indice n.112
Libia, l'Italia pronta a inviare centinaia di militari a Tripoli
L’Europa è una fortezza, la Grecia una prigione
Barriera al Brennero: iniziati i lavori
aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i cie
La protesta nelle carceri del Texas contro il lavoro forzato
“Pagine contro la tortura”: presidi sotto le carceri e proposte
lettera dalla sezione 41bis del carcere di Spoleto (pg)
Resoconto sulla prima udienza del processo a Davide Delogu
lettere dal carcere di Massama (OR)
Lettera di Claudio trasferito da Velletri a Viterbo, col 14bis
lettere dal carcere di milano-opera
lettera Dal carcere di Belluno
Lettera dal carcere di Livorno
lettera dal carcere di terni
un saluto da marco camenisch
Napoli: In piazza per Davide Bifolco
2 APRILE: MUSICA E LOTTA INTORNO AL CARCERE DI S. VITTORE
Roma, 12 maggio: solidarietà ai/alle ribelli del 15 ottobre 2011
aggiornamenti dalla lotta contro il TAV
Aggiornamenti dalle lotte nella logistica
Libia, l'Italia pronta a inviare centinaia di militari a Tripoli
Preannunciata nei mesi scorsi a reti unificate, sta per prendere carne la decisione del governo italiano di imbarcarsi in Libia, assumendo contestualmente la guida della missione delle Nazioni Unite e quindi il maggior impegno militare in termini numerici. Almeno 600 uomini (ma la cifra potrebbe arrivare a toccare le 900 unità) dovrebbero quindi imbarcarsi direzione Tripoli, con la scusa della lotta all’Isis e della necessaria stabilizzazione del paese, ma in realtà con ben altre priorità.
Crollano le furbe e finte esitazioni di Renzi, Mattarella e Gentiloni, sotto il peso della necessaria adesione alla volontà della Nato di mettere le mani sui giacimenti petroliferi libici. Il nuovo governo di Tripoli ha fatto infatti formale richiesta di intervento lunedì, proprio con la motivazione della necessaria difesa degli impianti di estrazione del greggio, giustificando così sempre più quell’etichetta di governo-fantoccio che da più parti gli sta venendo in maniera sacrosanta affibbiata.
L’appoggio militare al governo di Serraj sarà inoltre giustificato con l’implementazione del controllo dei flussi migratori, rendendo l’Europa sempre più fortezza e al contempo non evitando in alcun modo che si ripetano tragedie nel Mediterraneo.
Anche un recente articolo del Corriere della Sera, a firma di M. Galluzzo, dice che la natura dell’intervento militare in Libia è di proteggere i propri siti sensibili, ovvero in primis i pozzi petroliferi. Come in Afghanistan quindi sono gli interessi di multinazionali come Eni ad essere decisivi; del resto la stessa cacciata di Gheddafi dalla Libia fu determinata dagli interessi neocoloniali franco-britannici alla ricerca di nuove possibilità di sfruttamento dei giacimenti di Tripoli per Total e così via.
L’intervento dovrebbe partire appena arriverà il disco verde dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la Russia che non dovrebbe mettersi di traverso e le principali potenze occidentali Germania Francia Usa e GB che hanno pattuito lunedì 25 aprile al G5 di Hannover di assecondare ogni richiesta del neo-governo libico, non ancora legittimato dal Parlamento di Tobruk ma già evidentemente pronto a giocare il ruolo di manichino delle potenze dell’Alleanza Atlantica.
La Difesa ha subito smentito il piano e abbassato la cifra dei soldati che dovrebbero essere inviati da subito in Libia, probabilmente per cercare di spegnere subito l’attenzione sulla vicenda. Del resto, una guerra in questo preciso momento non è esattamente l’opzione preferita un’opinione pubblica votante che se da un lato sembra essere sempre più propensa ad un irrigidimento delle frontiere, dall’altra è recalcitrante ad imbarcarsi in spedizioni che non sembrano altro che avventurismi.
Nonostante questo, gli interessi economici non vedono ragioni e spiegano il “fortissimo sostegno” del governo italiano all’esecutivo libico di Serraj, riconosciuto poche settimane fa dall’ONU come governo legittimo libico ma sempre più evidente testa di ponte delle compagnie petrolifere nella regione a sud del Mediterraneo.
27 aprile 2016, liberamente estratto da infoaut.org
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contro la guerra in libia inceppiamo la macchina militare
La guerra non è più dichiarata: essa semplicemente è. Dal 1991 Lo Stato italiano è in guerra, con le sue truppe schierate in più di 20 paesi e la partecipazione a tutte le principali “missioni internazionali”.
Adesso il governo Renzi si sta preparando ad aggredire la Libia, con l’obiettivo di schierare la fanteria a difesa dei giacimenti petroliferi e dei metanodotti dell’ENI.
Come se non bastasse, lo Stato italiano tornerà presto in Iraq con un contingente di circa 500 soldati, che presidieranno i lavori di ristrutturazione della diga di Mosul, affidata all’impresa di costruzione Trevi di Cesena.
La guerra è da sempre utilizzata da Stati e classi dominanti per affermare i propri interessi. Dall’accaparramento delle risorse all’arrivo di manodopera a basso costo in fuga dai conflitti, la guerra è l’ossigeno dell’impresa.
Ma non solo: la guerra è essa stessa un’impresa, assicurando ingenti profitti ai padroni delle armi – in testa il colosso di Stato Finmeccanica – e agli speculatori che si spartiscono gli appalti di “ricostruzione”, passando per gli imprenditori della logistica necessaria alle manovre.
Mentre i padroni banchettano sul mondo, la guerra la vediamo anche qui vicino a noi, sotto forma di un’umanità braccata: milioni di profughi si accalcano alle frontiere esterne degli stessi Stati che li hanno bombardati, ma si trovano di fronte solo chilometri di muri, filo spinato, acciaio, campi di internamento e militari che li sorvegliano. I confini, apparentemente scomparsi, ritornano a farsi materiali.
Da questa parte della frontiera, la popolazione viene fatta vivere nel terrore che la guerra possa tornare indietro sotto forma di attacchi indiscriminati. Si restringono gli spazi di dissenso, peggiorano le condizioni di vita e le città vengono militarizzate. Tutto ciò viene fatto con il tacito assenso di chi a queste scelte non oppone resistenza.
Ma qui vicino a noi, possiamo trovare anche i responsabili di questi orrori. Non sono infatti solo i militari che fanno la guerra. Essi hanno bisogno anche di altri che li sostengano nel loro compito: le industrie che producono gli armamenti, le università che sviluppano i ritrovati tecnici e le dottrine strategiche d’intervento, i vettori commerciali per il trasporto logistico di armi e soldati.
Un carro armato che non viene imbarcato su una nave non può andare a sparare oltremare; una bomba che non viene portata fuori dalla fabbrica non può essere sganciata su un villaggio libico o siriano. Per questo Moby Lines, Tirrenia, FS Logistica, Saima Avandero, Ter Roma e tante altre sono complici della guerra. FS Logistica guadagna oltre 10 milioni di euro l’anno per il trasporto su rotaia dei mezzi militari. Moby Lines trasporta le bombe della RVM dalla Sardegna al Continente, per permetterne l’arrivo sugli scenari di guerra.
Contro la logistica bellica, l’imminente attacco militare alla Libia e tutti i complici del militarismo, occorre quindi agire. Per questo dal 28 marzo al 2 aprile invitiamo alla mobilitazione tutti i nemici della macchina militare, realizzando azioni di disturbo e contrasto contro coloro che permettono l’arrivo di mezzi e rifornimenti al fronte, secondo i desideri e le capacità di ognuno. Perché alla guerra tra gli stati e i popoli opponiamo la guerra sociale, per l’abbattimento di ogni frontiera e contro ogni sfruttamento dell’essere umano sull’essere umano e sulla natura.
Anarchici e antimilitaristi
10 marzo 2016, da romperelerighe.noblogs.org
L’Europa è una fortezza, la Grecia una prigione
L’UE e il governo greco, nonostante la crescente critica, danno conclusione alla decisione di espellere le persone profughe dalle isole greche in Turchia. Il parlamento di Atene ha approvato la proposta del governo, fondata sul presupposto di riconoscere la Turchia come “sicuro terzo stato”. L’UE falsa tutto, vuole che alla Turchia sia riconosciuta estraneità, assenza di interessi in comune con chi in Rojava attacca la popolazione kurda, con chi in Siria vuole spazzare via il regime di Assad, la Turchia è invece parte compresa dell’aggressione NATO e viceversa, un’aggressione, una guerra di cui l’UE è parte integrante.
In seguito all’accordo stabilito fra UE e Ankara tutte le persone profughe, rifugiate “illegalmente” in Grecia dopo il 20 marzo verranno trasferite con la forza in Turchia. Dall’entrata in vigore di quell’accordo in Grecia sono entrate 5mila persone finite internate in lager di raccolta in condizioni inaccettabili.
Nel lager di raccolta dell’isola greca di Chios ora sono internate almeno 500 persone. I quotidiani greci informano che numerose persone profughe sono riuscite a tagliare i reticolati che avvolgono i lager, raggiungendo così i porti vicini, ma riarrestate poco dopo… A queste persone era stato promesso un “procedimento particolare”; in ogni caso, della possibilità di restare in Grecia potranno usufruirne solo le persone “la cui vita, i cui diritti in Turchia sono in pericolo”.
Questo presupposto-richiesta è cinico quanto falso. Dall’inizio dell’anno la Turchia ogni giorno risospinge gruppi di 100 uomini, donne e bambin* in Siria. Questo ripudio del diritto internazionale è un ulteriore pezza d’appoggio del fatto che “la Turchia, per persone profughe non è un terzo stato sicuro, nel quale l’UE può sospingere senza esitazione chi ha bisogno di sicurezza.” Media inglesi nei giorni scorsi informavano che al confine fra Siria e Turchia i soldati turchi sparano sulle persone che fuggono dalla Siria. E’ documentato che negli ultimi mesi in quelle zone sono rimaste uccise almeno 16 persone, fra le quali tre bambin*. (da jungewelt.de, aprile 2016)
In questi ultimi tempi, con l’aggravarsi delle condizioni delle persone bloccate alle frontiere o rinchiuse nei moderni lager, abbiamo assistito al proliferare di articoli sulla situazione in Grecia e in generale in Europa. Di fronte a questa marea di informazioni vorremmo provare a mettere in luce alcuni aspetti che spesso vengono taciuti o presentati in modo ambiguo dalla stampa mainstream.
Il protagonismo dei/delle migranti nelle lotte e l’aumento della repressione
In seguito all’accordo UE-Turchia, alla chiusura della rotta balcanica e all’incremento delle deportazioni verso i campi e i centri di detenzione in Turchia, si è assistito a un aumento delle proteste da parte dei/delle migranti in tutta la Grecia; si lotta ogni giorno cercando di superare la frontiera a Idomeni ed Evros, contro l’isolamento e le condizioni di vita nei campi militarizzati come a Koutsochero e Katsikas, contro i trasferimenti coatti dagli accampamenti “autorganizzati” come al Pireo o Polykastro, contro la reclusione e le espulsioni, nei centri di detenzione come ad Elliniko e negli hotspot di Lesbo, Chios, Samos.
Idomeni. Domenica scorsa centinaia di migranti si sono organizzati per cercare di rompere la recinzione che separa il confine greco-macedone e attraversarlo. La protesta, iniziata al mattino e portata avanti tenacemente fino alla sera, è stata duramente repressa dalla polizia macedone, che ha preso di mira i migranti con gas lacrimogeni, granate stordenti e proiettili di gomma.
Mentre le persone continuavano a resistere, i governi greco e macedone – entrambi ugualmente responsabili della situazione alla frontiera – hanno continuato a rimbalzarsi le colpe a vicenda per aver reagito troppo o troppo poco. Tsipras ha definito «vergognosi» i metodi repressivi utilizzati dalla polizia di Skopje, che a sua volta ha accusato la polizia greca di non essere intervenuta.
La lotta dei migranti per abbattere la recinzione e superare il confine non si è fermata nonostante le centinaia di feriti di domenica, e infatti è continuata per sei lunghe ore anche mercoledi 13 aprile, sotto una pioggia incessante di lacrimogeni.
Il governo greco e la stampa mainstream hanno attribuito ai solidali stranieri e ai volontari presenti nel campo, la responsabilità di aver incitato con volantini i migranti alla rivolta. Anche in questo caso, come già successo ad esempio a Calais, si prova a far passare l’idea che i migranti siano organizzati e diretti da gruppi di solidali – quasi sempre europei – e che le loro lotte non nascano invece autonomamente da un bisogno di libertà e dalla rabbia per le condizioni in cui l’Europa vorrebbe costringerli a vivere.
Naturalmente tutte queste notizie hanno avuto come effetto quello di far intensificare la sorveglianza e negli ultimi giorni assistiamo a controlli e fermi da parte della polizia greca nei confronti dei/delle solidali, da Salonicco fino alle strade che portano a Idomeni dove “lo stato sopprime la solidarietà”: la polizia infatti ferma, perquisisce, fotografa e prende le impronte digitali dei/delle solidali (senza averne l’autorità per altro).
Dall’11 Aprile è aumentata la stretta repressiva nei confronti di solidali e volontari nei dintorni di Idomeni, e il 12 Aprile la polizia e i servizi segreti greci hanno fermato 20 persone (tedeschi, austriaci, svedesi e portoghesi, oltre a due greci, un residente palestinese in Grecia e un siriano) nel corso di una serie di controlli sui volontari sospettati di diffondere, nel campo di Idomeni, notizie di una prossima apertura della frontiera; i fermati sono stati successivamente rilasciati senza accusa, mentre un tedesco, scoperto in possesso di un piccolo coltello da cucina, è stato arrestato per porto abusivo di arma. Anche ieri 13 aprile, perquisizioni e 29 fermi tra i solidali, tra i quali spagnoli, tedeschi, norvegesi e inglesi.
A Lesbo invece – da giorni – i controlli, i fermi e gli arresti contro migranti e solidali, vengono portati avanti autonomamente dai 350 agenti Frontex presenti sull’isola, e le retate sono in aumento in vista della prossima visita del papa.
Inoltre, in Grecia si stanno allestendo decine di nuovi campi per migranti, gestiti in gran parte dall’esercito, e contemporaneamente si sta lavorando in questi giorni per sgomberare gli accampamenti spontanei al porto del Pireo e a Idomeni. Gli sgomberi sono giustificati con la scusa di migliorare le condizioni di vita delle persone che ci vivranno, l’obiettivo reale sembra però quello di liberare le aree portuali in vista della stagione turistica, allontanare i migranti dalle frontiere, isolarli in zone remote lontane dai centri abitati, separarli dai solidali, e dividerli in gruppi sempre più piccoli in modo da poter essere più facilmente gestibili e repressi dalla polizia durante le proteste. Diversi sono infatti gli annunci da parte delle autorità che minacciano l’uso della forza su migranti e solidali se dovessero opporsi agli sgomberi. Da sottolineare come lo stesso Tsipras, poco dopo la sua elezione, dichiarava alla stampa: “Chiuderemo i centri di detenzione per stranieri” ma oggi questi continuano a esistere per dividere, contenere e controllare le persone migranti arrivate in Grecia. Il governo Tsipras ha infatti deciso di gettare la questione dei profughi sul tavolo delle trattative con il Fondo Monetario Internazionale per provare ad evitare ancora una volta il default.
La rinata cooperazione tra polizia e fascisti
Mentre in Europa si assiste a un progressivo avanzamento di quelle forze politiche populiste e xenofobe che cavalcano le notizie sui fenomeni migratori per spaventare l’opinione pubblica e raccogliere voti, in Grecia – dove ricordiamo il partito di ispirazione nazista Alba Dorata è il terzo partito per numero di voti – le cose vanno, se possibile, ancora peggio: negli ultimi tempi infatti la manovalanza fascista viene usata per intimidire i migranti.
A Chios i migranti, fuggiti dall’hotspot di Vial a fine marzo, si erano diretti al porto dove avevano dato vita all’occupazione di un’area in modo da presidiare le navi in partenza nella speranza di lasciare l’isola (purtroppo le uniche navi disposte a imbarcarli erano quelle che avrebbero dovuto deportarli in Turchia).
La settimana scorsa l’occupazione è stata sgomberata dall’azione sinergica tra manifestanti xenofobi, autorità locali e polizia, che hanno intimidito e attaccato gli occupanti. 10 tra i migranti più determinati a resistere sono stati denunciati e arrestati. In precedenza i fascisti avevano attaccato con bottiglie molotov il Soli Cafe – uno spazio occupato che supporta i migranti presenti nell’isola- che rimane ancora attivo nonostante l’attacco.
Anche al Pireo da giorni i fasci di Alba Dorata e del nuovo partito LEPEN, in combutta con la polizia, provocano e assalgono i migranti; il fine è sempre lo stesso: sgomberare gli accampamenti e riportare le persone all’interno degli hotspot greci e nei nuovi campi governativi militarizzati.
Lo stesso avviene in Bulgaria, dove formazioni paramilitari “arrestano” migranti che entrano sul suolo bulgaro. Gli agenti improvvisati legano i polsi ai migranti e li costringono faccia a terra. Le Ong denunciano il moltiplicarsi di episodi del genere.
Anche in Spagna bande di fascisti armati danno la caccia ai minori migranti per le strade di Melilla.
Questa, l’altra, la loro o la nostra Europa è comunque merda fascista
I programmi delle destre fasciste europee sono di fatto stati unanimemente adottati da tutti i governi europei. L’accordo UE-Turchia mette in pratica il programma dei fascisti greci di Alba Dorata: reclusione di tutti i migranti ed espulsione immediata. Ripropone inoltre pratiche già portate avanti dai paesi europei: accordi di cooperazione e riammissione con i paesi di provenienza o di partenza dei migranti, per effettuare espulsioni immediate. È il caso degli accordi tra Spagna e Marocco e Italia e Tunisia oppure, alcuni anni fa, di quello tra Italia e Libia. Nel solo 2015, nei paesi dell’Unione europea, ci sono stati 118.492 respingimenti alle frontiere, 175.220 deportazioni e 286.725 decreti di espulsione.
L’attuazione dell’accordo UE-Turchia ha rivelato fin da subito e chiaramente tutte le incapacità del sistema di gestione e respingimento dei migranti europeo.
Alcuni migranti pakistani di Lesbos hanno dichiarato che la polizia stava arrestando anche i pakistani richiedenti asilo, provocando le contestazioni avvenute nel campo di Moria. A Chios, ci sono state voci circa la deportazione di richiedenti asilo. Inoltre, in diversi casi, i solidali lì presenti hanno avuto l’impressione che le deportazioni siano avvenute in modi super arbitrari. Per due volte, alcuni migranti sono stati quasi deportati perché erano nella fila sbagliata. Infine, Vincent Cochetel, direttore dell’ufficio europeo dell’UNHCR, ha confermato come il caos amministrativo sull’isola abbia causato la mancata registrazione delle richieste d’asilo di 13 migranti afghani e congolesi che sono stati deportati “per sbaglio” nel primo viaggio di rimpatri forzati, il 21 marzo.
