indice n.110

Siria: la guerra fra NATO e Russia è ormai alle porte
Libia: verso un’altra campagna di guerra
guerra, sfruttamento, jobs act: Sciopero Generale!
La morte di Giulio Regeni
COMUNICATO SUL CONVEGNO “PALESTINA E DINTORNI”
lettera dal carcere di Terni
torino: rivolta al CIE e presidio solidale
lettera dal carcere di Rebibbia (rm)
troppi TSO ai migranti dei centri di accoglienza
Contributo di alcuni collettivi tedeschi sulla psichiatria
lettera dall’OPG di montelupo fiorentino (fi)
lettere dal carcere di opera (mi)
Lettera dal carcere di Livorno
“Pagine contro la tortura”, sintesi assemblea di bologna
Lettera dal carcere di velletri (rm)
lettera dal carcere di massama (Or)
RIALLACCIAMO I FILI DELLA LOTTA: CI VEDIAMO A BELLUNO!
lettera dal carcere di san vittore (mi)
devastazione e saccheggio
padova: arresti per “associazione a delinquere”
Firenze, 9 aprile: manifestazione contro la repressione
genova: Dichiarazione al processo di 6 compagni
Dalle lotte nella logistica
No Confindustria nelle scuole


Siria: la guerra fra NATO e Russia è ormai alle porte
Nonostante la telefonata tra Putin ed Obama che, a detta dei media, avrebbe rasserenato il clima dopo le dichiarazioni minacciose di ieri del Primo Ministro francese Manuel Valls, del premier russo Dmitri Medvedev e del Segretario di Stato Usa Kerry, tutta l’area a ridosso della Siria si surriscalda.
La Turchia, forte dell’impunità finora concessa dai suoi padrini occidentali continua a fare strage di curdi sia all’interno dei suoi confini che nel territorio siriano. Sono di questi giorni i bombardamenti contro postazioni dell’esercito siriano e contro i curdi nell'area di Aleppo e nel territorio della base aerea Minneh Marinaz (strategica perché posta lungo una strada che porta al confine turco) che i guerriglieri curdi avevano strappato nei giorni scorsi ai miliziani di 'Dzhebhat en-Nusra', che la controllavano dal 2013.
L’Arabia saudita invia i suoi primi cacciabombardieri F-15 alla base turca di Incirlik, in vista di una offensiva militare in Siria guidata proprio dalla Turchia e dall’Arabia Saudita che potrebbe coinvolgere truppe di terra, come annunciato ieri dal portavoce del ministero della Difesa di Riad Ahmed al-Assiri e confermato dal ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu.
Tutto questo mentre proprio in questi giorni a nord dell’Arabia Saudita (nell’area saudita di Hafer al-Batin) vicino ai confini con la Siria sta prendendo avvio l’esercitazione militare denominata North Thunder (il tuono del nord) della “coalizione contro il terrorismo”. All’esercitazione che durerà 18 giorni, parteciperanno, secondo alcune fonti, 350 mila soldati, 2.540 aerei da guerra, 20.000 carrarmati e 460 elicotteri (numeri che per la verità ci sembrano spropositati), provenienti da almeno 21 paesi arabi.
Nel migliore dei casi una vera e propria provocazione, nel peggiore la conferma che, a dispetto di tutte le prove di dialogo, ci si sta davvero preparando all’invasione della Siria ed all’agognata spartizione di questo paese.
Come se non bastasse la NATO scende in campo anche contro l’immigrazione e contro i trafficanti di esseri umani. Tre navi vengono schierate nell'Egeo per fermare l'esodo sui gommoni e gli aerei-Radar Awacs per la sorveglianza aerea, anche in funzione anti-Is lungo il confine turco-siriano.
Quindi, altre navi militari ed aerei che, con la scusa dell’immigrazione, rafforzano le operazioni militari già in atto tra l'Egeo e il Canale di Sicilia: missione Poseidon dell'agenzia europea Frontex; l'operazione Mare Sicuro della marina italiana, l'operazione Triton di Frontex ed Eunavfor Med cui si aggiungono le forze costiere italiane (Guardia Costiera e Guardia di Finanza) e la guardia costiera greca e turca. Come sostenuto dal segretario generale dell'Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, la NATO ha risposto alle richieste di Turchia e Germania ed il ruolo delle sue navi e aerei non servirà a salvare i migranti in difficoltà ma a pattugliare una più ampia porzione di mare. Non avevamo alcun dubbio.
C’è poco da stare sereni, quindi, anche perché il nostro governo, con le dichiarazioni della sua Ministra della Difesa Pinotti, mentre auspica la prosecuzione del dialogo ed il rispetto dell’accordo di Monaco, si dice pronto a fare la propria parte.
Con il profilarsi anche di un nuovo intervento in Libia, mai come in questo momento dobbiamo far sentire la nostra voce contro queste nuove aggressioni e contro un’escalation militare che rischia di portarci alla terza guerra mondiale.

14 febbrraio 2016
Rete contro la guerra ed il militarismo – Napoli


***
“Siamo nel tempo di una nuova guerra fredda”, sono parole del primo ministro russo Dmitri Medvedev pronunciate a Monaco di Baviera alla conclusione della Conferenza sulla Sicurezza. Alcuni deputati della Frazione di Sinistra (FS, al parlamento della Germania), presenti alla Conferenza hanno sottolineato che in essa: “… il clima dello scontro era evidente in maniera chiara... la sicurezza in Europa esiste soltanto con la Russia e non contro la Russia… I ministri della difesa dei paesi NATO negli ultimi giorni hanno preso decisioni che ci procurano (riferendosi a Germania e Europa) grosse preoccupazioni”…
E’ stata decisa la messa a disposizione di aerei Awacs di ricognizione a favore di alcuni membri della “coalizione anti-IS” (per primo l’ELS – Esercito Libero Siriano) che non avevano partecipato direttamente alle azioni militari NATO. La Russia non condivide quella scelta, piuttosto ha sostenuto con suoi aerei la lotta delle truppe dell’esercito siriano contro le milizie dello “stato islamico”.
Un’ulteriore indiretta entrata in campo della NATO, dicono i deputati della FS, “…potrebbe rendere difficile fino all’impossibile una futura cooperazione con la Russia. Un progresso potrebbe esserci con la proclamazione di un ‘cessate il fuoco’, seguito dal cercare una soluzione con o senza Assad, attuale capo dello stato, decisa dalla popolazione siriana.”
Nella notte che ha chiuso la Conferenza di Monaco, il Gruppo di Contatto Siriano si era trovato d’accordo su un cessate il fuoco nella guerra civile in Siria, che dovrebbe entrare in vigore entro una settimana.
Il ministro degli esteri USA John Kerry negli stessi giorni ha detto che la Russia si è resa responsabile dell’ulteriore approfondimento della guerra in Siria, dato che: “La gran parte degli attacchi russi finora sono stati diretti contro legittimi gruppi d’opposizione… E’ decisivo che la Russia modifichi le sue scelte su chi, che cosa, attaccare.”
Frank-Walter Steinmeier, ministro degli esteri della Germania alla conclusione della Conferenza di Monaco ha annunciato … “un rinnovato impegno della Germania nei territori di guerra internazionali. La vera forza degli stati non deve essere misurata a quanto essi sono responsabili verso sé stessi, ma, piuttosto, a quanto sono pronti ad assumersi al di là dei propri confini.” La sua collega ministra della difesa Ursula von der Leyen, nella stessa occasione ha voluto precisare che le forze armate tedesche (Bundeswehr)… “dopo la fine della guerra civile devono addestrare-istruire i profughi siriani in funzione della ricostruzione del loro paese.”
Posizioni imperialiste confermate anche dal primo ministro della Francia Manuel Valls; secondo lui gli accordi NATO sul come intervenire in Siria devono dare risposta anche all’ “accoglienza” di profughi. La Francia si è impegnata ad accoglierne 30mila. Non siamo pronti ad andare oltre.”

15 febbraio 2016, da jungewelt.de

***
Alcuni dati sul ruolo dello stato tedesco nelle guerre scatenate negli anni più recenti
La Germania (anche nel 2015) è il terzo più grande esportatore mondiale di materiale bellico, per un fatturato totale nel 2014 pari a 3,97 mld di euro; fatturato che nel solo primo semestre 2015 ha raggiunto quota 3,3 mld di euro.
L’industria bellica tedesca vende armi a Israele come a tutti i paesi arabi del Mediterraneo e no.
Nel 2014 l’acquisto di Israele, più elevato di ogni altro stato sopracitato, ha superato la cifra di 600 mln di euro; l’Arabia Saudita, in testa ai paesi arabi, ha speso 65 mln di euro; l’Irak oltre 10 mln…
Questi dati nel solo primo semestre 2015 in generale sono raddoppiati e oltre: per esempio l’Irak ha speso 26 mln di euro, il Marocco è passato da 62 mln a 457 mln; l’Oman da 3 mln a 35…
Fra le armi vendute vanno compresi a cominciare dal 2004 i droni lanciati contro località, persone in Pakistan tuttavia pilotati dalla base aerea di Ramstein in Germania… a sua volta attiva nella guerra in Afghanistan sin dall’inizio, 2001…
Assieme alla vendita di armi la Germania è attiva direttamente in tutte le guerre; la Bundeswehr, forze armate della Germania, schiera migliaia soldat*, aerei, carri armati (Panzer) dall’Afghanistan fino alla Somalia, al Mali…
Le guerre hanno causato negli ultimi anni la fuga di 60 mln di persone dai paesi d’origine. Un numero di persone che non riesce a trovare rifugio negli attendamenti dell’ONU assolutamente insufficienti, anche perché gli stati dell’UE non sostengono le organizzazioni previste come l’UNHCR. Anche per questo le persone in fuga mirano direttamente a raggiungere i paesi europei.
Altra direttiva imperialista che impoverisce i paesi africani, arabi… è il divieto dei dazi all’importazione. La scomparsa dei dazi per i paesi africani, per esempio su pesce, verdura e frutta, su materie prime quali oro, argento, rame… in Africa distrugge l’agricoltura, la pesca, l’industria mineraria… condizione che provoca disoccupazione, miseria e dunque fuga, emigrazione.
da ‘gefangenen info’, gennaio 2016


Libia: verso un’altra campagna di guerra
Il 22 marzo scorso Sidney Blumenthal, consulente della Fondazione Clinton, scriveva a Hillary Clinton, attuale Segretario di Stato USA che, a fine febbraio del 2011, alcuni funzionari del Dgse (il servizio segreto francese) avevano avuto una serie di incontri riservati con il leader del National Libyan Council Mustafà Jalil, nel corso dei quali erano stati presi accordi perché il nuovo governo libico favorisse le aziende e gli interessi nazionali francesi, soprattutto per quanto riguarda l'industria petrolifera.
«La Francia - scriveva Blumenthal - porta avanti un programma per spingere il nuovo governo a riservare il 35 per cento dei contratti petroliferi ad aziende francesi, in particolare la Total». E aggiungeva che Jalil sarebbe stato pronto a favorire aziende francesi, inglesi e statunitensi, mentre invece era ostile all'ENI e al governo italiano.
La Francia di Hollande e l'Inghilterra di Cameron vogliono dunque assicurarsi una buona fetta del petrolio libico, ai danni dell'industria petrolifera italiana. Ma, per far questo, debbono avere non soltanto il consenso del governo libico, ma il pieno controllo del territorio, una parte del quale è ormai occupata dall'Isis intorno alla roccaforte di Sirte.
Nella prima metà di gennaio l'obbiettivo che la Francia imperialista di Hollande si era data (dopo aver ottenuto l'applicazione dell'art. 42.7 del Trattato dell'Unione Europea sulla cosiddetta "solidarietà" in caso di aggressione) era molto chiaro: bombardare subito. E tutto era pronto: aerei da ricognizione, aerei da bombardamento, aerei da rifornimento in volo, elicotteri, droni, forze speciali in territorio libico per guidare i missili e le bombe a guida laser sugli obbiettivi prescelti. Il governo imperialista di Cameron, che ha anch'esso deciso di partecipare ai bombardamenti, aveva già offerto alla Francia la base della Raf di Akrotiri a Cipro.
Ma il governo imperialista italiano è intervenuto ai massimi livelli per sventare l'azione immediata, col pretesto che il «governo di unità nazionale» libico patrocinato dal mediatore ONU Kobler, non era ancora pronto; tuttavia, Renzi e i suoi ministri degli Esteri e della Difesa hanno affermato che anche l'Italia era pronta all'azione militare contro l'Isis, se fosse stata richiesta dal governo fantoccio libico.
Dopo il colpo ricevuto nel 2011, l'imperialismo italiano non può rinunciare al petrolio della Libia e ai profitti dell'ENI e, per ragioni geo-strategiche di influenza nel Mediterraneo, non può permettere che l'azione contro l'Isis sia compiuta a guida anglo-francese. Perciò spinge per un intervento più ampio, con la NATO e la UE.
Ma l'area del conflitto non sarebbe certo limitata all'altra riva del Mediterraneo.
I bombardamenti dovrebbero avere per obbiettivo anche i territori occupati dallo Stato islamico in Siria: Raqqa in primo luogo (che avrebbe anche un significato simbolico, perché lì sono stati progettati gli attentati di Parigi e di Beirut e quello contro l'aereo russo nel Sinai) e poi di nuovo l’Iraq, che dovrebbe essere la battaglia decisiva per le forze di terra, comprese quelle USA.
Non a caso l’armata brancaleone di Renzi, Pinotti e Gentiloni ha preso la sciagurata decisione di inviare i soldati a Mosul, una volta che avrà messo le mani sulle commesse milionarie della diga. Guerra e affari, si sa, vanno a braccetto.
La nuova aggressione imperialista in Libia si farà? Le premesse ci sono tutte. La formazione del nuovo governo libico diretto da Fayez Al Sarraj è stata accolta dai vari governi imperialisti (compreso quello di Renzi) come il segnale da tempo atteso.
Ma la situazione si è momentaneamente complicata perché il Parlamento di Tobruk ha negato la fiducia al nuovo governo di “riconciliazione”.
Intanto il fanatismo jihadista ha lanciato nuove gravissime minacce, annunciando di voler colpire Roma e Napoli. Ecco l’altra faccia degli interventi imperialisti.
La guerra avanza, ma a differenza degli anni del Vietnam non esiste più nel nostro paese un ampio movimento di lotta alla guerra imperialista.
Questo movimento è da ricostruire al più presto attraverso l’unità delle forze coerentemente antimperialiste e antifasciste, per il ritiro di tutte le truppe inviate all’estero, per dire basta alle spese militari, per l’uscita dalla NATO e dall’UE guerrafondaie e antipopolari, la cacciata delle basi USA.
Le manifestazioni dello scorso 16 gennaio, sia pure con i loro limiti, hanno infranto il clima di passività e creato una premessa che va sviluppata senza indugi per dare vita una forte opposizione popolare alla guerra imperialista.

da piattaformacomunista.com, in Scintilla, n. 66 – febbraio 2016

***
COMUNICATO SUL CONVEGNO “PALESTINA E DINTORNI”
Sabato 23 Gennaio 2016, Roma ha ospitato la Conferenza Nazionale “Palestina e Dintorni. Palestina oggi, avanguardia della resistenza internazionalista” del Fronte Palestina.
Le compagne ed i compagni arrivati con il treno hanno respirato immediatamente l’aria di guerra cui ci sta conducendo questo governo a guida PD: la stazione Termini era attraversata da militari con mitra ben esposto, carabinieri, polizia ed agenti delle ferrovie anche loro in divisa e ben addomesticati all’uso di controllo, ma soprattutto ad abituare i viaggiatori che disagi e disgusto sono necessari per la “sicurezza”.
Anche il luogo dove si è tenuta la Conferenza era presidiata da “gipponi” della polizia ed agenti della DIGOS con la pretesa di entrare nella sala e portare via documentazione... Chiunque siano stati i mandanti (i sionisti?), il messaggio di intimidazione filosionista e di “stato di emergenza” è stato comunicato platealmente, stabilendo il precedente di un convegno a porte chiuse presidiato da blindati e di intrusione – a cui ci siamo opposti - dentro dei locali, senza mandato di perquisizione. Questo è il clima della guerra imperialista e dell'arroganza sionista. Va ricordato che, alcune settimane prima, nella sala accanto, lo stesso clima si era già respirato con la revoca censoria da parte dell'ANPI, sempre più sensibile ai diktat sionisti, della presentazione del libro di A. Hart “Sionismo il vero nemico degli Ebrei” tradotto da D. Siragusa.
La Conferenza ha visto oltre una settantina compagne e compagni, che sono rimasti presenti per tutto il giorno, a dimostrazione del grande interesse per gli interventi molto qualificati. [...]
31 gennaio 2016, Fronte Palestina


guerra, sfruttamento, jobs act: Sciopero Generale!
La Confederazione Unitaria di Base, in sigla CUB, il Sindacato Intercategoriale Cobas Lavoratori Autorganizzati, in sigla SI Cobas e l’Unione Sindacale Italiana AIT, in sigla USI-AIT proclamano lo SCIOPERO GENERALE di tutte le categorie pubbliche e private per l'intera giornata del 18 marzo 2016, per i turnisti compreso il primo turno montante. Per i Ferrovieri lo sciopero è dichiarato dalle 21 del 18 marzo alle 21 del 19 marzo.
Motivazioni dello sciopero:
- Contro la guerra e gli interventi militari all’estero che dietro al pretesto della lotta al terrorismo promuovono piani imperialistici di sfruttamento e oppressione.
- Contro l’accordo sulla rappresentanza del 10/01/2014 tra confindustria, cgil, cisl uil atto adirreggimentare le rappresentanze dei lavoratori e il diritto di sciopero; la libertà di organizzazione sindacale e di sciopero.
- Contro la politica economica e sociale del governo Renzi e dell’unione Europea, contro il jobs Act e le altre misure per il mercato del lavoro, contro l’abolizione dell’art.18.
- Contro il blocco dei contratti pubblici e privati, l’aziendalizzazione della contrattazione e la individualizzazione del rapporto di lavoro; contro le privatizzazioni, le grandi opere dannose e la distruzione del territorio.
- Contro la legislazione che a vario modo favorisce precarizzazione e forme di sfruttamento selvaggio(esternalizzazioni, appalti, sub-appalti, cooperative di comodo) come ampiamente appurato nel settore della logistica, del cargo e della salute pubblica e privata.
- Contro la riforma della scuola, per la stabilizzazione del personale.
- Contro il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio inserito nella costituzione.
- Contro la riforma del mercato del lavoro, che lascia milioni di disoccupati privi di mezzi di sussistenza e promuove lavoro gratuito, per la garanzia del salario.
- Per la redistribuzione del reddito attraverso consistenti aumenti salariali per tutti i lavoratori e pensionati.
- Per la rivalutazione delle pensioni, riduzione degli anni per il diritto alla pensione, salute e sicurezza sui posti di lavoro. Diritto all’abitare, contro la precarietà e lavoro gratuito.
- Per il diritto al lavoro, attraverso la riduzione d’orario a parità di salario, investendo per la bonifica dei siti inquinati, la messa in sicurezza del territorio, il risparmio energetico e le energie alternative.
- Per la libertà di circolazione della forza lavoro, la parità di diritti agli immigrati e l’integrale abolizione della legge “Bossi-Fini”.
Durante lo sciopero generale saranno garantiti i servizi minimi essenziali.Eventuali articolazioni di categoria e/o territoriali saranno comunicate a cura delle stesse.Si rammenta alle istituzioni  in indirizzo di garantire il rispetto dell’informazione all’utenza sullo sciopero come previso dallìart. 2 comma 6 della legge 146/90 e successive modificazioni.


