indice n.103
L’Occidente vuole lo spezzettamento della Siria
Elezioni in Turchia: un naufragio di Erdogan
Con chi vuole cooperare l’Unione Europea (UE) in Libia?
aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i c.i.e.
Cosa succede a Pozzallo (ragusa)
La mafia del capitale, il capitale come mafia
lettera dal carcere di pozzuoli (na)
41bis, 14bis = TORTURA
Lettera dal carcere di Spoleto
lettere dal carcere di milano-opera
lettere dal carcere di massama (or)
due lettere collettive dal carcere di parma
lettera dal carcere di bancali (ss)
lettera dal carcere di rossano (Cs)
lettera dal carcere di agrigento
Trento: Presidio al carcere di Spini di Gardolo
lettera dal carcere di Sulmona (aq)
Lettera dal carcere di Teramo
lettera dal carcere di avila (spagna)
Milano: sgomberato l’hotel occupato
ALCUNE NOTE SUL PRELIEVO DEL DNA
Torino: decine di famiglie prendono casa
Giornate di sfratti a Palermo
Sul blocco degli scrutini contro “La buona scuola”
fiat pomigliano: LA LOTTA CONTINUA... E NON SI ARRESTA!!
EXPOlizia 2015: al via le liste di proscrizione
L’Occidente vuole lo spezzettamento della Siria
“La sicurezza della Siria è la sicurezza dell’Iran” è una dichiarazione di Alì Akbar Velayati, iraniano, consigliere di politica estera del presidente dell’Iran, l’ajatollah Alì Khamenei. Secondo Velayati, appena tornato da una visita ufficiale in Siria dove ha incontrato il presidente Assad, l’Iran non tollererà la creazione di una zona aerea vietata sulla Siria “gli stati islamici e regionali arabi dovrebbero unirsi nella lotta contro lo ‘stato islamico (IS)”. I piani secondo cui gli stati della regione devono essere ritagliati seguendo l’appartenenza religiosa ed etnica, devono essere respinti.
Velayati si riferisce ad una decisione del Congresso USA della fine d’aprile, secondo cui l’Irak deve venir diviso in tre parti – una kurda una sunnita e un’altra sciita. Anche per la Siria esistono simili piani. Ad esempio, il governo tedesco ha dato incarico alla Fondazione per la Scienza e la Politica, da esso stesso finanziata, in relazione alla “frammentazione della Siria”.
Sulla base di questa ipotesi i kurdi abitanti nel nord-est della Siria – con gli aiuti dell’Occidente – vengono staccati. Le organizzazioni terroriste IS e Al Nusra Front potrebbero ottenere l’oriente della Siria, le province di Idlib e di Deraa situate rispettivamente nel sud e nel Golan. Alla fine rimane una Siria estesa da Aleppo, passando per Damasco, fino a As-Suwaida. A questo tronco, apparterebbero anche i territori costieri, le regioni cristiane e la catena montana di Qalamoun nell’occidente.
Per assicurarsi la provincia di Idlib e per incorporare anche Aleppo, la Turchia pensa di istituire una “zona aerea vietata”. In questa zona la “Coalizione Nazionale” con sede a Istanbul, finanziata dall’Occidente, dalla Turchia e dalle monarchie del Golfo Persico-Arabico, potrebbe stabilire un proprio governo.
Il negoziato peloso su questi piani – contrari al diritto internazionale – cammina con diversi cambi di strategia. Arabia Saudita, Turchia e Qatar hanno riproposto i loro diversi punti di vista riguardo ai Fratelli Musulmani e hanno“armato e ingaggiato i mercenari meglio addestrati proprio per frazionare la Siria”, come spiega un giornalista di Damasco che non vuole essere nominato.
Intanto l’esercito siriano si è ritirato da tanti fronti riguardanti punti strategicamente importanti allo scopo di difendere le grosse città dove oggi vive la gran parte della popolazione siriana.
Nel frattempo, il ministro degli esteri della Russia, Lawrow, ha esortato il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a impedire immediatamente e concretamente il commercio del petrolio da parte dell’IS: “Le vie del commercio e del trasporto – ha detto – devono essere rese note e devono essere perseguiti i criminali che in Siria e in Irak sostengono le organizzazioni terroristiche.”
giugno 2015, da jungewelt.de
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Milizie curde liberano Tal Abyad, ISIS in fuga verso Raqqa
Le forze curde dell’Ypg e YPJ hanno strappato ufficialmente all’Isis il controllo del valico di confine con la Turchia nei pressi della città di Tal Abyad, a Nord di Raqqa, capitale del Califfato in Siria. La zona è un punto di passaggio strategico per lo Stato islamico che lo controllava da gennaio 2014, e che ora sarà costretto a deviare di centinaia di km a ovest, nella provincia di Aleppo, i propri rifornimenti, sia in termini di approvigionamento che di uomini, essendo la città il punto da cui affluivano la maggior parte dei “foreign fighters”.
Entrati a Tel Abyad nel tardo pomeriggio di ieri, i combattenti curdi hanno ammainato la bandiera dell’Isis sostituendola con la loro, come anche i ribelli siriani anti-Assad che sono intervenuti a sostegno delle forze curde. Da stamattina, quindi, la zona è in mano alle milizie curde, che hanno così unificato i due cantoni già liberati di Kobane e Cyzire. Nelle due province è già iniziata la ricostruzione, ma la popolazione locale continua a scontrarsi con l’ostilità della Turchia che impedisce l’afflusso di aiuti.
17 giugno 2015, da infoaut.org
Elezioni in Turchia: un naufragio di Erdogan
Segue un articolo di Sevim Dagdelen portavoce per i rapporti internazionali della Frazione la Sinistra e presidentessa del gruppo parlamentare turco-tedesco nel parlamento della Germania.
E’ un successo storico quello raggiunto dall’alleanza elettorale HDP (che tradotto sta per: “Partito Democratico del Popolo”) nelle elezioni per il parlamento turco: ha raccolto il 13%, cioè 6 milioni di voti, 80 deputat* (31 sono donne). L’HDP ha così conquistato la maggioranza in 14 province con risultati in crescita non soltanto nel sud-est kurdo, ma anche nelle città del nord est Ardahan e Kars, come pure nella città alauita di Dersim. Oltre a ciò sono arrivati successi nelle grandi città dell’ovest quali Istanbul e Izmir.
L’AKP, il partito di Erdogan, ha perso la maggioranza in generale; con le nuove elezione detiene (appena) circa il 40% dei seggi parlamentari. Di conseguenza i piani di Erdogan di cambiare la costituzione per mettere le ali ad una dittatura presidenziale per il momento sono stati stoppati. Il risultato elettorale è anche un benservito diretto alla campagna denigratoria del regime islamico instaurato dall’AKP contro kurdi, alauiti, armeni e sciiti, come contro donne, laici, secolari e omossessualità.
La corruzione sempre più sfrontata dei funzionari dell’AKP, il cosciente disprezzo rivolto a chi lavora come è stato manifestato dal governo nella sciagura mortale accaduta nella miniera di Soma, la denigrazione espressa contro il movimento del Gezi Park, la discriminazione messa in campo contro le donne, la persecuzione di artisti laici e non ultima, la scoperta di forniture di armi alle bande dell’IS e di Al Qaida in Siria, hanno causato la rilevanza delle perdite.
Assieme ad Erdogan è naufragata la sua consigliera nell’Unione Europea (UE) ossia la cancelliera Angela Merkel. Il governo di Berlino ha taciuto ogni crimine compiuto dall’AKP. In segno di ricompensa per l’aggressione al movimento del Gezi Park, Merkel si impegnò a favore dell’ingresso della Turchia nell’UE. Una maniera cinica di apprezzare i progressi democratici.
Nei 13 anni di potere assoluto l’AKP aveva esaudito tutti i desideri del capitale tedesco – dalle aperture di mercato fino alle privatizzazioni. Nella NATO Ankara è diventata partner affidabile per i nuovi interventi nelle guerre come in Afghanistan, o nel fornire sicurezze nelle (sue) zone di influenza nei Balcani. Quando Erdogan cercò, sotto false bandiere, di legittimare un’invasione turca in Siria, i partiti che sostengono il governo Merkel, votarono a favore di un aiuto che si concretizzò nell’invio di soldati della Bundeswehr nei teatri di guerra.
giugno 2015, da jungewelt.de
Con chi vuole cooperare l’Unione Europea (UE) in Libia?
Presupposto che le armi entrano in Libia per volontà degli stati occidentali, in breve della NATO, affinché finiscano nelle mani di chi persegue guerre di religione che colpiscono a morte l’autonomia dei popoli arabi, la loro identità, che li risospingono nell’annullamento di popoli dominati, colonizzati.
Gli stati-Nato, l’imperialismo vogliono, cercano il pieno potere, il controllo sul petrolio, come sul gas, come sulle braccia del proletariato arabo e non solo. Per arrivare a questo si servono di tutto anche della possibile guerra fra islam sunnita e islam sciita. Perché no? Questo raccontano i documenti qui sotto riportati. La cupidigia di chi è alla caccia del profitto oggi in Siria, Irak e Libia adopera in Italia la stessa determinazione, gli stessi giochi falsi per ottenere la carneficina necessaria al tentativo di seppellire la dignità di lavoratori, lavoratrici nell’opera di sradicare in loro le capacità sociali, comunicative presupposto dell’agire in comune.
Lo stato italiano è parte attiva di quanto accade nei paesi arabi, della rapina su chi lavora per finanziare le “operazioni NATO” ecc., guerre che provocano, fra altre gravi conseguenze, la fuga e l’emigrazione anche verso l’Italia… Tutto ciò, vogliamo o meno, ci attornia, penetra, lo dobbiamo dunque conoscere per costruire adeguate risposte di lotta che ci riguardano, che invocano il nostro impegno.
Dopo aver completamente smembrato l’apparato dello stato libico, l’UE, sostenuta da USA e da alcuni stati arabi, si trova oggi di fronte, in Libia, a due governi che si combattono armi in mano. L’uno, riconosciuto dalla comunità internazionale degli stati), che controlla appena una piccola parte del paese, dopo essere stato cacciato l’anno scorso da Tripoli (la capitale) ora è confinato nell’estremo est (confine con l’Egitto). L’altro, il contro-governo impiantato a Tripoli, è relativamente dominato dagli islamici moderati. Entrambi godono del sostegno di alcune delle numerose tribù e delle milizie regionali. Parti del paese, comunque, sono controllate da milizie che, in fondo, sul lungo periodo non esprimono lealtà a nessuno dei due governi. Lo smembramento del paese è ulteriormente segnato dal fattore IS (Stato Islamico), il quale esercita il proprio potere nella città costiera di Sirte.
Per le azioni militari pianificate nel mare aperto libico (contro le imbarcazioni delle persone in fuga dai paesi africani colpiti da guerre, miserie di ogni tipo…) e sulla terraferma, l’UE, questo è fissato sulla carta, in Libia persegue come “obiettivo ottimale” concordanza e collaborazione con chi detiene il potere effettivo nei rispettivi territori.
Va detto subito che l’IS non è compreso in questi negoziati. Le strutture, la cui distruzione è stata pianificata dall’UE, necessarie al trasporto dei profughi, in gran parte non sono nelle mani del governo riconosciuto sul piano internazionale che, come l’altro, in ogni caso, rifiuta le azioni militari straniere sul territorio libico. Dal contro-governo e dalle milizie regionali, molto probabilmente, l’UE può aspettarsi forse solo una cooperazione scarsa. Dalla documentazione elaborata dalle marine militari dell’UE emerge che gli organi europei, anche contro la volontà dei diversi centri di potere oggi esistenti in Libia, sono pronti ad imporre i loro piani, forti del “robusto” mandato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Un secondo intervento militare occidentale nell’arco di cinque anni, in Libia, darà comunque slancio alle forze più radicali innanzitutto all’“IS”. Probabilmente le conseguenze dell’intervento militare europeo si ripercuoteranno, in maniera di gran lunga peggiore, nel caso raggiungesse il suo scopo, vale a dire il troncamento completo delle vie di fuga dalla Libia verso l’Europa.
