indice n.125
Siria: contro l'IS o contro il regime di Assad?
La resistenza a Nusaybin contro l'esercito turco
JOINT STARS 2017
dalle lotte contro i campi di internamento ed espulsione
Egitto: È questa la vita che ci tocca?!
Lettera dal carcere di napoli-poggioreale
Lettera dal carcere di Milano-Opera
Lettera dal carcere di Agrigento
Lettera dal carcere di Ivrea
Lettera dal carcere di Roma-Rebibbia
Lettere dal carcere le Vallette (to)
Lettera dal carcere di Ferrara
Lettera dal carcere di Velletri (rm)
sul Presidio attorno a S. Vittore del 17 giugno
Lettera di Mauro da Lucca, in libertà…
16 Giugno: 24 ore di sciopero
Sciopero generale in Brasile: Paese bloccato contro Temer
Siria: contro l'IS o contro il regime di Assad?
La “Coalizione internazionale anti-IS” guidata dagli USA nei giorni scorsi ha abbattuto un caccia dell'aviazione siriana (delle forze armate di Assad); l'abbattimento - viene affermato in una dichiarazione ufficiale della “Coalizione” - è stato necessario al fine di “dare sicurezza”.
Secondo indicazioni del quartier generale delle forze armate di Assad, il caccia, il cui pilota vien dato “disperso”, è stato abbattuto mentre conduceva un bombardamento delle posizioni dell'IS a sud di Rakka. L'abbattimento mostra l'esistenza effettiva del “coordinamento fra USA e IS impegnato a impedire all'esercito siriano (di Assad) “di esercitare il proprio legittimo diritto di combattere il terrorismo in tutta la Siria”.
Probabilmente il caccia siriano ha compiuto il bombardamento in un territorio poco distante dalle posizioni delle “Forze Democratiche Siriane” (SDK, componente della “Coalizione”). Il caccia siriano è stato abbattuto da un aereo USA 18E Super Hornet. Gli accordi stabiliti prevedono in simili casi di contattare la Russia “per evitare conflitti”; inoltre non assegnano agli USA il compito di attaccare il “regime siriano”, i suoi alleati e quindi la Russia, ma piuttosto prevedono di difendere chi combatte l'IS.
Il ministro degli esteri della Russia, Sergej Lawrow, nel condannare l'abbattimento del caccia siriano afferma che “gli USA e ogni altra forza che in Siria combatte l'IS, devono coordinare - attraverso la Russia - i propri attacchi con il governo di Assad. In tal modo viene rispettata la sovranità della Siria, ribadita nella Risoluzione 2254 dell'ONU.” Ma la “Coalizione” non rispetta gli accordi ONU, lo ha dimostrato nei giorni scorsi con l'installazione di rampe lanciamissili nel trilatero orientale in cui si toccano i confini di Siria, Irak e Giordania. Le rampe sono state trasportate dalla Giordania a Al Tanf, in territorio siriano, dove in una base viene armata e addestrata da USA, Inghilterra e Giordania una nuova milizia chiamata Maghawir al-Thawra.
Come già accade a Rakka con l'SDK e le unità di difesa popolare kurde YPG/YPJ, anche la nuova milizia – coordinata alla Coalizione guidata dagli USA – deve combattere l'IS. Scopo però sempre meno chiaro perché gli USA avrebbero pattuito con l'IS l'abbandono di Rakka a favore dell'SDK e di trasferirsi (sempre l'IS) in altri territori siriani. Decisioni criticate dalla Russia che all'inizio di giugno ha anche lanciato missili da crociera su un convoglio militare in uscita da Rakka.
Nelle stesse settimane gli USA hanno ripetutamente bombardato, fino a distruggerlo, l'acquedotto che fornisce l'acqua a Rakka; città da dove, secondo dati ONU, sono fuggite oltre 100mila persone. In questi bombardamenti sarebbero state lanciate bombe cariche di fosforo bianco; materiale in contrasto con la convenzione di Ginevra che ne vieta l'impiego nei territori abitati.
La Russia esorta gli USA a dare sostegno alla riduzione dell'intervento militare nei territori siriani. Michail Bogdanow, ministro degli esteri della Russia di recente si è detto fiducioso sui negoziati condotti dall'ONU riguardanti la Siria, che riprenderanno il 4 e 5 luglio a Astana (capitale del Kazakistan) per proseguire subito dopo a Ginevra.
20 giugno 2017, da jungewelt.de
La resistenza a Nusaybin contro l'esercito turco
In Nusaybin la popolazione kurda è divisa dal confine turco-siriano segnato da baluardi fortificati e sorvegliati eretti dalla Turchia negli ultimi anni per la “sicurezza di fronte al terrorismo”. La verità è che l'erezione lungo i 900 km di confine delle fortificazioni hanno soltanto uno scopo: impedire di riunirsi alla polazione kurda che abita nei territori accaparrati da Turchia e Siria.
Nusaybin da l'anno scorso è avvolta dalla guerra. Ankara, a cominciare dall'autunno 2015 annunciò di non attenersi al processo di pace stabilito con il PKK nel 2013. Da quel momento in tutte le città kurde che si trovano lungo quel confine, compresa Nusaybin, militanti del PKK, attivisti del movimento di liberazione kurdo di ogni sesso e età presero ad armarsi per difendere i loro quartieri dagli attacchi, all'inizio della polizia, in seguito dell'esercito.
La battaglia mancava e manca di ogni corrispondenza, poiché da una parte c'erano le neonate Unità Civili del movimento kurde (Yekineyen Parastina Sivil, YPS), dall'altra la NATO – un esercito dotato delle armi più moderne, di una logistica immensa e di un numero di soldati infinito. La gioventù di Nusaybin in quel momento poteva contare su di una formazione militare e ideologica generica. Le/i giovani cresciuti nell'ambito dell'influenza del PKK, radicato nella società, sono allora come oggi la forza della sollevazione popolare del Kurdistan. Così, chi osava portare in strada la protesta rischiava l'immediata uccisione. In quei primi mesi vennero uccisi centinaia di civili, migliaia vennero cacciati a forza dalle loro abitazioni.
Per addestrare e sostenere la gioventù si trasferirono dalle montagne nelle città decine di quadri del PKK. Quel che segue è un racconto di uno di loro, Hogir Tolhidan. Lui è stato fra coloro che hanno combattuto fino alle ultime battaglie. In una di queste ha perso una gamba. Oggi vive in una città dell'Irak per sfuggire alla caccia degli sbirri turchi. Di seguito il suo pensiero.
Oggi consideriamo che le battaglie nelle città di confine come Nusaybin, Cizre, Amed… sono importanti quanto la resistenza nelle carceri portata avanti negli anni '80 dalla generazione fondatrice del PKK. Entrambe sono avvenute nel momento in cui il nemico, conduceva un attacco duro per spezzare il PKK. Con la loro resistenza all'inizio degli anni '80 contro la tortura nel carcere di Amed, compagni come Mazlum Dogan e Kemal Pir respinsero il tentativo dello stato di distruggerci. La differenza fra ieri e oggi sta nella composizione della resistenza. Allora c'erano quadri dirigenti del PKK che si posero contro l'arbitrio dello stato. La guerra nelle città di Nusaybin è invece direttamente condotta dalla la popolazione. In queste guerre Ankara segue una strategia di lunga durata.
Dopo l'offensiva della guerriglia [a Semzinan, città dove nel 1984 era comparsa per la prima volta la guerriglia, ndr] nel 2012 e le grosse resistenze civili del movimento kurdo, il governo turco fu costretto ad accettare nel 2013 negoziati di pace con l'intermediazione di Abdullah Ocalan fondatore del PKK in carcere [arrestato dai servizi segreti turchi in Kenya nel febbraio 1999 dopo essere stato espulso dall'Italia, ndr].
Quando nel 2015 lo stato turco abbandonò i negoziati di pace e dette inizio agli attacchi mortali contro l'HDP, Partito del Movimento kurdo attestato sulla via di lotta legale, il PKK avviò contatti con quel Movimento sul come affrontare la situazione. Ci era chiaro che nei villaggi e nelle città del Kurdistan diviso fra dal confine turco-siriano, dovevamo iniziare a predisporci all'autodifesa per affrontare la guerra. Cominciammo a costruire barricate per impedire ogni azione ai carri armati, imparammo ad affrontare i bombardamenti.
La battaglia più grossa iniziò il 13 marzo 2016. Il nemico si fece avanti con lunghe colonne di soldati (15.000) coperti dai carri armati, dagli elicotteri. Decidemmo di affrontare apertamente la battaglia. Mettemmo in campo le bombe anticarro, costruite da noi stessi. Disponevamo dei mitra-fucili kalaschnikow. I soldati turchi usavano i lanciafiamme per entrare nelle case e abbatterle.
All'inizio, a Nusaybin, ci difendevamo con il sabotaggio rivolto ai gruppi di soldati in strada. Per muoverci scavammo tunnel. Dopo un mese l'esercito turco fu costretto a mutare tattica. Si ritirò dalla città e iniziò ad impiegare da lontano armi pesanti, artiglieria, carri armati; di tanto in tanto comparivano unità speciali.
Nei 72 giorni di battaglia l'esercito turco perse circa 600 soldati e poliziotti. Lo stato, semplicemente, non riuscì ad espugnare le posizioni dei compagni; il tentativo di sollevare il morale delle sue truppe finì in nulla. Il numero dei soldati caduti ne distrusse la psicologia, il numero dei suicidi cresceva. Media turchi pubblicavano lettere dei soldati inviati a Nusaybin in cui era scomparsa ogni capacità di reagire.
