gli operai
disertassero le fabbriche di armi, quelle navali e chimiche; che gli scienziati uscissero dai loro laboratori. Vorremmo le università in sciopero, a
partire da quelle di Giurisprudenza, dove si giustificano le cosiddette “missione di pace” (Peace-keeping, lo chiamano), vorremmo che i ferrovieri
bloccassero i treni come all’epoca della prima guerra del Golfo.
Tramite le guerre gli industriali si arricchiscono sfruttando la mano d’opera operaia e comprandone la coscienza per un tozzo di pane. E ancora a meno se
la comprano le agenzie interinali, sfruttando vecchie e nuove leggi sul lavoro e mandando la gente a lavorare a progetti devastanti come il TAP in
Puglia. Per questo non ci stupisce che qualcuno, a Rovereto, abbia danneggiato un’agenzia Randstadt, ricordando che la guerra di classe non è finita.
Un’altra azione di cui siamo accusati è l’incendio dei ripetitori sul monte Finonchio, sopra Rovereto, nel giugno 2017. Da sempre denunciamo, e non siamo
certo i soli, il danno ambientale provocato dalle decine di migliaia di queste torri sparse in tutti i territori, le cui onde causano tumori e disturbi
vari agli umani e agli animali (e molto peggio sarà con il 5G). Oltre a ciò, simili tecnologie hanno diminuito le capacità di concentrazione e di
apprendimento, condizionato l’acquisto di merci, creato bisogni indotti, rimbambito i cervelli. Senza contare l’aspetto più importante: il controllo
sociale. Ormai le inchieste poliziesche sono basate quasi esclusivamente su intercettazioni video e audio da montare e smontare a piacimento. La
repressione e il controllo si potenziano con ogni scoperta tecnologica, la quale assicura a sua volta affari alle aziende che collaborano con gli Stati.
Questa tendenza non è politica, bensì strutturale, dal momento che l’apparato accresce se stesso e, con il pretesto della sicurezza, giustifica qualsiasi
cosa.
Ci viene contestato il fatto di “programmare la rivoluzione” tramite le riviste, gli appelli, gli scritti. Ebbene sì. Non ci abbattiamo di fronte alle
avversità di questa epoca. Ogni sussulto di ribellione, ogni sommossa che tenda alla libertà, ogni moto rivoluzionario che riecheggia più o meno vicino a
noi è motivo di energie rinnovatrici per la propaganda e per l’azione, al fine di sollecitare la società attorno a noi a un cambiamento radicale. Per
questo negli anni abbiamo occupato vari edifici: non solo per avere degli spazi in cui organizzarci e creare dibattito, ma anche per provare a mettere in
pratica la vita che vorremmo, con i nostri pregi e difetti. Forse siamo sognatori, romantici, illusi, ma siamo anche determinati, solidali,
internazionalisti, concreti.
Se ci sarà da alzare la voce davanti alle porte di un supermercato o ai cancelli di una fabbrica o di un cantiere contro le nefandezze dei padroni e
dello Stato, noi ci saremo; se ci sarà da bloccare progetti come il TAV, salendo su una trivella o danneggiandola, ci saremo; saremo là dove si alzerà la
voce della rivolta.
Si contesta ad alcuni di noi, infine, di aver fabbricato dei documenti falsi. La falsificazione di documenti è uno strumento di cui tutti i movimenti di
lotta, anarchici e non solo, si sono dotati per eludere la repressione statale, e a cui sono ricorsi e ricorrono gli sfruttati e i poveri per viaggiare
in cerca di un posto migliore dove vivere. Soprattutto in un mondo in cui, se non hai in tasca il pezzo di carta giusto, muori in mare o in un lager
libico, oppure finisci in uno dei tanti campi di concentramento sparsi per la civile e democratica Europa.
Gli inquirenti sostengono che un gruppo di affinità è difficile “da infiltrare e da demoralizzare”. Che chi mira al potere non riesca a capire chi mira
alla libertà ci sembra un’ottima cosa. Non saranno condanne e carcere a farci innalzar bandiera bianca. Continueremo a volere quel cambiamento radicale
intravisto durante la Comune di Parigi del 1871, che tanto fece tremare lo Stato e i padroni. Sappiamo che questo cambiamento radicale non avverrà dal
nulla, per qualche determinismo della storia. Sarà il frutto della volontà, spinta verso gli scopi più alti della convivenza umana, verso l’anarchia, «un
modo di vita individuale e sociale da realizzare per il maggior bene di tutti» (Malatesta).
Concetto tanto semplice quanto lontano dalla situazione in cui ci troviamo.
Ogni azione che oggi va ad indicare i diretti responsabili dello sfruttamento umano e ambientale è utile perché fa capire che l’oppressione è più vicina
di quanto crediamo.
Ma starà alla volontà di ciascuno di noi abbattere le paure a cui ci vorrebbero sottoposti e svegliarci dalle comodità materiali con cui uccidono lo
spirito, i pensieri, le idee.
Noi non costringiamo nessuno a fare quello che non vuole, ma non permetteremo neanche che a nome nostro o con la nostra collaborazione si continui a
distruggere e ammazzare. Non resteremo inermi e impassibili. Non ci faremo né zittire né trascinare nel fango della barbarie.
In questi anni e mesi abbiamo visto decine di compagne e compagni finire in galera, alcuni condannati a lunghe pene. Invitiamo a unire le forze e dare le
risposte necessarie a questi attacchi contro il nostro movimento. Agendo si faranno inevitabilmente degli errori. Si tratta di temprare corpi e menti per
una rinnovata fiducia nelle idee e nelle pratiche di libertà.
Vogliono che cadiamo nella rassegnazione e nello smarrimento. Hanno già fallito.
Visto che agli inquisitori piace tanto giocare con le parole (degli altri) non meno che con i fatti, “Renata” pare l’ennesimo inciampo lessicale, perché
ogni cuore ardente è pronto a “rinascere” per ogni torto subìto.
Trento, 18 ottobre 2019
Stecco, Agnese, Rupert, Sasha, Poza, Nico e Giulio
***
10 novembre: Presidio carcere di Preturo (AQ)
Da pochi giorni Anna, prigioniera anarchica rinchiusa nella sezione AS2 del carcere de L’Aquila, è stata trasferita nel carcere di Lecce. Stessa cosa è
avvenuta per l’altra donna rinchiusa in quel reparto. Ciò indica l’attuale chiusura della sezione, obiettivo per il quale, a inizio estate, era stata
messa in campo una forte mobilitazione. La protesta aveva visto le compagne, lì recluse, mettere in atto un lungo sciopero della fame al quale hanno
aderito anche molti altri compagni detenuti in altre carceri italiane.
Moltissime sono state le azioni e le dimostrazioni di solidarietà verso quella lotta e non solo da fuori le galere. Tra queste, un segnale molto
importante era venuto proprio dalle battiture quotidiane compiute da alcuni detenuti e detenute in regime di 41Bis del medesimo carcere abruzzese.
Un segnale di solidarietà straordinario, compiuto da persone rinchiuse in condizioni che non ci stancheremo mai di definire come TORTURA, le quali sono
sotto il continuo ricatto di provvedimenti e ammonizioni anche per molto meno.
L’attuale svuotamento della sezione AS2 de L’Aquila non sarà mai motivata, da parte del DAP o da qualsiasi altra istituzione, come il risultato della
lotta dei detenuti.
Né per noi può essere considerata altro che un miglioramento momentaneo, all’interno di un’ingiustizia che rimane intatta e verso la quale non dobbiamo
smettere di lottare: il sistema carcerario.
Tornare fuori dalle mura di quel carcere è un passaggio importante per comunicare con le persone ancora lì rinchiuse, che hanno contribuito a quella
lotta e per ricordare loro che, anche se con il 41Bis lo stato mira al totale annientamento degli individui, non sono sole. E per ribadire ancora una
volta che solamente attraverso lotta e solidarietà possiamo migliorare le nostre vite.
CONTRO il 41 BIS, l’ISOLAMENTO, i REGIMI DIFFERENZIATI e la TORTURA
SOLIDALI CON TUTTI I PRIGIONIERI E LE PRIGIONIERE IN LOTTA
ottobre 2019, da roundrobin.info
aggiornamenti dalle lotte contro i campi di internamento
E’ stato un mese denso di avvenimenti dentro e fuori le mura delle prigioni per migranti di svariati paesi Europei.
In Italia nella prima parte del mese di Ottobre, in due occasioni, ci sono state rivolte contro le deportazioni nei lager di Trapani e Caltanissetta. Il
15 Novembre è stata diffusa la notizia che non verrà riaperto il cpr di Modena.
Nel Cpr di Torino negli ultimi mesi si sono continuamente susseguiti svariati tentativi di fuga, verso la fine di Novembre uno ha avuto successo! Il 22
Novembre i reclusi nell'area Viola hanno iniziato uno sciopero della fame per rispondere alle condizioni schifose in cui sono costretti a vivere.
Venerdì 22 Novembre a Roma ci sarà una pedalata contro le frontiere, il giorno successivo ci sarà un presidio fuori dal cpr di Ponte Galeria,
l'appuntamento è alle 11 alla fermata Fiera di Roma
A Malta la sera del 20 Ottobre nel centro di detenzione di Hal Far è scoppiata una rivolta dopo svariate violenze delle guardie. I rivoltosi sono stati
poi violentemente repressi nella notte e ci sono stati settantacinque arresti.
In Belgio il 21 Ottobre durante un tentativo di espulsione una donna è stata torturata dalla polizia belga, nella sua testimonianza ha portato alla luce
il trattamento che ricevono tante e tanti migranti rinchiusi nei centri di detenzione in Belgio.
Delle donne Siriane e Palestinesi rinchiuse nel centro di Petrou Ralli ad Atene in Grecia hanno portato avanti uno sciopero della fame, la loro richiesta
è l’immediato trasferimento nelle isole dove hanno iniziato le pratiche per il diritto di asilo.
In Francia nel centro di detenzione parigino di Vincennes è morto un ragazzo Mohammed di diciannove anni, i ragazzi reclusi con lui dicono che la sua
morte sia dovuta ad un’overdose di farmaci somministrati. Quando il ragazzo si trovava tra la vita e la morte non gli sono state fornite le cure dovute.
Ancora una volta questi lager si dimostrano delle macchine per uccidere.
Milano, novembre 2019
Lettera dal carcere di Massama (or)
Ciao compagni. Ho ricevuto i vostri plichi, vi ringrazio molto. Il libro uscito di cui vi accenno nella lettera, si tratta di “Diversamente vivo”, di
Pino Roveredo e Davide Emmanuello. Edizione Libriliberi. L'idea è mia come il 90% della documentazione usata per redarlo. Si tratta della corrispondenza
tra me e Davide Emmanuello che si trova nelle segrete medievali del 41 bis di Sassari. Chi l'ha letto lo ha trovato molto piacevole e istruttivo. Davide
si trova nel regime di tortura dal 1993, glielo hanno revocato tre volte, ma la Dna ha fatto ricorso e glielo ha fatto applicare di nuovo, l'ultima volta
nel 2012, mentre era a Catanzaro.
Credo che avrete seguito l'emanazione della sentenza della Cedu sull'ergastolo ostativo, grande vittoria, anche il ricorso del governo discusso l'8
ottobre è stato rigettato dalla Grande Camera, pertanto il governo doveva legiferare in merito, ma siccome oggi discute la Corte Costituzionale
sull'ergastolo ostativo, sono convinto che la Consulta sostituirà il governo emanando una sentenza di anticostituzionalità, così non dovranno promuovere
nessuna legge. Superato questo ostacolo, ora bisogna iniziare una nuova lotta per farsi applicare i benefici delle pene alternative.
Da quando quel macellaio di Erdogan ha iniziato l'attacco al Rojava, soffro per quello che i curdi stanno subendo. Gli americani sono stati dei traditori
infami, questo conferma il detto curdo: “Che gli unici amici che hanno sono solo le loro montagne.” L'Unione Europea è stata un “nano” in tutti i sensi,
tante chiacchiere e niente più.
Se avete scritti su quello che è successo nelle due ultime settimane e quello che sta succedendo adesso, mi farebbe piacere leggerli. Se fossi libero
andrei al fianco dei curdi nelle Ypg, anche per difendere l'unica democrazia di quel luogo.
Ho trovato la lettera (che trovate nella busta) del ministro degli esteri turco, credo che persino Joseph Goebbels il ministro della propaganda nazista
si vergognerebbe di fronte a tutte le bugie e falsificazioni della realtà che ha scritto questo signore.
Voci di corridoio dicono che dovrebbero spostare la nostra sezione AS-1 nel carcere di Cagliari, ci metterebbero nel reparto che avevano costruito per il
41 bis, hanno fatto degli accorgimenti per adattarlo al regime AS-1, se la cosa risulta vera, essendo che manca solo l'ok del ministero, credo che per
Natale saremo a Cagliari.
Mi avvio alla conclusione, vi saluto a voi tutti con un forte abbraccio, ciao Pasquale.
Oristano 22 ottobre 2019
Pasquale De Feo, Loc. Su Pedriaxiu - 09170 Massama (Oristano)
***
In attesa di leggere il libro di cui parla Pasquale nella sua lettera ne riportiamo quanto scritto sul retrocopertina dall’autore seguito dal testo di
invito alla presentazione del libro “L’inferno dei regimi differenziati” scritto da un altro prigioniero in 41 bis.
«Caro fratello noi prigionieri in fondo possiamo definirci “diversamente in vita” o “diversamente liberi”, e snaturati dal vivere e privati della libertà
siamo stati dai giusti giustiziati nell’essenza di esistere. In noi ormai l’esserci non ha più dimora nella parola; esistiamo perché presenti in quanto
corpi, e proprio perché ridotti a sola materia, non comunichiamo più attraverso la parola quell’esserci nel mondo in quanto presenza pensante. Così come
l’inchiostro al servizio della mano scrive di noi sul foglio, così noi privati dell’inchiostro e senza foglio non esistiamo. Cioè il nostro esserci non
dimora più nella parola.
Diversamente vivi perché prigionieri e perché diversamente liberi, regrediamo nel nostro interiore progredendo nel risveglio della coscienza, e nel sé
ritrova dimora il nostro esserci.
Caro fratello spesso guardo il mio pensare intrappolato nel corpo, e dico con tristezza all’anima mia che le lacrime dei pensieri nel silenzio urlano al
cielo la loro condanna.
I pensieri incarcerati fanno soffrire assai più del corpo in catene. Questo è il vero orrore, e ciò è risaputo da quanti scientificamente tumulano i
prigionieri nel cemento […]»
***
“L’inferno dei regimi differenziati” rappresenta un contributo di notevole spessore: un libro che esce da un regime (il 41 bis) in cui è negato l’accesso
ai libri.
Una testimonianza diretta da uno dei contesti in cui lo stato utilizza lo strumento dell’isolamento con maggiore tenacia. Queste pagine raccontano con
coraggio come la tortura e l’annientamento fisico e psicologico siano elementi centrali alla funzionalità della galera: uno dei pilastri centrali per il
mantenimento di un sistema fondato su oppressione e sfruttamento.
41 Bis, Alta Sicurezza, Ergastolo ostativo o meno, Cie, differenziazione, sono per noi strumenti di tortura, mezzi di coercizione e di pressione
violenta. Riteniamo quindi che sia importante coglierne lo sviluppo e ricostruire le forme che lo stato è in grado di attuare nei confronti dei
comportamenti incompatibili.
Crediamo che accettare i meccanismi divisori del potere e non combattere contro l’isolamento carcerario sia un errore miope quanto accettare lo
sfruttamento e le sue gerarchie, quanto rassegnarsi e accettare il male di questo sistema. Crediamo inoltre sia necessario cercare di andare a fondo e
cercare la verità su questo mondo che lo stato vuole nasconderci, in cui si stabilisce un livello di violenza che influenza la tenuta generale del
sistema, mentre i media si coprono di sangue e ipocrisia affermando che uccisioni e pestaggi sono dovuti a “mele marce” come ci stanno raccontato sul
carcere di San Gimignano, dove 15 guardie sono state indagate per un pestaggio ai danni di un prigioniero.
Per questo come CPA Firenze Sud partecipiamo alla Campagna Pagine contro la Tortura, e nell’occasione del 10 ottobre sosterremo i/le compagn* che sono
stat* denunciat* per aver manifestato sotto al DAP di Roma con l’obiettivo del ritiro della circolare che nega a chi è chiusa/o nelle sezioni 41bis di
ricevere libri, riviste e corrispondenza.
La circolare non è stata ritirata ma, grazie al costante impegno di chi lotta dentro e fuori dalle galere, la solidarietà verso chi subisce
quotidianamente la violenza del carcere e il sostegno reciproco fra interno-esterno continuano ad avere una vitale importanza per vincere la logica
perseguita dallo stato per costringere alla resa chi non intende adattarsi alla dittatura del capitale.
Ore 20 Cena in sostegno alla campagna Pagine contro la Tortura
Ore 21 Presentazione del libro ‘L’inferno dei regimi differenziati’ di Alessio Attanasio
CPA Firenze Sud, Via di Villamagna 27/A, Bus 3, 8, 23, 31, 32
CARCERI DI PARMA E SAN GIMIGNANO: DUE FACCE DI UNA STESSA TORTURA
Spezziamo quel silenzio di tomba!
A fianco di chi lotta contro il carcere, a fianco dei prigionieri di San Gimignano!