Le autorità italiane stimano che il numero dei profughi dai paesi dell’Africa e del Medio Oriente presenti oggi in Libia, in attesa delle possibilità di oltrepassare il mare, sono circa 200mila. Altri attenti osservatori pensano siano molti di più, anche 1 milione. Nel caso venissero bloccate le vie di fuga percorse finora, la Libia ne risulterebbe ancor più destabilizzata. Gli atti di repressione e violenza contro i profughi, verosimilmente aumenteranno enormemente, ciò insieme all’aumento della pressione delle persone profughe sui paesi vicini, Tunisia e Egitto. L’UE sta per compiere un errore catastrofico.
giugno 2015, da jungewelt.de
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Gli stati dell’UE nella tratta della forza-lavoro minorile profuga
Dall’estate 2014 ad oggi quasi 5mila minorenni non-accompagnati sono sbarcati sulle coste italiane; è confermato che nessuno, dai paesi d’origine, ha segnalato la loro mancanza. I, le minorenni che raggiungono le coste italiane, in gran parte, provengono dal nord-Africa, il 25% circa dall’Egitto.
Segue un articolo tratto da un’inchiesta di “aktivgegenkinderarbeit” (attivi contro il lavoro minorile) associazione presente in diverse città della Germania; pubblicata sul proprio sito internet l’8 giugno 2015.
Le speranze delle-dei minorenni profughe-i
Spesso vengono avviati dalle loro famiglie, che li mettono in vendita (proprio come fossero sostanze, averi) nella speranza che si costruiscano una vita e che inviino loro denaro. Alcune-i di loro hanno in qualche paese d’Europa dei parenti e cercano di raggiungerli. La legge italiana prevede che le-i profughi minorenni non accompagnati ricevano immediatamente il diritto d’asilo.
Però il sistema dell’asilo in Italia è enormemente sovraccaricato e fortemente burocratizzato. Di conseguenza i tempi per iniziare una vita legale in Europa si prolungano per mesi, anni. Quel che accade alla gran parte delle e dei giovani è spietato. Finiscono nel mercato sessuale o nella forza-lavoro agricola non-pagata. Alcuni di loro si possono incontrare-vedere, ad esempio, nel Centro Agroalimentare di Roma, dove caricano e scaricano i camion. Vengono attesi al varco davanti alle porte del Centro dove la loro innocenza, il loro essere inerme viene sfruttato senza pudore.
Gli alloggi per minorenni sono sovraffollati e così tante, tanti di loro finiscono nei centri di raccolta per persone adulte. Lì non ci si prende cura di loro a sufficienza e così divengono facili prede per chi combina le tratte delle persone. Lo sfruttamento sessuale diviene così realtà per numeros* minorenni profugh*. Le, i giovani vengono sempre più tirati dentro il sistema coinvolgente dei trafficanti. Viene loro raccontato di avere debiti, collegati ad alloggi e trasporti, e quindi vengono costretti a lavorare per estinguerli. Ad alcun* giovani è stato dato persino il miraggio di avere una casa per prendere contatto con chi ha in mano le tratte delle persone e così raggiungere i loro famigliari in Europa. Se qualcuno di questi giovani si disperde la polizia non organizza nessuna azione o particolare sforzo di ricerca.
Che cosa fanno le autorità italiane e l’UE?
[…] Sandra Zampa, parlamentare del PD, dice che non esiste un sistema efficiente di dare casa alle e ai giovani, di aprire per loro delle scuole. Ufficialmente il portavoce del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali affermano che compiranno, in futuro, passi per prendere il controllo della situazione. Questa situazione solleva la questione: perché l’UE lascia sola l’Italia?
L’UE alla fine di maggio (2015) ha proposto l’introduzione di un sistema di quote prescritte per consentire una equa ripartizione delle persone profughe in ciascun paese della stessa UE. Questa proposta ha scatenato forti reazioni innanzitutto da parte di Francia, Polonia e Gran Bretagna. Anche la Germania vuole accettare quote di profughi soltanto in rapporto a regole ben determinate. Il suo ministro degli interni afferma che in Germania profughi con prospettiva di lunga permanenza e di asilo sarebbero benvenuti. Un accordo su un asilo politico europeo non è in vista. In ogni caso, la situazione può essere disinnescata soltanto da una nuova politica comunitaria.
I politici italiani sono dubbiosi nello stesso tempo in cui cercano di guadagnare il favore (voto) dell’ONU per un intervento militare volto a ostacolare le correnti dell’immigrazione, bombardando i navigli libici adoperati dai profughi.
Questo è il risultato di una politica europea discutibile che si chiude piuttosto che assumersi delle responsabilità, per iniziare finalmente ad agire e a camminare con una politica comune segnata dall’accoglienza e dall’integrazione.
aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i c.i.e.
Roma, 30 Maggio. Per la seconda volta (analoga situazione era avvenuta a Gennaio) i richiedenti asilo di un centro di prima accoglienza presso Grottarossa si difendono dal lancio di oggetti e petardi contro la struttura in cui vivono, attuando un blocco stradale usando dei cassonetti.
Il giorno dopo durante lo svolgimento di un presidio solidale all’esterno, un gruppo di reclusi del CIE di Ponte Galeria prova a salire sul tetto: sono respinti dalle guardie che lanciano lacrimogeni nel cortile. Un tentativo di fuga viene purtroppo sventato. Durante la notte, irruzione delle guardie con tanto di cani nelle celle della sezione maschile per fare delle perquisizioni. Per rispondere alle provocazioni della polizia e perchè disperati dalle condizioni igieniche, due giorni dopo (1° Giugno) verso le 10,30 un gruppo di ragazzi dà fuoco al prato che si trova di fronte al cortile delle celle di detenzione.
Nella mattinata successiva la protesta di un ragazzo in cattive condizioni di salute trova la solidarietà degli altri reclusi del CIE di Ponte Galeria: la celere risponde con cariche e pestaggi che causano vari feriti.
Tivoli (Roma), 8 Giugno. 60 richiedenti asilo del CARA nell’ex clinica Villa Olivia protestano minacciando di bloccare la Tiburtina, per chiedere pasti e alloggi più adeguati insieme ad iter più veloci per la definizione delle loro pratiche. Riescono ad ottenere una successiva visita dell’ASL che accerta la mancanza dei requisiti igienico-sanitari.
L'11 e il 12 Giugno la polizia sgombera con due “blitz” i migranti, circa 800, presenti in via Cupa e in zona Tiburtina, che da tempo rifiutano di farsi identificare per potersi recare in altri paesi del nord Europa (perché per il trattato di Dublino possono ottenere lo status di rifugiato soltanto nel primo paese di approdo). La maggior parte riesce ad allontanarsi, altri provano a resistere alla cattura ma vengono portati di peso e con violenza nei bus per la futura identificazione. Una ventina i fermati.
Sardegna
4 Giugno, Cagliari. Inizia la protesta ad oltranza dei 120 migranti, da poco deportati in Sardegna, davanti all’ingresso delle dogane del porto: rifiutano l’accoglienza coatta e di farsi identificare, e vogliono continuare il loro viaggio verso altri paesi europei. La lotta dà i sui primi frutti due giorni dopo quando i primi 40 riescono a lasciare la Sardegna imbarcandosi per Civitavecchia.
4 Giugno, Porto Torres (Sassari). Un gruppo di 15 profughi, sbarcati sabato scorso, sostano davanti ai varchi chiusi del porto commerciale: chiedono di lasciare la Sardegna per raggiungere il nord Europa, impedendo l’ingresso all’imbarco delle auto. Il blocco viene fermato dall’intervento di polizia e carabinieri. Inizia pure qua un presidio ad oltranza che dura fino al 6 giugno.
5 Giugno, Carbonia. Dal pomeriggio davanti al commissariato di via Trieste, una quarantina dei 90 profughi ospiti al centro di accoglienza chiedono di lasciare la Sardegna.
8 Giugno, Palmadula (Sassari). Un centinaio di persone trasferite dal centro di accoglienza di Santa Maria La Palma protestano perché non vogliono rimanere lontane dai centri abitati, rifiutandosi di scendere dai bus. La protesta prosegue per due giorni e i 40 migranti rimasti a dormire sui bus per la seconda notte di fila, vengono portati via verso una nuova sistemazione.
10 Giugno, Valledoria (Sassari). 88 richiedenti asilo politico, ospitati in un’ex casa di riposo, protestano per documenti, ticket e qualità del cibo. Nella mattinata seguente continua, con un presidio, la protesta dei richiedenti asilo, che sono usciti dalla struttura in cui sono ospitati e hanno esposto cartelli. Dopo due giorni di protesta la cooperativa di gestione acconsente alle loro richieste e il presidio viene sciolto.
25 Maggio, Sormano (Como). 24 profughi occupano l’Opera Don Guanella, dove vivono da mesi, stanchi di aspettare pazientemente una risposta alla richiesta d’asilo. Impediscono l’accesso agli operatori della struttura, che chiamano in soccorso i carabinieri che “sedano” la protesta in tarda mattinata.
28 Maggio, Bologna. Due lettere contenenti polvere pirica sono state intercettate in un centro di smistamento postale di Bologna. Le missive erano indirizzate ad aziende coinvolte nei lavori di costruzione e ristrutturazione dei Centri di Identificazione ed Espulsione per gli immigrati: “portare la lotta contro i Cie anche al di fuori di quelle mura”.
1 Giugno, Giardiniello (Palermo). Protesta di 43 richiedenti asilo presso la struttura di contrada Bonagrazia. Occupano gli uffici del centro di accoglienza contro i ritardi per il riconoscimento dello status di rifugiato.
4 Giugno, Licata (Agrigento). Un gruppo di migranti si oppone all’accoglienza forzata e rifiuta di scendere dal bus che li porta nel centro. Interviene con forza la polizia che denuncia e arresta un nigeriano di 27 anni e un 21enne originario della Guinea Bissau.
5 Giugno, Pesaro. I migranti presenti da otto mesi in un centro accoglienza, senza aver ricevuto risposte alla richiesta d’asilo, senza soldi e senza assistenza medica, provano ad entrare nel Comune per protestare contro il Sindaco ma vengono respinti con forza dalla polizia.
8 Giugno, Bresso (Milano). Protesta dei migranti, stipati in 300 nelle tende del centro logistico della croce rossa all’interno del Parco Nord di Milano, contro le condizioni in cui vivono nel campo. Un gruppo, tenta di bloccare via Clerici per far conoscere il disagio, improvvisando una manifestazione. Gli operatori chiamano in soccorso una decina di pattuglie di carabinieri e di polizia che fanno rientrare nel centro i migranti.
Il Comune di Milano sta cercando in ogni modo di “dare accoglienza” agli stranieri che stanno arrivando in massa in città. Negli ultimi giorni questi ultimi avevano allestito dei bivacchi in stazione, in mezzo ai passeggeri in transito. Il sindaco Pisapia si è mobilitato per ripristinare il “decoro” della stazione, allestendo degli appositi spazi in locali commerciali isolati dal resto dei passeggeri. Si tratta di box trasparenti, per cui i migranti sono comunque visibili all'esterno come fossero in un acquario. Attorno alla stazione Centrale hanno manifestato sia centri sociali che semplici cittadini, in solidarietà ai migranti, sia (purtroppo) i soliti leghisti, candando "chi non salta clandestino è".
Da fine mese saranno pronti 300 posti in più nell'ex Centro di Identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Il centro attualmente ospita già 200 profughi. E' notizia del 16 Giugno che il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha chiesto al Ministero dell'Interno che non vengano inviati ulteriori profughi in città.
10 Giugno, Torreglia (Padova). 15 migranti cercano di scappare dal centro accoglienza, vengono braccati da carabinieri, polizia municipale, operatori della cooperativa e fascisti (militanti dei Fratelli d'Italia presenti per protestare contro l'accoglienza dei profughi nel Comune).