La morte di Giulio Regeni
Giulio Regeni - studente friukano di 28 anni a Cambridge, vicino a laurearsi, scriveva anche (con pseudonimo) su Il Manifesto - è stato fermato al Cairo martedì 25 gennaio, insieme ad una quarantina di oppositori dell’attuale governo che si stavano preparando a manifestare in piazza Tahrir in occasione del quinto anniversario della rivolta.
In seguito è stato trasferito con tutti gli altri in una caserma della polizia o in una delle sedi del Mukhabarat (servizi segreti egiziani). Interrogatori e violenze sarebbero andate avanti fino alla sera di sabato 30 gennaio. Si parla di 31 ossa rotte, di bruciature di sigaretta, di un orecchio mozzato, certo di uno o più colpi alla testa che hanno causato emorragie e lesioni fatali. Infine, è stato “ritrovato” mercoledì 3 febbraio morto abbandonato in un fosso nella periferia sempre del Cairo.

“Giulio Regeni era scomodo, dava fastidio, perché si occupava di quei soggetti di cui nessuno vuole più parlare: i lavoratori… Ma in questo mondo, piombato nella più grave crisi economica e politica della sua storia, scrivere dei lavoratori significa anche attirare l’attenzione delle polizie e dai servizi segreti di mezzo mondo. In Egitto più che altrove. Perché in nessun altro paese del mondo si sono registrate mobilitazioni operaie così imponenti e vaste come nell’Egitto degli ultimi anni, prima, durante e dopo la sollevazione del 2011, fino a quando non è scesa la notte con il colpo di stato del generale al-Sisi, “amico personale” di Matteo Renzi.
Quel che è successo in Nord Africa e in Medio Oriente, nel 2011, è stata una gigantesca mobilitazione sociale e operaia per chiedere giustizia sociale, eguaglianza, dignità… Per avere una conferma di ciò basterebbe osservare quel che è accaduto in Tunisia qualche giorno fa, dove migliaia di giovani, poveri, lavoratori e disoccupati sono tornati a far tremare le strade e le piazze tunisine, chiedendo giustizia sociale. Giulio voleva rappresentare coloro che vogliono nasconderci, a tutti i costi: i lavoratori. Com’è possibile che non riusciamo mai a leggere articoli sui lavoratori e sulle lavoratrici in Egitto, in Tunisia, in Siria? Eppure sono milioni. Eppure sono la maggioranza...” (estratti da “Operai Contro”, 6 febbraio 2016)

Il Manifesto" del 5 febbraio è uscito con l’ultimo articolo di Giulio Regeni, pubblicato qualche settimana prima, titolato "In Egitto, la seconda vita dei sindacati indipendenti" eccone degli stralci:
“Al-Sisi, ha ottenuto il controllo del parlamento con il più alto numero di poliziotti e militari della storia del paese mentre l'Egitto è in coda a tutta le classifiche mondiali per rispetto della libertà di stampa. Eppure i sindacati indipendenti non demordono. Si è appena svolto un vibrante incontro presso il Centro Servizi per i Lavoratori e i Sindacati (Ctuws), tra i punti di riferimento del sindacalismo indipendente egiziano. Sebbene la sala più grande del Centro abbia un centinaio di posti a sedere, la sera dell'incontro non riusciva a contenere il numero di attiviste e attivisti sindacali giunti da tutto l'Egitto per un'assemblea che ha dello straordinario nel contesto attuale del paese.
L'occasione è una circolare del consiglio dei ministri che raccomanda una stretta collaborazione tra il governo e il sindacato ufficiale Etuf (unica formazione ammessa fino al 2008), con il fine esplicito di contrastare il ruolo dei sindacati indipendenti e marginalizzarli tra i lavoratori. Ciò rappresenta un ulteriore attacco ai diritti dei lavoratori e alle libertà sindacali, fortemente ristrette dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013. Sebbene oggi Ctuws non sia rappresentativo della complessa costellazione del sindacalismo indipendente egiziano, il suo appello è stato raccolto, forse anche inaspettatamente, da un numero molto significativo di sindacati. Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla 'guerra al terrorismo', significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile"

febbraio 2016, da fonti diverse

***
Parole vuote. Sull’Italia, l’Egitto, e la giustizia per Giulio
Fratture multiple, bruciature di sigaretta, abrasioni, unghie strappate, tutte le dita rotte, decine di lacerazioni su tutto il corpo, sulle piante dei piedi, e sulle orecchie, e per concludere la rottura del collo e il soffocamento. Il corpo di Giulio è stato ritrovato seminudo lungo il ciglio di una strada.
I segni dei servizi di sicurezza egiziani sono immediatamente riconoscibili. Nessuno ha dubbi sulla mano che ha ucciso Giulio Regeni. E così i rapporti diplomatici ed economici tra Egitto e Italia sono stati spinti a forza sotto i riflettori.
Il governo italiano si è espresso con dichiarazioni forti. Il ministro degli esteri ha reiterato: “Non ci accontenteremo di verità di comodo”, mentre il ministro dell’interno ha affermato che leggere i risultati dell’autopsia “è stato come un pugno nello stomaco dal quale non ci siamo ancora ripresi”. Il Financial Times ritiene che l’uccisione di Regeni “rischia di mettere in pericolo le strette relazioni tra Roma e il Cairo”.
E’ un ritornello ricorrente, nei media. Ma c’è del vero in queste dichiarazioni? I ministri affermano di ricercare la verità, ma di quale verità si tratta? La verità sull’uomo che ha materialmente inferto il colpo mortale oppure sul sistema che sul quel colpo è stato costruito? E soprattutto dobbiamo chiederci: qual è il ruolo dell’Italia dentro quel sistema?
L’Italia è stata, per decenni, la principale destinazione delle esportazioni egiziane. L’Italia mantiene nel paese attività per un valore di 2,6 miliardi di dollari, comprese partecipazioni importanti nel settore del petrolio e del gas, nell’industria del cemento, nelle banche e nei trasporti.
L’Italia vende all’Egitto armi, munizioni, e veicoli blindati destinati alla polizia. Nei cinque anni che hanno portato alla rivoluzione del 2011, l’Italia aveva venduto all’Egitto armi leggere e munizioni per un valore di 48 milioni di dollari. I camion della polizia che riempiono le strade di ogni città egiziana, che trasportano le forze antisommossa e che passano sopra i manifestanti sono prodotti da un’azienda italiana, la Iveco. Centinaia di migliaia di proiettili sparati contro i manifestanti possono essere ricondotti a una fabbrica italiana di armi, la Fiocchi.
Le armi, però, sono solo una piccola parte di questa storia. Le aziende italiane fanno soldi in tutto l’Egitto. Prendiamo il cemento, per esempio: l’industria del cemento egiziana è il settore con i più alti profitti in una economia-paese che sta crollando. Quando il patrimonio pubblico è stato svenduto a causa dell’agenda neoliberale di Mubarak, tre grandi società sono arrivate a dominare la scena della produzione del cemento egiziano, vale a dire la francese Lafarge, la messicana Cemex, e l’italiana Italcementi. Queste società, messe assieme, godono di un monopolio che consente loro di applicare prezzi fissi con percentuali di profitto sbalorditive, rese possibili anche, tra le altre cose, da condizioni di lavoro criminali e dall’elettricità che viene sovvenzionata dal governo egiziano.
Il 2 febbraio, due giorni prima del ritrovamento del corpo di Giulio, il ministro italiano per lo sviluppo economico stava guidando una delegazione di 60 grandi imprese che cercavano “di sfruttare i vantaggi competitivi dell’Egitto”. Due giorni dopo, Giulio fu abbandonato sul ciglio di una strada e la delegazione se ne è tornata tranquillamente a casa. Come ha però sottolineato un funzionario, “nessuno da parte italiana vuol mettere in discussione le intese sulle quali stiamo lavorando… dal punto di vista tecnico, l’omicidio e le relazioni economiche sono due questioni scollegate”.
L’incrollabile sostegno dell’Unione Europea al regime di Al Sisi è però una parte essenziale della condizione permanente del senso di impunità che consente ai servizi di sicurezza di torturare continuamente e di uccidere persone senza alcun timore di essere puniti. Quando l’Italia manda le sue delegazioni commerciali ogni anno, quando il suo primo ministro si alza in una conferenza economica egiziana e dice “La vostra guerra è la nostra guerra, e la vostra stabilità è la nostra stabilità”, vuol dire solo una cosa. Fate ciò che avete bisogno di fare per rimanere al potere, per mantenere vivi i “vantaggi competitivi” dell’Egitto per lo sfruttamento capitalistico.
Imprese come Italcementi fanno affidamento sull’apparato di sicurezza dell’Egitto per mantenere forte quel vantaggio competitivo. Se non fosse per il pugno di ferro dei servizi di sicurezza, se non fosse per la loro repressione della protesta, del dissenso, dell’attivismo sindacale quegli alti margini di profitto non potrebbe mai essere sostenibili. Jack Shenker descrive la storia della Italcementi in Egitto nel suo nuovo libro intitolato Egyptians: a radical history:
“La mastodontica Helwan Cement Company fu fondata nel 1929 con un decreto reale… Nel 2001 è stata acquistata per una quota da un società svizzera di management e consulenza, che successivamente è stata sostituita dalla più grande società di investimento privato della regione, prima di essere acquistata dalla sussidiaria francese di una multinazionale italiana, che continua a gestire l’impianto ancora oggi. I nuovi proprietari hanno approfittato della riforma della legislazione sul lavoro in Egitto, imposta dalle pressioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, che ha consentito ai dirigenti di mettere i lavoratori sotto contratto temporaneo virtualmente senza indennità né assicurazione. Contratti che potevano essere rinnovati per un tempo indefinito. Nel 2007 un centinaio circa di lavoratori che erano stati impiegati continuativamente per più di cinque anni attraverso questo tipo di contratti temporanei sono stati licenziati senza preavviso. La loro richiesta di parlare al direttore non è stata accolta, e sono stati messi fuori dai cancelli della fabbrica. Un leader sindacale locale ha detto che la decisione avrebbe “privato centinaia di famiglie dell’unica fonte di reddito”. Quell’anno, la società madre della Helwan Cement, e cioè la Italcementi, che ha la sua sede a 1600 km di distanza a Bergamo, ha avuto un utile netto di 613 milioni di euro.”
Giulio Regeni era andato in Egitto per fare ricerca sui movimenti sindacali informali. Nel suo ultimo articolo, aveva discusso della “ondata massiccia di privatizzazioni durante l’ultimo periodo dell’era Mubarak” e di come la politica del regime di Al Sisi fosse “un ulteriore attacco ai diritti dei lavoratori e alle libertà sindacali”. Aveva lodato “i sindacati indipendenti … che rifiutano di arrendersi” e “il loro coraggioso mettere in dubbio la retorica che il regime usa per giustificare la sua stessa esistenza”. E quindi dobbiamo anche mettere in discussione la retorica del regime internazionale, mettere in cima alle nostre discussioni le modalità secondo le quali paesi economicamente rilevanti come l’Italia traggono benefici dal mantenimento di regimi dittatoriali degli Stati clientes, per sfruttare meglio le loro risorse naturali e il lavoro. Le elite affaristiche locali e le aziende internazionali raggiungono profitti astronomici mentre i servizi di sicurezza reprimono l’opposizione interna. Quella stessa repressione che ha incluso per lungo tempo la tortura e l’uccisione di attivisti sindacali, e che oggi ha compreso anche Giulio.
Il ministro dell’interno Angiolino Alfano ha detto che la lettura dei risultati dell’autopsia “è stata come un pugno nello stomaco”, e la sua dichiarazione è diventata virale. Eppure si tratta dello stesso ministro che, mettendo da parte il fatto che sia stato un importante alleato di Silvio Berlusconi, ha estradato come tutti sanno la moglie e il figlio di un dissidente politico, mandandoli verso un destino sconosciuto in Kazachstan, dove il gigante del comparto energetico italiano ENI ha una partecipazione importante nell’impianto petrolifero di Kashaghan.
Nell’agosto scorso, la stessa società, l’ENI, ha scoperto un giacimento di gas “supergigante” nelle acque di fronte alla costa settentrionale dell’Egitto. L’ENI ha annunciato con orgoglio che si trattava del più grande giacimento del Mediterraneo per un valore stimato di oltre cento miliardi di dollari. Con tutti questi soldi sul tavolo, è difficile dare credito a quelle che nei giornali vengono definite relazioni tese.
Certo, se l’Italia fosse stata seria nel promuovere giustizia, diritti umani, democrazia e lotta alla impunità, così come tutti gli Stati membri dell’Unione Europea dichiarano di essere, allora il tono della conversazione adesso dovrebbe essere completamente differente. Non solo si dovrebbero usare a proprio vantaggio gli interessi economici contro Al Sisi, ma ci troveremmo anche a parlare di giustizia economica e di come far finire questa economia di sfruttamento che rafforza i ricchi e schiaccia i poveri. Staremmo a discutere quali riparazioni i paesi e le imprese del nord dovrebbero dare al sud per decenni di saccheggio, consentito dal rafforzamento economico di regimi oppressivi, e discuteremmo di come liberarci di questi regimi una volta per tutte.
Non c’è però fame di questo tipo di giustizia. Ci sarà forse solo uno stop temporaneo alla vendita di armi o alle perforazioni, o lo stralcio di un solo euro da una qualsiasi delle economie liberalizzate e tremendamente redditizie.
Ci saranno dichiarazioni dure. Forse potremo veder comparire anche un poliziotto in tribunale. E poi? Niente si farà per affrontare la violenza endemica che lo Stato egiziano abbatte sui suoi sudditi, oppure l’attiva partecipazione italiana a questa economia della violenza. Forse la polizia ci penserà due volte prima di torturare il prossimo straniero sino alla morte, ma non farà nulla per le migliaia di egiziani che languiscono nelle prigioni oggi o per le centinaia di famiglie che ancora piangono i figli che hanno perso ieri. In questi momenti di lutto e di rabbia è importante non accettare qualsiasi soldato semplice che sarà offerto in sacrificio per placare gli animi, ma considerare la morte di Giulio come il risultato di un sistema che è mantenuto attivamente da attori potenti in tutto il mondo. Giulio Regeni si è unito alla schiera dei martiri in Egitto, e avrà giustizia solo quando verrà resa giustizia a Mohammed al Guindy, Talaat Shabib, Adel Abd el Sami, Mohammed al Shafie e tutti gli altri nomi che sappiamo e tutti quelli che ancora non conosciamo.

16 febbraio 2016, da invisiblearabs.com

***
egitto: I medici si mobilitano contro le violenze della polizia
Il sindacato dei medici ha chiesto le dimissioni del ministro della sanità Ahmed Emad e il suo deferimento alla commissione disciplinaria, tra le altre decisioni in risposta alle violenze contro i dottori perpetrate da funzionari di polizia. Il sindacato ha chiesto le dimissioni del ministro per non aver preso adeguate misure per proteggere i medici dagli abusi, includendo aggressioni fisiche.
La votazione ha avuto luogo venerdì in una riunione straordinaria dell'assemblea generale nel sindacato dei medici, che è stata convocata per dare una risposta alle continue violenze, tra cui un recente caso grave a Matareya. Dieci mila medici si sono presentati per la riunione al Cairo, una riunione che generalmente ha bisogno di solo mille presenze per votare azioni sindacali. Sono stati votati 18 punti, inclusa una protesta a livello nazionale da tenersi il giorno 20 di febbraio nei diversi ospedali egiziani.
I medici hanno chiesto alla Corte Suprema egiziana di sanzionare gli ufficiali implicati nel caso a Matareya e hanno espresso solidarietà al diritto dei medici di scioperare se loro o l'ospedale sono soggetti ad un attacco. Inoltre hanno votato perchè si approvi una legge che punisca chiunque sia riconosciuto colpevole di un attacco a un ospedale o al suo personale e che sia proibito l'ingresso di personale armato negli ospedali a meno che non si tratti di personale di sicurezza interno.
Hanno anche chiesto inoltre la sospensione delle visite private il 19 marzo oppure dedicare quel giorno soltanto a visite di controllo gratuite. Hanno inoltre convenuto che, a partire dal 27 febbraio tutti gli ospedali pubblici devono fornire solo servizi gratuiti.
In una dichiarazione distribuita in occasione dell'assemblea sindacale di venerdì, il sindacato ha detto che il personale medico in vari ospedali era stato più volte sottoposto a violenze. La dichiarazione ha anche criticato la decisione del governo creare un authority che programmi corsi di aggiornamento per i medici, iniziativa che, secondo il sindacato, il governo non ha il diritto di prendere, infatti la decisione è stata presa senza consultare nessun organismo competente e ciò rappresenta una violazione della Costituzione. Diversi personaggi pubblici e membri di altri sindacati hanno partecipato alla riunione in solidarietà.
Alla fine del mese scorso, due agenti di polizia hanno aggredito due medici presso l'Ospedale Matareya dopo che i medici si sono rifiutati di falsificare i referti medici in loro favore. I medici sono stati presi dall'ospedale e trascinati in un minibus, ammanettati e portati alla stazione di polizia di Matareya. Mona Mina membro del consiglio dei medici del sindacato ha detto che "teppismo" non è sufficiente a descrivere le aggressioni commesse da agenti di polizia contro i medici presso l'ospedale Matareya il mese scorso. Ha aggiunto che il sindacato farà tutta una serie di lotte contro questa "ingiustizia".
I medici hanno presentato una denuncia contro la polizia, che poi hanno ritirato di fronte all'intimidazione da parte del Ministero dell'Interno. Gli ufficiali di polizia hanno quindi accusato i medici di essere loro gli aggressori.
L’1 febbraio, l'Ospedale Matareya é stato chiuso per alcuni giorni a causa di intimidazioni e minacce da parte della polizia contro due medici. Viste le crescenti proteste e lo sciopero generale dei medici, il Ministero degli Interni ha sospeso otto poliziotti coinvolti nell'incidente e domenica li ha deferiti agli affari interni domenica.
Sabato 20, i dottori hanno quindi manifestato in silenzio in tutto il paese contro gli attacchi della polizia agli ospedali pubblici delle settimane precedenti.
Il sindacato dei dottori ha annunciato che Sabato sarebbe stato il “giorno della dignità”, chiamando i dottori del paese a protestare negli ospedali pubblici contro i recenti attacchi della polizia allo staff medico.
Il sindacato dei dottori Sabato 20 Febbraio ha pubblicato delle foto mostrandole nelle proteste silenziose in tutti gli ospedali del paese. Cairo, Alessandria e nell'alto Egitto. I dottori mostrano cartelli con le immagini e con slogan che chiedono sicurezza e dignità. Tra le richieste più importanti c'e' quella relativa alle sanzioni verso il personale della polizia che ha aggredito i medici e una legge che impedisca che questo possa succedere ancora.
“I medici hanno minacciato con continuare e moltiplicare le proteste e scioperare se le loro richieste non vengono accettate”, ha dichiarato a Mada Masr Ihab Taher, segretario generale del sindacato dei dottori. Ha aggiunto che cureranno i cittadini senza chiedere soldi a cominciare da Sabato prossiomo per smascherare le “bugie” del governo riguardo alla sanità pubblica e alla loro presunta poca attenzione ai pazienti. Tra gli argomenti della prossima assemblea, il 25 di Marzo discuteranno di possibili dimissioni di massa dei medici se le loro richieste non saranno prese sul serio.