Per sopperire alle difficoltà nella gestione delle numerose richieste d’asilo che arrivano quotidianamente,il Parlamento greco ha adottato la legge 4375/2016, che introduce diversi cambiamenti nelle procedure d’asilo e di prima accoglienza e che è entrata in vigore il 3 aprile.
Questa nuova legge sull’immigrazione prevede:
– la possibilità di rifiuto di massa delle domande di asilo definite come “inaccettabili”;
– l’esame delle domande d’asilo, in entrambi i gradi di giudizio, entro 14 giorni;
– la possibilità “in via eccezionale” di detenere le persone durante tutto il tempo necessario all’esame della domanda d’asilo;
– la perpetuazione della politica di detenzione ed espulsione dei migranti privi di documenti.
Che le politiche europee sull’immigrazione siano coercitive è evidente anche da alcune assurdità come i moduli che vengono distribuiti al momento dell’arrivo a Vial, in cui ci sono due domande nella stessa colonna: “Vuoi fare richiesta d’asilo sì o no?” e “Vuoi tornare in Turchia sì o no?”, che prevedono una scelta che nella realtà dell’accordo UE-Turchia non esiste affatto. Si può scegliere solo se fare domanda d’asilo, aspettare da reclusi il prevedibile rifiuto e sospendere la deportazione di qualche settimana, oppure essere espulsi immediatamente.
Fuori dalla Grecia, intanto, sono diversi gli stati che stanno dando un’impronta decisamente xenofoba alle loro politiche migratorie, inseguendo le posizioni dei partiti di estrema destra.
Italia – Il numero di domande d’asilo respinte è in continuo aumento: 29% nel 2013, 37% nel 2014 e 68% nel 2015. Anche quest’anno la percentuale sembra aumentare.
Germania – È in via di approvazione una nuova legge più restrittiva sul diritto d’asilo. Intanto nel 2015 le espulsioni aumentano del 62% rispetto all’anno precedente: le persone deportate sono state 22.369 contro le 13.851 del 2014. Gli espulsi nei primi due mesi del 2016 sono il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: 4.500 persone.
Francia – Nel 2015, l’80% delle domande d’asilo è state respinto e 29.596 persone sono state espulse dal paese.
Spagna – Il 68% delle domande d’asilo è stato respinto nel 2015, e l’approvazione della nuova cosidetta “Ley Mordaza” ha legalizzato il rimpatrio immediato degli immigrati sul confine blindato di Ceuta e Melilla.
Belgio: Theo Francken, segretario di stato all’asilo e alla migrazione, ha annunciato che presenterà una legge in parlamento per stipulare che i cittadini non UE, che vorranno restare in Belgio per più di 3 mesi, sianno obbligati a firmare un giuramento per “provare a integrarsi nella civiltà belga”. Ciò significa che dovranno sapere che “la violenza contro persone, mogli e bambini è punita dalla legge”, che bisogna rispettare “la libertà di religione” e che i migranti dovranno promettere di segnalare e prevenire gli attacchi terroristici.
Norvegia: Qui è stato adottato un regolamento, tra i più restrittivi in Europa, secondo il quale i richiedenti asilo, le cui richieste verranno considerate “ovviamente infondate”, potranno essere imprigionati durante il tempo in cui la loro richiesta viene lavorata sotto quella che in Norvegia chiamano “la procedura delle 48h”. Perciò in soli due giorni la domanda d’asilo potrà essere facilmente rigettata. Secondo il ministro per l’integrazione Sulvi Listhaug, la carcerazione dei migranti serve a evitare che essi scappino o siano coinvolti in attività criminali. Nel 2015, più di 30.000 persone hanno chiesto asilo in Norvegia: 10.000 venivano dalla Siria, e quasi 7.000 dall’Afghanistan. All’inizio dell’anno, la maggior parte delle richieste è stata accettata. Ma questa situazione è rapidamente cambiata: ora, la maggior parte dei richiedenti viene infatti deportata.
Austria: è iniziata la costruzione di una barriera al confine con l’Italia (Brennero): avrà una lunghezza di 250 metri e comprenderà l’autostrada, come anche la strada statale. È chiaro il fine elettorale di questa proposta considerando anche i sondaggi che danno l’FPO (partito populista e nazionalista di destra) come primo partito con popolari, socialisti e verdi in grande difficoltà che per riguadagnare voti “seguono” le politiche della destra xenofoba sul terreno dell’immigrazione
È di un paio di giorni fa la notizia secondo la quale l’UE potrebbe centralizzare la gestione delle domande d’asilo per governare meglio i flussi di migranti. A chiederlo è stato il Parlamento Europeo in una risoluzione (non vincolante) adottata a maggioranza l’altro ieri. I deputati riconoscono il fallimento del sistema attuale e invocano una riforma radicale del regolamento di Dublino. In particolare, propongono l’istituzione di un sistema d’asilo centralizzato per raccogliere e assegnare le domande, secondo uno schema che potrebbe includere una quota per ogni Paese membro e che dovrebbe lavorare sulla base degli “hotspot”, o punti di crisi, dai quali i rifugiati verrebbero redistribuiti. Si tratterebbe comunque di poche migliaia di persone “selezionate”, prelevate dai campi profughi in medio oriente, confermando con ciò la chiusura della Fortezza Europa per tutti coloro che autonomamente provano ad arrivare in Europa.
Dai governi razzisti di centrosinistra così come dalle opposizioni della destra fascista non c’è da attendersi nessun miglioramento della situazione e non è possibile nessuna mediazione o implorazione “umanitaria”: ora più che mai è necessaria la lotta comune degli oppressi e la solidarietà attiva tra autoctoni e migranti.
14 aprile 2016, da hurriya.noblogs.org
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Trattative fra i governi del Marocco e della Germania
Nei giorni scorsi il governo del Marocco presieduto da re Mohamed IV, ha diffuso un comunicato in riferimento ad una “chiamata” della cancelliera Merkel. Entrambi i governi si trovano d’accordo sul punto seguente: le persone del Marocco immigrate in Germania che hanno chiesto lo status di “profughe” verranno rimpatriate. Per tentare di sgomberare ogni dubbio morale sulla propria decisione, il governo tedesco si è preoccupato di divulgare una nota in cui definisce Algeria, Tunisia e Marocco “stati di provenienza sicura” (cioè democratici, dove la libertà è di casa, dunque dove si può tornare; chi non vuole fare ritorno dunque è persona sospetta, da rispedire indietro con la forza).
Sulla condizione delle “libertà” in Marocco il giornale tedesco Bild a metà novembre ha pubblicato un’intervista al giornalista marocchino Ali Anouzla in cui precisava che “in Marocco esistono tre linee rosse che nessuno può travalicare: “la critica al palazzo, alla corruzione in cui è immerso il governo, le violazioni dei diritti umani, la tortura, i processi penali scorretti e la situazione nel Sahara occupato (Polisario)… sono tutti temi tabù.” Il “giornalismo indipendente” non esiste. Lo stato è riuscito ad “uccidere ogni libertà”.
Per esempio, lo stesso giornalista intervistato, dal 2103, è perseguitato per aver scritto sul giornale Lakome notizie relative allo scandalo “Danielgate” centrato sulla grazia che il re aveva concessa in occasione della “festa del trono” ad una persona proveniente dalla Spagna, arrestata per stupro in Marocco. Il regime aveva risposto accusando il giornalista di essere “sostenitore del terrorismo”, in quanto aveva osato scrivere un articolo su un video di propaganda anti-monarchica diffuso da “Al-Qaida nel Maghreb islamico”. Da sola questa accusa prevede 20 anni di carcere. Il processo non è stato ancora fissato. Il 25 gennaio l’agenzia AFP annunciava che contro Anouzla era scattata una denuncia, relativa all’intervista al Bild per “attacco all’unità dello Stato”, riferito in particolare alle parole “Sahara occidentale occupato”.
In proposito, la corte suprema europea il 10 dicembre scorso ha considerato nullo un accordo commerciale fra Unione Europea e Marocco, poiché nello status del Sahara Occidentale non si tiene in alcun conto che esso è un territorio de-colonizzato sul quale il Marocco non ha alcun diritto. Nel 1975 l’UE aveva dovuto escludere dalla convenzione il Sahara Occidentale annesso, la cui occupazione era sostenuta da esercito, polizia e gruppi di picchiatori e da cinte gigantesche lungo il confine. Nei fatti però l’UE traeva profitto dallo sfruttamento illegale (compiuto dalle multinazionali europee…) dello stesso territorio e del vicino oceano Atlantico, mentre, inoltre taceva sulle violazioni dei diritti umani.
Anche contro i manifestanti della “primavera araba” il regno è intervenuto con picchiatori prezzolati, chiamati Baltadschija. [...]
1 febbraio 2016, da jungewelt.de
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Nuove (stupefacenti) prassi: la Questura di Milano diventa un Hotspot!
Nelle ultime settimane, grazie alle testimonianze dei cittadini stranieri, degli operatori sociali e degli avvocati, abbiamo rilevato una nuova prassi operativa della Questura di Milano gravemente illegittima:
- a numerosi cittadini stranieri che si sono rivolti agli uffici della Questura di Milano per presentare richiesta di protezione internazionale è stato sottoposto un modulo prestampato da compilare con riferimento ad alcune domande tese a "valutare" se il richiedente potesse essere considerato effettivamente un soggetto avente diritto alla protezione o piuttosto si potesse trattare di un migrante economico. Nel caso in cui tale "filtro" sia risultato negativo, al richiedente è stato notificato (senza che la domanda venisse in alcun modo registrata) un decreto di espulsione.
- la decisione della Questura di Milano di non consentire agli avvocati che accompagnano le persone richiedenti la protezione internazionale di accedere agli Uffici.
Entrambe le iniziative oltre ad essere evidentemente irregolari denotano, da un lato, una trasformazione sostanziale di un servizio volto alla ricezione delle domande d’asilo in un filtro arbitrario delle domande stesse e, dall’altro lato, una violazione palese del diritto alla difesa.
Siamo preoccupati per il comportamento fortemente lesivo di diritti fondamentali nonché della facilità con cui tutto questo è accaduto all’interno di un’istituzione della Pubblica Amministrazione. Abbiamo denunciato tale comportamento illegittimo inviando una lettera (anche allegata) e alla quale aspettiamo risposte ufficiali.
29 aprile 2016, Naga, Apn e Asgi
Barriera al Brennero: iniziati i lavori
Martedì 12 aprile sono cominciati i lavori preliminari per la barriera anti-immigrati al Brennero. Da quello che si capisce, si tratta per il momento di aree di sosta per i controlli sull'autostrada e sulla statale a qualche centinaio di metri dal confine con l'Italia. Incaricata dei lavori, l'Anas austriaca. Le notizie riportate da quotidiani e telegiornali nazionali parlano già di costruzione del muro, allo scopo di far precipitare negli animi la logica del fatto compiuto. In realtà sono i primi lavori preliminari: la partita è tutta da giocare. Senza contare che il punto non è solo (e tanto) erigere delle barriere, ma gestirle. La mobilitazione contro la frontiera del Brennero, di cui la manifestazione del 7 maggio è solo un passaggio, deve avere come scopo proprio quello di rendere ingestibile la situazione.
Assieme alle notizie riguardanti i lavori al Brennero, negli ultimi giorni non sono mancate le prese di posizione da parte delle autorità italiane (a partire da quelle del presidente della Repubblica “contro la politica dei muri”). Siamo di fronte a una sfacciata ipocrisia. Non solo lo Stato italiano non ha avuto nulla da ridire contro il filo spinato eretto al confine ungherese o a Idomeni, ma è parte attiva nell'alleanza fra l'Unione Europea e il regime fascista di Erdogan: sei miliardi di euro in cambio del lavoro sporco di impedire l'ingresso dei profughi, se necessario ammazzandoli.
Nell'Europa concentrazionaria che si sta costruendo, il confine fra Austria e Italia è un anello debole, e questo per varie ragioni. Primo perché porta nel cuore dell'Europa ciò che le democrazie preferiscono costruire o finanziare nelle periferie della Fortezza: muri e filo spinato. Secondo perché a trovarsi in contrasto sono due Paesi capitalisticamente avanzati. La chiusura del Brennero, assieme al blocco della rotta balcanica pianificato e finanziato principalmente dallo Stato tedesco e da quello austriaco e realizzato dagli Stati balcanici e da quello Turco, farebbe d'Italia e Grecia le due vie privilegiate di arrivo e sosta da parte di chi sta fuggendo dalle guerre, soprattutto dalla Siria e dall'Afghanistan. Terzo, ma non per importanza, gli interessi economici in ballo: il transito di merci e il turismo. A nessuno governante interessa la vita degli immigrati in fuga; ciò che crea timori è il collo di bottiglia di tir che potrebbe crearsi al Brennero, dove ogni anno transitano 40 milioni di tonnellate di merci. Per questo le autorità italiane propongono controlli di polizie e militari senza creare intralci a merci e turisti (pensiamo solo ai turisti tedeschi che vanno e vengono dal lago di Garda). Confindustria, Società di autotrasporto, Camere di Commercio e albergatori si dicono assai allarmati. Quelle sul valore simbolico e storico del confine al Brennero sono chiacchiere di circostanza.
Piccola riprova è che mentre il capo dello Stato italiano si dice indignato per le barriere al Brennero, il questore di Bolzano dichiara che nessuna manifestazione di pretesta sarà autorizzata in zona.
Intanto lo Stato austriaco, cominciando i lavori al Brennero in piena campagna elettorale (il 24 aprile si svolgeranno le elezioni presidenziali), rivela apertamente in che direzione si raccolgono oggi i consensi. Contemporaneamente, nel Parlamento austriaco è in discussione – con procedura d'urgenza – un disegno di legge che sospende il cosiddetto diritto di asilo dichiarando lo stato d'emergenza. L'uso dell'esercito e la costruzione di barriere verrebbero giustificati da “una minaccia prevista”: il probabile afflusso di immigrati dopo la chiusura della rotta balcanica. Quei confini che in piena guerra fredda venivano giustificati con il pretesto di una possibile “invasione sovietica”, oggi vengono ricostruiti contro i poveri che fuggono in massa dalle loro terre. Se lo Stato austriaco riuscisse a costruire anche vicino al Brennero campi e container per immigrati come ha fatto al confine con la Slovenia, in quei “centri di accoglienza temporanea” potrebbero essere deportati tutti i richiedenti asilo d'Austria.
Definire tutto ciò un passaggio storico non è certo retorico.
Quello che faremo – o non faremo – nei prossimi mesi segnerà il futuro prossimo di milioni di persone. Rendere impossibili le “soluzioni tecniche” del totalitarismo democratico, collocandosi idealmente e praticamente in un contesto di lotta internazionale, è giusto, doveroso, possibile.
Sabato 7 maggio, tutte e tutti al Brennero!
“Se tutto ciò è possibile, se anche solo ha un'ombra di possibilità, allora bisogna pure che qualcosa si faccia nel mondo.
Il primo che capita, chiunque abbia avuto questi pensieri inquietanti, deve cominciare a fare qualcosa di ciò che fu tralasciato; anche se è uno qualsiasi, se non è per nulla il più adatto: altri non ce ne sono”. (Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge)
aprile 2016, da abbatterelefrontiere.blogspot.com
aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i cie
L’hotspot e Taranto: la frontiera è ovunque
Mentre in Grecia tutte le migliaia di persone arrivate nelle isole vengono imprigionate, direttamente dai luoghi di sbarco, negli hotspot, che svelano così completamente la loro (prevista e prevedibile) funzione di campi di selezione e concentramento, in Italia ancora si fa poca attenzione a quello che avviene in questi luoghi di reclusione.
Negli hotspot di Lesbo, Samos e Chios ci sono state nei giorni scorsi ripetute rivolte e fughe di massa dai centri (pur considerando che le isole stesse, per loro natura, sono di fatto una prigione a cielo aperto); le ONG hanno denunciato la situazione e dichiarato la loro (apparentemente) rinuncia a collaborare, mentre in Italia avanzano solo qualche critica.
Eppure anche qui, da Lampedusa a Taranto, continua la lotta dei/delle migranti contro la detenzione e le identificazioni, attraverso proteste, cortei, tentativi di fuga, resistenza alla presa delle impronte, scioperi della fame. Mancando purtroppo il più delle volte un supporto solidale all’esterno, di queste proteste si san ben poco, e solo le più eclatanti sono riportate, talvolta, dai media.
L’hotspot di Taranto ha una capienza prevista di 300 posti, ma a ogni sbarco qui vengono ammassate molte più persone. È recintato, controllato da telecamere e presidiato da esercito, polizia, carabinieri, polizia municipale, protezione civile e croce rossa. Le persone sono ammassate in tensostrutture, ed esposte ai fumi della vicina ILVA.
Il 13 aprile, come riportano alcune testate locali, una trentina dei 324 migranti arrivati la notte scorsa all’hotspot di Taranto, su autobus provenienti da Reggio Calabria, sono fuggiti dal centro per evitare l’identificazione. Dopo la caccia all’uomo e l’inseguimento, sono stati poi individuati da polizia e carabinieri e ricondotti forzatamente nell’hotspot.
Nei giorni precedenti, e come già accaduto prima, circa 200 migranti avevano ricevuto un decreto di espulsione ed erano stati rilasciati con un foglio di via che impone loro di lasciare l’Italia entro 7 giorni. Nel frattempo, rimasti senza soldi e senza un tetto, sono “liberi di circolare”, e chi può prova a continuare il viaggio attraverso le frontiere blindate. Per loro fortuna la macchina delle espulsioni, in Italia, è stata inceppata dalle rivolte dei migranti nei centri di detenzione a Torino, Roma, Bari, Crotone e Caltanisetta, le strutture e i posti disponibili sono pochi e di conseguenza sembrano diminuire, per il momento, anche le espulsioni.
A quanto si è appreso, sempre nei giorni scorsi, alcuni migranti si sono cosparsi i polpastrelli di colla per ostacolare l’identificazione. «Ma la Polizia si è attrezzata con dei solventi – aggiunge il dirigente della poliza locale nell’hotspot di Taranto – per superare anche questo problema».
Non c’è modo di capire cosa sia l’hotspot di Taranto senza guardare le strade pattugliate, la stazione presidiata da telecamere delle tv locali e nazionali e i buoni samaritani con le pettorine delle associazioni, le guardie sui treni, gli autobus urbani tramutati in nastri trasportatori di merce umana. Il nervosismo della sbirraglia che chiede i documenti a chi osa guardare oltre i doppi cancelli per cercare gli occhi di chi è recluso.
Si rischia di soggiacere altrimenti alla narrazione dominante dell’Europa che non rinuncia alle sue istanze di civiltà e umanitarismo nonostante la minaccia del terrorismo, agitata sempre con un tempismo magico.