11 Giugno, Pozzallo (Ragusa). Protesta di un tunisino contro l’espulsione: insieme ad un altro compagno si erano cuciti la bocca, uno dei due aveva precedentemente ingerito una graffetta di ferro e, portato in ospedale a Modica, aveva provato a scappare, cadendo però dal secondo piano dell’edificio. E’ stato operato e si trova ora ancora piantonato in ospedale.
12 Giugno, Ventimiglia (Imperia). Manifestazione di protesta per la libertà di circolazione, dopo che da giorni il governo francese ha rafforzato i controlli e blindato la frontiera con l’Italia per bloccare l’afflusso dei migranti. Nel momento in cui andiamo in stampa la protesta continua. Più volte i migranti sono stati caricati e spinti via dalla frontiera da parte della celere. In 170 (secondo la Croce Rossa) continuano il presidio sugli scogli a lato del confine.
Nella giornata di Sabato 20 Giugno si è svolta una manifestazione di solidali Italiani. In questa occasione Aboubakar Soumahoro, portavoce della Coalizione internazionale sans-papiers, migranti, rifugiati e richiedenti asilo (Cispm), ha annunciato che quella mattina venti migranti avevano passato il confine clandestinamente grazie al Cispm. Si spera in altre iniziative di questo tipo nei prossimi giorni.
Dall'altra parte del confine, sul territorio francese, si è formato un presidio a sostegno della protesta dei migranti. Tante le iniziative di solidarietà in molte città Italiane complice la concomitanza della giornata internazionale del migrante.
Milano, giugno 2015
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presidio al cie di torino
Sin dalla loro nascita i Centri di Identificazione ed Espulsione sono stati teatro di rivolte, danneggiamenti e insubordinazione da parte dei reclusi. Ben 8 Cie su 13 presenti in Italia sono stati distrutti e chiusi totalmente, altri invece sono stati danneggiati e resi inagibili per gran parte della loro capienza. A differenza però di quanto ci raccontano istituzioni e giornali i CIE non stanno per essere chiusi. Il Cie di Torino, ad esempio, dopo i lavori di ristrutturazione è tornato ad ospitare 90 reclusi.
Con l'aumento dei posti disponibili nel CIE aumentano anche le retate nelle strade della città e gli arresti di migranti. È in seguito a una di queste retate, avvenuta a febbraio nel quartiere Aurora, che alcuni nemici delle espulsioni sono stati arrestati, e si trovano tutt'ora in carcere e ai domiciliari, con l'accusa di aver tentato di liberare da un furgone della polizia sei uomini appena catturati.
Con l'arrivo dell'estate le condizioni di vita all'interno dei CIE diventeranno se possibile ancora peggiori; negli anni passati il periodo estivo è stato teatro di numerose rivolte che hanno distrutto i centri e a volte si sono concluse con la fuga di alcuni dei reclusi.
È importante portare il nostro calore e la nostra solidarietà ai reclusi nel CIE di Torino, sostenere la loro lotta e gridare forte che i CIE si chiudono con il fuoco delle rivolte.Liberarci tutte/i vuol dire lottare ancora.
Erika, Luigi, Marco, Paolo e Toshi liberi! Tutte/i liberi!
PRESIDIO DOMENICA 21 GIUGNO ALLE ORE 17
SOTTO LE MURA DEL CIE DI C.SO BRUNELLESCHI ANGOLO VIA MONGINEVRO
Cosa succede a Pozzallo (ragusa)
[...] Loro sono profughi siriani di passaggio a Milano. Domenica scorsa, mentre ero a casa, alle prese con un’influenza fuori stagione e la mia bambina dormiva, mi hanno chiamato per segnalarmi la loro presenza. Erano passati dalla Turchia, avevano attraversato il mare, ed erano sbarcati in Sicilia il 20 maggio. Erano stati quindi portati nel centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo, e lì era accaduto qualcosa che non avevano assolutamente messo in conto: ora volevano che questo qualcosa fosse conosciuto. Potevo raggiungerli?
Ho preso due antidolorifici, mi sono caricata la pargola in spalla e mi sono incamminata. Una volta raggiunto il mezzanino della Stazione Centrale, quello che ormai da molti mesi è diventato il punto di transito dei profughi siriani ed eritrei, quello che le istituzioni avrebbero voluto repentinamente chiudere per non appannare la vetrina dell’Expo e che poi è stato fortunatamente riaperto, mi è tornato a esser chiaro quanto possa essere emozionante e sensato il mestiere del giornalista, quando lo si riporta alla sua essenza: raccontare quel che rischia di non uscire mai dall’ombra, dare voce a chi non ce l’ha.
A Pozzallo Alaaeddin Alfarhat e Ismail Muhamad mi hanno detto di essere stati portati in una stanza e picchiati perché, sapendo che questo li avrebbe costretti a chiedere asilo in Italia, per effetto di Dublino, non volevano che fossero loro prese le impronte.
Jwad Kathan, Mhmuod Iskay, Amer Ismail e altri, quando hanno capito cosa stava succedendo, hanno iniziato una protesta, chiedendo diritti e rispetto. Ad Alaaddin e Ismail Muhamad le impronte sono state prese. Ma loro hanno deciso comunque di non fermarsi in Italia e di partire per raggiungere i parenti che vivono altrove.
Quelle che seguono sono le loro parole. E ringrazio l’amico siriano Sam Mouazin per averle tradotte per noi. Potete anche ascoltarle in video. Queste parole confermano, ahimè, i timori espressi nell’esposto che un gruppo di attivisti ha presentato a inizio maggio e anche nell’interrogazione, nata da quell’esposto, presentata dall’europarlamentare Barbara Spinelli al Parlamento Europeo. Spetterà alle autorità competenti, adesso, fare gli accertamenti del caso. [...]
Alaaeddin Alfarhat (in Siria faceva l’imprenditore): «Il 20/05/2015 eravamo in acqua, abbiamo chiamato la guardia costiera italiana, ma nessuno parlava arabo, perciò abbiamo dovuto chiamare un’attivista di cui avevamo il contatto, raccontarle l’accaduto e chiederle di intervenire. Dopo 4/5 ore la guardia costiera è arrivata. Noi avevamo una bandiera italiana e l’abbiamo sollevata. C’era un elicottero che volava sopra di noi e ci filmava. Sono arrivate le imbarcazioni e ci hanno tratti in salvo, portandoci a Pozzallo».
Ismail Muhamad: «Dopo che ci hanno portato lì, hanno cominciato a prendere le impronte digitali. Noi abbiamo rifiutato di rilasciare le impronte perché sapevamo che, in questo caso, saremmo stati costretti a presentare la domanda di asilo in Italia e a fermarci in questo Paese. Allora hanno preso me e questo ragazzo che è vicino a me e altri e ci hanno portato dentro. Ci hanno interrogato e ci hanno chiesto chi fosse l’attivista alla quale ci eravamo rivolti, che rapporto avessimo con lei e perché non se ne andasse a svolgere questa sua attività al suo paese, ossia il Marocco, invece che in Italia (si tratta di Nawal Soufi, conosciuta come l’Angelo dei siriani, ndr). Intanto noi continuavamo a rifiutare di dare le impronte. A questo punto hanno preso una telecamera e ci hanno portato in un ufficio, dove cono molta pacatezza ci hanno spiegato quali fossero i nostri diritti e cosa prevedeva la legge italiana. Dopo di che hanno chiuso le telecamere e hanno iniziato a picchiarci. A me hanno messo le manette e le hanno chiuse schiacciandomi i polsi con i piedi. Guardate qui. I segni si vedono… Alla fine hanno preso le impronte con la forza. Quando sono uscito, sono andato in un ufficio dove c’era un presidio di Medici Senza Frontiera e ho chiesto di fare un report su quello che mi era accaduto. Mi hanno risposto che, se lo avessero fatto, lo avebbero dovuto consegnare alle medesime persone che mi avevano picchiato e che dopo non sarebbe più stato consentito al loro presidio di stare lì e loro non avrebbero più potuto prendersi cura dei bambini che arrivavano».
Jwad Kathan: «Io facevo il poliziotto nel mio paese e non abbiamo mai trattato le persone come ho visto fare qua. Noi che siamo fuggiti dai nostri paesi abbiamo visto qua un trattamento che non avremmo immaginato possibile nemmeno per i criminali o gli animali. Trattamento molto cattivo. Ci buttavano il cibo addosso, tra urla e insulti. Ci hanno spinti, urlando. Ci hanno picchiato».
Mhmuod Iskay (è venuto con la famiglia, in Siria faceva il cuoco): «Quando abbiamo visto quello che stave accadendo, ossia che veniva usata la forza contro quelli che erano stati portati via, siamo rimasti scioccati. Eravamo in 350 sulla barca. C’erano 102 bambini. In prevalenza eravamo famiglie con bambini. Di fronte a quello che abbiamo visto abbiamo reagito con una sorta di manifestazione spontanea. Chiedevamo diritti umani e democrazia. Abbiamo chiesto anche di quell’attivista e la polizia si è arrabbiata ancora di più. Mio figlio di 3 anni era nudo dalla cintola in giù. E’ rimasto senza pantaloni per tre giorni. A furia di gridare e e manifestare, io ho perso la voce. Poi ci hanno portato in un altro centro di accoglienza, a Mineo. E lì siamo stati trattati in un modo completamente diverso. Ci hanno dato vestiti, farmaci, scarpe. Shampoo, dentifricio. La tuta che indosso me l’hanno data loro. E incomprensibile questa differenza. Pozzallo sembrava un centro di detenzione, non di accoglienza».
29 maggio 2015, da corrieredellemigrazioni.it
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Cosa succede a Ventimiglia? Una cronaca
Ieri 21 giugno 2015 qualcuno di noi è partito (dall'asilo di To) per andare a Ventimiglia e farsi un'idea più chiara su quello che sta succedendo; di seguito due righe per raccontare qual'è la situazione che ci si è presentata.
Il presidio permanente sugli scogli, di cui tanto parlano i media, si trova ai Balzi Rossi a circa 7-8 km da Ventimiglia, là la situazione è abbastanza 'tranquilla': circa un centinaio di migranti ha allestito come meglio ha potuto un accampamento rifiutandosi di fare retro fronte rifugiandosi, appunto, sugli scogli per evitare di essere sgomberati dagli sbirri. Alcuni ci hanno raccontato che il loro obiettivo principale è quello aspettare gli esiti del vertice europeo che si terrà il 25-26 giugno, nella speranza che i vari stati membri dell'UE trovino un accordo sulle quote e la situazione alla frontiera si sblocchi. I ragazzi con cui abbiamo parlato sembravano consapevoli del fatto che anche se l'Europa trovasse un accordo sulla situazione dei rifugiati loro non saranno liberi di circolare su territorio europeo a loro piacimento ma che comunque dovranno seguire ulteriori iter burocratici e che probabilmente saranno portati in altre strutture ma, comunque, si dicevano disposti a questo pur di non farsi prendere le impronte digitali in Italia e avere la possibilità di allontanarsi il più possibile da qui. D'altra parte, non hanno intenzione di passare la frontiera in altri modi, dato che ci hanno raccontato di altre persone che hanno passato più e più volte il confine per poi essere ripescati in giro per la Francia ed essere riportati in Italia.
La situazione è gestita sia dalla croce rossa italiana che da quella francese insieme a varie associazioni umanitarie, principalmente francesi. Lì oltre ad avere un banchetto con cibo e vestiario la croce rossa si occupa di organizzare almeno un pullmino giornaliero che porti chi vuole dai Balzi Rossi verso Ventimiglia città, dove RFI ha messo a disposizione dei locali -sempre gestiti dalla croce rossa, se non ho capito male dentro o vicino la stazione ferroviaria, dove si trovano il resto dei migranti, principalmente donne (che durante il ramadan non vogliono condividere alcuni momenti della loro giornata con uomini sconosciuti), bambini e chi non ce la faceva più a stare sugli scogli.