12 e 21 febbraio 2016, da madamasr.com


lettera dal carcere di Terni
Miei cari amici… sto riflettendo su una serie di problematiche, la situazione in Medio Oriente, gli abusi dell’occidente legati alla propria economia capitalistica e la conseguente migrazione massiccia; condivido il pensiero esposto dai miei amici anarchici e da voi, tuttavia raggiungo conclusioni leggermente diverse.
E’ vero, l’occidente è 100 anni che fa il bello e il cattivo tempo in medio-oriente, alla fine della prima guerra mondiale l’impero ottomano era stato sventrato, i territori dell’attuale Siria, Iran, Iraq e via dicendo divennero protettorati di America, Inghilterra e Francia, e che ci stavano a fare lì? Petrolio, sì, già allora.
Altro esempio, gli Alawiti, minoranza religiosa da cui proviene Assad, sempre alla fine della prima guerra mondiale era stato foraggiato da francesi, interessati a metter mano alle ricchezze di quel territorio, quando gli Alawiti salirono al potere i francesi ebbero la loro controparte. E’ storia, e la storia parla di uomini, delle loro azioni, del loro cammino nei secoli, ma la storia non può scindersi dalla natura umana e dalla sua relazione con l’ambiente.
L’occidente europeo è stato avvantaggiato da un insieme di fattori geografici e da un insieme di casualità accessorie che gli hanno consentito di avere una supremazia mondiale soprattutto di tipo economico. Se queste fortune fossero capitate in medio-oriente, in Africa, o tra i nativi americani a quest’ora saremmo noi ad essere subordinati a loro. Gli esseri umani sono uguali a sé stessi, a qualsiasi latitudine e longitudine, non esistono razze, un africano è geneticamente portato tanto quanto un caucasico a compiere soprusi, certo ci sono culture che acutizzano questa naturale propensione, ma la cultura a sua volta è figlia dell’ambiente a cui gli individui – generatori di cultura – soggiacciono.
I mori secoli fa hanno islamizzato il Nord Africa e quasi ci riuscivano anche con l’Italia e la Spagna; l’hanno fatto non certo con fiori e cous cous, la loro cultura era l’islam e combattevano in nome di quella, spinti dalla convinzione che le loro idee fossero migliori, gli è andata male. Con questo non voglio assolutamente dire che è giustificato il modo in cui l’occidente ha portato avanti la sua politica estera, solo si deve riconoscere che è profondamente conforme alla nostra imprescindibile natura umana. Noi siamo animali non piante, siamo eterotrofi, ossia dobbiamo assumere nutrimento dall’esterno perché non lo autoproduciamo come le piante, per questo noi lo cerchiamo spostandoci, consumiamo risorse e ci spostiamo nuovamente quando finiscono. È la storia del mondo perché l’uomo è un divoratore.
Non è un invito alla rassegnazione, è un invito alla comprensione sull’origine dei comportamenti umani; è necessario per individuare la via adatta alla risoluzione dei problemi.
Tornando al discorso iniziale, è doveroso condannare ogni comportamento capitalistico-imperialista, generatore di disequilibrio, diseguaglianze e di odio – elemento primo che nutre il desiderio di morte e fortifica il terrorismo; non esiste terrorismo senza odio, ma sempre sul terrorismo e a riguardo di alcuni scritti pubblicati dai compagni ci tengo a fare un esempio (forse già fatto): se fumo 2 pacchetti di sigarette al giorno, qualora dopo 20 anni mi venisse un tumore sarà del tutto inutile sottolineare ad oltranza che la causa del male è stato il fumo e non sarà neanche sufficiente rimuovere la causa ed adottare comportamenti virtuosi, il tumore dovrà essere sradicato.
L’Isis è il tumore, il continuare a ricordare che è stato creato dalla balordaggine dei nostri stati diventa polemica sterile perché travalica lo scopo informativo.
E sull’immigrazione, con lo stesso metodo sopra esposto mi avvicino al problema. L’immigrazione ha molte cause, in primis la guerra di cui noi (anche con i nostri consumi) siamo responsabili, l’altra (un’altra) è il nostro benessere ostentato, esagerato che come è ovvio invoglia chi non ne è possessore a raggiungerlo; e poi, non è stato forse l’imperialismo ad inculcare ai popoli conquistati che il nostro modo di vivere era migliore e più confortevole per loro?
Oggi il problema migratorio è ancora più complesso e problematico e non capisco perché pochi miei compagni lo ammettono. Gli uomini sono naturalmente xenofobi, cioè sono tendenzialmente impauriti, infastiditi da chi è diverso da noi. E’ un tratto genetico degli animali sociali, è un tratto che ci ha consentito di popolare il mondo (oltre che a distruggerlo ed a farci la guerra) e che ha favorito l’altruismo umano, sì l’altruismo, perché riconoscendo i propri simili dai dissimili, diventiamo capaci di sentirci parte di un gruppo, e per i membri dello stesso gruppo siamo capaci di grande gesti altruistici, come controparte ci contrapponiamo naturalmente ai membri di un altro gruppo (esempio stupido i tifosi).
La religione enfatizza l’appartenenza ad un gruppo poiché eleva ogni singolo fedele a eletto, ma acuisce anche con più veemenza lo scontro tra le parti. Eccolo qua l’altro impiccio dell’attuale migrazione (e non solo oggi, anche nel passato è stato un bel problema) la religione, e quella islamica detta precetti morali e di comportamento molto sentiti dalle popolazioni musulmane e questo perché dove l’islam esiste è meno presente la cultura laica, e dove manca la cultura laica la religione diventa l’unica forma di cultura.
Ritornando all’ondata migratoria quando imponente è generatrice solo di scontri e disordini. La storia insegna che per fare amalgamare due popolazioni con culture diverse, di cui una è migrante e l’altra residente, sono necessari alcuni presupposti. Il primo è che la migrazione sia, anche se continua, numericamente esigua, secondo, che avvenga in tempi necessari affinché l’amalgama culturale possa avvenire. Lasciare che milioni di persone si riversino in Europa è un Errore specialmente se di religione islamica.
Non sono islamofobo, ma l’islam è una religione che ha avuto un percorso evolutivo più breve del cristianesimo, benché abbia radici simili per un insieme ha ancora un’influenza radicale sulle popolazioni musulmane (con questo non voglio dire che ogni musulmano sia estremista), il musulmano non discerne tra dogma e verità reale. Mi spiego, per un musulmano il porco è impuro, punto e basta, non ammette il discorso che in un tempo in cui la scienza non esisteva gli ebrei (prima) e i musulmani (dopo) capirono che il maiale (animale onnivoro) era un animale non adatto a quei climi e che la carne tendeva a provocare tricomoniasi a causa del tricomonos presente nei suini; per i musulmani il profeta ha detto così e non ci sono storie. La carne halal (carne pura) è tale quando prevede l’immolamento dell’animale, non capiscono che molti precetti, divenuti regole sacre, affondano la loro validità nei tempi passati, in epoche in cui le esperienze empiriche trovavano la risoluzione dei problemi pratici e diventavano leggi, e cosa è meglio per farle osservare che non dire che è parola di Dio?
Insomma, qua in occidente abbiamo fatto tanto per affrancarci dalla religione ed ora corriamo il rischio di accogliere ad oltranza individui che non vogliono saperne del nostro laicismo? Dai ragazzi, è un problema realistico, è scomodo ammetterlo per chi crede nei fondamenti dell’anarchia, cambiare il mondo si può ma le scelte devono essere prese non su basi economiche ma neanche su basi puramente idealistiche, sempre con la giusta precauzione e oggettività. Accogliere indiscriminatamente potrebbe far sì che tra vent’anni ad integrazione non avvenuta dovremo combattere su un modo di pensare che noi avevamo creduto di aver già sconfitto.
Non vuole il mio essere un discorso nazionalista, ma vuole essere invece un discorso in difesa della laicità e delle nostre comuni radici culturali che debbono essere rispettate da chi decide di vivere nel nostro paese. L’immigrazione massiccia diventa una dittatura che purtroppo per estremizzazione viene combattuta dalla paura del diverso o magari dalla sua reale prepotenza) con un’altra dittatura.
Alcuni opuscoli, per quanto dicano il vero, per quanto siamo obiettivi sulle responsabilità dell’occidente, sembra quasi che legittimino gli attentati terroristici. No! Questo non deve accadere mai. L’occidente con la sua cultura ed il suo laicismo non è interamente da buttar via, io amo la nostra arte e la scienza, anche la tecnologia, benché usata in modo savio, ma questa non-saviezza è insita nell’erroneità della ragione umana, e non solo occidentale. Quello che di buono c’è bisogna difenderlo, poi si possono ammazzare politici, magistrati, far saltare banche, quello che vi pare, ma anche il cittadino medio nella sua stupidità deve essere difeso, e il terrorismo deve essere estirpato.
[...] Qua la situazione non è cambiata, siamo ancora chiusi (puniti) per il fatto dei telefoni… abbiamo organizzato la battitura e lo sciopero del carrello, appena il comandante ha chiamato una delegazione (fatta di gente che aspetta permessi…) si sono messi la coda tra le gambe e deciso di abbandonare la protesta…

24 febbraio 2016
Valerio Crivello, via delle Campore 32 – 05100 Terni


torino: rivolta al CIE e presidio solidale
Il Cie torna a bruciare, anche se a essere interessata dall’incendio è solamente l’area bianca. Domenica notte infatti i reclusi lì rinchiusi hanno dato fuoco a tre delle cinque stanze che compongono l’area, lasciandola mezza bruciacchiata. I motivi della protesta sono da ricercare ancora una volta nell’insofferenza alla reclusione e nelle condizioni di vita nel Centro misere e degradanti.
Subito sono stati allertati i pompieri che hanno spento i focolai mentre dodici persone che stavano nelle stanze interessate dall’incendio sono state spostate all’ospedaletto in attesa di rendere di nuovo agibile l’area. Fuori dalle mura qualche solidale ha improvvisato un veloce saluto per dare forza ai ragazzi. Da quello che ci raccontano dentro, sembra che due persone siano state arrestate e si trovino forse alle Vallette, ma ancora non abbiamo notizie certe al riguardo. Quello che invece si sa con certezza è che qualche giorno fa un ragazzo marocchino per evitare l’espulsione si è pesantemente tagliato; per qualche ora gli operatori hanno cercato di ignorarlo rinchiudendolo in isolamento ma poi visto la gravità delle ferite non hanno potuto far altro che portarlo all’ospedale Martini dove è stato operato. Il ragazzo è stato poi riportato al Cie ed è ora rinchiuso in isolamento.
Di storie di resistenza all’espulsione in questi anni ne abbiamo sentite tante e spesso sono storie di autolesionismo, di tagli nel Centro e di testate sull’aereo per cercare di ritardare il rimpatrio e riuscire a raggiungere quei tre mesi di detenzione oltre i quali, secondo la legge modificata nel novembre 2014, non si può più essere trattenuti e le porte del Cie devono essere aperte.
Sono storie di ordinaria violenza che ogni tanto saltano agli onori della cronaca: come la storia di Jose, ragazzo ecuadoregno che la settimana scorsa è stato legato e caricato sull’aereo per essere rimpatriato… in Africa. Questa volta qualcuno si è accorto dell’errore in tempo, ma non tutti sono così fortunati; nella foga di rispettare gli accordi europei, nel tentativo di oliare al meglio la macchina delle espulsioni, velocizzando procedure di identificazione ed espulsione non ci si preoccupa troppo di assicurarsi che il paese in cui si cerca di rimandare indietro chi non ha i documenti per poter restare in Italia regolarmente sia realmente il paese di provenienza. E Jose, dopo il rischio di essere rispedito in un paese che non era il suo, ha opposto resistenza ancora una volta quando, caricato su un aereo a Malpensa, stava per essere espulso questa volta in Ecuador. Con urla e testate contro il finestrino il ragazzo è riuscito a farsi portar giù dall’aereo e a rinviare ancora il suo rimpatrio.
La notizia di due ragazzi tunisi portati alle Vallette è stata poi confermata e i due, dopo un processo per direttissima e una conseguente condanna a un anno e qualche mese, sono stati riportati entrambi al Cie. Del resto anche per altri dieci detenuti, tutti di origine nordafricana, tira un’aria peggiore del solito: da circa una settimana sono in isolamento e a uno di loro è stato sottratto persino il telefono. Accusati di aver partecipato alla piccola rivolta, fino a sabato non potevano neppure uscire al campetto per un po’ d’aria. È stato questo il motivo per il quale alcuni compagni di detenzione, dalle stanze, hanno inscenato diversi episodi di protesta con urla e lancio di cibo.
Nonostante i vari intenti punitivi che continuano a perpetrarsi da mesi nei confronti dei reclusi affinché stiano calmi, non sembra però che la funzionalità del Centro riesca a proseguire in maniera fluida. I lavori di ristrutturazione per ora non tengono il passo dei vari danneggiamenti dell’ultimo periodo, tant’è che agibili sono solo le cinque stanze dell’area blu, una della viola, una della verde, due della bianca. In tutto si parla all’oggi di sessanta reclusi, quasi sempre provenienti da retate o controlli in strada, con un ritmo di ingressi e espulsioni regolare ma non celere.
Anche durante i tentativi di espulsione, le cose non filano sempre lisce. Come emerge dalla storia di Karim, che per resistere alla deportazione in Marocco ha provato l’ultima carta dell’autolesionismo. Si è tagliato le braccia ripetutamente, riuscendo purtroppo solo a ritardare di qualche giorno la sorte decisa per lui.
Per far sentire ai reclusi che tutto ciò che fanno contro la propria condizione trova un sostegno solidale fuori, ci troviamo domenica 28 febbraio alle 16h in corso Brunelleschi all’angolo con via Monginevro.

febbraio 2016, estratti da autistici.org/macerie


lettera dal carcere di Rebibbia (rm)
Principio unico e universale: il carcere è incompatibile con chi assume la concezione della vita anarchica, cioè la lotta contro il sistema imposto; contro la mentalità borghese, il condizionamento socio-culturale e l’alienazione capitalista-imperialista.
Quando sono arrivato a Regina Coeli per possesso di cocaina, in matricola hanno voluto depersonalizzarmi e ho reagito nell’immediato, senza iniziare una discussione con la guardia che, nel suo ruolo di servo del sistema, ha come principio di infierire la maggiore afflizione possibile nel minore tempo così da indurre l’individuo a scoppiare. Mi dichiarai in sciopero della fame; loro mi rinchiusero nell’isolamento.
Si deve chiarire che le guardie hanno informatori fuori e dentro la prigione, così iniziano a dare immagine distorta di chi non vuole collaborare con loro. Se non cedi loro applicano il sistema progressivo per indurti all’autoeliminazione, e se lotti te li troverai di fronte.
Mi chiama lo psichiatra Bardelino: che ha nel suo curriculum vitae diversi suicidi e autolesionismo, uno che può essere dichiarato nemico del popolo, per come svolge la pratica di psichiatra con il proposito di indurre l’autoeliminazione. Nel colloquio chiarisce che io devo prendere psicofarmaci, conoscendo gli psicofarmaci mi nego di consumarli, lui allora mi minaccia di mantenermi in isolamento. “Sai che io posso mantenerti nell’isolamento fino a quando voglio.” … “Me ne frego, gli psicofarmaci non li prendo”... “Tu ancora non ha capito che sei malato e che devi guarire.” … Mi alzo gli punto il braccio, il dito e dico “Devo guarire? Ma per essere come te? Ma vai via, va. Sai che? Mo ti denuncio”. E ho fatto la denuncia.
Prendendo in considerazione che ero nella sezione dell’isolamento (la quarta) dove ci sono zombi, morti viventi, drogati dallo stato, gente che prende il metadone, le gocce per dormire, gli antidepressivi… e in dosi esagerate, droga di stato per l’eliminazione della volontà, dell’unità combattiva dell’essere umano…
Esco dall’isolamento dopo quasi un mese, conosco un altro anarchico, con lui discuto sul come organizzarsi in carcere. Anni fa ero stato in carcere in Ecuador, avevamo un comitato e dirigevo la commissione cultura, ho pensato di riportare qui quell’esperienza. Il compagno dopo poco lo trasferiscono a Rebibbia. Io restai, però ebbi subito grossi problemi, specialmente con quelli che lavorano a favore delle guradie.
Bardelino ci tenta nuovamente e mi sbatte in isolamento con la scusa dell’autolesionismo da me tentato. Lui ritorna alla carica: devi prendere gli psicofarmaci. Lo lasciai parlare, finché arriva la direttrice di sezione. Le ho mostrato 4 libri scritti da me in lingua spagnola, pubblicati, le cui copertine erano disegnate da me (anche pittore)… mi tolgono dall’isolamento… sono riuscito ad essere reintegrato e ho iniziato un percorso di terapia attraverso musica, teatro, cineforum e altro.
La lotta deve essere la priorità di ogni militante, non importa dove si sta, ogni mezzo a disposizione deve convertirsi in lotta, specialmente inserirsi nelle attività culturali per mitigare al minimo il danno causato dalla carcerazione. Ecco il punto: tutti non hanno la capacità di reagire al suicidio, atto estremo e colpa dell’isolamento in cui ti fanno cadere le guardie: manipolano la realtà dentro il carcere finché sei ridotto in autismo.
Adesso sono a Rebibbia Reclusione, però ho chiesto avvicinamento colloqui al carcere di Verona dove abitano i miei figli.
Con me c’è un kurdo-turco e mi spiega come vanno le cose della repressione contro il popolo kurdo. E sinceramente credo che in occidente siamo caduti nell’immobilizzazione totale, non ci sono proteste contro la guerra né contro l’imperialismo saudita. Non c’è mobilitazione da parte degli studenti e dei gruppi antagonisti. Secondo la mia opinione il sistema capitalista è riuscito a manipolare, tramite i mezzi di disinformazione di massa – che ha reso impossibile l’informazione di ciò che sta accadendo nell’intero pianeta.
Ci siamo arresi? Anarchia. Ernesto Elias.