Il 22 settembre scorso i giornali hanno riportato la notizia di un’indagine che vede coinvolte 15 guardie del carcere di San Gimignano, accusate sulla
base di testimonianze dirette di avere picchiato un prigioniero con pugni e calci, fino a lasciarlo svenuto a terra. Subito si è levato il coro a difesa
della polizia penitenziaria, ed è naturale che sia così: occorreva per l’ennesima volta nascondere all’opinione pubblica quella che è la realtà di un
sistema penale e carcerario marcio da cima a fondo! Al massimo si è fatto riferimento alle classiche “mele marce” che non devono guastare il cesto: anche
questo un film già visto troppe volte, quando i cosiddetti tutori dell’ordine vanno oltre gli ordinari livelli di impunità e la fanno troppo grossa. In
questo caso forse sono stati sbadati e si sono fatti riprendere dalle loro stesse telecamere, altrimenti tutto sarebbe caduto nel silenzio per l’ennesima
volta, nonostante le denunce.
E’ molto eloquente, a questo riguardo, che la direzione del carcere e successivamente lo stesso Dap, che sovrintende alle carceri, abbiano negato per
mesi, di fronte alle denunce dei prigionieri raccolte da una associazione, che questo pestaggio fosse mai avvenuto, mentre la dottoressa che ha firmato
il referto è stata oggetto di intimidazioni. Perché questa è la realtà quotidiana delle galere che si vuole nascondere: violenza e sopraffazione
sistematica, che non comincia dai pestaggi ma dalle condizioni invivibili cui sono costretti i prigionieri, vessati da regolamenti inumani e da strutture
fatiscenti e sovraffollate. Nello specifico di San Gimignano parliamo di un carcere dove addirittura manca l’acqua potabile e i detenuti sono costretti
per bere a comprare l’acqua minerale a proprie spese; di un carcere costruito in mezzo alla campagna, per essere ancora più isolato e nascosto, dove i
familiari per fare visita ai propri cari devono organizzarsi con i pulmann. Ma per uno stato sempre pronto ad autoassolversi è tutto nella norma: “a San
Gimignano la situazione è accettabile” dice i capo del Dap Basentini.
Vogliamo però dire che non esiste un carcere umano e la soluzione non è certo una detenzione a 5 stelle, se mai possibile. Gli abusi e la tortura sono
figli legittimi dell’insensatezza della carcerazione e del sistema penale di questo stato. Perché si parla tanto di rieducazione ma ci permettiamo di
chiedere: chi dovrebbe essere rieducato? Un gruppo di prigionieri che mette a rischio la propria incolumità per denunciare un sopruso o le guardie che in
15 contro 1 picchiano una persona indifesa perché amministrano un ordine intrinsecamente violento e ingiusto, che umilia, tortura e uccide
quotidianamente (già 98 morti quest’anno)? O non dovrebbe piuttosto essere rieducata una classe dirigente che nasconde tutto questo perché è troppo
interessata a dare in pasto al popolo il mostro di turno per indirizzare in altra direzione lo scontento e la potenziale rabbia popolare che potrebbero
rivolgersi contro se stessa?
Vogliamo rimarcare che i pestaggi, a S. Gimignano come nelle altre carceri, rappresentano la ordinaria sanzione, da parte delle guardie, di una
insubordinazione rispetto all’ordine costituito. In queste mesi le proteste contro gli abusi delle direzioni degli istituti e della polizia penitenziaria
si sono moltiplicate: Napoli, Trento, Perugia, Palmi, Reggio Emilia, Campobasso solo per citare le più recenti. Non è quindi un caso che Salvini, l’uomo
dei “decreti sicurezza” che ha fatto della violenza armata del potere la sua bandiera politica, abbia solidarizzato con le guardie sotto indagine andando
sotto il carcere. Una visita atta a sbandierare l’impunità di cui le forze della repressione ritengono di dover godere in questo sistema, impunità che fa
sì che si possa entrare sulle nostre gambe all’interno di una questura o di una galera per uscirne dentro una bara. Ma fortunatamente la visita di
Salvini ha visto una pronta e significativa reazione da parte dei prigionieri che hanno protestato rumorosamente.
In questo momento riteniamo sia di fondamentale importanza portare tutta la solidarietà possibile ai detenuti di San Gimignano. Per questo sabato 26
ottobre andremo sotto le mura di quel carcere, in contemporanea con il presidio che si svolgerà sotto il carcere di Parma per ricordare Egidio
Tiraborrelli, operaio in pensione ucciso a 82 anni, dopo essere stato condannato in contumacia per favoreggiamento dell’immigrazione. Pur gravemente
malato, gli sono stati rifiutati i domiciliari e così è uscito dal carcere solo per andare nell’ospedale dove alla fine è deceduto. Lo faremo contro
l’inferno dei cosiddetti “regimi differenziati”: le sezioni di massima sicurezza (41bis) e di alta sicurezza (AS) che sottopongono i prigionieri ad un
trattamento che costituisce una vera e propria tortura. Lo faremo in solidarietà con tutt@ i compagn@ che si ritrovano prigionieri o sotto processo per
le lotte contro questo stato che violenta, tortura e uccide ogni giorno attraverso i suoi servi. Lo faremo perché riteniamo che la lotta contro le
carceri, dentro e fuori le mura, sia un tassello fondamentale della rivolta contro l’esistente, e che la solidarietà resti sempre la nostra migliore
arma.
ottobre 2019, da cpafisud.org
***
Come Rete Diritti in Casa, sabato 26 ottobre abbiamo deciso di effettuare un presidio sotto il carcere di Parma per ricordare Egidio Tiraborrelli, da
anni attivo nelle lotte cittadine per la casa al nostro fianco.
Non è normale morire a 82 anni in regime di carcerazione (la morte è avvenuta in ospedale, ma Egidio era ancora a tutti gli effetti detenuto) seppur
malato grave con diverse patologie. Il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina che ne ha causato la reclusione, è considerato in base
all'attuale legislazione come "reato ostativo", tale da non prevedere misure alternative al carcere.
Come per altre norme in tema d'immigrazione, aldilà degli schieramenti politici istituzionali, si tende sempre più a punire con feroce accanimento ogni
gesto di solidarietà e mutuo aiuto nei confronti dei migranti. Questa legislazione d'emergenza che immancabilmente va a colpire le fasce più povere della
popolazione, non è una novità: l'aumento spropositato delle pene comminabili a chi manifesta ricorrendo al blocco stradale, a chi è attivo nel movimento
delle occupazioni a scopo abitativo di stabili abbandonati, a chi manifesta con modalità diverse dalle classiche sfilate di rappresentanza, così com'è
stato definito dagli ultimi decreti sicurezza, sono gli esempi eclatanti del livello repressivo che si vuole raggiungere per mantenere lo status quo.
La triste storia della fine di Egidio ci ha fatto conoscere ancor più da vicino l’assurdità del carcere e la sua brutalità: Egidio aveva bisogno
quotidiano di un respiratore per l’ossigeno e il carcere disponeva di un solo apparecchio che i detenuti bisognosi si scambiavano. Con non poche
difficoltà e solo grazie all’intervento dei volontari siamo riusciti a farne entrare uno in carcere. Non è mai stato possibile riuscire a vedere o
parlare con Egidio pur essendo il nostro movimento l’unica famiglia che Egidio avesse a Parma.
Del resto non scopriamo ora l'estrema durezza del carcere di Parma: pensiamo alle persone sottoposte al 41 bis che in base a numerose testimonianze
parlano di condizioni detentive che senza mezzi termini possono definirsi come tortura (e come tale è stata riconosciuta dal Comitato per la Prevenzione
della Tortura, dall'ONU, e dalla Corte di Giustizia Europea). Pensiamo al grave sovraffollamento (646 detenuti contro una capienza massima di 455
persone) come recentemente sottolineato dal Garante dei Detenuti di Parma, fatto che incide soprattutto sui detenuti che necessitano di cure nei reparti
di assistenza intensiva e paraplegici.
E d'altra parte, in generale dalle carceri italiane, nonostante censura e silenzio da parte dei media, arrivano sempre più frequenti notizie di
condizioni di vita infernali, abusi di ogni genere, violazioni di diritti, pestaggi ad opera della polizia penitenziaria.
Pestaggi come nel carcere di S.Gimignano, sotto le cui mura si terrà, in contemporanea con Parma, un presidio di solidarietà ai detenuti.
Il 22 settembre scorso i giornali hanno riportato la notizia di un’indagine che vede coinvolte 15 guardie del carcere di San Gimignano, accusate sulla
base di testimonianze dirette di avere picchiato un prigioniero con pugni e calci, fino a lasciarlo svenuto a terra.
Vogliamo rimarcare che i pestaggi, a S. Gimignano come nelle altre carceri, rappresentano la ordinaria sanzione, da parte delle guardie, di una
insubordinazione rispetto all’ordine costituito. In queste mesi le proteste contro gli abusi delle direzioni degli istituti e della polizia penitenziaria
si sono moltiplicate: Napoli, Trento, Perugia, Palmi, Reggio Emilia, Campobasso solo per citare le più recenti. Non è quindi un caso che Salvini, l’uomo
dei “decreti sicurezza” che ha fatto della violenza armata del potere la sua bandiera politica, abbia solidarizzato con le guardie sotto indagine andando
sotto il carcere. Una visita atta a sbandierare l'impunità di cui le forze della repressione ritengono di dover godere in questo sistema, impunità che fa
sì che si possa entrare sulle nostre gambe all'interno di una questura o di una galera per uscirne dentro una bara. Ma fortunatamente la visita di
Salvini ha visto una pronta e significativa reazione da parte dei prigionieri che hanno protestato rumorosamente.
In questo momento riteniamo sia di fondamentale importanza portare tutta la solidarietà possibile ai detenuti di San Gimignano e in generale a tutte le
persone che in carcere con ogni mezzo provano a protestare e ribellarsi; è per questo che sabato 26 ottobre faremo questo presidio davanti al carcere di
Parma.
Lo faremo contro l'inferno dei cosiddetti "regimi differenziati": le sezioni di massima sicurezza (41bis) che sottopongono i prigionieri ad un
trattamento che costituisce una vera e propria tortura e di alta sicurezza (AS) in cui si isolano le persone detenute dal resto della popolazione
carceraria. Lo faremo in solidarietà con tutte le compagne e i compagni che si ritrovano in carcere o sotto processo per le lotte contro questo stato che
violenta, tortura e uccide ogni giorno attraverso i suoi servi. Lo faremo perché riteniamo che la lotta contro le carceri, dentro e fuori le mura, sia un
tassello fondamentale della rivolta contro l'esistente, e che la solidarietà resti sempre la nostra migliore arma.
ottobre 2019, Rete diritti in casa - Parma
***
Resoconto del Presidio al carcere di Parma
Sabato 26 ottobre 2019 si sono svolti due presidi in contemporanea a Parma e a San Gimignano (SI), indetti contro abusi e torture dalla Rete diritti in
Casa di Parma e dalla campagna “Pagine contro la tortura” .
A Parma ci si è trovati anche in solidarietà a Egidio, morto di carcere il 26 settembre. Accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per
avere accompagnato in auto una donna emigrante, poi condannato in contumacia al carcere nonostante avesse 82 anni e fosse gravemente malato. I
domiciliari non gli vennero concessi e uscì solo per essere ricoverato a medicina d’urgenza e morire.
Appena giunti sotto le mura del carcere, su un prato da dove si vede in particolare la sezione della Media sicurezza, la risposta dall’interno si è fatta
sentire forte e chiara. Qualcuno era già al corrente del nostro arrivo attraverso amici presenti al presidio, quindi saluti e urla di benvenuto sono
arrivati immediatamente. Dalle celle in vista dal presidio sono arrivate voci di protesta contro le condizioni invivibili, i soprusi e le tante carenze.
A più riprese hanno ribadito che la posta viene trattenuta: “le lettere non ci arrivano” urlava qualcuno. I prigionieri stavano facendo le ore di
socialità quindi potevano vederci e comunicare con noi anche dalle finestre dei corridoi. In un batter d’occhi si sono organizzati e hanno esposto
striscioni: “Vogliamo i nostri diritti” e “Libertà”. Sono comparsi anche grandi fogli su cartoni con scritte che da lontano non si leggevano bene,
inneggianti comunque alla libertà.
Gli interventi dal presidio sul perché ci si trovasse lì, sulle condizioni nelle carceri, sui regimi di differenziazione, sul 41bis, sui pestaggi che
avvengono sistematicamente da parte delle famigerate squadrette, sulle rivolte nelle carceri e sulla morte di Egidio, sono stati molto ascoltati e
sottolineati da applausi e commenti. Una comunicazione straordinaria ed emozionante che ci ha trattenuti ore là davanti. Difficile andarsene in casi così
coinvolgenti. Abbiamo detto che torneremo presto e lo faremo.
notizie dalle carceri
Il 22 settembre i maggiori quotidiani nazionali riportano la notizia di un’indagine aperta dalla magistratura a carico di 15 guardie per un pestaggio
avvenuto nel carcere di San Gimignano, viene contestato il resato di tortura e in 4 sono stati sospesi dal servizio per quattro giorni. La prima denuncia
delle violenze subite dai detenuti è datata 21 novembre 2018 e la segnalazione è stata raccolta dall'Associazione Yairaiha, una onlus che opera nel
carcere. In quella segnalazione un detenuto spiega che l'11 ottobre, cioè pochi giorni prima "una vera e propria squadriglia... di venti agenti, compresi
due ispettori... ci hanno fatto assistere a un vero e prorio pestaggio nei confronti di un detenuto extracomunitario...".
Il 26 settembre, dopo svariate prese di posizione pubbliche in favore della polizia, il senatore della Lega Matteo Salvini è andato di persona al carcere
di San Gimignano per solidarizzare con gli agenti indagati. La reazione nel carcere non si è fatta attendere. Alle 20.20 è iniziata una manifestazione di
protesta collettiva con una battitura dei cancelli e delle inferriate. Pare che il rumore fosse assordante e venivano lanciati insulti contro i
visitatori del pomeriggio. Si sono verificati anche episodi di piccoli incendi, di lanci di oggetti nel corridoio della sezione e alcuni danneggiamenti
delle suppellettili delle celle. (da L'Espresso del 30 settembre)
Il 30 settembre scoppia una protesta nel carcere di Ferrara, cominciata con l’incendio di un materasso e seguita da tutta la sezione, i motivi non sono
esposti. Il 13 novembre, giorno fissato per il processo per i fatti del 30 settembre, ci sono scontri fra detenuti imputati e guardie all’interno del
tribunale. (da estense.com)
Il 17 ottobre i giornali nazionali riportano di un’altra inchiesta giudiziaria a carico questa volta di guardie in servizio nel carcere di Torino. Fra i
reati contestati c’é quello di tortura per episodi di violenza su detenuti avvenuti fra l’aprile 2017 e il novembre 2018. Sei agenti di polizia
penitenziaria sono messi ai domiciliari. (da ansa.it)
Il 22 ottobre alcuni quotidiani riportano la notizia di un imminente trasferimento di circa un centinaio di detenuti dal carcere di San Gimignano. “La
scelta dell’amministrazione penitenziaria per San Gimignano è di intervenire per cambiare la composizione dei detenuti cioè togliere la media sicurezza e
far diventare San Gimignano un carcere solo di alta sicurezza: i detenuti da spostare sono un centinaio”, annuncia Franco Corleone, garante dei detenuti
per la Toscana, a un convegno a Firenze. (da controradio.it)
Il 26 ottobre si tengono due presidi in contemporanea sotto le carceri di Parma e San Gimignano di sostegno alle proteste dei detenuti. La risposta dei
detenuti è stata sicuramente messa a dura prova dal clima di tensione che al momento il carcere senese sta vivendo: la scelta di trasferire 100 detenuti
e di procedere verso una ristrutturazione della prigione in esclusivo regime di Alta sicurezza. Però di grida se ne sono sentite e il presidio di una
ventina di persone è riuscito a volantinare e comunicare con una quindicina di familiari che si sono mostrati entusiasti.
29 ottobre. Continui trasferimenti da un carcere di massima sicurezza a un altro, da una sezione As1 ad un’altra, dove le celle non sono adeguate per
ospitare gli ergastolani: e se quest’ultimi rifiutano, subiscono provvedimenti disciplinare tanto da finire in situazioni simili al 41 bis. Il caso più
eclatante è quello che sta avvenendo da un mese a questa parte al carcere di Parma. Alcuni detenuti ergastolani, provenienti dal carcere di Voghera,
reduci dello smantellamento delle sezioni 1 e 3 del circuito AS3, sono stati sanzionati disciplinarmente per essersi rifiutati di andare in celle poco
più grandi di tre metri quadrati per starci in due. Per punizione sono stati mandati nella sezione di isolamento denominata Iride, e alcuni denunciano di
essere stati ubicati in quattro celle lisce. [...]
«Quattro celle, sono le cosiddette “celle lisce” il che significa: niente tv, bagno alla turca, niente luce nel bagno, niente tavolo per sedersi e poter
mangiare come gli esseri umani, una luce che assomiglia ad un lumino di cimitero», denunciano i detenuti ergastolani all’associazione Yairaiha. «Per
scrivere – si legge nella lettera – bisogna stare seduti sul letto con lo sgabello tra le ginocchia e sopra la carpetta su cui adagiare il foglio. Nelle
celle lisce si deve mangiare in piedi visto che al posto del tavolo vi è una sorta di mangiatoia in cemento pieno. L’aria che si respira è quella del 41
bis: biancheria contata anzi, meno del 41, passeggi spettrali e pieni di muffa maleodorante. La sola differenza è il colloquio senza vetro». [...]