I Grandi burattinai ripetono che lasciare morire di bombe (eccellenza dell’esportazione Made in Italy) uomini donne e bambini non sta bene. Per quanto riguarda la miseria, la fame, le galere o la voglia di sfuggire ad un destino scritto e andare via non è affare nostro. Dunque all’estrema periferia sud dell’Europa le porte si fanno strettissime e si smistano esseri umani. Nessuno esce senza aver lasciato le proprie impronte e senza aver dichiarato la propria provenienza. Da quel punto in poi i destini si dividono. Chi risponde ai parametri per richiedere l’asilo, politico o umanitario, entra nella filiera della seconda accoglienza. Un affare miliardario per associazioni, cooperative sociali, charitas, mercanti del tempio che mai furono scacciati. Poi comincia il limbo dell’attesa dei documenti. Giorni che diventano mesi. E poi anni ad ingannare il tempo spossessati della propria autonomia, della vita stessa. Infantilizzati, gli spostamenti solo nei percorsi obbligati, un tempo di redenzione passato a dimostrare senza ombra di dubbio la propria disponibilità ad essere sfruttati dentro i sistemi economici della patria dei diritti umani mangiando pasta scondita. Qui al sud Italia spesso finendo nelle mani dei caporali delle agromafie e di sciacalli vari coperti dalla questura. Per gli altri, i cosiddetti migranti economici la sentenza è riassunta dall’ipocrisia del “respingimento differito”.
Appena fuori dall’hotspot vengono caricati sugli autobus dell’Amat (trasporto urbano che senza troppi scrupoli s’è messo a prendere ordini direttamente dal prefetto) e portati in questura nel quartiere periferico della Salinella a firmare un foglio che ne sancisce la clandestinizzazione. Entro sette giorni saranno obbligati a raggiungere con i propri mezzi la frontiera e lasciare l’Italia. Entro sette giorni il loro destino sarà a discrezione dello sbirro che li ferma, degli accordi tra ministri degli interni europei, delle indotte psicosi securitarie dell’Opinione Pubblica. Dopodichè vengono sistematicamente mollati in mezzo alla strada, il cerchio è chiuso sono tutti contenti. O forse no.
Il sindaco di Taranto si è svegliato male quando s’è accorto di avere un problema grosso quanto l’affare che sperava di aver concluso. Un fiume di esseri umani senza nulla da perdere ad invadere la città. Con le mani nei capelli facendo una forzatura al dipositivo a cui si era piegato senza problemi pochi mesi prima fa riaprire le ex Ricciardi, un edificio scolastico in disuso già utilizzato durante l’emergenza nordafrica. Con la mediazione delle associazioni umanitarie vi fa trasferire tutti quelli che attendendo di poter salire sul treno per allontanarsi dalla ennesima prigione della loro odissea, non hanno un tetto per passare la notte.
Un luogo sicuro assicurano caritatevoli ed indaffarati gli emissari dell’associazione Babele e lo ripetono ai migranti in inglese in francese in arabo.
Il sindaco chiede un tavolo con la prefettura, dopo 48 ore la celere è alle ex ricciardi a ribadire chi comanda sul traffico di questi esseri umani. Non certo le intempestive crisi di coscienza di un sindaco connivente a tutte le peggiori imposizioni coloniali (ilva, eni, marina militare qui dettano la legge, lui scrive) e neanche le buone intenzioni dei volontari garanti della pace sociale. [...]
Una bella giornata d’aprile (sul presidio sotto il CIE di Torino del 10 aprile)
Nel Cie torinese nell’ultimo anno, i reclusi hanno dato parecchio filo da torcere ai gestori che tentavano la ristrutturazione delle aree danneggiate dalle rivolte. L’intento degli ultimi provvedimenti legislativi è una messa a regime funzionale delle strutture e per quello torinese parecchi sono stati i finanziamenti stanziati dal governo centrale. A ogni ristrutturazione prima o dopo seguivano nuove rivolte, nuovi danneggiamenti, nuovi incendi. Così la capienza massima non si raggiunge da anni e nel Cie ora son disponibili una sessantina di posti appena, nuovamente messi in discussione dal fuoco appiccato la scorsa settimana nell’unica area ancora interamente funzionante.
Forse per questo da un po’ di tempo all’interno del Centro polizia ed enti gestori stanno affinando il sistema di disciplinamento per cercare di pacificare gli animi. La differenziazione tra chi sta buono e chi reagisce si fa più capillare e costante, l’utilizzo dell’ospedaletto come luogo d’isolamento a scopo punitivo è diventato ormai la normalità mentre è in via di sperimentazione il sequestro arbitrario di telefoni cellulari per togliere ogni possibilità di comunicazione tra le aree e con l’esterno. A tutto ciò si aggiungono le solite prepotenze della polizia, i pestaggi e il sottile controllo informale che si insinua grazie alla presenza di operatori che parlano la stessa lingua delle persone rinchiuse.
Il tentativo di riorganizzare la reclusione nel Centro va di pari passo con il tentativo di spezzare la solidarietà fuori. Negli ultimi mesi i presidi che si è soliti fare sotto le mura subiscono la pressione della polizia che prende metri abbandonando le postazioni lungo la ricenzione per avvicinarsi sempre di più ai solidali. Con atteggiamento muscolare si fa notare che non verranno tollerati lanci di palline con messaggi di solidarietà verso dentro né lo scoppio di fuochi d’artificio. Anche il saluto estemporaneo è diventato faticoso a causa della presenza di una volante che gira intorno al Centro pronta a chiamar rinforzi alla bisogna. Così sempre più spesso il saluto si traduce in fermo per qualcuno. Nelle scorse settimane tre compagni, due francesi e uno spagnolo, fermati sotto le mura del Cie, dopo una notte in Questura sono stati espulsi.
Disincentivare la solidarietà diretta quindi ma anche zittire le voci, bloccare la circolazione di informazioni, nascondere sotto un velo. Così qualche settimana fa dai social network sparisce il pagina “ICieliBruciano” dove venivano raccolte notizie, informazioni e testimonianze dai e sui Cie. Persino un recluso riceve minacce dopo che sul suo profilo vengono trovati video e foto dall’interno di Caltanissetta, prontamente fatti cancellare dalla polizia.
Nonostante tutto questo, sotto un sole primaverile si è svolto il presidio mensile in solidarietà con i reclusi del Cie torinese: un centinaio di persone per oltre due ore hanno occupato il prato fuori dalle mura del Centro e con urla, interventi e musica hanno tenuto compagnia a chi è rinchiuso.
La polizia, che ultimamente si era fatta più pressante, stavolta deve arretrare e tornare lungo il perimetro della struttura lasciando ai solidali tutto il prato per muoversi. Ma se stavolta i rapporti di forza sono a loro sfavorevoli, l’atteggiamento non sembra essere cambiato e se il presidio si svolge deciso e senza problemi, qualche solidale quando tutto è stato ormai smobilitato, incappa in un controllo non previsto. In due si erano infatti attardati in zona, in attesa di cenare e sostavano ancora su una panchina sotto le mura del Cie, chiacchierando tranquillamente, quando da dentro hanno sentito delle urla alle quali hanno risposto intonando “Libertà!”. La reazione della solita pattuglia fissa, che aveva già preso il posto delle numerose camionette mobilitate per il presidio, è piuttosto agitata e i due pensan bene di togliersi dalla vista e andar quindi a consumar la cena in un ristorante cinese lì vicino. E già stavano per ordinare quando la polizia si presenta al tavolo chiedendo di fornire i documenti. I due sono stati poi portati all’interno del Cie per essere perquisiti e sono stati rilasciati solo qualche ora dopo.
Intanto a poche ore dalla fine del presidio i ragazzi reclusi fanno sapere che tre di loro sono stati portati via, arrestati per gli incendi di fine marzo che hanno distrutto tre camere dell’area blu. Di loro si sa ancora poco e si sta cercando in queste ore di capire se son stati trasferiti alle Vallette, di cosa sono accusati e quale sarà il loro destino. Questi arresti, che arrivano a due settimane dalla protesta, pare siano stati permessi dal sistema di videosorveglianza che ha ripreso le fasi della rivolta, forse immortalando i volti di chi vi ha partecipato.
Il clima di intimidazione all’interno del Cie ha raggiunto nelle ultime settimane livelli molto alti. Mentre ai reclusi dell’isolamento è ancora vietato uscire al campetto, a tutti è stato vivamente consigliato di non sentire persone all’esterno. Probabilmente a causa di queste pressioni durante il presidio non si sono sentite le voci dei ragazzi e nessuno ha telefonato.
Dentro come fuori dunque questura e procura continuano sulla linea dura reprimendo chi si rivolta e pure chi con quelle rivolte è solidale e disposto a dimostrarlo.
Ma il presidio di sabato ci dà almeno un’indicazione: in tanti e determinati lo spazio intorno al Cie può essere difeso. Bisogna allora tener alta l’attenzione, non adagiarsi sui risultati ottenuti ma invece rilanciare forte la solidarietà, trovando nuovi modi per raccontare delle proteste dei reclusi e per portare calore e forza a chi non smette di ribellarsi.
Roma, 30 aprile: presidio al C.I.E. di Ponte Galeria
Nel dicembre dello scorso anno, una grande rivolta nel C.I.E. di Ponte Galeria ha distrutto la sezione maschile. Grazie agli incendi e alla resistenza dei reclusi, la sezione ha subìto così tanti danni da essere svuotata e ancora mai riaperta. Rimane però attiva la sezione femminile, l’unica nei C.I.E. d’Italia, in cui attualmente sono detenute circa 40 donne; inoltre questo C.I.E. mantiene la sua funzione di passaggio degli uomini provenienti da altri centri di detenzione in vista di una successiva espulsione di massa.
Anche in altre città, da Torino a Caltanissetta, le diverse rivolte delle persone detenute hanno portato alla chiusura e al danneggiamento di molte sezioni. In questo modo si sono ristrette di molto le possibilità di finire in queste gabbie se trovati senza documenti durante le retate e i controlli nelle città, che si stanno intensificando a causa delle recenti leggi contro il terrorismo. Nello specifico a Roma ciò si traduce in una massiccia presenza di militari e forze dell’ordine in ogni quartiere, sempre più legittimati e liberi di perquisire persone, case private e occupazioni di chiunque sia anche solo sospettato di avere legami con soggetti o reti terroristiche. È questa la scusa di questi tempi molto in voga per fomentare l’odio, la paura e l’isolamento nei confronti degli immigrati, delle immigrate e di chi oggi arriva alle frontiere.
Isolamento che ha sempre caratterizzato tutte le strutture detentive: in particolare nei C.I.E., e anche a Ponte Galeria, è palese il progetto di dividere le persone detenute e limitare al massimo ogni contatto con l’esterno. Infatti, è previsto un piano di ristrutturazione del centro e della sua gestione che mira a trasformare questo luogo in una vera e propria prigione, con un controllo sempre più serrato da parte di guardie e operatori. Nello specifico l’eliminazione di luoghi in comune (mense e cortili) e celle più piccole e non comunicanti con le altre sezioni, in modo da evitare il contatto e la comunicazione tra i detenuti e limitare così la possibilità di rivolte. Allo stesso modo, in questo momento si sta rendendo sempre più complicata la comunicazione con i/le solidali all’esterno. Durante i presidi, le detenute vengono chiuse nelle celle fin dalla mattina per evitare che possano ascoltare le voci di solidarietà fuori le mura, dove invece sono sempre presenti, e sempre in maggior numero, polizia e digos muniti di camionette e idrante.
Sappiamo che questo dispositivo di controllo non è prerogativa del C.I.E. romano, ma è utilizzato ugualmente in altre città e vuole intimidire anche altre lotte. Crediamo che questi tentativi di spaventare e allontanare le persone solidali dai percorsi di lotta contro i C.I.E. e le frontiere siano funzionali alla ristrutturazione stessa dei centri e al proseguimento indisturbato di business e affari di ditte e enti gestori.
Non vogliamo che la repressione detti tempi e spazi del nostro agire e per questo sabato 30 aprile, come ogni mese, torneremo davanti quelle mura. Ci vediamo alle 16 in stazione Ostiense per andarci insieme.
Le frontiere sono ovunque. Solidali con chi lotta contro i confini. Sosteniamo chi è rinchiusa a Ponte Galeria!
Milano, aprile 2016
***
Bruciare le frontiere ogni giorno
Torino: Appello per tre giorni di discussione e lotta il 20, 21 e 22 maggio
Da Idomeni a Calais arrivano immagini di persone che premono per passare frontiere sempre più chiuse. Contemporaneamente gli Stati europei mettono in campo una ristrutturazione nella gestione interna dell’immigrazione attraverso nuove strutture di smistamento e acuendo il controllo nelle strutture della detenzione amministrativa.
Proprio per questo è necessario incontrarsi per discutere dei cambiamenti in corso.
Gli incontri vogliono sollevare alcuni nodi critici, teorici e pratici, e i limiti incontrati nelle lotte con i migranti e immigrati che, nell’ultimo anno in particolar modo, si sono sviluppati in varie parti d’Italia e non solo. Consci della difficoltà e della complessità di questo proposito, pensiamo sia necessario ricercare un confronto aperto non dettato da scadenze di lotta o impegni di movimento. In pratica sentiamo il bisogno di riprendere una discussione riguardo questi argomenti specifici, senza per forza dover trovare una sintesi di analisi e di intenti ma piuttosto un terreno di confronto fertile nel quale poterci ritrovare nei mesi a venire.
Obiettivi delle due giornate:
– avere un confronto con diversi compagni rispetto alle politiche migratorie internazionali in relazione ai flussi e alla chiusura delle frontiere.
– fare il punto sull’evoluzione del sistema di accoglienza e di respingimento messo in campo in Italia partendo dagli Hotspot, dal sistema della cosiddetta “accoglienza secondaria” fino all’internamento nei Cie.
– avere un confronto con compagni impegnati in vari ambiti di lotta contro la gestione dell’immigrazione, quali a esempio la lotta contro i Cie e quella contro le frontiere.
– avere un confronto con compagni provenienti dall’estero che nell’ultimo anno hanno seguito diverse lotte al fianco di rifugiati e richiedenti asilo.
La discussione vorrebbe toccare i seguenti punti:
– L’arrivo massiccio di immigrati previsto nei prossimi mesi potrebbe ricreare durante l’estate prossima una situazione simile a quella vissuta l’anno scorso a Ventimiglia, dove si stanno già ammassando centinaia di profughi. La chiusura della frontiera austriaca sta ostacolando il passaggio verso il nord- Europa deviando, probabilmente, i flussi provenienti dai Balcani e dal meridione, verso il confine nord-occidentale. Come poter immaginare un intervento di lotta che tenga conto delle contingenze pratiche che tali situazioni creano? Come portare avanti una solidarietà attiva con i migranti stessi senza scadere in dinamiche assistenziali ma rilanciando piuttosto percorsi di lotta e complicità? Quali limiti e quali possibilità offrono questi spazi nati attorno a una situazione d’ emergenza?
– L’enorme flusso di migranti viene fatto transitare negli Hotspot di recente apertura, che fungono da filtri attraverso i quali decidere della destinazione di ogni migrante, e in seguito incanalato verso strutture di seconda accoglienza quali gli Sprar, i Cas e i Cara. Questi luoghi esistono da parecchi anni ma nell’ultimo periodo si stanno moltiplicando per far fronte a un numero sempre maggiore di richiedenti asilo. La retorica dell’accoglienza, utilizzata per giustificare l’esistenza di tali strutture, nasconde una complessa rete di appalti nella quale si inseriscono cooperative e imprese che incassano lauti guadagni nella fornitura di servizi. E non solo. Il “parcheggio” offerto ai richiedenti asilo costringe molti a sottostare a un percorso di integrazione, reale o meno, costruito attorno ad attività educative e prestazioni lavorative di sfruttamento. A margine di questi percorsi ufficiali le strutture di seconda accoglienza rappresentano in molti casi un bacino di manodopera sottopagata da utilizzare nei lavori agricoli, nei cantieri o nei ristoranti, dove il caporalato trova ampi spazi di manovra. Quali possibilità di intervento contro cooperative, ONG, associazioni o enti che gestiscono tali strutture? Come intercettare momenti di conflittualità messi in atto dagli stessi migranti e in che modo poter intervenire? Come ci si può contrapporre alla propaganda dell’accoglienza mettendone in luce le contraddizioni più profonde e le sue finalità di controllo?
– I Cie sono l’ultimo luogo di transito per gli immigrati in attesa di espulsione, catturati durante le retate oppure provenienti dal carcere, dai luoghi di sbarco o di frontiera. Anche se la gestione dei Cie cambia a seconda della loro localizzazione e dei vari gestori che li hanno in appalto, negli ultimi anni tali strutture tendono a diventare sempre più simili a delle galere: la repressione interna a suon di controlli serrati, reparti di isolamento, privazione dei telefoni per comunicare con l’esterno, conferma questa ipotesi. Nonostante ciò le rivolte e le evasioni dei reclusi rimangono un esempio lampante di come poter chiudere questi Centri. La gestione dei servizi è una fonte costante di guadagno per ditte ed enti, talvolta i medesimi sia per i Cie che per i centri adibiti alla seconda accoglienza. Come poter sostenere dall’esterno le rivolte dei reclusi e come portare avanti anche in maniera autonoma la lotta contro i Cie?
Calendario degli incontri:
- Venerdì 20/5: ore 19:00 discussione su sistemi di gestione e controllo dell’immigrazione. Dalla macchina delle espulsioni a quella dell’accoglienza.
- Sabato 21/5: ore 10:00, presidio in piazza Repubblica angolo corso Giulio Cesare.
Ore 14:30, racconto delle diverse esperienze di lotta a fianco dei sans-papiers. Interverranno dei compagni dalla Francia. Ore 19:30, confronto su blocchi alle frontiere ed esperienze di lotta dell’ultimo anno.
- Domenica 22/5: ore 16:00, presidio sotto le mura del Cie in corso Brunelleschi.
30 aprile 2016, da autistici.org/macerie
La protesta nelle carceri del Texas contro il lavoro forzato
I detenuti di cinque carceri del Texas si sono impegnati a rifiutare di lasciare le loro celle.
È uno sciopero contro il lavoro forzato nelle carceri. I motivi dello sciopero sono ben spiegati in un volantino di 5 pagine scritto dai detenuti che hanno utilizzato la capacità di organizzarsi senza essere individuati, nonostante il rigido controllo del sistema penitenziario degli Usa. Così inizia il volantino: “A partire dal 4 aprile 2016, tutti i detenuti in tutto il Texas si asterranno dal lavoro al fine di ottenere attenzione da parte dei politici e della comunità del Texas”.
Le richieste dei detenuti vanno dalla riforma del sistema della libertà condizionale, a quelle per rendere più umane le condizioni di detenzione, per ridurre e abolire la pratica dell’isolamento. Si chiede inoltre un credito di “buona condotta” per la riduzione della pena, per migliorare il sistema sanitario e per metter fine al contributo medico di $ 100; in conclusione per un drastico ridimensionamento della popolazione carceraria dello stato.