18 febbraio 2016
Ernesto Elias Bilotti via Bartolo Longo, 72 - 00156 Roma


troppi TSO ai migranti dei centri di accoglienza
L’ultimo caso risale a gennaio e riguarda un richiedente asilo ospitato all’interno del centro Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) di Roscigno, in provincia di Salerno. Il ragazzo, un ventinovenne della Sierra Leone, è stato sottoposto a un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) e trattenuto in ospedale per 9 giorni, dopo aver dato in escandescenze pare a causa del mancato riconoscimento dello status di rifugiato politico da parte della Commissione territoriale di competenza. Il giovane, che gli altri ospiti dello Sprar ricordano come socievole e tranquillo, aveva chiesto a quel punto di essere rimpatriato entro tre giorni e, all’ulteriore rifiuto, si sarebbe alterato rompendo un televisore e alzando la voce.
Il centro Sprar di Roscigno ospita 29 richiedenti asilo da più di un anno ed è gestito dal comune che, insieme alla cooperativa Il Sentiero Onlus, organizza anche dei percorsi di inserimento lavorativo. Percorsi che, tuttavia, non riuscirebbero a evitare del tutto lo sfruttamento di manodopera. Almeno secondo la testimonianza che abbiamo raccolto da un mediatore culturale del centro (immigrato anche da lui e da 5 anni in Italia). Infatti, mentre alcuni dei rifugiati lavorano con un contratto, molti altri sono impiegati nelle campagne circostanti per la raccolta delle olive e vengono pagati con i voucher per 4-5 ore lavorative, lavorando in realtà per 8 ore al giorno. “Ora ad esempio – ci ha riferito il mediatore – ci sono sei ragazzi che lavorano a Bellosguardo, raccolgono le olive per tutta la giornata e riportano a casa 25-30 euro”.
Abbiamo chiesto quindi all’uomo se agli ospiti del centro viene assicurata assistenza psicologica. “Con lo psicologo – ha risposto – abbiamo un incontro al mese, ma solo noi operatori. I ragazzi non ne hanno bisogno”. Abbiamo cercato di sentire a riguardo la versione dell’associazione, ma la responsabile non ha voluto rispondere alle nostre domande.
L’assistenza psicologica è uno dei servizi che i centri di accoglienza di migranti devono garantire a fronte della somma giornaliera (tra 25 e 35 euro al giorno per ogni ospite) che gli enti gestori percepiscono. La carenza di questo servizio appare ancora più grave alla luce dell’incremento di TSO a carico di richiedenti asilo residenti proprio nei centri di accoglienza del Cilento.
Infatti l’episodio che ha visto protagonista il ventinovenne della Sierra Leone, trattenuto in trattamento sanitario obbligatorio presso il reparto psichiatrico dell’ospedale di Sant’Arsenio (a una ventina di chilometri da Roscigno), non sarebbe un caso isolato. A lanciare l’allarme è un infermiere del reparto di psichiatria dello stesso ospedale di Sant’Arsenio, struttura che aveva già fatto parlare di sé nel giugno 2015, dopo che nel reparto di psichiatria aveva perso la vita in circostanze poco chiare Massimiliano Malzone durante un TSO. Una vicenda in cui furono coinvolti anche due dei medici già condannati in primo grado per la contenzione di Francesco Mastrogiovanni, l’insegnante di Castelnuovo Cilento morto nell’agosto del 2009 nel reparto psichiatrico del San Luca a Vallo della Lucania, dopo essere stato legato mani e piedi al letto per 87 ore durante un TSO.
“Per noi è sempre difficile capire se effettivamente questi ragazzi abbiano realmente problemi – spiega l’infermiere del Sant’Arsenio a proposito dei richiedenti asilo – non si esprimono, fanno cose che noi non capiamo per cui non sappiamo nemmeno come inquadrarli. Io faccio l’infermiere, le mie sette ore di turno le passo con loro e a volte credo che gli interventi siano giustificati. Anche se in altri casi ci sembra quanto meno strano che magari uno alza la voce e viene portato in TSO. Allora sono tutti matti questi? C’è sempre una certa facilità nel sottoporre un paziente ad un TSO e poi magari ci si rende conto che non aveva problemi psichiatrici. Ultimamente stiamo notando che i ricoveri di stranieri che risiedono nelle strutture di accoglienza per richiedenti asilo stanno aumentando. Ad esempio ne abbiamo avuti diversi da una struttura di Romagnano a Monte, ma anche da Capaccio, Salerno e Palinuro”.
Si tratta di un fenomeno di cui non era finora emersa la minima la minima percezione. Le procedure di TSO a carico dei migranti vengono per lo più taciute, beneficiando dell’assenza assoluta di legami che questi soggetti hanno nel nostro paese. Nel caso del ventinovenne della Sierra Leone ospitato a Roscigno, ad esempio, nessuno degli ospiti del centro con cui abbiamo parlato era a conoscenza di cosa gli fosse capitato né ovviamente dove si trovasse. Tantomeno erano a conoscenza del loro diritto di poter fare ricorso contro il provvedimento presso il Comune.

17 febbraio 2016, da wereporter.it
***
Sprar di Isca Superiore (Cz): protesta contro un tso ad un amico
"Non è vero che sta male sono gli operatori dello Sprar che non capiscono". Diciotto migranti di varie nazionalità si sono incatenati stamani davanti al centro Sprar di Isca Superiore a Catanzaro dove risiedono. Il motivo della protesta è legato ad un trattamento sanitario obbligatorio effettuato nei confronti di un loro amico. Secondo i migranti, il giovane, affetto da problemi psichici, non avrebbe bisogno di cure mediche
Sul luogo della protesta, che non ha creato problemi di ordine pubblico, sono intervenuti i carabinieri [...]

22 febbraio 2016, da ildispaccio.it


Sull’istituzione psichiatria
Contributo di alcuni collettivi tedeschi
Desideriamo dare un certo spazio al tema “psichiatria e ricovero”, poiché lo riteniamo tanto importante quanto delicato. L’istituzione psichiatria ha una dimensione gigantesca e può chiudere, far sparire le persone che non si adattano a questa società.
Sono utopistiche le configurazioni secondo le quali la risoluzione del problema sta nella chiusura di tutte le psichiatrie. Il fatto è che il problema delle malattie psichiche esiste e tanto più esiste la questione sul come la società e noi come sinistra l’affrontiamo.
Non possiamo sostenere che le persone costrette al ricovero vengono riempite e rese deficienti attraverso i farmaci, ma d’altra parte ci è anche chiaro che il problema può essere risolto soltanto soltanto in un processo collettivo con persone tutte partecipi. Basta con la sovra-farmacologia sostenuta dall’industria farmaceutica e da altri intrighi, è necessario avere un rapporto gentile e adeguato alle malattie psichiche, poiché l’ambiente come la morale (etica) della psichiatria ostacolano senz’altro la guarigione.
Le persone già parzialmente “inferme”, vengono riempite di farmaci e, non raramente, a dosi completamente sballate. I farmaci causano l’immobilizzazione, una conseguenza che può essere considerata anche come misura costrittiva fisica. Questo riguarda poco l’aiuto che può dare il farmaco alla persona che deve ingerirlo o altro, ma senz’altro il profitto che intascano le società farmaceutiche.
Oggi vengono ancora impiegate pratiche della fissazione: i/le pazienti vengono legate e per parecchie ore al letto di contenzione. In generale fra l’impiego delle costrizioni corporali e psichiche può esserci differenza, ma prevalenti risultano le costrizioni corporali.
Cosa succede nei manicomi, internamento e azione costrittiva:
“Un paziente è per definizione infermo. I pazienti psichiatrici, a differenza degli individui ammalati psichici segnalati nelle fonti storiche come ‘dementi’, ‘pazzi’, ‘spostati’, ‘folli’ oppure ‘bizzarri’, sono persone che devono essere trattate con farmaci terapeutici e che perciò devono essere sottoposte a determinate regole (diete, terapie, ordini abitativi, scadenze quotidiane) comprese le istituzioni mediche. Con l’ingresso dei malati nel trattamento stabile si modifica fondamentalmente il loro status. Loro si trovano ora in un rapporto di dipendenza e la loro autonomia viene incisa profondamente.” (da arbeit.psychiatrische-landschaften.net)
La diagnosi della malattia è basata su quell’incisione, ma quel che è più grave è la costrizione psichica. Così le persone vengono infilate in un cassetto e stigmatizzate. Ognuna/o di noi sa come la società reagisce sulle persone che non si adattano, che non danno ascolto, che non si comportano come essa vorrebbe. Queste “merci di scarto” vengono catalogate, diagnosticate. Il corso della vita di una persona diagnosticata una prima volta diventa immediatamente di seconda classe. Se esprime la sua opinione non viene ascoltata, se si mostra agitata, vuol dire che è proprio pazza, i dottori non la prendono seriamente in considerazione… e via di seguito.
“Psichiatria e carcere come istituzione ‘totale’, che all’individuo ridotto a paziente o a detenuto toglie la possibilità di una vita autodeterminata, spezza la sua influenza sul comportamento nell’immediato e nel futuro. Le due istituzioni nonostante le evidenti analogie non sono da considerare uguali, ma entrambe esercitano in maniere simili la metodica repressiva dello stato nel sanzionare i comportamenti divergenti.”

da armutszeugnisse.de, pubblicato in “gefangenen info” gennaio 2016


lettera dall’OPG di montelupo fiorentino (fi)
“Nessun recluso, nessuno escluso”.
Cari compagnx di Olga, sono Mennucci Alberto, vi scrivo per ringraziarvi dell’opuscolo che puntualmente mi arriva e mi tiene aggiornato su quello che accade dentro e fuori le patrie galere e tutte le attività e lotte di chi in tutto il mondo si impegna a sabotare il cancro del neoliberismo e della globalizzazione sulle spalle degli ultimi…
Un sentito grazie per il libro “Oltre il labirinto” sui percorsi di medicina complementare in psichiatria, è molto interessante e pieno di spunti su come ribattere ai dogmi della psichiatria moderna, soprattutto qua in OPG dove gli psichiatri fanno il brutto e cattivo tempo e consapevoli o meno di questi metodi insistono con terapie, con farmaci di sintesi, facendo più danni che altro.
Mi è arrivato il vostro catalogo di libri… grazie per il vostro supporto, per lo sforzo che fate per rompere l’isolamento di chi è costretto nelle galere di stato. Un saluto solidale.

31 gennaio 2016
Alberto Mennucci, viale Umberto I°, 64 50056 Montelupo Fiorentino (Firenze)


lettere dal carcere di opera (mi)
“Dalla Caienna di Opera”
Noi sottoscritti detenuti di Opera del 1° Padiglione Sezioni A-B-C quarto piano, con la seguente vogliamo rendere pubblica ogni violazione sui diritti dei detenuti a cui siamo sottoposti attraverso abusi-umiliazioni-ricatti e falsi rapporti…
Chiediamo che:
1. ci venga dato il diritto di avere una commissione di detenuti per il controllo del vitto come previsto dagli art. 12 e 27 o.p. perché oltre questo non vengono rispettate le tabelle ipocaloriche e la maggior parte dei detenuti sono costretti allo sciopero della fame forzato e il vitto da anni è sempre uguale…
Chiediamo che:
2. ci sia garantito il diritto alla salute così come sancito dall’art. 32 stabilito dalla Costituzione della Repubblica italiana per la tutela e il diritto alla salute dell’individuo e della collettività. Qui ci negano il diritto alla salute e per un semplice Aulin o Tachipirina dobbiamo chiederne la prescrizione medica (prima di ammalarci), senza contare i lunghi mesi di attesa per visite specialistiche a persone gravemente ammalate e con gravi patologie tuto questo è inaccettabile…
Chiediamo che:
3. noi detenuti del 1° Padiglione di avere il diritto di usufruire dei colloqui estivi all’aria aperta come il 2° Padiglione perché tutti i bambini e famigliari sono uguali e invece la direzione usa i colloqui estivi come un’arma di “premio-ricatto”…
Chiediamo che:
4. venga abolito l’art, 41 o.p. dove il seguente art. dice che: si richiede l’impiego della forza fisica e dei mezzi di coercizione verso i detenuti. Questo ignobile articolo giustifica e rende impuniti abusi-violenze e pestaggi sia a Opera che in tutti i penitenziari italiani…
Chiediamo che:
5. la direzione la finisca di non concedere l’uso dell’ascensore ai lavoranti spesini-portavitto e costringerli (come schiavi) a trasportare centinaia di kili per le scale sino al 4° piano dato che veniamo pagati con 60 miseri euro mensili.
Per concludere:
abbiamo mille ragioni per rappresentare e scrivere il trattamento discriminatorio e disumano a cui siamo sottoposti al 1° Padiglione. Questo nostro comunicato vuole essere solo l’inizio di una serie di iniziative volte ad ottenere i nostri diritti e il ripristino di quel trattamento che non cade in condizioni disumane e degradanti come quello attuale.

febbraio 2016
In fede i detenuti
(Seguono le raccolte di firme raccolte in 3 fotocopie, rispettivamente delle Sezioni A-B-C, la cui somma totale è di 128)

***
Carissimi/e compagne/i, bello il saluto che ci avete portato la notte del 30 dicembre, ha riscaldato i nostri cuori con urla e slogan contro gli abusi che accadono qui a Opera e tutti noi ci siamo uniti con insulti e parolacce contro i responsabili di questa “Caienna”.
Questo è un inferno non un carcere e dopo quello che ho sentito su pestaggi verso i malati, pensavamo fossero dicerie, perché non eravamo sicuri, ora a questo direttore per i pestaggi-abusi-ricatti-umiliazioni-promesse non mantenute-sparizione della posta-suo sadismo… gli toglieremo la maschera, scrivendo ogni giorno su quanto accade a Opera, così questo aguzzino non avrà bisogno di nascondersi attraverso le trasmissioni “Quelli del calcio” oppure con gli studenti della Bicocca e altre scuole a cui fa vedere il lato umano dei crimini che nasconde.
Fatevi portare al centro clinico, ascoltate gli ammalati e i paraplegici che vengono picchiati solo perché chiedono la tutela della loro salute. E con lui c’è il Dirigente Sanitario Pocobelli, sadico nazista a cui auguro tutto il male del mondo per quello che permette di fare agli ammalati.
Ma dov’è il ministro della giustizia Orlando? E i magistrati di Sorveglianza? Dimenticavo che lo stato si assolve dei propri crimini e sulle oltre 2.000 morti (sospette) dentro i carceri nessuno potrà indagare, andranno in prescrizione come il povero Marcello Lonzi massacrato e rimasto senza colpevoli… Mi fate tutti schifo soprattutto quando parlate di giustizia e legalità.
Un amico che lavora in art.21 ha trovato un sacco nero della pattumiera con centinaia di lettere (buttate) ed ho scritto incazzato al direttore senza aver avuto risposta. Adesso al direttore che si diverte con rapporti e a farmi sparire la posta (a rinnovarmi la censura) regaliamo i social network per tutto Opera con indirizzi a tutti i detenuti.
Il vitto fa schifo, il direttore aveva promesso una commissione di detenuti, un ipocrita che vuole i riflettori su di lui, rilascia false dichiarazioni sul suicidio al 3° piano a luglio ore 11 del mattino (non la sera), facendo cadere la colpa alla carenza di personale. Vigliacchi, picchiate gli ammalati, il vostro sistema istiga al suicidio. Ora abbiamo la certezza che rispecchia la malvagità che avete dentro di voi; ed io con altri saremo i fantasmi delle vostre coscienze (che non avete). Ci sentiremo spesso. Non ho mai avuto paura di gentaglia spregevole e strisciante come voi.
Allego due lettere di testimonianza (appelli) contro la loro malvagità.
Un abbraccio compagni/e lottiamo, lottiamo.
A tutti i detenuti/e in lotta un abbraccio fraterno. 13 mesi senza ricevere posta (vermi) Abbraccio Karim, Davide D. e tutti i compagni in lotta. Sono con voi sempre.

21 gennaio 2016
Maurizio Alfieri, via Camporgnago, 40 - 20090 Opera (Milano)

***
Seguono altre lettere giunte tutte nel febbraio di quest’anno.

Carissimi amici e compagni, è con immenso piacere che condivido con voi questo peso che mi porto dentro da ormai 18 mesi, e che credo non dimenticherò per tutta la vita, in quanto sono stato al Centro Clinico del carcere di Opera per 18 mesi, dove ho vissuto una carcerazione degradante, umiliante e vera tortura, dove ho visto persone veramente malate essere trattate peggio dei topi, persone sulla sedia a rotelle maltrattate e lasciate morire senza cura, persone senza braccia, senza gambe con malattie gravissime picchiate a sangue dagli assistenti di polizia penitenziaria, oltre all’amministrazione e all’organizzazione che non permettono ai detenuti malati di poter mangiare e vivere degnamente come persone normali.
Una triste realtà e una vergogna, oltre ai lavoranti che sono trattati peggio degli schiavi, lavorano più di 13 ore al giorno e vengono pagati per 4 ore, notte compresa. Questo è lo schifo che c’è e succede al Centro Clinico di Opera, e il direttore e i responsabili lo sanno ma non fanno nulla, anzi, fanno vedere solo il lato positivo del carcere dicendo che va tutto bene, si intascano i soldi e lasciano la gente malata senza cure a vivere nello schifo, che Dio li fulmini sti infami cornuti…
Grazie per aver letto le mie parole cari compagni, e spero con tutto il cuore che tutto ciò cambi al più presto. Un abbraccio e tanti saluti.