Noi, l'YPS, ci eravamo organizzati in gruppi composti da tre combattenti che dovevano: fare la guardia, organizzare la logistica, fornire l'acqua potabile, scavare tunnel, provvedere i medicinali. I problemi venivano risolti con la creatività e in maniera collettiva. Non era necessario soltanto chiarire in qualche modo la situazione, ma piuttosto rovesciarla, tramutarla in vittoria. Senza un'elevata motivazione morale non si riesce ad affrontare una simile situazione. Si era creata un'atmosfera tale che, nonostante le morti di tante persone amiche, la carenza di cibo, acqua, medicinali non pareva neppure di essere in guerra. All'interno del PKK si era creata un'atmosfera di valore centrale 'hewalti', cioè di amicizia: nell'essenziale la coscienza dell'autosacrificio, della vita in comune che caratterizza oggi la guerriglia.
Ancora una volta la sorte generale dell'organizzazione venne impegnata nella rivoluzione e per dare sicurezza alla popolazione. L'amicizia che si era sviluppata fra le/i combattenti era più forte di ogni sforzo. La fatica, i ferimenti, lo sfinimento vennero superati proprio con l'amicizia. C'era la corsa per prendere in strada le posizioni più pericolose. Se si vuol comprendere l'essenziale del PKK si deve capire la cultura dell'autosacrificio. Possiamo collocare la resistenza a Nusaybin sulla linea tracciata dalla Comune di Parigi e dalla battaglia di Stalingrado. Noi siamo coloro che hanno combattuto a Stalingrado, nella Comune di Parigi, noi abbiamo difeso Kobane. Siamo rivoluzionari con questa eredità.
Il 26 maggio 2016 le YPS si ritirarono da Nusaybin. Il risultato importante consiste nel fatto che la resistenza ha vinto sebbene le forze che agivano in nome dello stato turco disponessero di ogni possibile tecnica, persino dei caccia. Date queste condizioni di distruzione spietata seguita dalle forze dello stato in tutte le città e villaggi nel sud-est della Turchia, per noi divenne necessario cambiare posizione. Il braccio armato del PKK, le forze di di difesa popolari (Hezen Parastina Gel, HPG), nel corso del 2016 portò avanti un'offensiva in cui furono uccisi 1.736 soldati turchi, fra i quali 21 alti ufficiali.
L'incapacità dello stato turco di colpire decisamente il movimento kurdo ha la sua causa anche nella capacità invece di mutamento della direzione della guerriglia, la cui tattica è come negli scacchi. Con 16 figure si possono adottare migliaia di mosse. Nella musica ci sono soltanto otto (sette) note, ma si possono scrivere centinaia di melodie. Lo stile della guerriglia è uguale. Quanti possono essere i colpi subiti, la guerriglia troverà sempre una via per replicare e per portare avanti le proprie azioni.
L'11 aprile 2017 ad Amed la guerriglia scavò da un cantiere un tunnel lungo 90 metri per portarsi sotto il quartier generale della polizia dove fece esplodere due tonnellate di esplosivo. Le morti fra le forze di sicurezza turche furono 83 e numerosi carri armati vennero distrutti.
20 giugno 2017, da jungewelt.de
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Amburgo: militante del PKK condannato come 'terrorista'
Nel processo davanti alla corte d'appello di Amburgo Zeki Eroglu viene accusato dal procuratore di essere stato dal marzo 2013 all'agosto 2014 quadro dirigente del PKK in Germania; per questo Eroglu venne estradato il 6 luglio 2016 dalla Svezia. I suoi avvocati fanno notare ai giudici che i kurdi in Turchia si trovano di fronte a un ultradecennale status di persecuzione e privazione dei diritti, che non hanno nessuna possibilità giuridica e legale a cui aggrapparsi. Questa situazione giustifica la resistenza militare esercitata anche dal PKK.
Nel processo che sta per concludersi l'accusa si fonda sull'art. 129 b) del codice penale che condanna la “Formazione di associazione criminale, terrorista, all'estero”. Un articolo che colpisce anche il PKK.
Nelle udienze precedenti la difesa, assieme alle dichiarazioni di Erzoglu, ha avanzato molteplici domande rispetto al fatto che in Turchia le violazioni dei diritti umani contro i kurdi sono all'ordine del giorno e che il governo Erdogan adotta regolarmente crimini di guerra per perseguire e criminalizzare le numerose organizzazioni kurde.
Nel 2011 il ministero della Difesa dell'RFT aveva deciso di introdurre il paragrafo b) considerando quindi “terrorista” il PKK. Da allora sono stati arrestati 14 quadri dirigenti del PKK, 8 dei quali sono già stati condannati a parecchi anni di carcere, benché, come Eroglu, non fossero accusati di nessun specifico reato.
Nelle 14 udienze precedenti la difesa è intervenuta sulle violazioni dei diritti umani compiute in Turchia dall'esercito, dalla polizia contro la popolazione come anche contro il PKK. In proposito è stato anche ascoltato Michael Brune, psicologo e riconosciuto esperto internazionale riguardo al trattamento traumatico, che ha tratteggiato le conseguenze nella conduzione della guerra psicologica e dei massacri regolarmente compiuti nelle province kurde della Turchia.
Sempre su richiesta della difesa è stata ascoltata una testimonianza su quanto avvenne nella città di Cizre (sud-est della Turchia, come a Sirnak, Nusaybin, Diyaarbakir) dove nel febbraio 2016 l'esercito turco uccise, nelle maniere più sanguinarie, oltre 100 civili, compresi i bambini. Sterminio al quale il popolo colpito ha risposto nell'aprile di quest'anno facendo esplodere delle bombe in un tunnel scavato sotto una caserma di polizia a Diyarbakir, città prossima a Cizre.
27 giugno 2017, da jungewelt.de
JOINT STARS 2017
“Il maggior evento addestrativo dell’anno per la Difesa”: così viene definita la maxi esercitazione militare Joint Star 2017.
Come si legge dal sito della difesa, la JS17, che è organizzata dal Comando Operativo di vertice Interforze (COI), sarà costituita da una rete di esercitazioni che saranno condotte tra giugno e ottobre in varie parti del territorio dello Stato italiano e saranno basate su un’operazione interforze e multinazionale di risposta ad una situazione di crisi condotta sotto guida italiana.
La JS17 si articolerà in due parti principali: la prima sarà costituita dalla Virtual Flag 2017 (vf17), che si svolgerà dal 10 al 15 giugno e sarà un’esercitazione che, grazie all’utilizzo di sistemi di simulazione di alta tecnologia, consente di addestrare il personale alla pianificazione e alla conduzione di operazioni aeree senza l’impiego di velivoli; la seconda parte, in programma tra settembre e ottobre 2017, sarà costituita dalla combinazione di varie esercitazioni prevalentemente di tipo “LIVEX”, cioè con impiego di assetti reali.
La VF17 è organizzata dall’Aeronautica Militare e vede anche la partecipazione di personale e assetti del COI, dell’Esercito Italiano e della Marina Militare. Essa si svolgerà principalmente all’interno di una struttura campale esistente presso il Comando Operazioni Aeree di Poggio Renatico (Ferrara), alla quale saranno connessi diversi Reparti operativi delle Forze Armate partecipanti.
L’esercitazione rappresenta un’importante tappa del processo di consolidamento della capacità della Difesa italiana di gestire un Comando di componente aerea (Italian Joint Force Air Component – ITA JFAC) in grado di pianificare, coordinare e controllare tutti gli aspetti di una campagna aerea. In questa edizione, l’ITA JFAC si addestrerà a ricoprire il ruolo di Joint Task Force, cioè il Comando interforze che coordina tutte le forze militari nel caso di un’operazione a prevalente connotazione aerea.
Due le principali novità della VF17. In primo luogo, l’esercitazione includerà anche un addestramento sul Comando e Controllo nel campo della difesa missilistica (Theatre Ballistic Missile Defense – TBMD), con il rischieramento a livello tattico di comandi e unità operative delle tre Forze Armate: un sistema missilistico SAMP/T dell’Esercito Italiano, un’unità navale classe Orizzonte/FREMM della Marina Militare (o, in alternativa, il Centro Campione di MARICENPROG) e un sensore radar AN/TPS-77 dell’Aeronautica Militare. In secondo luogo, saranno anche previste minacce cyber, cioè attacchi rivolti alla rete informatica utilizzata per condurre le operazioni militari.
E in Sardegna?
La Joint Star 2017 è stata spiegata da Pietro Lo Giudice, colonnello del Comando operativo interforze, alla commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito, lo scorso marzo: “Le unità terrestri condurranno attività presso le aree addestrative della Sardegna, quindi mi riferisco a Capo Teulada. Invece, per quanto riguarda le forze aeronautiche, si schiereranno presso le Main Operating Base, che sono quelle di Trapani e di Decimomannu. Per quanto riguarda le unità navali, saranno impegnati il canale di Sicilia e il canale di Sardegna. Queste sono le aree che si stanno identificando per lo svolgimento di questa esercitazione”. Ancora tanti gli aspetti da organizzare, spiega l’ufficiale.
Dal calendario del Comipa, la Joint Star, si terrà da 14 al 29 ottobre. Nel frattempo, sempre a Teulada, andrà in scena anche Mare Aperto, prevista tra il 16 e il 27 dello stesso mese. A Teulada la brigata di manovra si eserciterà anche d’estate, ma solo con munizionamento a salve. Il resto dell’autunno-inverno 2017, fino a dicembre si eserciteranno anche l’Aeronautica e la Marina.
CAPO FRASCA E QUIRRA. Nel poligono del Sinis il calendario è tutto rosso per tre mesi: significa che si terranno esercitazioni a fuoco.
Perdas-poligono a terra – verrà coinvolto nella guerra elettronica Ramstein Guard 6 dal 16 al 30 ottobre.
