indice n.104
turchia: In migliaia in strada a Suruc
Lager mediterranei
Commissione Ue adotta nuova “agenda” per i migranti
aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i c.i.e.
Lettera dal carcere di Rebibbia N.C. (RM)
lettere dal carcere di Caltanissetta
Lettera dal carcere di terni
Lettera dal cacere di Agrigento
Lettera dal carcere di Teramo
Lettera dal carcere di Velletri (rm)
Lettera dal carcere di Livorno
Lettera dal 41bis del carcere di Bancali (Sassari)
41 bis: la morte in vita
“PAGINE” CONTRO LA TORTURA
Resistenza nelle galere al di là del Reno
lettera dal carcere di parma
No Tav: blocchi al Moncenisio, lacrimogeni a Chiomonte
milano: Cronaca di una giornata di ordinaria ingiustizia
aggiornamenti dalle lotte nella logistica
turchia: In migliaia in strada a Suruc
Il governo ha risposto tre giorni dopo con retate, perquisizioni, impiego di elicotteri, carri armati, unità di polizia-esercito “speciali” dispiegate in tutto il paese, che hanno causato la morte di una compagna e l’arresto di oltre cento manifestanti. Le proteste di massa, qua e là armate, sono avvenute in tutte il paese, caratterizzate da una sorprendente unità fra le frazioni di sinistra kurde e turche, in genere invece litiganti. Fra le persone arrestate 37 provengono da altri paesi. Secondo le fonti governative la compagna è morta a causa della sua “resistenza armata all’arresto”; il soccorso legale ha invece diffuso un comunicato che quella morte è stata causata da “impiccagione”.
Suruc è una località situata lungo la strada che dal confine turco conduce a Kobane. Le repressioni scatenate hanno principalmente preso di mira il DHKP-C (Partito-Fronte di Liberazione Popolare) e il PKK (Partito Operaio del Kurdistan). I giovani uccisi dall’esplosione provenivano da ogni parte della Turchia per la ricostruzione della città di Kobane situata nel nord della Siria nei pressi del confine con la Turchia. I parenti dei giovani uccisi hanno espresso chiara indignazione contro i presunti autori dell’esplosione, l’IS e il governo turco che lo sostiene.
Immediatamente dopo l’esplosione assassina i gruppi kurdi e turchi di sinistra hanno assieme comunicato che: “L’AKP (Partito per la Giustizia e il Progresso, da anni al governo) non soltanto sostiene l’IS, esso stesso ha eseguito il massacro. Il governo di Ankara ha cura di rappresentare retata, assassinio e arresti come un colpo ad un presunto ‘Stato parallelo’. Il fatto invece è che effettivamente il governo teme la dinamica del movimento di sinistra successiva a Suruc. Il governo vuole l’intensificazione militare, Erdogan (capo dello stato) vuole la guerra civile. Immediatamente dopo le retate in diversi quartieri di Istanbul si sono aperti scontri fra la popolazione e la polizia.
L’AKP, partito segnato profondamente dalla religione (islam) e dal nazionalismo, è al governo da 13 anni. Nelle elezioni parlamentari svoltesi nel giugno appena trascorso ha raccolto il 41% dei voti, ha perso la maggioranza assoluta, deve perciò ricorrere ad una coalizione con altri partiti.
Oltre 20 caccia F-16 si alzano dalle basi NATO in Turchia per colpire la resistenza kurda
Il centro stampa delle forze guerrigliere HPG kurde sui bombardamenti: “Come Centro di Comando di Difesa del Popolo, vi annunciamo che il cessate il fuoco è stato rotto unilateralmente dallo Stato turco e dal suo esercito. Il 24 luglio, alle ore 23:00 circa, numerosi aerei da guerra appartenenti all’esercito turco hanno cominciato a bombardare pesantemente le zone di Medya e in particolare la regione Behdinan.
I bombardamenti hanno colpito ininterrotamente le aree di Kandil e Xakurkê. Con questi attacchi aerei, si interrompe il cessate il fuoco.”
Subito all’inizio dei bombardamenti, i siti web di alcuni organi di informazione sono stati bloccati in Turchia. Il Primo ministro turco, Ahmet Davutoğlu, aveva informato il presidente delle Regione federativa curda prima dell’inizio degli attacchi aerei della scorsa notte dell’esercito turco contro le zone controllate dalla guerriglia della Medya nel Kurdistan del sud. Davutoğlu ha anche promesso che “saranno adottate tutte le precauzioni se il PKK non pone fine alle sue azioni”.
25 luglio 2015, da jungewelt.de
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Terzo giorno di operazioni dello Stato Turco
La scorsa notte la polizia ha attaccato i quartieri della città curda di Cizre, in Turchia, uccidendo un giovane di 21 anni nella sua abitazione. I giovani nella città di Cizre-situata nella provincia di Sirnak, sono scesi in strada per protestare contro il bombardamento dell’esercito turco delle aree della guerriglia in Iraq.
La polizia ha tentato di entrare nei quartieri ma i giovani hanno scavato fossati ed eretto barricate per fermarli. Gli scontri sono durati fino al mattino con la polizia che ha utilizzato munizioni vere, oltre a lacrimogeni e idranti.
Il 21 enne Abdullah Özdal era seduto sul balcone di casa sua nel quartiere di Yafes, quando un proiettile lo ha colpito al torace. Abdullah è stato trasportato all’ospedale di Cizre e successivamente all’ospedale di Diyarbakir dove ha perso la vita.
La folla si è diretta all’ospedale dove hanno trovato uno sbarramento di veicoli blindati allineati che hanno aperto il fuoco con gas lacrimogeni. L’Unità di emergenza dell’ospedale è stata inondata dai gas lacrimogeni che hanno colpito molti pazienti.
Nella prima notte di bombardamenti contro le basi del PKK in Nord Iraq, sono stati colpiti oltre 400 obiettivi. Durante la giornata e la nottata del 24 luglio sono proseguiti gli scontri ad Istanbul, in particolare nel quartiere di Gezi dove le strade sono invase di giovani e barricate. Nella notte violenti scontri a Nussaibin e Mardin, distrutti anche bancomat.
Ad Ankara sedata con la violenza una manifestazione contro i bombardamenti sulla guerriglia kurda, numerosi i fermati. Ad Amed ieri sera alle 11 è stato attaccato un convoglio militare turco sulla strada che porta a Lice. Nell’attacco sono stati uccisi due soldati e feriti quattro.
A Izmir due donne ferite e nove persone arrestate.
Erdogan ha dichiarato nuovamente guerra a tutti i Curdi con il beneplacito schifoso degli Stati Uniti e dell’Europa.
Şervan Varto, comandante del PKK e membro del consiglio di commando è stato ucciso dai bombardamenti dell’aviazione turca in corso da ieri notte e che stanno continuando tutt’ora. La Turchia sta assassinando gli eroi che hanno salvato decine di migliaia di vite combattendo contro i miliziani dell’ISIS. Dai bombardamenti tre guerriglieri e cinque civili tra cui un bambino sono rimasti feriti.
27 luglio 2015, da infoaut.org
Lager mediterranei
Profughi dimenticati in Tunisia
Segue un’intervista a persone africane profughe, abbandonate in un campo in Tunisia.
Siete sbarcati all’inizio del 2011 nel campo di Choucha, che si trova in Tunisia sulla costa nord-occidentale del Mediterraneo. Perché siete finiti lì?
Siamo sbarcati qui perché messi in fuga dalla guerra in Libia. In Libia ci siamo arrivati perché nei nostri paesi (io provengo dalla Nigeria) eravamo perseguitati politici. Non ho scelto di emigrare in Libia. Le circostanze in cui vivevo in Nigeria non mi lasciavano altra scelta. All’inizio del 2011 sono approdato a Choucha, dove era stato aperto un campo per i profughi in fuga dalla guerra in Libia. Da allora vivo qui.
Ufficialmente il campo è stato chiuso due anni fa. Che cosa è accaduto?
L’UNCHR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha aperto il campo in collaborazione con il governo tunisino. All’inizio abbiamo dovuto lottare per essere registrati. I funzionari ONU volevano far entrare nel campo soltanto persone in fuga dall’Eritrea e dalla Somalia. Circa 3mila persone sono state trasferite nei paesi europei e nord-americani. Tutte le altre persone profughe dovevano o fare ritorno nel paese d’origine o accettare di vivere in Tunisia praticamente senza diritti. Il 30 giugno 2013 l’Onu ha ufficialmente chiuso e abbandonato il campo. Più di 100 persone sono rimaste.
Chi ancor oggi vive a Choucha, e come tira avanti?
Qui siamo in circa 70 persone provenienti da Sudan, Nigeria, Egitto, Ghana, Ciad e Costa d’Avorio. Fra noi ci sono sia persone con lo status di profughi riconosciuto dall’UNCHR sia altre, come me, alle quali quello status è stato “rifiutato”. Non tutte riescono a sopportare la sofferenza quotidiana e questa costante tortura in cui siamo abbandonati. Soltanto chi viene qui riesce a capire che cosa significa vivere senza acqua, cibo, cure mediche sulla costa desertica. Tutte le persone che non riescono a sostenere simili condizioni vengono trasferite nelle città di Medenine e Ben Guardane. Ma nessuna di loro si trova ancora là; la gran parte si è imbarcata verso Lampedusa. Noi che siamo rimasti chiediamo ogni giorno l’elemosina sulle strade vicine al confine con la Libia. Sono loro, i viaggiatori libici, che ci forniscono acqua e cibo.
A suo tempo siete andati a Tunisi per richiamare l’attenzione sulla vostra situazione. Come ha reagito l’opinione pubblica tunisina?
Non è servito a nulla. Da anni chiediamo al governo del paese in cui siamo ospiti e all’UNCHR, responsabile del campo, di trasferirci in uno stato terzo sicuro con un sistema d’asilo efficiente. Una richiesta che deve valere anche per quelli fra noi considerati “rifiutati”. Persino l’Istituto di Studi sull’Emigrazione dell’università di Oxford ha dimostrato che l’UNCHR ha commesso un errore. Alcuni di noi sono stati “rifiutati”, senza aver mai avuto il diritto ad un procedimento che riesaminasse le ragioni dell’emigrazione. Le nostre carte devono essere riesaminate!
Agli occhi di tante persone la soluzione c’è: potreste rimanere in Tunisia. Perché venite invece respinti?
Ci sono giornalisti che affermano che non vogliamo rimanere qui perché non ci sono posti di lavoro. Non si rimane oltre quattro anni sulla costa soltanto perché si vuole un posto di lavoro. Noi non possiamo restare in Tunisia, non soltanto perché parecchi di noi sono stati colpiti e arrestati dalla polizia. Non possiamo restare soprattutto perché siamo richiedenti asilo. Siamo profughi a causa di una guerra della NATO; abbiamo perciò il diritto a ricevere sicurezza. In Tunisia però non esiste una legislazione sul diritto d’asilo e nessun tipo di sistema e nessuna assistenza medica. Questo vale anche se, sulla base dell’art. 26 della costituzione tunisina prima o poi venisse istituito un sistema d’asilo: noi non vogliamo continuare ad essere trattati come cavie.
Campo profughi al confine Siria-Turchia
La Turchia ha pubblicamente dichiarato la volontà di piantare un altro campo profughi lungo il confine con la Siria. La località prescelta si trova nei pressi di Kilis, cittadina ad appena 10 km dal confine con la Siria, dove si trova il villaggio di Asas, che dista appena 50 km dall’importante metropoli di Aleppo.
Secondo indicazioni del governo turco nel nuovo lager dovrebbero trovare posto, nello stesso tempo, fino a 55mila persone. In Turchia in questo momento sono già attivi, nei pressi del confine con la Siria, 25 campi profughi, dove sono (state) registrate oltre 278mila persone.
Nel caso la guerra in Siria volgesse a favore dell’Isis è previsto che nel giro di 24 ore almeno 100mila persone si metterebbero in fuga, entrerebbero in Turchia; anche da qui la necessità di altri lager.
La Turchia nel sostegno dei gruppi armati segue una traiettoria quantomeno contrastante, ambigua. Le notizie sul libero attraversamento del confine concesso a gruppi armati dell’Is sono documentate, così com’è risaputo dell’utilizzo degli ospedali delle cittadine sul confine in cui ricoverare miliziani islamisti. Huseyin Mustafa Peri, miliziano dell’Is di origine turca, all’inizio di giugno arrestato dai gruppi di difesa kurdi (YPG), in una sua dichiarazione ha detto di aver preso contatto con rappresentanti dei Fratelli Musulmani (in Turchia) per raggiungere l’arruolamento nell’IS.
Profughi in Grecia
Segue una conversazione con Nasim Loani, impegnato nella Rete di Sostegno alle persone profughe e immigrate.
Ogni giorno sbarcano sulle isole della Grecia centinaia di persone profughe, tante di più che nei mesi scorsi. Come mai?
Ci sono due ragioni. La prima è che il flusso di profughi ogni anno si ingrossa immediatamente dopo l’inverno, con il migliorare del tempo. L’altra, e questo è un fatto nuovo, è che i documenti illegali di rimpatrio fino a poco tempo fa venivano consegnati direttamente in mare, prima dello sbarco. Il governo Syriza ha ordinato alla guardia costiera di rinunciare a simili pratiche illegali.
Nei media si dice e si scrive che prima responsabile dell’aumento della corrente immigratoria sarebbe la situazione esistente in Medio Oriente.
Effettivamente adesso arrivano tante persone dalla Siria, ma in totale la differenza con gli anni precedenti non è così marcata. Secondo me entrambe le ragioni accennate sono determinanti.
Solo sull’isola di Lesbo ogni giorno sbarcano più di cento persone. Che cosa comporta una simile affluenza?
I centri di raccolta sono gremiti. A Moria mille profughi si accalcano in un centro preparato per appena duecentocinquanta persone. C’è di buono che tante e tanti abitanti dell’isola, incredibile, solidarizzano con le persone immigrate. Le autorità, al contrario, provocano difficoltà innanzitutto perché ritardano la consegna dell’usuale permesso di soggiorno mensile e anche criminalizzano la solidarietà con le persone profughe. La polizia, ad esempio, ha minacciato di togliere la patente agli autisti dei bus pubblici che trasportano persone profughe; e ancora, le persone private che viaggiano in auto con persone profughe rischiano una denuncia per traffico, contrabbando di persone.
La viceministra alla politica della migrazione, Tasia Christodoulopoulou, sta preparando una legge secondo cui simili comportamenti solidali non possono essere criminalizzati.
Nei giorni scorsi le persone immigrate hanno dato vita a proteste, a detta della stampa internazionale, causate “dalla fame”. E’ vera la notizia?
Le proteste si sono indirizzate in generale contro il sovraffollamento nei centri di raccolta. I centri sanitari non sono sufficienti, non esiste la cura sanitaria, il cibo distribuito è scarso. Se, in piena estate, venti persone sono costrette ad abitare in una stanza adeguata ad ospitarne la metà, basta questo a scatenare l’inferno. Tuttavia su questo gioca un ruolo importante il rallentamento nella consegna delle carte. Le persone profughe si rivoltano prima di tutto nei casi in cui è scaduta la durata massima legale del loro internamento e non hanno ancora ricevuto alcun documento necessario a lasciare il centro e l’isola. Questa realtà ha causato nell’isola di Lesbo già due rivolte aggredite brutalmente dalla polizia.
Che cosa fa il governo?
Alcuni suoi membri cercano di cambiare qualcosa. La durata dell’internamento è stata ridotta, effettivamente, in parte, i centri sono stati svuotati. E’ stata anche approvata una legge favorevole alla consegna della cittadinanza greca a bambine/i nate/i in Grecia figli/e di persone immigrate. Altri invece come il ministro Panouis, competente per l’Immigrazione, la Sicurezza dei cittadini e per l’Ordine pubblico, sono ardenti sostenitori della repressione – non solo – ma anche contro le persone immigrate. Con quel ministro le “retate” contro le persone immigrate senza permesso di soggiorno proseguono, lo stesso vale per la violenza dispiegata nei posti di polizia e nei centri di raccolta.
Anche l’Europa è chiamata in causa. Dovrebbe preoccuparsi affinché le persone ricevano più rapidamente e meglio i documenti necessari al proseguimento del loro viaggio e al soggiorno in altri paesi europei. Invece lo impedisce con il finanziamento alla costruzione di altri centri di internamento, di altri lager. Su questo è carente anche la presa di decisione del governo, per esempio potrebbe dire: “Nel nostro paese non vogliamo nessun campo di concentramento.”
luglio 2015, estratti da jungewelt.de
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roma: COMUNICATO SUI FATTI DI CASALE SAN NICOLA E VIA VISSO
Ci risiamo. La storia, purtroppo, si ripete, e ci troviamo oggi ad affrontare l’ennesimo sopruso sulla pelle dei migranti a meno di due mesi di distanza dallo sgombero di Ponte Mammolo, l’ultimo grave episodio nel quadrante tiburtino in materia di “accoglienza”.