***
Carissimi/e amici/amiche, approfitto della possibilità di poter scrivere e pubblicare alcune cose di un commissario capo reparto del 1° padiglione dove sono capaci a fare solo abusi dato che al comando dei secondini c’è questo Trainito.
Conosco questo individuo da tantissimi anni, dal 1990, è sempre stato a capo delle squadrette di picchiatori, negli anni che i detenuti venivano trovati tumefatti, massacrati e guarda caso impiccati... Il nipote di questo commissario è un collaboratore di giustizia dopo una faida che tra fratelli e cognati si rubavano le mogli a vicenda. Il collaboratore si chiama Liborio Trainito.
Ditemi come si fa (a tutti voi che leggete questo appello), come può dirigere un padiglione una persona che è frustrata per tutti i suoi problemi esistenziali, capace solo a sfogare lo schifo che ha in famiglia?
La colpa di tutto questo è del direttore e del comandante che permettono a questo essere indegno di fare abusi e rapporti ogni giorno a tutti i detenuti.
Questo carcere di merda, con lo schifo che si mangia, e con tutte le porcherie che ogni giorno vediamo, adesso la possibilità che abbiamo io sono il primo ad essere felice di dire a tutti che questo è un covo di aguzzini che hanno ucciso detenuti ed oggi lo stato li ha premiati con promozioni. Vaffanculo a questo sporco sistema. [...]

***
[...] Sono in carcere da oltre 10 anni. Attualmente mi trovo nel lager di Opera. Vi posso ben dire che ciò che ho visto in questo posto non l’ho mai constatato in altre carceri a cominciare dalla disparità di trattamento. In questo reparto al 4° piano non viene eseguito il criterio della graduatoria per l’ammissione alle attività lavorative che dovrebbe essere dall’area trattamentale, ma in questo lager, in questo reparto, viene fatta dalle guardie. Dall’inizio del mio ingresso in questo lager avevo fatto richiesta di colloquio con il magistrato di sorveglianza. Ebbene, l’incontro è avvenuto dopo 8 mesi…

***
Per quanto riguarda le attività sportive, beh, ti posso dire che è vero che hanno tolto il campo di calcio, però hanno fatto un campo di calcetto sintetico che frequentiamo due volte a settimana per un totale di tre ore più la palestra molto attrezzata e con un campo di calcetto. Ci andiamo due volte a settimana per un totale di quattro ore, diciamo che per l’attività sportiva non possiamo lamentarci.
Invece, per quanto riguarda il terzo reparto è tutto fermo, io sono qui da cinque mesi e i lavori sono uguali a come li ho visti la prima volta, non so se, magari, stanno facendo un’altra parte che io non vedo, il lato da me visibile è tale e uguale.
Da come ti ho accennato all’inizio, mi hanno spostato di reparto. Ho un po’ di colpa perché ho accettato, cioè, mi hanno detto che non potevo rifiutarmi dato che era dovuto ad un progetto al quale ho chiesto io di partecipare, legato al SerT. Ma come sempre, è un pugno di sabbia negli occhi, dato che tutto quello che ci avevano promesso non è stato mantenuto. Partiamo dal fatto che dovevano restaurare le celle, ma sono ancora devastate, e alcune, credimi, sono invivibili, poi dovevamo essere uno per cella, ma tutt’oggi siamo ancora in due. Stando alle parole del commissario entro il 22 febbraio il progetto parte e tutto sarà come promesso, intanto mi sono fatto pure cinque giorni senza televisione perché si è bruciata e non ne avevano una sostitutiva.
Cari/e Compagni/e, ora vi scrivo una cosa che mi ha lasciato perplesso: io sono ubicato al terzo piano, dal quarto piano dei compagni hanno mandato una petizione con raccolta di firme per lamentarci sul vitto, sulla mancanza dei servizi sanitari (visite mediche, ecc…) e sui diritti che ci spettano (tipo colloqui all’area verde). Quando ho fatto il giro per raccogliere le firme, sono rimasto male, perché in questa sezione abbiamo firmato solo in tre, ho provato a spiegare che sono cose che ci spettano di diritto, ma la risposta è stata la stessa: “Ci hanno appena portati qui, questo progetto ci può aiutare a uscire prima, scusa ma non ce la sentiamo.” Non puoi immaginare la mia espressione ma ancora di più il mio stato d’animo, sono tutti bravi a lamentarsi, ma quando ci sono i fatti, si tirano indietro.
Un saluto e un abbraccio a pugno chiuso a tutti i compagni e compagne.
Lotta al 41 bis e all’AS.

***
[…] In questo reparto non ci fanno comunicare con altre sezioni. Tra l’altro non viene applicata la “detenzione dinamica” (*). E’ ben evidente che sussiste una disparità di trattamento voluta dal direttore, violando quanto sancito dall’Ordinamento Penitenziario (art.1. comma 2° e art. 3.), già quando usciamo da queste sezioni per recarci all’aria e ai colloqui. I detenuti “pericolosi” della media sicurezza (noi) – quindi coloro che in vario modo tenteranno di alzare la testa – verranno separati dagli altri (in questo lager lo stanno già attuando) e puniti (senza processino) con la chiusura della cella.

Note:
(*) “E’ rappresentato dal patto di responsabilità che consente al detenuto di seguire un percorso di esecuzione della pena e di risocializzazione che si basa su principi che effettivamente gli consentiranno di tornare alla società civile migliorato e non peggiorato dal vecchio “sistema carcere”… (G. Colombo, magistrato a Milano, “Coordinatore del Tavolo Nazionale n° 12” compreso negli “Stati generali dell’esecuzione penale” svoltosi proprio nel carcere di Opera nel corso dello scorso anno, sul tema “Misure alternative alla detenzione” secondo cui bisogna intendere “il carcere non più come pena principale ma assieme a ‘categorie di nuova generazione’ ” si riferisce direttamente a “detenzione domiciliare”, “braccialetto elettronico”…)

***
Sul terreno del campo di calcio da settembre 2014 hanno iniziato a costruire un altro reparto. Non si capisce bene come sarà, le voci sono che dovrebbe diventare il nuovo padiglione dei semiliberi e degli articoli 21 (*) esterno e interno. Si dice anche che sia per l’Alta Sorveglianza o forse per le “lavorazioni”, ma non è possibile perché hanno già costruito i quadrati dei passeggi, cioè non c’è più spazio per capannoni in cui lavorare.
In ogni caso, quando il reparto-padiglione sarà pronto ci sarà più casino; già qui non funziona niente, con altre 600 persone o più diventa ancora peggio. I colloqui diventano un macello, a meno che non costruiscano lì anche nuove sale. Ma se diventa padiglione dei semiliberi, allora è diverso. Perché, come succede nel reparto semiliberi già esistente, nelle celle in cui dovrebbero stare al massimo in tre ce ne mettono sei-otto, dove ce ne dovrebbero stare due ci sono in quattro, di giorno si esce fuori per lavoro e si rientra alla sera. Insomma, il “sovraffollamento” sarebbe meno asfissiante.
Questa voce gira ed è sostenuta da un’altra che dice: a breve dovrebbero uscire in art. 21 altre duecento persone.
Di proteste ne ho viste tante, il massimo durano due o tre giorni. Qui i tempi sono cambiati, hanno paura di perdere i giorni (di libertà anticipata che una legge, valida per gli anni dal 23 dicembre 2013 fino al 24 dicembre 2015, ha portato a 150 l’anno) o quello che hanno (niente), subiscono ogni giorno i ricatti di venire chiusi. Sono pochi quelli che vanno fino in fondo; ma da soli non si ottiene niente, quasi nulla, a meno che non si fa solo per se stessi.
In palestra c’è il calcetto e in ogni sezione di piano c’è un passeggio in cui giocare a pallone. I carcerati sono contenti anche se le cose vanno male. Ci sono troppi che hanno fatto il 58-ter (**).
Io preferisco farmi il carcere piuttosto che perdere la mia dignità di uomo con i suoi principi e ideali. Se mi fanno uscire perché mi aspetta va bene, ma senza perdere i miei principi. E penso che fra dieci anni i carcerati non saranno con i veri principi e saranno solo capaci di vendersi la madre pure di uscire. Già molti lo fanno appena arrestati. E tutte le carceri diventano come Bollate dove si deve convivere con i sporcaccioni e altro, è uno schifo.

Dicembre 2015

Note:
*Art.21 Lavoro all'esterno
I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'articolo 15. Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4- bis (**), l'assegnazione al lavoro all'esterno può essere disposta dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni. …

**Art 4 bis: L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’art. 58-ter della presente legge: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitto di cui all’art. 416 -bis del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni.
Art. 58ter: Persone che collaborano con la giustizia
1. I limiti di pena previsti dalle disposizioni del comma 1 dell’art. 21, del comma 4 dell’art. 30 -ter e del comma 2 dell’art. 50, concernenti le persone condannate per taluno delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’art. 4 -bis, non si applicano a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati.
2. Le condotte indicate nel comma 1 sono accertate dal tribunale di sorveglianza, assunte le necessarie informazioni e sentito il pubblico ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata la collaborazione”.

***
Ciao, ho ricevuto la tua lettera e mi fa piacere sapere che fuori da qui ci siano delle persone come te e altri che combattono per noi e ci sono vicini. Vi ringrazio di cuore e vi mando i saluti anche da parte di altri che qui si sbattono per non fare commettere abusi su altri detenuti. Purtroppo di ragazzi così ne sono rimasti pochi, anzi, quasi nessuno. E’ un vero schifo qua dentro, la gente vive costantemente sotto ricatto e gli va bene così; è allucinante, e tanti di questi hanno anche il coraggio di farsi passare per malandrini o boss, ne ho la nausea di tutte ‘ste persone, perché se questo posto funziona così è solamente grazie a quel tipo di detenuti che fanno gli agnellini e i leccaculo della direzione.
Ascolta, qua il vitto (carrello) è un vero schifo, le tabelle caloriche non vengono rispettate per niente e il cibo è di pessima qualità. Per fortuna io non lo mangio, ma c’è gente senza soldi e senza aiuti dall’esterno. Come fa a mangiare quella roba. Uno che non ha soldi e che deve farsi anche solo pochi anni, mangiando quella roba si ammala per forza. Passano sempre scatolame e minestre squallide e poi sempre riso e qualche volta la pasta, che fa pietà.
Qua nessuno protesta, hanno tutti paura e siamo veramente soli. Pensa che stiamo sul cazzo anche a molti nostri compagni, capite? E’ tutto sbagliato qua a Opera; fanno vedere in televisione che si sta bene e c’è riabilitazione sociale, ma sono tutte falsità, la verità è che mirano alla nostra dignità e integrità umana e questa è una cosa veramente infame. Potrei stare qua settimane a scrivere di tutte le porcherie che fanno questi.
Per quanto riguarda il campo di calcio all’aperto non ce l’abbiamo più perché dove c’era il campo, fino a 3 anni fa, da un anno stanno facendo il 3° reparto – dove andranno solo i privilegiati, è ovvio.
Io sto bene, mi alleno praticamente sempre e mi tengo la mente impegnata leggendo molto. E’ la rabbia che ho nei loro confronti che mi fa andare avanti. Qua dentro non bisogna mollare mai. Ed è ora che la gente fuori si svegli e apra gli occhi su cosa succede in questi luridi posti.
Ora amico mio ti saluto con un grande abbraccio solidale, saluta tutti quanti da parte mia, nostra.

Febbraio 2016


Lettera dal carcere di Livorno
[…] A Livorno non c’è il femminile perché il carcere dei maschi è abbandonato perché ha ceduto tutto, e pensare che l’hanno aperto nell’‘85; ed anche qui dove siamo ora è tutto fatiscente, entra l’acqua ad ogni minima pioggia e stiamo tutto il giorno a togliere l’acqua.
Hanno costruito un nuovo carcere che doveva essere per noi comuni, ma invece il DAP l’ha concesso all’A.S.3 e quindi noi viviamo in una baraccopoli!!
Va bé prima o poi finirà anche questa. Per ora colgo l’occasione per salutarvi tutti/e, con stima… Io sempre vostro compagno Massi… “non un passo indietro”!!

14 febbraio 2016
Massimo Pracchia via della Macchie, 9 – 57124 Livorno


“Pagine contro la tortura”
Sintesi dell'incontro tenutosi a Bologna domenica 31 gennaio 2016
All'incontro erano presenti compas dalle seguenti realtà: Bologna, Parma, Milano, Roma, Cuneo, Biella. Inoltre sono stati riportati i punti emersi dalla discussione tenutasi a Padova, il giorno prima, nell'ambito dell'assemblea Uniti Contro la Repressione.
1) E' stato fatto un primo bilancio a proposito delle spedizioni di libri nelle sezioni a 41bis. Tali spedizioni sono state effettuate da diverse case editrici o librerie a tutte le 13 carceri aventi sezioni a 41bis, con indicazione di mettere i testi nelle biblioteche interne e a disposizione dei detenuti in 41bis. Gli invii sono stati eseguiti unitamente ad altre raccomandate indirizzate “per conoscenza” agli uffici dei magistrati di sorveglianza del luogo e ai garanti dei detenuti. Sono stati inoltre inviati libri direttamente ad alcuni nominativi di detenuti in 41bis. A parte la risposta della garante di Bologna, di quella di Milano (pubblicate sul blog) e di un detenuto del carcere di Viterbo, al quale sono stati inviate anche singole pagine di un libro, comunque mai ricevute (vedi opuscoli n.108 e 109), non sono stati riportati ulteriori riscontri.
Era noto fin dall'inizio che queste prime spedizioni avevano lo scopo di aggregare un circuito di editori e librerie sensibili al tema e di dichiarare le ragioni e gli intenti della campagna all'interno del mondo carcerario.
Come seconda tappa si è pensato a delle ulteriori spedizioni, questa volta di un catalogo contenente alcuni titoli messi a disposizione dalle case editrici e librerie che aderiscono alla campagna, insieme all'appello della stessa, da inviare all'elenco di nominativi di detenuti in 41bis e “per conoscenza” ai magistrati di sorveglianza e ai garanti. Queste seconde spedizioni, visto che non contengono libri e riviste, non comportano un divieto formale.
Tali spedizioni avverranno a ridosso della giornata di mobilitazione sotto le carceri a 41bis, di cui si parlerà più avanti, con l'obiettivo che il circuito di editori e librerie interessate si possa allargare e raggruppare stante anche le difficoltà emerse quasi dappertutto a procedere in modo autonomo e coordinato anche in relazione all'indeterminatezza del cosa fare. Con ciò non si esclude affatto la possibilità di procedere anche con altri tipi di spedizioni e di iniziative laddove ne venga colta l'opportunità.
A Milano si cercherà di promuovere un percorso di raggruppamento del circuito di case editrici e librerie che ad oggi si è attivato.
2) Rispetto alla mobilitazione sotto le carceri a 41bis si è valutata l'opzione di concentrare il grosso dei presidi in un unica giornata in modo da ottenere un maggiore impatto sia dentro che fuori, non escludendo la possibilità di farne alcuni in altre date per raggiungere le carceri rimaste scoperte. Questo comporta necessariamente maggiori sforzi per concentrare forze a livello locale o dalle zone limitrofe che è appunto un obiettivo e un terreno di verifica della campagna.
Si è individuata la giornata di sabato 16 aprile 2016 che rappresenta una via di mezzo fra le proposte dei mesi di marzo e maggio giudicati, rispettivamente, insufficiente per organizzare le mobilitazioni o troppo distante nel tempo.
Allo stato attuale dei fatti con certezza ci saranno i presidi sotto le carceri di Tolmezzo (UD), Cuneo, Milano-Opera, Parma e Terni; sono da verificare quelli sotto le carceri di Novara e di Ascoli. Occorre prendere contatti con le realtà di Napoli e della Sardegna per verificare la possibilità di organizzare presidi sotto le carceri di Napoli-Secondigliano e della nuova struttura a Bancali (SS).
Occorre inoltre verificare la possibilità di una presenza sotto le carceri di Spoleto, L'Aquila, Roma-Rebibbia e Viterbo poiché per ragioni di prossimità territoriale gravano sulle sole realtà di Roma e dintorni che hanno deciso di concentrarsi sul carcere di Terni.
Scopo principale delle mobilitazioni è di raggiungere con i contenuti della campagna chi è rinchiuso nel 41bis sia direttamente, posizionandosi a ridosso di tali sezioni, che attraverso quanto riuscirà a smuovere nella società l'indizione di una giornata così ambiziosa.
3) L'indicazione di una giornata di mobilitazione generale, da svolgersi successivamente ai presidi, è stata precisata in un presidio sotto la magistratura di sorveglianza di Roma – dal 2009 l'unica competente sui ricorsi dei detenuti in 41bis – poiché collocata in una zona centrale della città rispetto agli uffici del DAP. Per il giorno, dovendo essere feriale, è stato indicato venerdì 13 maggio, per favorire la presenza da altre città d'Italia e per lasciare un tempo sufficiente di confronto dopo i presidi sotto le carceri a 41bis.
4) Per l'indizione di queste due giornate sarà adottato un unico manifesto, della stesura della bozza se ne occuperà il coordinamento dell'Emilia-Romagna, recante la scritta “41 bis = tortura”, le date delle mobilitazioni e poche righe esplicative, demandando alle realtà locali, come è stato fatto per l'appello, l'articolazione dei contenuti secondo le proprie valutazioni ed esperienza.
In tal modo si vuole adottare un metodo che possa facilitare l'allargamento della campagna sollecitando lo sviluppo di punti di vista e di pratiche autonome che possano trovare all'interno del percorso della campagna un terreno di confronto e di critica finalizzato al rilancio dell'iniziativa per il conseguimento dell'obiettivo comune del ritiro della circolare del DAP che vieta la ricezione dall'esterno di libri e riviste ai detenuti in 41bis, unitamente agli altri molteplici risultati che si vogliono perseguire in termini di socializzazione della discussione, approfondimento dei contenuti e delle pratiche di lotta, costruzione e consolidamento di relazioni, allargamento ad altre lotte...
5) Si è deciso di tenere il prossimo incontro a Roma, sabato 5 marzo 2016 h.14,00 al NED via A. Dulceri 211 ang. via della Marranella 109. In quell'occasione, essendo la data anche prossima alla probabile sentenza per il processo «15 ottobre», si vorrebbe anche provare ad affrontare un confronto allargato attorno al reato di “devastazione e saccheggio” al fine di approfondire, riunire e rafforzare l'opposizione a tale pratica repressiva, pendente su diversi processi (Roma, Cremona, Milano).