Il garante locale Cavalieri, in una lettera – ancora senza riposta – inviata al Dap, aveva fatto presente che il trasferimento a Parma di circa 50
detenuti AS3 dallo scorso mese di luglio ad oggi e, recentemente, l’assegnazione dal carcere di Voghera di 10 detenuti AS1, sette dei quali con ergastolo
ostativo, che portando a 129 gli ergastolani presenti ovvero il 20% dei reclusi. (da ildubbio.news)
E’ del 13 novembre la notizia di 11 tra ispettori e agenti di polizia penitenziaria del carcere milanese di San Vittore, rinviati a giudizio per
intimidazioni e pestaggi ai danni di un tunisino di 50 anni. Le botte e le minacce risalgono al periodo tra il 2016 e il 2017 e avevano lo scopo di
punire il detenuto poiché nel 2011, quando era in cella a Velletri (Roma), aveva denunciato altri agenti per furti in mensa e percosse. I pestaggi
sarebbero stati messi in atto pure per impedirgli, questa è l'ipotesi, di testimoniare nel processo 'bis' davanti al Tribunale della cittadina laziale
sulla vicenda delle presunte ruberie.
***
Sulla “rimodulazione dei rapporti gerarchici” tra direttori e Polpen
Il testo che segue trae spunto dalla puntata di “bello come una prigione che brucia” del 4 novembre 2019, trasmissione periodica della radio torinese
Blackout. Si tratta di una discussione-chiaccherata con una persona dell’associazione “Voci di dentro” integrata con qualche notizia appresa dalla
stampa. Ritorneremo ancora su questo punto nei prossimi numeri dell’opuscolo e invitiamo i lettori a inviarci le proprie osservazioni in merito.
Il Consiglio dei Ministri, alla fine di ottobre, ha approvato gli schemi dei decreti legislativi per il riordino dei ruoli e delle carriere della Polizia
Penitenziaria e delle Forze armate; entro 90 giorni, acquisiti i pareri, dovrebbe arrivare l’approvazione definitiva della legge.
Il 22 ottobre il D.A.P. ha inviato al ministro della giustizia e ai sindacati di polizia penitenziaria una nota (n.0318577 del 22/10/2019) di dieci
pagine che ha per titolo “Schemi di decreti legislativi correttivi del riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle
Forze armate”.
In sintesi, oltre all’aumento della pianta organica di 600 unità (già oggi abbiamo il rapporto più alto tra detenuti e guardie d’Europa, 1,6 detenuti per
ogni guardia) è previsto che la polizia penitenziaria non debba essere subordinata gerarchicamente al direttore dal carcere e lo stesso comandate di
istituto non deve avere un rapporto di subordinazione gerarchica con il direttore.
Tra le varie modifiche balza all’occhio la frase: “previsione che il comandante di reparto infligga la misura della sanzione”, ovvero cessa di essere
prerogativa del direttore quella di intervenire per avviare l’iter per la sospensione o destituzione dal servizio di un agente in caso di “trattamenti
nei confronti dei detenuti che non siano in regola col senso di umanità della pena”. In poche righe viene annullato l’articolo 41, comma 2,
dell’Ordinamento penitenziario dove è scritto che “Il personale che, per qualsiasi motivo, abbia fatto uso della forza fisica nei confronti dei detenuti
e internati, deve immediatamente riferirne al direttore dell’istituto il quale dispone, senza indugio, accertamenti sanitari e procede alle altre
indagini del caso”.
Non è certo una novità la presenza di una compagine giustizialista tra figure di spicco come i funzionari del D.A.P. e il riconfermato ministro della
giustizia Bonafede, stupisce invece quella che si preannuncia come la fine di una certa retorica democratica e riabilitativa delle carceri, centrata
sull’individualizzazione del trattamento e sulla premialità.
In realtà i segnali di questo cambio di rotta erano già presenti da tempo. Non vengono selezionati nuovi direttori per le carceri da 25 anni, sono molti
i casi in cui i direttori si avvicendano nelle carceri per sostituire le assenze dei colleghi. Inoltre, il corpo di polizia penitenziaria fino ad oggi ha
composto l’89% del complessivo numero di chi lavora in carcere, mentre quello degli educatori è del 2% (un educatore ogni 60 detenuti), due percentuali
che la dicono lunga sulla mentalità che ha governato le carceri.
Creare dei fronti tra gli oppressori al servizio dello stato in ogni caso non spetta a noi e comunque è più complesso di così. Per esempio, l’idea che i
direttori siano del tutto contrari a questo nuovo decreto va in netta opposizione alle storiche e consolidate collusioni con la polizia penitenziaria e
con il D.A.P. rispetto a tutta una serie di abusi di potere che da anni fanno la quotidianità del carcere.
Nonostante ciò dopo l’annuncio di queste revisioni è seguita una lettera scritta da 100 direttori al capo del D.A.P. Basentini per fermare l’iter prima
del prima che il decreto, inclusa la nota, tra cui queste note verranno approvate.
per mario trudu
“Ogni mattina mi alzo e divento due persone, una è quella che vive la vita morta del carcere, e l’altra è quella che percorre attimo per attimo la vita
da me passata da uomo libero. A volte mi ritrovo sopra un colle ad ammirare tutto ciò che mi circondava e col tempo sono riuscito ad andare oltre i posti
che conosco. Io sfuggo il carcere non lo vivo perché è una cosa contro natura e posso vantarmi di essere un uomo che vive secondo natura”.
Mario Trudu 69 anni, in carcere da 40 anni, se ne è andato una notte di autunno, ventiquattr’ore dopo che la Corte Costituzionale, esprimendosi
sull’ergastolo ostativo, aveva confermato quanto perversa persecuzione e vendetta fosse stata la sua infinita detenzione. Se ne è andato dopo che ai
primi di ottobre, lo Stato, con colpevole ritardo, un macigno che pesa su “lor signori”, gli aveva permesso il ricovero in ospedale. Un lungo, difficile
intervento chirurgico e poi pochi giorni, maledettamente troppo pochi, di febbrili speranze andate perse per sempre alle 10 di sera di giovedì 24
ottobre.
Ci rimangono i suoi disegni, i suoi libri, le tante lettere che in questi anni ci hanno permesso di conoscerlo, apprezzarlo e sentirlo come nostro, vero,
caro amico. Le sue parole da una di pochi mesi fa, ci piombano addosso e non se ne andranno mai: “la compressione senza limiti che mi ha imposto questo
stato”. Senza alcun limite. Fino all’ultimo, fino all’ultimo respiro.
L’avevamo accarezzata l’idea che lo Stato, lo Stato di pietra, sbarre e cupe ombre, avesse ceduto e che presto avremmo potuto andare in Sardegna nella
sua Arzana, e finalmente conoscerci di persona. Mario non ha mai potuto cenare con noi, eppure da ora le nostre cene del martedì non potranno più essere
le stesse. Quante volte si erano chiuse con “C’è una lettera da Mario, quante volte ci ha fatto sorridere, ci ha divertito, sorpreso, ci ha trasmesso
entusiasmo. Si entusiasmo, lui a noi, lui da una cella lunga 40 anni.
La tristezza nelle parole della avvocato di Mario che si sente addosso tutta l’inutilità del suo lavoro, è la stessa nostra, ma la vinceremo nel
trasformarla in un ancor più grande e convinto impegno. Quell’impegno che ci siamo presi dieci anni fa, dopo l’atroce morte di Stefano “Cabana”.
L’impegno di violare il carcere, di violare mura ed inferriate, di violare un mondo dove tutto succede nel buio senza che esca una sola voce.
Verrà il giorno in cui una società veramente libertaria ribalterà il carcere fin dal suo stesso concetto in essere, intanto oggi la sentenza della
Consulta subisce gli attacchi da politici bipartisan, media, magistrati uniti in un solo coro di solenni falsità ed allarmismi del tutto infondati.
Proveranno a ignorarla o bypassarla, ma nessuna sorpresa e timore, la battaglia contro l’ergastolo ostativo è una battaglia della società civile che
parte dal basso, una battaglia di donne e uomini che inorridiscono a quel “marcisca in galera” urlato sempre più spesso, rivolto contro chi non importa.
Un’inaccettabile violenza verbale. Anziché spiegare e colmare diffidenze le si cavalca per trasformarle in paure e viscerale odio, alla ricerca del più
facile e misero consenso elettorale, calpestando imprescindibili valori universali quali giustizia e umanità con il primo che non può certo essere in
contrasto con il secondo.
Andiamo oltre la sentenza della Consulta e rilanciamo ancora più determinati l’abolizione perpetua dell’articolo 41 bis, il cosiddetto carcere duro,
perfino più anticostituzionale dello stesso ergastolo ostativo, perché impedisce al condannato addirittura il semplice percorso di ravvedimento stabilito
dall’articolo 27 della Costituzione.
“Nemmeno la possibilità di provarci”. Con quale spirito quali sentimenti quali aspettative può un “reo” rientrare nella società civile dopo aver scontato
la pena del 41 bis?
Il carcere potrà anche richiudere qualche mostro, sicuramente si impegna a forgiarne di nuovi. “Non si può morire così”, recitava il nostro primo
striscione all’indomani della morte in carcere di Stefano. Tutt’altri fatti e circostanze per Mario eppure quello striscione è di nuovo qui davanti ai
nostri occhi e la stessa rabbia, lo stesso impegno di allora, nel gridare “mai più”. “Mai più”. Il nostro ciao e la nostra promessa a Mario.
Circolo culturale Cabana, Rovereto, ottobre 2019
LETTERe DAL CARCERE DI BANCALI (SASSARI)
Ciao Amici, tante grazie per i libri che mi avete spedito. Scrivo dall’alta sicurezza di Bancali, qui da poco la situazione è cambiata in peggio dopo che
sono arrivati un nuovo comandante e una nuova ispettrice. Fanno perquisizioni di continuo nelle celle senza motivo e sequestrano abusivamente prodotti o
“pericolosi” oggetti (tagliaunghie, spezie) che si possono regolarmente comprare nella spesa, senza poi darci nessun verbale di sequestro. Abusi di
questo genere ci sono tutti i giorni qui dentro solo per dimostrare quanto sono arroganti e prepotenti. Speriamo che la situazione cambi presto.
Un caro saluto a tutti voi.
ottobre 2019
Hamadi Abouyaye, strada provinciale 56, n° 4 – 07100 Bancali (Sassari)
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Ciao cari compagn*; vi scrivo per ringraziarvi di cuore del libro che mi avete spedito. Sto raccogliendo le decine di testi che mi stanno arrivando sul
mio armadietto, ormai ho una mini biblioteca che da un tocco di familiarità a questo squallido posto.
Sono prigioniero da quasi 4 mesi: un arco temporale relativamente brevissimo ma al tempo stesso bello denso di cambiamenti. Ho esordito con l’isolamento
di Opera in cui sono rimasto un mese. Davvero un postaccio quel carcere, a livello di vivibilità basilare proprio è indecente. Dopo che il Riesame ha
confermato la custodia in carcere siamo stati trasferiti e per 2 settimane sono rimasto a Terni in AS2. Non vi dico che sollievo è stato dopo la
deprivazione sensoriale che ho vissuto il mese precedente… a Terni ci sono tutt’altre condizioni e il clima è positivo. Ho avuto modo di vedere Juan e
l’ho trovato in forma. Dopo nemmeno 2 settimane esatte mi hanno sbattuto inspiegabilmente qui a Sassari nell’AS2 degli islamici. E poi è trapelato che la
scusa con cui sbattermi qui fosse che “a Terni facessi comunella con un altro anarchico”.
Della serie, allora che senso hanno le AS2 finora esistenti? AHAHA
Comunque mi sono ambientato abbastanza in fretta nonostante l’impatto iniziale che è stato davvero forte. Mi hanno accolto tutti bene, poi con alcuni son
riuscito a instaurare dei bei rapporti, con altri più fanatici ci si limita a salutarsi, e va bene così.
Le “attività” in questa AS2 sono davvero risicate, visto che le due orette di socialità al giorno le trascorrono in una saletta a leggere versi del
Corano. Perciò a parte le ore d’aria, 2 al mattino e 2 al pomeriggio, e la palestra (2 volte a settimana), non succede mai nulla di così entusiasmante.
Io sto bene e il morale è alto, sto sentendo davvero tanti compagn* da ovunque e tutto l’affetto e la solidarietà che arriva mi da la forza di resistere
con il sorriso sulle labbra.
Con le varie rassegne stampa che mi sono arrivate di recente ho provato un po a farmi un’idea di come sono andati questi ultimi mesi. La morsa dello
Stato contro chi lotta si fa sempre più stringente ma l’impressione è che non ci si stia lasciando intimidire e si continui a testa alta.
Dalle vostre parti che si dice? DAJE FORTE GRAZIE ANCORA PER TUTTO.
Con amore e rabbia.
9 settembre 2019
Robert Firozpoor, strada provinciale 56, n° 4 – 07100 Bancali (Sassari)
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Precisazione sui presidi sotto le carceri sarde
In merito ai presidi previsti vorremmo precisare come compagne e compagni di Cagliariche c'è stata un'incomprensione sulla diffusione del documento che
andava ancora discusso. Ci scusiamo per l'inconveniente ma, a causa delle due tornate repressive Lince e conseguenti richieste di sorveglianza speciali
abbiamo preferito posticipare i suddetti presidi a partire dal nuovo anno. Quindi i presidi ci saranno ma le date subiranno delle variazioni. Scusate
ancora l'inconveniente.
non à l’état policier! libérez vincenzo!
Dopo circa tre mesi dall’arresto, avvenuto l’8 agosto in Francia, il 15 novembre il tribunale di Rennes ha disposto la scarcerazione di Vincenzo. La
motivazione sarebbe un “vizio di procedura” che ha leso il diritto di difesa. Vincenzo al momento dell’arresto aveva infatti nominato un avvocato
italiano ma questa nomina non era mai stata trasmessa dalle autorità francesi a quelle italiane. La questione era stata sollevata dalla difesa nel corso
dell’udienza di fine ottobre, e figurava come la prima di una lista di “falle” riscontrate nel M.A.E emesso nei suoi confronti. Il fatto che sia stata
accolta dal tribunale di Rennes permette a Vincenzo di tornare in libertà ma non lo mette ancora al riparo dalla condanna per “devastazione e saccheggio”
che l’Italia vorrebbe eseguire: il procuratore francese farà infatti ricorso in cassazione (che dovrebbe pronunciarsi entro 40 giorni dal ricorso) e non
si esclude la possibilità che l’Italia possa spiccare un nuovo Mandato di Cattura Europeo.
In ogni caso questo primo pronunciamento del tribunale di Rennes segna un punto a favore di Vincenzo e ci insegna che i M.A.E. si possono “rompere”.
Anzi, secondo una piccola ricerca effettuata dal comitato di sostegno di Rochefort en terre sono migliaia i M.A.E. che decadono ogni hanno per vizi e
imprecisioni di varia natura.
In attesa degli sviluppi futuri per ora ci uniamo ai brindisi e ai festeggiamenti!
Segue una lettera di Vincenzo di fine ottobre.
Ciao OLGa. Madonna quanto tempo! Spero che tutti/e stiate bene, ho ricevuto l'opuscolo e il magnifico libro che avete spedito, grazie.
Bon, penso che siate più o meno al corrente dello sviluppo (non un granchè di novità) delle cose. La prossima settimana comparirò ancora una volta di
fronte al tribunale di Rennes, in appello per la precisione. Ancora più precisamente, sarà in merito all'invalidazione del mandato di cattura europeo,
che come già saprete mostra lacune mostruose; lacune e vizi di forma e, per come la definiscono qui, in termini legali, sleale nei rapporti di
collaborazione tra autorità competenti.
Diciamo che gli avvocati hanno uno spazio di manovra piuttosto “ristretto”, si tratta più che altro di “procedure”. Ben inteso, la lettura da fare non si
arresta a questo livello, quello che è evidente è che nonostante le apparenze di un apparato ben oliato e funzionante, ci sono delle falle tra questi
rapporti di collaborazione che mettono in luce contradizioni in seno agli stessi accordi tra “tribunali membri” dell'UE. Ed è lì che si sta lavorando.
Bon, per essere sinceri io non lavoro molto, è piuttosto una combinazione di sinergie all'esterno che si dà da fare, e anche se non mi trovo sempre “in
linea” con quello che si fa “in sostegno” devo ammettere che ci sono delle cose interessanti che si muovono. Un lavoro, nello specifico, sui mandati di
cattura europei è in corso e penso che sia molto utile darsi degli strumenti utili alla comprensione di questi “documenti” usati a iosa e che iniziano ad
essere messi in discussione dalle stesse autorità europee che le hanno concepite: strumento di “facilitazione” per bypassare la casella
dell'estradizione, il mandato di cattura europeo “è il primo mezzo di riconoscenza reciproca delle decisioni penali che è stato messo all'opera in
Europa” (copio da “Le Monde”).
So che vi siete visti coi “locali” di qui, quindi penso che ci siano già contatti per scambi in merito a tutto questo. Io sto molto bene, dopo 8 anni di
turismo sfrenato mi permetto di visitare le celle d'Oltralpe… beh, la minestra ha cambiato colore ma il sapore è sempre lo stesso. Per ora vi saluto,
spero di avere presto vostre notizie. Metto in busta un forte abbraccio. Ciao Vince.