A novembre e dicembre i piloti si eserciteranno sugli innovatiti aerei di Leonardo, gli M346 FA.
A mare a dicembre verrà testato il sistema missilistico Teseo Msk2 e ancora la società Leonardo testerà il sistema di lancio Mirach 100/5.
JENTI ATTRINZEDDIVVI!!
NESSUNA PACE PER CHI VIVE DI GUERRA!!
giugno 2017, da sidealibera.noblogs.org
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Cagliari 2 giugno 2017: corteo contro l'occupazione militare dell'isola nella giornata della festa delle forze armate
“A foras sa nato e sa gherra dae sa Sardigna e dae su mundu” (fuori la nato e la guerra dalla Sardegna e dal mondo), con quest’augurio cinquecento persone sono partite da Marina Piccola, spiaggia del Poetto dirette verso il centro cittadino. Gli striscioni innalzati “Stop alle esercitazioni militari - Chiusura di tutti i poligoni – Bonifiche” , “CASERME E POLIGONI NON SONO MONUMENTI – IL NOSTRO PATRIMONIO: TERRE E CITTA' LIBERE DAI MILITARI” hanno chiarito una volta di più lo scopo della manifestazione.
Non è più solo una speranza, non è più solo uno slogan, da un anno ormai è qualcosa di più. Ce ne siamo accorti stamattina quando i cancelli della caserma Monfenera dove è di stanza la Brigata Sassari, sono rimasti chiusi, con i militari immobili dietro le sbarre a fissare il corteo che proprio il due giugno ha deciso di “rovinare” la festa della Repubblica.
Da viale Poetto a piazza dei Centomila, punto di arrivo della manifestazione odierna contro l'occupazione militare nella giornata delle forze armate, lo scenario non è tanto diverso da quello di un poligono: metri di filo spinato e il solito cartello giallo del “Limite Invalicabile”.
Fuori dai poligoni come oggi fuori dalle zone militari del capoluogo sardo, c'eravamo con i colori e le voci dei vari interventi che si sono susseguiti durante tutto il tragitto, dal mondo del lavoro a quello della scuola. È sfilato così il corteo tra le caserme e le immancabili camionette, che non sono state risparmiate neanche in una giornata d’estate. Se ne saranno accorti anche loro, da un anno a questa parte un sassolino sta inceppando la macchina militare e cresce a vista d’occhio: si tratta del movimento popolare contro l'occupazione militare della Sardegna.
giugno 2017, liberamente tratto da infoaut.org
dalle lotte contro i campi di internamento ed espulsione
CARA di Bari e Mineo: proteste, blocchi stradali e repressione
Lo scorso 26 giugno una forte protesta ha avuto luogo nel CARA di Bari contro i continui controlli all’ingresso e all’interno della struttura: tre persone sono state arrestate, processate per direttissima e condannate a 4 mesi ciascuno, con pena sospesa. Due giorni dopo la polizia ha impedito l’ingresso nel CARA a un’altra persona, che ha cercato di opporsi. È stata “sedata, trasportata in ospedale e denunciata per lesioni, minacce e danneggiamento dell’auto della Polizia”.
Il 27 giugno alcune centinaia di persone sono uscite dal CARA di Mineo e hanno bloccato per ore la strada statale che collega Catania a Gela. Sono 3000 le persone ammassate nella struttura nota per i numerosi scandali e truffe degli enti gestori, molte aspettano da due anni e più una risposta positiva alle loro richieste d’asilo. Nei giorni precedenti era entrato in vigore un nuovo regolamento che impediva alle persone di cucinare nel centro e vietava le piccole botteghe dove è possibile approvvigionarsi dei beni di prima necessità. La rabbia e la protesta delle persone migranti è stata motivata da quest’ultimo provvedimento, oltre che dalle disastrose condizioni di vita nel centro e dal problema dei dinieghi e dei documenti.
Torino: Fuori e dentro le mura del CPR di Corso Brunelleschi
Tagli sul corpo e tentativi di impiccagione. Ad alcuni in queste settimane sembra l’unico modo per riuscire a farsi ascoltare nel Cpr torinese. L’aspettativa viene piuttosto delusa quando, non di rado, con qualcuno appeso al cappio, il lavorante di Gepsa si volta dall’altra parte con un annoiato “fa finta“. Sono i reclusi a salvarsi la pelle tra di loro, a loro il compito di capire come giocarsi le strade per la libertà nella consapevolezza generale che è meglio che giocarsi la vita.
Certo, questo caldo e le condizioni detentive non assicurano la miglior prontezza di spirito, ci si aggiungono poi anche i continui pestaggi delle forze dell’ordine. Un racconto tra i tanti: qualche giorno fa un ragazzo tunisino è stato picchiato da diversi agenti dopo che, avendo ricevuto l’ennesimo diniego a una richiesta fatta ai gestori del centro, chiedeva spiegazioni. “La polizia gli ha detto: vieni a vedere. E lui è caduto nella trappola“. “L’hanno massacrato di botte”, dice chi ha visto. “Chiusi qui dentro senza motivo le persone stanno impazzendo. Tanti motivi. Solo quando sei in una stanza buia con loro capisci le cose. Due volte a settimana, tre, dipende, ci sono pestaggi. Tutti i giorni litighiamo per il cibo. Verso 8,30-9 di sera litighiamo sempre con loro. Ora ci danno sempre solo pane olio, una coscia di pollo, basta. Una zuppa da schifo. Così non puoi andare avanti.”
Ed è la sbobba servita quotidianamente come pasto a suggerire un’azione un po’ più collettiva, come quella di alcuni ragazzi dell’area blu che da giorni fanno casino contro gli operatori che consegnano i pasti, in molti buttano il cibo per terra. Il cibo scaduto, dentro sovente vengono trovati insetti e anche se qualche volta non è deteriorato, è comunque immangiabile.
Il 25 giugno una quarantina di nemici delle espulsioni si sono presentati in corso Brunelleschi per cercare di portare ai detenuti un po’ di sostegno, per parlare dentro con il microfono e per mettere un po’ di musica in grado di superare le alte mura. I ragazzi dentro hanno risposto con molta energia, si sentivano tante voci inneggiare alla libertà. Dopo qualche anno i numeri sono infatti tornati a salire notevolmente, pare che le persone rinchiuse siano ora circa 170 e potrebbero crescere ancora quando finiranno i lavori di ristrutturazione dell’area rossa e di alcune camere di quella bianca. In molti per la mancanza di spazio dormono fuori.
Durante il presidio arriva una chiamata da dentro che viene subito trasmessa e così dalle casse una voce esprime tutto il suo desiderio di libertà e invoglia anche i presenti a intonare cori più rabbiosi. All’improvviso due grossi botti si sentono scoppiare poco lontano e la polizia in forze schierata davanti alla struttura si allarma e si avvicina ai presidianti, i celerini mettono i caschi, il capo-piazza la fascia tricolore e sembra pronta la carica con la Digos che riprende diligentemente la scena. Negli ultimi giorni devono cercare di essere puliti nelle procedure di manganello, un po’ di attenzione si è sollevata su di loro e per aprire teste devono seguire l’iter. Alla fine nonostante la presenza minacciosa non si muovono.
Da dentro ci fanno sapere che due cordoni in antisommossa sono arrivati a controllare anche i detenuti, ci rimarranno ancora qualche ora a tener gli animi a bada con l’idrante. Dalla questura un pensiero d’estate per rinfrescare gli animi, probabilmente.
Roma, 29 Giugno: Iniziativa contro Daspo Urbano e retate
Le nuove leggi sull’immigrazione clandestina e sulla sicurezza urbana (Minniti-Orlando) proseguono nella direzione della guerra alle\ai povere\i, concentrando la repressione contro chi vive di piccola criminalità, e spingendo nelle periferie chi vive di espedienti. Dall’entrata in vigore di queste leggi sembra aumentato il numero delle retate e la loro violenza, basti pensare all’omicidio di Maguette, venditore ambulante senegalese ucciso dai vigili urbani durante un controllo qui a Roma, o ai pestaggi avvenuti a Torino da parte della polizia; all’aumento delle espulsioni di persone senza documenti, ai progetti di costruzione di nuovi centri di detenzione per migranti, all’introduzione del Daspo Urbano, a rinforzare le misure già in uso come il foglio di via, i decreti penali di condanna ecc., all’incremento di militari e forze dell’ordine nei quartieri e nelle strade.
I media fomentano la paura del diverso suggerendo che la causa dell’assenza di lavoro, della violenza sulle donne e nelle strade sia la presenza di persone migranti e\o povere, in genere di chiunque viva ai margini della legalità o chi si ribella. Sponsorizzando inoltre le applicazioni per “segnalare” (infamare) le persone che non seguono le regole. Garantendo che nessuno agisca contro ciò che non gli piace, ma che si limiti a delegare agli sbirri la propria sicurezza. Omettendo che sono spesso gli sbirri a pestare, stuprare e uccidere nelle strade.
I proclami sul “degrado” insistono a indicare chi non resta chiuso in casa (perché non ne ha una o perché non vuole) o beve fuori da un bar come qualcosa di brutto e indecoroso. Vorrebbero farci sembrare chi scrive su un muro o chi vende per strada più pericoloso di chi con una divisa gira ogni giorno con una pistola ed è giustificato a usarla.
Ci vogliono convincere infatti che le nostre difficoltà economiche e sociali siano provocate da chi vive ai margini, sex workers, venditori ambulanti abusivi, writers, chi chiede l’elemosina o lavora illegalmente per sopravvivere, chi non si adegua alla “normalità” o chi lotta contro questo sistema infame che arricchisce solo i ricchi e affossa sempre di più chi stenta a sopravvivere.