Milano, 12 febbraio 2016


Lettera dal carcere di velletri (rm)
Sappiate che proprio oggi mi è pervenuta una gradita lettera di Davide Delogu in cui mi dice: dopo tre tentativi ci siamo riabbracciati. Con tutto quello che gli stanno facendo passare non molla!! Mi fa sapere che gli opuscoli si sono fermati al n° 106. Gli altri con questa censura non glieli hanno dati.
Mi scrive che fra qualche giorno tornerà in Sardegna per concludere il processo sulla cosiddetta “tentata evasione dal carcere di Cagliari”, che in realtà è stato un modo maldestro per toglierlo dagli affetti famigliari e dalla sua terra, per così applicargli il 14bis in una deportazione disumana in terra sicula. Ti sono vicino Davide!! Speriamo io e noi tutti che vada a buon fine per Davide!
Faccio un appello a tutti, tutte voi di scrivergli per non farlo sentire solo, e per dar fastidio alla censura che gli hanno applicato. Rammentate che ognun* di voi che lotta potrebbe stare al suo posto, immaginate!

Claudio prosegue scrivendo che ha perso nel semestre passato i “giorni di liberazione anticipata” più l’espulsione per 10 giorni dalla “attività ricreative e sportive”, per la protesta contro la “presenza di un infame in sezione”, il compagno ne conclude…
Io lotterò con tutta la mia forza e intelligenza per cercare di mettere in ginocchio questo sistema. Qui ci sono tanti che la pensano come, che non tollerano più prepotenze, ricatti. Carissimi compagni vi mando un forte abbraccio solidale anche a Davide, Enko.
“Chi non lotta ha già perso… chi lotta può vincere!”

8 febbraio 2016
Claudio Perrone , SP Campoleone-Cisterna km 8,600 – 00049 Velletri (Roma)

Abbiamo appreso il 18 febbraio che a Davide hanno applicato nuovamente il 14bis e quindi ha iniziato l'isolamento per altri 6 mesi, ferma restando la censura della posta e dei giornali. Segue una lettera, forse l’unica arrivata, di Davide dei primi di febbraio.

Ciao, ormai non so più quante volte ti ho scritto in questi lunghi mesi. A parte il problema della conosciuta blindatura sulla comunicazione, spero che tu stia bene. Purtroppo non mi è arrivata neanche la mia dichiarazione spedita all’avvocato, che me lo disse quando ci vedemmo a Cagliari. Sono nel girone delle continue sanzioni disciplinari e, anche se solo, continuo per la mia strada.
A parte i ripetuti “trattenimenti” e l’ennesima proroga della censura, tanto materiale speditomi è finito nel nulla, figurarsi con l’opuscolo sono ancora al n°105.
Niente di cui meravigliarsi, sono solo incazzato nero!
Per ora un abbraccio combattivo! Fatti sentire! Davide.

Galera di Petrusa, 2 febbraio 2016 [“Visto controllo di censura”, 4 febbraio 2016]
Davide Delogu, C.C. contrada Petrusa - 92100 Agrigento


lettera dal carcere di massama (Or)
L’affettività all’interno del carcere
Quando si parla di affettività in carcere è difficile da descrivere alle persone del mondo libero e, soprattutto, non conoscitori del pianeta carcere. L’affettività è quella sfera di sentimenti che la propria persona condivide con la persona amata. Questi sentimenti influiscono al livello psicologico e danno una forte spinta a far si che il rapporto non si affievolisce. Questa sfera o sentimenti sono innati nell’essere umano; venendo meno questi stati emozionali, l’essere umano comincia ad annullarsi in se stesso e a sviluppare reazioni non tollerabili con il proprio io. Persone che vivono da lungo tempo in carcere hanno perso, non solo tutti questi stati emozionali, ma hanno causato la lontananza dalla propria compagna o famiglia.
Oggi in istituti di pena questo problema è stato risolto, come in Croazia sono consentiti colloqui non-sorvegliati con il partner, in Germania sono predisposti piccoli appartamenti in cui i detenuti con lunghe pene possono incontrare i propri cari; in Olanda, Norvegia e Danimarca ci sono miniappartamenti immersi nel verde, forniti di camere matrimoniali.
La situazione in Italia è molto diversa rispetto agli Stati Europei perché, basti pensare che tutt’oggi in Italia prevale il CODICE ROCCO, nato nel 1930 e tutt’ora in vigore. Certo è stato un po’ migliorato nel corso degli anni, ma resta sempre obsoleto.
Ora io mi chiedo perché in Italia si parla continuamente di diritti umani? Ossia di rispettare questi diritti? Non credete che i politici esagerano quando parlano di diritti? Non si vuole capire che la rieducazione del detenuto è la propria famiglia. Io credo che oggi in Italia c’è una buona parte di istituzioni che non hanno un’etica morale, ma sono delineate a portare una politica dispotica e nello stesso tempo vittimista di Stati altrui.
Oggi l’Italia è stata più volte chiamata dall’Unione Europea, per far sì che la situazione carceraria fosse migliorata. Nonostante questo l’Italia non ha saputo gestire la condizione e oggi ci ritroviamo a risarcire una grossa ammenda all’Unione Europea.
Salvuccio Pulvirenti.

10 febbraio 2016
Salvatore Pulvirenti, Località Su Pedriaxiu - 09170 Massama (Oristano)


RIALLACCIAMO I FILI DELLA LOTTA: CI VEDIAMO A BELLUNO!
Quattro suicidi, 55 tentativi di darsi la morte, 318 casi di autolesionismo. 2.808 detenuti a fronte di una capienza regolare di 1693 unità. Sono questi alcuni dei numeri che raccontano il 2015 tra le mura delle carceri del Veneto. Una situazione al collasso che ci parla di strutture fatiscenti, sovraffollamento, vitto scarso e immangiabile, sadiche ripicche di direttori e guardie.
In questo tetro quadro in molti hanno scelto di non abbassare più la testa, organizzandosi e preferendo ribellione al ricatto a cui chi è rinchiuso è costantemente sottoposto. L’anno passato la monotonia quotidiana delle prigioni di Venezia, Verona e Vicenza è stata interrotta da battiture di protesta, scioperi della fame e del carrello, conflitti con le guardie e vere e proprie rivolte.
Abbiamo ascoltato quelle grida di libertà, le stesse di sempre, e abbiamo cercato di sostenerle, amplificarle, diffonderle ovunque ci sembrasse necessario, per renderle più forti e incisive. Perchè sappiamo che la giustizia, quella vera, non passa attraverso i rituali moriferi dei tribunali e delle prigioni.
Perchè ci è sembrato giusto dare una risposta all’altezza di chi, con caparbietà e coraggio, è stato in grado di inceppare quel dispositi vo di solitudine e rassegnazione chiamato carcere. Perchè il carcere, volenti o nolenti , è qualcosa che riguarda tutti, che è presente in ogni aspetto delle nostre vite. E vogliamo smettere di averne paura.
A seguito delle proteste numerosi detenuti sono stati trasferiti in altre carceri del Veneto. Provvedimenti che fungono da palliativo per alleviare le condizioni di sovraffollamento, ma anche da deterrente per lo scoppio di nuove rivolte.
Negli ulti mi mesi più di quaranta ragazzi sono stati “sballati” dal carcere di Venezia a quello di Belluno, una struttura non ancora satura e “periferica” rispetto ai grossi penitenziari della regione.
Non far sentire soli i trasferiti, e tutti i loro compagni di detenzione, significa in questo momento riannodare i fili di una lotta non ancora sopita, che ha saputo parlare anche a chi, del carcere, non ha mai fatto esperienza.
L’appuntamento è per domenica 21 febbraio alle ore 15, sotto al carcere di Belluno (via Baldenich) con musica e microfono aperto.
In solidarietà a tutti i detenuti, per conti nuare a lottare.

febbraio 2016, da questacasanoneunalbergo.noblogs.org


lettera dal carcere di san vittore (mi)
Car* compagn*, ho ricevuto gli opuscoli e le cartoline… avrei voluto rispondervi prima ma ho passato l’ultima settimana in branda con la febbre molto alta.
Ora mi trovo al 4° piano del terzo raggio, piano che viene chiamato “La Nave”, sistemato in un cellone da 8 dove siamo in 7; su 7 ci siamo ammalati in 4 e siccome qua ci curano una febbre da 38 e ½ /39 solo con tachipirine, io, stufo, negli ultimi giorni mi sono mangiato mezzo aglio crudo e sono guarito… beh, mi è rimasto un po’ di catarro e un po’ di tosse, però questa febbre non mi ha permesso di fumare ed ora riesco a fumare pochissimo (anche vampiri e zanzare mi staranno lontano!) Stavo così male che non riuscivo a leggere e a scrivere anche per questo questa mia lettera arriva così in ritardo…
Continuo a scrivere, però non faccio più 3/4/5/6 copie a mano, spedendo di qua e di là gli scritti anche perché, febbre a parte, qui alla Nave facciamo un bel po’ di attività ed il tempo a mia disposizione è molto meno quindi dovrete rintracciare ciò che scrivo di qua e di là… Come al solito noi pirati costringiamo tutti a non stare fermi sulle proprie posizioni e starci dietro nella nostra perenne trasversalità nelle lotte per i 7 mari!
Ora vi saluto, vi abbraccio tutt* fortissimo (Hold on) Vs. Gentiluomo di Ventura, Andrea… Conscio che il destino sia solo in mano mia.

15 febbraio 2016
Andrea Casieri, piazza Filangieri, 2 - 20123 Milano


devastazione e saccheggio
Sul reato di “devastazione e saccheggio”, cui fanno sempre più ricorso le procure di tutta Italia per azzittire le manifestazioni di piazza, e a come contrastarne gli effetti, si è sviluppata una discussione da molte parti, soprattutto in relazione ai processi per questo reato costruiti sulle manifestazioni di Roma (15 ottobre 2011), Cremona (24 gennaio 2015) e Milano (1° maggio 2015). Riportiamo di seguito alcuni brani di testi e comunicati circolati.

Per l’incontro-assemblea-discussione prevista per il 20 aprile a Milano l'idea è quella di una sincera, franca, discussione tra compagni, che parta dagli elementi critici per immaginare insieme delle vie d'uscita. In questo senso non crediamo che ci sia bisogno di interventi, come dire, "da relatori", parliamo di situazioni che, bene o male, tutti abbiamo conosciuto o già ascoltato. Ci sembra più interessante discutere insieme, ognuno a partire dalle proprie esperienze, le difficoltà incontrate e i punti di forza individuati.
[...] Di assemblee e prese di posizione intorno al reato di devastazione e saccheggio, applicato a momenti ed eventi che riguardano l'agire dei compagni, ce n'è state tante. Così come tante sono state le campagne messe in campo contro il reato di devastazione e saccheggio. Apparentemente, dunque, dovremmo essere molto ferrati e al tempo stesso averne tratto degli insegnamenti o degli strumenti. Invece, ogni volta che scende in campo il reato di devastazione e saccheggio sembra sempre di ripartire daccapo. Ci siamo chiesti il perché e ci piacerebbe darci insieme una risposta.
Al tempo stesso salta all'occhio che spesso i processi dove viene imputato questo reato sono tristemente noti per condotte processuali scomposte e contraddittorie, incentrate spesso sul "si salvi chi può" a discapito della coerenza che ci dovrebbe contraddistinguere. Come mai? Possiamo liquidare la questione pensando che sia solamente dovuto ad una debolezza della solidarietà esterna, oppure giudicandola esclusivamente come una responsabilità individuale dell'imputato?
Ci siamo soffermati poi sui momenti di lotta, colpiti poi dalla repressione con il famigerato 419. Ci è parso che, reagendo all'arrivo della repressione, si dimentichi la gioia provata durante quei momenti, la forza che se ne era sentita, per passare ad un non troppo ragionato ridimensionamento: l'argomentazione della sproporzione della pena non deve essere direttamente collegata al ridimensionamento dell'evento. Dire che è esagerato applicare il 419 per i fatti del primo maggio non vuol dire, allo stesso tempo, che il primo maggio è successo "poco o niente".
Il 419 nasce per colpire episodi di massa e di piazza, una resistenza ed un danneggiamento di massa che mette in pericolo l'ordine pubblico. E' così folle dire che l'agire di ogni compagno vive la tensione di arrivare ad episodi di resistenza e di massa che vogliano mettere in discussione l'ordine delle cose? Se questo è vero, il reato di devastazione e saccheggio, si pone ad ostacolo dei sogni e delle tensioni di ciascuno di noi. Allora perché quando qualcosa di simile accade, anche se in una dimensione assolutamente minore, di fronte all'intervento repressivo diventa difficile riportare la gioia della rivolta, la sua forza e si riscontrino tutte le difficoltà individuate?
Di questo, ci piacerebbe parlare con altri compagni e compagne. Da questi nodi, iniziali e semplici, ci piacerebbe partire, andando a scovare se, a partire da queste criticità e difficoltà si possano scovare nuovi e più affilati strumenti per portare avanti la solidarietà, le nostre lotte e il nostro agire quotidiano, senza mai fare un passo indietro, senza lasciare nessuno indietro.

***
PER UNA GIORNATA DI MUSICA E LOTTA ATTORNO AL CARCERE DI S. VITTORE
La campagna SCATENIAMOLI nasce in seguito agli arresti del 12 novembre per i fatti della manifestazione NoExpo del primo maggio; il progetto include la creazione di una cassa di solidarietà, l'organizzazione e il coordinamento di vari benefit in giro per l'Italia e l'apertura di un blog (all'indirizzo scateniamoli.info). Si vuole inoltre mantenere viva l'attenzione su tutti i procedimenti ancora in corso in cui il reato di devastazione e saccheggio è stato utilizzato come strumento repressivo di piazza.
La prima udienza del processo è in data ancora da destinarsi, ma urge un incontro faccia a faccia per parlare di proposte concrete su come agire insieme prima e durante il processo. Sicuramente c'è la necessità di tornare in piazza, soprattutto a Milano dove, per la seconda volta in 10 anni, le procure tornano a combattere il nostro dissenso utilizzando l'accusa di devastazione e saccheggio.
La proposta di Scateniamoli è un presidio itinerante il 2 aprile attorno alle mura del carcere in cui, anche attraverso la musica e l'arte, lotteremo per la liberazione dei nostri compagni. La data è stata scelta, oltre che in avvicinamento al processo, come tappa intermedia per iniziare a lavorare su un percorso comune in vista del I maggio 2016 in cui intendiamo portare in piazza forte e chiara la tematica degli arresti del 2015 e di devastazione e saccheggio. Sulle modalità di organizzazione dell’evento ne discuteremo assieme a partire dal primo incontro che si terrà il 25 febbraio in torchiera alle 21.

da autistici.org/mailman/listinfo/scateniamoli

***
Dall’esperienza di un compagno, colpito dal processo contro la manifestazione del 15 ottobre 2011 a Roma
Carissimx compagnx, mi chiedete un contributo, anzi un consiglio su come comportarsi in caso si venga accusati del reato fascista di devastazione e saccheggio ed eccomi subito a rispondervi. Inizio questa lettera dicendovi che sono contento che tra diversi collettivi e compagnx vi siate attivati per affrontare il suddetto reato; spero vivamente che vengano messe in campo azioni efficaci, oltre che strategie comuni, affinché si arrivi finalmente ad un fronte unitario che si opponga seriamente a questa deriva repressiva. Ho letto degli ultimi arresti dei compagni che hanno partecipato alla grande giornata del 1° Maggio di Milano e ho rivissuto un po’ quello che accadde a noi: tanta solidarietà ma poca lucidità politica.
Penso che come prima cosa dovremmo pianificare tutte le mosse da mettere in campo, evitando quindi di arrivare come nel nostro caso a condanne pesantissime distribuite nel silenzio più totale. A Roma all’ultimo grado di giudizio in Cassazione c’erano 4 solidali…
Ma non voglio ora concentrarmi o puntare l’indice contro il movimento, a pensarci bene le maggiori responsabilità di come è andato a finire tutto, le abbiamo avute proprio noi, che ci siamo fidati ciecamente dei legali.
L’inesperienza, il provenire da un contesto periferico e appunto la nostra ingenuità hanno creato le condizioni perfette per i nostri accusatori di farci il culo. Cosa che al contrario non è avvenuta contro i compas “No Tav” i quali, grazie alla grande mobilitazione e scelte professionali azzeccate, sono riusciti a limitare i danni. In culo alla procura di Torino!
Ho fatto questa introduzione per rispondere alle vostre domande: come comportarsi se si viene accusati di devastazione e saccheggio?
Il mio primo consiglio è di non scegliere mai il rito abbreviato – così come abbiamo fatto noi. Vi dico ciò perché in pratica ci si quasi autoaccusa. Sì, il processo si baserà sulle prove che hanno in mano i giudici senza la possibilità di poterne acquisire altre, però, essendo i processi mediatici, la certezza è che distribuiranno ugualmente pene altissime, anche se le suddette prove sono misere.
Inoltre, tale rito fa in modo che la sentenza arrivi nel giro di poco tempo ed è certo che l’opinione pubblica condizioni i giudici.
Scegliere il rito ordinario, al contrario, dà la possibilità di far sbollentare il clima e quindi giocarsela meglio.
Altra cosa fondamentale è che se scegli l’abbreviato, essendo la custodia cautelare prevista dal reato pari ad un anno, è quasi sicuro arrivare a condanna definitiva senza mai aver messo piede fuori. E’ successo al filone dei teramani, in 3 anni 3 gradi, e sono stati sempre reclusi. Se fai il rito ordinario passano anni solo per primo grado, dopo un po’ ti scarcerano. Quindi non fatevi prendere dall’allettante condizione di avere uno sconto pari ad 1/3 della pena che il rito abbreviato dà, perché è certo che per dare l’esempio chiederanno condanne superiori ai 10-12 anni (da scontare poi di 1/3), mentre con l’ordinario le richieste saranno massimo di 8-9 anni che poi, magari, il giudice dimezza rendendosi conto dell’assurdità. Il rito abbreviato è un’arma a doppio taglio insomma. Spero di essermi fatto capire.
Inoltre, e questa cosa la dico a chi ha a cuore i compas di Cremona e Milano, è importante dare a tutti gli indagati lo stesso pool di avvocati altrimenti accade ciò che ho letto di recente: fraintendimenti controproducenti. La linea di difesa e di attacco legale deve essere comune! Noi abbiamo fatto tutto il contrario di ciò che vi ho scritto e l’abbiamo pagata cara…
Oltre a ciò credo che dobbiamo tutti noi presidiare sempre i processi e fare tanta controinformazione. Questo è il mio pensiero sulla scelta del rito.
A livello di lotte propongo di avviare una campagna nazionale contro tale reato in modo da sbattere in faccia, a chi si ricorda di essere antifascista solo il 25 aprile, che a distanza di 70 anni i metodi repressivi attuali sono gli stessi del ventennio.
Pensate ad una cabina di regia coordinata che blocchi tutte le celebrazioni della liberazione con uno striscione uguale per tutti e azioni determinate.
Per i compagni “No Tav” si è riusciti a spostare il peso della bilancia dalla nostra parte.
Ho letto molto attentamente l’opuscolo “Sui processi”, è un ottimo scritto che mi ha aperto la testa su diversi aspetti e che mi ha anche fatto capire come il nostro processo sia stato affrontato nel peggior dei modi possibili.
Vedo che fuori si iniziano a capire determinate cose, cose su cui io mi sono sgolato, e spero che finalmente ci si inizi a muovere in modo ordinato e strategico.
Sul processo di rottura non ho mai fatto alcuna mia riflessione. Anzi è la prima volta che tale pratica “difensiva” ha per me una terminologia.
Senza ombra di dubbio è la più coerente fra le scelte processuali per chi ha un ideale politico, ma sappiamo che spesso tra i compagni arrestati ci sono tanti “civili”. E come convincere un “civile” a sposare tale linea? La prima cosa che salta in mente a chi viene arrestato è di uscire e limitare i danni. Pertanto il ragionamento che state avviando va diffuso il più possibile. Non può restare tra i detenuti o tra chi è del giro. Dopo anni vedo qualcosa di serio e sono felice che finalmente le realtà metropolitane tornino a prendere in mano la situazione.
Il mio consiglio è di lanciare una campagna nazionale in modo che in tutti i territori si discuta dei contenuti dell’opuscolo, e quindi creare un “apparato legale” che intervenga immediatamente dove vengono mosse le accuse di devastazione e saccheggio – associazione sovversiva – concorso morale, ma anche – fogli di via- “sorveglianza speciale” ecc.
Un “soccorso legale” per chi viene accusato dà molta fiducia e ci si sente un po’ più al sicuro. Ecco perché vi dico di non fermarvi e di non limitarvi a parlarne tra quelli del “nostro giro”. Alzate il livello e puntate in alto. Sulla solidarietà si può ricostruire il movimento e, ricordatevi che siamo noi a considerare il nostro nemico così forte.
Vi mando un saluto a pugno chiuso. 15 ottobre 2011: in ogni caso nessun rimorso!