In Texas, i prigionieri hanno tradizionalmente lavorato in aziende agricole, nell’allevamento di maiali e nella raccolta del cotone, in particolare nel Texas orientale, dove molte carceri occupano ex piantagioni.
La maggior parte dei prigionieri abili, presso le strutture federali, sono obbligati a lavorare, e almeno 37 Stati permettono alle imprese private di far lavorare i prigionieri, anche se tali contratti rappresentano solo una piccola percentuale di lavoro carcerario. Judith Greene, un’analista di politica penale, ha detto a Intercept: “Ironia della sorte, questi sono gli unici programmi di lavoro delle carceri dove i prigionieri prendono più di pochi centesimi all’ora“. Nelle strutture visitate dalla Greene, i prigionieri lavorano tutto il giorno sotto il sole solo per tornare nelle celle e senza aria condizionata. “Le condizioni sono atroci, ed è giunto il momento che l’amministrazione penitenziaria del Texas ne prenda atto“.
Erica Gammill, direttore di Justice League, un’organizzazione che lavora con i detenuti in 109 carceri del Texas. “Vengono pagati nulla, zero. E ‘essenzialmente lavoro forzato. Non vogliono pagare i lavoratori del carcere, dicendo che il denaro serve per vitto, alloggio e per compensare il costo della loro detenzione.” La maggior parte dei prigionieri lavorano per le carceri stesse, prendendo ben al di sotto del salario minimo in alcuni stati, e non più di 17 centesimi all’ora in strutture gestite da privati. In Texas e pochi altri stati, soprattutto nel Sud, i prigionieri non vengono pagati affatto.
Nonostante le difficoltà di comunicazioni tra detenuti di diverse carceri, la mobilitazione si sta diffondendo in tutte le carceri: dal 1° aprile, un gruppo di prigionieri di Ohio, Alacarceri-Texasbama, Virginia, e Mississippi ha organizzato uno “sciopero di prigionieri coordinato a livello nazionale contro la schiavitù in carcere” che si terrà il 9 settembre, nel 45 ° anniversario della rivolta nella prigione Attica. “Chiediamo non solo la fine della schiavitù in carcere, smetteremo di essere schiavi noi stessi“. “Non possono mandare avanti queste strutture senza di noi.”
Le proteste e gli scioperi nelle carceri Usa hanno visto una rinascita negli ultimi anni dopo un rallentamento dovuto al maggiore uso dell’isolamento nei confronti dei detenuti politicamente attivi. Nel 2010, migliaia di detenuti provenienti da almeno sei carceri della Georgia, organizzati attraverso una rete di telefoni cellulari di contrabbando, si sono rifiutati di lasciare le loro celle per andare a lavorare, chiedendo migliori condizioni di vita e un compenso per il loro lavoro. Sono seguite proteste carcerarie in Illinois, Virginia, North Carolina, e Washington. Nel 2013, i prigionieri della California si sono coordinati in uno sciopero della fame per protestare contro l’uso dell’isolamento. Il primo giorno di quella protesta, 30.000 prigionieri in tutto lo Stato hanno rifiutato il pasto.
A marzo, sono scoppiate proteste a Holman Correctional Facility, un carcere di massima sicurezza in Alabama: almeno 100 prigionieri hanno preso il controllo di una parte della prigione e accoltellato una guardia e il guardiano. “Dobbiamo lottare contro l’economia del sistema di giustizia penale, perché se non lo facciamo, non possiamo costringerli a ridimensionarsi” ha detto un attivista. “Appiccando incendi e cose del genere che si ottiene l’attenzione dei media. Ma io voglio organizzare qualcosa che non sia violento. Se ci rifiutiamo di lavorare gratis, costringeremo l’istituzione a prendere delle decisioni“. “La schiavitù è sempre stata un istituto giuridico“, ha aggiunto. “E non è mai finita. Esiste ancora oggi attraverso il sistema di giustizia penale”.
27 aprile 2016, da contromaelstrom.com
“Pagine contro la tortura”: presidi sotto le carceri e proposte
Resoconto dell’incontro di Firenze di sabato 23 aprile
All'incontro erano presenti compagn* di Cuneo, Torino, Milano, Parma, Roma, Firenze.
Sono stati fatti i resoconti dei presidi del 16 aprile davanti alle carceri di Cuneo, Milano-Opera, Parma e Terni. Di quello a Bancali (SS) è stata fatta una breve sintesi del testo diffuso in rete dai compagn* che l'hanno organizzato. E' mancato il contributo da Tolmezzo (UD).
Senza qui entrare nel merito dei racconti e valutazioni delle rispettive giornate di lotta – che siamo d'accordo di scrivere e diffondere entro fine mese – tutt* hanno espresso una valutazione positiva, su diversi aspetti dell'iniziativa e in particolare: la riuscita concomitanza dei presidi in diverse città e il buon livello di scambio e comunicazione fra dentro e fuori le mura.
Sono però anche state espresse le criticità riscontrate: da quando la campagna è iniziata, nonostante le iniziative proposte e messe in atto non si è verificato, se non in limitati casi, un allargamento della partecipazione al di fuori dei circuiti già noti ed attivi contro il carcere e la repressione.
Per dare continuità al percorso della campagna si è deciso di preparare e organizzare:
– una possibile presenza dentro e fuori alla fiera del libro di Torino, in programma dal 12 al 16 maggio, che andrà anzitutto concretizzata dai compagn* di Torino insieme all'Archivio “Primo Moroni” di Milano che svolge un ruolo di coordinamento del circuito editoriale e librario;
– la presenza a Roma giovedì 12 e venerdì 13 maggio.
Il primo giorno alle 9.00 davanti al Tribunale per la probabile sentenza del processo per la manifestazione del 15 ottobre 2011 e per discutere nel pomeriggio, presso lo spazio occupato L38 - quartiere Laurentino a Roma, del reato di devastazione e saccheggio: su come è possibile affrontarlo a cominciare dalle difficoltà emerse nei processi in corso a Roma, Cremona, Milano.
Il secondo giorno, dalle 14.00, si terrà un presidio davanti al DAP nell'ambito della campagna “pagine contro la tortura” al quale parteciperanno anche “gli amici di Eneas”, il ragazzo ucciso dalla detenzione nel carcere di Pesaro.
Si è inoltre affrontato, partendo dagli esempi concreti di Davide Delogu e Maurizio Alfieri ristretti in 14bis, quanto sia importante riuscire ad inserire all'interno della campagna informazioni su tutte le ricadute pratiche che il regime 41bis ha sul resto dei prigionieri e delle prigioniere, che siano detenuti/e in sezioni comuni piuttosto che speciali. Quindi dovremmo cogliere tutte le occasioni che si presentano per informare anche sul carattere punitivo (e così vicino a quello dell'art. 41bis) dell'art. 14bis dell'O.P.
– i presidi sotto le altre 8 carceri (Novara, Ascoli Piceno, L'Aquila, Spoleto – PG, Roma-Rebibbia, Viterbo, Napoli-Secondigliano e Cagliari-Uta dove sono previsti 92 posti in regime di 41bis anche se ancora vuoti) dove sono presenti sezioni a 41bis, cominciando da quello a L'Aquila, per fine giugno, e posticipando gli altri ad ottobre, promuovendo anzitutto dei momenti di confronto a Napoli e in Abruzzo con le realtà di lotta con cui si hanno già dei rapporti;
– un presidio davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma che raccolga anche una fiera dell'editoria che aderisce alla campagna, per il mese settembre.
E' stata fissata la prossima riunione per la fine di maggio, in data da definire, per il luogo preferibilmente funzionale a costruire un primo passaggio collettivo per il presidio sotto al carcere de L'Aquila.
Milano, 30 aprile 2016
Abbiamo deciso di rimandare di una settimana l’uscita del presente numero dell’opuscolo in modo da consentire la pubblicazione di questo resoconto e di quelli che seguono.
***
Carcere di Tolmezzo (UD)
Sabato 16 aprile si è svolto un presidio fuori dalle mura del carcere di Tolmezzo, convocato nell'ambito della campagna "pagine contro la tortura". Presenti circa una cinquantina di compagni e compagne provenienti da varie parti del nord-est tra cui Trieste, Udine, Padova, Bassano, Venezia, Mestre e Trento.
Si sono intervallati musica, interventi, slogan e qualche battitura. Oltre agli striscioni contro la repressione, il carcere e il 41 bis, sono stati appesi alcuni striscioni e bandiere palestinesi perchè il giorno successivo – il 17 aprile – cadeva la giornata internazionale del prigioniero palestinese. Da dentro si è avuta una buona risposta da parte dei prigionieri: saluti, grida, lo sventolio di vestiti oltre le sbarre e, a tratti, battitura. Purtroppo da non molte celle si poteva vedere il presidio. Sul finire è stato lanciato qualche fuoco d'artificio per salutare i prigionieri.
Carcere di Cuneo
L’iniziativa che abbiamo tenuto, in contemporanea con altre analoghe davanti ad altre sezioni 41-bis in giro per le galere dello Stato italiano, è stata un passaggio necessario all’interno della campagna per valutare il livello di sensibilizzazione finora raggiunto e per rilanciare ulteriori appuntamenti. La partecipazione è stata dignitosa (una sessantina di persone), e il presidio ha avuto un buon riscontro da parte dei reclusi nel padiglione “penale”, ed è stato accolto con grande impatto emotivo da parte di quanti sono imprigionati nella sezione del 41 bis che sono riusciti a sentire gli interventi e le letture al microfono. Le letture di brani da libri e di un volantino diffuso durante l’iniziativa hanno coinvolto i/le partecipanti che si sono alternati in tant* al microfono per tutta la permanenza sotto la sezione 41-bis (più di 2 ore). Insomma un buon presidio, ma che non ha raggiunto l’obiettivo specifico che ci si era posti per l’appuntamento: coinvolgere persone legate al mondo dell’editoria e della cultura o appassionate di lettura a partecipare ad un’iniziativa sotto le mura di un carcere. Nonostante i numerosi appuntamenti di informazione organizzati nelle settimane precedenti nelle vallate e nella piana piemontesi, hanno risposto alla chiamata principalmente, non esclusivamente, compas già sensibil* alla questione carceraria. Come si diceva all’inizio di questo report, è stato un passaggio per avere il polso delle possibilità e delle difficoltà che fino ad ora la campagna esprime localmente: sicuramente c’è ancora molto da fare, ma questo non ci spaventa! Certamente si può valutare che i tempi per una campagna del genere sono lunghi ed è opportuno ingegnarsi su ulteriori iniziative e percorsi da mettere in atto, ed anche che è auspicabile che le case editrici, librerie ed altre realtà culturali che aderiscono alla campagna riescano a farsi promotrici direttamente di ulteriori momenti di sensibilizzazione e coinvolgimento degli ambienti in cui sono attive.
Chiudiamo questo report con una notizia: a fine Aprile la sezione 41 bis del carcere di Cuneo è stata chiusa “per un problema strutturale, che rendeva illegale la detenzione”, ed i prigionieri, 90 in tutto, sono stati tutti trasferiti in altri penitenziari.
Carcere di Milano-Opera
Il presidio è stato preceduto settimane prima da saluti e volantinaggi i famigliari in concomitanza con i colloqui per estendere, socializzare la comunicazione sulla campagna contro il 41bis compresa la solidarietà.
Il presidio é stato fortemente segnato dalla protesta esplosa alla fine di febbraio nelle sezioni del I Reparto, ove si trovano i prigionieri sottoposti ai regimi di media sicurezza – senza “sorveglianza dinamica”- i prigionieri in AS1 e AS3 (a Opera le persone rinchiuse sono circa 1.200, delle quali una settantina sotto 41bis). Dall’interno è uscito un appello scritto, “DALLA CAIENNA DI OPERA”, dove hanno esposto le ragioni della protesta:
“Noi sottoscritti detenuti di Opera del 1° Padiglione Sezioni A-B-C quarto piano, con la seguente vogliamo rendere pubblica ogni violazione sui diritti dei detenuti a cui siamo sottoposti attraverso abusi-umiliazioni-ricatti e falsi rapporti...” ed espongono in 5 punti (vitto, sanità, angherie al centro clinico…) ragioni e richieste.
Sul finire di febbraio e l’inizio di marzo vengono colpiti con l’isolamento, prima chi si era più esposto, Maurizio, e a seguire almeno altri dieci suoi compagni di prigionia che, dopo i rituali 15 giorni punitivi, ne chiedevano il ritorno in sezione.
Il 9 marzo un gruppo di solidali raggiunge la sala info-point al 7° piano del palazzaccio del tribunale (dove si trovano gli uffici magistrati di sorveglianza), per togliere dalle mani della censura la mobilitazione, per rafforzarla.
Durante il presidio si è riusciti a comunicare a lungo, raggiungendo ogni lato del carcere, facendosi così sentire e vedere da tutti i prigionieri. Ciò che abbiamo ascoltato e a cui abbiamo risposto calorosamente, nonostante i numeri ristretti a una quarantina di compagni, esprime un odio profondo verso l’intero apparato carcerario, una sincera determinazione a portare avanti la protesta e un insolito senso di unità e coesione, a cominciare dalla dichiarata intenzione di tirare fuori dall’isolamento (il solito 14bis) chi ne è rimasto colpito.
Prima di salutarci abbiamo appeso su un traliccio nei campi che circondano il carcere uno striscione gigante con la scritta “LIBERTA’”, visibile da centinaia di prigionieri.
Completamente diversa la situazione sotto la sezione del 41bis, che non sporge di tanto oltre il muro di cinta e dove le finestre sono anche chiuse da bocche di lupo di plastica. Vuoi per questo o anche per le guardie che si saranno disposte in sezione per intimidire qualsiasi accenno di comunicazione, non è uscito nemmeno un respiro. In ogni caso i compagni presenti hanno insistito a lungo sui temi della campagna, spiegando al meglio l’iniziativa in corso.
Nei mesi scorsi, le spedizioni di diverse decine di libri diretti alle biblioteche delle carceri dove ci sono sezioni 41bis e a prigionieri chiusi in quel regime, come avevamo previsto, sono servite solo a smuovere le acque coinvolgendo una prima quindicina di case editrici. Per dare un’ulteriore spinta a questa situazione si è comunicato con centinaia di case editrici e librerie, prendendo la parola in due fiere dell’editoria indipendente (Bellissima e Book Pride).
Carcere di Parma
Il presidio sotto il carcere di Parma è un importante passaggio all'interno della campagna "pagine contro la tortura" e si inserisce nel quadro più generale dell'opposizione al 41 bis e a tutte le strutture e le politiche detentive. A questo scopo è attivo da diversi mesi un coordinamento regionale contro il carcere (CO.RE.CA) che in precedenza si era attivato con alcuni presidi davanti al carcere di Ferrara e fin dall'inizio si è assunto la promozione di iniziative rispetto alla campagna "pagine contro la tortura", rispetto alla nostra area regionale. In questo contesto si inseriscono l'iniziativa di presentazione della campagna, le interviste curate da "Mezz'ora d'aria", trasmissione anti-carceraria che va in onda su un'emittente radio bolognese, e l'incontro pubblico che si è tenuto a Parma il 10 aprile a cui è intervenuto un avvocato che difende diversi prigionieri sottoposti al regime di 41 bis.
Il presidio di Parma, dove i detenuti in 41 bis sono più di 90, ha visto una buona partecipazione, nonostante proprio contemporaneamente al presidio si svolgeva una manifestazione cittadina antifascista cui hanno partecipato circa 400 persone a causa dell'apertura annunciata solo qualche giorno prima di una nuova sede di casa pound, oltre tutto non lontana dal luogo ove si svolgeva il nostro presidio (cosa che ha creato qualche problema a chi doveva raggiungere il presidio per la chiusura di diverse vie da parte di polizia e carabinieri).
Nonostante la concomitanza, che ha sicuramente tolto possibili partecipanti al presidio, intorno alle 16, un pò in ritardo rispetto all'ora prevista, sotto il carcere eravamo circa 60; oltre a compagni di Parma, Cremona, Modena, Bologna, erano presenti diversi facchini della Bormioli di Fidenza, da mesi in lotta contro i licenziamenti e alcuni esponenti della Rete Diritti in Casa di Parma, attivi nelle occupazioni di case e picchetti anti-sfratto in città e in provincia. Proprio questi ultimi, hanno animato il presidio grazie a frequenti interventi in diverse lingue (arabo e albanese) che hanno provocato una buona risposta dalle celle del carcere, in cui sono rinchiusi molti prigionieri di varie nazionalità.
In genere, la potenza dell'impianto e la vicinanza delle celle all'area del presidio ha creato per tutta la durata del presidio un'ottima comunicazione tra dentro e fuori. Alternate a musica, sono state lette lettere, contributi e spiegate le ragioni del presidio, poi verso la fine sono stati accesi diversi fumogeni prima del saluto finale.
Dalla prossima corrispondenza e dai colloqui con parenti e avvocati, contiamo di venire a conoscenza di come è stato vissuto il presidio in particolare nelle sezioni a 41 bis; in occasione dell'ultima manifestazione che si era svolta a Parma qualche anno fa, siamo venuti a sapere solo di recente che molti prigionieri di quelle sezioni avevano improvvisato una protesta dando fuoco a dei pezzi di carta, cosa per cui erano stati puniti (!!!) con 15 giorni di isolamento.
Carcere di Bancali (SS)
Il presidio del 16 aprile appena trascorso, contro il 41bis e il divieto di ricevere libri dall’esterno imposto ai prigionieri ristretti sotto questo regime, svoltosi sotto le mura del carcere sassarese di Bancali (ove è presente una sezione di 41bis) è stato organizzato dal Collettivo S’IdeaLìbera e dalla Biblioteca dell'Evasione e vi hanno aderito varie realtà e singoli militanti, operanti nel territorio sardo.
Il concentramento, previsto per le 11:00 della mattina, è stato preceduto da un volantinaggio informativo sulle ragioni della mobilitazione, a cura di un primo nucleo di compagni del collettivo organizzatore, diretto ai familiari dei prigionieri che si recavano ai colloqui.
Da subito si è presentata una situazione grottesca, quanto vergognosamente indicativa del livello repressivo che lo Stato borghese riserva a questa tematica. A fronte dei primi quattro compagni giunti in loco, si sono materializzati rispettivamente: due blindati, uno di poliziotti e uno di carabinieri, colmi di agenti; una squadra del GOM della polizia penitenziaria in tenuta “operativa” che ha realizzato un posto di blocco a metà strada del perimetro che porta all’ingresso del carcere, bloccando chiunque passasse e costringendo tutti i parenti a parcheggiare prima, a essere perquisiti e a recarsi al colloquio a piedi, con i pacchi in mano; l’organico della Digos al gran completo, guidato dal questore di Sassari (almeno quattro-cinque auto, di cui due in pattugliamento costante); una pattuglia della Guardia di Finanza; infine, due auto della polizia municipale. Sul muro di cinta è stato rafforzato il servizio di sorveglianza, ed affiancato da alcuni ufficiali dei carabinieri e da un ulteriore addetto alla videocamera portatile, in aggiunta ai soliti morbosi digossini.