Ai Balzi Rossi la croce rossa non ha messo nè docce nè energia elettrica, a cui hanno provveduto alcuni solidali, forse nella speranza che la gente si sposti a poco a poco verso Ventimiglia città presa dallo sfinimento e sia così più controllabile. Verso le 22 dopo, dopo aver cenato, alcuni ragazzi hanno iniziato a intonare slogan e cantare, anche insieme a qualche lavorante della croce rossa. Un gruppetto, poi, ha fatto qualche metro verso la frontiera e gli sbirri ma senza oltrepassare le transenne che separano il marciapiede dalla strada e senza un particolare intento di avvicinarsi al confine. Un po a tutti la situazione è sembrata fortemente strumentalizzata o strumentalizzabile dagli interessi dei vari stati, in particolare Italia e Francia, e quindi sotto gli occhi delle telecamere di tutto il mondo.
Milano, 22 giugno 2015
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“I profughi sono costretti ad attraversare il mare su navigli che spesso diventano le loro bare… noi portiamo il problema là dove è nato”, cioè davanti alla Cancelleria, l’eguale della presidenza del Consiglio dei ministri in Italia. Queste le parole del ZPS (“Centro per dare figura alla politica” – Zentrum fuer politische Scoenheit, ZPS – gruppo di artisti d’azione di Berlino) in occasione di una mobilitazione a Berlino.
Zps per sabato 21 giugno ha lanciato con la parola d’ordine “Arrivano i morti” l’appello per una “Marcia degli esclusi” lungo le strade di Berlino, che si concluderà davanti alla Cancelleria; lo scopo è dare visibilità ai profughi, ai morti lungo i confini dell’Europa.
Nei giorni scorsi Zps ha preso parte alla sepoltura nel cimitero di Gatow in Berlino di una madre palestinese siriana di 34 anni annegata nel mare davanti alle coste dell’Italia, la bara era seguita da una vuota in memoria dei suoi figli, anch’essi annegati nello stesso giorno, ma mai ritrovati.
Qualche giorno dopo, sempre a Berlino, è stato sepolto un palestinese siriano di 60 anni fuggito dalla Siria con la famiglia – composta di 14 persone, in direzione della Libia a causa della guerra civile. Anche lui annegato nello stesso mare e davanti alle coste della Sicilia. L’uomo non ha trovato sepoltura in Italia perché il suo corpo è stato considerato oggetto di prova. La giustizia italiana l’aveva impedita, perché voleva dai famigliari la dichiarazione di responsabilità della morte attribuita agli scafisti. I suoi parenti nel nord Europa hanno voluto, dopo il rilascio della burocrazia italiana, una sepoltura anonima, a Berlino appunto, a causa dell’interesse mediatico scatenatosi. In un’intervista Zps sottolinea che, in Baviera, la polizia ha fermato il trasporto dall’Italia verso Berlino della bara della madre palestinese siriana, perché “nella bara si nasconde cocaina”.
Noi abbiamo chiarito tutti i passi burocratici necessari compiuti. Abbiamo così capito che è sostanzialmente più facile far entrare in Germania una persona immigrata cadavere piuttosto che viva. Il punto centrale era il consenso dei parenti. Spesso queste persone in Italia, Grecia vengono seppellite senza nome, pur avendo dietro-con sé una famiglia, una storia. Noi abbiamo voluto restituirle la sua dignità.
L’estensione del numero delle persone in fuga morte lungo i confini dell’Europa è illimitato: dal 2000 ad oggi ne sono morte almeno 30mila. Abbiamo fatto l’esperienza che là è sempre più difficile muoversi senza cozzare contro qualche cadavere.
Sabato portiamo le persone immigrate morte nel Mediterraneo davanti alla sala dei bottoni del sistema europeo che li respinge. Noi vogliamo abbatterlo, il muro europeo deve cadere. Getteremo un ponte per superare una grande distanza, per creare in questo modo coscienza. Innanzitutto il ministero degli Interni tedesco è responsabile perché ha agito in modo che il programma di salvataggio italiano ‘Mare Nostrum’ non venisse finanziato dall’UE e quindi realizzato.
La Germania fa di tutto per non accogliere profughi in provenienza dalla Grecia e dall’Italia. Per la Marcia di sabato Zps dice: “Vogliamo causare dei mal di pancia… l’arte deve scuotere e la realtà ha bisogno che le persone riflettano su di essa se si vuole cambiarla.” La polizia ha minacciato di impedire il corteo se nel suo corso vengono portate bare…
da jungewelt.de, 19 e 20 giugno 2015
La mafia del capitale, il capitale come mafia
Ciò che c'è di veramente scandaloso nei cosiddetti scandali come quello di “Mafia Capitale” è la generale incapacità di trarne la benché minima conclusione pratica.
Il fatto che sia il PDL sia il PD vi siano strutturalmente coinvolti non è il frutto di un intreccio malato fra mondo degli affari e amministrazione pubblica, ma la normale gestione del potere. Il lestofante che, riferendosi a un politico messo sul suo libro paga, dice “qui non c'è maggioranza né opposizione, è solo Mio”, parla per il capitale.
Le imprecazione da bar della cosiddetta gente comune fanno parte anch'esse del sistema. Non esiste nessun preteso scollamento fra politica e società civile. La maggior parte della gente, se posta nella condizione di poter arraffare con un elevato margine di impunità garantita, arrafferebbe. Si chiama capitalismo. E il capitalismo non è l'arroccata cittadella dei cattivi, ma un rapporto sociale mediato dal profitto. Nel mondo del profitto, la distinzione fra legale e illegale è solo uno specchietto per le allodole. La società sana che s'indigna è un'invenzione dei giornalisti. Se c'è da dare addosso ai Rom del mondo intero per le malefatte di qualcuno, i bravi cittadini sono tutti coraggiosi. I ladroni istituzionali, invece, si sentono ben protetti contro la collera popolare. Sanno che è molto più facile per il popolo ammansito e vigliacco prendersela con gli immigrati.
Ogni sistema di produzione parte da una materia prima. E la principale materia prima di questa vicenda sono proprio loro: gli immigrati.
Perché delle donne e degli uomini diventino “gli immigrati” è necessario che milioni di esseri umani siano sradicati dalle loro terre e costretti a spostarsi. Le cause di tutto questo non sono misteriose né hanno sempre la brutalità delle bombe. Un'intera comunità di pescatori senegalesi si trova senza mezzi di sussistenza perché la rapina perpetrata dai grandi pescherecci li ha lasciati senza pesce. Una comunità di pastori indiani deve trasferirsi perché la loro vita nomade è stata sconvolta dai pozzi tubolari azionati con i motori diesel: diventati sedentari per via della tecnologia esportata con la cosiddetta rivoluzione verde, una volta esaurite le falde acquifere non sanno più convivere con la scarsità d'acqua come avevano fatto per secoli. Una comunità di contadini nigeriani deve abbandonare le proprie terre ormai invase dal petrolio sparso e bruciato dall'Eni nel Delta del Niger. Chi fra loro prende le armi per difendere la propria terra è un “terrorista”; chi sale su un battello di fortuna per giungere in Europa è un pericoloso “clandestino”.
A questa normale pratica di spoliazione si aggiunge, da oltre vent'anni, la guerra detta umanitaria condotta dagli Stati occidentali. L'attuale esodo di donne e uomini non è separabile dai bombardamenti cominciati nel 1991 in Iraq e allargatisi a sempre più zone della Terra. Anche i più imbecilli possono capire il nesso fra la guerra in Libia del 2011 (voluta anche dal governo italiano e benedetta dall'allora presidente del Trentino Dellai) e la fuga di massa da quelle terre. Persino un giornalista potrebbe capire che senza tener conto di questo stato di guerra permanente non si riesce a spiegare la presa crescente dell'islamismo radicale. La morte, la distruzione e l'umiliazione esportate in nome del Diritto e della Civiltà sono state benzina gettata sui bracieri in cui arde l'odio verso l'Occidente. (Andateci voi, professori di dialogo e di tolleranza che mai avete mosso un dito contro le bombe della democrazia, a spiegare a un ragazzino nato e cresciuto in un campo profughi che è sbagliato reagire con la violenza ai soprusi subiti. Nella generale assenza di prospettive rivoluzionarie, la “comunità universale” proposta dall'Islam attrae sempre più dannati della Terra. La spirale è infernale, perché al saccheggio capitalista risponde la propaganda islamista, che non distingue, fra i nemici da colpire con la guerra santa, il banchiere, il capo di governo o il semplice proletario occidentale.)
La materia prima - l'immigrato - che il capitalismo produce copiosamente va poi lavorata. La condizione di clandestino, creata con apposite leggi di sinistra e di destra, permette di procurarsi mano d'opera semi-schiava. L'impresario agricolo si assicura braccianti disposti a lavorare per 10 o 20 euro al giorno; l'impresario edile, manovali poco inclini a protestare per il salario magro e in ritardo, per i ponteggi montati alla bell'e meglio o per una giornata in cantiere di 12 ore; il proprietario di case, inquilini ammassati in dieci in un appartamento insalubre con il cesso sul ballatoio. Nessuno di loro vuole “chiudere le frontiere”; tutti vogliono che il tritacarne delle frontiere e il ricatto del permesso di soggiorno producano merce che rende e non si ribella.
Poi arrivano gli impresari della cosiddetta accoglienza: più immigrati vengono internati e più guadagnano con i fondi pubblici stanziati. “Clandestini”, “profughi” “richiedenti asilo” sono categorie costruite proprio perché si differenzi l'affare della detenzione amministrativa. I “clandestini” nei centri di identificazione e di espulsione; i “profughi” nei centri di prima accoglienza; i “richiedenti asilo” nei CARA.
In fondo al ciclo di produzione, quale ingranaggio che permette alla macchina di continuare a funzionare, c'è l'impresario politico. Per costui raccogliere consenso sulla pelle dell'immigrato è una vera e propria manna. Che gli sfruttati se la prendano con chi è più povero di loro è il sogno di ogni governante. In nome della paura e della cosiddetta sicurezza si giustifica la militarizzazione della società, e allo stesso tempo si getta una cortina fumogena sui problemi reali.
Non a caso troviamo fascisti storici in combutta con novelli democratici per spartirsi la torta della cosiddetta accoglienza.
Se chi arriva in Italia sui barconi avesse la possibilità di spostarsi liberamente in Europa, la percentuale di immigrati che rimarrebbe nel Bel Paese sarebbe irrisoria. Toglietevi dalla testa, cari benpensanti, che la società italiana sia l'Eldorado da tutti desiderato. Se migliaia di persone arrivano qui dalla Libia è solo perché si tratta del passaggio più breve per l'Europa del Nord. Se qui vengono trattenute a forza, quando non muoiono in mezzo al mare, è perché l'economia prima e la politica dopo hanno bisogno di loro.
Il gioco è abietto, ma funziona: le cooperative rosse o nere ci guadagnano, i tromboni razzisti anche. Ecco spiegata la telenovela chiamata “Mafia Capitale”.
Rovereto, 17 giugno 2015, da informa-azione.info
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il gangster Renzi è un pallone gonfiato
Ha fatto rinchiudere gli immigrati nei negozi in plexigas della stazione centrale.
Dopo essere sopravvissuti con i panini delle organizzazioni umanitarie, lo stato si rioccupa degli immigrati.
Il capitalismo non vuole accettare la libera circolazione delle persone.
Dall’Africa, i padroni e i parassiti della politica ci consegnano nelle mani degli scafisti.
Per i sopravvissuti i campi di concentramento degli amici dei ministri.
Ora tentano di mandarci negli altri paesi europei.
Intanto ci chiudono nelle bocce di plastica.
Operai di tutto il mondo solo voi potete aiutarci.
I padroni ci usavano come operai a salari da fame.
Oggi con la crisi non hanno neanche più bisogno del nostro lavoro.
Operai tentano di mettere poveri cristi italiani contro poveri cristi immigrati.
Operai e immigrati hanno lo stesso nemico: i padroni e i parassiti della politica.