gennaio-febbraio 2016


padova: perquisizioni e arresti per “associazione a delinquere”
La mattina del 18 febbraio dalle 6.30 sono state eseguite dalla Questura di Padova perquisizioni abitative e corporali tra Padova, Schio (Vi) e Cagliari nei confronti di 11 compagni del Comitato di Lotta per la Casa, attivi anche nella radio web RadiAzione e all’interno dell’Associazione culturale N. Pasian.
Queste si sono tramutate in 11 misure cautelari tra cui: 4 arresti domiciliari, 2 divieti di dimora e 5 obblighi di firma. Inoltre senza alcun avviso è stata sigillata con un portone di metallo la sede di Piazza Toselli, storico punto di riferimento a Padova e in particolare del quartiere, in cui si sono sempre svolte le attività dello sportello antisfratto del Comitato di Lotta per la Casa, dell’Asd Quadrato Meticcio, del doposcuola, dell’associazione N. Pasian, della Boxe Popolare Chinatown, della biblioteca del Centro di Documentazione C. Giacca e della web radio RadiAzione (a cui è stata requisita tutta la strumentazione). Attualmente la stessa sede è stata posta sotto sequestro. L’accusa è quella di associazione a delinquere.
Negli ultimi anni il reato associativo è stato sempre più utilizzato perchè consente, da una parte di incarcerare e dare misure cautelari preventive, così da allontanare dalle lotte dei compagni attivi, e dall’altra di allargare il raggio d’azione dell’inchiesta coinvolgendo anche strutture, sedi fisiche e strumenti di informazione come RadiAzione.
I fatti specifici constano di numerosi picchetti antisfratto ed alcune occupazioni abitative. La costruzione accusatoria però parla di un’organizzazione criminale, capace di circuire persone straniere e, fingendo di erogare loro un servizio inerente alla loro problematica abitativa, prima fidelizzarle e in seguito spingerle a occupare inconsapevolmente un alloggio. Il Comitato, sempre secondo l’accusa, si serviva di RadiAzione come strumento per “promuovere le proprie attività criminali”. Questa è la costruzione messa in piedi dalla Digos e commissionata da coloro che nell’edilizia residenziale pubblica vedono l’ennesimo bacino di speculazione da dove poter succhiare quei sempre più risicati margini di guadagno che la crisi del sistema produttivo ed economico ancora concede. Dal momento che le istituzioni non vogliono dare risposte serie alle problematiche sociali tipiche dei quartieri popolari (e chiunque conosca le condizioni in cui versano le case Ater non farà fatica a credere a queste parole), si cerca di risolverle reprimendo e criminalizzando le realtà politiche identificate come capaci di focalizzare la rabbia diffusa che in tali quartieri si respira. Ed ecco che chi lotta per evitare che persone in difficoltà vengano buttate fuori di casa (perché ree di morosità incolpevole) diventa un criminale. Chi aiuta famiglie, costrette a vivere in auto, ad occupare alloggi lasciati colpevolmente vuoti dall’Ater in attesa di poterli svendere all’asta al palazzinaro di turno, viene arrestato e una radio che denuncia la situazione di miseria a cui sempre più persone sono costrette, pur di garantire la ricchezza dei soliti pochi, viene fatta tacere.
La pronta e grande solidarietà mostrata sin da subito dagli abitanti del quartiere e da moltissime realtà in tutta Italia evidenzia quanto queste menzogne si scontrino ogni giorno di più con le contraddizioni palesi della società in cui viviamo. Una società strozzata dalla crisi economica irreversibile, che per mantenere inalterati i propri profitti promuove misure antipopolari tagliando istruzione e sanità, allungando i termini per le pensioni, riducendo e privatizzando sempre più i servizi come i trasporti, precarizzando ulteriormente il mondo del lavoro e speculando sull’edilizia residenziale pubblica.
Tutto ciò a fronte del costante rifinanziamento degli investimenti bellici, espressione della tendenza alla guerra sempre più marcata e che si intreccia sul fronte interno con l’apparato repressivo dello stato. Per continuare con le riforme “dei sacrifici”, la classe dirigente necessita di un clima di pace sociale e di tenere a freno il malessere popolare che, invece, aumenta sempre più e in tutta la penisola. Questo fine lo persegue con l’inasprimento della repressione e l’attacco verso le diverse forme di lotta che maturano in tale contesto, sia attraverso inchieste giudiziarie che con il manganello della polizia, com’è successo nei giorni scorsi ai lavoratori della logistica della Bormioli in lotta per il proprio posto di lavoro.
Questo è un attacco rivolto a tutta una classe sociale e non solo agli 11 indagati; perché quella che loro identificano come “un vero e proprio sodalizio criminale, strutturato e organizzato in maniera stabile” è una realtà impegnata nella costruzione di un tessuto sociale capace di rispondere in maniera autorganizzata alle proprie esigenze, senza bisogno di andare ad elemosinare le briciole dalla giunta di turno, magari in cambio di qualche voto in più. Questo tessuto ci conosce, e sa bene che i veri criminali sono quelli che, in nome della ripresa, propongono ricette fatte di supersfruttamento, stipendi da fame e licenziamenti indiscriminati e poi, quando non si hanno abbastanza soldi per pagare loro un affitto, mandano la polizia a buttarti fuori di casa. Le accuse che ci muovono le rimandiamo al mittente, consci che se è successo tutto questo è perché hanno paura e noi dal canto nostro non abbiamo intenzione di smettere di fargliene. Giovedì abbiamo salutato compagni determinati e con la rabbia negli occhi e siamo e saremo sempre pronti a raccoglierne il testimone.
Per questo l’appuntamento musicale del venerdì in Piazza Toselli verrà mantenuto e ci prenderemo le strade del quartiere per portarlo avanti.
Per questo continueremo a lottare.
Abbiamo bisogno del sostegno di tutti e tutte. Le istituzioni hanno dato la loro risposta a chi chiedeva uguaglianza sociale, adesso è il momento di dare la nostra.
CRIMINALE È CHI SFRATTA E LASCIA LE CASE VUOTE!
SOLIDARIETÀ A TUTTI I COMPAGNI DEL COMITATO DI LOTTA PER LA CASA
LE LOTTE NON SI ARRESTANO!
SABATO 27, ORE 16, PIAZZETTA CADUTI DELLA RESISTENZA-PADOVA
CORTEO A SOSTEGNO DEI COMPAGNI INDAGATI

22 febbraio 2016
Comitato di Lotta per la casa, redazione di RadiAzione.info, Associazione Culturale N. Pasian, Mensa Marzolo Occupata, Centro di documentazione C. Giacca, Collettivo Universitario Red Ant


Firenze, 9 aprile: CORTEO contro la repressione
A Firenze siamo ormai giunti alle battute finali del primo grado nel processo contro il movimento fiorentino. Il processo è frutto di un'inchiesta aperta dalla procura fiorentina nel 2009 che formulò l'ipotesi del reato di associazione a delinquere applicata alle lotte politiche e sociali.
L'utilizzo del reato associativo ha permesso l'autorizzazione di intercettazioni ambientali e telefoniche, ha sancito il prolungamento delle indagini fino a quasi due anni determinando l'allargamento dell'inchiesta dal contesto studentesco da cui era partita, nello specifico dallo Spazio liberato 400 colpi, a tutte le altre mobilitazioni che stavano investendo il territorio come quella contro la costruzione di un CIE in Toscana, quella antifascista fino alle lotte dei lavoratori.
L'utilizzo del reato associativo è servito poi per alimentare la campagna mediatica di criminalizzazione del movimento e soprattutto ha legittimato le successive misure cautelari.
Il 4 maggio 2011 scattò la prima operazione di polizia che portò a diverse perquisizioni e ai primi arresti. Nelle settimane successive l'inchiesta si allargò alle manifestazioni che furono organizzate per rispondere all'attacco repressivo. Il 13 giugno si arrivò così alla seconda operazione di polizia che portò ad un totale di 86 compagni imputati nel processo di cui 35 sottoposti a misura cautelare tra arresti - uno in carcere gli altri ai domiciliari - e obblighi di firma.
Pertanto le realtà, i collettivi e le strutture firmatarie di questo APPELLO alla SOLIDARIETÀ lanciano una campagna di mobilitazione:
1. Affinché del processo si parli e si faccia parlare il più possibile di modo che si crei coscienza, consapevolezza e la repressione non possa agire nel silenzio.
2. Perché sia chiaro che chi lotta per la difesa dei propri diritti e più in generale per la costruzione di una società di eguali senza più guerra, razzismo e sfruttamento non sarà mai lasciato solo di fronte alla repressione con cui facciamo i conti quotidianamente: divieti, denunce, cariche, provocazioni, sgomberi e arresti sono ormai all'ordine del giorno.
3. Per arrivare ad una manifestazione di piazza il 9 Aprile 2016 ALLE ORE 15.30 IN PIAZZA SANTA MARIA NOVELLA A FIRENZE che sia un momento di espressione UNITARIA di solidarietà nei confronti degli 86 compagni e compagne imputati.

Centro Popolare Autogestito fi-sud, Movimento di Lotta per la Casa, Collettivo Politico Scienze Politiche, Cantiere Sociale Camilo Cienfuegos - Campi Bisenzio, Occupazione Corsica 81, Assemblea contro la metropoli, Rete dei Collettivi fiorentini, Confederazione Cobas Firenze, CUB Firenze, Clash City Workers - Firenze, Per un'altra Città, Collettivo contro la repressione - Firenze, La Polveriera, CSA nEXt Emerson, Partito Comunista dei Lavoratori - Firenze, Comitato Comunista Fosco Dinucci - Firenze, Partito Comunista - Firenze, Prc - Firenze, Giovani Comunisti - Firenze, Comitato Piazza Carlo Giuliani onlus, Collettivo d'Agraria, Coordinamento No Austerity, La fiaccola dell'anarchia, Occupazione di via del Leone 60/62, Partito di Alternativa Comunista - sezione italiana della Lit-Quarta Internazionale, Sa Domu Studentato Occupato Casteddu, Associazione Mariano Ferreyra, Collettivo Bujanov (AR), ValdarnoAntifascista, Assemblea Antifascista del Q2


genova: Dichiarazione al processo
Mercoledì 20 gennaio 2016 si è celebrata presso il tribunale di Genova l'ultima udienza in vista della sentenza per il processo per resistenza allo sgombero della Casa Occupata di Via dei Giustiniani, 19 avvenuto il 7 agosto 2012. Il PM ha chiesto per i 15 imputati condanne dagli 8 mesi all'anno e mezzo di reclusione, in alcuni casi senza il beneficio della condizionale. Il 5 febbraio ci sarà la sentenza di primo grado.
Segue la dichiarazione letta in aula da 6 imputati.

Leggiamo questa dichiarazione spontanea perché qui, come altrove, preferiamo esprimere il nostro pensiero e il nostro agire nella maniera che riteniamo più appropriata senza permettere che vengano codificati attraverso un linguaggio burocratico-legale avulso dalla realtà sociale in cui viviamo, tramite domande pre-impostate, predeterminate e mirate ad una ricostruzione ideologica e faziosa degli eventi per cui siamo imputati.
Non ci interessa entrare nello specifico del dibattimento processuale e del suo iter tecnico-legale. I nostri avvocati si occupano già di questo.
Quel giorno eravamo lì, insieme ad altre decine di persone, perché riteniamo sempre necessario esprimere la nostra solidarietà a chi viene colpito dall’azione repressiva dello Stato mirata al mantenimento del suo sistema di sfruttamento. Rispondere, ogni qualvolta lo riteniamo opportuno, ai soprusi quotidianamente perpetrati nelle strade della città è qualcosa al quale la nostra coscienza non si può sottrarre.
Non vediamo come ci possa venire chiesto di assistere passivamente al perpetuarsi di una società in cui decine di migliaia di uomini e donne vivono in condizioni di fame ed indigenza, trovandosi costretti a cercare di sopravvivere nelle maniere più disparate. Le città in cui viviamo sono colme di persone il cui rapporto con la Legge è obbligato dal Potere stesso. Senza occupare le case sfitte, rubare il cibo nei supermercati, sfuggire ai controlli di Polizia (qualora privi di documenti regolari) molte persone non potrebbero nemmeno sopravvivere. E molti di loro infatti non ci riescono nemmeno. Sono gli stessi media che ogni giorno ci raccontano di esseri umani affogati nel Mediterraneo, morti di freddo o di fame nelle metropoli, incarcerati, picchiati e violentati perché “fuorilegge” o più semplicemente poveri.
E nel contempo cosa ci verrebbe proposto? Un mondo basato su rapporti sociali sempre più mediati da assurde tecnologie, alienazione a basso costo, desertificazione affettiva, lavori regolamentati da contratti salariali sempre più miserabili, una militarizzazione capillare dell’esistenza, la totale distruzione dell’ecosistema.
Non è casuale, quindi, che in questo processo, come nella maggioranza dei casi, l’accanimento su chi è accusato o sospettato di commettere reati sia teso a ignorare completamente l’oggetto del contendere decontestualizzando del tutto i singoli gesti degli imputati dalle loro motivazioni e dalle dinamiche in cui avvengono.
Subiamo ed assistiamo ad un processo in cui di fatto siamo già stati condannati per quello che “siamo” e/o per come veniamo considerati dalla Polizia e dagli inquirenti. Le misure repressive e preventive alle quali siamo stati sottoposti dal dicembre 2012 (alcune delle quali durate anche 1 anno e mezzo), arresti domiciliari e obbligo di firma due volte al giorno, sono anche il frutto di mirabolanti dossier preparati ad hoc dalla Digos nel tentativo di stilare un nostro profilo personale più funzionale possibile a delegittimare e inibire le nostre scelte.
Significative a tal proposito furono le dichiarazioni dell’allora P.M. incaricato del caso che, pur riconoscendo la non esagerata gravità dei presunti reati commessi, asseriva la necessità che tali imputati fossero sottoposti a misure restrittive sia per la loro “incapacità di trattenersi dal delinquere”, insinuata dalla Digos nei dossier sopracitati, sia in previsione di un’eventuale recrudescenza del conflitto sociale. Non sappiamo se e quando un contesto del genere si verificherà realmente e quale direzione potrebbe prendere.
Quello che sappiamo per certo è che una società all’interno della quale i bisogni primari delle persone non hanno rilevanza risulta totalmente incompatibile con una qualsiasi forma di accondiscendenza da parte nostra.
Qualsiasi invito nei nostri confronti a essere indifferenti alla violenza delle forze dell’Ordine, sempre più diffusa ed indiscriminata, cadrà nel vuoto.
Qualsiasi pretesa nei nostri confronti di prestare gratuitamente le nostre esistenze alla mercé delle mafie immobiliari, pagando affitti esorbitanti e mutui capestro, umiliandosi per ottenere alloggi popolari che viste le garanzie richieste di popolare hanno ben poco, non avrà esito.
Fino a quando il mondo che ci viene prospettato sarà questo, non ci sarà nessuna condanna che potrà prevenire il bisogno di esprimere il proprio diniego. Se oggi siamo qua imputati è proprio per questo. E mentre le varie eventuali condanne prima o poi si estingueranno, ci sarà sempre qualcuno che, in piccolo o in grande, individualmente o in massa, non chinerà la testa e combatterà, non solo per la propria e altrui sopravvivenza, ma per un posta in gioco ancora maggiore, la dignità e la libertà.
A tal proposito, cogliamo l’occasione per esprimere la nostra solidarietà agli occupanti della Nave Assillo a Trento sgomberata nei giorni scorsi dalle Forze dell’Ordine.