È facile capire che questa pagliacciata è la reazione a una contestazione sotto un carcere, per di più in attacco al 41bis, presentato come un indispensabile strumento di lotta alla mafia illegale (visto che quella legale, il capitalismo, è il modo di produzione che informa società e istituzioni!), che va a toccare quella che è la “punta di diamante”, rappresentante la sintesi del modello di funzionamento del sistema penitenziario italiano e la sua perversa logica di premialità, nonché la vetta di accanimento repressivo verso tutti coloro che non vengono ritenuti “utili”, cooptabili, disposti a reggere la scure al proprio boia, o che semplicemente si intende “spezzare” fisicamente e moralmente per convincerli a trasformarsi in infami. Per essi non valgono le chiacchiere sulla funzione rieducativa della pena e sul cosiddetto “senso di umanità”, contenute nel loro art. 27 della Costituzione (che in maniera beffarda campeggia inciso nel marmo all’ingresso di molte galere), né i vari cataloghi di principi e “diritti umani”.
Contro i detenuti in 41bis lo stato borghese getta la maschera, e sfoggia la sua più bieca brutalità, di cui quest’ultimo divieto non è che un aspetto, per quanto significativo. Una restrizione che come molte altre potrebbe essere estesa, con la stessa arrogante discrezionalità tipica degli organi esecutivi dei capitalisti, a tutto il corpo dei prigionieri: su questo aspetto ci siamo soffermati con più forza, specie discutendo con i familiari.
Il dispiegamento di forze all’arrivo è stato pateticamente giustificato, di fronte alle richieste di spiegazioni avanzate da alcuni familiari, con lo svolgimento di un processo all’interno del carcere a carico di alcuni pakistani di recente arrestati in Sardegna con l’accusa di terrorismo internazionale, circostanza del tutto priva di fondamento e fra l’altro smentita con sarcasmo persino dalla svogliata pattuglia di vigili urbani.
Nonostante queste circostanze il volantinaggio è proseguito regolarmente, favorito involontariamente dalla sbirraglia con la costrizione per i familiari a parcheggiare ove stazionava il presidio. Alcuni di essi peraltro si sono offerti di distribuire il volantino nella sala d’attesa dei colloqui, all’interno del carcere.
Alle ore 11:00, con puntualità, il sito è stato raggiunto dagli altri compagni, provenienti dal resto dell’isola, che hanno dato corpo al presidio con cori e richiami ai detenuti. Ci è stato riferito da oltre lo sbarramento che man mano che i compagni arrivavano, i loro nomi, evidentemente già noti, venivano annotati dai cani da guardia.
I prigionieri, nonostante il vento e la distanza delle sezioni dalla cinta e dalla strada, sono riusciti ad udire e si sono affacciati alle sbarre delle celle, esponendo alcuni cartelli (purtroppo illeggibili a distanza) e alcune strisce di stoffa colorata, rispondendo agli slogan, e mettendo in atto in alcuni momenti una “battitura”.
I compagni fuori sono riusciti a montare a distanza utile due casse altoparlanti, tramite le quali si è riusciti a spiegare e far sentire all’interno le ragioni del presidio, a rendere noto che sotto molte altre carceri si sarebbero svolte iniziative analoghe, a leggere o sintetizzare alcuni comunicati pervenuti dai detenuti in lotta, nello specifico da Massama (OR) e da Opera (MI), inframezzando le parole con un po’ di musica. La risposta dall’interno è stata calorosa per tutta la durata del presidio, contrapposta alle ghigne contratte degli sbirri e dei secondini.
Non si ha certezza dell’aver raggiunto anche la sezione di 41bis, subdolamente collocata nel punto più interno e distante dalle mura dell’area del carcere, ma la notizia del presidio è pervenuta o perverrà loro a breve, a dispetto della volontà di isolamento totale che ispira questa forma di tortura.
Carcere di Terni
Sabato 16 aprile si è svolto il presidio di solidarietà a sostegno della campagna "Pagine contro la tortura". Hanno partecipato all'iniziativa diverse persone, sia ternane che non, a differenza di quanto scritto dai giornali.
Prima del presidio sono state effettuati dei volantinaggi ai colloqui, nella speranza di intercettare qualche parente e di invitarlo a partecipare al presidio. Alcune persone hanno mostrato interesse, ma nessuna di loro ha potuto prendere parte al presidio in quanto tutte provenienti da altre città della Campania o della Calabria. C'è stato comunque un episodio piacevole, in cui una parente di un detenuto ha chiesto la possibilità di dedicare una canzone al suo compagno recluso, non potendo essere lei presente.
Durante il presidio diverse compagne e compagni si sono alternati al microfono per spiegare ai detenuti che ci ascoltavano le motivazioni della nostra presenza.
Sono stati letti testi relativi alle ulteriori condizioni di privazione a cui sono stati sottoposti i detenuti al 41 bis, la lettera di Valerio Crivello, che ha contribuito da dentro con uno scritto, che accomuna la detenzione al 41 bis con le condizioni punitive straordinarie del 14 bis, e alcuni testi letterari.
Inoltre è stato presentato ai detenuti il progetto ternano della Biblioteca "La Breccia", progetto che ha la volontà di creare una corrispondenza/scambio libri con i detenuti.
Nel corso del presidio ci sono stati vari collegamenti radio con le altre città in cui si svolgeva la stessa iniziativa a sostegno della campagna. La risposta da dentro all'inizio un pò fredda, si è fatta più calorosa nel corso del presidio con grida, scambi di saluti, richieste musicali e danze dall'una e dall'altra parte del muro.
Il presidio è stato accolto da un'evidente presenza di digossini e guardie penitenziarie intente a riprendere i presenti e a monito anche per i reclusi, videosorvegliati come noi per tutto il tempo.
Dopo pochi giorni, la biblioteca la Breccia ha già ricevuto due lettere, in cui oltre alla richiesta libri ci è stato fatto presente il mal funzionamento dell'infermieria.
lettera dalla sezione 41bis del carcere di Spoleto (pg)
Care/i compagne/i, mi faccio vivo dopo un bel po’ di tempo per dirvi che il 17.3.2016 si è tenuta un’udienza al tribunale di sorveglianza (TdS) di Perugia che mi ha sbloccato una vostra corrispondenza del 3.8.2015 contenente: cartolina con ritratto di Ulrike e testo sul 41bis. Purtroppo non dispongo del testo integrale della “Circolare” e della “Nota” del DAP in questione.
Adesso sono state issate altre udienze in base a reclami da me fatti sempre per blocchi sui libri. Il TdS di Spoleto mi ha rigettato un altro reclamo che avevo fatto a Terni.
Dunque facendo conto che questi sono i tempi, vi mando un grande abbraccio con affetto rivoluzionario e a risentirci. Ciao, Roberto.
3 aprile 2016 [“Direzione Casa di Reclusione Spoleto 4 apr. 2016 Visto di Censura”]
Roberto Morandi, via Maiano,10 - 06049 Spoleto (Perugia)
Resoconto sulla prima udienza del processo a Davide Delogu
Il processo per la cosiddetta “tentata evasione dal carcere di Buoncammino” (in realtà per colpire una protesta collettiva di ormai due anni fa), è fissato al tribunale di Cagliari, il 21 aprile, alle ore 11. Quando arriviamo Davide è ancora rinchiuso in una stanzetta presidiata. Nell’atrio aspettano i genitori, ai quali è stato concesso un breve incontro di cinque minuti, la nipotina di 3 anni che vede per la prima volta, e un gruppetto di compagne.
Fuori intanto si sono radunate una trentina di persone, è stato appeso uno striscione “Basta isolamento” e volantinato uno scritto in solidarietà con l’amico e compagno. Ragazzi e ragazze molto giovani si aggregano dopo essere stati al presidio sotto il Tribunale dei Minori per il processo alle tre ragazze accusate di “violazione di zona militare” per il corteo antimilitarista del 3 novembre a Sant’Anna Arresi, dimostrando come la solidarietà sia trasversale e come sia possibile e ampliabile un discorso contro la repressione, partendo da situazioni particolari per arrivare a riflessioni più generali sul carcere.
Poco prima di mezzogiorno Davide viene fatto uscire ammanettato. Riusciamo a vederlo, salutarlo, baciarlo, ad avere un minimo di contatto fisico con lui che dispensa sorrisi e si mostra fiero e tranquillo. Lo seguiamo fin dentro l’aula dove gli tolgono le manette. La giudice comunica subito che il processo verrà rinviato per impossibilità dell’avvocato di Davide ad essere presente. Chiede se sono presenti testi, le viene risposto che “sì, è presente il direttore del carcere di Buoncammino” (carcere giudiziario di Cagliari, ora chiuso, al tempo della protesta). Annuncia quindi la nomina di una avvocatessa d’ufficio, suscitando l’immediata reazione di Davide, che comunica la volontà di rifiutarne la tutela e di confermare il suo difensore. L’avv. si alza per uscire, la giudice la ferma poiché “non è possibile ricusare l’avvocato d’ufficio” (dato che in aula non è possibile alcun passo quando la persona accusata sia senza avvocato) che a lei (avv.) non rimane che “presentare istanza di rinvio” (per poter conoscere gli atti ecc.) e comunicare all’avv. di fiducia la data della nuova udienza.
La giudice riprende una compagna che scambia sguardi, gesti o forse mute parole con Davide, invitandola a interrompere l’atto fuori luogo e chiedendole il nome per, eventualmente, fare richiesta di colloquio con l’ “imputato”. La giudice si altera, invita Davide a calmarsi mentre viene riammanettato. A questo punto la ragazza dice che farà il proprio nome, ma intanto vuole sapere perché a Davide sono state rimesse le manette, che lui mostra alzando le braccia. La giudice taglia corto, spiegando che l’udienza sta terminando e che l’imputato dovrà essere condotto fuori dall’aula. Quindi comunica la data per la prossima udienza: 29 dicembre 2016 ore 9,30.
Portano via Davide impedendoci di parlargli. Viene fatto scendere direttamente nei parcheggi sotterranei, ci portiamo all’uscita da questi così Davide riuscirà a vedere buona parte di noi, lo striscione, a sentirci. Qualcun* di noi riesce a parlare con la giudice che dice: di non essere lei a stabilire le date dei colloqui né qui né altrove, che non sa quando Davide sarà ricondotto ad Agrigento e che, per i colloqui, occorre presentare istanza al giudice di sorveglianza competente (quello di Agrigento). Una compagna ricordando quando circa un anno fa era riuscita ad entrare nella stanzetta in cui era rinchiuso Davide dopo un’udienza, di avergli parlato, conclude “ma allora, forse, Davide era ancora un delinquente comune”…
La mamma di Davide lo dice chiaramente: “Davide non è più un detenuto comune, i colloqui anche qui nel carcere di Massama (Oristano) dove è appoggiato, non si possono svolgere nel salone predisposto per tutti, ma in una stanzina in cui, per due ore strappate” a forza di ostinazione e tenacia materne, la madre sofferente di cuore viene costretta nonostante la sua conclamata claustrofobia. “Noi (i genitori di Davide) veniamo sottoposti a una serie di procedure: deposito dei bagagli, fare fila per la perquisizione e solo un’ora di colloquio”… La madre racconta di avergli portato al colloquio formaggio, pesce e “tottu cosa bona”, ma inutilmente, perché Davide da una settimana ha ripreso lo sciopero della fame. Protesta nell’unico modo che gli resta, con il suo unico mezzo mezzo: il suo corpo.
Lui ai genitori ha detto che è chiuso in una cella di pochi metri quadri dove non riesce a dormire a causa delle zanzare, del materasso scomodo e delle lenzuola sporche; non può fare il bucato, non ha diritto neanche all’acqua, che deve acquistare; che non può leggere né lettere né libri né riviste, non può guardare la tv e che lo consola solo una piccola radiolina. Gli abusi sono tanti, riporta la mamma, in primis la mancanza di prospettiva con cui lo apostrofano quotidianamente: “Noi non ti trasferiamo!”
Davide lotta a modo suo e a noi non resta che trovare il nostro, con intelligenza, consapevolezza, perspicacia e, se possibile, con altrettanta perseveranza.
Zietta e compagn*
***
BASTA ISOLAMENTO!
Giovedì 21 aprile alle 11:00 al Tribunale di Cagliari viene processato Davide, nostro compagno e amico. In carcere dal 2010 per alcuni reati, da due anni e mezzo vive in regime di 14 bis.
In seguito alle proteste dei detenuti del carcere di Buoncammino del 2013, Davide ed altri detenuti sono stati spostati in altre prigioni; lui è l'unico ad essere stato trasferito oltremare in seguito a quelle giornate di lotta. La prospettiva del regime carcerario è stata la solita: isolamento e punizione. Allontanare le persone dagli affetti e dalla solidarietà è la becera prassi dalle autorità carcerarie. Ad oggi a Davide è stato rinnovato il regime di 14 bis per ragioni d'ufficio, costringendolo ad un isolamento totale.
Viene messo in “sorveglianza particolare” chi è ritenuto pericoloso per la sicurezza penitenziaria; come sempre il grado di pericolosità viene deciso in modo del tutto arbitrario dal direttore del carcere. Ribellarsi perché le celle e le docce sono in condizioni igieniche indecenti, perché i pacchi arrivano aperti e i vestiti stracciati, perché non vengono rispettati i diritti basilari dei detenuti, può comportare un sanzionamento in questo senso.
Da una lettera di un carcerato: “Il 14 bis consiste in almeno 6 mesi di isolamento iniziale, cella liscia, senza tv, senza fornelletto per scaldare le vivande, qualche capo di abbigliamento, la radio consentita e l'occorrente per la corrispondenza, 2 ore d'aria al giorno. Se riesci a scambiare qualche parola sporadicamente con qualcuno è perché è un vicino di cella, ma non si può avere contatti con altri, di solito non ti vengono toccati i colloqui e 4 o 2 telefonate al mese.”
Questo regime può essere prorogato, successivamente ai 6 mesi iniziali, di tre mesi in tre mesi. La ricattabilità è altissima, nessuno si azzarderebbe a lamentarsi di qualcosa sapendo quali potrebbero essere le ripercussioni. “Non importa se non ti fanno fare la doccia perché da 3 mesi non è funzionante, se non ti fanno telefonare per lo stesso motivo, se il barbiere non esiste e sei costretto a rasarti i capelli a zero, se l'aria l'aprono quando vogliono loro [...]”.
Davide vive in questo modo da due anni e mezzo, proprio perché il suo cuore grande gli impedisce di stare zitto di fronte ai soprusi di cui è testimone nel carcere di Agrigento in cui è rinchiuso.
I colloqui con i genitori sono impossibili, vista la loro età e la lunghezza del viaggio, gli è permessa solo una telefonata alla settimana della durata di 10 minuti.
Non vede la compagna da molto tempo, i colloqui che lei richiede vengono in un primo momento accettati dall'amministrazione penitenziaria, ma poi rifiutati quando si presenta al carcere. Oltre al sopruso, la beffa.
Per questo vogliamo stare sotto al Tribunale di Cagliari il 21 aprile alle 11:00, per salutare il nostro amico e compagno, per mostrargli solidarietà, per fargli sentire che non è solo, anche se il potere lo vorrebbe isolato, prono e zitto.
La situazione di Davide è gemella di tante altre, storie che parlano di punizione, isolamento e annullamento dell'individuo. Come Davide sono tanti e tante coloro che non abbassano la testa e continuano a lottare, nonostante tutto. Non dimentichiamo che il carcere è tortura di Stato. Lottiamo perché non ne restino che macerie.
Amici e compagni di Davide
***
Lettera di Davide dal carcere di Petrusa (Agrigento)
Segue stralci di una lettera inviata da Davide al centro di documentazione “Senza Pazienza” di Torino e pubblicata sul sito web infoaut.org il 17 aprile 2016.
Saluti ai “senza pazienza!“ Anch’io ne sono privo da ormai tanto tempo. Circostanza che è stata repressa per l’ennesima volta, ma in questo giro mi hanno applicato nuovamente il regime di tortura del 14 bis dal 14 Febbraio per svariate lotte individuali e collettive che sono state realizzate qui dentro nell’ultimo periodo. Classificando il mio comportamento che “compromette l’ordine e la sicurezza dell’istituto - art. 14 bis, comma 1. Nonostante questo vado comunque avanti a testa alta con le mie scelte. Vi ringrazio per le cartoline che ho ricevuto da parte vostra, ma purtroppo altre cose non mi sono state consegnate perché “non consentite” e questo vale per tutti quei libri, periodici, giornali, opuscoli che non rientrano nel circuito commerciale fuori, non essendo in libera vendita. Da una parte è un sopruso, dall’altra si sostengono con cavilli permessi dai loro codici e dalla compiacenza del magistrato. Sto cercando di porvi rimedio, considerando anche che non ho più da leggere da un bel po’, ed è pesante. [...]
Cari “senza pazienza” (come me!) mi auguro che queste righe vi possano trovare più impazienti che mai. Un abbraccio di lotta a tutti/e!!! Davide.
Isolamento di Petrusa, 25/3/2016
Davide Delogu, Casa Circondariale, contrada Petrusa - 92100 Agrigento
lettere dal carcere di Massama (OR)
Carissimi amici dopo anni mi faccio risentire. Ho peregrinato in lungo e in largo per l’Italia con qualche capatina al 41bis, adesso che me lo hanno tolto sono qui. Prima anche se vi scrivevo non vi arrivava nulla e viceversa.
Mi farebbe piacere avere vostre notizie e se mi potete rimandare gli opuscoli e se posso essere utile per voi fatemi sapere, lo farei con piacere.
Qui siamo in sciopero permanente, ma credo che lo sapete, un abbraccio Giovanni.
8 aprile 2016
Giovanni Di Giacomo, Località Su Pedriaxiu - 09170 Massama (Oristano)
***
Ciao compagni, ho ricevuto l’opuscolo. Qui il quotidiano “La Nuova Sardegna” ha fatto già tre servizi su di noi. E’ venuto il garante nazionale dei detenuti, prof. Mauro Palma. Ne ha parlato la tv regionale Videolina. Continuiamo nell’attesa della soluzione dei problemi.
10 aprile 2016
Pasquale De Feo, Località Su Pedriaxiu – 09170 Massama (Oristano)
***
Aggiornamento sullo sciopero “permanente” nel carcere di Massama
Di seguito una sintesi nostra delle 12 richieste sottoscritte da 215 prigionieri e spedite a radio, giornali, garanti dei diritti dei detenuti, sindaco e vescovo di Oristano, Magistrato di sorveglianza di Cagliari…
1) Blocco del flusso dei detenuti in arrivo: ogni cella può ospitare al massimo due persone; la Direzione in modo fraudolento ed illecito ha posto una terza branda.