La “rivolta” di Casale San Nicola ha, infatti, una genesi molto più ampia e articolata di quanto non sia apparso nel solito circo mediatico che, dolosamente, continua a mettere al centro della narrazione solo la parte utile a fomentare la xenofobia e l'odio razziale. Protagonisti della vicenda le amministrazioni e i soliti “comitati” di quartiere, strumentalizzati da razzisti e fascistoidi vari per soffiare sul fuoco dell’emergenza e dirottare sull'immigrato cariche di rabbia altrimenti pericolose per il potere costituito.
Ma andiamo con ordine. A settembre 2014 sbarcano in Sicilia, tra le migliaia di altri, 60 ragazzi provenienti da Gambia, Senegal, Mali. Dopo pochi giorni di permanenza nei centri locali vengono trasferiti a Roma, insieme a un gruppo di pakistani e bengalesi, in una struttura a via Visso, sulla Tiburtina, dove sarebbero dovuti rimanere temporaneamente fino al colloquio con la Commissione giudicante lo status di rifugiato.
La data di tale colloquio, tuttavia, rimane vaga per lunghi mesi, durante i quali i ragazzi iniziano a vivere attivamente il territorio in cui sono inseriti: chi lavorando, chi iscrivendosi a scuola, chi frequentando gli spazi sociali del quartiere attraverso corsi di italiano e altre attività. Lentamente iniziano a fare comunità, a integrarsi tra loro e con l’esterno, a uscire sempre più dal ghetto che viene costruito intorno alla figura del migrante.
Nel frattempo, a maggio inizia a circolare la voce che verrà aperto un nuovo centro di accoglienza sulla Cassia, all’incrocio tra La Storta e la Braccianese. Sull’onda di quanto già successo a Tor Sapienza subito si attivano gli abitanti del quartiere che, fomentati da Casapound e le solite destre romane, occupano simbolicamente l’ex scuola che dovrebbe ospitare il centro e istituiscono un presidio permanente di protesta.
Pochi giorni fa, le due vicene si sono intrecciate in un disegno che ha ben poco di casuale. Ai ragazzi di via Visso viene comunicato, con sole 48 ore di anticipo, lo spostamento nell’edificio in questione, a decine di chilometri da dove hanno iniziato, tra mille difficoltà, a crearsi un’esistenza minimamente dignitosa. La motivazione ufficiale, peraltro tenuta nascosta fino all’ultimo, è il cambio di cooperative nell’appalto per l’accoglienza dei ragazzi, nell’ambito della riorganizzazione seguita a Mafia Capitale e al rapporto del prefetto Gabrielli. Da subito i ragazzi, che dunque dovrebbero essere spostati come pacchi postali senza minimamente essere interpellati, esprimono la ferma volontà di non volersi muovere verso la nuova collocazione, non volendo rinunciare ai percorsi già avviati e rifiutando di essere pedine di un meccanismo che trae profitto dalla loro deportazione. Tuttavia, la condizione di ricatto in cui versano a causa della richiesta d'asilo, un vero e proprio “limbo” giuridico, non consente loro di agire liberamente, poiché qualsiasi comportamento anche solo ai limiti della legalità potrebbe compromettere la richiesta stessa.
Accade così che la mattina di venerdì, sotto la minaccia di pregiudicare il parere della commissione d'asilo e di non ricevere più il “pocket money” e i pasti, il primo gruppo di ragazzi accetta a malincuore di andare a Casale San Nicola. Al loro arrivo trovano ad attenderli un centinaio tra residenti e fascisti inferociti, che tentano di opporsi fisicamente al passaggio del pullman dando vita ad un comico teatrino con le forze dell’ordine. Da qui inizia la narrazione tossica dei mass-media che, in un gioco delle parti già visto, trasformano la protesta, per quanto veemente, di qualche decina di persone in un evento di respiro nazionale con scontri e feriti.
E' ormai evidente che non si tratta di casi isolati o di episodi di cronaca ordinaria, ma di strumenti che mirano a contrapporre soggetti vittime dello stesso sistema di sfruttamento quotidiano come i migranti e gli abitanti delle periferie. Nel solo quadrante tiburtino esistono decine di Centri SPRAR, CPT, CARA dove centinaia di persone vivono assiepate per mesi o anni senza un briciolo di prospettiva, incastrati nei meccanismi dello status di rifugiato, della richiesta d'asilo, di procedure europee che hanno il sapore di un lavaggio d'immagine rispetto agli interventi imperialisti che manu militari l'Occidente continua a perpetrare nei Paesi di provenienza dei profughi.
L'unica risposta delle amministrazioni a un flusso migratorio sempre più imponente sembra essere quella che stiamo vedendo a Ponte Mammolo prima e a via Visso poi, con l'intento di trattare i migranti unicamente come problema di ordine pubblico finalizzato al mantenimento dell’emergenza e, dunque, alla speculazione su di essa da parte del sodalizio governanti-cooperative.
Per denunciare tutto questo abbiamo dunque deciso di dare vita a un presidio permanente diurno nei pressi del Centro, a cui invitiamo tutti e tutte a passare, affinchè i ragazzi abbiano la possibilità di comunicare le loro ragioni e smascherare l'enorme quantità di bugie dette a loro insaputa.
NON CI CASCHIAMO PIU’: IL VERO DEGRADO SONO POLITICI E AFFARISTI CHE SPECULANO SULLA PELLE DEI MIGRANTI E DEI QUARTIERI!
Presidio Solidale Via Visso
19 luglio 2015, da militant-blog.org
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APPELLO PER IL 24,25 E 26 LUGLIO AL PRESIDIO DI VENTIMIGLIA
Dall'11 Giugno la frontiera italo-francese di Ventimiglia si è costituita come presidio permanente in sostegno dei migranti bloccati al confine dalle politiche discriminatorie europee. La violenza e il razzismo resi evidenti dagli ultimi avvenimenti a Treviso e Roma, dal blocco delle frontiere di Ventimiglia, come del Brennero e di Calais, rendono necessario agire sui paradossi e sulle contraddizioni che ostacolano il diritto alla mobilità e all'autodeterminazione.
Nell'ipocrisia della retorica europea, fondata sulla volontà di abbattere i confini per la libera circolazione di capitali e merci, assistiamo alla moltiplicazione e alla militarizzazione di tali confini che operano su base esclusivamente razziale.
Dall'interno del presidio di Ventimiglia quindi, è nata l'esigenza di creare una rete transnazionale che si confronti e ragioni sui tali problematiche.
In quest'ottica si è deciso di indire 3 giorni di dibattiti, workshop e azioni condivise, che a supporto della lotta dei migranti vadano a definire una strategia comune efficace nel lungo periodo per contrastare le politiche discriminatorie e razziste messe in atto dalla “Fortezza Europa”.
Le 3 giornate avranno l'obiettivo di condividere pratiche ed esperienze, che attivino connessioni eterogenee trasversali, ma allo stesso tempo declinabili nei vari territori. Tali connessioni quindi dovranno rappresentare il punto di partenza per mettere in campo azioni concrete e mobilitazioni che, partendo da Ventimiglia, potranno raggiungere territori e realtà diverse.
Invitiamo quindi le diverse realtà europee a portare un proprio contributo alla costruzione di queste giornate e a raggiungere il presidio nei giorni 24 25 e 26 luglio.
Il presidio non ha un mero significato simbolico, ma rappresenta l'incarnazione tangibile delle mobilitazioni contro le politiche contraddittorie europee, con la volontà di mettere in evidenza l'esistenza e l'efficacia di pratiche autogestite e alternative al business dell'accoglienza.
Il vuoto istituzionale nella gestione dei flussi migratori apre uno spazio d'azione all'interno del quale immaginarsi modalità di lotta molteplici e diversificabili, e al contempo evidenzia la necessità e l'urgenza di agire prima che la macchina istituzionale corrotta e mercificatoria riparta.
“WE ARE NOT GOING BACK”
Commissione Ue adotta nuova “agenda” per i migranti
Distribuire i rifugiati fra gli stati membri, in situazioni di emergenza, secondo una chiave di ripartizione che terrà conto di quattro parametri: popolazione complessiva, PIL, tasso di disoccupazione e rifugiati già accolti sul territorio nazionale.
Subito sarà lanciata un'operazione navale nel quadro della politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc) nel Mediterraneo volta a smantellare le organizzazioni dei trafficanti, soprattutto in Libia. La proposta è stata sottoposta a maggio ai ministri degli Esteri e della Difesa dell'Ue, e più tardi, in giugno, al Parlamento europeo, ai ministri dell'Interno e infine al Consiglio europeo dei capi di stato e di governo, che dovrebbe varare l'operazione.
Nel frattempo, ha detto Federica Mogherini (commissario UE agli Affari Esteri), "mi aspetto che il Consiglio di sicurezza ONU adotti una risoluzione" che dia all'Ue la copertura del mandato internazionale per intervenire. L'Europa "ha compiuto passi da gigante" e, tra i provvedimenti adottati, c'è quello "di rafforzare la missione civile in Nigeria, dobbiamo affrontare la questione immigrazione anche prima che le persone arrivino in Libia.
Intanto il governo e l'esercito libici a Tobruk (quello riconosciuto dagli stati occidentali) ribadiscono il monito a non toccare la sovranità dello Stato e avvertono tutte le imbarcazioni a non entrare nelle acque territoriali libiche se non dopo un coordinamento con gli organi competenti. In caso di violazione il governo provvisorio "reagirà con bombardamenti come quelli contro il cargo turco".
Sono state rafforzate le missioni Triton e Poseidon, le operazioni congiunte di sorveglianza delle frontiere dell'agenzia Frontex, per le quali verranno triplicate le capacità e i mezzi nel 2015 e nel 2016; un totale di 89 milioni di euro (57 milioni per il fondo asilo, migrazione e integrazione e 5 milioni per il fondo sicurezza interna) è stato stanziato per finanziamenti di emergenza destinati agli stati membri in prima linea.
Il “reinsediamento” riguarda i rifugiati che già vivono nei campi profughi dei paesi terzi (in particolare Giordania e Turchia, non è da confondere con la prima misura sulle quote obbligatorie) che hanno un diritto già accertato alla protezione internazionale, e che l'alto Commissariato Onu per i rifugiati chiede da tempo di reinsediare, almeno in parte, nei paesi Ue. Entro la fine maggio la Commissione propone un programma di reinsediamento in tutti i Paesi Ue di 20.000 rifugiati con evidente bisogno di protezione internazionale, stanziando a questo fine un finanziamento supplementare di 50 milioni di euro per il 2015 e il 2016.
Il piano prevede la redistribuzione di migranti tra gli Stati membri in base a quote prestabilite: in Italia arriveranno il 9,94% di 20 mila profughi (meno di 2.000) che attualmente risiedono in campi profughi all'estero e che hanno i requisiti per ottenere lo status di rifugiati (reinsediamenti), e l'11,84% dei richiedenti asilo già presenti in Europa o che entreranno direttamente in territorio europeo (ricollocamenti). L'Italia ha la terza quota più alta per i ricollocamenti, cioè per la redistribuzione dei migranti già presenti in Ue.
La prima è la Germania (18,42%) seguita dalla Francia (14,17%). Per i reinsediamenti dei profughi presenti nei campi di Paesi terzi, l'Italia è invece al quarto posto dopo Germania 15,43%, 3.086; Francia 11,87%, 2.375; e Gran Bretagna 11,54%, 2.309.
Rispetto al nodo delle quote il ministro britannico dell'interno, Theresa May, in un editoriale pubblicato sul Time ha detto che "l'UE dovrebbe lavorare per stabilire dei siti di accoglienza sicuri in Africa del Nord, con un programma attivo di ritorno dei migranti”. "Non sono d'accordo con il parere", del capo della diplomazia europea Federica Mogherini, secondo il quale "non un singolo rifugiato o migrante intercettato in mare sarà respinto contro la sua volontà". "Un simile approccio non può che favorire la traversata del Mediterraneo e incoraggiare ancora più persone a mettere la loro vita in pericolo”.
Le posizioni dei governi della Repubblica ceca e della Slovacchia è stata ribadita durante un vertice a cui hanno partecipato i premier Bohuslav Sobotka e Robert Fico.
"Per principio respingo qualsiasi politica delle quote", ha detto lo slovacco Fico, secondo il quale ogni atteggiamento dell'Ue deve basarsi sul principio della volontarietà, rispettando le decisioni dei singoli Paesi”.
Per Sobotka le attuali iniziative che mirano alle quote obbligatorie costituiscono "una accelerazione forzata di tutto il processo, che potrebbe piuttosto danneggiare il dibattito sulla migrazione".
L'anno scorso la Repubblica ceca ha concesso asilo a 765 persone, per la maggior parte di Ucraina, Siria e Cuba. In Slovacchia l'asilo è stato ottenuto da 175 persone.
I Paesi europei del Mediterraneo avranno a disposizione 60 milioni di euro di aiuti di emergenza per gestire i flussi migratori, ha annunciato il commissario Ue agli Affari interni, Dimitris Avramopolous.
L'agenda, ha spiegato, "è la risposta concreta alla necessità immediata di salvare vite umane” e assistere i Paesi in prima linea con azioni coraggiose, come la maggior presenza in mare di navi coordinate da Frontex, i 60 milioni di euro stanziati per gli aiuti di emergenza e un piano d'azione che dispone provvedimenti seri contro coloro che si arricchiscono sfruttando la vulnerabilità dei migranti.
Sempre più persone si mettono in fuga attraverso il Mediterraneo. Secondo dati dell’OIM (Organizzazione Internazionale della Migrazione con sede a Ginevra) dall’inizio dell’anno oltre 150mila persone profughe hanno cercato di attraversare il mediterraneo per raggiungere l’Europa; di queste 1.900 sono morte annegate.
Solo lungo le coste della Grecia sono sbarcate, nei primi sei mesi del 2015, 77mila persone, insomma, oltre mille persone al giorno – 34mila nell’intero 2014 – provenienti in gran parte dalla Siria a causa della guerra civile.
In Italia nello stesso periodo, all’incirca, sono sbarcate 75mila persone.
giugno 2015, estratti da diverse fonti
aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i c.i.e.
Cie di Bari
“Il sottoscritto inizia uno sciopero della fame e delle mie medicine dopo essere stato aggredito da un poliziotto in servizio nel centro ieri sera circa le 11 di sera. Dalla stessa guardia ricevevo schiaffi e un pugno all’altezza del petto dove ho lo sterno già in deficit, pugno che mi causò dolori per tutta la notte ed anche ora, intervenuto il 118 per due volte per l’assistenza medica. Continuo lo sciopero finchè l’autorità che mi trattiene nel CIE di Bari non mi dia delle spiegazioni. Tutto successe davanti le telecamere a circuito chiuso (CCTV) ed era presente l’infermiera Anna e l’operatore Nunzio”.
Con questa lettera Adiruo Bartholomew Onyinye nigeriano, 38 anni, in Italia da 24, cardiopatico e con uno stent (per questa ragione ovviamente assume farmaci salvavita), recluso nel CIE di Bari il 28 Giugno ha annunciato la sua intenzione di intraprendere lo sciopero della fame e dei farmaci. Lo ha poi terminato il 6 luglio a seguito della promessa di una visita medica visto le sue precarie condizioni di salute.Dalla stampa veniamo a sapere che a questa visita medica non è seguito alcun ricovero e Adiruo si sente in pericolo per la propria salute.Solo grazie all’annuncio dello sciopero, le acque si sono mosse intorno al lager di Bari che, grazie ai riflettori accesi dopo il pestaggio, non ha potuto negargli la consulenza medica.
“Vi prego, non fatemi morire”: è l’appello che affida all’ANSA Adiruo “ho bisogno di un intervento di rivascolarizzazione” perchè, spiega, “lo stent si è chiuso e ho bisogno di un by-pass”. Purtroppo dopo una visita superficiale al reparto di Cardiologia del Policlinico di Bari, Adiruo racconta di essere stato “visitato in maniera superficiale da un medico” che gli avrebbe “solo misurato la pressione”, dicendogli che “non solo non ha bisogno dell’intervento ma non ha neppure bisogno della terapia”. Addiritura il medico del Cie dichiara di aver visto le cartelle cliniche di Adiruo e di non essere assolutamente d’accordo con le conclusioni del medico del Policlinico che gli sono state riferite. “Io – spiega – sono un semplice medico della medicheria del Cie, e quindi per me deve valere quello che dice lo specialista di cui comunque attendiamo la relazione”.“Mi stanno uccidendo – urla Adiruo – vi prego, aiutatemi”. Adiruo ha un accento romano e racconta di essere stato sposato con una donna italiana con cui ha avuto un figlio. Nel 2013 lui e sua moglie hanno divorziato e, “avendo perso la residenza e la stabilità economica – ricorda – quando sono scaduti i miei documenti non me li hanno rinnovati perchè, mi hanno detto, tu non vivi più con tuo figlio”. La sua lotta ha pagato e il 7 Luglio con grande felicità apprendiamo la notizia della sua liberazione. I solidali il 18 Luglio hanno fatto sentire la loro vicinanza sia ad Adiruo che a tutti i reclusi del lager di Bari attraverso un presidio molto rumoroso e determinato fuori dal Cie di Bari.