3 febbraio 2016, da informa-azione.info


Dalle lotte nella logistica
Picchetto all'interporto di Tortona, inizio febbraio.
Dopo un lungo periodo di preparazione si è finalmente svolto lo sciopero all'interporto di Rivalta Scrivia, un importante polo logistico situato nei pressi di Tortona, presso il quale lavorano circa 430 facchini (consorzio CSL), 220 autisti (Automarocchi) e quasi 100 impiegati, dipendenti diretti della Katoen Natie, colosso belga della logistica in Europa.
Molte le questioni sindacali all'origine dello sciopero, a partire dalla mancata applicazione del CCNL (livelli, istituti, scatti, aumenti contrattuali inevasi) fino all'istituzione di una devastante cassa integrazione senza alcun criterio di rotazione. E' così che i padroni dopo aver rapinato gli operai di oltre 400€ al mese, intendono mettere letteralmente a pane e acqua decine e decine di operai, costringendoli a licenziarsi.
Come se non bastasse, in una situazione abominevole, che ha marciato letteralmente sotto tutela (per i padroni) dei Confederali, arriva la goccia che fa traboccare il vaso, e cioè tre licenziamenti arbitrari e discriminatori, che fanno scattare finalmente la lotta.
I circa 30 iscritti al SI.Cobas, dopo mesi di assemblee e preparativi, decidono così di giocarsi la loro carta, contando anche sulla rabbia e l'assenza di prospettive diffuse tra la maggioranza degli operai ancora affiliati ai sindacati confederali. Fin dalle 3,30 di mattina, sostenuti da oltre 100 operai provenienti del Si.Cobas da Milano, Piacenza, Fidenza e Genova si costituisce un picchetto che sceglie la strada di bloccare completamente l'accesso e l'uscita delle merci, lasciando però liberi gli operai di entrare. La scelta si rivela vincente tanto che oltre il 70% degli operai in turno (grosso modo l'intera CGIL e buona parte della UIL) decide di aderire allo sciopero. Il piazzale si riempie e arriverà a contare oltre 200 presenze. Il blocco è totale. I danni ingentissimi. Le forze dell'ordine, peraltro in numero esiguo, del tutto impotenti.
La preoccupazione dei padroni si respira e si arriva così ad una serie di trattative con committenti e fornitori che puntano al reintegro dei licenziati e all'apertura di una trattativa formale con il SI.Cobas, mentre altri 30 operai decidono di aderire alla "nuova" organizzazione sindacale, l'unica in 40 anni capace di mettere in campo un vero sciopero all'interporto tortonese. Al picchetto partecipano anche delegazioni operaie del Penny Market di Quattordio, della Coop situata nello stesso Polo Logistico di Rivalta e del Presidio Permanente dei braccianti in lotta a Castelnuovo Scrivia.Nei prossimi giorni si attende il rientro dei licenziati e la convocazione di un tavolo con l'amministratore delegato della Katoen Natie che, nel frattempo, ha convocato un incontro ad Anversa per far fronte all'emergenza e, possibilmente, varare nuovi piani industriali.
La situazione è estremamente dinamica e si richiede la massima attenzione da parte di tutta l'organizzazione e dei gruppi solidali al fine di condurre alla vittoria questa vertenza, passo fondamentale per porre le basi per la costituzione di un nuovo embrione di coordinamento provinciale nella zona di Alessandria-Tortona-Novi Ligure, importante snodo logistico e sede di diverse fabbriche metalmeccaniche e non solo.

TNT di Teverola e Casoria: gli impegni vanno rispettati, nessun passo indietro!
Stamattina, 4 febbraio, sono stati bloccati per oltre 6 ore gli ingressi dei magazzini TNT di Teverola e Casoria dai lavoratori SI Cobas in sciopero contro il costante venir meno agli impegni assunti da TNT e consorzi (Gesco e Lintel) in ordine alla garanzia del rispetto dei tempi previsti dalla legge per la liquidazione del Tfr e delle spettanze di fine rapporto, all'introduzione, già prevista a decorrere dal 1 gennaio, delle indennità di disagio di 5,29 per chi svolgone i cosiddetti "turni spezzati" e alla necessità di trasparenza riguardo l'organizzazione del lavoro nei magazzini a seguito delle numerose trasformazioni delle attività successive ai cambiamenti strutturali introdotti da TNT in concomitanza con il cambio di fornitore (in primis il ritorno delle attività di smistamento a Teverola) con le problematiche annesse relative ad aumento vertiginoso dei ritmi e delle ore di straordinario.
Tutto ciò in un frangente delicatissimo per le sorti dei magazzini, in quanto il consorzio uscente, Gesco Centro, dopo oltre un anno di amministrazione controllata è stato posto in liquidazione, e quello subantrante, Lintel pur avendo dato in più occasioni una serie di garanzie a parole (in particolare su spettanze e pendenze pregresse in capo al vecchio consorzio) nei fatti non aveva mai fino a oggi messo nero su bianco le questioni poste dal SI Cobas. Tutto ciò all'indomani della stipula del verbale di cambio cooperativa in cui le parti si impegnavano al rispetto delle intese e degli accordi preesistenti...
La giornata di lotta è stata molto dura a causa dell'atteggiamento particolarmente ostile da parte di TNT: a Casoria già nelle prime ore del mattino i quadri TNT in persona hanno ripetutamente aizzato i fattorini contro il presidio al punto che i lavoratori hanno dovuto schierarsi in sit-in per evitare di essere investiti dagli automezzi; a Teverola la sicurezza TNT ha ripetutamente invocato un azione decisa delle forze di polizia, che sono giunte fin dentro la sala in cui ha avuto luogo il tavolo di incontro e che solo grazie alla determinazione del presidio si sono "limitate" ad identificare 4 operai. Non contenti, hanno cercato di screditare il SI Cobas agli occhi dei lavoratori, presentando lo sciopero come strumentale, pretestuoso e "per meri tornaconti di bottega" in un momento, a loro dire, felice per i magazzini campani...
Decisamente diversa l'opinione dei lavoratori, che lamentano da alcuni mesi a questa parte un crescente disinteresse dell'azienda per le tematiche che li riguardano, salvo poi voler "batter cassa" quando si tratta di approvare in fretta e furia intese funzionali alla crescita dei loro profitti. 
L'accusa, ripetutamente sollevata da TNT e dalla nuova Cooperativa Alice di una presunta violazione da parte del SI Cobas delle "regole d'ingaggio" sulla proclamazione dello sciopero (presentato come selvaggio), è manifestamente infondata in quanto il fermo delle attività è seguito a una serie interminabile di incontri, email e richieste di chiarimento, che, puntualmente inevase, hanno portato alla proclamazione ufficiale dello stato di agitazione lo scorso 1 febbraio.
Questa condotta irresponsabile e in "stile-Marchionne" da parte di TNT costituisce una netta inversione di tendenza rispetto alla condotta dei mesi scorsi, maggiormente improntata al dialogo e alla "distensione" nei rapporti sindacali, e ricorda molto da vicino l'atteggiamento arrogante e repressivo con cui il SI Cobas si trova a dover fare i conti in numerosi magazzini, in ultimo alla Bormioli di Fidenza. C'è da augurarsi che questo "nervosismo" da parte di TNT, peraltro alla vigilia della fusione con Fedex, non preluda a una nuova stagione di ristrutturazioni e attacchi antioperai...
Pur dovendo far fronte a questo nuovo scenario, i lavoratori di Teverola e Casoria non si sono lasciati intimidire, e hanno sospeso lo sciopero solo a seguito dell'impegno da parte di TNT, Lintel e Alice di redigere un primo verbale d'incontro in cui si garantisse il pagamento del TFR e delle spettanze di fine rapporto e si ribadisse l'efficacia del verbale di incontro dello scorso 29 maggio che sanciva l'introduzione delle indennità di turno spezzato a partire dal 1 gennaio 2016.
Nei prossimi giorni si svolgerà un vero tavolo di trattativa che coinvolgerà anche i magazzini del Lazio al fine di definire una volta e per tutte le controversie sospese, in primis i numerosi iter di conciliazioni riguardanti differenze retributive pregresse, definiti a giugno e anon ancora portati a termine.
Si tratta dell'ennesimo, importante risultato conquistato ancora una volta grazie alla determinazione e alla tenacia dei facchini. La lotta, come sempre, paga, ma siamo ancora agli inizi! Ora si tratta di collegare le mobilitazioni dei singoli magazzini in un unica, grande vertenza capace di imporre analoghe tutele su salario, orari, diritti e sicurezza in tutte le principali compagnie di trasporti e logistica, in  linea con la strada già tracciata dal SI Cobas con lo sciopero generale del 29-30 ottobre scorso.

SI Cobas Napoli e Caserta

Dopo due giorni di picchetti, vittoria dei lavoratori della Gls
Dopo due giorni consecutivi di picchetto davanti ai cancelli della GLS (General Logistics System), 9 dipendenti hanno ripreso a lavorare e si è aperto un tavolo di trattativa relativo all’applicazione del contratto nazionale.
Tutto nasce da un mancato rientro di un lavoratore alla GLS di Treviglio, dopo una sospensione di 8 giorni. Infatti, successivamente, anziché riprendere a lavorare ha trovato risposte evasive e di fatto l’ordine di non tornare fino a quando non si sarà chiarita la situazione con i sindacati e la cooperativa Prospect, società al servizio della GLS. Un comportamento del tutto illegittimo da parte della cooperativa che ha portato i lavoratori insieme al sindacato S.I. Cobas a organizzare un picchetto davanti ai cancelli della sede a Bergamo l’8 Febbraio.
Una giornata sfiancante nella quale né l’azienda né la cooperativa ha intrapreso un dialogo reale con i lavoratori. Purtroppo si è assistito a un incidente che ha visto coinvolto un facchino che stava manifestando. Infatti, un furgoncino, a velocità elevata, ha colpito il lavoratore e nonostante ciò la guidatrice è scesa con l’intenzione di aggredirlo, come si vede dalle scene del video che riprende i momenti successivi all’accaduto. Nel frattempo altri lavoratori, dopo essersi iscritti al S.I. Cobas hanno ricevuto, da un giorno all’altro, come proposta “da non rifiutare” un contratto ridotto a sole 6 ore di lavoro. Un offerta che ha trovato come risposta lo sdegno dei lavoratori.
Alla fine la posta in gioco era alta: 9 lavoratori da far reintegrare con un contratto a tempo pieno e l’apertura di un tavolo di trattativa per l’applicazione di un contratto nazionale.
Come spesso accade nel mondo della logistica, viene adottato un contratto nel quale non vengono rispettati i diritti fondamentali. Anche in questo caso tredicesima, quattordicesima, ferie e malattia non sono mai state riconosciute. Inoltre i lavoratori svolgevano, all’occasione, sia il ruolo di autotrasportatore sia di facchino. Due mansioni a cui sono dedicati due tipologie di contratto diverse.
Il 9 Febbraio si riparte con la mobilitazione, questa volta alle sede di Treviglio. Nonostante le squallide intimidazioni e provocazioni create dall’arrivo di due camionette della celere, il picchetto è durato tutto il giorno senza momenti di tensione. Ma dopo questi due giorni i lavoratori hanno ottenuto ciò che volevano: il ritorno al lavoro dei 9 colleghi e l’apertura di un tavolo di trattativa sul contratto.
A tutto ciò si aggiunge la condotta politica dell’azienda. Se difatti ha perso sotto il profilo delle rivendicazioni, come contro altare gli articoli comparsi sui giornali locali risultano smielatamente a favore dell’azienda.
Inoltre si aggiunge l’interpellanza parlamentare del senatore bergamasco della Lega Nord Giacomo Stucchi, in cui dichiara: «talune controversie possono essere risolte nelle opportune sedi giudiziarie e non certo con la prevaricazione di comitati di lavoratori, come in questo caso, verso aziende e piccoli imprenditori; l’azienda GLS sta perdendo credibilità con i clienti e di conseguenza si rischiano effetti negativi sul fatturato, in un momento di delicata congiuntura economica per tutto il territorio della bergamasca». Insomma, in provincia sono stati numerosi i picchetti in questi ultimi anni nel ramo della logistica, ma in questo caso per la società GLS, sentori e consiglieri regionali vengono interpellati dall’azienda stessa come dimostra il post su Facebook della consigliere regionale leghista Lara Magoni.
Le parole del senatore e della consigliera sono chiare. Non si può fermare la produzione. Non si può compromettere l’immagine di una azienda. Si può manifestare ma non si può creare danno. Peccato che tra queste righe non viene mai spesa una parola sulle condizioni di lavoro e sui motivi della mobilitazione. Quando il profitto risulta sempre più preponderante rispetto le vite e i diritti dei lavoratori.
Nonostante, come in questo caso, le aziende e le cooperative risultano politicamente meno isolate di quanto si possa pensare, questa lotta ha dimostrato che la determinazione dei lavoratori premia e che un lavoro senza diritti non è un lavoro.

13 febbraio 2016, da bgreport.org

Cariche e lanci di lacrimogeni contro facchini e solidali alla Bormioli di Fidenza
[...] Blocchi si protraggono a singhiozzo dagli ultimi giorni dello scorso dicembre fino ad oggi, con nel mezzo cariche, fermi, denunce, inseguimenti in tangenziale, manifestazioni dei dipendenti diretti di Bormioli appoggiati da tutte o quasi le forze politiche cittadine, i confederali e il sindaco in testa, ma anche contromanifestazioni come quella lanciata dallo stesso SI Cobas capaci di portare un migliaio di facchini da varie città a Parma in solidarietà ai protagonisti di questa vicenda.
Ma veniamo ad oggi. In programma era presente un nuovo picchetto che ha visto la partecipazione oltre che dei licenziati dalla Bormioli anche di tanti e tante solidali da tutto il Nord Italia; obiettivo del blocco era ancora una volta protestare contro i licenziamenti e le condizioni peggiorative applicate nella fabbrica in seguito all’ingresso del consorzio Cal al posto di quello precedente Lintel. Un picchetto di centinaia di persone si è così costituito sin dal primo mattino, bloccando i camion in entrata e in uscita e determinando una nuova situazione di forte perdita per la Bormioli, obbligata a rivolgersi alla forza pubblica per sbloccare la situazione.
La giornata si è però trascinata stancamente senza innalzamento di tensione fino alle 22: una volta arrivati i rinforzi di celere, questa si è schierata per rimuovere con la forza il presidio che ha deciso a quel punto di praticare la resistenza a terra. La determinazione operaia ha fatto sì che le operazioni risultassero difficili, facendo saltare i nervi alle forze dell’ordine che hanno cominciato a fare pressione, dapprima con colpi ripetuti di scudo e a seguire con vere e proprie cariche. Il presidio ha resistito fronteggiando senza timore la provocazione poliziesca e ripiegando con ordine.
Non paga, la celere ha però proseguito le cariche per alcune decine di metri, dopodiché ha lanciato svariate decine di lacrimogeni a grappolo per disperdere il blocco stradale che si era formato. Nel frattempo altri facchini riuscivano a bloccare i primi camion in uscita sdraiandosi sotto di questi, e venendo a loro volta attaccati da un ulteriore lancio di lacrimogeni che ha portato al ferimento di uno dei licenziati della Bormioli, costretto a causa di una successiva crisi di asma ad essere portato in ospedale con la celere vergognosamente al seguito dell ambulanza che trasportava il lavoratore.
Quest ultimo è stato poi oggetto di un tentativo poliziesco di arresto in flagranza all’interno dell ospedale respinto dai compagni che lo accompagnavano.
Contemporaneamente un altro spezzone di celere ha fermato il pulman dove erano saliti tanti facchini e solidali una volta disciolto il blocco, effettuando perquisizioni allo scopo di intimidire i manifestanti che non sono però ceduti alle provocazioni.
La ditta, va ricordato, è ritenuta una delle fabbriche-simbolo del Made in Italy che esporta in mezzo mondo ma va precisato che questa multinazionale nel 2011 era al 95% di proprietà del Banco Popolare, ereditato poi dalla Popolare di Lodi (remember Fiorani), che a sua volta vendette l'intera quota ad un fondo di investimento inglese, tale Vision Capital, che ha iniziato la sua opera di ristrutturazione nella riduzione dei "costi fissi", ovvero iniziando lo smembramento delle diverse divisioni produttive della società ad altre multinazionali svizzere ed austriache nell’ottica di una buona presentazione in sede di ingresso a Piazza Affari. [...]

18 febbraio 2016, da infoaut.org


No Confindustria nelle scuole
Lunedi 22 Febbraio, l’Unione Industriale di Torino e l’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, hanno organizzato un Congresso, che ha come tema la “piena dignità formativa al lavoro” riconosciuta dalla Legge 107/2015 “La Buona Scuola”.
La tavola rotonda sarà formata dal Presidente dell’Unione Industriale di Torino, dal Vice Presidente di Confindustria e Presidente di Unioncamere, dal Presidente IREN, e dal Presidente della Camera di commercio di Torino.
L’invito e’ stato rivolto ai Dirigenti Scolastici e gli insegnanti che si occupano di Alternanza Scuola/Lavoro, al fine di sottoscrivere un Protocollo d’Intesa ​”per la collaborazione tra Scuole e Imprese del territorio, concordando obiettivi, iniziative, strumenti e metodi di lavoro comuni”.
Nello stesso giorno, il Ministro dell'Istruzione Giannini sarà a Milano per partecipare ad un Convegno promosso da Assolombarda, Confindustria Milano, Monza e Brianza, insieme all’Università Statale ed all’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, dal nome: “Sapere e fare: insieme è possibile”.
E’ chiaro ed evidente che Confindustria, attraverso l’Alternanza Scuola/Lavoro e con il lasciapassare degli USR, sta entrando nelle nostre scuole pubbliche per “adeguare la funzione educativa all’etica del lavoro e delle Imprese” (cit . Convegno del 13 ottobre 2015 dedicato all’istruzione, in cui Confindustria ha indicato gli obiettivi della riforma scolastica, approvata in luglio 2015) .
Il Governo, in ossequio alle richieste di Confindustria (sindacato dei grandi imprenditori italiani), concederà incentivi e sgravi fiscali alle imprese che ospiteranno gli studenti, mentre la disoccupazione giovanile continua ad aumentare per effetto dell’altrettanto nefasto Jobs Act. Sono stati stanziati 100 mln di euro per dare copertura finanziaria alle imprese che offrono gli stage: quei soldi devono essere invece destinati agli istituti scolastici per l’arricchimento di percorsi didattici culturali di qualità.
Questo stesso Governo é artefice di un becero e pericoloso modello di sperimentazione di lavoro gratuito, attraverso il quale 18.500 studenti di tutta Italia hanno lavorato gratuitamente per Expo 2015.
L’Alternanza Scuola/Lavoro, così come proposta, sarà solamente la seconda sperimentazione di sfruttamento gratuito del lavoro giovanile e un addestramento alla precarietà, in nome del profitto dei padroni, oltre che l’ulteriore dequalificazione della scuola pubblica e del suo mandato culturale.
Studenti e lavoratori della scuola diciamo a gran voce il nostro No all’Alternanza Scuola/Sfruttamento e chiediamo che gli stage:
- non siano obbligatori, tanto da pregiudicare l’ammissione all’esame finale di Stato, ma piuttosto venga data agli studenti la libertà di scelta​​​;​
- vengano retribuiti.
Invitiamo tutti a partecipare ​al​ Presidio contro l’Alternanza Scuola/Sfruttamento, ​lunedi ​22 Febbraio alle ore 15,30 ​davanti alla ​sede Rai di Torino (Via Verdi). In contemporanea, anche gli studenti e i lavoratori della scuola di Milano saranno in presidio.

Assemblea studenti e lavoratori della scuola di Torino contro la L.107 e il Jobs Act

Coordinamento Contro La Buona Scuola Torino