***
En cavale
Sono ormai trascorsi più di nove mesi dagli arresti per l’operazione Scintilla e non c’è alcuna novità sull’iter giudiziario. Le indagini non risultano
ancora concluse e non si sa bene, dunque, quando inizierà il processo.
Se nulla sembra muoversi all’interno del Palazzo di Giustizia torinese, segnali diversi arrivano da oltralpe. Alcuni giorni fa, difatti, la borghese
francese ha compiuto due perquisizioni a Parigi. Alla ricerca di Carla, la nostra compagna sfuggita all’arresto e latitante dal 9 febbraio scorso, si
sono introdotti nelle abitazioni dei suoi genitori con un mandato di cattura europeo. Visto l’esito negativo della ricerca, i poliziotti hanno tentato
quindi di far pressione sui suoi familiari, minacciando di arrestarli per favoreggiamento. Il fallimento dell’operazione non li ha scoraggiati e dopo
qualche giorno, ancora a Parigi, i borghesi sono tornati nuovamente alla carica: introducendosi questa volta in un’occupazione e portando via una
compagna, che avevano scambiato per Carla. Ci sono volute alcune ore per rendersi conto dell’errore e della magra figura che stavano facendo e rilasciare
quindi la compagna fermata.
Difficile capire perché le ricerche di Carla si stiano intensificando proprio ora. Quali che ne siano le ragioni, approfittiamo dell’occasione offertaci
da questi buchi nell’acqua per mandare un forte abbraccio alla nostra compagna, uccel di bosco dallo scorso febbraio.
16 novembre 2019, da autistici.org/macerie
***
Cremona 2015 ancora non è finita
Ciao a tutte e tutti, sono Matteo, uno degli arrestati per la grande giornata antifascista del 24 gennaio 2015 a Cremona. Il 10 dicembre nel Palazzaccio
di Giustizia di Brescia, ancora una volta, si terrà una triste e grigia udienza, presieduta da altrettanti tristi e grigi togati, che determinerà il mio
prossimo futuro: come scontare, cioè, la pena divenuta oramai definitiva ad anni 3 e mesi 8 per il reato numero 419 del codice penale - alias l’ignobile
devastazione e saccheggio.
A più di quattro anni da quel 24 gennaio, Cremona 2015 ancora non è finita.
In tantissimx di sicuro ricorderete i giorni di rancore, frustrazione e dispiacere che precedettero quella dirompente manifestazione e le notizie che
giungevano dalla città dei violini, nella quale un compagno era stato massacrato durante un vile agguato fascista.
Quella volta il limite si era ampiamente superato, Emilio lottava fra la vita e la morte.
Ricorderete come in quella giornata, in migliaia, generosamente e coraggiosamente, decisero in prima persona e con i propri corpi di riempire le strade
della città e di rispondere con determinazione alla vile aggressione operata da Casapound.
Arrivammo a Cremona per ribadire con fermezza che episodi di quel tipo non fossero più tollerabili e che fosse necessario, e sempre più urgente, opporsi
con tenacia alla presenza di sedi fasciste, a Cremona ed altrove. E quel meraviglioso sabato lo dimostrò ampiamente. Il freddo pungente, l’odore acre dei
lacrimogeni, l’assetto da guerra che ci accolse, non fermarono un corteo numeroso e determinato, che cercò in tutti i modi di raggiungere la sede
cittadina dei seminatori di odio.
Attraversammo le strade della città, carichi di ira e di apprensione nel sapere un compagno quasi in fin di vita per mano dei camerati del terzo
millennio e di quelle istituzioni che ancora una volta si erano distinte per la loro ambiguità e il loro atteggiamento da Giano Bifronte; da un lato, con
la solita disgustosa retorica politichese, condannavano fermamente l’inaccettabile episodio di violenza, dall’altro, nel tempo e in passato, molto,
troppo, avevano fatto per contribuire allo sdoganamento e alla legittimazione nei territori di Casapound e di altri rigurgiti nostalgici. Era davvero
troppo tardi per rimanere calmi. Il fiume in piena quel pomeriggio dilagò rompendo qualsiasi tipo di argine.
La volontà giudiziaria riguardo i fatti di Cremona, fu quella di fare in fretta, di concludere quanto prima. Il ricorso ad una tipologia di reato come
quella dell’art.419 - che evoca scenari apocalittici di manzoniana memoria, propri di una guerra civile - e le conseguenti condanne, evidenziarono una
totale complicità dello stato nell’avallare istanze neofasciste e xenofobe. Ciò si rese ancor più evidente nel corso delle molteplici udienze, nei vari
gradi di giudizio, incentrate sul tentativo di equiparare un’aggressione di matrice politica ben precisa ad una rissa e ad uno scontro tra bande. In tali
sedi, inoltre, si è sostenuto, più e più volte, che fascismo ed antifascismo sono categorie storiche ampiamente superate, alla faccia di chi, proprio da
chi si definisce fascista, era stato ridotto in fin di vita.
Come spesso accade in questi casi, si “colpì nel mucchio”, riesumando quel “reato dormiente” - almeno sino alla fine degli anni ’90 - di Devastazione e
saccheggio, ereditato dal fascistissimo Codice Rocco del 1930 e mai riformato, già utilizzato per i fatti di Genova 2001, Milano 2006, Roma 2011,
(successivamente anche a Milano in occasione di Expo 2015).
L’articolo 419 c.p. prevede pene detentive che vanno dagli 8 ai 15 anni e mira a colpire individui e movimenti nella loro fase aggregativa, in contesti
di mobilitazione di piazza. Si tratta di un capo d’accusa utilizzato, ancora una volta, come efficace strumento di contrasto della conflittualità sociale
poiché mira a dispensare condanne pesantissime e a ‘devastare’ movimenti o grandi giornate di opposizione diretta.
Nella fattispecie cremonese, la tesi accusatoria affondò i suoi presupposti non concentrandosi sui “gravi comportamenti delittuosi e i molteplici danni”
che scaturirono dalla rivolta antifascista, bensì affermando e sottolineando il fatto che la quiete, la pace e la ‘stasi sociale’ era stata turbata e
messa in pericolo, individuando essa stessa, quindi, come condizione “normale” ed imprescindibile della società, da preservare con il massimo impegno e
rigore.
La volontà, dunque espressa quel sabato, di ribadire con determinazione e fermezza che agguati nostalgici avallati da ambigui comportamenti istituzionali
non erano più accettabili e tollerabili, si scontrò con l’inammissibile interruzione della “normalità”, della “pace sociale” e del “decoro urbano” della
piccola provincia lombarda.
Senza dilungarmi troppo su come la terminologia che costituisce questo tipo di reato da un punto di vista semantico sia stata totalmente avulsa,
storpiata e distorta dal potere costituito e dall’apparato giudiziario (cosa si intende per devastazione? cosa si intende per saccheggio? la precarietà
di futuro e di vita a cui ci costringono può essere definita normale mentre il danneggiamento di 3 istituti bancari devastazione?!?!).
Credo sia bensì necessario cercare quanto prima di riflettere, discutere e confrontarci per tutelarci e difenderci da questo tipo di dispositivo
giudiziario, oramai ampiamente sdoganato. Di frequente - a partire dall’uso strumentale ed improprio di tale reato per le contestazioni di Genova 2001-
le giornate di grande mobilitazione che hanno visto la partecipazione di numerosissimx compagnx e che sono sfociate in dure e dirette pratiche di
opposizione, hanno subìto questo tipo di repressione e la conseguente mannaia della sovra-determinazione giuridica.
La peculiare caratteristica del reato e le sue pene così elevate, sembrano particolarmente adatte a colpire situazioni di conflittualità di piazza molto
diverse tra loro e spesso si è rivelato quanto mai difficile e complicato costruire percorsi di vicinanza e solidarietà ampi e duraturi nei confronti
degli imputati e delle imputate.
I lunghi tempi processuali, le possibili gravità delle condanne, l’etichettamento diffamatorio da parte di organi statali e dell’opinione pubblica, le
varie e variegate scelte processuali nell’affrontare processi in cui spesso sono solo e soltanto i giudici a decidere se una particolare situazione
corrisponda o no alla fattispecie dell’articolo, seguendo criteri fumosi e alquanto contraddittori, hanno contribuito ad un disgregamento di percorsi
solidali e di lotta orientati a contrastare tale dispositivo.
Non ho risposte e quantomeno risoluzioni adatte.
Qualche anno fa, quando correvano simultaneamente nelle procure di Roma, Milano e Cremona tre accuse di devastazione, si cercò insieme a tanti compagni e
tante compagne generosx, fra cui l’infaticabile e inarrestabile Peppino, di mettere insieme e di far partire un percorso legato strettamente al reato di
devastazione e saccheggio.
Credo sia necessario riprendere questo percorso. Io, insieme a tantx compagnx e solidalx abbiamo una grande voglia di metterci in gioco e capire come e
con quali mezzi si possa smontare tale reato, sia da un punto di vista politico sia da un punto di vista giudiziario/processuale, magari anche partendo
dalla mia esperienza.
Intanto, abbiamo deciso assieme all’Associazione Bianca Guidetti Serra - che da anni si occupa di fornire sostegno legale e di affrontare tematiche come
il carcere e la repressione dei movimenti sociali– di creare un fondo comune per sostenere le realtà che si oppongono a questo reato. Vi abbraccio forte
e ringrazio chiunque stia spendendo ogni singola energia in vista della prossima tappa giudiziaria. Matteo.
novembre 2019, fonte: articolo419lecce@libero.it
lettera dal carcere di Pavia
Ciao a tutti e a tutte, sono Beppe arrestato il 21/05/2019 all'alba (op. Prometeo) a Ferrara, accusato di “attentato con finalità di terrorismo di
matrice anarchica” (280 c.p.).
Quella mattina si sono presentati nella mia abitazione dove vivevo da circa un anno con il mio compagno, devastando la nostra esistenza. Hanno scritto
che sono un “badante” con tutto il rispetto per questa figura spesso sfruttata all’inverosimile e sotto pagate, in realtà sono un docente dell'infanzia e
delle primarie abilitato e con diversi anni di didattica in diverse scuole. Avevo preso il diploma di OSS qualche anno fa a Codogno per un sur plus
professionale! Questo tentativo di sminuire (chi si dichiara anarchico) non è una semplice casualità da trascurare.
All'alba in cui sono stato “sequestrato” dallo stato di “diritto” lavoravo da poco in una struttura assistenziale a Ferrara perchè mi era scaduto un
contratto di una supplenza e questo nuovo contratto da OSS mi avrebbe assicurato 6 mesi di lavoro continuato (fondamentale per pagare un affitto e la
sopravvivenza mia e del mio compagno precario come me).
Dopo la perquisa dove hanno portato via PC, tablet, libri, cellulari miei e del mio compagno, un paio di bermudee neri e un nastro rosso ci dicono che io
ero in stato di arresto. Amanettato vengo portato in una caserma di caramba a Ferrara. Chiuso in una cella con il blindo aperto dopo alcune ore vedo
sfilare come modelli sbirri tutti lucidati a puntino superando il ridicolo! Avevo capito che era in corso un teatrino mediatico. Quando hanno finito con
il loro teatrino mediatico mi fanno incontrare per un ultimo saluto il mio compagno e lì ho capito che avevano portato pure lui in caserma ed era stato
trattenuto e interrogato presumo, senza la presenza di un avvocato! Ero tranquillo anche se provato da tutta la situazione, non ho mai avuto in passato
esperienze di arresti.
Nonostante la mia assoluta tranquillità mi amanettano con le braccia dietro la schiena con le manette che si stringevano in automatico ad ogni minimo
movimento delle dita.
Vengo messo a sedere in quella posizione e con quel tipo di manette dietro la schiena nel lato passeggeri con 2 caramba affianco dentro la loro macchina.
Una posizione assurda e dolorosa, impossibile non muoversi per alleviare il dolore che procuravano quel tipo di manette che si stringevano sempre più ai
polsi… ma pensavo che mi avrebbero condotto nelle galere di Ferrara e poi non volevo dargli la soddisfazione di vedermi soffrire dal dolore.
Ma mi sbaglio di grosso! In quella posizione e con quel tipo di manette asseragliate ai polsi sempre di più capisco subito che la destinazione era
Modena! Sentivo le mani gonfiarsi e il dolore alle braccia tenute all'indietro dietro la schiena era insopportabile. Chiedo allo sbirro seduto affianco
se poteva rallentare la morsa delle manette ma resta indifferente alla mia richiesta fino a Modena. Arrivati in una caserma a Modena mi chiedono se
volevo “pisciare” e solo così allentano la morsa di quelle manette e mi consentono di posizionare le braccia in avanti, avevo le mani gonfie e violacee
non sentivo più sensibilità allle dita… Sempre con quelle manette che si stringevano a ogni minimo movimento delle dita da Modena vengo portato a Milano…
Arrivati a “Opera” Milano ero in uno stato pietoso… dopo i vari riti (foto, prelievo DNA, impronte…) mi conducono nella sezione AS (osservazione) dove
vedo Robert malgrado la situazione devo dire che la presenza di un altro compagno è stato l'unico conforto!
Nella galera lager di “Opera” da subito sono stato accolto con le urla dei secondini con fare minaccioso stile ss. Vengo sbattuto in una cella di
isolamento sporca dove al posto del cesso c'è una specie di buco metallico. Oltre alle urla dei secondini si accompagna la chiusura violenta del blindo
metallico da fare cadere pezzi di muro in una struttura normale facendo così giocavano con la psiche del detenuto fresco arrivato. Esprimevano tutta la
loro rabbiosa violenza! Dovevano umiliare, spaventare… Ho dovuto mettere in atto tutte le mie energie di autodifesa mentale.
I primi giorni in quel lagher sono stati particolarmente pesanti, per 2 volte mi hanno lasciato a digiuno anche se il cibo era una merda, ma non avevo
nulla. In quella maledetta sezione la doccia era esterna dalla cella bisognava prenotarsi per lavarsi con acqua calda, più volte mi hanno lasciato per
giorni senza potermi docciare. Se davano il permesso di fare la doccia il tempo massimo era di 10 minuti... Le prime due settimane non avevo la TV né
libri, il nulla... Continue vessazioni dalle guardie.
Dopo 2 settimane nell'isolamento totale con 2 ore d'aria (spesso si riducevano a 1 sola ora) mi conducono in un'altra cella dotata di telecamera fissa
puntata 24 ore su 24 su di me. Non soddisfatti dal loro cinismo, durante il primo colloquio con il mio compagno mi riferisce che mentre lo perquisivano
viene preso per il culo con affermazioni omofobe! Dopo il colloquio con lui, ancora non soddisfatti mi chiedono di entrare in una cella e attendere, la
cella era simile a uno sgabuzzino, senza finestra ne servizi igienici, ne sedie… con un lucernario in alto. Ci resto per ore lì dentro. Quando si
presentano per riaccompagnarmi in sezione era ormai pomeriggio inoltrato e come risposta ho avuto una risata! Qualche giorno prima di essere trasferito
da l'inferno mentre ero all'ora d'aria si sono tolti l'ultima soddisfazione di pisciare nella mia cella 11 infami.
Per tutto quel periodo fino alla galera di Rossano il GiP non mi ha mai autorizzato di sentire con le telefonate il mio avvocato e tanto meno la mia
famiglia in Sicilia! La posta censurata è mai fatta arrivare a destinazione…
“Lo chiamano “STATO DI DIRITTO” si legge “STATO ASSASSINO”.
5 novembre 2019
Giuseppe Bruna, C.C. Via Vigentina, 85 - 27100 Pavia
lettera dal carcere di Torino
Condividiamo questo testo scritto da Amma, incarcerato il 20 Settembre 2019, insieme a Patrick e Uzzo, con le accuse di violenza e resistenza a pubblico
ufficiale, danneggiamento, imbrattamento per aver partecipato al corteo del 9 Febbraio a Torino in solidarietà allo sgombero dell’Asilo Occupato e con le
persone arrestate durante l’”Operazione Scintilla”, ed in opposizione alla gentrificazione e militarizzazione del quartiere Aurora.
Amma ha espresso la volontà di far uscire e circolare tra compagn* a voce, per mail, con la pubblicazione sui siti, informazioni più dettagliate sul
periodo di reclusione che sta vivendo nel carcere delle Vallette, sulle condizioni detentive e le violenze sbirresche in queste settimane di
carcerazione.
Gran parte della corrispondenza gli è stata trattenuta. I colloqui con la madre sono stati accordati tre settimane dopo l'arresto. Martedì 12 novembre
l’istanza di richiesta dei domiciliari è stata infine accolta, tutti e tre sono quindi agli arresti domiciliari ma senza restrizioni accessorie.
La giornata del 8.10.19 è iniziata presto: 7:20 una guardia apre la cella e mi informa che devo prepararmi per presenziare all’udienza di riesame
relativa alla misura cautelare che sto scontando in carcere.
Pochi minuti dopo esco dalla cella dove mi hanno rinchiuso con un bicchiere di caffè fumante ed una sigaretta appena accesa, percorro il corridoio della
sezione fino ad arrivare alla “rotonda” dove si congiungono i corridoi della sezione che compongono il terzo piano del blocco B. In rotonda c’è il tavolo
delle guardie di turno, alcune fumano, altre mi fissano e basta. Il capoposto si alza e mi intima di buttare la sigaretta dicendo : ”oggi non si fuma!”,
io faccio una serie di tiri veloci e profondi, ed eseguo l’ordine a denti stretti.