L’arrivo dell’estate verrà accompagnato dal solito proliferare di ordinanze anti-alcool, anti-vetro e anti-bivacco, volte a impedire a chi non è seduto nel dehor di un bar o ristorante (quindi chi non spende soldi in un localino) di stare in strada e vivere i quartieri.
Centocelle ha visto l’apertura di tantissimi nuovi locali e fast-food che, insieme all’arrivo della metro C, ha determinato un aumento degli affitti e del costo della vita, dipingendo come inaccettabile l’abusivismo e la morosità, con il conseguente incremento delle persone sfrattate dalla proprie case e cacciate dal quartiere perché non potevano più permettersi di pagare, e l’arrivo dei militari nelle piazze.
Questo invece è per noi inaccettabile. Inaccettabile è la polizia che ogni giorno invade i quartieri in cui viviamo a caccia di persone da sbattere in galera; inaccettabile è il razzismo di stato che ogni giorno perseguita i venditori ambulanti stranieri e le comunità rom, cercando chi non ha i documenti giusti per rinchiuderlo in un lager; inaccettabile è non poter vivere e incontrarci tranquillamente nelle strade perché ogni giorno c’è una nuova regola che ci impedisce di mangiare, bere e divertirci in piazza.
Vogliamo riprenderci la libertà di organizzarci contro i nostri nemici e vivere la vita che desideriamo.
Non vogliamo che Centocelle diventi un altro dei quartieri di Roma con le strade piene di guardie che difendono i ricchi, chi consuma i territori, chi specula e sfrutta.
Per questo abbiamo deciso di occupare piazza dei Mirti, stare in strada tutte e tutti insieme contro questo sistema, le leggi e la polizia che ci vorrebbero chiudere a chiave in casa ognuna nella sua solitudine.
Fuori fascisti, sessisti, razzisti e guardie dai nostri quartieri!
Egitto: È questa la vita che ci tocca?!
Una compagna scrive: “Questa è la vita che ci tocca da ora in poi? Carceri, notizie di arresti di amici e colleghi, condanne a morte ogni settimana, sparizioni forzate e torture?
Anche quando cerchiamo di allontanarci, anche quando cerchiamo di ignorare tutto quello che accade e ci concentriamo sulla nostra vita privata vengono da te per trascinarti di nuovo in un incubo. È questa la nostra vita da ora in poi? Gli ultimi anni dei nostri venti anni gli abbiamo passatx da un tribunale a un commissariato, e dalle carceri, all’obitorio.
Anche l’inizio dei nostri trent’anni stanno passando dai commissariati alle prigioni, ai tribunali e i labirinti legali e le notizie che spezzano gli animi, i cuori e i sogni.
E poi? Qual è la fine di tutto questo?”
È questa l’aria che tira al Cairo dopo l’ennesima brutale ondata di repressione messa in atto dal regime. La scusa formale è stata la ratifica del parlamento (contro il parere del Consiglio di Stato che ne sanciva l’incostituzionalità) della cessione di Tiran e Sanafir – due isole nel Mar Rosso – all’Arabia Saudita. Di fronte al malcontento generale, ingrandito da una crisi economica e sociale che sta distruggendo il paese, il regime ancora una volta ha scelto di rimarcare come non ci sia spazio per la dissidenza.
In pochi giorni oltre 150 persone sono state arrestate. Alcune prese direttamente ai presidi, altre nelle strade adiacenti, altre ancora direttamente a casa all’alba. In tante sono sparite per ore prima di essere viste dai loro legali. Sono attivisti, avvocati, giornalisti, semplici persone. Le accuse sono sempre le stesse da anni a questa parte: terrorismo, incitazione al disordine, qualche post o foto su facebook, oppure semplicemente nulla. Basta poco in Egitto per finire in carcere. L’avvocato Tareq Huseyn (fratello di Mahmoud un ragazzo minorenne finito in carcere due anni per una t-shirt che indossava) per esempio nonostante l’ordine di rilascio è ancora in cella da più di 4 giorni. Niente cibo, niente acqua, stessi vestiti da due giorni. Altri, “più fortunati”, sono stati rilasciati con 10.000 ghinee di cauzione.
Basta poco in Egitto per finire condannati a morte. 6 ragazzi le cui confessioni sono state estorte attraverso tortura finiranno tra qualche giorno uccisi dal regime se il tiranno Sisi non concederà l’amnistia.
Sono anni, appunto, che a migliaia fanno su e giù da un incubo all’altro. Anni di proteste nelle carceri dove si continua a morire per negligenza medica, dove ci si ammala di malattie contagiose, non c’è acqua, né cibo decente, né diritto alle visite. Anni in cui ci si sveglia la mattina col terrore di vedere il nome di qualche amico, collega, conoscente finito in galera. Anni in cui si va da un tribunale all’altro per dare supporto a chi finisce nelle grinfie di un regime che gode di tutto il sostegno internazionale.
L’Egitto è una dittatura, solidarietà con chi ancora resiste e lotta!
22 giugno 2017, da hurriya.noblogs.org
Lettera dal carcere di napoli-poggioreale
Da oltre un mese Maurizio è stato trasferito da Opera a Poggioreale (Napoli). E' stato prelevato dall'isolamento 14bis dove l'avevano chiuso da oltre tre mesi, che gli viene proseguito, in una sezione sotterranea del padiglione Avellino. L'isolamento deciso e applicato dalla direzione del carcere di Opera sul finire dell'anno è stato confermato il 1° marzo dal tribunale di sorveglianza di Milano in quel giorno presieduto da Maria Grazia Moi. Un giudice che assieme a direzione del carcere di Opera, polizia, carabinieri attivi nel palazzo di giustizia di Milano, si è premurata, nonostante Maurizio quel mattino fosse già stato tradotto dal carcere in tribunale, di tenerlo fuori dall'aula. Questo per tenere fuori dall'udienza le ragioni della protesta in corso a Opera, e anche perché in passato il compagno aveva avuto occasione di contestare quel giudice nelle sue competenze riguardo al carcere di Opera stesso.
Il trasferimento di Maurizio è un'intimidazione esplicita alla mobilitazione, diretta ai detenuti che si erano e sono impegnati a portarla avanti. Tener vivo, aperto il rapporto con lui lo consideriamo perciò quanto mai importante. Per questo da diversi collettivi è stato organizzato in qualche settimana e realizzato nel pomeriggio di sabato 24 giugno da una cinquantina di compas un presidio con saluti, interventi, musica intorno al carcere di Poggioreale. Nonostante la provocazione di due sbirri in motocicletta da noi bloccati, che nella prima ora si sono gettati in mezzo al presidio per inseguire un manifestante, l'iniziativa è riuscita ad esprimersi in più voci senz'altro sentite e ascoltate dalle persone in carcere.
Carissime/i compagne/i, a tutte/i voi dedico il mio pensiero al mattino appena sveglio; a tutti/e voi ho dato la mia voce da portare nel mondo dei liberi/e; a tutte/i voi ho donato anima e corpo con bene affetto e amore. Solo voi riuscite a scaldare il mio cuore in queste gelide mura, con il vostro calore amore e affetto che mi avete sempre dimostrato.
Con queste mie parole, continuo imperterrito senza remore in ciò a cui credo, nella solidarietà, senza distinzioni di razza-religione-ceto-e cultura.
Con tanti 14bis da innocente, mi vorrebbero indifferente-duttile per annichilire la mia sensibilità con i più indifesi e bisognosi; ma il mio candore non si potrà mai dissipare con le ritorsioni a cui sono sottoposto da vari anni di ingiustizia, oltre ad isolamenti e due 14bis in un solo anno (innocente) adesso il trasferimento ad “Alcatraz” in barba a norme e leggi, e voglio citarne alcune:
- art. 61 comma 2 leg. 230/2000; art. 42 o.p.; art. 28 o.p., e di queste voglio dirne solo una, per dimostrare che, quando si citano le parole “legalità” e “rieducazione” in questi luoghi, per me sono solo un eufemismo regresso. Uno di questi art. dice che: “nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie”, non aggiungo nient'altro, lascio ogni commento a chi legge, stop.
Il mio stato di detenzione rimane come sempre con qualche novità: ho avuto l'area sanitaria (diritto alla salute), poco di più. Ve ne scrivo più distesamente in una prossima lettera.
Un abbraccio a tutti i miei compagni amici e fratelli a Opera, ricordando loro che nella vita le soddisfazioni le riceviamo nelle cose in cui crediamo, e che l'isolamento è uno spazio-tempo che passa inesorabilmente veloce come un lampo. Le cose belle ci rimamgono per sempre nel cuore. Questo è tutto. Non arrendetevi… vi abbraccio forte. Ho scritto a Opera e, come sempre, la mia corrispondenza non gli arriverà di sicuro.
Compagni/e un fraterno abbraccio a tutto il collettivo, sempre a testa alta, con ogni bene da Alcatraz. Maurizio V.V.B. Omnia Munda Mundis (tutto è puro per i puri)
26 maggio 2017
Maurizio Alfieri, via Nuova Poggioreale, 177 - 80147 Napoli
Lettera dal carcere di Milano-Opera
[…] non riceviamo più l'opuscolo, le lettere, se ce le consegnano, arrivano in continuo ritardo. In qualche modo abbiamo saputo del presidio davanti al tribunale. Siamo rimasti molto contenti. Speriamo tanto che parte dei cittadini che passavano lì davanti abbiano capito a quali torture siamo quotidianamente esposti. Senza escludere che viviamo in celle con scarafaggi grossi come noci e con topi che troviamo in giro per la sezione o, addirittura, nelle celle. In più occasioni abbiamo fatto, non solo notare, ma fatto proprio vedere alle guardie questo schifo, richiedendo una disinfestazione, ma l'unico rimando è che la segnalazione è stata fatta.