Un senegalese
14 giugno 2015, da operaicontro.it
lettera dal carcere di pozzuoli (na)
Pubblichiamo una lettera scritta dal carcere di Pozzuoli ai compagni/e della mensa occupata di Napoli, giunta loro il 18 giugno 2015.
Sono una detenuta di Pozzuoli e vi scrivo anche da parte di tutte le detenute di questo carcere, anche se nessuno di noi può firmare, se no subito ci puniscono e non ci pensano su una volta a metterci in isolamento, che è una stanza che puoi fare solo i bisogni personali e non stare a contatto con nessuno.
Per prima cosa vogliamo che voi sappiate che tutte le lettere che vi mandiamo gli assistenti non ve le fanno arrivare per paura che noi vi scriviamo come siamo trattate qua dentro, e anche quando venite qua fuori non ci consentono di parlare né con voi né con i nostri familiari, nemmeno per salutarli, se no subito fanno abuso di potere incominciando a metterci i rapporti. Si perché in questo “inferno” che noi viviamo, andiamo avanti solo con le minacce dei rapporti, anche per una sigaretta, che è l'ultima cosa che ci è rimasta qua dentro, in questo inferno che è così facile ad entrare, ma così difficile ad uscire.
Vogliamo informarvi che viviamo in una stanza in cui siamo degradate e costrette a vivere piene di umidità. La mattina dobbiamo alzare i materassi perché sono bagnati di umidità e quando viene qualcuno da fuori gli fanno vedere solo la terza sezione che è un po' meglio, mica li portano alla prima e alla seconda, dove è molto peggio della terza.
In ogni stanza viviamo in 10 persone e devi fare la fila per andare in bagno e svegliarti presto per farti una doccia prima che l'acqua calda va via; lo shampo lo possiamo fare solo una volta a settimana, quindi adesso è quasi estate e ci possiamo anche arrangiare, ma pensate quando viene l'inverno quello che dobbiamo subire. Tanto che l'inverno, tante volte, talmente che fa freddo che ci alziamo solo per mangiare.
Andiamo avanti. Il vitto è un vero schifo ed è anche insufficiente. Tante volte pensiamo che è meglio mangiare alla caritas che qua dentro. Chi ha soldi per comprarsi qualcosa da mangiare e cucinarlo stesso noi detenuti mangiamo, ma chi non fa colloqui o non ha soldi, può solo fare la fame.
I prezzi qui da noi anche sono un abuso di potere. Paghiamo tutto, non di più, ma addirittura il doppio. Anche le cose di prima necessità, come la carta igienica. Si, perché qui nemmeno quella ci danno: se hai i soldi ne puoi fare uso, altrimenti non so cosa dovremmo fare. E qui ce ne sono tante a cui mancano i soldi, anche per questo.
E a noi con i prezzi che paghiamo qua dentro, i nostri familiari per mantenerci, anche loro, cosa devono fare? Forse fra poco penso che dovranno pure loro fare reati come noi per metterci i soldi sul libretto. Che spesso e volentieri ci vediamo segnati sul libretto anche soldi che noi non abbiamo speso, ed è inutile anche chiedere spiegazioni, se no subito ci minacciano con il solito rapporto che hanno sempre a portata di mano.
Certo c'è qualche assistente che è più umano verso di noi, ma per il resto ci trattano proprio da detenute come fossimo dei mostri viventi.
Parliamo anche un po' del servizio sanitario. Qua per prima cosa anche se qualcuno di notte sta male l'assistente fa finta di non sentire, perché l'infermeria la notte non vuole essere disturbata. Quindi devi aspettare la mattina che passa il carrello, quel carrello sempre pieno di psicofarmaci che vogliono darci sempre. Questo sempre per farci addormentare e quindi per non essere disturbati. Figuratevi che a Pasqua dormivamo tutto il carcere ed abbiamo avuto il dubbio che abbiano messo qualcosa nel cibo, perché è impossibile che dormivamo tutte le detenute.
Noi detenute della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli vorremmo che voi ci aiutiate, ma sappiamo anche che anche se venite da noi siamo state avvisate che dobbiamo dire che qua va sempre bene e che ci trattano bene: sono tutte bugie che siamo costrette a dire.
Vorremmo che questa lettera venisse pubblicata su qualche giornale affinché tutti vengano a conoscenza che qui non è un carcere, ma è solo l'inferno, un inferno che siamo costrette a vivere. Che si passassero un po' la mano sulla coscienza (se ce l'hanno ancora). Noi già soffriamo per la lontananza dei nostri familiari e soprattutto per i nostri figli che abbiamo lasciato fuori.
In nome di tutte le detenute di Pozzuoli vi chiediamo solo di fare qualcosa affinché possiamo soffrire solo per la lontananza dei nostri cari e non anche sopportare tutti i soprusi che subiamo qua dentro, cioè l'inferno.
Ah dimenticavamo anche un'altra cosa. Lo sapete che quando lavoriamo il carcere si prende 50 euro ogni mese per il letto? Si lavora molto e prendiamo quasi l'elemosina e quindi questo è un altro abuso, di sfruttamento vero e proprio.
Ma lo Stato questo lo sa? O conviene anche a loro?
Grazie sempre per quello che fate per noi.
Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli (Inferno di Pozzuoli, tanto è uguale)
41bis, 14bis = TORTURA
Per il rilancio della lotta contro il carcere e il 41bis, pilastri della società capitalista italiana che, assieme agli altri paesi della NATO, produce miseria, galera e guerre di rapina contro i popoli del Tricontinente.
Il regime carcerario 41bis adottato 30 anni fa (che coinvolge oggi ben oltre 700 prigionieri rinchiusi in una decina di sezioni-fortilizi all'interno di carceri del centro-nord) continuamente inasprito da ulteriori commi, in pratica è fondato su:
- l'isolamento 23 ore al giorno (soltanto nell'ora d'aria è possibile incontrare altri prigionieri, al massimo tre);
- il colloquio soltanto con i soli famigliari diretti (1 ora al mese), che impedisce per mezzo di vetri, telecamere, microfoni, ogni contatto diretto, anche vocale;
- il “processo in videoconferenza”, dove, in concreto, ogni singolo imputato può seguire il processo da solo in una cella attrezzata nel carcere in cui si trova, tramite video manovrato a discrezione di giudici, pm, sbirri che agiscono in un'aula di tribunale magari distante 100, 1000 chilometri;
- la punizione-isolamento dello scambio di parole e di saluto tra prigionieri (introdotto con decreto da Alfano qualche anno fa);
- la censura-restringimento nella consegna di posta, stampe, libri.
Proprio per contrastare l'inasprimento della censura e il divieto emesso dal Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) di poter ricevere libri e stampe tramite la corrispondenza e i colloqui è sorta la necessità, se mai ce ne fosse stato bisogno, di riaffermare con forza la lotta contro il 41bis e l'intero sistema penale.
Il Dap, mente e braccio della polizia penitenziaria, che in particolare nel 41bis si chiama Gom (Gruppo Operativo Mobile), si impegna ad applicare sull'intero sistema carcerario, con forme e nomi diversi, le modalità premio-ricatto e la tortura sperimentata nelle sezioni 41bis.
Da mesi compagni e ribelli chiusi in quelle sezioni si battono contro il divieto del Dap, che evidenzia il 41bis come laboratorio dove sperimentare la tortura, cioè l'impiego di farmaci, pestaggi, uccisioni, censura, restringimenti, isolamento dai contatti umani, il tutto finalizzato a distruggere dignità e autonomia di giudizio-scelta, per estorcere collaborazione e pentimento.
L'isolamento nelle sezioni “normali”, il 14bis, è deciso, soprattutto, dai rapporti delle guardie, avallati o meno dai giudici, contro chi non abbassa la testa. E' eseguito, se possibile, con ancor maggior prepotenza e arbitrarietà, anche nella sua durata. Troppe volte si conclude con la morte fatta passare da carcerieri e media fiancheggiatori come suicidio.
La lotta al 41bis e al 14bis richiede principalmente impegno per stabilire, tra mille vigliacchi ostacoli, una costante comunicazione con chi finisce dentro, con i suoi famigliari, con realtà sensibili come librerie, case editrici, anti-psichiatria...
Quest'appello vuole essere diretto e ampio, tanto quanto reclama la libertà, la lotta per viverla, nemica di ogni prepotenza, sfruttamento, predominio...
41bis, 14bis = TORTURA, carcere = TORTURA
Milano, 13 giugno 2015
OLGa
Lettera dal carcere di Spoleto
Care compagne, cari compagni, ho ricevuto da qualche giorno, dopo l'ennesimo blocco e successivo sblocco, la vostra del 13 aprile 2015.
In breve, il magistrato di sorveglianza è lo stesso ma sono due magistrati diversi, però lo stesso ufficio. [che ha sede a Spoleto, ndr]
La circolare del DAP è la n° 8845/2011 del 6/11/2011 e successivamente la nota n° 0051771-2014 del 10/2/2014 che ripristina le disposizioni contenute nella 8845/2011 a seguito di un intervento della cassazione - sentenza 23/9/2013, Gullotti - che aveva accolto il ricorso proposto dal procuratore della repubblica di Parma avverso un provvedimento di sblocco/ricezione libri ecc del magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia.
Infine, si è pronunciato nuovamente il magistrato di sorveglianza di Spoleto su mio reclamo e di altri di qui, che fa propria la pronuncia della Cassazione con la quale non si riscontra nessuna lesione del diritto del detenuto, in particolare di quelli all'informazione e allo studio. Ma semplicemente una diversa regolazione della modalità di esercizio del diritto stesso. Vista ovviamente la particolare esigenza di contemplare tale diritto alle esigenze di sicurezza e finalità del 41bis.
Nel reclamo che fu fatto a Terni, si sosteneva che c'era una censura esercitata per via amministrativa e non dal magistrato di sorveglianza competente. Tesi che fu accolta.
In questo caso si sostiene da parte del magistrato di sorveglianza e dalla Cassazione che ci sono solo modalità diverse di ricezione di libri, riviste, ecc. dall'esterno.
E' chiaro che il vostro opuscolo e altre riviste e stampa di movimento e di controinformazione non verranno più ricevute al 41bis. [...]
Per il resto tutto bene come mi auguro sia di voi, quindi saluti a pugno chiuso e ciao a presto. Roberto.
PS: Per completezza e chiarezza, le modalità di ricezione dei libri, riviste, stampa, ecc., consentite, sono quelle dell'acquisto tramite la spesa del carcere. Per gli abbonamenti facendo richiesta di autorizzazione alla direzione.
Spoleto, 11 giugno 2015
Roberto Morandi, via Maiano, 10 - 06049 Spoleto (PG)
lettere dal carcere di milano-opera
[...] Ho ricevuto il tuo scritto e ti ringrazio molto, anche per avermi fatto avere l’altra lettera allegata. Ora ti volevo dire che io ho sempre pensato che un libro quando sei in condizioni critiche ti possa far sopravvivere, e volevo spiegarti una cosa, su quando si è in isolamento quanto può essere importante una lettura, io penso che se una persona non è mai stata giorni e giorni in completo isolamento non possa capire fino in fondo quanto può farti sopravvivere un libro, un giornale o anche una semplice pagina di essi che leggi e rileggi per non dare ascolto ai pensieri che ti accavallano in testa, perché in molti carceri, compreso questo, quando sei in isolamento hai la cella liscia, che sarebbe: niente arredamento (armadietti, tavolo e sgabello), niente fornelli, televisione, blindo chiuso e un’ora, se sei fortunato, d’aria, perennemente solo. In cella liscia puoi tenere solo una penna, un bloc notes, un libro e un quotidiano e, a volte, la radiolina.
Adesso, mettiamo caso che in una situazione simile mi togli da leggere e magari devo fare uno, due o cinque mesi o anche un anno di isolamento, la testa ti parte, se non sei abbastanza forte. Io personalmente ho visto ragazzi andare a scontare sani il 14bis e tornare cambiati, invecchiati, smarriti e, in alcuni casi, impazziti. E questi avevano la possibilità di leggere. Mi chiedo se un prigioniero/a non abbia quella possibilità, come si ridurrebbe, sempre se riuscisse a non dare ascolto a cattivi pensieri che vengono in isolamento, credimi non so se riesce a sopravvivere.