Subito dopo la guardia in questione mi si avvicina e mi ordina di buttare il caffè, io rispondo che non ho ancora fatto nemmeno un sorso al che mi si
avvicina ulteriormente, prende il bicchiere dalla mia mano pietrificata (non ho trovato la forza di oppormi) e lo butta con aria arrogante.
Mi viene ordinato di scendere al piano terra e li mi viene fatto aspettare in una stanza (ovviamente chiusa) che piano piano si va riempiendo di detenuti
che vanno incontro alla macchina dello stato chiamata TRIBUNALE.
Ci dicono di non portare eventuali accendini e sigarette; io avevo un bic in tasca e scelgo di riportarlo in cella, arrivato in rotonda il capoposto mi
impedisce di riportarlo in cella e mi obbliga a buttare anche quello.
Scendo di nuovo. A una certa ci ammanettano con delle manette provviste di un cavo per tirarci (tipo guinzaglio), legano i detenuti uno alle manette
dell’altro con il primo che viene tenuto da una guardia e ci tirano fino a sopra il bus dove ci mettono in delle celle senza slegarci le manette.
Così legati ci fanno scendere una volta giunti a destinazione e al ritorno è uguale.
14:50 è stata la prima volta che ero contento di ritornare in cella, mi accendo una siga e mi chiamano in rotonda per ritirare la posta, me la aprono
davanti e quando vedo che stanno distruggendo la parte con il mittente gli chiedo come mai. Mi viene risposto che il motivo è che comandano loro, mi
viene indicato uno stanzino ed ordinato di recarmi la perchè devono perquisirmi (dato che arrivo dal processo).
La situa puzza ma dato che mi stavano imbruttendo ci vado, mi viene intimato di mettermi in mutande. Una volta spogliato iniziano a prendermi a ceffoni
con i guanti neri in 3 uno dopo l’altro con il quarto a guardia della porta, dicono cose tipo: “sei solo un membro, non hai diritti, qui comandiamo noi,
non si fanno domande ecc” a una certa il quarto dice muovetevi se no vi vedono e poi fanno casino.
Escono dalla stanza e mi lasciano lì con le orecchie che fischiano, in mutande con il gusto metallico del sangue in bocca. Ne arriva un altro che mi
guarda, si mette i guanti e mi tira un ceffone dall’alto (quasi saltando per fare una schiacciata a palla contesa) poi mi intima di muovermi a vestirmi
ma come mi avvicino ai vestiti mi colpisce di nuovo dicendo che devo fare in fretta. Viene interrotto da un suo collega che gli dice che non c’è più
tempo perchè gli altri detenuti stanno rientrando dall’aria, mi rivesto e torno a prendere la posta in rotonda.
Lì il capoposta inizia a dire: “Se ti entrano in casa i ladri chi chiami?” io ovviamente non rispondo. Continua per un po’ dicendo “dai dilla 'sta
parolina chi chiami eh? Su dillo, dillo, non ti costa niente” (il tutto a 2 cm dalla faccia) a una certa si stufa e dice “dato che non ci vuoi chiamare
d’ora in poi non chiamerai più assistenti, né infermiere, neanche per chiedere di fare la doccia” e prosegue “non andrai più all’aria nè in doccia, ti
laverai nel lavandino etc etc etc e ora in cella muoviti passi lunghi e ben distesi perchè qui sei in galera e qui comandiamo noi”.
Io scosso mi reco alla cella e mi butto esausto sul letto.
Dall’orecchio esce pus e sangue, alla sera il mio compagno di cella chiama le guardie e mi fa portare un antidolorifico, la notte non riesco a dormire
per il dolore all’orecchio ma ad una certa il sonno ha la meglio.
Al mio risveglio il lenzuolo è una chiazza di sangue dove c’era attaccata la testa, tutto fuoriuscito dall’orecchio.
Sempre grazie al mio concellino che la chiama mi visita l’infermiera e dice che probabilmente ho delle lesioni al timpano destro e sto rischiando di
perdere l’udito, ora che sto buttando giù 'ste righe è il 9 sera sono le 21 e l’orecchio sanguina ancora.
A testa alta, AMMA
P.S. gli schiaffi li hanno motivati per una scritta: “FANCULO I CARABINIERI” che non ho fatto (nè cancellato).
Carcere delle Vallette, Torino 9 ottobre 2019
La libertà non ha documenti. Sempre complici e solidali
Il 19 settembre un presidio formato da 60/70 compas staziona davanti all'ingresso del Tribunale di Brescia, il processo che si svolge è a porte chiuse ma
non toglie la voglia di essere presenti per sostenere il compagno Manu oramai rinchiuso presso il carcere di Monza da 4 mesi. Appresa la notizia del
rinvio del processo il presidio si sposta verso l'uscita ove dovrebbe passare il furgone della Penitenziaria ma purtroppo riescono a svicolare senza che
si riesca a farsi sentire dal Manu, così parte un corteo fino al vicino carcere cittadino di Canton Mombello, qualche intervento al megafono e alcuni
"botti" chiudono la giornata.
Il 21 novembre, un discreto numero di compas, circa una sessantina, anima un nuovo presidio. Il terrorismo creato ad arte dalla questura cittadina non è
riuscita ad intimidire i solidali, due striscioni (“La solidarietà non si arresta. Manu libero!” e “Manu: ve fora de lè”) vengono esposti e ancora una
volta si volantina. A sto giro la Digos sembra moltiplicata così come i blindati della celere ma tutto scorre senza grande tensione. Quando si apprende
dell'infame condanna a 3 anni e 2 mesi (erano stati chiesti dal Pm 5 anni), tanta è la voglia di dare fuoco al mondo intero ma stavolta la "madama" non
si fa cogliere impreparata, ciò nonostante il presidio si sposta compatto verso l'uscita dei furgoni penitenziari e, stavolta si, gli slogan accompagnano
il ritorno a Monza del nostro Manu.
Il 25 novembre, nel tardo pomeriggio, apprendiamo dell'ennesimo diniego alla richiesta dei "domiciliari", l'aggravante di terrorismo appioppata a Manu
durante il processo ha escluso qualsiasi possibilità di pene alternative. Dall'avvocato di fiducia veniamo a sapere che incredibilmente i motivi sono
sempre quelli: aggravante di terrorismo, il fatto che sia anarchico e per di più insuscettibile di ravvedimento, e last but not least... il "supporto" da
parte della coniuge e dei famigliari una volta fatto ritorno a casa! Aggiungiamoci anche che hanno segnalato un continuo via vai epistolare che ha
mandato i repressori letteralmente in bestia. Nel diniego si accenna, neanche tanto velatamente, che i giudici hanno voluto colpire la solidarietà in
quanto tale...
Se lorsignori pensano che la guerra sia finita, si sbagliano di grosso!
Solidarietà e complicità incondizionata a Manu e Juan. Libere/i tutte/i.
Segue uno dei volantini distribuiti davanti al tribunale.
Juan è un nostro compagno, un nostro complice, Juan è stato arrestato il 22 Maggio dopo più di due anni di latitanza; inseguito da alcune condanne da
scontare nelle patrie galere, Juan ha scelto la fuga, la libertà, preferendo senza dubbi l’azzurro del cielo e il verde dei boschi rispetto alla triste
“gattabuia”.
Fra le varie azioni a lui imputate, la Procura di Venezia gli contesta di aver preso parte all’azione volta a colpire la sede della Lega a Treviso
mediante un attacco esplosivo. Lo Stato, i suoi apparati repressivi e i media mainstream l’hanno chiamato atto terrorististico, per noi rimane un’azione
diretta.
Detto questo, a noi non interessa sapere se Juan è stato complice e artefice di tale azione, non ci interessa sapere in quanti pezzi la sede sia stata
spazzata via. Noi riteniamo quell’attacco un atto d’amore, amore che ha rotto muri e vetrate di un luogo ignobile, amore che ha ridato dignità a quei
muri che avrebbero chiesto di essere liberati per sempre.
Di terrorismo blaterano politici e lacchè di ogni stirpe, ma chi è il vero terrorista?
Chi vanta di avere il monopolio della violenza se non gli stessi stati assassini collocati in ogni dove?
“Lo stato ed il capitale sono i più grandi criminali, infrangono persino le loro leggi, rubano sotto forma di tasse, uccidono tramite la guerra e il
lavoro salariato, i respingimenti in mare e nei lager per immigrati in Europa ed Africa, contaminano irreversibilmente l’uomo, gli animali ed il pianeta
terra, tutto per il loro profitto e potere.”
In queste poche parole, che fanno parte della rivendicazione giunta ai media dopo l’attacco alla sede della Lega, noi ci ritroviamo senza indugi o
tentennamenti.
Di meglio in poche righe non poteva essere scritto. Queste poche parole indicano in quale direzione colpire; in quale direzione attaccare l’ingranaggio
per disarticolare un sistema ingiusto e autoritario, sfuggendo così alle maglie del potere che ci vuole collocati nel bel mezzo di una guerra tra poveri.
Juan ha sempre combattutto contro il capitalismo, Juan è sempre stato dalla parte degli sfruttati, Juan è sempre stato nelle lotte per la liberazione
della Terra... per questo noi stiamo con Juan, per questo lo sentiamo un nostro compagno e lo sosteniamo con lo stesso coraggio che lui stesso ha sempre
messo in campo.
"Senza alcun rimorso mi rivendico la mia fuga come atto di ripresa della mia libertà che va oltre qualsiasi autorità e legge”. (Juan Antonio Sorroche)
Anarchiche e anarchici
Lettera dal carcere di Belluno
[...] Insieme alle, agli altr* compagn* dispersi in tutta Italia e nel mondo, con i volantini, presidi, manifesti, opuscoli ci siete d'aiuto enorme a
tutt* noi; tutt* insieme riusciamo a superare tanti ostacoli.
Parlo per esperienza personale da quando ero a Opera o a Vicenza nel 2015 dove ho rischiato di essere ucciso varie volte e poi ce l'ho fatta a essere
trasferito vivo in un altro carcere, ce l'ho fatta anche questa volta a essere trasferito dal lager di Verona in tempo. Ed ora sono a Belluno, sono
ancora di nuovo qua, e quello che ho notato è che c'è tanta differenza tra qua e Verona. E sempre carcere è, ma dal comportamento dell'operatore, delle
guardie noti che sono più umane, so che è presto per dirlo, ma con la mia lunga esperienza purtroppo so distinguere il meno peggio dal peggio.
Ora qua sono un po' tranquillo e vedremo se si muoverà la procura di Verona per la denuncia che ho spedito, speriamo che non venga archiviata,
nonostante la lunga lista di testimoni, vedremo. Questo grazie ai compagni di Verona, che ho sempre avuto il loro sostegno, sia con presidi che nel
contattare l'avvocato, con la corrispondenza ecc. ecc.
Gli sono molto grato, non smetterò mai di ringraziarli, mi sono stati molto vicini e solidali; fatto che vale lo stesso per i vecchi compagni di Venezia
che hanno tutta la mia solidarietà per lo sgombero dell'ospizio e per i compagn* di Torino per lo sgombero dell'Asilo. Prego tutt* di non mollare e
occupare altri edifici, magari mettendo la bandiera russa (ah! ah!), così Salvini e i suoi cani non li prenderanno di mira…
Approfitto di salutare tutt* compagn* in lotta e un abbraccio forte a Davide Delogu che gli hanno riattivato il visto di controllo a Rossano Calabro,
sperando che gli fanno ricevere questa mia ultima lettera che gli ho inviato oggi e un abbraccio forte a Maurizio Alfieri che di sicuro segue le nostre
battaglie da fuori (libero) che deve godere la libertà e a tutt* voi un saluto a pugno chiuso.
3 ottobre 2019
Eddi Karim, via Baldenich, 11 - 32100 Belluno
Lettera dal carcere di Montacuto (an)
Compagni, ricevuto vs invio di libri con catalogo, vi ringrazio. Grazie anche per gli opuscoli con le varie “lotte” che quotidianamente si svolgono nelle
“nostre” patrie galere. Premesso che sono stato (uso il passato), perchè il tempo ha logorato il corpo e non la mente, militante attivo negli anni “belli
e tristi” di utopia e lotte, sono stato un militante dei N.A.P. e ho continuato a credere in quella idea “utopistica” di voler cambiare questo mondo,
questo sociale che dà la libertà di morire di fame e di inedia.
Detto questo oggi mi trascino nelle patrie galere perchè, come detto da un mediocre ma lungimirante magistrato di sorveglianza: “ho la mentalità
criminale” … se non lo avessi avuto a distanza superiore, di sputoni l'avrei gratificato di questo. Perdonatemi il passaggio, poiché sto studiando
giurisprudenza con notevoli difficoltà perchè per lo stato non sono “degno” di essere trasferito in un istituto ove possa studiare e mi interesserebbero
alcuni testi – ho visto sul catalogo ...
(segue elenco) libri che potrebbero aiutarmi.
In ogni caso, grazie per questi invii, un saluto (a pugno chiuso) colorato nel tempo …
Riccardo
10 ottobre 2019
Riccardo Pastore, via Montecavallo, 73/A - 60129 Montacuto (Ancona)
Lettera dal carcere di nuoro
Seguono due lettere di Santo, un testo inviato al garante nazionale dei diritti dei detenuti, all'Ass. Yaraiha Onlus, Nessuno Tocchi Caino, Antigone
Onlus, Radio Radicale, Ampi Orizzonti... e per conoscenza al ministro della giustizia; e una lettera in cui ci dice che sarà presto in libertà...
Sono il detenuto Sacco Santo Sez. V” P.1° Cella n° 32-AS3. Premesso che, sono recluso presso questa struttura da più di 3 anni, con tante proteste non
violente ad ottenere qualche diritto le condizioni di vita in questo istituto potevano essere accettabili, ma da qualche mese è cambiato il comandante
della polizia penitenziaria, e con una serie di provvedimenti restrittivi stanno creando problemi non indifferenti, che in futuro non presaggiscono nulla
di buono, che farà tornare questo istituto alla nomina che l'ha reso tristemente famoso.
Apparte quanto esposto, c'è un detenuto Di Silvio Armando che ha fatto più atti di autolesionismo ed ha tentato di impiccarsi per 2 volte, salvato dalla
polizia penitenziaria e dai detenuti, ma pensano di salvarlo dal sicuro suicidio in futuro, con la somministrazione di massicce dosi di psicofarmaci.
Un vostro intervento è necessario ed urgente! Prima che sia troppo tardi, e ci possa essere l'ennesima vittima nelle carceri dell'indifferenza.
Spero tanto in un vs. intervento per porre fine o quanto meno trovare una soluzione per il povero Di Silvio, e affinchè la direzione e il comandante non
continuino a vessare i detenuti con restrizioni su tutto, vitto, es. il carello per il vitto viene usato anche per i libri e per dividere la spesa, chi
lavora per la somministrazione degli alimenti non viene sottoposto agli esami ematochimici come prevede la legge, quindi si è a rischio di malattie e di
contagio quali TBC, HIV, Epatite e altro.
Si ringraziano le associazioni, ed il garante, per l'attenzione. Distinti saluti Sacco Santo.
Nuoro, lì 20 ottobre 2019
***
Cari, carissimi compagni e compagne, oggi è un grande e bel giorno, finalmente qualche prigioniero ergastolano può rivedere qualche giorno di “libertà”,
grazie alle lotte spesso vane di prigionieri, con lotte di classe non violente, raccolte di firme insieme ai radicali, Ass. Liberarsi Onlus, Ass.
Yairaiha Onlus, Ampi Orizzonti, e voi con l'informazione continua e la pubblicazione di lettere di tutti i detenuti che hanno corrispondenza con Ampi
Orizzonti, “GRAZIE”.
Compagni io tra 11 giorni finisco la prigionia, ma non smetterò di lottare per i diritti degli ultimi, e spero anche insieme a voi di dare voce a chi non
ha voce, e a non perdere la speranza e continuare a lottare per i propri diritti. Sappiate che con la pubblicazione di una mia lettera da parte vostra
dove denunciavo l'omissione contributiva e retributiva sulle paghe dei detenuti, centinaia di prigionieri hanno fatto l'istanza e hanno ottenuto il
maltolto, e tanti continuano a farlo, anche grazie alla “biblioteca di Sassari e ai compagni che si sono prodigati ad informare i prigionieri. Se lo
ritenete opportuno ripresentate quella denuncia, nonché quanto vi sto esponendo. W la lotta di classe!
Compagni visto che il 21 ottobre sarò di nuovo libero, sono stato vittima di un sistema becero e infame, in futuro ho il piacere di continuare insieme a
voi a lottare e ad informare. Compagni e compagne di OLGa, grazie di tutto e per tutto, un caro saluto, Santo.
Lettera da una comunità a belluno
POVERA GIOVENTU' BRUCIATA
Mi scusate assai il cervello la condizione in cui versa questa giovane società italiana, ignoranza e menefreghismo verso tutto ma con ben in testa il
ricoscersi sotto l'emblema fascista oppure il dire “io sono apolitico, non parlo di certe cose”. Se provi a parlarne ti arriva adosso solo che un mucchio
di stupidaggini. Io vi racconto questo da una comunità terapeutica nella quale sono agli arresti, ma non fa differenza l'ambiente perchè sia fuori che in
carcere la gente preferisce puntare sempre il dito sugli immigrati o i clandestini oppure sui propri simili.