La fa facile l'aguzzino sig. Siciliano, quando dice che Opera è un carcere modello. A lui basta far vedere la zona lavorazione (dove solo pochi prediletti possono accedere). Poi ci sono le varie iniziative con il teatro, dove vengono fatti spettacoli per un pubblico di civili, magistrati, politici e sempre il solito gruppo di detenuti prediletti. Poi ci sono vari lavori comprendenti spazi verdi con chioschi-bar (gestiti dai figli della polizia penitenziaria di Opera), biblioteca con spazio aperto, con gazebo, calcetto a 5 con erba sintetica, calcetto a 7 su erba, corsi di fitness ecc. ecc. … tutte cose che fanno apparire Opera un carcere modello, cose che fanno piegare la testa a quei detenuti deboli e indegni, che si vendono per un angolo di verde, peccato che anche loro vivono tra topi e scarafaggi in celle devastate dal tempo. [...]
I soldi per i gazebo della biblioteca e degli spazi verdi li hanno racimolati da collette fatte da parte dei detenuti, collette alle quali io non ho mai partecipato dato che trovo asurdo donare soldi ad un'ammiistrazione carceraria che cura l'aspetto dell'istituto e non quello dei detenuti, in particolare più bisognosi. Sono sempre più indignato per quello che vedo e vivo quotidianamente qui alla Cayenna, fa capire la falsità di chi lavora in questo istituto come dittatore e bugiardo.
C'è un giovane finito qui dopo il rigetto dell'affidamento in seguito all'evasione dai domiciliari, una volta manomettendo il braccialetto elettronico. Sorprendente è il fatto che il G.O.T. [Gruppo di Osservazione e Trattamento composto da educatrice, educatore, assistente sociale, psicologo/a, psichiatra, ndr] aveva detto al detenuto che il rapporto con la direzione era andato bene. E' successo invece, c'è scritto sul rigetto, che il GOT aveva dato parere negativo perché il detenuto non avrebbe partecipato alle varie attività.
Mi unisco a voi nel pensiero che prima o poi, anche alla lunga, tutti i vostri sforzi faranno capire a tanta gente lo schifo e il degrado che lo stato capitalista sta creando, i poveri e i proletari si stancheranno e apriranno gli occhi e finalmente lotteranno e apriranno gli occhi e finalmente lotteranno con noi contro i ricchi che si sentono padroni del mondo.
Sono giunto ai saluti rivolti a tutti compagni, compagne della lotta sempre a pugno chiuso. Ciao alla prossima.
fine marzo 2017
Lettera dal carcere di Agrigento
Amici miei, è da molto tempo che non vi scrivo ed innumerevoli cose sono accadute in questo ultimo anno.
Purtroppo il 23 settembre 2016 la corte d'assise di Cosenza mi ha condannato all'ergastolo. Un primo grado vergognoso, menzogne palesi, negligenze procedurali e macchiavellismo...
Poi, nell'onore dell'ingiustizia si riesce ragranellare qualche scampolo di gioia. Un primo premio al concorso di poesia, il denaro investito per l'iscrizione all'università, la stesura di un romanzo completata (ora al vaglio di alcune case editrici) e soprattutto una carcerazione più o meno conforme alle norme di Strasburgo e questo grazie ad un continuo invio di istanze, richieste bollate e via dicendo, perché convinto che da qua dentro, il sistema si può combattere con le stesse armi che aguzzini e laureati usano contro di noi.
Molti detenuti si abbassano a fare i delatori pur di ottenere qualcosa, è una scorciatoia ignobile adatta solo a uomini limitati ed ignoranti; anche la rabbia fine a se stessa non serve a nulla; per quanto io per primo sia piuttosto focoso, ritengo che ogni gesto irrazionale sia solo a vantaggio del sistema penitenziario. L'unica vera ricchezza è la memoria, spaccare tutto dentro e dimenticarsi delle pene subite una volta usciti non serve a nulla, la memoria è la vera forza, poi che la si usi per vendicarsi o per mettere a ferro e fuoco il sistema non ha importanza…
Altro però è accaduto, il 17 marzo 2017 la corte d'appello, invece di assolvermi per l'associazione mafiosa, mi riduce la pena da 10 anni a 5 anni e 6 mesi ma, ritenendo estinta la pericolosità sociale (l'associazione secondo loro era temporanea e finita nel 2004), mi scarcera d'ufficio 8 mesi prima, il 22 marzo 2017, poiché per l'ergastolo risultavo a piede libero. Bella soddisfazione ci sarebbe da dire, falso, perché la giustizia è subdola e le procure infami.
Ho avuto la speranza di poter seguire il secondo grado come uomo libero così da studiare e lavorare ma nulla, dopo tre settimane una nuova custodia cautelare mi ha portato nel carcere di Treviso, una cloaca di media sicurezza disfunzionale, dove i detenuti sono stipati come sardine, indotti a prendere ansiolitici e psicofarmaci e dove persino il rispetto per il sonno è negato perché le guardie accendono le luci durante i controlli noturni. La giustificazione per questa nuova custodia è il pericolo di fuga dedotto da una tentata evasione – mai avvenuta – del 2012 dal carcere di Tolmezzo insieme all'amico Maurizio Alfieri. Nessuno ha menzionato che l'accusa è stata archiviata e che il 14bis mi è stato revocato, eppure dopo 5 mesi, per le stesse ragioni, nada, niet, nicht o come lo si voglia dire, no! La procura vuole conculcare, mostrare la sua forza, creare vittorie e avere la certezza di future e ben remunerate indagini.
Conscio dell'imminente trasferimento in un carcere di A.S. (Alta Sorveglianza) faccio richiesta al D.A.P. di riassegnazione al carcere di Terni per motivi di studio e giacchè a giugno e luglio devo sostenere gli esami di Chimica e Biodiversità. Di tutta risposta vengo spedito a 1700 km da casa, ad Agrigento per la precisione, un penitenziario fermo a 30 anni fa. E' così che lavora la giustizia lo sappiamo, quale strada intraprendere?
Amici miei è da cinque anni che sono nel baratro dell'errore giudiziario, ma sono quasi certo che, anche per chi debba scontare reati veri, l'istituzione penitenziaria offra solo un panoramma di desolazione, vergogna ed impoverimento, almeno nella buona parte dei casi, quindi cosa dovrei fare? Se dessi sfogo alle mie profonde pulsioni… non voglio neanche immaginarlo, breve soddisfazione momentanea e inferno per il resto dei miei giorni, quindi batto sulle norme, mi rivolgo alle autorità giudiziarie, sbattendogli in faccia le loro norme, nove volte su dieci non serve, ma almeno si sopravvive senza lasciare che il sistema stravinca, se non si può distruggere almeno fare qualche crepa.
Scrivo queste cose perché invaso da una rabbiosa empatia per quanto leggo sugli opuscoli, e questo si somma allo scoramento per la mia stessa situazione, la perdita di ogni cosa buona, la negazione di un miglioramento; il carcere vuole che il detennuto rimamga ignorante, arrabbiato, violento e potenzialmente pericoloso per la società, il detenuto è una forma di moneta sonante e le procure e la DIA [Direzione Investigativa Antimafia istituita nell'ottobre 1991, ndr] si fanno ricche con il denaro stanziato per la lotta contro la criminalità, un gatto che si morde la coda, una catena inestinguibile.
Leggo di Maurizio, che strazio, per non parlare di Stefano Crescenzi, 38 anni come me; l'unica cosa che voglio sostenere è che il detenuto impari ad aiutare se stesso dentro il carcere e che una volta fuori non dimentichi, conscio però che anche questo non è abbastanza.
Chiudo questa lettera con un'immensa tristezza nel cuore, e con un ringraziamento per quegli amici che mi hanno accolto a braccia aperte fuori e si sono premuniti per farmi trovare un lavoro onesto con cui mantenermi e ringrazio voi di ampi orizzonti che siete sempre così solidali. Valerio.
27 maggio 2017
Valerio Crivello, Piazza Di Lorenzo, 1 - 92100 Contrada Petrusa (Agrigento)
Lettera dal carcere di Ivrea
Carissimi amici, oggi mi è arrivata la vostra posta. Vi scrivo per farvi sapere che non va per niente bene. Giorni fa c'è stato un ennesimo morto, non si sa come è morto. Sappiamo solo che aveva la bava alla bocca, ma come altro la direzione ha messo tutto a tacere. Si suppone che gli sono stati prescritti troppi psicofarmaci.
Purtroppo ormai qui non funziona proprio niente, la direzione di questo istituto, tutti compresi, per loro siamo “carne da macello, bestie”. Anzi, questo giovane di 32 anni, padre di due figli sembra che sia morto non un detenuto ma neanche un cane, anzi se fosse stato un cane o un animale qualsiasi avrebbe avuto più possibilità di essere salvato. Ormai qui non c'è un giorno che non ci sia un atto di autolesionismo.
Purtroppo qui portano i detenuti all'esasperazione e per loro sembra che tutto va bene, l'infemieria è inesistente proprio. Vi pregherei di far divulgare la notizia del morto che è successo qui a Ivrea su internet e su tutti i social network possibili, sperando che potete fare qualcosa per noi e di dare la notizia il più presto possibile.
Con stima e amicizia, Francesco.
14 giugno 2017
Francesco Maccarone, corso Vercelli, 105 - 10015 Ivrea (Torino)
Ricercando sul web la notizia del giovane morto nel carcere di Ivrea non abbiamo trovato nulla al di fuori di diversi articoli che riportano del ritrovamento di un cellulare all’interno del carcere eporediese (“brillante operazione della polizia penitenziaria”). Effettivamente, come dice Francesco, non è morto nessuno.