Cie di Roma
4 luglio, un gruppo di circa 70 solidali è andato fuori le mura del CIE di Ponte Galeria per sostenere le persone recluse attraverso un presidio durato circa due ore e mezza.
A via Portuense i/le solidali hanno potuto comunicare con le persone recluse nella sezione maschile: tante sono state le voci che si sono alternate per salutare i reclusi, raccontare cosa succede in altri CIE e alle frontiere europee, e per esprimere con grida e cori la loro solidarietà. Nonostante la presenza massiccia di forze dell’ordine, appostate anche sul tetto con gli aguzzini di Gepsa, la risposta da dentro è stata subito forte e coraggiosa: grida, battiture e tanta rabbia. Il presidio si è poi spostato davanti la sezione femminile dove, anche lì, al casino che i solidali hanno fatto all’esterno, da subito la risposta è stata rumorosa e le grida di libertà si sono unite nonostante le mura e le gabbie.
Nella notte, tra le 2 e le 3 e mezza, si è svolta una forte protesta in una parte della sezione maschile del CIE di Ponte Galeria. La causa scatenante è stata l’ennesimo rifiuto di curare un ragazzo che è stato male durante la notte. Il detenuto era in sciopero della fame da due giorni, in protesta contro l’infinita attesa di una risposta per la sua richiesta di asilo politico. In seguito al malore, stando ai racconti dei compagni di sventura, il ragazzo sarebbe svenuto trovandosi in condizioni pericolose anche perché diabetico, i compagni di cella hanno iniziato a gridare alle guardie di acconsentire a farlo uscire per ricevere cure in infermeria. Addiritura dopo mezz’ora il detenuto è stato portato in infermeria, mentre la rabbia montava. Durante questi momenti, un'altro ragazzo che chiedeva informazioni sul compagno in infermeria è stato colpito a freddo da un poliziotto. Dopo questa ennesima provocazione è iniziata una protesta. Protesta che nel giro di poco tempo è diventata forte e molto determinata. Sono stati accesi dei materassi e divelti dei pezzi di muro per difendersi dall’attacco delle guardie che nel frattempo si erano schierate in tenuta antisommossa. A quanto pare la polizia presente al momento non è entrata nelle celle né a contatto diretto con i rivoltosi, “limitandosi” ad usare l’idrante per spegnere il fuoco, e per tenere a distanza i ragazzi, che nel frattempo rispondevano con un lancio dei pezzi di muro procurati in precedenza. Durante le fasi più concitate della protesta, un ragazzo è caduto vicino ad un materasso bruciato, provocandosi un’ustione sul corpo. Preoccupati per le condizioni del ragazzo ustionato la protesta si è momentaneamente calmata. In molti hanno chiamato il 118 per far curare il ragazzo ustionato. Le guardie, come al solito, non hanno fatto niente, fregandosene di ciò che accadeva e provocando coloro che gridavano per un aiuto. La cosa non ci stupisce, ma è sempre bene rimarcare e far sapere quanto l’atteggiamento delle forze dell’ordine presenti a Ponte Galeria esasperi una situazione già di per sé intollerabile.
Solo dopo 40 lunghi minuti è arrivata la prima ambulanza, che ha provveduto alle cure minime per un’ustione di primo grado. In seguito alla protesta due celle sono state chiuse perché inutilizzabili, e i reclusi sono stati stipati in altre celle. Il ragazzo che è rimasto ustionato è stato fatto rimanere, in condizioni pessime, all’interno del CIE. Solo la mattinata seguente è stato portato in ospedale.
Nel frattempo, sempre in tarda mattinata, c’è stata un’altra forte protesta. Un ragazzo che sarebbe dovuto uscire in giornata, dopo un mese di detenzione, ha ricevuto una proroga del trattenimento. Il recluso è salito sul tetto, prima si è tagliato il corpo e con una corda ha minaccito di suicidarsi. Una reazione estrema all’insostenibilità della vita dentro il CIE e al trattamento infame che le persone recluse ricevono ogni giorno. Solo alle 18 e mezza è sceso dal tetto dopo l'arrivo del suo avvocato e la situazione all'interno si è calmata.
Nella giornata del 21 luglio l'emittente “Radio Onda Rossa” ha trasmesso una lunga corrispondenza con un recluso del CIE di Ponte Galeria che, spiegando la situazione all’interno del centro, ha parlato delle richieste che portavano un gruppo di 32 persone recluse ad iniziare lo sciopero della fame, raccontando anche dell’ultima rivolta. In serata, per rappresaglia e per minacciare tutti, il recluso in lotta è stato trasferito nel CIE di Bari Palese. Non è la prima volta che si registrano trasferimenti puntivi dal CIE di Ponte Galeria a quello di Bari. Lo sciopero della fame nel CIE di Ponte Galeria si è concluso subito dopo questo trasferimento forzato, tra le minacce di espulsione che le forze dell’ordine hanno fatto ai reclusi che portavano avanti la protesta.
Cie di Torino
10 luglio, un fortunato sciopero ha permesso ad un ragazzo egiziano di conquistarsi il certificato di incompatibilità con la detenzione nella struttura cittadina. Da quasi una settimana non beveva e non mangiava dopo aver saputo che la sua richiesta di asilo era stata rigettata. Più volte è stato portato in ospedale per monitorare il suo stato di salute e, ogni volta, rifiutava di assumere liquidi o sostanze. Per questo, qualche giorno fa, il medico dell’ospedale ha dato parere negativo sulla sua permanenza presso il Cie di corso Brunelleschi seguito a ruota dal medico del Centro, solitamente piuttosto restio a elargire la grazia attraverso l’ambita formula del non idoneo, decretando così l’uscita del ragazzo, seppur, secondo le scartoffie amministrative, con l’invito a riconsegnarsi una volta tornato in sesto. Saputa la notizia, un gruppo di solidali è tornato sotto le mura del Cie per salutare i reclusi. Dieci minuti di botti e urla per festeggiare la ritrovata libertà del ragazzo egiziano e dare forza a chi ne è ancora privato.
Il 19 luglio un ragazzo pakistano, Mamoud, è in sciopero della fame e della sete. Due mesi fa è stato fermato per strada mentre distribuiva volantini pubblicitari. La protezione umanitaria non gli viene autorizzata e per questo si sta facendo l’estate dentro le gabbie aspettando il rimpatrio o l’uscita per scadenza termini con un foglio di via in mano.
Due giorni dopo 6 reclusi dell'area bianca inziano lo sciopero della fame: ognuno ha la sua storia ma tutti chiedono, semplicemente, di essere liberati. Del resto, quelli che in quell’area mangiano, lamentano il cibo schifoso e i piatti a base di carne di maiale serviti ai musulmani. Nel momendo di andare in stampa tutti e sette continuano la loro lotta.
Alla data del 23 luglio, all'interno del Cie di Corso Brunelleschi ci sono circa 90 reclusi, divisi su quasi tutte le aree. Parlando con loro, anche se ci sono opinioni leggermente discordanti, sembra che le aree bianca, rossa, gialla e blu funzionino a pieno regime, mentre la verde e la viola siano parzialmente o del tutto non in funzione.
La provenienza dei reclusi è mista sia dal punto di vista geografico (in prevalenza africani e nord africani, mentre circa una volta al mese transita un gruppo di una decina di persone provenienti dall'Albania, dal carcere al rimpatrio) sia amministrativo (dal carcere e dalla strada, un po' da tutto il nord italia).
Dal punto di vista di chi lavora nel Cie, i reclusi hanno a che fare soprattutto con le guardie, che in questo momento, oltre a mostrare le solite strafottenza e arroganza in continuazione, si muovono sempre in grandi numeri se qualcuno deve essere accompagnato fuori sia per visite ospedaliere che per andare in prefettura nel caso di richiedenti asilo, mentre pare che i lavoranti per conto di Gepsa non siano molti e si vedano quasi esclusivamente la mattina. Da ultimo ci sono una decina tra dottori e infermieri divisi sui vari turni.
Il numero di guardie nel cie sembra comunque aumentato rispetto agli anni passati, cosi come quello delle telecamere, fiaccando un po' gli animi.
Dopo che un recluso nelle scorse settimane è riuscito ad uscire dal cie dopo una settimana di sciopero della fame in cui ha perso dieci kili, a molti è sembrata questa la strada da seguire, e al momento ci sono 6 reclusi in sciopero della fame nell'area bianca, per protestare contro le condizioni del centro e il fatto che alcuni malati vengano lasciati senza cure adeguate.
Bolzano-Verona
Sabato mattina, 4 luglio, una ventina di compagni bolzanini e trentini sono entrati nella stazione ferroviaria di Bolzano. Dopo aver aperto uno striscione nell’atrio, hanno distribuito volantini davanti alla biglietteria OBB (eurocity Verona-Monaco) e nel resto della stazione. La società OBB da mesi si sta rendendo complice dei controlli e dei respingimenti ai danni dei profughi che vogliono passare il Brennero per andare nell’Europa del Nord. Gli agenti della Digos, della Polfer e i carabinieri presenti in stazione erano vistosamente impreparati ed infastiditi. Il volantinaggio (italiano-tedesco-inglese) è durato quasi un’ora, per poi concludersi in una piazza della città. La stessa iniziativa si è svolta anche a Verona nel pomeriggio. Anche a Innsbruck e a Monaco ci sono nemici delle frontiere che si stanno muovendo.
Milano, luglio 2015
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NELLA TUA CITTA’ C’E’ UN LAGER. ORA BASTA.
SABATO 18 LUGLIO, ALLE ORE 17: PRESIDIO DAVANTI LE MURA DEL CIE DI BARI
IN SOLIDARIETA’ CON LE PERSONE RECLUSE
Del CIE di Bari Palese non sappiamo molto, i contatti con le persone recluse sono principalmente legati ad alcuni trasferimenti dal CIE di Ponte Galeria o all’internamento, dopo le cariche della polizia, di chi lottava a Brescia per il permesso di soggiorno.
Negli ultimi giorni, grazie allo sciopero della fame di un recluso in seguito ad un pestaggio, i riflettori sembrano essersi accesi e le relazioni tra le persone recluse stanno cambiando: i ricatti e le promesse di libertà ai singoli, su cui la direzione del Centro ha sempre fatto leva per separare e controllare i reclusi, sembrano non trovare spazio in un momento in cui c’è più comunicazione e attenzione tra i prigionieri.
Mentre la direzione del Centro, da parte del consorzio Connecting People, capitanata da Rohan Lalinda, ha sempre preso spazio sui media come esempio di “gestione umana” di un Lager per migranti, poco si è mosso fuori dalle mura in termini di solidarietà concreta alle persone internate.
Rohan Lalinda, celebre per essere stato un ex detenuto di un Cpt, diventato poi aguzzino e carceriere grazie ai buoni rapporti con il consorzio che lo internava, ha preso spesso parola sui media per ridicolizzare e disinnescare le proteste delle persone recluse.
Secondo alcuni racconti delle persone recluse sembrerebbe che, proprio in questi giorni, un medico del CIE sia stato sospeso in seguito ad alcune dichiarazioni sui giornali e che il famoso Lalinda abbia lasciato l’incarico.
Di CIE come quello di Bari Palese ne restano solo altri 4: Ponte Galeria a Roma, Corso Brunelleschi a Torino, Trapani e Caltanissetta. Gli altri Centri di Identificazione ed Espulsione sono stati distrutti dalle proteste delle persone recluse e stanno subendo dei lavori di ristrutturazione e fortificazione, alcuni dopo il fallimento delle cooperative che li avevano in appalto.
Sostere le persone recluse dentro i CIE spetta a ognun@ di noi. I CIE non si possono riformare. Lottiamo insieme fino alla chiusura.
Non facciamo parte di partiti politici, né di associazioni. Non siamo giornalisti anzi…
siamo alcuni nemici e alcune nemiche delle frontiere.
11 luglio 2015, da mortidicie.org
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condanne a torino
È andata come era prevedibile - e come infatti prevedevamo - l’udienza che, ieri mattina, ha segnato la fine del primo grado del processo contro la vecchia “Assemblea antirazzista”. È difficile di questi tempi, infatti, trovare a Torino giudici che abbian voglia di smentire le tesi dei Pubblici ministeri, e questi giudici non eran tra quelli in aula ieri. Sfrondata già al tempo da reati associativi, la costruzione dell’accusa è stata accolta senza batter ciglio dalla Corte, che si è limitata a limare le richieste esosissime di Padalino e compagnia.
Le richieste da cinque anni son diventate condanne da tre anni e mezzo, le richieste da tre anni, invece, un anno e nove - e così via a far proporzioni. Condanne inferiori alle richieste, ma comunque molto pesanti visto il tenore tutto sommato blandissimo degli episodi contestati. La tesi complessiva dell’accusa, fatta propria dalla Corte, è quella che ha tanto ben sintetizzato l’anonimo titolista di “Repubblica Torino” questa mattina: parlando del processo e dei fatti dai quali prende le mosse, riesce a parlare di «stagione violenta degli anarchici». Il che significa: un morto di indifferenza nel Cie; un altro ammazzato dal padrone che non lo voleva pagare; lacrimogeni sparati contro gente già tenuta in gabbia in condizioni disumane - tutte queste cose non sono violenze, son fenomeni o episodi dei quali si può al limite parlar male (giacché anche su Repubblica, negli anni successivi, si è parlato male dei Cie). È violenza invece ciò che vi si oppone fattivamente, ciò che queste violenze (che non sono altro, poi, che il manifestarsi puntuale di una violenza strutturale più vasta e profonda) cerca di impedirle: da qui gli anni di galera. Chissà che razza di titoli verrebbero fuori ai coraggiosi impiegati di “Repubblica” se dovessero parlare non degli anarchici torinesi - che alla fine han fatto ben poco e con scarsi risultati - ma, mettiamo il caso, di John Brown! Titoli sicuramente in linea con le condanne alla forca di allora. Ma lasciamo stare la razza vigliacca dei giornalisti: per il resto, l’aula era piena di pubblico, arrivato un po’ per dare un segnale d’attenzione rispetto al processo, un po’ per salutare Paolo. E Paolo era in splendida forma. E quelle lotte di allora, soprattutto, sono ancora vive.
25 luglio 2015, autistici.org/macerie
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Sulle sezioni speciali riservate ai “terroristi islamici” in Italia
In vista dei 3 giorni di campeggio militante del 11, 12 e 13 agosto sulla Sila, sul tema specifico della situazione dei prigionieri arabi accusati e arrestati e a volte condannati in Italia per “terrorismo islamico”, ci interessa mettere a fuoco il legame tra questi arresti che avvengono anche in vari altri paesi dell’UE-NATO, e le politiche di guerra che gli stati imperialisti conducono da molti anni in Asia Centrale, in Medio Oriente e Nord Africa per dividere i popoli, per indebolire la resistenza e saccheggiare - attraverso l’emigrazione forzata, gli esodi, la carcerazione finalizzata ai controlli (modello CIE) unita alle espulsioni - con maggiore facilità le materie prime assieme alle braccia della classe proletaria in Europa come nei paesi d’origine.
Per combattere le divisioni che quotidianamente vengono imposte alla classe nel rapporto di lavoro, nei quartieri e negli altri ambiti di vita sociale, è necessario rompere l’intimidazione e la paura che il carcere, il CIE, in generale esercitano sulle persone al fine di avere una massa di lavoratori rassegnati a sottomettersi, loro malgrado, e quartieri popolari ridotti nelle stesse condizioni.
In quali carceri si trovano queste sezioni speciali? A Benevento, Macomer (Nuoro) e Rossano Calabro (Cosenza) e pure, in misura più ridotta, ad Asti e Opera (Milano).
La condizione interna in queste sezioni, in particolare in quella di Rossano, le abbiamo conosciute attraverso la corrispondenza difficile ostacolata in tutti i modi dalle direzioni di quelle carceri; corrispondenza raccolta negli opuscoli di OLGa, in particolare in quello intitolato “Guantanamo italiane”.
Abbiamo appreso delle condizioni estremamente dure, simili a quelle imposte ai prigionieri in 41bis; e allo stesso abbiamo conosciuto le lotte sostenute dai prigionieri arabi, islamici che hanno permesso loro di conquistare piccoli ma significativi miglioramenti nella quotidianità.
Sostenere questa resistenza oggi può essere vincente non solo e non tanto per gli “ostaggi” arabo-islamici, ma, piuttosto per ostacolare gli obiettivi di frammentazione e pacificazione che queste campagne di arresti, processi e detenzioni comportano.