Mi fanno tanta delusione, dopo un discorso sul reddito di cittadinanza, il saluto romano fattomi da un ragazzo di poco più di vent'anni quando ha saputo
che io sono anarchico. Io gli ho risposto a tono: “guarda che se ci fosse il fascismo ed il nazismo dei reciproci Mussolini e Hitler, tu, io e tutti noi
utenti non saremmo qui a curarci ma in un campo di sterminio”. Fanno il saluto fascista ma non conoscono la storia, neanche ci pensano di studiarla.
Noi anarchici siam visti come violenti e distruttori di città e fomentatori di violenza alle manifestazioni. Si ripetono ancora i giudizi sbagliati come
quando il nostro compagno Pinelli, accusato di aver messo una bomba con Valpreda, volò dal terzo piano della questura e dopo parecchi anni arriva la
verità che furono i fasuli.
Ma quante volte deve ripetersi la stessa storia, noi anarchici siamo contro la violenza e contro il militarismo e le autorità più di chiunque altro. Poi
il nuovo decreto della legittima difesa è un punto in più per accrescere la violenza tra il popolo. Popolo diviso, il nemico del cittadino è il cittadino
e più spesso il povero immigrato, facille puntare il dito sul più debole. Mi chiedo il perchè la gente non si sveglia da questo incubo e non inizia a
ragionare che il nemico vero è il padrone, la borghesia, i politici sdraiati sui loro cani: le forze dell'ordine.
Anno 2019, dopo le imprese interinali arriva questo reddito di cittadinanza e le pensioni i nostri vecchi le vedono con il binocolo. Le lagnanze
professionali sul lavoro aumentano, adesso stà uscendo il danno irreparabile che l'amianto ha fatto a milioni di persone. E' ora di cambiare modo di
pensare, io in più di 20 ragazzi che ci sono qui ne ho trovati pochi che avessero voglia di fare qualcosa di costruttivo…
Sono tutti sfaticati, dormono e mangiano e terapia portan via. Non hanno nemmeno la forza di separare la plastica dalla carta per fare la raccolta
differenziata e questo succedeva pure in carcere e nel mondo qua fuori.
Mi sto rendendo conto che per 20 persone ce n'è una sola che abbia il buonsenso. Ma come siamo fessi! Come andrà a finire questo mondo? L'impoverimento
aumenta, le guerre si moltiplicano e il menefreghismo cresce a vista d'occhio.
Cosa possiamo fare, bisogna difendere quel poco che è rimasto dei diritti che i nostri vecchi hanno ottenuto con tanto sudore e sangue. Portiamo avanti
il nostro ideale perchè è l'unico per l'eguaglianza e la libertà dell'essere umano sfruttato e denudato del proprio orgoglio. Avanti compagni c'è lavoro
da fare aprire gli occhi a chi oramai è cieco, non deve essere il potere del denaro a sconfiggere i nostri pulsanti cuori di sangue di speranza.
26 settembre 2019
Fabio Visentin, via Rugo, 21 CE.I.S. - 32100 Belluno
LETTERA DAL CARCERE DI LA SPEZIA
Cari compagni-e, in data 8 ottobre 2019 come avevo detto nelle mie precedenti lettere che ci sarebbe stata l’udienza in corte d’assisi a Lucca per i
reati per la quale fui arrestato il primo febbraio 2018 a Lucca contro “Casa Pound”. Stamattina sono stati ascoltati i testimoni, e i funzionari della
digos di Lucca. Mentre il 10 dicembre 2019 l’avvocato dovrà fare decadere l’art. 270 bis 1 c.p., essendo una nuova legge legislativa che venne provata il
primo marzo 2018, quando io venni arrestato il primo febbraio 2018. Sulla richiesta di rinvio a giudizio su una parte di capo 1 prima reato per
detenzione e fabbricazione molotof mi contestano art. 56, 423, 270 bis 1 che uno è l’aggravante per finalità di terrorismo ed ordine democratico c.p.;
sul capo 2 del reato mi viene contestato l’art. 280 bis, c.p., comma 1 e 4, cod. pen., finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico, e
capo 3 ha l’art. 280 bis, cod. pen., finalità di terrorismo di matrice “anarco-insurrezionalista”. Come ho detto nelle mie precedenti lettere il 10
dicembre 2019 non ricorrerò a nessuno riti abbreviati, né ai patteggiamenti, e come ho detto non riconosco quella autorità statale in quanto tra me e
loro ci sarà un vero conflitto politico, e quindi non scenderò a nessun compromesso con i miei nemici che sono sempre stati da anni. E lo saranno anche
quei signori della Digos di Lucca, soprattutto quello che è nato nel 1962 a Pescia e il loro capo (Leone). Non sarà la mia condanna a fermare il mio
essere di pensiero e praticità ….
Questa lettera vorrei che venga allargata in diversi movimenti antagonisti dove però non vengo a chiedere di condividere il mio pensiero perché ognuno
deve avere il proprio pensiero libero di capire se la mia lettera è meritevole per essere discussa, oppure censurata. Mi aspettavo la presenza alcuni
compagni-e nel mio dibattimentale in aula, ciò che non c’era nessuno, a volte non si usa lo stesso peso e la stessa misura forse perché i miei reati che
ho commesso avranno avuto meno interesse politico, perché non mi sono dichiarato anarchico, ma militante della estrema sinistra. Non conta etichettarsi
anarchico, ho di altro antagonismo, ciò che conta è nel volere fare le cose. Poi chi li commette è anarchico ho di altra realtà, viene dopo ma
l’importante è fare, e esserne coscienti e responsabili delle proprie scelte ideologiche…
I miei atti compiuti non li ho compiuti perché possiate pensare che l’abbia fatti perché avevo i coglioni girati. Sono sempre stato antifascista, sono
contro alle multinazionali dello sfruttamento e rapinatori legalizzati. E anche per questo motivo che decisi di compiere certi reati a viso scoperto
perché è bene che questo sistema che sappiano che certi reati si possono compiere anche senza avere/fare associazioni. Ho sempre agito da “lupo
solitario” che è quello che il sistema statale e ciò che più temono perché non fanno gruppo/i con nessuno nche se possono condividere le idee politiche
di qualsiasi antagonismo di estrema, e non temiamo nessuna repressione dell’intero sistema statale in generale.
Vi ringrazio della vostra attenzione e come sempre vi chiedo che la mia lettera venga divulgata. Amo i vostri pensieri, odio chi usa i loro poteri
statali a fine di cercare di sabotare i nostri pensieri i nostri centri a solo fine perché non la pensiamo come loro, e quindi disturbiamo i loro loschi
affari. E per levarci di intorno usano le loro leggi fasciste, usando montature, accuse per arrestare i compagni-e così credono che non potremo mai più
disturbare i loro sonni. Ma non hanno capito che ogni compagni-e che verranno arrestati noi che siamo prigionieri dello stato continueremo a essere le
loro spine dei loro fianchi, e in qualsiasi momento potremo disturbare i loro sonni tranquilli. Vi abbraccio tutti-e. Nessuno escluso.
9 ottobre 2019
Mauro Rossetti Busa, via Falcone Borsellino, 1 – 19125 La Spezia
IN SEGUITO AI FATTI DI MERCOLEDÌ 6 NOVEMBRE A TREVIGLIO (BG)
Mercoledì 6 novembre Fratelli d’Italia ha aperto nuovamente la sua sede per raccogliere le firme contro lo Ius Soli. Anche questa volta gli abitanti
delle palazzine insieme ad altri lavoratori e studenti si trovavano già sul posto. Decisi a esprimere la loro contrarietà all’apertura di una sede
fascista, intitolata allo stragista Pino Rauti, che tra i suoi militanti conta lo stesso padrone dell’intero stabile e di altri stabili a Treviglio; uno
che con gli immigrati ci ha fatto i soldi, riscuotendo mensilmente tutti i loro affitti su numerose proprietà. A garantire l’apertura della sede sono
arrivate sul posto alcune volanti e una camionetta del reparto mobile della Polizia. Il reparto della celere è intervenuto per allontanare i presenti,
che non si sono fatti intimidire e sono riusciti a rimanere nei pressi delle palazzine.
Non chiacchiere da bar o vani appelli alle istituzioni “democratiche”, ma una risposta concreta ad un problema concreto: mettersi insieme per denunciare
e respingere la provocazione ordita dagli speculatori, Melli e Manenti, raccolti sotto il partito di FdI.
In un quartiere abitato da diversi lavoratori questo partito apre la sua sede per arruolare alla guerra contro falsi nemici, additando gli abitanti
immigrati delle palazzine di loro proprietà. Dall’alto dei loro privilegi fondati sulla rendita immobiliare – più di 290 proprietà tra abitazioni, box,
negozi e terreni – ora si inventano spacciatori di buone soluzioni per il superamento della crisi economica e politica del paese. Tentano di convincere
chi, diversamente da loro, non ha altro che sé stesso da vendere per mantenere la propria famiglia e costruirsi un futuro.
Abbassare i costi di mutui e affitti a Treviglio? Riservare anche agli altri la possibilità di arrivare, apparentemente in modo inspiegabile, ai vertici
delle società comunali (Ygea) e dell’amministrazione? No! La loro proposta è fare la guerra ai lavoratori immigrati, mentre li fanno vivere in case senza
riscaldamenti e con infiltrazioni d’acqua. E sono gli stessi lavoratori immigrati che hanno permesso loro, con i soldi degli affitti, di fare i nababbi
per tutti questi anni. Gli stessi, da loro opportunatamente radunati in ghetti di loro proprietà, che diventano argomenti della loro propaganda politica.
Come se fosse scritto così nel manualetto del padrone opportunista: “devi utilizzare i tuoi ingenti mezzi non per risolvere problemi, ma per crearne, poi
potrai indicare falsi responsabili di quei problemi divenuti ormai reali, raccogliere consensi ed aumentare il tuo potere”.
Niente di più semplice, nulla di più infame.
Di fronte a tanta arroganza e spregiudicatezza sarebbe stato assai strano se non ci fossero state risposte convinte e decise. Davvero pensano di poter
tirare a lungo avanti la tiritera delle innocenti vittime dell’“antifascismo dei centri sociali”? oppure credono di potersi lamentare ancora a lungo
della società capitalistica, che, poverini, a loro sì, ha permesso di spartirsi mezza Treviglio? Quanto a lungo potranno negare che la loro attività
speculatoria e parassitaria sul territorio causa la giusta rabbia di parte del proletariato da loro vessato (e sfrattato)?! Pensano di sfuggire per
sempre alle loro responsabilità?
Il circolo trevigliese di FdI del resto non si discosta dalla linea adottata a livello nazionale. Al governo promuovono politiche anti-lavoratori di
precarizzazione del lavoro e di privatizzazione dei beni pubblici, dalla sanità all’istruzione. Hanno salvaguardato la riforma Fornero e il governo Monti
per dirne alcune. Hanno governato con Berlusconi e con lui hanno negato l’esistenza della crisi economica: niente di più facile, dato che loro non
l’hanno vissuta sulla propria pelle, come la classe dei lavoratori. Poi, falsamente in contrasto con i governi di “centro-sinistra”, nei fatti si
rivelano accomunati dagli stessi identici intenti classisti, a salvaguardia degli interessi delle classi dirigenti. Insieme concorrono per rendere sempre
più difficile ai lavoratori ottenere una casa e un lavoro a giuste condizioni. Perciò anche a Treviglio l’unica presa di posizione della “sinistra”
istituzionale è stata la condanna a chi vorrebbe che le cose cambino davvero. Non una tra le forze politiche dell’intero arco parlamentare si è spesa per
andare, non diciamo a sostenere, ma neanche ad ascoltare, le rivendicazioni di questi abitanti del quartiere. Niente di nuovo si prospetta all’ombra di
queste figure.
Se questo è il meccanismo (e il volume di profitti) da difendere. Non ci sorprendiamo che si siano mobilitati i reparti della celere da fuori città.
Evidentemente è questo l’unico modo che Fratelli d’Italia conosce per legittimare la propria presenza fuori dai salotti della Treviglio bene. Non ci
sorprendiamo neanche che, al fine di criminalizzare la legittima protesta, si invochi la presa di posizione del Ministro degli Interni attraverso una
interrogazione parlamentare. Non sorprende nemmeno che lo si faccia invece di chiedere conto di pericolose scelte politiche e spregiudicate manovre
economiche portate avanti, sulla testa di tutti i trevigliesi, da poche persone con grandi influenze sul territorio. Davvero state provando a nascondere
anni di sfruttamento e guadagno con due scritte fatte male?
Tutti sappiate che non basta evocare la presenza in parlamento di queste forze politiche per renderle intoccabili, anzi. La democrazia che si vuol
difendere è questo dibattito parlamentare, la cui legittimità è messa in discussione da tutto quello che si combina ai danni dei lavoratori e ad
esclusivo interesse del capitale. Non c'è allora molto da difendere, se non i privilegi di pochi, lo sfruttamento per tutti gli altri e forse il
divertente passatempo di qualcuno.
Per questo facciamo appello al protagonismo dei lavoratori e degli studenti, unici soggetti capaci di poter invertire il senso di rotta di un sistema
economico in perenne crisi. Invitiamo tutti a prendere parte alla mobilitazione: sabato 16 novembre dalle ore 17 a Treviglio. Case abitabili e sedi
fasciste chiuse. Contro il tentativo dell’estrema destra reazionaria di legittimarsi nel paese.
“Ristà il borghese come un cane affamato, ristà silenzioso, come una domanda.
E il vecchio mondo come un cane randagio, sta dietro a lui, la coda tra le gambe”.
Treviglio, novembre 2019, Collettivo Tana Libera Tutti
milano: ATTACCO POLITICO AL COMITATO AUTONOMO ABITANTI BARONA
Il giorno 30 ottobre 2019 la digos della questura di milano ha eseguito 5 notifiche con annesse 5 ordinanze cautelari di allontanamento dal comune di
milano, per 5 abitanti appartenenti al comitato autonomo abitanti barona, che da 5 anni lotta in quartiere e con realtà simili sul tema del problema
abitativo e della speculazione che avviene sistematicamente nelle nostre città.
La digos di Milano ha ordito un attacco giuridico-politico, sulla base di un fatto avvenuto, a distanza di un anno, alla Baronata, dove per violenza di
genere è stata allontanata una persona dalla comunità resistente e quindi dalle assemblee, oltre che invitata a non partecipare più alle iniziative dello
spazio.
Questa persona, il giorno dopo l’assemblea che decise il suo allontanamento, tornò per pretendere di rimanere, e due compagni che in quel momento erano
alla Baronata per tenere le lezioni della scuola d’italiano, si trovarono costrette ad invitarlo a ritornare in un momento assembleare data l’attività in
corso.
Mentre uno dei due compagni parlava, ricevette un pugno dritto alla gola da questa persona, che gli tolse il fiato per alcuni secondi; approfittando
dello spaesamento la suddetta persona afferrò una cazzuola che sferrò su un altro compagno, lasciandogli una cicatrice sul volto, ancora oggi ben
visibile; alla fine, a fatica si riuscì ad allontanarla.
La persona allontanata si recò in ospedale, nonostante fosse lui l’aggressore oltre che l’illeso; lì venne raggiunta dalla polizia, che, come abbiamo
visto, avrebbe preso con molto interesse la denuncia della persona, invitandola anche a recarsi in un secondo momento in questura, per integrare la
denuncia precedentemente fatta che oggi ci è stata consegnata per i seguenti capi d’imputazione: “110. 629 1° e 2° e, in relazione all’articolo 628 c.3
n.1, c.p. 61 n 2, 110. 582, 585 c.p." che in verbo corrispondono a: concorso, violenza e minacce, estorsione, rapina, danneggiamento con profitto e
violenza con aggravanti.
Le modalità di perquisizione, sequestro e consegna delle notifiche sono avvenute con modalità che ricordano operazioni contro le peggiori organizzazioni
criminali; infatti già dalle 7.00 del mattino digos e polizia hanno cercato di sfondare le porte dei 5 appartenenti riuscendoci solo con una, entrando da
sceriffi con le pistole in mostra, sequestrando immediatamente i cellulari che i compagni stavano utilizzando per avvertire amici e compagni di quanto
stava succedendo.
A questo punto sono iniziate invasive perquisizioni di tutti gli appartamenti, terminate con il sequestro di cellulari, computer, chiavette usb,
materiale politico informativo, agende personali e appunti delle assemblee. Al termine gli agenti hanno consegnato dei divieti di dimora con obbligo di
firma a tutti i 5 compagne/i, immediatamente esecutivi.
La questura di Milano, ricostruendo struttura e ruoli fantomatici del comitato della Barona, mette sotto indagine i compagni/e con misure cautelari che
li costringono ad allontanarsi dal comune di Milano.
L’azione repressiva avvenuta quest’oggi esprime una chiara volontà di fermare chi tutti i giorni lotta per un’ alternativa dignitosa al di là della
mercificazione che questa città impone come modello unico di vita, senza lasciare spazi alla solidarietà e all’organizzazione dal basso.
Episodi come questo sono purtroppo noti e sempre più frequenti: a Padova, Piacenza, Milano, Cosenza e su tutto il territorio nazionale, avvengono
tentativi di fermare le lotte colpendo le persone e dipingendole come organizzatrici di crimini.