Lettera dal carcere di Roma-Rebibbia
Cari compagni sono Roberto, oggi al teatro c'è stata la commemorazione del nostro amico e compagno Gianpaolo Contini, che nonostante il contesto ho avuto il piacere di condividere quasi 5 anni di detenzione. Per noi era ed è tut'ora un punto di riferimento nostante sia scomparso da meno di un anno!
Oggi i compagni dell'università, dove Gianpaolo era il responsabile, hanno organizzato in sua memoria uno “spettacolo” al teatro, naturalmente la lista dei partecipanti a tale evento è stata fatta senza un criterio logico, cioé chi ha conosciuto e condiviso qualcosa con Gianpaolo invece chi nemmeno lo ha conosciuto è andato al teatro!
Qui la domanda mi sorge spontanea: è stato fatto apposta? Visto che Gianpaolo per loro durante questi anni è stata una spina nel fianco per le Sue idee e perché reclamava a gran voce i diritti di tutti che sempre e contatemente venivano violati. Si è sempre schierato dalla parte dei più deboli, dei cosiddetti “ultimi”; si adoperava costantemente nel fare istanze, inpugnazioni, reclami e quant'altro per chi non aveva la possibilità di pagare un legale di fiducia. Ecco chi era Gianpaolo uno che le diseguaglianze non le ha mai sopportate e soprattutto i soprusi delle autorità su chi non ha i mezzi o la forza per reagire, ha sempre cercato di mantenere la propria dignità aiutando gli altri a mantenerla. Ecco chi era Gianpaolo.
Questo è più o meno quello che avrei detto se fossi stato “autorizzato” a partecipare alla commemorazione di un amico. Ma mi “accontento” di ricordarlo in queste poche righe e condividerlo con tutti voi. Così come avrebbe fatto lui, che avrebbe “scritto” per far conoscere a tutti l'ennesimo sopruso.
Grazie ancora per la vostra attenzione. A presto! Roberto
22 maggio 2017
Roberto Calia, via R. Majetti, 70 - 00156 Roma
Lettere dal carcere le Vallette (to)
Ciao a tutti/e, vi scrivo dal blocco C del carcere Lorusso e Cotugno di Torino, vi spiego un pò in che situazione mi trovo e che aria si respira qua dentro.
Nella mia sezione, la 11a, la maggior parte delle celle sono inagibili e ci sono alcune persone in isolamento, siamo pochi. L’aria la facciamo insieme alla sezione 3a, un’ora e mezzo il mattino e un’ora e mezzo il pomeriggio; il resto della giornata la passo in cella da solo, niente attività – la nostra è la sezione più punitiva di tutto il carcere.
Le celle puzzano di morto ed è pieno di blatte e topi, le blatte cadono anche dal soffitto. Quando piove tanto, la mia e altre celle si allagano, entra acqua dai muri e da sotto la finestra, l’ultima volta sono rimasto in piedi su una sedia perché c’era troppa acqua e non si poteva stare, si allagano anche alcuni corridoi , piove proprio dentro.
Di docce ne “funzionano” due però quando sono aperte quelle dei piani di sotto, a noi non arriva acqua per mancanza di pressione, quindi secchiate d’acqua riempite dal lavandino, oppure rinuncio all’aria la mattina per fare la doccia, che a quell’ora la usa poca gente.
Il cibo è sempre una merda (niente di nuovo), tutto allungato con acqua, zero olio, zero sale e non sa di niente!
Per quanto riguarda le rotture di coglioni, inizialmente le guardie, da un giorno all’altro, avevano deciso che sono un soggetto pericoloso in quanto anarchico e appartenente al movimento, e quando capitava di spostarmi all’interno del carcere, tipo per andare dall’avvocato, non mi facevano andare con gli altri detenuti, mi facevano aspettare in cella l’arrivo di una scorta che mi accompagnasse, facendomi passare da una scala diversa da quella usata dagli altri. Da lì fino alle stanze dei colloqui, dove in chiudevano in una “stanza d’attesa” (quattro mura con una panca di ferro bullonata a terra) da solo, separato dagli altri detenuti, e dopo il colloquio con l’avvocato venivo di nuovo scortato fino in cella!
Hanno provato a togliermi l’aria con gli altri detenuti e a farmela fare da solo in orari differenti dagli altri, a quel punto ho detto alle guardie che se avessero fatto una cosa del genere avrei iniziato uno sciopero della fame ad oltranza, fino a che non mi avessero rimesso l’aria con gli altri. Poi, da un giorno all’altro, mi hanno tolto la scorta e lasciato all’aria tranquillo con gli altri. In seguito però sono venuto a sapere che le guardie prendono da parte alcuni detenuti e gli dicono che non devono parlare con me, per fortuna loro hanno mandato affanculo la guardia e sono venuti a dirmelo!
Poi qualche perquisizione in cella! Perquisizioni corporali – nudo – spesso!
Ma, a quanto pare, in questo blocco è ormai la normalità, a volte può capitare anche tre volte al giorno! Bella merda!
Ah, dimenticavo, nella 7a sezione, cioè il piano sotto a quello in cui sto io, ci sono gli infami e gli stupratori, ovviamente li tengono separati da noi altri e hanno tutte le porte pisciate e sputate!
Comunque nonostante tutta questa merda, ci sono giornate più calde di altre: martedì sorso – 6 giugno – un ragazzo della 2a ha litigato con la guardia di turno – non sono riuscito a capire per quale motivo – e da lui sono andate sette guardie a fargli brutto, lui inizia a menarli pesantemente mandandone due in infermeria, poi questo ragazzo è stato portato via. Un paio di settimane prima, uno della mia sezione ha cominciato a urlare alla guardia che voleva la terapia, e dal nervoso gli ha tirato un pugno in bocca attraverso il blindo. La guardia è corsa in rotonda ad avvisare le altre merde, sono tornati in sette, hanno aperto la sua cella e l’hanno scassato di botte. A noi è stato chiuso il blindo per non farci vedere dato che, vedendo tutto ciò, alcuni hanno insultato subito gli sbirri! Quando poi è stato riaperto il blindo abbiamo visto il ragazzo pieno di segni e fasciature e le guardie che ci dicevano: “non è successo niente!”
Dopo questi due episodi sembra che abbiano iniziato a mettere qualche tranquillante nel cibo, siamo in parecchi ad aver notato che dopo aver mangiato ci sentiamo rincoglioniti, stanchi e deboli, però di questo non ho certezza.
Questa è un po' l’aria che si respira dentro questo carcere di merda!
Torino, 14 giugno 2017
Antonio Pittalis, via A. Aglietta, 35 - 10151 Torino
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Bongoor ai/alle compagne/i che lottano contro la censura e il suo sistema carcerario-sociale-giudiziario.
Oggi mi hanno letto (che io sappia) la seconda volta la mia posta, una cartolina che diceva: “In culo alla Giustizia, forza, il cuore non conosce prigioni”. Una minaccia del capo dell'ufficio comando che diceva: ti ho detto di scrivere ai tuoi amici di non parlare male del mio lavoro. Te l'ho detto due volte, devi scrivere di nuovo, non te lo dico tre volte. E con la mano aperta mi ha toccato la faccia “puoi andare”. Voleva dire che la prossima volta mi picchiava?
La sua giustizia paga oltre 150 euro al giorno per detenuto e il cibo non oltrepassa i 2 euro. Tutte le sezioni di questo braccio la 12°, l'8°, la 4° nelle docce hanno la muffa di due centimetri, come tutte le docce, eccetto alla sezione 10° perché l'ha visitata il garante dei detenuti!
Non ci danno né scope né tutte le cose che dovrebbero. E' da 10 giorni che chiedo una scopa e il giorno che ho fatto le prime ore di sciopero della fame in solidarietà con Antonio ho fatto venire tre guardie chiedendo più cibo, l'olio che non arriva mai con l'insalata. Risposta: da quanto sei qui? da 40 giorni! E proprio oggi (domenica) devi fare casino? Cerco di dire qualcosa, alla fine vado in bagno, il concellino li manda via e mi dice: “Fran hai ragione, ma così passi dal lato del torto, i lavoranti come tutti gli altri, non vogliono casino, solo pochi hanno voglia di dire qualcosa”.
Appena l'avvocato mi ha detto che Antonio era in sciopero per le condizioni in cui ci trattano dentro e fuori, ho deciso di iniziare a scioperare.
Era il giorno sabato 10 (giugno), ho mangiato, sono andato all'aria e ho deciso di iniziare lo sciopero alle 19,30, dopo la socialità fino a lunedì alle 19,30, per fare uno sciopero della fame di 48 ore senza comunicarlo all'amministrazione, in solidarietà con Antonio, per i motivi che sapevo. Dopo sono venuto a sapere che lui è stato spinto allo sciopero da me.
Mo mi trovo in una sezione aperta, che vuol dire un po' più d'aria. Mi hanno letto la posta per la terza volta e me l'hanno portata via. La guardia mi diceva che aveva occhi per guardare; dopo avergli ripetuto più volte che non poteva (leggere), la guardia mi ha risposto che la mandava al magistrato. Qualche ora dopo me l'ha riportata tutta. Questa è la sua giustizia: leggere la mia posta e minacciare che sto pisciando fuori dal cesso e che puzza, che ho bisogno di lui e di non insultare la sua divisa, perché mi piscia lui a me.
Sappiamo bene che cosa fanno quelli che portano la divisa, abusi di potere. Per quello che questo mondo funziona per i potenti che comandano e il loro braccio armato difende il loro sporco mondo. La galera è uno dei loro strumenti più schifosi!!
Un saluto fortissimo per gli ultimi ribelli in prigione, contro ogni autorità, per la maggiore espressione della libertà, per la liberazione totale, agitazione permanente!