E’ importante prendere parte ai processi, conoscere tramite la corrispondenza i famigliari come gli avvocati delle persone prese di mira, per riuscire anche a organizzare nei quartieri particolarmente abitati da famiglie arabe come intorno alle carceri dove sono installate quelle sezioni, manifestazioni di solidarietà-continuità meno generiche possibile.
In queste giornate di “caccia all’islamico” in Europa, si può dire nel mondo intero, la nostra episodica, piccola esperienza ci porta a trarre queste conclusioni e proposte.
Milano, luglio 2015, OLGa
Lettera dal carcere di Rebibbia N.C. (RM)
La legge dello Stato è uguale per tutti (?)
Lo Stato vince tutte le volte che permette ad un condannato di poter scontare la propria pena in modo alternativo al carcere.
Fabrizio Corona è uscito dal carcere. Il Magistrato di Sorveglianza lo ha assegnato in affidamento ai servizi sociali alla Comunità EXODUS di Don Mazzi, a dispetto dell’Ordinamento Penitenziario, per non dire in violazione dello stesso. Corona deve scontare ancora 10 anni di pena.
I detenuti sono contenti che uno di loro sconti la pena in modo alternativo al carcere. Sono contenti che lo Stato abbia vinto scegliendo di farlo.
Abbiamo visto nostri compagni detenuti che stavano nella cella accanto le nostre, di fronte, sopra e persino dentro le nostre stesse celle, gravemente malati nel corpo o nella mente togliersi la vita, scegliendo così una strada “più semplice” e sicuramente meno dolorosa per abbandonare per sempre il carcere.
Li ricordiamo tutti molto bene: erano giovani e meno giovani, tanti avevano il corpo tatuato come Corona, alcuni portavano come lui l’orecchino e qualcuno il piercing. Avevano madri, mogli e figli, ma diversamente da Corona non erano personaggi mediatici, non hanno avuto la solidarietà di Adriano Celentano, del “forcaiolo” Marco Travaglio e nemmeno la possibilità di suscitare l’interesse della trasmissione di Barbara D’Urso e la sua immancabile commozione, né di altri programmi simili.
I detenuti sono contenti che uno di loro sia uscito dal carcere con le sue gambe ma sono addolorati ed angosciati che lo Stato rimanga colpevolmente inerte e sopporti passivo che altri di loro per uscire dal carcere siano costretti a scegliere di uscire dalla vita.
10 luglio 2015
Alcuni detenuti di Rebibbia
lettere dal carcere di Caltanissetta
Carissima OLGa dopo tanto tempo, ma tanto tempo vi scrivo le terza lettera. Sperando di trovare un vostro riscontro.
Attualmente mi trovo a Caltanissetta per processi che ho a Catania… purtroppo sono classificato persona non-gradita nel carcere di Catania, come in quelli limitrofi, perché lotto per i miei diritti-salute. Infatti sono affetto da Bpco (Broncopneumopatia cronica ostruttiva)-Policitemia (malattia del sangue con aumento, svincolato da tutte le regolazioni fisiologiche dell’organismo, di: globuli bianchi, globuli rossi e piastrine). Mi curo attraverso i salassi.
Mi aiuto a deambulare con sedia a rotelle perché ho problemi seri alla colonna lambo sacrale, ho il bacino sdivellato oltre ad artrosi craniche in quasi tutte le ossa del corpo… affetto da depressione maggiore, problemi psicologici-psichiatrici perché non accetto di essere malato… infine ansie terribili ecc.
Da 4 anni e mezzo non vengo curato seriamente. Sono stato nel Centro Diagnostico Terapeutico (CDT) di Torino per 3 anni circa sotto la terapia palliativa, come accade nelle carceri dove mi appoggiano. I miei cari mi hanno inviato un medico legale ortopedico chirurgico, un medico legale psichiatra oltre che psicologo, due medici ematologici. Cioè un medico per ogni patologia. I medici hanno fatto le loro relazioni; i giudici invece come periti mi mandano due psichiatri, omettendo ciò che c’è nella mia cartella clinica senza prendere in considerazione le relazioni dei medici legali di parte (mia). Dove a chiare lettere dicono che non possono curarmi né in carcere né nei Centri Clinici Penitenziari – come dimostrato.
Intanto le mie patologie si aggravano; i giudici ammettono il mio stato di salute. Ora come finisco il processo hanno ordinato a portarmi al (carcere di) Pisa (dove c’è un CDT), però non mi scarcerano. Il loro obiettivo è farmi morire in carcere. Mi chiedo come si permettono di giudicare mai? Sono dei macellai. Mi fanno denunce e rapporti, non so quantificare quanti, perché vengo istigato o perché non accetto gli abusi di potere oltre il calpestare la dignità umana. Lotterò finché avrò l’ultimo respiro. L’unico dispiacere che provo è per i miei cari, dopodiché non provo nulla, come fossi morto, e un morto non si può uccidere per la seconda volta.
Ho 42 anni di età, 24 trascorsi in carcere, dal 2010 mi processano senza prove, con collaboranti addomesticati, pure smentiti, ma alla giustizia di Catania come in Italia non interessa la verità. Fanno processi come ai tempi del fascismo, comandano loro in Italia, altro che Renzi e il Parlamento.
I carceri sono illegali, basta leggere il codice penitenziario; calpestano la Costituzione ogni giorno, (calpestano) gli articoli: 27 sulla responsabilità personale; 25 sull’individuazione e imparzialità del giudice; 32 sui diritti del malato… così fanno con le sentenze della Corte di Strasburgo sui diritti umani, penali nonché penitenziari… dove l’Italia ogni giorno viene multata.
Ma le colpe più gravi le dò ai detenuti perché si sono stancati alle lotte carcerarie per i diritti umani e non solo. Ora la sbirraglia penitenziaria è preparata dalla Dia a farci terrorismo psicologico, mettono detenuto contro detenuto con il collaborazionismo sfacciato nonché nascosto. Lottare-Lottare-Lottare.
Alcuni vostri opuscoli non mi sono arrivati, come le lettere affettive, pazienza, forza, coraggio infinito. Condivido tanto i mille argomenti che affrontate sull’ISIS, sul mondo musulmano. Leggo molto i libri, li adoro, mi aiutano ad essere libero e a anestetizzare un po’ i miei problemi di salute.
Un caro saluto con il cuore ai No Tav di Torino per i loro principi e le battaglie per gli sfratti, le carceri e i processi falsi fatti ai miei cari amici, particolarmente uno che è un grande uomo anche se giovane forse un po’ più piccolo di me, che mi ha regalato un bel libro, bellissimo.
Scusate se scrivo male calligraficamente, non mettendo al posto giusto le virgole, ma il cervello fa un po’ di capricci. Nelle prossime lettere prenderò un altro argomento dei tanti che mi associano alle lotte. Vi abbraccio caramente, Francesco, vi rispetto molto.
1 luglio 2015
Francesco Di Stefano via Messina, 94 – 93100 Caltanissetta
***
In una lunga lettera Calogero scrive del processo complicato che non è proprio andato bene; conclude lanciandoci un appello che giriamo a tutte e tutti noi anche per lsocializzare le considerazioni che fa su come vanno le cose nel tribunale di Caltanissetta…
[…] non mi posso permettere un altro avvocato, magari proveniente da fuori Distretto, e che non è soggetto alla disciplina dei giudici di questo tribunale di Caltanissetta, dove vige la regola del bastone e della carota, perciò sono abbandonato al mio destino.
In ogni caso, sarei molto grato a chiunque potesse darmi una mano, un consiglio, un’indicazione, un suggerimento, di come potrei agire diversamente e se potrei avvalermi di qualche difensore tenace ed incurante delle ritorsioni dei giudici di questo tribunale “vizioso e viziato”, che ovviamente non pretenda cifre esorbitanti; a tal proposito ho saputo che si è costituito un pool di avocati a favore di detenuti indigenti. Se mi mandate l’indirizzo magari potrei risolvere il mio problema.
Bene, a questo punto, per non dilungarmi ulteriormente, anche se ci sarebbe molto altro da dire, termino con un forte abbraccio a tutti/e ed in particolare a Davideddu, con il quale mi scuso per non essermi fatto vivo, dopo aver saputo delle sue continue peripezie tra la Sicilia e la Sardegna; gli auguro un grande “in bocca al lupo” ed a presto libero dalle catene infami. Calogero.
11 luglio 2015
Calogero Lo Monaco, via Messina 24 - 93100 Caltanissetta
Lettera dal carcere di terni
Cari compagni del mio amico compagno Davide. Continuo a non ricevere sue notizie da quando gli hanno applicata la censura. Deduco che la censura a Davide sia stata applicata “forse” per due circostanze, credo, vado per ordine.
Con Davide è più di un anno e mezzo che mi scrivo da quando scontava il famigerato 14bis e nonostante che avesse avuto quel cazzo di censura, regolarmente ricevevo la sua posta. Il 29 maggio 2015 con una raccomandata gli spedii vari libri di cui un giornale “NotteTempo” che fanno i compagni di Pisa e un libro “Il dito e la luna”. Davide nella sua ultima lettera mi spedì il nuovo Provvedimento della censura chiestogli dalla direzione del carcere di Agrigento. In quell’occasione ho appreso della censura e la motivazione del sequestro di libri e posta.
Nella busta di “NotteTempo” dicono che contenesse un volantino di rivendicazione, quando non c’era nessun volantino, e che il libro contenesse il riferimento a come costruire ordigni cioè “fai da te” e quindi essendo tutto materiale causa del reato, è stato inviato all’autorità giudiziari per un’indagine per motivi della sicurezza interna e esterna. Minchiate!
Loro erano già in procinto di fargli mettere la censura e non sapendo con quale nuova motivazione farlo, si sono attaccati a un foglio di un giornale e a un libro. Che facessero le loro indagini, me ne sbatto delle loro motivazioni e della loro autorità giudiziaria. Con questo voglio dire che non cesserò di avere corrispondenza con Davide, perché continuerò a dargli tutta la mia solidarietà e oggi ancora più di prima.
Quindi sarebbe opportuno che questi signori si mettessero l’anima in pace e se ne facessero una ragione.
Davide, sappilo, come te lo sempre detto non entra nel mio dienne A abbandonare un compagno in difficoltà. Quindi costi quel che costi io continuerò ad essere vicino cioè la tua ombra. Ciao Davide.
Dal tuo amico e compagno Rossetti Busa Mauro.
Terni, 30 giugno 2015
Mauro Rossetti Busa v. delle Campore, 32 - 05100 - Terni
Lettera dal cacere di Agrigento
Saludi kumpanzu! Con irriducibile determinazione ti mando un forte abbraccio fraterno che estenderai ai compagni che ti stanno vicino, contraccambiando. Mi è infatti arrivata la vostra solidarietà che brillava di tenacia e di cui vi ringrazio col sempre.
Avevo saputo della repressione che ha colpito la lotta del 1° Maggio, ma non ho sentito nient’altro. Il flusso della comunicazione ormai è un stillicidio ridotto ad un lentissimo contagocce tra cazzi e mazzi! Con l’opuscolo sono rimasto al n° 100, quindi pure per gli aggiornamenti la situazione è questa! In ogni caso se riesci ad esprimere da parte mia ai compagni sotto attacco statale, che affrontano a testa alta qualsiasi brutalizzazione posta in essere, la mia solidale e ostinta presenza tramite la lotta quotidiana, mi farebbe piacere.
Verso l’8 luglio verrò riportato per processo nella cloaca tecno.business-logica penitenziaria “sarda”, anche se di sardo, nel vissuto autodeterminato cui si vuole intendere, non ha nulla, ma solo la terra che hanno colonizzato, su cui all’origine si è appoggiata ka borghesia compradora parassitaria sarda, nata appunto dal sistema coloniale, che ha determinato nel tempo un processo di deculturazione, di clientelismo a diversi livelli, di manipolazioni dell’autonomia in funzione del controllo e della dipendenza materiale, culturale e psicologica dei monopoli politico-economici dell’imperialismo vigente. Insomma, c’è ancora di più, tutta da combattere!
Vi ri-abbraccio tutte/tutti! Forza paris! Davide
Presoni ‘e Petrusa, 26 giugno 2015
Davide Delogu, C.C. Contrada Petrusa – 92100 Agrigento
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Salute a tutti/e! L’opuscolo che avete spedito ad Agrigento è arrivato qua. E’ il 103. Finalmente! Avevo già trovato il modo per leggerlo, dato che circola. Ho avuto solo così l’occasione di sapere con più particolari le solidali iniziative che si sono realizzate per sostenere la determinazione di portare avanti non la mia lotta individuale contro le brutali condizioni a cui si viene “sottoposti”, come di conseguenza a chi non si piega e continua a lottare nonostante i 14bis, gli isolamenti e altre misure “emergenziali” con cui vorrebbero ostacolare la tenacia dignitaria, pratica di mettersi in gioco.
Non dunque il sostegno ad una lotta individuale, ma, l’estensione in termini di una lotta comune (che è questo che si vuol fare) per farla propria, mettendo in campo tutto il desiderio e l’azzardo di cui si è portatori, per iniziare a superare la divisione delle lotte nella “questione sociale”.
Grazie per il contributo di tutte/i, con l’auspicio che possa svilupparsi in un nuovo inizio di autodeterminazione! Viva chi lotta! Davide.
Galera di Oristano, 13 luglio 2015
Davide Delogu, C.R. di Massama - 09170 (Oristano)
Lettera dal carcere di Teramo
Carissim* compagn*, ho ricevuto con tanta gioia la vostra dell’11/06 insieme a decine di altre lettere di solidali e il mio cuore si è ricaricato. Ho riconosciuto subito la scrittura e la mente mi è volata alla fitta corrispondenza che avevamo. Purtroppo il processo per gli scontri del 15/10/2011 è riuscito a togliermi di mezzo e c’è poco da dire se non che: il fascismo è vivo e vegeto.
Grazie alla sentenza mi hanno fatto un cumulo di pene sospese e per processi del cazzo, arrivando alla bellezza di 10 anni. Sì, avete letto bene. Non ho capito come gli avvocati non abbiano potuto immaginare tale scenario.
Spero che fuori i compagni prendano coscienza e si organizzino. Credo sia imprescindibile lanciare una campagna nazionale per l’abolizione del reato fascista di devastazione e saccheggio e per la liberazione mia e degli altri compagni reclusi. Vi chiedo di discuterne e di parlarne perché in Lombardia avranno luogo i futuri processi per tale reato. […] So che Davide D. ha la censura, vi chiedo di salutarlo così come tutti.
Chiuso. Riot! Davide
20 giugno 2015
Davide Rosci, c.c. Località Castrogno - 64100 Teramo
Lettera dal carcere di Velletri (rm)
Solo pochi giorni fa avevo avuto un sussulto, ascoltando per radio il ministro dell’Ingiustizia Orlando parlare in malo modo dell’istituzione carceraria!| Poi, “per fortuna”, il mio sgomento si è placato quando ho sentito ciò che ha ribadito a Strasburgo, ossia che il nostro carcere, ops… il loro carcere è a posto coi numeri e la salvaguardia dei diritti umani!! E’ tutto in regola, quindi, stiamo sereni!
In tanti qui avevano depositato speranze e attese in organismi quali il C.E.D.U. e in ex politici e nuovi senatori che, va comunque riconosciuta in tanti la buona fede, hanno traghettato per anni le illusioni di indulti o amnistia di migliaia di detenuti… Solo ieri un segretario della Corte di Strasburgo ha detto che le riforme apportate al sistema penitenziario italiano potrebbero diventare un “must” europeo. “Cane non mozzica cane” si dice dalle mie parti! E per quanto oneroso per lo stato, il sistema carcere resta un business troppo ghiotto, un viadotto per aspiranti politici, grigi funzionari, ditte che non disdegnano per niente di speculare su noi prigionieri ed infine per piccoli uomini magari scortati da tutti gli altri corpi di polizia!
Proprio mentre nelle librerie, nei salotti liberal-radical-chic circolano libri come “Perché il carcere va abolito” e alcuni politici vorrebbero portarci a lavorare magari nel supermercato che abbiamo rapinato o a raccogliere foglie secche nel parco dove spacciavamo, il potere dei nostri carcerieri si rafforza e DAP, magistrati di Sorveglianza e direttori di ogni sorta mostrano i denti, noncuranti delle macchie di sangue e infamità che li colorano…
Per chi ha vissuto questi ultimi anni dietro le sbarre si è configurato un “muro di gomma” e quella gomma è fitta di tutte le bugie di un ministero che delegando si è lavato le mani da ogni impegno reale di reazione al disagio politico-culturale-sociologico rappresentato dal carcere soprattutto italiano. Altro che esempio per gli altri paesi europei! L’Europa è solo un’altra delega. Un altro sistema da combattere… con i suoi giullari!