Come Comitato Autonomo Abitanti Barona, rifiutiamo ogni singola accusa e la rispediamo al mittente: occupare case per soldi è una pratica mafiosa, che
specula sui problemi delle persone, e la combattiamo ogni giorno. Lasciare case vuote e gente in strada è una strategia attuata per il lucro di
palazzinari e istituzioni. La repressione non può intimidirci: a ogni attacco corrisponderà un rafforzamento!
Ci vediamo questa sera, mercoledì 30 ottobre alle 21:00, presso la Baronata, viale Faenza 12/7, per l’assemblea di coordinamento dei comitati: verranno
dati ulteriori aggiornamenti. Inoltre invitiamo tutt* alla presentazione del nuovo sito antirepressivo, Amargi.blog, che avverrà domani pomeriggio, 31
ottobre, alle 17:30 allo spazio GTA, via Lelio Basso 7. Chiediamo poi una solidarietà concreta per i compagni colpiti: invitiamo chiunque possa ospitarli
in un comune esterno alla provincia di milano a contattarci o a venire ad uno degli appuntamenti sopra riportati.
SE CHI LOTTA E’ UN DELINQUENTE, SIAMO TUTT* CRIMINALI!
Lampi dal mondo: cile in rivolta
Da più parti del mondo stanno arrivando notizie di proteste, rivolte, manifestazioni di piazza che infiammano le strade. Ciò che le unisce è la
ribellione contro le “diseguaglianze sociali”, di ricchezza e potere tra un numero ristretto di privilegiati e tutti gli altri. Una differenza che non è
più tollerabile. Un ulteriore aspetto che accomuna le proteste dall’Algeria, al Libano, al Sudan, dall’Ecuador al Cile, da Hong Kong all’Iraq e ora anche
all’Iran ecc. , è la modalità con cui si scende in strada. Nonostante le feroci repressioni, il livello di conflitto espresso da chi contesta i potenti e
i loro governanti è molto elevato. Saccheggi, incendi, barricate, attacchi e resistenza di fronte alla vigliacca violenza di militari e polizia,
testimoniano la determinazione, la continuità e il coraggio dei manifestanti. A quando anche qui, in Italia?
Di seguito pubblichiamo una serie di materiali su quanto accade in Cile. Notizie, considerazioni e comunicati che seguono sono stati tratti da:
crimethinc.com, attaque.noblogs.org, indymedia Nantes, roundrobin, mapucheit.wordpress.com, contrainfo.espiv.net, insuscettibili di ravvedimento.noblogs,
telesurt.net e da comunicazioni inviate direttamente dal Cile.
L’esplosione di lotta del 18 ottobre 2019 a Santiago è avvenuta dopo una settimana di azioni contro l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico, con
lo slogan “evade” o “evade y lucha” (“eludere le tariffe e lottare“), ora scritto su quasi ogni muro del centro della città. Gli studenti tenevano aperte
le porte per incoraggiare tutti gli altri a unirsi a loro senza pagare. La polizia ha reagito con gas lacrimogeni e manganelli.
Il giorno seguente, i manifestanti hanno risposto prendendo di mira le stazioni stesse, rompendo i cancelli e i tornelli e usando questi ultimi come armi
per difendersi dagli attacchi della polizia. Molte linee della metropolitana sono state chiuse. Al tramonto, la città ha preso fuoco. Autobus bruciati,
blocchi stradali in molti quartieri, in cui gli abitanti sono usciti per sbattere pentole e padelle, bruciando divani, pneumatici e qualsiasi altra cosa
trovassero nella zona. La ribellione si è diffusa in tutta la città. Il palazzo sede della compagnia energetica italiana Enel ha preso fuoco. Scontri con
la polizia si sono intensificati per tutta la notte fino a quando il presidente ha dichiarato lo stato di emergenza. Poi Piñera ha annunciato il ritiro
degli aumenti delle tariffe, ma i cileni ricordano troppo bene i tradimenti della democrazia per poter essere placati.
Il governo ha fatto radunare l’esercito e ha dichiarato la legge marziale. La gente rifiuta di lasciare le strade, infuriata dalla decisione del
presidente di tentare di reprimere le proteste per mezzo dei militari, una strategia che ricorda la dittatura militare cilena del 1973-1990. Quindi
nonostante il coprifuoco,
in molti hanno scelto di stare fuori durante la notte. Gli scontri sono continuati decentralizzandosi, diffondendosi ulteriormente nelle periferie di
Santiago, riempiendo l’intera città. I manifestanti hanno dato fuoco ai caselli posti nella superstrada posta a nord di Santiago. A Valparaíso, i
manifestanti hanno incendiato un edificio dove ha sede un giornale chiamato “Mercurio”, una pubblicazione di destra.
Nel web, sono state anche divulgate riprese di poliziotti intenti ad assumere cocaina prima di attaccare i rivoltosi.
La federazione studentesca cilena ha indetto uno sciopero nazionale per lunedì 21 ottobre. Giovedì 24 ottobre è stato il secondo giorno di sciopero
generale. I gruppi in rivolta hanno attaccato il centro cittadino borghese, saccheggiando e distruggendo quel che potevano nonostante i tentativi di
“contenimento” di sindacati e organizzazioni della sinistra.
Dal Ministero cileno dell’Economia arrivano questi dati: dopo una settimana di proteste 677 aziende sono state saccheggiate e bruciate e il 30% dei
supermercati (344) sono fuori servizio in seguito agli attacchi, sono stati dati alle fiamme 24 autobus (1.300 vandalizzati e in riparazione) e 9
depositi. 118 stazioni della metropolitana su 136 sono state devastate, alcune stazioni rimarranno chiuse almeno fino a marzo 2020, e per alcune ci vorrà
forse un anno intero. La metropolitana funziona parzialmente; le compagnie aeree cilene hanno cambiato tutti i loro voli in modo permanente a causa dei
disordini e del coprifuoco; code di clienti attendono all’ingresso dei supermercati integri e sorvegliati. Il bilancio militare sullo stato di emergenza
si appesantisce ogni giorno di più: 7.641 persone sono state arrestate dall’inizio dello stato di emergenza, 295 sono state ferite dai proiettili della
polizia e si cominciano a contare gli occhi perforati dai militari (43 secondo il sindacato dei medici).
Al 7 novembre dai dati disponibili si contano 5.300 detenuti su tutto il territorio, tra i quali 550 minorenni. Da parte delle forze di sicurezza si
ripetono torture e stupri documentati e le sparizioni sono già numerose.
Piñera, nel suo ultimo discorso, palesa l’intento di dividere il movimento sociale accordandosi con politici di diverse correnti e affaristi, è un
accordo interborghese quello che sta preparando e che chiama “accordo per la pace”. L’obiettivo è addormentare per altri 30 anni il popolo cileno. La
costituzione neoliberale e il modello economico del mercato restano fermi come il percorso scelto da questo settore minoritario della società. Le
richieste del popolo cileno non vengono ascoltate e si tenta di ingannarlo ancora una volta. Se l’operazione non dovesse riuscire, si teme la possibilità
di un nuovo colpo di stato.
Al 12 novembre gli scontri di strada non si fermano, con i carabineros che sparano ad altezza d’uomo come mostra, tra gli altri, un video postato su
facebook da “DeFrenteySinRodeos”.
Non Sono “30 Pesos” Sono “30 Anni Di Sfruttamento Del Cile”
Trent’anni fa il Cile usciva “ufficialmente” dalla dittatura militare di Pinochet, transizione travestita da democrazia. Di fatto ancora oggi il popolo
cileno vive sotto un sistema politico economico neoliberale, basato su una costituzione scritta in periodo dittatoriale per salvaguardare gli interessi
della classe dirigente. Sono 30 anni di sfruttamento della classe proletaria cilena da parte dello Stato e non solo, tutte le risorse e beni comuni sono
stati privatizzati, in mano a una borghesia ristretta insieme alle multinazionali. Per queste motivazioni è scoppiata l’insurrezione popolare, una vera
lotta di classe, dove gli oppressi lottano contro un sistema predatorio che crea solo disuguaglianza sociale.
Perciò non è più solo l’aumento del biglietto dei mezzi di trasporto il motivo per il quale si lotta, ma la gente è uscita per strada a manifestare
contro: la privatizzazione della sanità; la privatizzazione dell’istruzione; il fondo pensionistico inesistente; la precarietà del lavoro; le
espropriazioni delle risorse naturali da parte dei privati; un servizio di trasporto caro e mal funzionante; il sistema bancario deregolamentato e tante
altre istanze, tra le principali quella dell’abbattimento della costituzione che dal regime di Pinochet è intoccabile e che ancora domina la vita delle
persone.
Senza dimenticare la lotta anticapitalista del popolo Mapuche. Popolo in difesa della terra e da sempre bersaglio di violenza da parte dello stato
cileno.
La lotta del popolo cileno è solo una delle tante lotte contro politiche di austerity nel mondo, contro un sistema che non funziona, contro un sistema
capitalistico che crea profitto per i potenti e crea solo disuguaglianza sociale per i più poveri. (da mapucheit.wordpress.com)
Dichiarazione dell’Assemblea Autoconvocata e popolare della regione Metropolitana
Vicini e vicine e popolazione in generale:
In questo momento storico come abitanti abbiamo alzato la voce, nelle nostre mani c’è la costruzione di una nuova società. Ci organizziamo e resistiamo
attraverso la protesta, la costruzione e l’organizzazione popolare. È per questa ragione che questo sabato 2 novembre abbiamo riunito più di trenta
assemblee popolari formate sui nostri territori e organizzazioni in resistenza dopo la chiamata dell’Assemblea Autoconvocata e Popolare della Regione
metropolitana. In base a ciò, dichiariamo quanto segue:
- L’Assemblea Autoconvocata e Popolare della Regione metropolitana è uno spazio di coordinamento delle assemblee territoriali, cioè, dalle basi popolari,
con il fine di dare la continuità delle lotte storiche delle persone nelle strade, nei paesi e nei territori attraverso l’organizzazione e la protesta
popolare.
- Denunciamo l’appropriazione delle lotte popolari della classe politica, imprenditrice e opportunista. In sintesi, le manovre di conciliazione e il
cosiddetto “patto sociale” che non si sta costruendo con le organizzazioni di base.
- Rigettiamo esplicitamente chi si sta sedendo per negoziare un’“uscita” dal conflitto, mentre le forze repressive, con il pretesto di “ristabilire
l’ordine pubblico”, hanno compiuto assassinii, violazioni, pestaggi, torture e sparizioni con l’obiettivo di frenare la lotta che stiamo facendo nei
nostri territori.
- Chiamiamo a continuare la lotta e la resistenza nelle strade insieme al popolo. E allo stesso tempo proseguire a spingere assemblee popolari. Infine,
invitiamo a partecipare a una seconda Assemblea Autoconvocata il 6 novembre [segue indirizzo]
No all’impunità! Libertà per i prigionieri e le prigioniere politiche.
Sabato 2 novembre 2019
Assemblea Autoconvocata e Popolare della Regione Metropolitana
***
Dalle carceri cilene
Comunicato del compagno Joaquín García Chanks, condannato a 13 anni di carcere, accusato di aver posto, nel novembre del 2015, un ordigno esplosivo
contro una caserma dei carabineros.
Del contesto della Rivolta.
Abbiamo assistito a un fenomeno apparentemente imprevedibile; a partire da una rivendicazione praticamente innocua, migliaia di giovani hanno dato libero
sfogo alla loro stanchezza, affrontando la loro vita quotidiana distruggendo simboli e bandiere, paure, menzogne e, perché no, certe modalità. In questo
piccolo testo non è possibile di tentare di analizzare, forse invano, il motivo di questa situazione; non credo sia necessario classificare i fatti in
termini di superficialità e di slogan rivendicativi o attribuire questa catarsi ad un accumulo di situazioni; a volte è tutto più semplice. Oggi sorrido
felicemente all’esplosione dell’ordine delle cose, alla momentanea rottura dello status quo, all’incendio dei simboli della menzogna e della miseria;
godo del potenziale di questo scoppio. Non dobbiamo ingannarci, sarebbe ingenuo credere che la Rivolta porti con sé i nostri valori o la nostra politica.
Che dopo la festa della catarsi il Contatore delle sofferenze sostenute dall’esistenza raggiungerà lo zero o un inevitabile divenire anarchico; è
necessario godere della realizzazione della Rivolta, della volontà essenziale che mina ogni immobilità, delle fiamme di un divenire momentaneamente
caotico che solo con una combustione costante può sopravvivere e quindi mantenere la sua indomita bellezza. Oggi sorrido per un regalo che nessuno mi ha
dato.
Comunicato del compagno Marcelo Villaroel Sepulveda, prigioniero Libertario.
Che tutto faccia in modo che questo mondo continui a bruciare, che tutta la sua normalità esploda, che la memoria e la resistenza tengano il controllo
della strada”.
Sono felice di rincontrare nel bel fuoco della rivolta il viso di tuttx i miei fratelli e sorelle caduti. Tutti coloro che ho conosciuto e con i quali ho
condiviso istanti di condivisione illegale nel corso dei giorni e degli anni di sovversione e che oggi guardano dall’universo e dalle stelle, con il loro
carico di forza dell’ancestrale newen del mapu, alla trasgressione totale della normalità e pace sociale dei ricchi.
Ugualmente vedo tutt* i/le compagn× che non conosco ma che rispetto per i loro atti e la loro insistenza e che stanno facendo sì che il loro nome rimarrà
tatuato nella recente memoria dell’Insurrezione permanente.
La polizia, i politici, gli ecclesiastici, gli impresari, i borghesi, i nazisti e fascisti, i bastardi e tutta la loro moralità è stata nuovamente
colpita partendo dal giorno 18 ottobre appena trascorso, in maniera incessante come vendetta innegabile dei tanti anni di miseria e sottomissione in un
momento senza precedenti nella storia degli ultimi 30 anni in questo territorio.
Qui lo straripamento e la rottura totale di tutto ciò che rappresenta l’autorità è la pratica che continua da quel venerdì di fuoco in cui, partendo
dall’evasione del pagamento dei biglietti della metro, siamo passati a incendiare e saccheggiare tutto il nostro paese.
Siamo migliaia in tutto il Cile però, chiaramente, con differenti prospettive e motivazioni. L’immensità di questa valanga storica è un fatto ed è, fra i
nostri giorni di prigionia, forse uno dei giorni più felici.
La contraddizione è inevitabile ma reale: incarcerati ma felici perché siamo in strada in qualunque atto di sabotaggio, d’ira, di complotto, di vendetta
e illegalità, vivendo questa esperienza unica che siamo stati capaci di dare alla luce con silenziosi e costanti giorni, mesi, anni di cospirazione
insieme a tuttx coloro che conosciamo, di distinte generazioni e che oggi sappiamo in strada in azione.
Perché non cadremo mai, perché speriamo sempre in quel momento per prolungare la nostra guerra contro il presente, perché mille volte lo abbiamo sognato
e intimamente lo desideriamo follemente: nell’arco di giorni il paese dei poderosi ha iniziato a tremare per la furia incontrollata degli oppressi e
sfruttati che stanno recuperando la loro vita attraverso la dignità che ha iniziato ad essere un sentimento comune, comportamento quotidiano e azione di
moltx.
Ancora una volta la merda del potere ha dovuto mandare in strada i suoi sicari professionisti… no no, no, non è l’Iraq, Haiti o i Balcani: è il Cile
nell’ottobre del 2019.
Ventimila soldati del sanguinario e codardo esercito del Cile e varie forze di polizia (nelle sue due varianti) sono in strada e hanno iniziato
l’inevitabile massacro.
Davanti agli occhi del mondo stanno abusando e violentando donne, torturando, assassinando, provocando incendi e saccheggi al fine di giustificare la
necessità sociale della loro presenza, colpendo e attaccando a bruciapelo sia chi sta lottando sia la popolazione non mobilitata.
E’ l’unica risposta che offrono è quella che dobbiamo contemplare, ricordandoci l’esperienza storica che abbiamo avuto durante la contro insurrezione
quando vestivano il ruolo di garanti dell’ordine e della legge, ultimo risultato della loro putrida patria.
In un modo o nell’altro l’estensione e la radicalizzazione del comportamento della Rivolta sta andando a configurarsi in modi operativi che hanno le
caratteristiche di una vera e propria guerriglia urbana trasversale che ha definiti obiettivi che devono essere colpiti.
E’ in questa esperienza che l’apprendimento sta permettendo sia di incontrare nuove strade e allo stesso tempo va a precisare le nostre croniche
debolezze… è l’opportunità di dare continuità alle pratiche antagoniste di attacco e di farle diventare la normalità del quotidiano, elevando il nostro
sguardo così come le potenzialità della lotta antiautoritaria. Questo momento lo esige; tutta l’esperienza di ieri e di oggi ci serve come arsenale
teorico-pratico per continuare la nostra pratica sovversiva fino a quando tuttx saremo liberx.
Nessuno ha la certezza di quanto durerà questo momento caotico di disordine.
Quasi tutto un paese è ancora sotto stato di emergenza e coprifuoco.
Nel frattempo noi in carcere non siamo più o meno sicuri che in strada. Chiaro è che siamo ostaggi dello stato e del capitale e le nostre vite oggi sono
condizionate da chi ci mantiene imprigionati con i loro stratagemmi giuridici che tendono a perpetrare la nostra prigionia.
Però con forza e molta allegria posso dire di vedermi in ogni barricata, in ogni saccheggio, gridando il nome dei nostrx compagnx cadutx, provocando
incendi, appiccando il kutral (termine mapuche che indica il “fuoco”, ndt) della vendetta, resistendo a attaccando i repressori, recuperando ciò di cui
abbiamo bisogno, stringendo relazioni di complicità con tuttx coloro che non si fermano e arrestano.