Da quando ho saputo della ristrettezza verso i libri al 41bis mi sto facendo molte domande e con i compagni di detenzione ne abbiamo parlato e le loro reazioni sono state tutte di sdegno. Anche perché nella sezione dove sono la finestra della cella dà proprio sull’interno del carcere e del 41bis. Quindi molte volte affacciandomi il pensiero è volato alle persone imprigionate là dentro. Il pensiero volava a uomini che ok hanno commesso quello che hanno commesso, ma che per anni e anni sono costretti alla solitudine, e credimi, in galera è la cosa più brutta che ti possa capitare è l’esclusione dal mondo per mezzo di una bocca di lupo di plastica bianca davanti alla finestra.
Non credo che chi non sia stato imprigionato possa arrivare a capire cosa può significare guardare fuori dalla finestra, il vedere un albero, un fiore, il volo di un uccello, il sole, la luna, le stelle, la pioggia, un temporale o qualsiasi cosa ti faccia credere che anche tu appartieni al mondo, che anche tu sei un essere umano, e hai bisogno di affetti e non sei costretto come al 41bis a fare colloqui diviso da vetri con la tua famiglia, non è poter dare un bacio a tua moglie, ai tuoi figli o semplicemente stringere in un abbraccio qualcuno al quale vuoi bene.
Tutto questo credo sia tortura, e ogni volta che mi soffermo a guardare alla finestra quelle bocche di lupo bianche, mi viene la tristezza a pensare come l’uomo possa fare una cosa simile verso i propri simili e cosa ancora più triste è che in quelle condizioni ci sono uomini che sono costretti da più di 30 anni a subire tortura. Il problema è che in molti pensano che questo sia giusto perché per lo più al 41bis sono rinchiuse persone per reati di mafia.
Io, pur non condividendo certi reati, penso che sia inutile e infame tenere uomini spesso fino alla fine dei loro giorni in condizioni di tortura psicologica perennemente. Per me sono uomini che hanno fatto scelte di vita che non condivido, ma cazzo sono solo uomini che hanno sbagliato, non per questo meritano di essere torturati.
Mi sono dilungato un po’ su questo argomento perché è una cosa che mi tocca molto e volevo condividere il mio pensiero con qualcuno e sono contento che state facendo delle iniziative per fare conoscere la realtà del 41bis e sono solidale con tutti voi.
Poi ti volevo dire anche l’iniziativa di raccogliere libri è ottima e, se vuoi, posso metterti in contatto con una persona che sicuramente sa come fare a farli entrare in carcere come donazione. Però sappi che i libri andranno alla biblioteca dei detenuti comuni e non all’Alta Sicurezza o al 41bis. Per farli arrivare a loro non saprei come fare e credo che non si possa fare. Ma comunque mi informo.
Dell’iniziativa di Biella del 2004 non mi ricordo e mi piacerebbe saperne qualcosa.
Ora ti saluto ringraziandoti ancora per la tua lettera e abbracciando tutti e tutte. Un abbraccio forte.
Opera, maggio 2015
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Salve compagni, mi presento: sono un cosiddetto “ergastolano di lungo corso”, nel senso che peregrino dal lontanissimo 1966 per le patrie galere, ininterrottamente, a tutt’oggi e, francamente, mi starebbe molto più a cuore il tema “certezza della pena” e soprattutto “ergastolo”… controbattere infatti a coloro che blaterano, che nel nostro Paese non esistono entrambi, basterebbe infatti il mio esempio concreto e vivente. Ma scelgo di scrivervi su quest’ultima vostra battaglia dei libri al 41bis.
Personalmente e nonostante la mia cinquantennale carriera, fortunatamente non sono passato per il 41bis, ma a suo tempo ho subito l’art.90, che era ancora peggio. E posso garantirvi che purtroppo a tutt’oggi non vi sia propriamente limite alle angherie della borghesia reazionaria e ai fascisti che vi si nascondono dietro e all’interno.
Quando nel ’66 fui trascinato innanzi alla Corte d’Assise di Genova, imputato di reati che non avevo commessi il P.M. non si dette neppur la pena di dimostrare che le scuse contro di me fossero fondate in linea di fatto. Nell’atto d’accusa, la principale imputazione consisteva puramente e semplicemente nella dimostrazione che io gravitassi nella sinistra extraparlamentare, ma non solo, perché quel P.M. fu ancora più cinico e brutale, infatti egli disse brutalmente: “A vita dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare, per questo con Bruzzone dobbiamo buttare via la chiave!”
Esprimendosi in questo modo, il carnefice fascista camuffato da giudice non palesava soltanto l’ordine ricevuto dalle autorità fasciste, egli lacerava tutti i veli e le finzioni giuridiche; metteva a nudo in modo brutale la sostanza del processo, della condanna e della persecuzione; svela la paura e l’odio implacabile di classe delle caste reazionarie che governavano e (ahimè) governano il nostro Paese.
Se siamo consapevoli di questo, le battaglie si combattono, si vincono e si perdono e, per quanto appaia infinita, l’obiettivo è vincere la guerra.
Un cordialissimo saluto Nicola.
Maggio 2015
Nicola Bruzzone, via Camporgnago, 40 - 20141 Opera (Milano)
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Con estrema gioia ho ricevuto il tuo scritto e sono rimasto molto contento nel leggerlo e nel sapere che stai bene. Qui, fra le altre, c’è una sezione di isolamento dove ti portano quando prendi un rapporto, una denuncia e ti tengono lì anche per un anno, com’è capitato anche a me.
Poi ci sono anche “reparti di trattamento avanzato” dove siamo aperti tutto il giorno e possiamo andare al colloquio, a scuola, in palestra e dagli strozzini avvocati da soli e non scortati dalle guardie, anche se sembra di stare al “Grande Fratello” per la quantità enorme di telecamere montate per spiarci e di altoparlanti stile campo di concentramento per chiamarci…
Non ho bisogno di nulla se non di qualche buona lettura con il pensiero rivolto a chi chiuso nel 41bis, dove ‘sti infami del Dap hanno deciso che oltre la tortura non possano neanche più leggere in libertà.
Ora ti saluto con un forte abbraccio, sperando presto di farlo in libertà.
maggio 2015
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Segue un appello da Opera in riferimento a una lettera sul Centro Diagnostico Terapeuico (CDT) dello stesso carcere, pubblicata nell’opuscolo precedente (102).
Compagne, compagni, qui reputiamo l’opuscolo un ottimo mezzo per far uscire la nostra voce, però vogliamo fare un appello ai compagni, alle compagne detenut* di scrivere il giusto e soprattutto il vero, per non farci ridere dietro dagli sbirri, per non far perdere credibilità a un mezzo molto essenziale per noi prigionier* e soprattutto per non tradire la fiducia di persone che da fuori potrebbero benissimo farsi i cazzi loro, invece lottano ogni giorno per assicurarci un minimo di dignità.
Un saluto dai compagni delle sezioni comuni e alta sicurezza del carcere di Opera.
1 giugno 2015
lettere dal carcere di massama (or)
LA BARBARIE DELLA DEPORTAZIONE
La storia si ripete dopo un secolo e mezzo, i ricorsi storici sono una realtà e noi la stiamo vivendo con la seconda deportazione di massa nell’isola-prigione della Sardegna.
Verso le nove stavo mettendomi a letto quando viene l’agente e mi dice di prepararmi la roba che alle quattro di notte devo partire. Rimango inebetito, non me l’aspettavo, è stato come un fulmine a ciel sereno. Mi riprendo e inizio a preparare tutto, non avendo fatto in tempo a spedire il pacco invernale ho tanta biancheria.
Dopo due ore porto tutto giù in una stanza a piano terra, mi rimangono un borsone con la biancheria necessaria, un paio di borsellini con i prodotti dell’igiene personale e la cartella con la posta. Mi metto a letto, mille pensieri affollavano la mia mente, non riuscivo a inquadrare il motivo del trasferimento, mai come questa volta non avevo dato nessuno appiglio per arrivare a questo punto, e poi perché in Sardegna? C’ero stato già due volte, all’Asinara e a Nuoro. L’impressione che si trattasse di un trasferimento di punizione. Si trattava di un disegno criminale molto più ampio e su scala nazionale, una deportazione di massa.
Alle tre di notte mi alzo, faccio colazione e mi preparo, scendo giù alle quattro, dopo mezz’ora partiamo, c’è anche un altro recluso, verso le sei arriviamo all’aeroporto di Lamezia Terme, prendiamo l’aereo per Roma dove giungiamo all’incirca alle otto.
Mi chiudono in una cella e mi dicono che dobbiamo aspettare l’aereo per la Sardegna, sono convinto che vado a Nuoro. Il caposcorta verso le dieci mi comunica che devo andare a Oristano e stanno aspettando la scorta per consegnarmi a loro. Chiamo perché avevo fame, era passato mezzogiorno, arrivano alcuni agenti e mi comunicano che sono la nuova scorta e dobbiamo attendere l’imbarco, mi dicono che non possono comprarmi niente e devo arrangiarmi con il sacchetto datomi a Catanzaro.
Quando c’erano i carabinieri a fare le scorte, non se lo facevano neanche dire. Erano loro a chiederci cosa volevamo comprare.
Alle quattro e mezza di pomeriggio prendiamo l’aereo per Cagliari, alle sei siamo già in viaggio con il furgone, alle sette arriviamo a Oristano. Tra matricola e magazzino verso le otto sono in cella, sono stanco affamato e lo sanno, mangio qualcosa e vado a dormire.
Sono il primo deportato nella nuova sezione AS-1, c’è un signore di fronte, è comune, si trova qui per isolamento giudiziario.
Venerdì 15 maggio hanno svuotato la sezione, era AS-3, gli ultimi due sono partiti sabato mattina 16 maggio, la stessa scorta mi ha preso in consegna all’aeroporto di Roma.
La sera di venerdì 15 mi hanno chiamato per partire, una fretta senza motivo. Dopo venti giorni sono ancora da solo.
I funzionari e i politici nel ministero della giustizia, quando vanno in TV o rilasciano interviste sui quotidiani, sembra di ascoltare e leggere di persone della civilissima Norvegia. Dicono tante bugie, illustrano una realtà che è pianificata solo nelle loro teste e la propinano ai cittadini, nei fatti adoperano il sistema penitenziario e il giustizialismo più becero come tram per i loro interessi di potere e di carriera.
Le carceri sono il luogo più illegale del Paese, il DAP è l’emblema di questo apice di violazione dei diritti penitenziari e umani. Stanno chiudendo Padova e Nuoro AS-1 e verranno tutti qui, ma la deportazione riguarda anche tanti AS-3 e comuni. Sotto di me ci sono quattro sezioni AS-3, sento solo dialetti meridionali. Tanti reclusi che stavano facendo percorsi importanti dopo tanti anni di carcere, si ritrovano al punto di partenza.
Bisognava riempire queste carceri nate da interessi delle cricche di Roma e sicuramente con la complicità di sodali sardi. Pertanto via al trasferimento di massa.
Alcuni anni fa il ministero della giustizia e l’ex Presidente della regione Sardegna Soru, avevano firmato un protocollo, affinché nella regione ci fossero solo reclusi sardi, reclamando anche quelli del continente. Invece per i loschi affari di Balducci, Anemone e compagnia, con la copertura di padri politici, hanno violato i loro stessi accordi, costruendo smodatamente per creare una regione-prigione.
I politici sardi che l’hanno permesso, non sono solo complici di questa nefandezza, perché senza il loro consenso non avrebbero potuto farlo.
Tagliare di netto tutto ciò che un recluso si era creato, relazioni umane, ambientali e sociali, un piccolo mondo spazzato via, profonde sofferenze che si ripercuotono sulle famiglie e in molti casi contribuiscono a sfasciarle, bambini che cresceranno traumatizzati con un profondo odio contro lo Stato, future generazioni di carcerati.