Vorrei urlare con questo inchiostro tutta la mia solidarietà a Davide Delogu e tutto il mio disprezzo verso chi si illude di spegnermene la determinazione con isolamenti, censure e continuo trasferimenti!| Ti sono vicino, Dà! Un ultimo saluto a Davide Rosci. Non esistono sbarre abbastanza forti per rinchiudere le nostre idee e Libertà! Enko.
ORGANIZE YOUR RAGE
Fottuta Galera, 18 giugno 2015
Enrico Cortese v. Campoleone, 97 - 00049 Velletri (Roma)
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E’ un terreno impervio quello della lotta al carcere: pieno di professionisti che non si son fatti mai un giorno di galera e spingono alla sommossa cieca e colmo di tanti che al carcere han “dedicato” i migliori anni della propria vita ed ora, arresi, professano la resa!
In mezzo ci siamo noi, le nostre famiglie spezzate, i nostri desideri e le notti insonni…la nostra vita e la loro legge…
La lotta al carcere è una lotta ad auna mentalità che è funzionale ad un sistema e che, con il sistema a volte cambia politica anche se più lentamente. Ed ecco che basta l’impronta di qualche sinistroide pseudo umanitarista per far entrare cooperative sociali e garanti vari nelle patrie galere; specialisti del dolore e dei drammi altrui in giacca e cravatta assolutamente paralleli alle ditte che sul carcere ci speculano!
Il carcere non è un mondo a parte, non è un’isola, forse una penisola e più cercano di riformarlo più conferma il suo ruolo di laboratorio di una società che neutro riflette, con il suo servilismo, le sue ipocrisie i ruoli sempre più confusi nella odiosa volontà di annullare identità, orgoglio, dignità sotto il costante ricatto dei benefici.
La storia recente ha conosciuto tre tipi di carcere: prima punitivo, poi “rieducativo” ora collaborativo. Collaborativo!!??
Sulla carta dovrebbe voler dire che tutte le componenti presenti tra queste mura “lavorano” affinché tutto vada per il meglio e “il servizio” funzioni!
Nella pratica significa pacificare i detenuti con i piccoli contentini che sappiamo, deresponsabilizzare ministero e amministrazione rispetto alla salute e poi costringere noi a convivere con papponi, infami e magari anche stupratori!!
Già… da qualche parte ancora si resiste, respingendo questa gente a calci in culo non appena qualcuno si accorge della loro è presenza in sezione, ma, sempre in più carceri, soprattutto nelle C. R. e tra queste quelle più ambite, la regola è che, se ti opponi a certe presenze, sei già su un blindato che ti porta altrove!
Così in certi carceri più delle telecamere, ad alleggerire il lavoro delle guardie ci pensa il cinguettio di “persone” che tra noi vogliono mimetizzare.
Ciò che vogliono fare è normalizzare l’attitudine all’infamia e non si tratta più di voler difendere l’omertà, è una parola oltre-contesto, perché così facendo mirano non solo a disgregarci, ma a cancellare dal nostro vocabolario parole come lealtà e solidarietà e poco conta che il nostro sia un dizionario illegale!
Quanto fanno schifo nel tentativo di normalizzare reati come lo sfruttamento della prostituzione o la violenza su donne e bambini??! Quanto fa schifo un direttore che premia con benefici o con un posto di lavoro una spia che ha appena un compagno di sventura?!
Questa è la loro idea di società non solo di carcere| Io continuo a pensare che ci sia una dignità anche nel mio vivere illegale ( se non vi gusta la parola “etica”) che è meglio rompere le palle in un brutto carcere che grattarsi la pancia tra brutta gente… evviva i fuorilegge: non ci avrete mai con voi! Enko.
Fottuta galera/giugno 2015
Enrico Cortese via Campoleone, 97 - 00049 Velletri (Roma)
Lettera dal carcere di Livorno
Ciao ragazzi, volevo approfondire sulla mia detenzione, e far capire chi io sia.
Sono detenuto dal settembre 2010 per un’ordinanza di custodia cautelare partita da “Rieti”, spiccato il mandato di cattura mi presero a pochi chilometri da Livorno nei pressi di casa di mia madre. Erano buoni tempi per “lavorare”. Il mio lavoro si basa sul sottrarre macchine poi il resto possan pure fantasticare.
Sono 3 anni e 2 mesi che mi trovo in questa sporca Casa Circondariale di Livorno. E’ una cosa allucinante, su tutto, lavoro, scuola, teatro, prima di entrare nel sistema passa del tempo tra osservazione ed altro. Alla fine venni chiamato dal briga (diere) del lavoro, e mi assegnarono alla sezione C1 “sezione protetta” dove, potete immaginare, i soggetti che vi erano. Il lavoro consisteva di far tutto scopino, porta vitto, ufficio celle. Insomma dare il vitto e poi tutto che c’era da fare. Un giorno sì e uno no pozze di sangue, 8 celle e quasi tutti autolesionisti.
Volevo solo arrivare al punto economico. Tutto il mese per 167 euro meno 52 di trattenute, essendo definitivo, cosa che subito non accettai, questa è una truffa. Il rischio di prendere qualche malattia era all’ordine del giorno, una cella chiusa per scabbia, detenuti del nord Africa. Io mollai subito. Feci presente di tutto ciò ai graduati, ma erano parole buttate al vento.
Ecco che sono arrivato ad una conclusione, la galera dovrebbe essere una riabilitazione nel senso: esci, hai dei piccoli vantaggi tramite gli educatori, un mestiere, una casa non la galera, quando esci hai molti più amici per lavorare. Queste sono tutte cazzate e ripeto Livorno è un carcere di merda sotto tutti i punti di vista.
La mia pena sta giungendo alla fine. Adesso non conto più i calendari, ora sono fogli, per dicembre io sono fuori ma la galera non cambierà mai, qui domina ignoranza, menefreghismo e l’infamia, per che cosa? Per un lavoro e false promesse. Sono solo chiacchiere e distintivi. Chi non assaggia la galera non può capire. Chiudo con una mia poesia, “Signori”.
I signori, ci placano con immagini
ci danno libri, mostre, spettacoli, cinema vogliono condizionarci
ci confondono, ci accecano con il nostro asservimento
l’arte adorna le mura delle nostre prigioni e ci rende quieti e divertiti
indifferenti.
1 luglio 2015
Daniel Tedesco via delle Macchie, 9 - 57124 Livorno
Lettera dal 41bis del carcere di Bancali (Sassari)
Carissimo, sono a Sassari dal giorno 8 luglio , ma solo oggi è possibile scriverti, vista la procedura prevista. Come già avrai intuito continua il mio viaggio nelle viscere degli inferi.
Sono rassegnato e consapevole che questo luogo voluto per l’annientamento, non sopprimerà il mio corpo, ma agirà sulla psiche e attraverso la coscienza farà dell’anima l’inferno del corpo.
L’istituto è moderno, non in senso illuminato, ma di nuova riproposizione oscurantista del supplizio come pena. In pratica un “ecomostro” per soggetti trattati al di fuori dei canoni dell’esperienza etica delle libertà e dei diritti umani.
L’apparente agibilità del nuovo nasconde lo squallore teologico degli spazi ridotti a claustrofobici, ordinati in senso verticale cosicché allo sguardo è tolto ogni orizzonte, così come alla speranza di libertà, la pena ostativa ha posto la parola fine.
Ho solo un piccolo cielo che dal sotterraneo intravedo alzando lo sguardo in verticale; il cielo del passeggio. Un cielo chiuso in un passeggio e nient’altro.
Tutto è colorato di bianco e un verde quasi turchese, colori che servono a mascherare la realtà macabra del grigio cemento e dell’impiego contro l’uomo.
Doccia in cella, palestra, questo è tutto.
Sto cercando di adattarmi ma per adesso stanno prevalendo gli aspetti patologici che mi affliggono. Spero di no ma non ti nascondo questa preoccupazione perché se così fosse, questo posto per la mia salute diventerebbe una tomba. Comunque sia sono speranzoso nella mia capacità di adattamento e così come non ti nascondo le preoccupazioni, posso assicurarti che so curarmi e da ciò ricavo una certa serenità.
Per il momento mi mancano tantissime cose ed in particolare mi mancano le mie letture. Il guaio è che la biblioteca ancora non esiste e non si sa, se e quando entrerà in funzione.
Ho già preso a correre e fare ginnastica. Non mi abbatto. Per sfuggire alla noia ho il televisore sempre acceso ma i programmi sono in vacanza e fino a settembre avrò tanto da camminare. Ti saluto, Davide.
Sistema persecutorio regime tortura ex art. 41bis, domenica 12 luglio 2015
Davide Emanuello, strada prov. 156, via Abbaccurrente, 4 - 07700 Bancali (Sassari)
41 bis: la morte in vita
Nell’ambito di un ricordo collettivo di Bianca Guidetti Serra – tenutosi il 16 maggio al Vag61 di Bologna – si è voluto riattualizzare all’oggi il senso del suo impegno contro le istituzioni totali e la pena dell’ergastolo. Quello che segue è l’intervento di Sante Notarnicola, contro la morte in vita del 41 bis.
Anche nel movimento esistono perplessità e ambiguità nel credere che il 41bis sia solo affare per mafiosi… non è così!
Vi sono già tre compagni in regime di 41bis (erano 4, una si è impiccata). E ancora i 4 compagni NoTav di Torino: alcuni di loro hanno subito un trattamento da 41bis in stato di isolamento. E probabilmente lo hanno evitato nella piena applicazione, solo perché i tempi non sono ancora maturi per alzare il livello della repressione. Del resto è sufficiente la “finalità terroristica” di un reato per essere meritevoli del 41bis e di questi tempi non risulta difficile attribuire tale finalità a consuete pratiche politiche nell’ambito del conflitto sociale e di classe.
Qualunque governo, specie in tempo di crisi economica e sociale come quella che stiamo attraversando, ha la preoccupazione del formarsi di una opposizione radicale, pertanto previene e prepara gli strumenti giuridici e pratici per fermare la crescita di un movimento più maturo e consapevole. Tra questi strumenti ci sono quelli prima citati.
Anche in questo caso Bianca ci manca, manca la sua intuizione, i suoi suggerimenti, la sua esperienza.
L’ergastolo e il 41bis non sono solo tortura, sono tortura permanente. Ormai di tortura ne parlano tra loro, in Europa (vedi sentenza Europea sui fatti del G8), e fa impressione la poca indignazione che produce. Non possiamo assuefarci a una cosa del genere, tenendo conto che siamo noi il vero obiettivo di queste leggi e di questa ferocia.
Le celle del 41bis sono tombe per esseri viventi. Dal 41bis e dall’ergastolo ostativo si esce solo morti o “infami”.
Nel concreto cosa significa “vivere” in 41 bis:
- Cella singola di m 2X3.
- Esclusione da qualsiasi “beneficio” previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziale (lavoro interno/esterno, permessi, attività di studio etc.) e più in generale sospensione delle normali regole trattamentali ordinarie.
- Un colloquio al mese solo con i familiari, della durata di un’ ora e sottoposto a videoregistrazione, con vetro divisorio e scientificamente lordato.
- Solo i detenuti che non effettuano colloqui possono fare una telefonata al mese; il colloquio è registrato. Per effettuare questi colloqui telefonici i familiari devono recarsi al carcere più vicino al loro luogo di residenza per essere identificati. Questo vale anche per i colloqui telefonici con gli avvocati.
- Massimo due ore d’aria al giorno in gruppi di massimo 4 detenuti in isolamento e con divieto assoluto di rivolgere la parola a qualsiasi altra persona.
- Divieto assoluto di passaggio di oggetti tra detenuti (cibo, libri, giornali etc.).
- Limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno.
- Censura della corrispondenza.
- Non si possono tenere più di tre libri in cella, non si possono ricevere libri o riviste dall’esterno né si possono riconsegnare i libri alle famiglie. È consentito solo l’acquisto solo tramite impresa interna quindi chi non ha soldi non legge. Per inciso: Gramsci, negli anni trenta in pieno regime fascista, poteva tenere in cella 5 libri intercambiabili.
- Collocazione in istituti o sezioni separate dalle altre, collocate preferibilmente in zone insulari, e comunque sorvegliate dai reparti speciali (i famosi GOM delle torture nella caserma di Bolzaneto del G8 di Genova nel 2001).
- Per tutti i detenuti in 41 bis è vietata la partecipazione ai processi che li riguardano ai quali possono assistere solo attraverso un collegamento in videoconferenza con tutte le ricadute immaginabili in termini di diritto alla difesa.
- Prima applicazione del regime per la durata di 4 anni, poi riprorogabili all’infinito di due anni in due anni.
Queste sono le linee guida del trattamento. Poi c’è l’attuazione pratica a discrezione della direzione penitenziaria formata da: direttore, assistenti sociali, preti, educatori etc., i quali decidono fin nei minimi particolari la giornata fatta per 23 ore di isolamento totale, più piccole vessazioni legate a ogni gesto quotidiano. Accade ad esempio che la grande maggioranza dei detenuti rinunci all’ora scarsa dell’aria in un cortiletto sporco e senza cielo, pur di non dover subire ogni volta una perquisizione che comprende anche quella anale.
Quindi il carcere torna ad essere centrale come lo è sempre stato per i movimenti precedenti. La svolta è alle porte, tenendo conto degli arresti in Valle e nelle manifestazioni sempre meno tollerate. Bisogna colmare il vuoto, fare più attenzione e promuovere una attività continua e solida sul terreno della repressione.
Vi sono nostri compagni e compagne, che spesso in solitudine, si occupano di questo settore. Sempre più spesso militanti giovani ci chiedono del Soccorso Rosso; altri gestiscono trasmissioni radio qui a Bologna, con appuntamento settimanale: “mezz’ora d’aria” a Radio FujiKo seguita anche all’interno della Dozza. Non si parte da zero: vi sono avvocati giovani e altri con anni di esperienza, che sono attenti ai mutamenti giuridici tesi a colpire le lotte e i militanti.
È utile dare un’occhiata al passato, come noi ci organizzammo a suo tempo – ovviamente ogni cosa va adeguata al tempo che viviamo.
Ricordo che a S.Vittore, i primi militanti catturati durante le manifestazioni, facevano capo a Lotta Continua ed era LC che si occupava dei loro bisogni pratici e politici: qualche soldo per rendere meno dura la prigione, la ricerca di avvocati, testimoni etc.
Nel momento in cui gli arresti divennero numerosi e trasversali a tutto il movimento, ci si rese conto che una sola organizzazione, pur articolata come quella di LC, non poteva farcela da sola: qui entrò in gioco “Soccorso Rosso” che, in breve tempo, fu capace di coprire tutto il territorio del paese.
Quando mi trasferirono dal carcere penale di Saluzzo, dopo una manifestazione interna, mi ritrovai all’altro capo del paese: all’isola di Favignana.
Dopo solo due giorni, avvocati e compagni di Trapani bussarono alla porta del carcere. Vi assicuro che apprezzai molto tanta efficacia e velocità. Non altrettanto fu apprezzata dai carcerieri che si sentivano sotto osservazione!
Al carcere di Lecce, prigione molto temuta da tutti, furono addirittura i CC, visto “l’accoglienza” che mi avevano preparato, frenarono i carcerieri avvertendoli che di primo mattino dovevano aspettarsi l’arrivo dei miei avvocati e il procuratore della repubblica per verificare le mie condizioni. Da ciò si intuisce quanto fosse preziosa la rete di assistenza e sostegno intorno ad un prigioniero.
Importante era pure la corrispondenza intorno alla quale Soccorso Rosso aveva una precisa organizzazione di rete: affidava a gruppi di compagni e compagne o a collettivi organizzati, il compito di seguire uno o più prigionieri. Il fatto di ricevere lettere, cartoline e altro in maniera costante era un segnale importante da dare ai guardiani. Piccoli gesti che fanno capire che intorno ad un prigioniero c’è attenzione e quindi ogni trattamento o provvedimento nei suoi confronti va soppesato.
Il carcere duro, con relativi maltrattamenti, sono cose riservate generalmente e storicamente agli oppositori politici. Il 41bis, l’articolo 90 e la pena dell’ergastolo sono robaccia che soddisfano la socialdemocrazia nostrana e i fascisti, non fatevi ingannare, non è vero che servono solo per i mafiosi. Al varco attendono sempre e comunque NOI.
22 giugno 2015, da contropiano.org
“PAGINE” CONTRO LA TORTURA
Circa il divieto di ricevere dall’esterno libri e stampe d’ogni genere nelle sezioni 41bis
“Nel tempo le istituzioni hanno allevato funzionari che ritengono naturale questo sistema di barbarie. Quando si eleva il meccanismo della mostrificazione a ’normale’ strumento di repressione, la tortura di varia natura diventa burocrazia quotidiana”. (Da una lettera di un detenuto rinchiuso nel nuovo carcere di Massama, Oristano, giugno 2015)
Da alcuni mesi chi è sottoposto al regime previsto dall’art. 41bis dell’ordinamento penitenziario (o.p.) non può più ricevere libri, né qualsiasi altra forma di stampa, attraverso la corrispondenza e i colloqui sia con parenti sia con avvocati: i libri e la stampa in genere si possono insomma solo acquistare tramite l’amministrazione. Ciò determina di fatto un’ulteriore censura, una potenziale forma di ricatto, in aggiunta alle restrizioni sul numero di libri che è consentito tenere in cella: solo tre.