2) Continuità di trattamento: viene escluso il trattamento delle carceri di provenienza.
3) Colloqui familiari: gli orari sono disposti in un modo che impedisce di poter consumare le sei ore di colloquio nella stessa giornata così la fruizione delle sei ore di colloquio è impedita al 90% dei detenuti ivi ristretti che provengono dalle regioni Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, oltre ad un’esigua percentuale di stranieri. I familiari per organizzare il viaggio del colloquio devono sostenere un esborso economico non indifferente.
4) Telefonate familiari: c’è un taglio di una e anche due telefonate al mese il cui recupero dipende dalla “discrezionalità” del direttore.
5) Stampante e computer: chi ha il computer in cella, quando vuole stampare deve rivolgersi al carcere che, dato l’eccessivo carico di lavoro, la stampa in tempi inaccettabili. La richiesta è sistemare in un apposito locale della sezione una stampante messa a disposizione dall’Amministrazione Penitenziaria o in alternativa di autorizzare l’uso della stampante individuale.
6) Comunicazione domandine: quando inoltriamo la classica domandina (mod. 393 A.P.) non riceviamo nessuna comunicazione sia nel senso positivo che in quello negativo.
7) Colloqui con le nuove tecnologie: c’è una circolare del ministero, novembre 2015, che consente i colloqui con i familiari tramite internet e Skype, ma a Massama non ci sono ancora le postazioni.
8) Ricezione pacchi: i pacchi celere o no ci vengono consegnati anche dopo 15 giorni.
9) Fruizione palestra: c’è la palestra ma ancora non è stata attivata.
10) Volontariato: si chiede di autorizzare l’accesso delle associazioni di volontariato.
11) Il magistrato di sorveglianza: non concede udienze ai detenuti.
12) Corrispondenza: non viene consegnata regolarmente la posta in arrivo e quella destinata ai familiari parte in ritardo e spesso non arriva a destinazione.
Lettera di Claudio trasferito da Velletri a Viterbo, col 14bis
Carissimi amici e compagni, un saluto al collettivo Olga.
Vi scrivo solo ora perché prima non mi è stato possibile. Come potete notare sono stato deportato in questo brutto carcere di Viterbo, trasferito il 04-04-2016 dal carcere di Velletri, per ordine e sicurezza e con il 14bis che stavo facendo dal carcere di provenienza. Appena arrivato, dopo due giorni circa ho parlato con lo psichiatra di qui, così, per problemi psichiatrici, mi ha sospeso il regime di 14bis. E ora mi trovo in una sezione comune, dove ho incontrato vecchi amici e, diciamo che ora sto abbastanza meglio.
Comunque, ricordo a tutte e tutti i compagni che “Mammagialla” (il nome del carcere di Viterbo) è un bruttissimo carcere, e punitivo! E siamo la maggior parte chiusi durante il giorno; quelle poche ore che stiamo aperti, dalle 11 alle 12, poi dalle 16 alle 18 non si può stare sul corridoio, bisogna stare nella cella assegnata o in quella di un amico. E’ una cazzo di direttiva del direttore. Perciò qui le 8 ore che devi stare aperto te le puoi pure scordare.
Comunque cari compagni continuate pure a scrivermi e mettete sul prossimo opuscolo questa mia. Continuate a mandarmi l’opuscolo, vedremo cosa succederà.
La mia più sincera solidarietà a tutti i prigionieri, un forte abbraccio a voi tutti e a Davide Delogu. Non arrendetevi mai, lottate sempre, è l’unica via.
“Chi non lotta ha già perso, chi lotta può vincere”
A presto vostre notizie e mie. Un saluto a Radio Onda Rossa.
Anarchico ribelle, rivoluzionario, Claudio.
15 aprile 2016
Claudio Perrone, Strada s. Salvatore 14/b - 01100 Viterbo
lettere dal carcere di milano-opera
[…] a malincuore devo prendere atto che quello che avevo previsto era vero, purtroppo quando si è nella morsa delle istituzioni e non sei quello che loro vogliono che diventi, si divertono a fare i loro scherzi del cazzo, tipo toglierti dalle liste dei colloqui, quando sei segnato, buttarti la posta e tutte queste piccole stronzate, che per un prigioniero/a sono essenziali per sopravvivere qua dentro.
A lungo andare queste ripicche portano molti prigionieri a calarsi a novanta, altri ad autolesionarsi e pochi a provare sempre più odio verso un sistema malato, che punisce con crimini le persone che secondo la giustizia e la società sono dei criminali. [...]
Per quanto riguarda quello che si sta muovendo qua, qualcosa ho sentito ma questo postaccio è talmente grande che non si sa tutto e le notizie che arrivano sono distorte, se non del tutto non vere; ad esempio della raccolta di firme non ne sapevo niente, anche perché non so se siete al corrente che qui hanno diviso il carcere in due padiglioni, che noi chiamiamo quello dei “bravi” e quello dei “cattivi”, che in pratica uno sarebbe il reparto a trattamento avanzato e uno che è normale con le celle sempre o quasi sempre chiuse e con la presenza di guardie in qualunque spostamento si fa, tipo, colloquio, avvocato, scuola ecc. ecc…
Le iniziative per far muovere qualcosa vengono tutte dal reparto dei cosiddetti “cattivi”, perché giustamente non accettano un trattamento diverso dagli altri detenuti e perché lo stare chiusi per molte ore in cella in un clima rigido porta le persone a ribellarsi di più.
I due reparti sono divisi ed è difficile avere contatti tra i due reparti, anche se non impossibile, ma al reparto dei “buoni” la stragrande maggioranza delle persone che lo popolano non vuole avere problemi, perché qui si è aperti tutto il giorno, puoi andare “in giro” da solo, si è più seguiti da educatori e a sbloccare i benefici e ‘ste robe qui.
Io sono arrivato in questo pianeta da un anno, in realtà l’avevo inaugurato due anni fa, ma ero durato solo un mese e mi avevano rispedito al reparto dei cattivi, dopo quindici giorni di isolamento, rapporto disciplinare, denuncia e mille e più rotture di coglioni. Poi, dopo che mi hanno fatto fare un altro anno di reparto dei “cattivi”, un anno fa mi hanno riportato di qua, al reparto dei “buoni”; infatti dopo quattro anni che sono qui a Opera, questa estate ho visto per la prima volta l’area verde dei colloqui, aHHaah! [...]
2 marzo 2016
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Buongiorno cari compagni, vi scrivo questa lettera per denunciare l’ennesimo abuso di potere che ci stanno facendo qui all’interno del carcere di Opera. Intanto vi ringrazio per il presidio che avete organizzato qui fuori nei campi all’incirca una settimana fa, grazie per esserci così vicini e sapere che fuori ci sono persone che combattono per noi mi riempie il cuore di gioia e mi dà ancora più forza per combattere e lottare a testa alta. Ora vi spiego tutto quello che hanno fatto a me e ad altri dieci miei compagni di detenzione.
Allora, era sabato 12 marzo e Maurizio doveva salire su in sezione, perché aveva finito di scontare i suoi 15 gg. di isolamento, tant’è che ci avevano detto che sarebbe salito. Non vedendolo salire nel pomeriggio ci siamo preoccupati e siamo arrivati a chiedere spiegazioni, se stava bene e ci hanno detto che non c’era nessuno quel giorno con cui potevamo parlare perché era sabato e quindi c’era solo l’ispettore della sorveglianza. Gli abbiamo chiesto lo stesso di parlare con il suddetto. Questo ispettore è venuto su a parlare con noi e ci ha rassicurati che Maurizio stava bene e che per il momento doveva rimanere lì, e noi ci siamo tranquillizzati. E’ stata una cosa del tutto pacifica. C’è stato un bel confronto con l’ispettore.
Il bello arriva giovedì 17 marzo quando veniamo chiamati giù uno ad uno, tutti e dieci, e ci ritroviamo nel bel mezzo di un consiglio di disciplina con la vice-direttrice dott.sa Minenti e vari ispettori e brigadieri tutti attorno iniziano a dire e a contestarci l’episodio di sabato 12 marzo, dicendo che la nostra era una protesta; poi ci hanno fatti uscire dall’ufficio uno ad uno e ci hanno messi ognuno all’aria separati e piantonati dalle guardie; poi ci hanno richiamati e infine ad ognuno di noi sono stati inflitti il rapporto disciplinare e in più 15 giorni di cella d’isolamento da scontare quando lo diranno loro, perché ora in isolamento c’è ancora Maurizio A. e quindi a noi finché c’è lui non ci portano.
Vi rendete conto che porcata hanno fatto, hanno preso quella relazione dell’ispettore, l’hanno girata facendola passare come protesta. Quelli che hanno fatto questa bella porcheria sono la vice-direttrice, il commissario Trainito e il comandante che non so come si chiama assieme a tutti i coordinatori del primo reparto. E questo solo perché vogliamo bene a Maurizio che combatte per i diritti dei detenuti. Questa è una ritorsione bella e buona ed è una vera ingiustizia.
Comunque vi faccio sapere che abbiamo fatto ricorso tutti al tribunale di sorveglianza di Milano, ognuno al suo magistrato; loro sono a conoscenza delle schifezze che succedono qua dentro.
Vi prego, aiutateci, organizzate presidi qui e pure al tribunale di sorveglianza e fatele sapere queste cose e fate sapere che Maurizio è già da un mese che gli stanno facendo mille abusi e pure a noi che gli siamo vicini e che gli saremo sempre vicini e lotteremo insieme a lui per fare sì che queste ingiustizie non continuino e faremo di tutto affinché queste cose vengano a conoscenza della gente fuori, perché se queste cose non le diciamo rimarranno sempre tra queste mura maledette e altre persone subiranno ancora queste cose.
Aiutateci il più presto possibile anche perché qua dentro siamo veramente in pochi. La maggior parte dei detenuti qui o sono dalla loro parte oppure sono indecisi, quindi capite che è molto difficile muoversi qua dentro. Vi faccio una premessa, non sono anziano, non sono tanto esperto di galera, però non riesco a farmi i cazzi miei quando vengono perpetrati questi abusi e veniamo trattati come bestie. Non riesco a stare in disparte come fanno tutti o quasi. Fate qualcosa perché qua dentro lo staff della direzione è gestito da bugiardi, cialtroni e arrivisti. E’ ora di finirla. E poi dicono che qui è un carcere che funziona, che le persone vengono reinserite nella società. Tutte stronzate. Certo se sei un cane con la coda in mezzo alle gambe qui stai bene. Che schifo, non ho più parole. Vi farò avere ulteriori informazioni. Comunque qua vanno cambiate un sacco di cose e di persone.
Ora vi mando un bacione e un fortissimo abbraccio da parte dei miei compagni e da parte di Maurizio che è un grande uomo, vi voglio bene, un bacione.
Ciao a tutti, NON MOLLIAMO MAI.
Opera, fine marzo 2016
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Carissime/i compagne/i, vi informo subito che purtroppo al caro amico e compagno Maurizio hanno applicato il 14bis (isolamento a regime duro). [...]
Ho saputo che avete fatto anche dei volantinaggi e della vostra visita al tribunale, non solo io so di questo, ma pure tutti i compagni che seguono la nostra lotta. Solo che gli altri non sanno come sono andate le cose in tribunale e sono tutti convinti che ora qualcosa deve per forza cambiare. Gli ho spiegato che la stampa non si è fatta vedere e che avete disturbato la quiete dei giudici, ma che comunque avete letto ad alta voce il nostro appello, quindi non è detto che sia stato fiato sprecato, magari qualche anima buona ha ascoltato e preso seriamente la critica situazione del carcere di Opera.
Vista l’imminente stagione estiva e di conseguenza l’apertura dell’area verde (colloqui all’esterno delle abituali sale chiuse), agio che viene concesso solo ai ristretti al 2° reparto, mentre noi del 1° pure in estate dobbiamo fare i colloqui al chiuso. Vedi, questa è una cosa che non ho mai capito. E’ vero che il 2° reparto è a regime attenuato, dove ci vanno i più “bravi”; ci può pure stare che abbiano qualche agevolazione in più, ma cazzo, premetto che non me la sto prendendo con i detenuti, al 2° reparto hanno tutto; scuola, lavoro nelle cooperative e in altri settori comunque ben retribuiti, biblioteca, colloqui all’area verde, libertà di muoversi per il carcere senza una guardia che li scorta, più accesso alla palestra e cancelli delle celle aperti dalle 7,30 alle 20,30, mentre noi del 1° rep. con molta difficoltà riusciamo ad ottenere l’inserimento a qualche corso o, giusto appunto, a colloqui negli spazi per bambini. Quando faccio richiesta e me la respingono mi incazzo e rispondo sempre che i figli sono tutti uguali e che il torto non lo fanno ai padri ma proprio ai figli.
Quando c’è stata la raccolta delle firme (per l’appello riguardo a vitto, colloqui, centro clinico luogo di tortura…) tanti si sono tirati indietro per paura di perdere le agevolazioni, tipo la cella singola; preferiscono lamentarsi o piangere con le guardie piuttosto di lottare per i loro diritti. Spero che con il tempo si vedano dei risultati, magari piccoli, ma che convincano altri detenuti ad unirsi alla nostra lotta.
Sono molto felice che si riescono a bloccare degli sfratti. Purtroppo la mia famiglia ne ha già subiti, so cosa vuol dire. Sono famiglie che hanno dovuto occupare una casa pur di dare un tetto ai figli. [...]
Opera, inizio aprile 2016
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[…] il presidio di settimana scorsa me lo sono gustato tutto, all'inizio quando eravate sotto il 41bis vi vedevo perché mi affaccio proprio da quel lato e ti assicuro che pure Maurizio vi ha sentiti, perché l'isolamento è tra il reparto dove sto io e il 41bis. Mentre eravate lì io alla finestra vi ascoltavo, ho sentito pure l'intervento della zia di quel compagno detenuto a Bancali, sono rimasto allibito nel sentire quello che avviene in quel carcere prima, durante e dopo i colloqui. E' assurdo che un detenuto a regime comune debba sottoporsi a perquisizione con denudamento, ma trovo ancora più assurdo che l'abbiamo fatto alla zia, non ci sono parole per descrivere tale scempio.
Quando avete messo la musica mi sono pulito la cella con gioia, sono andato fuori con la prima canzone, quella degli AC/DC, mi piace molto quel genere...
Io non vedo l'ora di unirmi a voi in tutte le lotte, oramai mi si è aperta questa breccia nel cervello alla quale non voglio rinunciare, come è bello per me sapere che c'é chi lotta anche per la mia causa, sono certo che un domani darò la stessa gioia, se va tutto bene entro fine anno sono fuori e da subito mi unirò a voi.
Venendo alla reazione interna al vostro presidio, beh, qui dove sono io in pochi ci siamo fatti sentire, io mi sono fatto sentire quando siete entrati nel campo, in particolare quando avete appeso lo striscione “LIBERTA'”, me lo guardo tutti i giorni dato che è di fronte alla saletta ricreativa dove gioco a carte, lì è dove mi sono divertito di più perché mentre vi chiamavo vedevo cinque sbirrazzi in sbattimento sul muro di cinta. Comunque so che dalle sezioni del 4° piano hanno aderito molto al vostro presidio, per il resto chiaccherando di qua e di la ognuno dava la sua opinione, chi era contrario e trovava inutile quello che fate, chi vi ha sostenuti a pieno, poi c'era chi un po' si è fatto coinvolgere e chi chiedeva indulto e amnistia. Ho cercato di far capire, bene o male, chi siete e quali sono i vostri scopi, ma quando mi trovo di fronte a troppa ignoranza mollo il colpo altrimenti mi arrabbio. […]
Un grazie a tutti/e i compagni/e che hanno partecipato al presidio da parte mia e degli altri ragazzi.
Opera, 24 aprile 2016
Chi scrive avvisa che la busta è arrivata aperta da un lato e che è stato sottratto il bollo in essa contenuto.
lettera Dal carcere di Belluno
Ciao ragazzi di Venezia, come state? Ho ricevuto la vostra lettera oggi, ma le altre ancora no... Siete stati grandi e calorosi nuovamente con la vostra solidarietà. Dove vi siete messi l'ultima volta purtroppo non vedevamo nulla, ci sono le finestre che sono chiuse e saldate, ma potevamo solo sentirvi ragazzi miei...
Qui ci sono state alcune battiture, hanno fatto diverse proteste e hanno incendiato i materassi. Celle a fuoco e tutti all'aria. Non una sola, ma ben 4 celle diverse e quella sera è venuto anche il provveditorato di Belluno in carcere a vedere cosa hanno fatto.
Ci sono stati trasferimenti a Trento di alcuni detenuti. In tutto 16 trasferimenti fino ad oggi [25/3], uno ogni tre giorni... e sono andati a Vicenza, Verona, Padova, in Sardegna, Bolzano, Trieste e Vercelli.
Sono state tirate le bombole del gas come molotov... olio caldo addosso agli agenti, la notizia è uscita sul “Corriere delle Alpi di Belluno”. Poi ci sono state rivolte con gli agenti, i detenuti con pentole, ferri dei tubi dell'acqua e loro con scudi e caschi e manganelli. Sono arrivati con gli idranti e anche i carabinieri di Pordenone e la polizia, saranno state 150 guardie contro quasi tutti con tavole e sedie che volavano e materassi bruciati. E' successo proprio di tutto!
Spero al più presto di vedervi ancora più calorosi! Un abbraccio e continuate così
25 marzo 2016
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Ritorno a Belluno
Settembre 2010. Mirco, detenuto da circa due anni nel carcere di Baldenich, muore a tre mesi dalla data di scarcerazione. Le circostanze precise riguardanti la sua morte non verranno mai chiarite del tutto, come quelle di tanti altri ragazzi entrati e mai più usciti dalle mura delle carceri italiane. Grazie alla determinazione di amici e familiari la vicenda di Mirco non viene però dimenticata: il suo nome si trasforma in un grido di libertà, la sua storia diviene patrimonio comune di chi pensa che il carcere non possa mai essere la soluzione.
Febbraio 2016. A seguito dell’ennesima prepotenza delle guardie i detenuti del carcere di Belluno danno il via alla rivolta. Vengono allagate le sezioni, divelti gli arredi, scoppiano violenti scontri con la polizia. La situazione ritorna tranquilla solo dopo molte ore, a notte inoltrata. Nei giorni successivi, nel tentativo di spezzare i legami di solidarietà instaurati, molti ragazzi vengono trasferiti in altri penitenziari della regione, qualcuno persino in Piemonte e in Sardegna.
Il 13 aprile prossimo Mirco avrebbe compiuto 33 anni. Vogliamo ricordarlo con una giornata di solidarietà a tutti i detenuti del carcere di Belluno. Per non scordare la sua storia, per non lasciare solo chi continua a ribellarsi contro quelle stesse mura assassine.