Un saluto a tutt* voi dentro e fuori le mura di ogni stato. Francisco
14 giugno 2017
Francisco Toxina Esteban, via A. Aglietta, 35 - 10151 Torino
Lettera dal carcere di Ferrara
Cari compagni e compagne di OLGa, poche righe per informarvi del fatto che oggi la censura mi ha trattenuto una vostra missiva, come forse già sapete, la stessa ci è stata rinnovata di recente fino al 23 agosto, sebbene le indagini siano chiuse e sia già iniziata l'udienza preliminare a Torino il 6 giugno scorso.
Proprio per partecipare a questa udienza sono stato “appoggiato” per cinque giorni alle Vallette, fino a venerdì scorso, quando mi hanno riportato qui a Ferrara. Ora ci saranno altre due udienze, il 26 giugno e l'11 luglio, sempre davanti al GUP (giudice dell'udienza preliminare) che dovrà decidere sul rinvio a giudizio.
I cinque giorni di permanenza a Torino non sono stati il massimo, isolamento totale, con conseguente blindato chiuso tutto il giorno e ora d'aria da solo, visto che mi trovavo in una sezione AS3. Comunque, come sempre, sto bene e vado avanti a testa alta.
Vi ringrazio per la solidarietà e per il vostro tentativo di rompere questo isolamento con l'invio di materiale cartaceo, anche se viene sempre bloccato dai censori. La stessa sorte è capitata alle lettere che avete inviato a Sandrone e Alfredo, arrivate oggi e bloccate.
Un abbraccio anarchico dall'AS2 di Ferrara, Danilo.
12 giugno 2017 [con timbro “Visto di Censura”]
Danilo Cremonese, via Arginone, 327 - 44122 Ferrara
Lettera dal carcere di Velletri (rm)
Ciao carissimi amici e compagni/e, sono felicissimo di ritrovarvi finito la censura ora mi diletto a scrivervi e non vedevo l'ora di farlo. Voi tutti e tutte mi conoscete da tempo 'anarchico romano ribelle Ombra'. Non ho più avuto notizie di voi e di molti altri compagni/e, ma non per mio volere, ma per le circostanze sia per la censura e sia per i 3 carceri dove sono stato. Ora mi trovo qui a Velletri per accoglimento, per stare insieme a mio fratello. Vi racconto com'è andata.
Bé, sono uscito dal carcere di Viterbo l'8 settembre 2016, fine pena. Ho trovato amici e compagni fuori ad aspettarmi dopo tanto tempo. E' stato bello ma è durato poco, 27 giorni di libertà con le misure di sicurezza, firme al commissariato di zona, obbligo di dimora, obbligo di soggiorno, sorveglianza speciale per la durata di 2 anni. Il mio errore è stato non partire subito.
Polizia, carabinieri di Tor Vergata mi stavano col fiato sul collo, mi odiano molto, ma io li odio molto di più: servi dello stato! Proprio loro, il 5 ottobre 2016 hanno accusato me e mio fratello di una rapina, dove siamo andati assolti. Non contenti hanno fatto un complotto contro di me. Il giorno 6 ottobre mi sono recato a firmare al commissariato dove mi hanno annunciato di aver spostato le firme in una caserma dei carabinieri più vicina. Quel giorno mi sono anche recato al Sert di zona… ero vicino a una fermata dell'autobus, all'improvviso mi fermano i carabinieri e c'è l'arresto per tentata rapina. Il giorno successivo c'è la direttissima: quando ho sentito i carabinieri accusarmi, mi è venuta una tale rabbia e molta cattiveria… sono scoppiato dicendogli di tutto e di più, gridando come un pazzo. E' intervenuto il giudice, una donna, e mi dice di fare silenzio. Ho saltato il banco degli imputati, sono andato davanti alla giudice, dicendogli di stare zitta, ho infierito contro i carabinieri. Un vero putiferio, altre persone presenti in aula sono fuggite. Poi mi hanno braccato e allontanato, arrestato e portato in carcere.
Il 30 novembre mi riportano in aula per la seconda udienza. L'aula è vuota, non ci sono testimoni, neanche i carabinieri che mi hanno arrestato, neppure la tabaccaia che mi accusa di averla rapinata. Comunque, ci vogliono tre indizi per essere colpevole.
In aula non mi fanno parlare, una buffonata. Vengo condannato a 3 anni e mesi 4; e qui c'è il secondo oltraggio alla corte, la penitenziaria mi porta via con la forza. Al giudice riesco ad urlare: “questa non è giustizia, la giustizia in questi tribunali non esiste, la legge non è uguale per tutti, pezzo di merda”…
Il mio avvocato espone tutto per bene, compreso che portavo il capuccio perché quel giorno pioveva, che i miei obiettivi sono sempre state banche, poste, non tabaccherie... La corte si ritira, ritorna dopo 4 ore non applica la recidiva neppure la pericolosità sociale… conclude condannandomi a 1 anno e 2 mesi, fine pena in conclusione 5 dicembre 2017.
Questa amici cari e compagni è una storia che ci fa capire che questo sistema, che chiamano giustizia, non funziona per niente. Il 4 maggio 2017 c'è l'appello. Entro, mi mettono dietro la sbarra, il giudice mi dà la parola, gli rispondo che sono innocente, estraneo ai fatti, e che presento una memoria scritta. Il giudice la legge mi chiede se la confermo gli dico di sì e che venga allegata agli atti. Poi fa proiettare i filmati che mi inquadrano nella fermata del bus, distante 40 metri dalla tabaccheria rapinata.
Ora la censura è finita. La mia più sincera solidarietà a tutti e tutte i prigionieri di queste patrie galere, fogne di stato. Un saluto a tutti e tutte gli amici, fratelli e sorelle, compagni, compagne. Libertà. Anarchico romano ribelle 'Ombra'! W l'anarchia!
8 giugno 2017
Claudio Perrone, via Campoleone, 97 – 00049 Velletri (Roma)
sul Presidio attorno a S. Vittore del 17 giugno
Dalle 10 del mattino fino alle 22 in diversi collettivi si è riusciti a mettere in piedi “una giornata di musica e lotta” che abbiamo chiamata “Rompere il silenzio”. Le guardie, le loro cape e capi, hanno cercato di sabotare la giornata, portandosi in grosso numero davanti all'ingresso che porta i famigliari alle sale colloqui, per impedire il volantinaggio, in quel momento sostenuto da sei-sette compas. Oltre alle pistole, una guardia impugnava un mitra.
La scenata ha portato difficoltà al volantinaggio, allo scambio fra famigliari intimiditi e compas che hanno comunque tenuto la posizione. Il tentativo delle guardie è così fallito, sono rientrate, anzi ha abbandonato il posto anche l'auto, occupata da due di loro, disposta davanti all'ingresso colloqui. Insomma sul marciapiede, “libero”, sorvegliato dalle telecamere fisse e da quelle impugnate dalle guardie sulla cinta, si è riusciti a volantinare, comunicare direttamente con i famigliari. Anzi, a una mamma, il cui figlio, Alessandro, morto, ucciso, nel febbraio 2012 a S. Vittore, è stato possibile assieme a due compagne entrare nella scala d'ingresso alla sala d'attesa colloqui; da lì sono riuscite a farsi sentire dai famigliari a far loro avere i volantini.
Verso le 15 dalla vicina piazza Aquileia si è messo in strada un corteo di un'ottantina di compas, con alla testa lo striscione “Il carcere non è la soluzione ma parte del problema” (esposto dal mattino assieme ad una altro, “41bis = TORTURA”).
Il corteo prima passa lungo il mercato di viale Papiniano irrobustito dal suono della 'Banda degli ottoni', da interventi che collegano quanto accade in carcere alle leggi liberticide approvate dal Parlamento e co., contro l'immigrazione, il razzismo, contro il 'mondo del lavoro'. Poi il corteo si porta nel lato del carcere dove è possibile farsi sentire dal femminile e dai raggi 6° e 5°. Qui si lancia un saluto alle donne, un intervento in arabo e della mamma di Alessandro - assieme a musica nata nei quartieri proletari di Napoli.
Il corteo si conclude su viale di Porta Vercellina occupandone entrambe le corsie. Lì, assieme a interventi, saluti al terzo raggio, si svolge il concerto. Nel rapporto che si crea, da una bocca di lupo di quel raggio riescono a far uscire un lenzuolo con la scritta “Grazie di tutto”. Nel corso del concerto assieme alla musica escono messaggi a sostegno della lotta per la casa, contro le violenze della polizia e le canagliate recenti dell'Aler nei quartieri popolari di Milano, in particolare alla Barona.
La giornata si completa con le scritte sulla cinta del carcere: “ALESSANDRO VIVE”, “ROMPERE IL SILENZIO” affiancate a “SCATENIAMOLI” ancora intatta scritta l'anno scorso.
Milano, giugno 2017
Lettera di Mauro da Lucca, in libertà…
In data 13 giugno 2017 ho fatto la “camera di consiglio” presso il tribunale di Sorveglianza di Pisa, per la rivalutazione della “pericolosità sociale”. E quindi hanno accolto la richiesta del pm di ridarmi “un altro anno di libertà vigilata”.
I motivi da dove è scaturita di nuovo la misura di sicurezza, scrivono loro, è che si sono basati sui miei vecchi numerosissimi precedenti penali, ma la cosa curiosa è per il fatto di “avere mantenuto contatti con esponenti di area anarco-insurrezionalista tra i quali (militanti BR)... di aver compiuto danneggiamenti con applicazione di sigle legati alla lotta proletaria e collegamenti con elementi della criminalità organizzata… Tra i suoi precedenti penali apparirebbero reati che vanno da rapina a mano armata, sequestro…
Per tanto, essendo soggetto socialmente pericoloso, si applica un altro anno di libertà vigilata…” (Magistrato di Sorveglianza, Lucca 21 giugno 2017)
Vengo a fare un commento sulla loro decisione.