Sono tempi di lotta e convinzioni, in cui elevare i nostri livelli per il combattimento prendendo tutte le precauzioni.
Con fermezza e confidenza, con equilibrio e temperamento, con tutta la forza delle nostre convinzioni insurrezionali. Un bel momento per continuare a
proseguire in questo cammino chiamando alla Guerra Sociale.
Secondo comunicato dei sovversivi prigionieri nel carcere di alta sicurezza 31/10/2019.
Sul rinvio a tempo indeterminato del trasferimento e della chiusura del carcere.
Un paio di settimane fa abbiamo dato visibilità alla decisione dello Stato di rinnovare il carcere di alta sicurezza [CAS, “Cárcel de alta seguridad”],
specificando la nostra prospettiva al riguardo. Questa informazione, che ora è pubblica, è variata considerevolmente poiché si sono concretizzate varie
ragioni hanno impedito il trasferimento generale ad altre unità, così il trasferimento è stato rimandato indefinitamente. Insistiamo fermamente sulla
chiamata ad affrontare insieme questo momento di lotta, dentro e fuori le mura, per la distruzione dei confini che impediscono un progresso collettivo.
La nostra volontà è quella di continuare di proseguire a costruire collettivamente le resistenze quotidiane, poiché riteniamo sia urgente e necessario
rafforzare tutte le iniziative che spezzino l’isolamento in questo intenso momento di conflitto [si riferiscono all’ampia rivolta in corso in Cile, ndr].
Abbracciamo coloro che ci accompagnano e tutti coloro che sono solidali, con azioni e parole, nell’organizzazione e nella lotta contro il carcere come
parte ineludibile della lotta contro l’autorità.
Siamo convinti! Libertà per i prigionieri della guerra sociale! Solidarietà e fraternità internazionalista per la distruzione delle carceri! Finché ci
sarà miseria, ci sarà ribellione!
Juan Flores Riquelme, Juan Aliste Vega, Joaquín García Chanks,
Marcelo Villarroel Sepúlveda
Carcere di alta sicurezza Santiago del Cile, 24 ottobre 2019
Riflessioni sul Venezuela (seconda parte)
Questo scritto nasce dal desiderio di fornire un contributo che possa aiutare a comprendere quanto in questi ultimi mesi sta veramente avvenendo in
Venezuela. Inoltre, va sbugiardato l’insopportabile e gigantesco circo di menzogne, invenzioni ed interessate omissioni, che il governo Trump ha
propagato nei media mainstream a livello mondiale e che vediamo tutti i giorni nei nostri giornali e televisioni.
Chi scrive ha vissuto e lavorato laggiù per alcuni anni, non tanto tempo fa, ha da poco visitato il paese e non ha mai creduto che le trasformazioni
strutturali di una società possano avvenire con il voto ma attraverso la lotta e la solidarietà.
Si tratta di introdurre alcune questioni generali riguardanti alcuni fatti ed elementi evidenti, cercando di descrivere il più possibile la realtà
concreta, senza fare difesa di ufficio di una posizione politica in quanto meno peggio o vedendo rivoluzioni dove non ci sono. Questa che segue è la
seconda parte di riflessioni che sono state pubblicate nell’opuscolo n.136 dello scorso giugno.
In questa seconda parte si parlerà di alcuni fattori che hanno favorito l’attuale situazione politica e sociale. Ovviamente verranno fatti emergere solo
alcuni elementi che si ritengono importanti, dato che non è possibile sintetizzare in poche pagine tutto quello di cui si dovrebbe parlare.
Nella prima parte si è mostrato che la situazione sociale attuale in Venezuela è dovuta all’embargo e al sabotaggio degli USA, in un conflitto che vede
l'imperialismo avvicinare le condizioni per un intervento e il governo bolivariano oggettivamente in difficoltà. Il paese lotta contro il caos,
soprattutto negli ultimi anni in cui il potere di acquisto dei salari è quasi nullo e i prodotti sussidiati dallo stato, che potrebbero essere comprati
da quel salario, oggi sono molto meno reperibili rispetto a cinque anni fa. Ma quali sono state le leve usate per sabotare l'economia del Venezuela fino
a questo punto? Sarebbe stato possibile evitare questa situazione?
Nel 1992 Chavez aveva partecipato a un tentativo rivoluzionario di presa del potere con le armi, insieme a un vasto settore dell'esercito e della
sinistra venezuelana. Dopo il fallimento, i conseguenti anni di galera e l'indulto, nel 1998, Chavez si candida, vince le elezioni presidenziali e porta
avanti una fase costituente.
Fin dall'inizio del governo bolivariano, nel gennaio del 1999, l'idea di trasformazione del paese prevede socializzare la rendita statale del petrolio
con le classi povere e un progressivo cambiamento costituzionale basato sulla continua mobilitazione elettorale e la partecipazione popolare in nuove
strutture territoriali dal carattere assembleare. Nella linea politica bolivariana, fin dai suoi esordi del 98/99, non si contempla l'attacco al settore
imprenditoriale e finanziario privato, avendo comunque chiaro che rappresenta l'agente dell'imperialismo in Venezuela. Si mantiene anche una sostanziale
impunità, ad esempio per il ruolo di protagonista svolto dalla borghesia venezuelana nella continua destabilizzazione del paese e nel colpo di stato
contro Chavez nel 2002, riuscito per tre giorni e poi ribaltato, e per cui solo alcuni poliziotti sono finiti in carcere. A quell'epoca il presidente di
Federcamaras (1) era diventato il presidente ad interim del governo del paese con l'immediato riconoscimento da parte degli Usa. Al reinsediamento del
legittimo governo bolivariano non sono seguite le persecuzioni al settore privato di cui i media qui hanno parlato, anzi progressivamente negli anni, il
governo ha iniziato elargire appoggi economici, cercando il suo supporto all'industrializzazione del paese. Come risultato, la borghesia venezuelana,
dopo avere incassato i soldi dal governo, sul fronte esterno, ha fatto denunce internazionali di presunti episodi di mancato rispetto della proprietà
privata (2), mentre su quello interno ha portato avanti il sabotaggio economico e finanziario. In particolare quello che viene sempre attaccato è il
progetto bolivariano di usare i proventi della vendita del petrolio per combattere la povertà. A inizio mandato bolivariano essa è tale che per il
governo diventa più importante dare subito il via alla sua diminuzione, anche cercando l'appoggio degli imprenditori, piuttosto che incamminarsi nella
giusta prospettiva che porti a una sua completa rimozione. Anche in tema di rilancio industriale, si teorizza una “nuova” unità produttiva che riflette
quanto detto fino ad ora sul contraddittorio rapporto tra il governo e la borghesia venezuelana. Essa comprende tre settori: quello privato, quello
pubblico e si vuole costruire un settore nuovo, chiamato delle comuni produttive e di lotta.
Anche se può non sembrare a prima vista, data la complessità e le controversie create dalla propaganda su questi temi, la storia degli ultimi venti anni
in Venezuela si intreccia con molte altre lotte del passato e con alcuni elementi sollevati dalla Comune di Parigi. Dopo l'esperienza dei Comunardi,
infatti, risulta chiaro ad esempio che: "la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla
in moto per i suoi propri fini" (3). Tra le cose da fare, quindi, è sempre stato evidente a tutti che è necessario svuotare e distruggere il vecchio
apparato statale, dotarsi di una nuova concezione della società e costruire le nuove strutture amministrative e produttive basate sulla gestione
popolare. Ancora nel 2014, però, dopo almeno 15 anni di governo, il campo bolivariano lanciava lo slogan “bisogna rendere irreversibile la rivoluzione”
(4).
Un gran contributo di chiarimento sul progetto bolivariano, sul suo stato di avanzamento e sulle difficoltà incontrate fino a quel momento emerge da una
riunione del gabinetto ministeriale avvenuta 7 anni fa, dal carattere critico e autocritico e trascritta in un documento poi chiamato: “Golpe de Timòn”
(5). All'epoca, si parla del 2012, erano già passati due anni dalla creazione della legge organica sulle Comuni in Venezuela e sei anni dalla creazione
dei consigli comunali popolari di quartiere, Chavez afferma: “Stiamo toccando i punti chiave di questo progetto che se non lo capiamo bene e non ce ne
facciamo carico in pieno, magari stiamo facendo anche cose giuste, ma non esattamente quelle che sono necessarie per lasciarci alle spalle, in modo
progressivo e sicuro, il modello di produzione capitalista e crearne uno nuovo” (6). E più avanti continua: “Ora, facciamo autocritica; in varie
occasioni ho insistito su questo, io leggo qua e là (ndt le carte), tutto sembra a posto e ben fatto, non ho dubbi, ma dove sono le comuni? Forse le
comuni sono solo di competenza del Ministero delle Comuni? Dovrei eliminare il Ministero delle Comuni, ci ho pensato varie volte, perché toglierlo?
Perché molti credono che la creazione delle comuni sia solo di competenza del relativo ministero. Stiamo commettendo un errore gravissimo se pensiamo
così. [...]” “L'autocritica serve per correggersi, non per lavorare a vuoto o dire cose senza senso. Serve per agire subito, signori ministri e signore
ministre, andate a prendere la legge delle Comuni, leggetela, studiatela. Molta gente non l'ha letta perché crede che non gli riguarda”. E più avanti:
“Non dobbiamo credere che se inauguriamo fabbriche qui e li, siamo a posto, no assolutamente” (7). Inoltre nel paragrafo, 'Il socialismo non si fa per
decreto', invita all'approfondimento e a orientarsi a cambiare l'essenza delle cose e non solo il loro nome: “A volte pensiamo che cambiare le cose sia
cambiargli di nome; lo trovo sbagliato, inoltre lo trovo sospetto; viale socialista, cosa vuol dire? Cos'ha un viale per essere socialista?” (8).
La necessità di questo dibattito autocritico si deve, oltre a quanto si diceva sulla perdita di 6 punti percentuali nella vittoria alle presidenziali
appena celebrate nell'ottobre 2012, anche a casi eclatanti di crollo dei voti bolivariani in nuovi complessi di residenza popolare creati dal governo:
“Ho chiesto la stessa cosa andando a Caribia e a Belèn, dove sono le comuni? Abbiamo consegnato le case, ma non ci sono le Comuni e neanche lo spirito
della Comune, che è molto più importante in questo momento, la cultura della Comune, mi spiego?” (9). “Non dobbiamo continuare ad inaugurare fabbriche
come fossero 'isole' circondate dal mare del capitalismo, perché altrimenti verrebbero inghiottite dal mare” (10) .
Se nel governo, come si lamenta Chavez, c'è chi non ha approfondito il tema, non lo considera un aspetto centrale, non si è interessato, non ha capito
l'importanza o che implicazioni ha la prospettiva di costruzione di una società comunale, invece, nelle organizzazioni popolari bolivariane, ci sono
coloro i quali lo hanno innanzitutto ispirato, e soprattutto poi, sono gli stessi che si sono subito messi davvero al lavoro per organizzare e costruire
le comuni nei loro territori. Molto di quanto denunciava Chavez in quella riunione, infatti, era il frutto delle segnalazioni di questi compagni con cui
egli ha sempre avuto un rapporto dialettico, critico, autocritico e diretto, non mediato dai suoi ministri o da altri intermediari del governo. Si tratta
in larga parte di organizzazioni preesistenti al governo o magari nuove, ma avviate da soggetti da sempre attivi nei territori: in certi casi hanno
dovuto lottare contro tutti, anche contro molti del governo che, corrotti o collusi con i capitalisti, hanno spesso sabotato la lotta e l'edificazione
della società comunale.
Principalmente queste organizzazioni individuano due problemi che favoriscono il sabotaggio degli imperialisti e frenano le trasformazioni in senso
socialista: uno riguarda il fatto che nella maggior parte dei casi non è stata svuotata e ristrutturata dalle sue fondamenta la macchina statale;
l'altro, che è stato mantenuto praticamente intatto e intaccato il settore imprenditoriale privato. Quest'ultimo continua quindi ad avere una forte
egemonia sull'economia venezuelana, sia nel commercio che nella mentalità capitalista in generale e anche dentro il campo bolivariano. Molte
organizzazioni popolari, le cui riflessioni e pratiche hanno orientato questo scritto, hanno sempre denunciato che se si vuole passare da un paradigma
commerciale o speculativo, a uno produttivo, bisogna scontrarsi con la borghesia invece che sovvenzionarla, altrimenti essa continuerà condizionare la
“cosa” economica nel paese, mantenendola ancorata alla cultura capitalista, che fa si, ad esempio, che si generalizzi nel paese la tendenza ad accumulare
e a commerciare in nero i prodotti del governo. Da oramai oltre 10 anni, se si attraversa il confine e si va in Colombia, si può trovare li tutta la
gamma di prodotti sovvenzionati e distribuiti dallo stato venezuelano, beni di consumo che magari si fa invece molta fatica trovare a Caracas.
La macchina amministrativa statale ha largamente mantenuto il carattere corrotto voluto dall'imperialismo dei governi anteriori a quelli bolivariani: al
non fare un repulisti generale, non è possibile costruire un solido e nuovo soggetto produttivo, popolare e generalizzare la cultura della Comune in
Venezuela (11). Con una situazione amministrativa simile, il capitale privato e straniero ha trovato terreno facile per sabotare in ogni modo, a partire
dalla creazione di una economia parallela legata al dollaro che si è “mangiata” quella dello stato. Poi sono arrivati anche quattro anni di sanzioni, che
progressivamente hanno fatto giungere il Venezuela a condizioni che Trump vuole sfruttare ora per un intervento imperialista. Va detto che comunque fino
a maggio 2019, i vari tentativi golpisti che sono esplosi a partire dal gennaio di quest'anno, non hanno portato sostanzialmente ancora a nulla.
In questi ultimi anni, le sanzioni e il conseguente potere di acquisto dei salari pari a zero, hanno creato una situazione in cui molti compagni di
organizzazioni sociali e popolari devono fare vari lavori per vivere e si riduce il tempo che si può dedicare alla militanza, anche se poi, in questi
ultimi mesi, con l'escalation di guerra, vi è stata una rifioritura della partecipazione popolare accompagnata da una ovvia radicalizzazione anche nelle
file del governo.
In questo scritto si è parlato di Venezuela e di USA, in realtà, quanto sta avvenendo, non è uno scontro tra nazioni o tra gruppi di esse, come qualcuno
a queste latitudini vorrebbe far pensare. Si tratta di qualcosa che va oltre e coinvolge la regione dal punto di vista delle soggettività in lotta. Oltre
ad averlo ripetuto Chavez e Maduro varie volte, lo testimonia, tra gli altri, l'intervento del compagno colombiano Edgar Moreno (12) di qualche mese fa:
“Bisogna incentivare il lavoro binazionale nelle zone chiamate di frontiera, tra i popoli del Venezuela, della Colombia e del Brasile; inoltre bisogna
ricordare il successo che può portare la combinazione di tutte le forme di lotta, da usare nel momento e quando le circostanze lo richiedano. Come
F.a.r.c. (ndt Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) metteranno tutta la nostra esperienza di lotta a disposizione della difesa della Rivoluzione
Bolivariana.” Parole insieme a molte altre, che prefigurano una solidarietà con il Venezuela che si orienta a infiammare di lotta i territori circostanti
perché sono quelli in cui l'imperialismo staziona e da cui si proietta militarmente.
Note:
1) Federcamaras è la Confindustria venezuelana ed è uno dei covi del golpismo in Venezuela.
2) I media invece affermano che Chavez/Maduro nazionalizzano espropriando e non si rispetterebbe la proprietà privata, ma non è vero: ad esempio sono
state veramente poche le proprietà veramente nazionalizzate senza lauto indennizzo da parte dello stato, mentre qui sui giornali scrivevano che lo stato
avrebbe tolto i beni ai legittimi proprietari.
3) Marx-F. Engels, Manifesto del Partito comunista, prefazione all'edizione tedesca del 1872
4) La frase è del 15 di Settembre 2014 ed è di Robert Serra, giovane deputato socialista bolivariano che pochi giorni dopo verrà assassinato a Caracas a
casa sua da un commando di paramilitari colombiani.
5) “Golpe de Timòn”, colpo di timone, virata, si trova in lingua spagnola sui principali siti web del governo bolivariano. E' la trascrizione di una
riunione, avvenuta in Ottobre 2012, in cui Chavez si rivolge ai suoi ministri solo qualche giorno dopo vittoria bolivariana alle presidenziali, in cui
però sono stati persi 6 punti percentuali rispetto alla tornata precedente.
6) “Golpe de Timòn” pagina 13.
7) “Golpe de Timòn” pagina 17.
8) “Golpe de Timòn” pagina 25
9) “Golpe de Timòn” pagina 18.
10) “Golpe de Timòn” pagina 27.
11) “13 Passi per uscire dal labirinto”, documento citato nella prima parte di questo scritto e intercettato dai servizi di intelligenza bolivariana che
contiene il piano di un colpo di stato contro Chavez, poi fallito, previsto per il 2007 e 2008. In questo documento gli Usa dicono che bisogna sfruttare
e generalizzare la corruzione nelle file del governo.
12) Compagno colombiano del partito (legale) delle Farc intervenuto all' Asamblea Internacional de los Pueblos in solidaridad con Venezuela svoltasi sul
finire del Febbraio del 2019 a Caracas.