MERCOLEDì 13 APRILE, DALLE ORE 15 IN VIA SAN GIUSEPPE. PRESIDIO CON MUSICA E MICROFONO APERTO.
Sulla vicenda di Mirco rimandiamo a un dossier scritto all’epoca dei fatti, completo di testimonianze e articoli di giornale. Lo trovate qui
da questacasanoneunalbergo.noblogs.org
Lettera dal carcere di Livorno
Ciao cari amici, […] oggi vi scrivo per raccontare una storia accaduta qualche giorno fa qui al carcere di Livorno “Le Sughere” reparto S.
Premetto che l’episodio, ovviamente, è andato a discapito di quei compagni che hanno avuto il coraggio di ribellarsi e che appoggio pienamente e sostengo. Arrivo al sodo.
Proprio a causa del sovraffollamento, per non ri-parlare di tutti i disagi descritti nella scorsa lettera, é da tempo che qui l’aria si fa sempre più pesante ed elettrica. Infatti alcuni detenuti del braccio S si cono rifiutati di rientrare nelle celle e in un caso c’è stata un’aggressione verso il comandante non andata a buon fine per il pronto intervento delle guardie e da qui potete immaginare le conseguenze come le immagino io avendo già esperienza diretta sull’aggressione nei confronti delle guardie, cioè rapporti, denunce e botte a più non posso.
Ora questa situazione la ritroviamo in quasi tutti i carcere d’Italia e sono 10 anni che non si vede dare un indulto o un’amnistia, per non parlare del fatto che da qualche anno hanno messo la possibilità per molti di noi di uscire agli arresti domiciliari col braccialetto elettronico, ma quando lo richiedi indovinate… “non si può perché di braccialetti non ce ne sono”, anzi, sono pochi e rari. Allora mi chiedo: ci prendiamo in giro o cosa…
Come possiamo vivere la detenzione in questo stato e non scoppiare a nostro discapito? visto che ogni rapporto, denuncia o quant’altro ti fanno perdere giorni, e sarebbero la bellezza di 45 giorni in meno ogni semestre e non sono pochi, se li rapportiamo a gente che deve scontare parecchi anni di reclusione, tipo me, che ne ho da scontare 5 e ho perso già 6 semestri, la bellezza di 270 giorni (quasi un anno in meno ragazzi); e ho avuto trasferimenti, in quanto sono stato arrestato a Pisa, trasferito a Lucca e da lì, dove ho distrutto una cella (e per tirarmi fuori di lì ci sono voluti 7 agenti in anti-sommossa con idranti e manganelli quindi scontro diretto anche con loro) e infine sono stato trasferito qui a Livorno, dove appena arrivato mi sono fatto conoscere anche qua e sono stato portato in una stanza e pestato da 4 guardie infami. E tutto ciò è stato sempre sepolto o ritorto contro me.
Dopo tutto ciò mi chiedo: quando lo stato si muoverà per migliorare le situazioni carcerarie e trattarci come persone con diritti e dignità, invece di trattarci come polli d’allevamento ammassati in piccole rotte e sporche celle?, rendendo invivibile anche la convivenza in cella con altri compagni, perchè tutto ciò si ritorce anche tra noi ovviamente.
Compagni carcerati, si dovrebbe ritornare come anni fa, quando le cose non andavano, fanculo ai rapporti, alle denunce e giù con battiture e proteste varie. Ricordo, anni indietro in altre mie carcerazioni, qualcosa la si è vinta quando ci siamo uniti, e quindi forza e coraggio. [...]
Ora vi saluto tutti amici carcerati, amici anarchici e amici della rivista Ampi Orizzonti; saluto anche gli amici anarchici dell’Associazione Culturale ‘Senza Pazienza’ di Torino e i miei soci della mia Tribe Tekno Illegal Party cioè i Criminal-Biotek-Sound-System. Ciao e a presto da Skiky Acab 23, fondatore BIOTEK.
Resistere per non estinguere!!!! Fuck the system!!! A.C.A.B.
6 aprile 2016
Sebastiano Del Re, via Delle Macchie, 9 - 57124 Livorno
lettere dal carcere di terni
Ciao amici miei carissimi, è stato bello sapervi qui, sono stato felice ma purtroppo non siamo riusciti a darvi l’accoglienza che meritavate. Tuttavia c’è una spiegazione.
Io sinceramente credevo fosse saltata la manifestazione. Nella precedente missiva vi avevo chiesto di inviarmi qualche ‘locandina’ o ‘depliant’ che informava del presidio, li avevo chiesti per una ragione: distribuirli nella sezione AS ed accordarci sui modi di partecipazione. In realtà si era pensato di partecipare ad una battitura previo avviso, il giorno precedente, alla direzione. PROTESTA PACIFICA in solidarietà ai detenuti al 41bis e, come è ovvio, contro il regime 41bis. Però, poi non mi è arrivato nulla e così siamo rimasti un po’ sorpresi (almeno nella mia sezione).
Un’altra cosa ha influito sul silenzio da parte nostra, sono arrivati nelle sezioni alcuni ex 41bis e per non attirare l’attenzione su di loro, magari in qualità di sobillatori della protesta, si è scelto di non far casino. Io da qua non vi sentivo, ma mi hanno riferito le vostre parole; ho saputo che mi avete ringraziato per lo scritto, ma sono io che devo ringraziare voi, non so se siete riusciti a mandarlo al ‘Corriere dell’Umbria’, comunque al Tg regionale anche se poco hanno parlato di voi.
Spero che in futuro tornerete, ma vi prego mandatemi dei manifestini (bastano 5-6) del presidio che si vuole fare, coì da organizzare qualcosa di utile (da parte nostra). Tuttavia ho una richiesta che forse non capirete inizialmente, ma comprenderete sicuramente. Non è cosa buona, si cade o almeno si rischia di cadere, nell’ineducazione, le guardie le deve offendere il detenuto, se ha le palle e quando ce l’ha davanti. Nella stupidità degli agenti io vedo la mia stessa stupidità di quando ero soldato, di quando ero convinto di star esportando la democrazia in Iraq. Al pensiero odierno ci sono arrivato solo, forse perché più lungimirante di altri, ma se qualcuno mi avesse gridato che ero uno stronzo per la mia scelta di vita non avrei capito e anche se avessi agito mi sarei incazzato comunque. “Fortunatamente” la maggior parte degli agenti sono solo dei burocrati, disinteressati sul loro ruolo nella società, perché senza fantasia morale, meri esecutori di ordini. Solo una minima parte sono sadici che si gongolano in deliri di onnipotenza, ed un’altra minima parte sotto la divisa sono delle brave persone. Per questo le offese non servono, mettono in cattiva luce più voi che loro.
In questi frangenti si possono fare due scelte, o la lotta pacifica, come la vostra, che deve arrivare al cuore ed all’intelletto delle persone o la lotta armata, violenta (e non è e non sarà il vostro caso) che vuole terrorizzare, ma anche far prendere coscienza con atti ma rivendicati in modo coerente. In entrambi i casi le offese sono superflue. Ma questo è solo il mio pensiero. Con affetto immenso Valerio
21 aprile 2016
Valerio Crivello, via delle Campore 32 - 05100 Terni
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Ciao compagne/i di olga, vi comunico che il 24 maggio 2016 ho finito di scontare nove (9) anni e mezzo, quindi sarò libero, non sarò libero totalmente come avrei voluto esserlo, perché il tribunale di sorveglianza di Spoleto mi ha dato un anno di libertà vigilata, applicandomi vari divieti. Il primo quello di non allontanarmi dal comune di Lucca; di fare rientro a casa verso le 21 fino alle 7 del mattino; di non frequentare luoghi pubblici come bar, trattorie, teatri, feste private né riunioni private, e mi devo recare a firmare una volta alla settimana.
Questa libertà vigilata mi è stata data per un anno. Purtroppo mi ritengono pericoloso in base ai miei precedenti penali che vanno dal 1974 quando avevo 14 anni e dopo il 1974. E, come se non bastasse, la questura di Firenze, dopo aver descritto i miei precedenti mi ricorda come “persona aggressiva e violenta, incline alla commissione di reati”, come, danneggiamenti con apposizioni di sigle legate alla lotta proletaria. “Non si dispone,” conclude la questura, “di elementi circa eventuali collegamenti con la criminalità organizzata comunque non esclusi alla luce dei suoi pregressi”…
Vi abbraccio tutti/e con affetto, Mauro.
8 aprile 2016
Mauro Rossetti Busa, via delle Campore, 32 - 05100 Terni
un saluto da marco camenisch
Carx compas, confermo e ringrazio per gli opuscoli ricevuti (tutti, e sempre attento lettore e ri-distributore) nel frattempo! Essendo la nuova situazione un vero e proprio lager di lavoro, e anche con le prime uscite che vanno avanti, non ho quasi più tempo ed energie per scrivere e ho tralasciato molto la scrittura…
Caramente, Marco.
14 aprile 2016
Marco Camenisch, Postfach 1 – 9465 Salez (CH) Svizzera
Napoli: In piazza per Davide Bifolco
In tanti e tante hanno partecipato oggi ad un nuovo appuntamento in memoria di Davide Bifolco, giovane ragazzo del rione Traiano (Napoli), assassinato dalle forze dell’ordine per non essersi fermato ad un controllo stradale alla sola età di 16 anni.
Negli scorsi giorni attacchinaggi nei quartieri popolari, assemblee pubbliche, dibattiti in università, campagne di promozione online avevano ricordato l’appuntamento odierno, che arriva a conclusione di uno sforzo importante da parte della famiglia di Davide (in primis del padre Gianni) a cui tanti compagni e compagne si sono legati offrendo la propria disponibilità a lottare per evitare che calasse l’oblio sulla vicenda.
Il corteo si è svolto con un occhio a quella che sarebbe stata la decisione da parte del tribunale rispetto a Gianni Macchiarolo, l’assassino di Davide, colui che ne decretato la morte con un colpo di pistola.
L’uomo è stato poi condannato alla pena di 4 anni e 4 mesi, che aldilà dell’odio indiscutibile verso l’istituzione carceraria è una pena che suona quantomeno lieve, se paragonata ad esempio al fatto che il fratello stesso di Davide, come riporta un post Facebook dell’associazione Giustizia e Verità per Davide Bifolco, due anni fa aveva subito una condanna maggiore in riferimento ad un furto.
Come nelle altre occasioni di ricordo e lotta relativa alla figura di Davide, amici parenti e solidali hanno sfilato per Napoli urlando lo slogan “Nei quartieri popolari zero spese militari e più servizi sociali!” continuando una campagna che vuole aprire a partire dall’omicidio di Davide una riflessione e una presa di posizione sull’emergenza sociale che si vive nei quartieri popolari napoletani.
La manifestazione è partita da piazza Mancini sfilando fin sotto il Tribunale, dove nel pomeriggio è stata appresa la notizia rispetto alla condanna di Macchiarolo. Negli scorsi giorni, media come Il Mattino e Repubblica avevano cercato in tutti i modi di influire a livello di opinione pubblica sulla sentenza, ad esempio sfruttando la notizia dell’arresto di Salvatore Triunfo (che era quella notte in motorino con Davide) per gettare una cattiva luce su Davide: come se andare in moto in tre fosse qualcosa da punire con la condanna a morte da parte dello Stato.
La famiglia di Davide e i tanti e le tante che hanno dato vita alla campagna per dare giustizia e verità alla vicenda di Davide non mancheranno in futuro di continuare a ricordare la memoria di Davide e a fare della sua morte un promemoria di cosa succede nei quartieri napoletani e in tutte le periferie colpite dai flagelli dell'austerità e della disoccupazione, e dove l'unica risposta è una assassina militarizzazione dei territori.
21 aprile 2016, da infoaut.org
2 APRILE: MUSICA E LOTTA INTORNO AL CARCERE DI S. VITTORE
“La gente come noi non molla mai… la gente come noi non molla mai… la gente come noi-la gente come noi… la gente come noi non molla mai!” Questo coro cantato in comune fra chi si trova in cella e chi in strada esprime più di ogni altra parola la riuscita della manifestazione di sabato scorso 2 aprile attorno al carcere di S. Vittore.
La giornata di mobilitazione è stata costruita per dare forza a chi tutti i giorni e notti anche in quel carcere si batte per mantenere la propria dignità, per impedire soprusi e prepotenze verso chiunque, per dare continuità alle proprie scelte contro questa società.
In particolare, abbiamo voluto il corteo-presidio con in testa lo striscione “Liberi tutti” per esprimere vicinanza ai compagni Molestio e Casper, chiusi in quel carcere dal novembre scorso, e al compagno Iddu ora ai domiciliari, accusati di devastazione e saccheggio per la manifestazione del 1° Maggio 2015 a Milano contro l’Expo. Ancora una volta siamo scesi in piazza e, precisamente, ci siamo radunati intorno al carcere circondariale di Milano, per ribadire la nostra solidarietà agli arrestati per il 1° Maggio, per affermare con chiarezza quel giorno “c’eravamo tutti”. Il presidio itinerante è stato anche occasione per confermare i prossimi appuntamenti e darci appuntamento sotto il tribunale per l’inizio del processo per questi compagni, che si terrà il 20 aprile.
Il corteo animato da circa duecento compagni ha preso il via proprio davanti alla porta d’ingresso attraversata dai familiari che si recano ai colloqui. Inizialmente abbiamo attraversato il mercato di viale Papiniano vicino al carcere, per ricordare a tutti e tutte che la vera devastazione e il vero saccheggio è stato proprio Expo a compierli: dal capillare controllo militare imposto a tutti gli abitanti di Milano e dintorni, passando per lo sfruttamento delle risorse del territorio e di quelle umane (si pensi alle migliaia di lavoratori sfruttati, pagati una miseria e solo per sei mesi), fino alla consacrazione di quelle multinazionali che esponevano a Expo, millantando dei loro interventi umanitari nei paesi più poveri, quando invece sono proprio queste stesse multinazionali a essere la causa dell’inquinamento della terra e dello sfruttamento di interi popoli, animando le guerre che stanno dilaniando donne e uomini in diversi paesi, diventando così responsabili insieme agli stati e ai loro governi della fuga disperata di milioni di persone dai propri paesi natali.
Il corteo in seguito ha avvolto il carcere, femminile compreso, comunicando assieme al significato della giornata anche notizie sulle proteste e sulle rivolte esplose di recente nelle carceri, come a Belluno e a Opera.
Nel pomeriggio inoltrato il corteo, più che raddoppiato nel numero e nella vivacità, si è fermato sul lato del carcere in viale di Porta Vercellina. Lì sono stati allestiti un palco per i concerti, dei banchi per il cibo… il microfono sempre aperto per interventi più diversi, fra i quali anche quelli di chi è uscito da poco da S.Vittore, uniti al canto dentro-fuori: “La gente come noi non molla mai!”. La giornata si è conclusa con due grandi scritte: “SCATENIAMOLI” e “PSM” sulle mura del carcere.
Milano, aprile 2016
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CALL FOR ACTIONS
Il 12 novembre 2015 sono state arrestate 5 persone ad Atene e 4 a Milano, per il corteo del primo Maggio NoExpo ed accusate di devastazione e saccheggio. I 5 greci sono ora liberi ed aspettano di conoscere i reati per cui andranno a processo nel loro paese. A Milano 2 compagni sono ancora in carcere mentre altri 2 sono agli arresti domiciliari.
“Scateniamoli- il primo maggio c’eravamo tutti” , è la campagna di solidarietà nata dopo questi arresti con la volontà di supportare gli arrestati e delegittimare il reato a loro contestato, cercando di creare legami anche con le altre campagne di solidarietà che sono nate intorno a questo tema. Nasce inoltre dalla volontà di non dimenticare quello che è successo, e prenderne atto per mantenere ovunque la stessa determinazione.
Il 5 maggio ci sarà la prima udienza del processo ai 4, e non possiamo farla passare sotto silenzio.
L’attacco a questi compagni non lo vediamo come un attacco isolato, mirato a loro, bensì come un ulteriore attacco alla possibilità di creare situazioni conflittuali. Non sono solo 4 compagni ad essere colpiti bensì la possibilità di aprirsi ulteriori spazi d’azione. E’ la nostra agibilità, non solo nelle grandi manifestazioni, ma anche nel quotidiano delle lotte ad essere colpita.
Non crediamo dunque che sia sufficiente una solidarietà isolata e territoriale, ma una presa di posizione più ampia perché questa è solo una delle tante armi con cui cercano di attaccarci. Si pensi all’operazione per associazione a delinquere che, verso fine febbraio, ha coinvolto 11 compagni a Padova perché impegnati attivamente nella lotta contro gli sfratti.
Che ognuno dunque trovi nella sua specificità una risposta adeguata, che ognuno trovi i mezzi migliori per il contrattacco. La necessità sarà poi quella che tutte queste situazioni si richiamino a vicenda, per non affrontare mai la repressione come una questione isolata ma bensì con la consapevolezza che stiamo parlando dello del nostro agire. Dobbiamo dunque rilanciare nel presente delle situazioni che attraversiamo, per portare con noi i compagni arrestati, alla ricerca di nuovi complici.
Il 5 maggio: DALLE 9.30 PRESIDIO SOLIDALE SOTTO IL TRIBUNALE
Per chi non riuscisse a venire a Milano, AZIONI DI SOLIDARIETA’ NEI PROPRI TERRITORI per ribadire la vicinanza ai compagni, e conquistare passo dopo passo gli spazi per la nostra agibilità.
Roma, 12 maggio: solidarietà ai/alle ribelli del 15 ottobre 2011
Chi si ribella non è mai solo/a.
Sono passati quasi 5 anni: era il 15 ottobre del 2011, le strade di Roma si erano riempite. In quel periodo, dopo le forti proteste e rivolte che avevano acceso la “primavera araba”, anche in Europa e negli Stati Uniti, in seguito all’appello lanciato dai movimenti 15M nati a Madrid, si scendeva in piazza ovunque, davanti e contro i palazzi del Potere, nel rifiuto delle politiche di austerità adottate dai governi come ricetta alla crisi economica in atto.
A Roma quel giorno c’erano centinaia di migliaia di persone: non mancavano i carri di partiti, sindacati, organizzazioni di movimento. C’erano, come si suol dire, tutti.
“Tutti insieme”, i discorsi contro la crisi, oppure contro il sistema della crisi, contro il capitalismo e lo stato di diritto. Il comitato promotore accettò di non manifestare davanti alle sedi governative, così come deciso dalla Questura; ci furono comunque tantissimi gesti di rivolta e diverse ore di scontri con le forze dell’ordine: un susseguirsi di cariche e una continua resistenza a esse.
In tanti e tante, durante quella giornata, non sentirono di reprimere la propria rabbia. Non scapparono, ma reagirono, perché troppo forte l’odio per la miseria economica e culturale cui il sistema capitalista ci costringe ogni giorno.
Perché, oggi come ieri, come il 15 ottobre del 2011, in questo mondo si determina lo sfruttamento da parte di pochi nei confronti di molte\i, la guerra e lo sterminio delle popolazioni oppresse, la distruzione delle risorse naturali e della terra, tutto in nome del profitto, dell’arricchimento, del denaro.