A cambiare (in peggio) le cose incominciò nel novembre 2011 una circolare del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: il dipartimento del ministero della Giustizia preposto al governo delle carceri italiane). Questa circolare fu però bloccata da reclami di numerosi prigionieri, che furono accolti dalle ordinanze emesse da alcuni giudici di sorveglianza. I ricorsi opposti da almeno tre pubblici ministeri contro queste ordinanze furono confermati in Cassazione. Infine una sentenza della suprema Corte del 16 ottobre 2014 ha dato ragione al DAP, rendendo così definitiva questa nuova odiosa restrizione.
Il regime di 41bis è il punto più alto della scala del trattamento differenziato che regola il sistema carcerario italiano.
Adottato trent’anni fa come provvedimento temporaneo, di carattere emergenziale, si è via via stabilizzato e inasprito con ulteriori commi. In questa condizione detentiva ci sono oggi ben oltre 700 prigionieri rinchiusi in una decina di sezioni all’interno di carceri sparse in tutt’Italia: Cuneo, Novara, Parma, Milano-Opera, Pisa, Tolmezzo (UD), Ascoli Piceno, Viterbo, Napoli-Secondigliano, Terni, Spoleto, L’Aquila, Roma-Rebibbia, cui presto si aggiungeranno le sezioni delle nuove carceri costruite in Sardegna a Massama (OR), Bancali (SS), Tempio Pausania.
Il 41bis prevede:
- isolamento per 23 ore al giorno (soltanto nell’ora d’aria è possibile incontrare altri prigionieri, al massimo tre e solo con questi è possibile parlare);
- colloquio con i soli familiari diretti (un’ora al mese), che impedisce per mezzo di vetri, telecamere, citofoni, ogni contatto diretto;
- esclusione a priori dall’accesso ai “benefici”;
- utilizzo dei Gruppi Operativi Mobili (GOM), il gruppo speciale della polizia penitenziaria, tristemente conosciuto per i pestaggi nelle carceri e per i massacri compiuti a Genova nel 2001;
- “processo in videoconferenza”: l’imputato detenuto segue il processo da solo in una cella attrezzata del carcere, tramite un collegamento video gestito a discrezione da giudici, pm, forze dell’ordine, senza poter essere presente in aula;
- la censura-restringimento nella consegna di posta, stampe, libri.
Questa tortura quotidiana è finalizzata a strappare una “collaborazione”, cioè a piegare chi la subisce a completo servizio dello Stato.
Le leggi e le norme di natura emergenziale, col passare del tempo, si estendono cosicché ogni restrizione adottata nelle sezioni a 41bis prima o poi, con nomi e forme diverse, penetra nelle sezioni dell’Alta Sicurezza e in quelle “comuni”, contro chi osa alzare la testa.
Ne è esempio l’estensione del processo in videoconferenza, con tutte le limitazioni che implica sul piano della solidarietà, della visibilità del processo, della comunicazione (tra coimputati, con amici e familiari, con il “pubblico”) e della difesa legale, che ne risulta fortemente compromessa. Lo dimostra anche la generalizzazione di norme “trattamentali” eccezionali, quali per esempio: l’uso massiccio dell’isolamento punitivo disposto dall’art. 14bis o.p. (*), che può essere prorogato anche per parecchi mesi consecutivi, in “celle lisce” e spesso isolate all’interno dell’istituto; o la “collaborazione” (di fatto) quale condizione essenziale per poter accedere a un minimo di possibilità “trattamentali” (socialità, scuola, lavoro); oppure la censura (di fatto) della corrispondenza e la limitazione del numero di libri o vestiti che è possibile tenere in cella.
L’isolamento del 14bis è deciso soprattutto sulla base dei “rapporti” fatti dalle guardie, avallati o meno dai giudici ed è eseguito con uguale prepotenza e arbitrarietà del 41bis. Troppe volte si conclude con la morte del detenuto, morte fatta poi passare da carcerieri, medici compiacenti e media fiancheggiatori come suicidio.
È necessario fare opera di sensibilizzazione su questi temi perché la politica della perenne emergenza, alimentata da facili banalizzazioni e allarmismi veicolati dai media, nasconde pratiche di ricatto, vessazione e tortura di cui questo del blocco dei libri è solo l’ultimo, più recente, tassello.
L’auspicio è che la discussione attorno al regime del 41bis e all’isolamento in generale si estenda e diventi patrimonio sempre più collettivo. Quello della carcerizzazione, come quello della guerra, delle politiche ai danni di migranti e rifugiati sono temi che richiedono un impegno urgente. Basti pensare all’ultimo “pacchetto di norme antiterrorismo” che riconferma, aggravandolo, l’isolamento nelle carceri mentre rifinanzia decine di missioni militari.
L’obiettivo è di promuovere una campagna di sensibilizzazione e iniziativa finalizzata al ritiro del vessatorio divieto del DAP.
La prima proposta che facciamo a librerie, case editrici, appassionati della lettura, scrittori, viaggiatori tra le pagine è quella di stendere e inviare nelle carceri dove è presente una sezione a 41bis cataloghi di proposte editoriali. Da questi elenchi le biblioteche interne alle carceri e i detenuti potranno scegliere e richiedere i titoli. Ulteriori informazioni ed aggiornamenti sull’andamento della campagna saranno disponibili su un sito internet che a breve sarà attivato.
Un’esperienza simile fu fatta nel 2005, quando l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli limitò il numero di libri consentiti in cella, nella sezione a “Elevato Indice di Vigilanza” (equivalente all’attuale “Alta Sicurezza 2”) del carcere di Biella. Grazie alla campagna “Un libro in più di Castelli” si sviluppò un’intensa attività di sensibilizzazione e di contrasto che interessò svariate città d’Italia, basata sulla raccolta e la spedizione di libri nel carcere piemontese, che sfociò in una partecipata manifestazione sotto le sue mura. La limitazione dei libri fu infine ritirata.
Quest’appello vuole essere diretto e ampio, tanto quanto reclama la libertà, la lotta per viverla, nemica di ogni forma di prevaricazione, sfruttamento, dominio.
Il carcere non è la soluzione, ma parte del problema.
Invitiamo le case editrici e le librerie che intendono aderire alla campagna a preparare un catalogo di testi da donare e spedire nelle carceri con sezioni a 41bis.
Ci impegniamo a fornire indirizzi delle biblioteche e dei singoli detenuti.
Note:
(*) Dall’art. 14bis dell’o.p.: regime di sorveglianza particolare (aggiunto da art. 1, legge 663/1986).
1. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli internati e gli imputati:
a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l’ordine negli istituti; […]
Vedi:
- “Sulle limitazioni dei libri nelle sezioni a 41bis”, in “Opuscolo”, n. 101, marzo 2015, p. 25
- “Il 41bis compie 27 anni”, aprile 2013
- “Appunti sulla videoconferenza”, in “Contributi su carcere e repressione – Bologna, 13 dicembre 2014”, p. 6
- Rassegna di materiali della campagna “Un libro in più di Castelli”
giugno 2015, OLGa
Resistenza nelle galere al di là del Reno
Lettura perché elemento di liberazione, nemica mortale degli stati: nelle carceri, in Italia come in Germania, figurarsi negli USA…
Nel vecchio carcere femminile di Berlino-Pankow la compagna turca Guelaferit Uensal, condannata a 6 anni e mezzo con l’applicazione l’art. 129b cod. pen. [il corrispettivo del 270bis qui in Italia, ndr], ha portato avanti uno sciopero della fame di 54 giorni (dal 6 aprile fino al 29 maggio) in cui richiedeva-precisava:
“Basta con la censura su libri, riviste e quotidiani! Basta con i giochetti sporchi, le provocazioni, le molestie!
La sera del 6 aprile inizio uno sciopero della fame illimitato per le seguenti richieste:
1. Consegna della rivista Yuereyues (“Marcia”, magari anche “Cammino”, liberamente in vendita in Turchia stessa).
2. Consegna quotidiana dei quotidiani Huerriyet, Oezguer Politika, Junge Welt e TAZ, senza eliminazione di nessuna pagina.
3. Gli invii di libri consentiti non vengano rispediti arbitrariamente e illegalmente alle librerie.
4. Tutte le riviste legali mi devono essere consegnate senza alcuna mia richiesta di permesso.
5. Tutti i libri, le riviste e la posta devono essere aperte prima davanti ai miei occhi e non possono essere sequestrate.
6. Gli intrighi fascisti, le provocazioni e le molestie devono cessare.”
La compagna ha già trascorso diversi anni in galera in Turchia e Grecia, da dove è stata estradata in Germania nel 2011, perché considerata militante del DHKP-C (Partito-Fronte Rivoluzionario del Popolo); un’organizzazione entrata nella “lista nera” degli stati-Nato, da loro definita “associazione terrorista”. Uensal ha messo fine allo sciopero solo dopo che la direzione del carcere ha dichiarato ufficialmente di aver accolto ogni sua richiesta.
Nei 54 giorni di sciopero almeno due volte la settimana gruppi di persone solidali sono andate sotto le mura del carcere, per comunicare alla compagna sostegno, vicinanza. Una mobilitazione che è andata allargandosi anche perché nello stesso tempo altri cinque compagni del DHKP-C in altrettante carceri tedesche, per le stesse ragioni, ma anche altre (tipo: rifiuto di indossare la divisa carceraria, da cui il “sequestro dei vestiti”…) portano avanti lunghi scioperi della fame.
La compagna scrive e parla in inglese e tedesco, per scriverle:
Guelaferit Uensal, JVA fuer Frauen, Arkonastr. 56 13189 Berlin (Germany)
***
Ancora dalle carceri tedesche
Fra le 25 persone arrestate il 18 marzo a Francoforte sul Meno nelle giornate di lotta contro banchieri, banche dell’euro… c’è Federico Annibale, da allora tenuto in isolamento. Il 3 giugno è finito il processo dove il pm ha chiesto la condanna per “violazione della quiete pubblica, ferimenti pericolosi”. Ancora non si conoscono le decisioni del tribunale.
Per scrivergli:
Federico Annibale, Obere Kreuzaeckerstr. 8, 60435 Frankfurt am Main (Germany)
Da "gefangenen info", maggio-giugno 2015, nr. 392
lettera dal carcere di parma
Parma, Alta Sicurezza 1, diario da un luogo immobile
"Ho imparato a ricostruire pazientemente la mia vita, come suggerisce Ornella Favero, la direttrice di Ristretti Orizzonti, di cui sono diventato uno dei redattori". Con queste parole inizio da dove finisce il mio intervento al convegno del 22 maggio "La rabbia e la pazienza" presso il carcere di Padova e con esso finì anche la mia permanenza in quel carcere. Infatti a distanza di pochi giorni sono stato trasferito in questo istituto di Parma.
Già ero a conoscenza del trattamento esistente, ma come spesso accade noi detenuti tendiamo un po' ad esagerare. Invece in questo caso proprio no!
Anzi, nonostante la mia lunga permanenza nel circuito AS1, non immaginavo che si praticasse un regolamento che io credo sia davvero poco rispettoso della persona, ma per non apparire fazioso mi sono imposto che non altererò minimamente con giudizi soggettivi o di valore la descrizione di quanto in questa sezione avviene quotidianamente.
Capitolo 1. Le attività presenti a Parma
Qualsiasi attività presente si svolge tassativamente dalle ore 9.00 alle ore 11.00 e dalle ore 13.00 alle ore 14.45, in perfetta coincidenza con gli orari di accesso al passeggio, non esistono eccezioni. Accade così che gli studenti, i quali sono autorizzati ad accedere a una sala predisposta per lo studio, non hanno possibilità di accedere al passeggio se non rinunciando alla sala studio.
Come supporto "questi privilegiati" possono usare il computer, in tutto quattro, che mette a disposizione l'amministrazione. Si potrebbe obiettare: allora vi è una attenzione per gli studenti? Ebbene i computer sono così predisposti che si può solo usare un programma di scrittura. Inoltre, non è consentito scrivere nemmeno una lettera ai propri cari, solo ed esclusivamente testi o elaborati di studio! E siccome è un privilegio, in questo istituto non ti permettono di stampare assolutamente nulla, nemmeno i testi di studio, si è costretti a ricopiare a mano quello che già è stato elaborato al computer, assurdo! Quindi questa "concessione" della sala studio poi rischia di tradursi in un vero e proprio "ricatto morale", perché per accedere alla sala studio ti perdi sistematicamente ogni altra attività presente, palestra, campo sportivo, e perfino la messa, e per giunta ti obbligano a sprecare il tempo per lo studio facendoti fare il doppio del lavoro necessario.
Un effettivo supporto viene dato dai volontari che accompagnano i detenuti studenti, anche in questo caso invece di implementare questa attività la si limita al minimo. Infatti, gli incontri sono limitati per via della regola che permette il loro accesso nella fascia antimeridiana, ossia dalle 9.00 alle 11.00, per solo due giorni settimanali, durante i quali ottemperare alle istanze di tutti gli studenti presenti in questo istituto. Accade così che con queste regole l'attesa per incontrare il volontario può prolungarsi di alcune settimane.
Ho voluto iniziare appositamente da quell'attività più "sensibile" e importante per la crescita personale che è lo studio, attraverso il quale si possono acquisire quegli strumenti che ti possono permettere di vedere le cose da altre prospettive, e come risultato di questa attenta analisi sulle "possibilità" offerte ai detenuti si possono trarre le dovute conclusioni, non sta a me dare giudizi, me lo sono ripromesso!
Quest'anno a partire dallo scorso mese di maggio una dozzina di detenuti svolge del volontariato producendo pane, pizzette e focacce che verranno distribuite presso la mensa dei poveri dei frati francescani.
È un'attività che i partecipanti svolgono con molta passione e impegno, dimostrando tutta la buona volontà ad essere impegnati anche nel sociale. Lavorano per quasi sei ore, peccato che questa attività viene svolta un solo giorno alla settimana. Esperienze di questo genere, con i risultati raggiunti, stanno a dimostrare che le risorse umane presenti in questo istituto sono valide e andrebbero valorizzate. Infatti, la manifattura è di ottima qualità, ma poi mi pongo una domanda, oltre a quelle soddisfazioni personali che uno prova, cosa avrà come riconoscimento? Questa domanda introduce il tema delle sintesi e delle declassificazioni.
Un'altra cosa da sottolineare è che le attività trattamentali vengono sospese dal 13 giugno fino alla fine di settembre. Altra sospensione di un mese è prevista per le festività natalizie e un altro mese per quelle pasquali.
In un anno si hanno cinque mesi di vuoto mai visti in nessun altro istituto.
Sempre restando in tema di trattamento, l'indicazione del detenuto da sottoporre alle sintesi trattamentali pare sia di pertinenza del capoposto che è responsabile del pianterreno dove c'è l'accesso al passeggio.
L'incaricato ti registra l'orario di entrata e d'uscita dal passeggio, nonché registra le compagnie che si frequentano al passeggio, a volte al passeggio si rimane in due o tre persone. Credo che su questi presupposti vengono indicati i detenuti "meritevoli" di sintesi: cioè, mi pare di capire, nessuno!
Capitolo 2. Sintesi e declassificazioni
La declassificazione è un problema comune in tutti i circuiti AS1, i motivi sono ben noti per chi segue il lavoro che svolge "Ristretti Orizzonti". È stato scoperchiato un sistema di immobilità diffusa e così anche in questo istituto le declassificazioni sono quasi del tutto inesistenti.
In oltre ben otto anni, da quanto mi è dato sapere, ci dovrebbe essere stata una sola declassificazione, con una motivazione che possiamo definire "compassionevole". Infatti il soggetto era totalmente assuefatto agli psicofarmaci e passava intere giornate a letto e questo per diversi anni. L'aspetto più rilevante, che non veniva preso nella giusta considerazione, era quello che non aveva neppure il titolo di reato per essere allocato in questa sezione. Credo sia stato trattenuto per diverso tempo ingiustamente, avendo già scontato il reato ostativo. E stava scontando una pena residua per reati comuni.
Un discorso a parte va fatto per le sintesi trattamentali. Se nelle declassificazioni la maggiore responsabilità di quell'immobilismo diffuso è certamente addebitabile soprattutto al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, per le sintesi, la responsabilità sarebbe a carico del Gruppo di Osservazione e Trattamento (GOT) di questo istituto, che mi pare di capire non preveda assolutamente che siano redatte le sintesi trattamentali. Solo su sollecitazione di qualche interessato, a seguito di presentazione di richiesta di declassificazione, si sono impegnati a stilare qualche relazione.