Il sistema di deportazione nasce nel 1863 con la famigerata legge PICA, la madre di tutte le leggi d’emergenza, che con terminologie diverse è arrivata fino ai nostri giorni.
I piemontesi-savoiardi cercarono con il Portogallo e poi con l’Argentina di avere un’isola o un pezzo di Patagonia per deportare quanti più meridionali possibile. Fallita questa infamia, ripiegarono sulle isole interne. Le isole piccole ebbero le loro cayenne, la Sardegna e la Sicilia furono riempite di carceri, particolarmente la Sardegna.
Migliaia di infelici persero la vita in questi luoghi insalubri, di fame, stenti e malattie.
I fratelli d’Italia dovevano insegnarci la loro “civiltà”, educandoci con la sferza e le deportazioni, anticipando di mezzo secolo le dittature rosse e nere. Questo sfregio è divenuto storia risorgimentale.
Questa barbarie burocratica-poliziesca continua tutt’ora, con l’inaugurazione della massiccia deportazione che avviene nel silenzio censorio dei media. Qualcuno dirà che non è vero. Mi dimostri che il 99,99% dei deportati italiani in Sardegna non siano meridionali.
Siamo colonia interna pertanto cittadini di serie B, un problema di ordine pubblico “indigeni” difettati geneticamente propensi per indole naturale ad essere lombrosianamente criminali. Un tempo il Meridione era un covo di briganti, oggi siamo un covo di mafiosi, domani saremo un covo di marziani sic,… l’importante è che le leggi di emergenza “infinita” continuino ad essere applicate, per tenere il Meridione nello stato attuale di depressione cronica, per equipararlo ai paesi africani.
La deportazione è tortura, l’allontanamento dalle famiglie causa lacerazioni insanabili. Quale legame affettivo si può coltivare con un colloquio una volta all’anno nella migliore delle ipotesi.
Nel tempo le istituzioni hanno allevato funzionari che ritengono naturale questo sistema di barbarie. Quando si eleva il meccanismo nella mostrificazione a “normale” strumento di repressione, la tortura di varia natura diventa burocrazia quotidiana.
Oristano, giugno 2015
Pasquale De Feo, località Is Argiolas - 09170 Massama (Oristano)
due lettere collettive dal carcere di parma
Riportiamo due lettere scritte dai detenuti della sezione AS1 di Parma, apparse su diversi siti internet e che noi abbiamo trovato su rossoparma.com il 24 giugno 2015 e ristretti.it.
Alla cortese attenzione: Capo del DAP dr. Consolo Santi, Provv. Amm. Pen. E.R. dr. Pietro Buffa, Direttore C.R. Parma dr. Carlo Berdini, Ministro della Giustizia on. Andrea Orlando, Garante Regionale detenuti dr. Bruno Desi, Garante comunale detenuti dr. Roberto Cavalieri, Deputati e Senatori eletti dai cittadini di Parma, Volontariato penitenziario di Parma, Organi di stampa, Magistratura di Sorveglianza di Reggio Emilia.
Lettera aperta dei detenuti AS1 del Carcere di Parma sulla vivibilità interna.
Alle SS.LL. I nostri cordiali saluti
Siamo i detenuti del carcere AS1 del carcere di Parma. Con la presente vogliamo rappresentare noi stessi e nel farlo sentiamo il dovere civico di confermare e avvalorare le notizie riportato sul comunicato stampa emanato dal Garante comunale, in data 17 giugno 2015.
Attualmente, nella sezione AS1, sono ristretti 28 detenuti, 6 dei quali vivono stipati in celle in cui lo spazio calpestabile per ogni detenuto è inferiore ai 3 mq. Questa condizione rappresenta per loro una forma di degrado fisico e di lesione dei diritti fondamentali garantiti dall'articolo 27 della Costituzione. A tutti è ormai noto che nei prossimi giorni arriveranno – provenienti dal carcere di Padova – altri 15 detenuti AS1. Il loro arrivo aprirà la voragine dei maltrattamenti ( così è stata definita dalla CEDU – nella sentenza Torreggiani – la condizione di chi è costretto a vivere in uno spazio calpestabile inferiore a 3 metri. Come è notorio, gli istituti di Parma sono stati riclessificati Alta Sicurezza. Delle 6 sezioni 5 sono state catalogate AS3, la rimanente assegnata AS1. Per ragioni organizzative gli spazi lavorativi, culturali, dei rapporti affettivi allo scopo di rafforzare i legami famigliari, nonché l'offerta trattamentale sono stati indirizzati quasi tutti o quasi a valorizzare il percorso rieducativo dei detenuti AS3. Per quanto riguarda noi detenuti AS1 le attività sono limitate ad incontri di 2 ore a settimana, ad un corso su Etica e legalità, cui partecipano 12 detenuti; il qual corso chiuderà il 30 giugno 2015. L'attività dei prodotti da forno – evidenziata nel comunicato stampa del 17 giugno 2015 – è un'iniziativa benefica che 12 di noi hanno deciso di condividere, donando i prodotti alla mensa dei poveri dei Frati Francescani. L'iniziativa ci vede impegnati mezza giornata alla settimana. Del corso di formazione professionale della durata di 300 ore, l'incognita è legata al "se finanziato". Infine l'attività sportiva: si trattava di un corso UISP terminato da poco, le cui possibilità di ripresa sono legate ad un futuro finanziamento. Tutte le attività trattamentali, culturali e sportive, poi, sono state sospese lo scorso 13 giugno c.s. e riprenderanno – forse – la deconda decade di settembre. Per tre mesi, dunque, giornate svuotate da ogni attività di formazione significativa. Con un'offerta trattamentale inesistente, l'arrivo di altri detenuti va a peggiorare una situazione già complicata, e ciò implica una regressione trattamentale incolpevole. La legge penitenziaria, infatti, impone alle direzioni degli istituti di pena la compilazione del programma di trattamento per la redazione delle relazioni comportamentali, nel termine stabilito di 9 mesi, e non soltanto in previsione di una concessione di una misura alternativa alla detenzione. I detenuti qui ristretti hanno già scontato dai 20 ai 29 anni di prigione, tutte condanne ostative; 20 di noi, sulla cartella biografica, nella parte in cui è indicata la data del fine pena, si legge 9999. A nessuno di noi è stato redatto un programma trattamentale. A nessuno di noi è stata indirizzata un'indagine Uepe ( Uffici di esecuzione penale esterna ) allo scopo di elaborare e sottoporre alla Magistratura di Sorveglianza i programmi di trattamento da applicare, verificandone al contempo la corretta esecuzione da parte degli ammessi a tali sanzioni e misure. Strutture, queste, che collaborano con le direzioni allo scopo di far uscire i detenuti meritevoli dopo che questi hanno scontato una parte della condanna in un Istituto Penitenziario. Se e quando arrivaranno i detenuti da Padova le condizioni di vivibilità interna saranno compromesse, e la ricaduta negativa coinvolgerà tutti, anche studenti universitari, ammalati, soggetti con problemi psichiatrici. Ci siamo resi conto che non esistono diritti certi. Tutto ciò che riguarda le regole e la sicurezza – nel suo aspetto più ossessivo, non in quello logico – diviene automatismo, mentre il Diritto, le garanzie costituzionali, le regole minime per il trattamento dei detenuti con le quali gli organismi internazionali tutelano l'integrità psico-fisica e la dignità dei detenuti, sono nei fatti oscurate, poiché si ritiene più conveniente riempire di antidepressivi piuttosto che riflettere e lavorare sulle cause ne determinano la necessità, sulla debolezza etica di certe leggi e delle pratiche che ne derivano e che ne fanno aumentare il vuoto di responsabilità. Chiediamo, dunque, alle SS.LL. di scongiurare il piano di trasferimento dei detenuti AS1 dal carcere di Padova. Chiediamo che la vostra attenzione possa tramutarsi in sensibilità civica, poiché voltar lo sguardo davanti all' inumanità di una pena così sofferta equivale a un ulteriore aggravio della pena stessa, ad un gravissimo smarrimento del diritto e delle idee di Giustizia ed Equità.
Con profonda riconoscenza.
Seguono le 27 firme di Antonio D.G., Domenico F., Giuseppe B., Vito M., Enzo D.B., Domenico T., Corrado F., Roberto R., Gianfranco R., Domenico M., Gioacchino N., Giovanni A., Ciro S., Giovanni M., Gaetano B., Andrea G., Antonio S., Luigi C., Antonio A., Antonio R., Salvatore B., Giuseppe P., Giovanni D., Ciro P., Aurelio C., Fioravanti B., Pietro V.
***
Al Capo dello Stato, Al Ministro della Giustizia, Al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, Ai Magistrati di Sorveglianza di Reggio Emilia, Al Direttore della Casa di Reclusione di Parma, Al Garante dei Diritti dei Detenuti Regione Emilia-Romagna, E p.c. Senatore Luigi Manconi, Ed Altri
Siamo i detenuti del reparto AS1 C.R.di Parma. Abbiamo deciso di rivolgerci alla SS. LL. dopo essere venuti a conoscenza del fatto che la sezione AS1 di Padova sarà dimessa e che i detenuti di quel reparto-secondo notizie giornalistiche- verranno trasferiti presso il reparto AS1 della C.R. di Parma.
Vogliamo, innanzitutto rivolgerci alla SS. LL. in termini civili, quei termini che ci consentono di affrontare una comunicazione responsabile e cosciente atta a fare conoscere e comprendere quali sono le difficoltà che segnano la nostra quotidianità.
Gli argomenti che tratteremo, per quanto complessi, sono indissolubilmente legati alla vivibilità all’interno delle celle e alla qualità della vita al di fuori di esse.
La sezione AS1 della C.R. di Parma, attualmente ospita 27 detenuti, per una capienza max di 25 posti. Tra gli ospiti qui reclusi, 19 sono ergastolani, i rimanenti 8 scontano condanne ventennali o trentennali.
Nel computo dei 27 ci sono persone affette da malattie debilitanti, altri soffrono di problemi psico-fisici-claustrofobici, altri ancora sono studenti universitari, infine ci sono individui con discrete condizioni fisiche. Per tutti, nessuno escluso, vale il principio del rispetto della dignità umana. Dignità citata nelle premesse delle regole penitenziarie europee del 2006, ma anche all’art. 18 (I locali di detenzione e, in particolare, quelli destinati ad accogliere i detenuti durante la notte devono soddisfare le esigenze di rispetto della dignità umana e, per quanto possibile, della vita privata e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di sanità e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche, segnatamente per quanto riguarda la superficie e la cubatura).
Noi stiamo chiusi in cella 20 ore su 24. Le 4 ore sono assegnate ai passeggi.
Locali questi non idonei ad ospitare 27 persone, se si considera la superficie minima disponibile per ogni maiale che, secondo la direttiva CEE 91/630, recepita dall’Italia con B.L. n°534/92 e direttive 2001/88 e 2001/93, è di 6 mq.
Le celle detentive, per capienza, possono ospitare solo un detenuto. Se all’interno venissero collocate 2 persone lo spazio disponibile calpestabile pro-capite scenderebbe sotto i 3 mq, spazio calcolato al netto dell’ingombro del mobilio.
La cella è provvista di un piccolo wc privo di finestra. Il ricambio d’aria dovrebbe avvenire attraverso un areatore dimensioni di cm 10x10, ma questo non avviene e giornalmente chi vive stipato in due all’interno della stessa cella è costretto a respirare gli odori maleodoranti causati dai bisogni fisiologici del compagno di cella. Per le operazioni di pulizia corporale la porta del wc rimane aperta. Abbiamo costatato l’impossibilità di lavarsi nel lavabo con la porta chiusa. Questa situazione non è sufficientemente adeguata ad assicurare un minimo di privacy.
Ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, la giurisprudenza nazionale ha precisato che, dalla superficie lorda della cella debba essere detratta la superficie occupata dagli arredi, individuando nel suolo calpestabile il parametro di calcolo. Una misura questa calcolata sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto, più 5 mq per gli altri. Lo stesso spazio per cui in Italia viene concessa l’abitabilità alle abitazioni, condizione più favorevole rispetto ai 7 mq per singolo detenuto più 4 mq stabiliti dal CPT per gli altri. (Fonte DAP, Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo statistica e automazione di supporto dipartimentale). Tratto da Guida al Diritto nr°30 del 19/07/2014.