Ed è inevitabile che, per tutto questo, la rabbia possa anche esplodere.
Poi ne seguì il tormentone mediatico, quello dei discorsi contro la violenza e per il rispetto della legalità, a cui si affiancarono le prese di distanza dai rivoltosi, sostenute anche da coloro che avevano partecipato a quella manifestazione, nel tentativo di recuperare ciò che era loro sfuggito di mano.
Oltre a questo, la caccia ai resistenti di Piazza San Giovanni e ai rivoltosi del corteo, attraverso il ricorso a fotografie e video, con il prezioso contributo delatorio di innocenti cittadini o di zelanti tutori dell’ordine interno al corteo.
Dopo i manganelli e i caroselli della celere nelle strade, scattarono i primi arresti seguiti da ampie indagini e infine i processi. Inizia la risposta degli apparati giudiziari al soldo dei Poteri, che avvertirono il campanello d’allarme.
In un primo momento, decine di denunce e diversi arresti nei confronti di chi rimase in piazza San Giovanni. Poi, un filone di indagine specifico per il blindato dei Carabinieri andato in fiamme. Per finire, un ulteriore filone di inchiesta volto a sostenere l’architettura premeditata dell’esplosione di rabbia di quella giornata.
Quindi, processi e condanne anche in direttissima per i primi arrestati, con l’accusa di resistenza pluriaggravata, poi una punizione esemplare attraverso il ricorso al reato di devastazione e saccheggio per i militanti di Azione Antifascista Teramo imputati dell’assalto al blindato; di nuovo il ricorso al reato di devastazione e saccheggio per le 18 persone rinviate a giudizio nell’ultimo filone di inchiesta.
Nei tribunali un accanimento feroce da parte dei Pubblici Ministeri, il ricorso al reato di devastazione e saccheggio come monito e punizione esemplare: il solito leitmotiv del colpirne alcuni per intimorire tutti e tutte.
È successo per la rivolta di Genova nel 2001, per il corteo antifascista di Milano nel 2006; si sono adottate queste misure anche lo scorso anno riguardo la manifestazione antifascista di Cremona e per il corteo No Expo a Milano.
È un dato di fatto che questo strumento, eredità del codice penale del ventennio fascista, venga adoperato sempre più frequentemente per sanzionare comportamenti di piazza di natura tumultuosa, affermando un chiaro indirizzo politico da parte della magistratura e la sua conseguente attestazione negli ambiti della giurisprudenza.
Detto in maniera più esplicita: manifestanti buoni e manifestanti cattivi. Il recinto di ciò che è consentito e quello che non lo è. Finché si esprime dissenso a parole, va tutto bene (per il momento), siamo in Democrazia. Con la variabile sempre presente che a sostenere questo indirizzo non siano solo gli inquirenti.
Tra tutti coloro che erano in piazza quel giorno, dopo il processo conclusosi in Cassazione con la conferma del reato di devastazione e saccheggio per i militanti di Azione Antifascista Teramo, altre 17 persone, a cui sarebbe stato aggiunto anche Chucky, se non ci avesse lasciato a causa della sua morte, potrebbero andare a sentenza il prossimo 12 Maggio 2016, a seconda che il PM Minisci decida di replicare o meno alle argomentazioni difensive.
L’accusa ha fatto richiesta di 115 anni complessivi per queste 17 persone rimaste ancora imputate. I reati contestati vanno dalla resistenza aggravata a pubblico ufficiale alla devastazione, dalle lesioni all’incendio doloso, ma anche capi d’imputazione ‘minori’ come turbativa dell’ordine pubblico e interruzione di pubblico servizio. La richiesta più alta è di 11 anni di carcere per un manifestante, le altre oscillano dai 3 ai 9 anni di reclusione. A queste si aggiunge la richiesta di risarcimento danni da parte di una banca, comune di Roma, AMA e ATAC, alcuni ministeri e di agenti delle forze dell’ordine che si sono costituiti parte civile.
Un appello alla solidarietà rivolto “generalmente”, oltre a essere un’illusione e una menzogna rivolta a sé stessi, a 5 anni di distanza da quella giornata, cadrebbe nel vuoto.
La consapevolezza di questo avviene dopo anni di udienze svolte qui a Roma, di posizioni dissociatorie assunte anche in sede processuale da parte di alcune difese, di silenzi perpetrati anche da parte delle stesse realtà che il giorno prima inneggiavano alla rivolta, quello dopo si nascondevano intimorite.
Eppure, pur considerando tutto questo, si preferisce guardare ad altro.
Chi si è ribellato quel giorno, come in altri momenti, non resta solo, perché la solidarietà non è una parola vuota di senso, ma pratica di vicinanza e compartecipazione tanto ideale quanto concreta.
Se intorno la giornata del 15 Ottobre e la rivolta che l’ha animata è in atto un’operazione di rimozione, noi invece non vogliamo dimenticare.
Se intorno le persone che sono imputate si vuole creare isolamento, non è nostra intenzione lasciarle sole.
Se rispetto l’espressione del dissenso c’è l’intenzione, da più parti, di tracciare il selciato del consentito, il sentiero della rivolta non conosce percorsi definiti da nessuno.
Perché un giorno, alcune volte, o tutti i giorni, ci si può trovare anche “tutti insieme” sotto lo stesso cielo, ma è l’orizzonte verso cui ci si muove che fa la differenza.
A chi ha vissuto la rivolta del 15 Ottobre 2011. A chi non dimentica.
A chi pensa che coprirsi il volto durante una manifestazione non voglia dire essere infiltrati. A chi si copre il volto quando gli pare. A chi vive di rivolta.
Giovedì 12 maggio 2016, Roma:
h 9 – Presidio davanti il Tribunale a Piazzale Clodio.
h 18 – Assemblea sul reato di devastazione e saccheggio presso L38 Squat, in via Domenico Giuliotti 8x, con contributi sui processi relativi ai cortei del 1 maggio 2015 a Milano e del 24 gennaio 2015 a Cremona.
Rete Evasioni
27 aprile 2016, da inventati.org/rete_evasioni
aggiornamenti dalla lotta contro il tav
In Trentino la Landservice rinuncia ai carotaggi
Il 14 marzo l’Assemblea dei comitati No Tav del Trentino ha comunicato che la ditta Landservice di Bolzano, che stava collaborando al progetto del TAV in Trentino, si è ritirata dall'appalto per i carotaggi funzionali al TAV a causa dei danni economici subiti e per la pericolosità dei lavori. I blocchi della trivella, a Marco nell'ottobre 2014 come alle Novaline nell'ottobre-novembre 2015, hanno rappresentato dei passaggi importanti, sia dal punto di vista pratico sia da quello comunicativo. Dopo il presidio di tre giorni e tre notti a Marco, la partecipazione all'acquisto collettivo del terreno no tav di Acquaviva è più che raddoppiata in due settimana; dopo i blocchi della trivella alle Novaline, sia la fiaccolata di Mattarello sia il corteo del 14 novembre a Trento hanno avuto una composizione, un'intensità e un entusiasmo che derivavano proprio dall'elemento vivo della lotta. Nel silenzio in cui i promotori dell'opera vorrebbero tenere confinata la questione del TAV, la lotta popolare - in cui ognuno mette quello che si sente e che può - crea dibattito, sbugiarda la controparte e soprattutto alimenta la fiducia in ciò che si può fare insieme, dal basso.
Un movimento, se vuole essere un movimento di lotta e non semplicemente di opinione, non deve mai staccarsi dalla materialità del progetto che dichiara di voler impedire. Il TAV è fatto di decisioni politiche, di propaganda mediatica, di soldi pubblici; ma è fatto anche di ditte costruttrici, trivelle, recinzioni, cemento e tondini; è fatto di banche che lo finanziano (come la Sparkasse con il tunnel di base del Brennero) e di poliziotti che lo difendono. Concentrarsi solo su alcuni aspetti (quelli più comodi o più spettacolari) è un errore.
Una ditta che si ritira è dunque cosa buona a cui dare il massimo di pubblicità (non a caso la controparte ha taciuto la notizia riguardante la Landservice).
La città di Grenoble ritira i finanziamenti per il tav
La città di Grenoble, in Francia, dice no alla Tav Torino-Lione. Il sindaco della città transalpina, l’ecologista Eric Piolle ha tenuto nella serata di ieri un consiglio comunale al termine del quale il municipio ha formalmente ritirato il proprio appoggio al progetto, che era stato invece garantito dall’amministrazione precedente, guidata dai socialisti. Piolle ha spiegato che in questo modo la città, liberandosi da un impegno inutile, potrà orientare il suo bilancio verso soluzioni meno costose e maggiormente efficienti per i residenti…
“La Tav non rappresenta un reale miglioramento per la popolazione… Nel 2002 il progetto della Torino Lione era considerato ancora prioritario per il trasporto delle merci. Oggi non è più così. Ma soprattutto, abbiamo assistito ad una deriva preoccupante dei costi: nel 2002 l’impegno complessivo del municipio, della Métropole e del dipartimento dell’Isère era stato fissato a 53,4 milioni di euro. Nel 2007 si è rivisto il montante a 129,72 milioni. Ad oggi siamo nell’ordine dei 330 milioni”.
Gli oppositori al progetto Torino-Lione hanno fatto sapere attraverso un comunicato di aver “accolto con entusiasmo questa decisione Abbiamo presentato da tempo soluzioni affinché le merci viaggino sui treni e non sulla strada: sottolineiamo in particolare la necessità di raddoppiare la linea ferroviaria tra Aix-les-Bains e Annecy, tra Saint-Etienne e Clermont-Ferrand, tra Saint-Etienne e Le Puy-en-Velay, tra Grenoble e Valence, e tra Saint-André-le-Gaz e Chambéry. Questi sono gli investimenti che rispondono alle reali esigenze degli abitanti della Regione Rodano-Alpi Alvernia che miglioreranno non solo il trasporto quotidiano ma anche i tempi di percorrenza tra Torino e Lione”.
Rivalta (provincia di To) contro i sondaggi Tav
I sondaggi (carotaggi), previsti per il futuro cantiere dall’alta velocità in terreni in Borgata Dojrone sono stati effettuati senza avvisare la popolazione e l’amministrazione locale. Stessa cosa a Buttigliera ad inizio settimana, sulla collina Morenica, dove i No Tav sono però riusciti ad interromperne uno, che sarebbe dovuto arrivare a 60 metri di profondità. Di seguito il comunicato del sindaco di Rivalta, Marinari:
“Da alcuni giorni, senza alcun preavviso né esposizione di cartelli, hanno iniziato a trivellare le aree della tratta nazionale del TAV: ieri – 21 aprile 2016 – si sono dati da fare nelle aree lungo la strada del Dojrone sul territorio di Rivalta di Torino, nei giorni scorsi hanno trivellato e effettuato carotaggi nell’area tra Buttigliera e Ferriera. E’ pur vero che non sono tenuti per legge a una comunicazione preliminare, ma visto che i proponenti l’opera sbandierano un inesistente corretto rapporto con le Amministrazioni interessate ci saremmo aspettati di ricevere con congruo anticipo un’informazione esauriente.
La ditta che sta effettuando gli interventi è la stessa che ha operato in bassa val di Susa: a fronte di richiesta di chiarimenti, da parte di cittadini che stavano passeggiando sui sentieri della Collina Morenica di Buttigliera, ha millantato risposte false e tendenziose (“stiamo lavorando per conto Smat per cercare acqua”, subito smentita da Smat stessa che è stata prontamente interpellata dal sindaco di Rivalta informato dai cittadini stessi).
Dunque si vogliono stringere i tempi sulla tratta nazionale dell’opera più inutile e dannosa che si possa concepire mentre il servizio ferroviario che serve quotidianamente ai pendolari versa in condizioni sempre più deplorevoli… L’Amministrazione di Rivalta denuncia la reiterata mancanza di informazione agli Enti Locali”.
La lotta paga: Terzo Valico al 9% con 22 mesi di ritardo
La fonte è certamente attendibile trattandosi della Commissaria al Terzo Valico Iolanda Romano. Alla faccia di quelli che hanno ripetuto per anni il ritornello sull’inutilità della lotta ci ha pensato Iolanda a fare il miglior spot possibile al movimento. Ai recenti stati generali della logistica delle Regioni italiane del Nord – Ovest (una delle tante passerelle inconcludenti a cui siamo abituati) la Commissaria ha dichiarato che l’avanzamento lavori del Terzo Valico è ad un misero 9% e che sono già ben 22 i mesi di ritardo accumulati. Sempre secondo Iolanda la ragione sarebbe da ricercarsi in “…una serie di questioni legate anche all’opposizione che sul territorio è stata organizzata contro quest’opera…”. Potremmo fermarci qui ma proseguiamo facendo due conticini.
Secondo il Cociv e il Governo sono più di quattro anni che l’opera è stata avviata raggiungendo il 9% di avanzamento lavori. Quindi, se la matematica non è un’opinione, ci vorranno decenni affinché l’opera veda la luce. Butta talmente male che molti dei fautori di questa porcata non ci saranno neppure il giorno dell’ipotetico taglio del nastro. Ipotetico, perché la lotta continua ed è ormai chiaro a tutti che la strategia del movimento non possa che essere quella di resistere un minuto in più di loro e di continuare a mettersi di traverso con l’opposizione popolare.
aprile 2016, estratti da notav.info, informa-azione.info e notavterzovalico.info
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notav: Richiesti 9 anni per Pandino e Gabriele
Ieri, 18 aprile, si è svolta la seconda udienza del processo per Pandino e Gabriele due ragazzi accusati di aver sequestrato e rapinato un carabiniere nei boschi della maddalena il 3 luglio 2011. L’accusa ha chiesto 9 anni per ciascuno dei due, la difesa ha fatto l’arringa e il 10 maggio di sarà la sentenza.
L’udienza è stata ancora una volta un teatrino e l’avvocato ci ha raccontato il clima surreale che si respirava in aula, per un processo che esce dal piano giuridico nel tentativo per l’ennesima volta di dividerci, di isolarci.
Fuori dal tribunale un presidio di solidali ha fatto sentire la sua presenza, anche con una rappresentazione teatrale che ha ripercorso in modo coinvolgente, commovente e anche ironico, i fatti e le emozioni di quelle giornate di 5 anni fa in cui migliaia di persone di ogni genere ed età hanno scelto di rompere la routine quotidiana e di mettersi in gioco per difendere un pezzo del proprio territorio.
Ribadiamo ancora una volta che tutto ciò che è accaduto in quella magnifica giornata di luglio è patrimonio di un movimento che lotta e resiste ancora oggi e nessun tribunale riuscirà a riscrivere questa storia !
Invitiamo tutti quanti a esprimere la solidarietà nei propri territori come meglio credono in vista della sentenza, il 10 maggio 2016.
Compagne e compagni delle valli
20 aprile 2016, da inventati.org/rete_evasioni
Aggiornamenti dalle lotte nella logistica
Alle 6 del mattino del 21 aprile, davanti ai cancelli del magazzino Bartolini (primo corriere in Italia) di via Mecenate a Milano, una trentina di corrieri iscritti al Si.Cobas hanno deciso di scioperare e discutere in assemblea la trattativa in corso coi padroni. Nella vicina via Fantoli anche molti dei corrieri dell'UPS (in tutto 350 in quel magazzino) sono in mobilitazione davanti ai cancelli della loro ditta, sono quasi tutti iscritti alla Filt-Cgil contro l'accordo siglato dalla loro stessa organizzazione sindacale che si è accordata con la direzione aziendale per 44 ore settimanali indennizzate con pochi spiccioli invece di portare a 39 le ore di lavoro settimanali, cioé la riduzione della giornata lavorativa voluta dagli operai. Per sostenere questa ed altre ragioni, il giorno prima, i corrieri UPS in sciopero avevano bloccato i camion in entrata ed uscita, tanto che l'UPS aveva contattato l'ambasciata americana affinché si attivasse presso il ministero per far ripartire l'attività della filiale.
I lavoratori di Bartolini decidono quindi di raggiungerli per portare la loro solidarietà e, in tarda mattinata, vengono ricambiati dai corrieri di UPS che li riaccompagnano in corteo davanti al loro magazzino: un presidio ai cancelli di Bartolini di oltre 80 lavoratori, con speakeraggio, volantinaggio e "filtro" ai mezzi in entrata ed uscita.
Lo stato di agitazione fra i corrieri della Bartolini era cominciato lo scorso 18 marzo, in occasione dello sciopero generale indetto da Si.Cobas, USI e CUB, con tre ore di blocco davanti agli ingressi dei mezzi a cui la direzione aveva risposto rimandando ad un futuro incontro. Le rivendicazioni riguardano l'applicazione del contratto nazionale di categoria, la cui indicazione dev'essere data da Bartolini a tutte le cooperative che organizzano, attraverso una rete di padroncini, il lavoro dei corrieri e che, con finti contratti part-time, fanno lavorare i corrieri per 10-11 ore al giorno in cambio di una paga giornaliera fissa di 60 euro netti, senza riconoscere ferie, permessi, 13ma, 14ma, malattia ecc.
Puntando a smorzare l'iniziativa operaia iniziata con lo sciopero nazionale del 18 marzo, la Bartolini ha quindi cercato di utilizzare i tavoli di trattativa per prendere tempo (senza in realtà concedere nulla, pur riconoscendo la correttezza delle rivendicazioni contrattuali) e utilizzare questo tempo per mettere in atto, tramite le cooperative, atti intimidatori contro gli iscritti al sindacato, cercando cioè di estromettere i più combattivi dal ciclo produttivo attraverso stop forzati (col pretesto di guasti meccanici ai mezzi), trasferimenti (per un inesistente calo di lavoro) fino al licenziamento causa scioglimento delle cooperative da cui erano assunti, mentre hanno tentato di corrompere il resto della forza lavoro con promesse di aumenti salariali di 10 euro al giorno, ovviamente in cambio della rinuncia ad aderire al Si.Cobas e a restare lontani dal SI.Cobas.
Lunedì 2 maggio gli operai decidono quindi una nuova iniziativa di lotta davanti al magazzino di via Mecenate. Nonostante la presenza in forze di digos e polizia già dalle 6.30, i corrieri in sciopero non si sono fatti intimidire e hanno occupato i due ingressi, bloccando i mezzi in entrata e in uscita dalle 8.30 fino alle 14, sostenuti da una sessantina di solidali fra cui i facchini della SDA di Carpiano, della Ortofin di Settala, della TNT, della Sogretas di Peschiera Borromeo. Il picchetto viene sciolto solo dopo la convocazione per il giovedì successivo di un ulteriore incontro con la direzione di Bartolini su tutte le questioni poste, mentre in giornata, in particolare dalla BRT di Parma, arrivano comunicazioni di solidarietà che si traducono in disponibilità a entrare in sciopero solidale per sostenere la vertenza.
Milano, aprile 2016