Spesso accade che qualcuno faccia richiesta della sintesi trattamentale, ci sono casi che stanno aspettando da oltre due anni che si possa riunire il GOT, sarebbe interessante capire perché, se le cose stanno effettivamente in questo modo, è così difficile che il GOT si esprima sul percorso individuale delle persone detenute. Con il risultato che anche in questo carcere nella sezione AS1 le persone sono destinate a rimanere "fossilizzate" a vita.
Capitolo 3. I rapporti con i famigliari
I rapporti con i famigliari, come previsto dall'Ordinamento penitenziario, si mantengono attraverso i colloqui visivi e i colloqui telefonici.
I colloqui telefonici vengono rilasciati nella misura di una telefonata settimanale se la data di arresto è precedente al settembre del 2000, diversamente si è autorizzati a solo due telefonate al mese.
I giorni previsti per le telefonate sono il martedì, giovedì, sabato, e la domenica solo nella mattinata quando il sabato la fascia oraria coincide con la fascia pomeridiana. Per essere più preciso in merito, ogni mese viene affisso il calendario delle telefonate in cui vengono indicate le fasce orarie previste.
L'orario per effettuare la chiamata si deve comunicare il giorno precedente all'agente, che ti mette in lista. L'ora indicata non viene mai rispettata, c'è sempre uno sbalzo di almeno 20 minuti. La privacy è inesistente, infatti la cabina telefonica si trova in mezzo alla sezione di fronte alle celle dei detenuti a meno di 2 metri di distanza. I detenuti che si trovano nelle vicinanze sono costretti a chiudersi il blindato per non ascoltare le conversazioni, ma anche questo non è sufficiente perché si sente ugualmente.
Nonostante le ripetute segnalazioni anche attraverso il reclamo al magistrato di Sorveglianza, si continua a telefonare nelle condizioni che ho detto sopra. Questa situazione è stata segnalata anche al Garante regionale, il quale ha verificato l'inadeguatezza del posizionamento della cabina telefonica. L'intervento del Garante è stato richiesto a seguito del rigetto del reclamo inoltrato da un detenuto, il quale dopo le sue lagnanze ha trovato sempre ostilità rispetto alle altre richieste inoltrate. L'intervento del Garante risale a oltre un anno fa, ma nulla è cambiato!
Per quanto concerne i colloqui visivi, è da segnalare che sono organizzati in modo tale, da creare inevitabilmente disagi. Si possono effettuare nella sola giornata del lunedì. La durata massima è di 4 ore, ma per poter fruire di questa possibilità le famiglie devono trovarsi all'ingresso alle 8.00 del mattino altrimenti se arrivano dopo non ti permettono le 4 ore di colloquio. Ciò comporta che le famiglie devono assolutamente pernottare il giorno prima con impiego di risorse notevoli. Se invece queste possibilità non si hanno, le famiglie devono sobbarcarsi anche oltre 1.000 km per fare appena 2/3 ore di colloquio. Tutti i detenuti presenti nella sezione AS1 sono meridionali e i più vicini sono distanti 7/800 km (i campani).
Le sale colloqui sono predisposte con dei tavolini e sgabelli fissi. Al posto del vecchio bancone divisorio hanno escogitato questo sistema che impedisce ugualmente il contatto fisico. Solo ai bambini è consentito stare vicino al proprio famigliare. Inoltre, c'è da segnalare anche la presenza di una sala colloquio con dei tavoli fissi in fila che ricordano i vecchi banconi e nella sostanza non c'è nessuna differenza.
Nella sala colloquio è consentito portare ai propri familiari una bottiglia d'acqua, una confezione di biscotti, qualche caramella e merendina. Una volta che il colloquio termina sei obbligato a portare in cella quello che è rimasto, non lo puoi dare assolutamente ai famigliari, neanche nell'ipotesi della presenza di bambini.
Gli alimenti che possono portare i famigliari sono rigidamente elencati, non ci sono forme di tolleranza, se non corrispondono alla lettera vengono restituiti ai familiari dopo che sono usciti dal colloquio, il che comporta che al rientro dal colloquio non ti ritrovi quanto i famigliari ti hanno detto che ti hanno portato.
Anche in questo c'è una particolarità, diversamente dalla stragrande maggioranza delle carceri non è consentita l'entrata di generi alimentari (salumi, formaggi) nelle confezioni sottovuoto per non darti la possibilità di conservarli. Questa disposizione è valida anche nella ricezione dei pacchi postali.
Capitolo 4. La camera di pernottamento
Restando 20 ore su 24 chiusi è difficile definirla camera di pernottamento, quando si è costretti a stare sul letto per mancanza di spazio allora la notte vale il giorno. Lo spazio calpestabile è di 5,70 mq. Da dividere in due detenuti, 2,85 mq a persona. Ciò sta a significare che in due non ci si può muovere se non alternandosi, questa allocazione in due per cella contravviene ai parametri stabiliti dalla sentenza Torreggiani v.s. Italia nella quale sono previsti, nella camera di pernottamento, minimo 3 mq a detenuto. La struttura della cella poi è davvero problematica.
Il soffitto basso di appena 2,70 metri comporta una scarsa aerazione, si è costretti a tenersi per la gran parte della giornata la finestra aperta e anche di notte non se ne può fare a meno. Le brande sono a lato della finestra e non puoi far nulla per evitare che gli spifferi di vento quando sei a letto ti raggiungano sulla testa anche quando dormi.
Il bagno di dimensioni ridottissime è senza finestre, vi è un piccolo aspiratore che non serve a niente. Inoltre, nel bagno, hanno previsto anche la doccia che comprende solo un impianto dove esce acqua calda nelle ore stabilite: 8.30-11.00; 13.00-15.00; 18.00-20.00. Non vi è un piatto doccia ma solo un buco di scolo dove defluisce l'acqua. L'inadeguatezza del locale bagno per fare la doccia comporta che quando si è finito di fare la doccia devi pulire tutto il bagno perché l'acqua è schizzata dappertutto e devi asciugare sia il pavimento sia i muri. Per lavarti mentre sei in doccia devi aprire almeno 20 volte il pulsante che fa sgorgare l'acqua e ogni volta la durata è di pochi secondi, così il momento che doveva essere di relax si traduce in una ripetizione meccanica di gesti.
Un'altra impresa è quando si usa il lavandino. Per solo lavarti il viso, sei costretto a venire fuori dal bagno, la dimensione è pari ai lavandini che sono predisposti nei bagni degli aerei, e nello stesso lavandino si lavano i piatti e le pentole.
La luce del bagno è pari a un lumino di camposanto! Radersi è un'impresa perché manca la luce necessaria e lo specchio non è in vetro e riflette il viso distorto, sei costretto a raderti "al tatto", seguendo con le mani i contorni del viso.
Anche il lavandino è dotato di pulsante erogatore che devi aprire continuamente, il dosaggio non supera il litro e mezzo d'acqua per volta, la durata è di cinque secondi, stessa routine della doccia.
Sono rimasto sorpreso di un particolare: sul pulsante erogatore come per fatalità è impresso il nome del modello "Presto, presto". Mi viene il dubbio che sia stato scelto non a caso, visto il tempo che si ha in questo carcere per oziare.
L'arredo è composto di due mobiletti piccoli, due mobiletti più grandi dove puoi appendere gli abiti, due scrittoi, due sgabelli e un apparecchio televisivo. Quest'ultimo è incassato nel muro e chiuso in una nicchia con un vetro spesso a protezione del televisore. Tanto comporta che non puoi vedere la TV se non in una sola direzione. Devi stare in piedi perché seduto l'angolazione non ti permette di vedere il quadro nitidamente. L'orario dell'accensione e spegnimento della TV va dalle 7.00 del mattino alle 2.00 della notte. I canali predisposti sono soltanto dodici di cui due non si ricevono bene: Rai uno e Rai uno sport.
Le radio sono tre: radio uno, due e tre, quest'ultima non prende il segnale.
Nella camera è predisposta una condotta d'aria calda per asciugare i capelli. Il comando è dell'agente che devi chiamare ogni volta che ne hai bisogno. Da questa condotta viene fuori aria puzzolente e spesso polvere, tanto che non ne fa uso nessuno.
Sotto l'apparecchio televisivo è predisposto un quadro di comandi, luce, fon chiamata agenti con relativo altoparlante, con il quale si potrebbe interloquire perché provvisto anche di microfono. È fuori uso, anzi è staccato, così sei obbligato a strillare per ogni incombenza.
Oltre i mobiletti è previsto di tenere tre cestelli in plastica, che puoi comprare nella spesa, ma nonostante questa "alta" concessione si è costretti a mettere sul pavimento le varie confezioni di alimenti che non puoi mettere altrove per mancanza di spazio.
Tutto è rigorosamente fisso: brande, mobiletti, scrittoi, non ci sono tavoli, solo gli sgabelli sono mobili, tutto il resto è immobile. Come immobile sembra il sistema di amministrazione di questo istituto.
Capitolo 5. Spazi all'aria aperta e saletta
Ogni sezione ha il suo passeggio assegnato, le dimensioni sono identiche. Gli spazi sono ridottissimi, quando scendono oltre dieci persone sei costretto a camminare formando delle file come un plotone di militari. Nello stesso spazio si corre seguendo il perimetro del muro e spesso quando si è in molti si è costretti a sedersi sui gradini presenti, perché non trovi nemmeno lo spazio per passeggiare mentre gli altri corrono.
In questo spazio è consentito giocare al calcetto, solo per un'ora, dalle 13.00 alle 14.00.
L'accesso al passeggio è al mattino dalle ore 9 alle 10.50, al pomeriggio dalle ore 13.00 alle 14.45. Non è consentito portare al passeggio nulla oltre il tuo vestiario. Nel senso che se volessi portare un asciugamano per usarlo come tappetino da mettere a terra per fare esercizi di ginnastica, è assolutamente vietato. Se durante l'orario di passeggio vieni chiamato dal medico e sali, non si può più scendere, devi ritirarti in cella.
In alternanza al passeggio si può accedere a una saletta presente in sezione, la quale dovrebbe sostituire lo spazio all'aria aperta se nella stagione invernale non si può accedere al passeggio quando il tempo non lo permette.
La saletta misura all'incirca 20 mq, c'è un calcio balilla, dei tavolini con sedie. In sezione sono presenti ventotto detenuti, vale a dire che ognuno di noi ha diritto a quattro mattonelle 40x40. Non dico una baggianata se azzardo che i criceti godono di gabbie più spaziose!
Capitolo 6. Il sistema sanitario
Nonostante il sistema sanitario regionale dell'Emilia Romagna sia tra i più efficienti d'Italia e spesso viene segnalato come modello da seguire, in carcere le cose vanno diversamente.
Le attese per le visite specialistiche nelle strutture esterne sono lunghissime. A Parma è presente un centro clinico che fornisce servizi settimanali per ogni specialista (dentista, urologo, ortopedico, ecc), ma gli appuntamenti così regolati pare non siano sufficienti al fabbisogno della popolazione detenuta e ne consegue che i tempi d'attesa vengono dilatati.
Le visite mediche di sezione si possono effettuare solo due giorni a settimana, il mercoledì e il sabato. Molto spesso non vengono effettuate e trascorrono anche dieci giorni prima di essere visitati. Se vi sono urgenze vengono segnalate per telefono e capita anche che ti fanno la diagnosi e prescrivono i farmaci per telefono. È accaduto proprio a me di avere un dolore particolarmente acuto nella zona inguinale, causa dei postumi di una partita a calcio, e ho chiesto del medico. L'agente ha segnalato la situazione e dopo un po' si è presentato con la terapia: due compresse di Voltaren.
Ma nel lontano 1992 sono stato colpito da uno shock anafilattico causa un'allergia proprio al Voltaren. Questa non è allora una dimostrazione della superficialità del servizio? Infatti, sulla mia cartella clinica è messa in evidenza questa allergia, e la prescrizione di farmaci senza il controllo della cartella clinica non dovrebbe proprio mai avvenire.
Ritornando alle visite specialistiche che si effettuano nel centro clinico ed in particolare la visita cardiologica di primo ingresso per poter accedere al locale palestra, i tempi diventano particolarmente lunghi. È quasi un mese che aspetto quest'esame, ma c'è gente che è in attesa da sei mesi con il risultato di non poter fruire delle ore di palestra previste settimanalmente.
Non so se sia una coincidenza il ritardo sproporzionato per queste visite, ma ho comunque imparato che nulla in questo carcere è dovuto al caso.
Capitolo 7. Servizio spesa
Potrebbero mai mancare anche qui le stranezze? Ebbene si, prima di tutto non ci sono giorni prefissati per consegnare la lista delle ordinazioni. Le ordinazioni vengono stabilite mensilmente, con quale criterio è difficile capire. In tutte le carceri italiane ci sono giorni prestabiliti, qui a Parma invece no!
Non puoi ordinare più di due pezzi per prodotto, finanche la carta igienica ha il suo limite consentito. Il paradosso sta nel fatto che questo divieto è finalizzato a non far creare accumulo di generi, ma anche volendo accumulare si è costretti a tenere a terra le confezioni.
Per le bevande alcoliche, vino o birra, viene autorizzato l'acquisto solo con prescrizione medica che dovrà certificare l'idoneità al consumo. Vuol dire, in parole povere, che si inverte l'onere della prova, mentre in tutti gli istituti penitenziari, dove si possono acquistare le bevande alcoliche è il medico che segnala il divieto di acquisto per motivi di salute o perché sottoposti a terapie particolari, qui a Parma devi richiedere una visita medica per farti rilasciare il nullaosta per l'acquisto delle bevande alcoliche dimostrando che non sei un ubriacone o un malato. Sulle confezioni di vino o di birra viene impresso con un pennarello il nome dell'acquirente ed i vuoti, anche i cartoni del Tavernello, devi consegnarli una volta svuotati, pena la mancata consegna delle altre confezioni.
Capitolo 8. Servizio magazzino
Il limite vestiario previsto ti impone di prenotarti il martedì sera per il mercoledì per recarti al magazzino. Se per dimenticanza non lo fai, devi aspettare quindici giorni per il cambio della biancheria.
I capi d'abbigliamento consentiti sono: 1 giubbotto, 1 k-way, 3 pantaloni, 2 tute, 4 camice, 3 paia di scarpe, 2 paia di ciabatte, 1 accappatoio o 1 telo da bagno, 3 asciugamani da viso, 3 da bidet, 1 cinta, 10 magliette tra magliette intime e maglie ordinarie, 6 paia di calzini, 6 mutande.
Ogni capo d'abbigliamento usurato, anche le mutande, devi consegnarlo per la sostituzione. Oltre questo servizio il magazzino svolge il servizio di consegna di alcuni oggetti che si acquistano alla spesa. Se acquisti il tagliaunghie devono rompere la limetta prima di consegnartelo e registrarlo.
Vengono restituiti e consegnati dal magazzino oggetti quali forbicine, cestini, ganci a ventosa, pentole varie e oggetti per uso della cucina. Per consegnarti le forbicine devono finanche registrarle dall'agente di sezione. Gli oggetti "a registro" ti vengono consegnati se ne sei sprovvisto o con il cambio di quello già in possesso.
Capitolo 9. Servizio lavanderia
L'unico servizio che funziona puntualmente. Il lunedì c'è il cambio delle lenzuola che ti fornisce l'amministrazione, perché non è consentito avere lenzuola personali. Oltre alle lenzuola fornite dall'amministrazione non è possibile lavare nessun altro capo.
Capitolo 10. Servizio cucina
Il vitto somministrato è di qualità mediocre, anche nel rispetto del menù ministeriale la preparazione è scarsa, come il condimento. La pasta arriva puntualmente scotta. Anche questo servizio non manca di una particolarità. Infatti, è il primo istituto, fra quelli dove sono stato, dove, nonostante sia previsto dal menù ministeriale, non vengono distribuite le crostatine la domenica e i giorni festivi. Il dolce è un lusso!
Capitolo 11. Gli assurdi in nome della "sicurezza"
Perché non si possono avere le pinzette? Risposta: "Per la sicurezza". E solo cinque ganci a ventosa "per la sicurezza", e il tagliaunghie senza limetta "per la sicurezza", e i vuoti del vino e della birra "per la sicurezza", e la carta igienica solo due rotoli "per la sicurezza". E via discorrendo, tutto in nome della "sicurezza", ma ne siamo proprio sicuri?
Ebbene, ho vissuto un'esperienza identica nel carcere di Sulmona, stesso modello, stesse limitazioni, stesse operazioni come la battitura e la conta tre volte al giorno e un continuo andirivieni di notte, a porre fine a queste abnormità si giunse solo dopo una tragedia che colpì la direttrice. Ne seguì un avvicendamento e le cose cambiarono. E qui cambierà mai qualcosa?