Sono uscito un anno fa, il 24 maggio 2016, dopo avere scontato nove anni e mezzo per vari titoli di reato e per questi mi vennero dati due anni di “casa di lavoro”, che il tribunale di sorveglianza di Spoleto ha tramutati in un anno di “libertà vigilata”, che ho finito di scontare il 23 maggio 2017.
Ora mi ritrovo nuovamente a riscontare con la proroga un altro anno di “libertà vigilata”. Così facendo, tra carcere e due anni e mezzo di libertà vigilata avrei scontato undici anni e mezzo - e non è detto che il prossimo anno non mi venga ridato un altro anno.
Sia ben chiaro. Qui non voglio sentirmi una vittima dell'intero sistema repressivo. Questo lo voglio lasciare a coloro che piangono, che cadono nel vittimismo e a coloro che si cagano adosso dalla paura della repressione che, a mio convincimento, è una scusante per non volere fare un cazzo se non quello di occuparsi soltanto di occupazioni e piccole manifestazioni pacifiche. Poi tutto il resto, che riguarda i veri problemi sociali di cui tocchiamo con mano, non avrebbe nessuna priorità.
Come ho sempre detto e ribadisco oggi pubblicamente, della repressione poliziesca statale e dei tribunali me ne fotto categoricamente, perché credo nelle mie idee politiche, perché sono 'anarchico rivoluzionario', sono 'comunista libertario'. Sono nato ribelle contro un sistema che non mi appartiene, ma che da anni combatto attraverso varie sfacettature. Non ho mai avuto bisogno dei consensi di altri-e, ma ho sempre agito da solo come 'cane sciolto'. Questa è sempre stata la mia determinazione nel portare avanti azioni e ideali. Vi saluto con affetto, Mauro.
21 giugno 2017
Mauro Rossetti Busa, Via F. Turati, 442 - 55100 S. Anna (Lucca)
16 Giugno: 24 ore di sciopero
Il fattore scatenante dello sciopero generale, per la prima volta chiamato dai sindacati di base, trova determinazione nella lotta condotta da lavoratrici-lavoratori Alitalia aperta da oltre un anno. Cosa è successo. Nell'aprile di quest'anno i sindacati confederali (CGIL-CISL-UIL) avevano concluso un accordo con Alitalia che prevedeva “980 licenziamenti a tempo indeterminato tra il personale di terra”, “mentre quello navigante avrebbe visto la riduzione della retribuzione dell'8% e i riposi annuali da 120 a 108”.
Il referendum previsto per ratificare l’accordo invece lo ha respinto con il voto contrario del 67% di lavoratrici-lavoratori – sul totale di 12mila persone, l'87% ha votato.
Quell' esito dà concretezza alla lotta contro “i sindacati venduti”. Per esempio, il sindacato di base Cobas Alitalia afferma: “Al tavolo niente confederali ma delegazioni democraticamente elette dai lavoratori”; il Cobas di La Spezia: “L’adesione del Cobas allo sciopero nazionale dei trasporti ribadisce la propria contrarietà alla privatizzazione dei trasporti che devono restare pubblici.”
I sindacati di base della logistica (*) in tutta Italia hanno aderito allo sciopero lanciato dal Cobas Alitalia. Riportiamo in breve quanto accaduto a Milano.
In alcuni magazzini lo sciopero è iniziato diversi giorni prima, come, per esempio, alla SDA (società 'corriere') con magazzini a Carpiano (paese situato a sud di Milano, dove si recano ogni giorno al lavoro nella logistica almeno 3mila persone, in gran parte immigrate).
Il lunedì (12 giugno) dalle 17 viene organizzato un presidio con sciopero già avviato, come spiega un volantino del SiCobas. A Carpiano nella vicina Basiano “la lotta degli operai immigrati è giunta al terzo giorno di sciopero e a nulla sono valsi finora i tentativi di utilizzare il crumiraggio, tanto nella forma interna (15%), tanto esterna per sopperire al blocco totale delle merci.” I magazzini sono rimasti pieni, gli operai in lotta sono riusciti ad allontanare i crumiri (scortati da polizia e carabinieri).
“Respingere il crumiraggio organizzato dai padroni! Questa è l'unica strada sensata per difendere le proprie condizioni e, allo stesso tempo, avanzare nella costruzione della propria organizzazione. Qualunque altra via porta alla sconfitta.”
La mobilitazione deve tener conto delle divisioni politico-sindacali: “La ripresa dei lavori alla SDA di Bologna, dove la CGIL ha deciso di accontentarsi di un accordo locale, costringe certamente ad uno sforzo ulteriore di mobilitazione per colpire l'avversario.” Ed é proprio per questo che gli operai in lotta, che si stanno avvicendando in turni di picchettaggio 24 su 24, hanno convocato per domenica 10 giugno un'assemblea alle 21 “in cui discutere come proseguire la battaglia”.
Il Sol-Cobas di Milano nell'aderire allo sciopero del 16 giugno, scrive: “La vertenza dei lavoratori Alitalia riguarda tutti i lavoratori mentre, su scala internazionale, crescono le operazioni militari imperialiste per ottenere il controllo di interi stati e delle loro risorse. Enormi masse proletarie sono così spinte a fuggire da guerra e miseria”.
Adesione allo sciopero in concreto ha voluto dire: ritrovarsi davanti alle entrate delle sedi logostiche per rafforzare le adesioni, per dare forza allo sciopero delle lavoratrici negli hotel di centro, come il Room Mate e di periferia quali il Leonardo da Vinci, dove lo sfruttamento è accanito.
Per esempio: all'hotel Room Mate, situato in piazza Duomo, la lotta ha preso forza dal rifiuto dei ritmi di lavoro delle lavoratrici, forzati dal cottimo pari a 2,50 euro di stipendio per pulire stanze di 32 mq in mezz’ora; per il pagamento puntuale dei salari (l'ultimo risale a quello di gennaio); contro l'assenza di strumenti e liquidi garanti dell'igiene personale. I padroni e la loro cooperativa che assume le lavoratrici e ne organizza il lavoro hanno risposto colpendo direttamente le promotrici della lotta. Hanno infatti ordinato alle lavoratrici (9 su 23, in particolare chi si era esposta negli scioperi) di recarsi al lavoro in una località situata nel nord di Roma. Naturalmente nessuna si è imbarcata in una simile avventura. Nei giorni immediatamente successivi si sono trovate licenziate per “assenza ingiustificata”.
Situazione grosso modo identica al Leonardo decisamente nascosto in periferia nord.
Qui il sindacato è riuscito a determinare solidarietà con una presenza di decine di operai/e davanti all'hotel, accorse/i a dare man forte alle lavoratrici in sciopero, con volantinaggio alla clientela, cori “contro la schiavitù”, rafforzati dalla scritta su uno striscione: “Lotta e unità operaia contro guerra e sfruttamento”. Una presenza riuscita a portarsi e ad esprimersi nella stessa mattinata anche di fronte all'hotel Room Mate.
(*) Secondo la definizione data dall'Associazione Italiana di Logistica (AILOG), essa è "l'insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che governano nell'azienda i flussi di materiali e delle relative informazioni dalle origini presso i fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e al servizio post-vendita".
Milano, giugno 2017
Sciopero generale in Brasile: Paese bloccato contro Temer
Nel momento in cui i vari stati confederali sono stati attraversati da una mobilitazione oceanica, si contano ben 14 milioni di disoccupati e 6 milioni di persone in grave disagio abitativo.
Molti sindacati, delle più disparate categorie, hanno annunciato che proseguiranno a tempo indeterminato fino a che non si vedranno le mosse da parte del Governo e del suo presidente. Il tutto avviene in un clima molto teso, culminato questa settimana con l' incendio di un veicolo proprio davanti al Palazzo presidenziale: un segnale di inimicizia e sfiducia dal basso che coinvolge direttamente milioni di persone e ha dato il là alla settimana di scioperi.
Dai Trabajadores Sem Terra che han bloccato diverse tra le principali arterie del Paese, financo lavoratori bancari e delle scuole son scesi in strada o hanno incrociato le braccia sui posti di lavoro. A San Paolo e Rio il traffico é andato in paralisi: trasporti pubblici fermi, con blocchi stradali e copertoni dati alle fiamme in più punti nevralgici. Dura la risposta governativa in diversi momenti della giornata, che si è fatta via via più calda con l'impazienza dettata dalle risposte che ancora dovrebbero giungere dal Governo Federale.
A Rio, a seguito delle pesanti cariche per rimuovere i blocchi stradali, gli scioperanti hanno risposto rimpolpando i presidi e i picchetti più radicali, con paralisi di lunghi tratti di autostrada e ponti. In prima battuta si può dire che, nonostante un velato boicottaggio delle grosse burocrazie sindacali, le basi di queste hanno risposto disattendendo le indicazioni dei quadri superiori, unendosi e rafforzando le pratiche di blocco.
Il pugno duro della polizia non ha riguardato solo Rio: cariche e feriti si son registrati durante dei picchetti a Porto Alegre, mentre alcuni tra i principali aeroporti brasiliani sono stati anch'essi bloccati a oltranza.
Un'altro capitolo della contestazione diffusa a Temer e le sue manovre di palazzo è stato appena scritto, nelle prossime ore tanti brasiliani capiranno se quanto fatto frutterà risultati importanti o sarà una tappa di una protesta che pare non essere facilmente sopibile.
1 luglio 2017, da infoaut.org