Aggiungo che non a caso nel capitolo 1 delle attività presenti non ho menzionato un corso culturale, che è ancora in atto, di "Etica e legalità".
Ma paradossalmente mi viene spontanea una riflessione: corsi di questo tipo non sarebbero più idonei se fossero frequentati da coloro che amministrano tante carceri in modo poco civile? Non è una polemica, ma il fatto che in carcere ti scontri spesso con una arroganza dei tutori della legalità, che troppe volte non rispettano la legge in nome della legge stessa!
Questo stato di cose non mi lascia affatto indifferente, mi inquieta perché sono cosciente del fatto che in altri tempi non avrei pazientato tanto. Sto resistendo al rischio di farmi prendere da impulsi irrazionali, ma in questo istituto la possibilità di dialogo ho l'impressione che non ci sia, devi solo tacere e accettare le loro regole e questo lo subisco in modo rabbioso. Mi viene in mente il convegno "La rabbia e la pazienza", a cui ho partecipato a Padova, e come una detenzione rabbiosa possa trasformarsi in una detenzione riflessiva, ora mi trovo sul punto di passare da una detenzione riflessiva a una rabbiosa, anzi, vergognosa! Questo è difficile da accettare, l'unica condizione per far sentire la propria presenza è chiedere di essere allocato nella sezione di isolamento, cosa che farò! Voglio terminare proprio con il capitolo sulla sezione isolamento.
Capitolo sezione isolamento (sezione iride)
Credo che dagli anni settanta, che non ho vissuto nelle carceri, ma di cui ho testimonianza, non si vedeva una sezione isolamento come quella del carcere di Parma. Nella suddetta sezione la cella è liscia, ciò vuol dire che è spoglia di ogni arredo, è provvista solo di uno "sgabello" e un "tavolino" in cemento. Chi chiede di essere allocato nella sezione in oggetto o viene sanzionato, non può tenere nulla in cella ad eccezione degli indumenti indossati, è costretto a dormire sul materasso di gommapiuma, spesso senza lenzuola, con il blindato chiuso anche d'estate. La struttura è fatiscente, e quando piove l'acqua entra in cella e bagna tutto, cioè il materasso.
Non è consentito l'acquisto di generi, ad eccezione di sigarette e acqua (posto che quella che esce dal rubinetto ha un colore rossastro e si suppone che sia altamente inquinata a causa del termovalorizzatore della città di Parma che dista solo qualche centinaio di metri dal carcere, motivo per il quale veniamo sottoposti ad esami delle urine per controllare i valori che segnalano la presenza delle polveri sottili); non si può leggere, giornali e libri non sono consentiti, non c'è televisione e non si può avere neppure la radio.
La cosa più triste è che se ti vengono a trovare i tuoi famigliari e ti portano dei generi alimentari, non ti vengono consegnati, sono lasciati nel posto di guardia a marcire.
9 luglio 2015, da ristretti.org
No Tav: blocchi al Moncenisio, lacrimogeni a Chiomonte
La marcia dei No Tav francesi attraverso i paesi dove sono previste i cantieri per la realizzazione della tratta transalpina della Lyon Torino, tranquilla e partecipata durante i dieci giorni transalpini, si è incastrata in un gigantesco posto di blocco a Bar Cenisio, dove un tempo c’era il controllo di frontiera della polizia italiana. L’Unione Europea è un organismo a geografia variabile: di fronte a migranti e oppositori politici le frontiere si richiudono. Questa volta non è stato necessario ricorrere alla norma che consente la sospensione temporanea del trattato di Schengen. Otto blindati dell’antisommossa, piazzati di traverso sulla statale 25 del Moncenisio, hanno chiuso il passaggio alle cinquanta auto e furgoni che scendevano dal Moncenisio, dopo l’incontro con un gruppo di No Tav italiani al forte Varisella.
In un crescendo di arroganza, insulti e ridicolo la digos ha preteso di fotografare e controllare tutti i partecipanti alla marcia, bloccando per ore la statale in un venerdì pomeriggio di luglio. Una fila di chilometri si è formata lungo i tornanti della statale. Erano ormai le 20,30 quando finalmente la colonna ha cominciato a scendere verso il campeggio di Venaus.
Il giorno successivo, dopo la rituale passeggiata in Clarea di tutti i viandanti No Tav, l’appuntamento era alla Gravella, nei pressi del cancello della centrale Iren, che delimita l’area della zona occupata a tre chilometri dal cantiere sotto i piloni dell’autostrada nell’area dove l torrente Clarea confluisce nella Dora. Sul ponte sulla Dora erano stati piazzati quattro jersey per sbarrare il passaggio.
Intorno alla mezzanotte, durante il concerto serale, i No Tav che affollavano l’area si sono spostati sul ponte per una battitura. La polizia, già schierata con idrante e uomini dell’antisommossa sull’altra sponda del fiume, al riparo dei jersey, ha usato acqua e gas per sgomberare il ponte, continuando i lanci per una buona mezz’ora anche nell’area dell’ex campeggio Gravella. Lacrimogeni a grappoli hanno invaso tutta l’area, avvolta da una nebbia di gas. Gli spari sono continuati per oltre una buona mezz’ora.
La polizia è decisamente nervosa e reagisce oltre misura ad una banale protesta a chilometri dal cantiere.
11 luglio 2015, da piemonte.indymedia.org
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La cassazione ha rigettato il ricorso dei pm: le accuse di terrorismo per Lucio, Francesco e Graziano vengono respinte. Così già si era espresso il tribunale del riesame il 29 dicembre scorso ma Padalino e Rinaudo, come cani aggrappati all'osso avevano ricorso in cassazione. Non è servito a nulla: un altro ostacolo, l'ennesimo, viene a cadere sul tentativo di far passare le accuse di terrorismo con i reati 280, 280 bis, 270 sexies.
Nel frattempo, Lucio, ri-arrestato ieri per una violazione delle restrizioni a cui era sottoposto. Per scrivergli:
Lucio Alberti, via per Cassano Magnago 102 - 21052 Busto Arsizio (Va)
milano: Cronaca di una giornata di ordinaria ingiustizia
Nella grigia metropoli milanese, quotidianamente vengono eseguiti decine di sfratti e sgomberi. Nel 2014 ad esempio sono stati emessi 4.527 provvedimenti si sfratto e sono stati effettuati centinaia di sgomberi. Fortunatamente, ogni tanto qualcuno si organizza per resistere a queste ingiustizie. È quello che è accaduto la mattina di giovedì 9 luglio a Cologno Monzese, quando siamo andati a difendere una famiglia da uno sfratto, uno delle tante, per morosità incolpevole. Chiaramente quando lottiamo siamo ben consci di quanto possa essere fastidioso per coloro che in nome della legge cacciano famiglie in mezzo alla strada che qualcuno si opponga alla loro autorità. Per questo usano la repressione e cercano di criminalizzare la solidarietà per tentare di ridurre a mera questione giuridica la natura direttamente politica dell’emergenza abitativa.
Qualche settimana fa abbiamo conosciuto Ahmed , un facchino iscritto al SiCobas che ci ha raccontato che sarebbe stato sfrattato da una casa comunale in cui viveva da circa 3 anni. La sua storia è la storia di migliaia di persone, che perdono il lavoro e non riescono più a pagare l’affitto, ma a differenza di tutti gli altri, si tratta di una persona che la lotta la conosce bene, e altrettanto bene conosce la prepotenza dei padroni e cosa vuol dire ribellarsi ed essere repressi. Crediamo che le lotte aumentino di potenza quando si incrociano e questa era un’ occasione perfetta per muoversi in questo senso. Perché se stiamo soli siamo deboli, ma se ci uniamo siamo più forti.
Di recente, Ahmed era riuscito a ritrovare un lavoro ed era quindi disposto a trovare un accordo per il pagamento rateale del suo debito ed ottenere un contratto nuovo basato sul suo nuovo reddito. Ma il comune di Cologno Monzese (così come moltissimi altri) fa orecchie di mercante e ha deciso che lo sfratto sarebbe stato eseguito, senza possibilità di appello.
Il picchetto organizzato per quella giornata voleva opporsi a quest’ennesima prepotenza e chiedere che i responsabili del Comune e gli assistenti sociali trovassero una soluzione diversa da quello dello sfratto per garantire un tetto ai bambini di Ahmed. E così, davanti al portone, invece che trovare paura e disperazione, l’ufficiale giudiziario e i carabinieri hanno trovato i solidali pronti ad “accoglierli” con striscioni e bandiere. Assieme all’ufficiale arrivano anche i celerini, i vigili urbani, i fabbri e i pompieri. I solidali sul posto vengono spostati con la forza dal portone, e, seppur con fatica e solamente dopo 2 ore di tentativi, la porta viene aperta e lo sfratto eseguito. In questo lasso di tempo cerchiamo in ogni modo di poter parlare con un rappresentante del comune. Ma l’intera gestione dello sfratto è in mano alla forza pubblica, i rappresentanti del comune sono burattini silenziosi che non hanno alcun interesse se non quello di portare a termine lo sfratto nel più breve tempo possibile.
A questo punto davanti alla casa non abbiamo più nulla da fare, e decidiamo allora di recarci direttamente in comune, a fare pressione ed imporre che dopo lo sfratto si trovino delle soluzioni concrete per Ahmed e la sua famiglia (composta da moglie e tre figli), e non la proposta grottesca di una settimana in albergo solo per la moglie ed i figli.
Ma lungo la strada per il comune una delle auto viene fermata, e con un pretesto i carabinieri aggrediscono verbalmente e fisicamente i solidali, provocando e decidendo di fermare otto persone e portarle in caserma senza un chiaro motivo. Non c’è stata nessuna rissa ma la precisa volontà delle forze dell’ordine di costruire ad arte un episodio su cui ricamare sopra arresti e denuncie.
Sei degli otto compagni fermati infatti vengono arrestati con l’accusa di resistenza e lesioni e venerdì in un’udienza per direttissima il tribunale di Monza ordina per tutti loro l’obbligo di firma una volta al giorno, rinviando la prossima udienza ad ottobre. La farsesca ricostruzione dei carabinieri (fedelmente ripresa dal Corriere della Sera) che parla di un’improvvisa aggressione a uno dei carabinieri presenti al picchetto ed è adeguatamente corredata da testimonianze e referti fantasiosi, non merita nemmeno una parola.
Più importante, invece, è notare come la gestione degli sfratti e degli sgomberi sia sempre più improntata a ridurli ad un problema di mero ordine pubblico. Quella che è un’emergenza politica e sociale si riduce ad una procedura legale appaltata di volta in volta a poliziotti violenti e ai loro modi da sceriffi. Assessori o assistenti sociali non propongono nulla perché il loro ruolo non è di tutela ma di agevolazione delle operazioni di pulizia degli indesiderabili dai vari quartieri. Lo disse l’allora ministro Lupi all’epoca dell’approvazione dell’articolo 5: “Chi occupa le case è un criminale e come tale va trattato”. La macchina degli sfratti va avanti perché deve andare avanti il meccanismo di speculazione edilizia di cui Milano e dintorni sono un modello. Ben venga allora l’arroganza delle forze dell’ordine quando serve a cercare di fiaccare le resistenze, di spaventare le famiglie in difficoltà e indebolire la forza compatta di chi lotta cercando di individuare presunti soggetti pericolosi.
La crisi avanza, ma nuove esperienze di lotta continuano a germogliare. Mentre gli uomini dello stato restano indifferenti davanti alla sofferenza degli sfrattati, c’è chi non si arrende e vuole smettere di sottostare ai soprusi nascosti dietro la frase “E’ la legge che dice così, stiamo solo eseguendo ordini”. Abbiamo imparato nelle lotte che la legge non coincide con la giustizia, per questo restiamo da questa parte della barricata, che nessun fabbro prezzolato o poliziotto-rambo riuscirà a sfondare, per quanto possano provarci ogni volta.
Per questo lanciamo per Venerdì 17 luglio dalle 9 un presidio davanti al Comune di Cologno Monzese (Via Mazzini 9) per esigere che venga data a Ahmed e la sua famiglia una soluzione reale.
BASTA SFRATTI, BASTA SGOMBERI, CASA PER TUTTI E TUTTE!
luglio 2015, Comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio
aggiornamenti dalle lotte nella logistica
Torre Boldone (Bergamo)
Il pensiero di tutto il si cobas va alla famiglia di Adam (lavoratore SDA di Torre Boldone) morto dopo due settimane in una sala di rianimazione dell’ospedale di Seriate in seguito all’annuncio da parte del padrone di casa dello sfratto. Dopo aver lottato per difendere la sua dignità e i suoi diritti nella lotta alla SDA ha lottato contro il male estremo ma purtroppo ha dovuto soccombere.
Il responsabile della sua morte non ha un nome e cognome di un individuo, ma quello del sistema economico capitalista che non lascia scampo ai proletari che devono vivere del loro salario, come non ha lasciato scampo a Mohamed morto per un malore nei campi di Nardò a raccogliere pomodori per padroni già inquisiti ma che restano liberi di sfruttare e far morire i nuovi schiavi nel più completo disinteresse delle cosiddette istituzioni.
Cosi come il mare non ha lasciato scampo a migliaia di esseri umani proletari, provenienti da tutto il mondo, morti nella ricerca di pezzo di pane che questo sistema economico capitalista gli ha negato.
La nostra lotta, per migliori condizioni salariali e lavorative, continuerà anche nel nome di Adam, per dare un minimo di dignità ai lavoratori e alle loro famiglie, contro i padroni che sfruttano e si arricchiscono sulla pelle di milioni di proletari di tutto il mondo.
Una promessa siamo in grado di farla. Parafrasando una canzone di P. Bertoli: “Non vincono, non vinceranno, non hanno domani, perché la forza è il puntello impugnato da oneste fortissime mani”.
Il puntello che impugnano i lavoratori contro i padroni è la forza dell’unità con cui vinciamo le battaglie contro le coop e committenti, come quella che Adam ha vinto a Torre Boldone contro SDA, BATTENDO LA PAURA, con la solidarietà di tutti i lavoratori. Dobbiamo solo vincere la battaglia finale contro il capitale.
Questo è quello che stiamo costruendo ed in questa direzione vanno le nostre lotte e la nostra organizzazione: la liberazione dal salario e dai parassiti del capitale.
Siccome la vita è fatta di materialità e non solo di parole, Attiveremo, sia come si cobas che come lavoratori, un minimo di sostegno economico di cui si faranno carico tutti i coordinamenti provinciali per sostenere inizialmente la famiglia di Adam affinché nel frattempo possa trovare una soluzione dignitosa.
Gravissimo attacco al Cobas GLS di S. Giuliano
Dopo lo sciopero di martedì mattina, che facendo seguito allo stop nazionale della settimana precedente, ha paralizzato le attività del magazzino Gls di S.giuliano.... i nodi sono venuti al pettine. Lo sciopero infatti ha messo in moto un'onda tellurica palese, riducendo nell'immediato, le commesse Amazon (uno dei clienti attuali piú importanti della Gls e non solo) generando una sorta di terrore nella direzione padronale e, allo stesso tempo, scatenando la sua furbizia reazionaria.
Facendo leva sulla diffusa "incoscienza proletaria di classe", che spinge ogni singolo operaio a pensare esclusivamente alla propria "esistenza famigliare", la Youlog organizza oggi, a fine servizio, un'assemblea degli operai, aizzandoli contro gli iscritti al cobas, colpevoli di aver minacciato, coi loro scioperi, la fonte di sopravvivenza collettiva, vale a dire... un'esistenza legata al movimento delle merci, fino a divenire merce essa stessa.
Gli operai iscritti al Si.cobas, si trovano così prima assediati, poi minacciati, infine a rischio concreto di linciaggio, da parte di una sessantina di colleghi (potenziali canaglie fascistoidi figlie della crisi). L'obiettivo padronale è esplicito: "uscite dal Si.cobas!". Il metodo altrettanto: "se non lo fate rischiate la pelle".
Di fronte a tale quadro, contesto socio-politica concreto dentro il quale prende forma e vita il movimento degli operai della logistica, diventa sempre più pressante l'esigenza di scatenare la giusta battaglia anche fra le fila del movimento operaio stesso, affrontando apertamente tutte le sue deviazioni opportuniste e filo padronali, espressione diretta della miseria materiale a cui é costretto. Mentre scriviamo non sono affatto chiari gli esiti della vicenda qui descritta e denunciata.
Non c'é quindi nessun senso di vergogna nell'affermare che tra i militanti del cobas c'é anche una concreta paura di tornare al lavoro. E nessun senso di sudditanza nel dire che cercheremo, con ogni nostra forza disponibile, di combattere la guerra voluta dal padrone. La sua estinzione come classe é l'unica nostra vera strategia. Una strategia che si nutre della resistenza operaia quotidiana.
Una cosa é certa: l'istigazione al linciaggio di oggi non resterà impunita!
Milano, luglio 2015