Sulla questione spazio individuale esiste una elaborazione giurisprudenziale da parte della:
-Corte di Cassazione(Sez. I, sent. Del 29/10/2014; 26/02/2015 n°8568)
-“ “ “ (Sez. I sent. Del 19/12/2013 n°5728)
-Magistratura di Sorveglianza di Padova;ord. 30/05/2013
-Magistratura di Sorveglianza di Verona;ord. 02/07/2013
Tra gli aspetti della qualità della vita di noi detenuti AS1 da segnalare la mancanza di una biblioteca, di una scuola, di lavoro, l’esclusione alle nomine a Commissioni esterne, a corsi professionali finalizzati. Ma la questione dell’inumanità della pena non si esaurisce nello spazio messo a disposizione a una persona in carcere, ma vanno contemplati altri parametri, tra i quali spicca quella evidenziata nello standard del CPT, parte I, art. 47, che, nello specifico, afferma: “Tra i 3 ed i 7 mq a disposizione la disumanità è inversamente proporzionale al grado di implementazione di una serie di fattori compensativi, il primo fra tutti è assicurare che i detenuti possano trascorrere una ragionevole parte della giornata -8 ore o più- fuori dalla cella occupati in attività motivanti di vario tipo. Per i condannati i regimi dovrebbero essere di livello ancora più elevato”.
In considerazione di quanto descritto pare opportuno rivelare alle SS. LL. che l’eventuale -quanto probabile- arrivo di altri detenuti restringerebbero i già esigui spazi vitali in cella e se lo spazio recluso diventa incapace di garantire lo spazio vitale, viola la dignità umana.
Ci appelliamo alla sensibilità delle SS. LL. vi chiediamo una pena coerente con la dignità umana, spazi di vita umani, Trattamento umano, riconoscimento pieno di diritti, salvaguardando l’integrità psico-fisica della persona qui detenuta, nel rispetto dell’art.27 della Costituzione.
I detenuti:
Avarello Giovanni- Cavallo Aurelio- Mafrica Giovanni- Stolder Ciro- Piscopo Giuseppe- Di Girgenti Antonino- Farraioli Domenico- Barranca Giuseppe- Testa Domenico- Donatiello Giovanni Pulcinelli Ciro- Rua Gianfranco- Reitano Roberto- Favara Corrado- Gangitano Andrea- Romeo Antonio- Benigno Salvatore- Bocchetti Gaetano- Bevilacqua Fioravantio- Donatello Giovanni- Capozza Luigi- Sorrento Antonio- Morelli Domenico- Di Bona Enzo- Mazzara Vito.
lettera dal carcere di bancali (ss)
Ciao, saluto te, tutti i compagne e compagni, ti scrivo dal nuovo carcere di Sassari. Da qui ti ho mandato due lettere, ma non so se le hai ricevute. Sono stato trasferito qui, mi aspettavo un carcere lavorativo. Non so per quanto tempo resterò qui. Ho fatto richiesta per tornare in Bergamo o lì in Lombardia. Oggi ho scritto anche al Ministero di Giustizia; ti mando fotocopia della lettera, spero la ricevi. [...]
Mi chiedi come si sta qui. E’ un posto di merda, da fuori sembra un carcere nuovo, poi dopo due-tre giorni la persona si accorge che è tutta una commedia. Non funziona niente. Hanno fatto solo “regole” per loro. Aspetto un po’ poi devo fare qualcosa per andare via da qui. Ho ricevuto la lettera dal mio amico Fabiani Michele da Ferrara e lo saluto tanto. [...] Un caro saluto da questo “albergo”.
Segue la lettera al Ministero di Giustizia.
Sono Sabanovic Jasmir, nato in Bosnia il 15.9.1960.
Attualmente in carcere a Sassari. Io vi ho chiesto di mandarmi in un carcere lavorativo, tipo Mamone, e voi mi avete mandato in questo carcere dove non c’è niente. Io sono dentro da 18 anni, per reato che ho commesso, però io non sono Berlusconi o il marito dell’on. Mussolini e di tutti gli altri politici corrotti che non finiscono mai in galera. Io non ho famiglia, non ho nessuno e ho da fare altri 12 anni di galera.
Tante volte ho chiesto di essere estradato in Croazia, dove la galera è più dura, ma i detenuti sono trattati con dignità. Voi mi avete risposto che io devo prima soddisfare la “giustizia italiana”, ma quale giustizia, quella con quattro facce. Io mi aspettavo che voi democratici foste più umani e migliori degli altri, ma come si vede qua in Italia è sempre tutto uguale. C’è gente che lavora duro e non ha niente da mangiare e ci sono quelli che non fanno “niente” e vivono alla grande. Ma che ironia.
Un’altra volta mi sono rivolto a voi in modo educato, ma non lo faccio più, perché uno stato che fa male a tanti detenuti nelle vostre carceri non può essere democratico, ma fascista e totalitario. E non importa chi è al potere.
Io sono un poco di buono, ma sono almeno onesto. Quelli poveri e morti di fame che come me stanno nelle vostre carceri non sono tutto male. Voi avete tanti parlamentari che sono anche loro delinquenti, però non sono mai in galera, o stanno dentro per poco tempo e come per un miracolo escono subito fuori. Vi scrivo miei pensieri di tutti i giorni qui dentro. Io auguro a tutti voi di provare un po’ queste vostre carceri “alberghi” solo per sincerarsi come è “bello” qua dentro. E poi vi auguro tutte quelle sofferenze che ho fatto io in questi 18 anni. Un cordiale saluto.
giugno 2015
Sabanovic Jasmir, Strada Provinciale 156 via Abbaccurrente, 4 - 07700 Bancali (Sassari)
lettera dal carcere di rossano (Cs)
[…] ti scrivo questa lettera dopo tanto tempo sperando di trovarvi tutti quanti in buona salute. Dopo gli avvenimenti successi in Tunisia [18 marzo 2015: assalto con sparatoria da parte, pare, di un gruppo Isis, contro turisti in visita ad un museo di Tunisi, le persone rimaste uccise sono 25, quattro italiane; ndr] l’odio e i controlli nei nostri confronti sono aumentati notevolmente, e tutto questo io lo capisco e mi sembra giusto perché questa l’essenza della democrazia, quando bisogna punire, non importa chi, ma bisogna farlo per dare sicurezza al popolo, e il popolo si sente più protetto e al sicuro sapendo che a dei detenuti islamici è stato sequestrato un pacco postale contenente biscotti e dolci tunisini inviati da un detenuto uscito da poco, pazienza, magari la prossima volta sceglieremo i dolci marocchini… così non ci prendiamo 2 mesi di censura!
Come da consuetudine le uniche corrispondenze che ricevo sono da casa e dall’avvocato, persino l’abbonamento di una rivista italiana è democraticamente illegale.
Vi ringrazio tanto per il pacco… ma non disturbatevi. Alla fine dei conti noi tutti qui stiamo bene, lavoriamo e possiamo fare acquisti a differenza di molti altri detenuti che stanno in condizioni disperate e che hanno realmente bisogno…
Un grande saluto a tutti quanti! A presto. Buona estate, Jarmoune.
Rossano, 12 maggio 2015
Mohamed Jarmoune, Contrada Ciminata Greco, 1 - 97067 Rossano Scalo (Cosenza)
***
Di seguito riportiamo la storia di Jarmoune Mohamed, che ci scrisse nel novembre scorso. E' una storia probabilmente simile a tante altre che sempre più tornano di ordinaria attualità. Una storia emblematica dal punto di vista delle leggi, di come queste divengano tali soltanto per ratificare uno stato di fatto esistente prima della loro applicazione ufficiale, come dimostrato, per questo caso, con l’ultimo decreto antiterrorismo per quanto riguarda l'imputabilità connessa all'utilizzo di internet. Ma anche di come la guerra si esprima attraverso il controllo della comunicazione, con la censura ad esempio imposta sulla sezione AS2 di Rossano all'indomani degli attentati in Francia e in Tunisia che ha reso ancor più difficile, e a volte impossibile, comunicare con questi prigionieri.
Anche in questo caso, e più in generale per quanto riguarda gli imputati per “terrorismo internazionale”, vale quanto detto in una precedente lettera dal carcere di Massama (OR) riguardo alla criminalità organizzata, ovvero che “Nel tempo le istituzioni hanno allevato funzionari che ritengono naturale questo sistema di barbarie. Quando si eleva il meccanismo nella mostrificazione a 'normale' strumento di repressione, la tortura di varia natura diventa burocrazia quotidiana”.
Sono Jarmoune Mohamed, sono nato in Marocco il 16/8/1991, ho fatto ingresso in Italia nell'ottobre 1997 con regolare visto di ingresso per ricongiungimento familiare. Solo l'ultimo di cinque figli, o fratello e tre sorelle, da subito ci insediammo ed eravamo benvoluti da tutti.
Abbiamo dovuto traslocare varie volte, e questo mi permise da una parte di conoscere tanta gente ma dall'altra di non poter mantenere amicizie salde. All'età di 13 anni divento un B. Boy, mi appassiono al rap e al mondo degli afro-americani e spendo tutte le mie energie alla ricerca della felicità e fama. Così fondali una piccola Crew che andava in giro a graffitare, cantare e ballare Breakdance, ma nonostante le vittorie e conquiste non riuscivo ad essere felice e dare un senso alla mia vita, ero vuoto dentro.
A 16 anni trovo la fede e così pure quella felicità che mi mancava, la mia vita iniziava a cambiare di peggio in meglio, iniziavo a dedicarmi agli altri e ad interessarmi alla causa dei più poveri e oppressi, cominciavo a vedere il mondo com'era realmente, la causa palestinese, le guerre americane, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Volevo un mondo in pace senza ingiustizie e violenze, in cui l'uomo fosse realmente libero e non solo fisicamente, che fosse informato di ciò che gli accadeva attorno senza censure.
A 17 anni aprono su Internet un blog sulla Palestina, in cui venivano riportate cronache video e foto contro i crimini che venivano perpetrati in quella prigione a cielo aperto chiamata Gaza. Mi rendevo conto sempre di più del controllo delle menti dei giovani da parte dell'imperialismo americano, degli stereotipi proposti loro e che dovevano seguire, così sentivo la necessità di consigliare e sostenere nel modo migliore i miei amici che spesso ero la loro spalla su cui piangere.
A 19 anni entro nel mondo di Facebook, dopo quasi un anno tra uso e assenze, decido di aprire un gruppo di tipo giornalistico in cui gli utenti condividevano video, documenti, libri, foto di varia natura tra cui militare, medica, sopravvivenza, combattimento e autodifesa, la maggior parte del materiale proveniva da siti americani che io avevo semplicemente scaricato e condiviso su Facebook convinto che qualsiasi informazione doveva essere di pubblico dominio. Il gruppo aveva raggiunto dopo solo tre giorni circa 350 iscritti, la situazione rischiava di sfuggirmi di mano, essendo un gruppo in cui si usava l'inglese e chiunque poteva infiltrarsi, anche che aveva la divisa, ma in quel momento lo sapevo anche perché non credevo di commettere reato ma semplicemente di dar fastidio a qualcuno.
Feci pulizie e lasciai una trentina di iscritti e otto amministratori, pensavo che la gestione di una pagina Facebook fosse più facile, così ne avevo aperta una con le stesse caratteristiche del gruppo, solo che quest'ultima veniva cancellata il giorno dopo! La differenza che poi ho scoperto è il fatto che il gruppo avendo bisogno di iscriversi per vedere il contenuto è reato mentre la pagina essendo pubblica e visibile a chiunque non poteva essere reato. In poche parole chi mi controllava sperava io sbagliassi e in modo indiretto mi spingeva a farlo.
Dopo due anni di indagini e sei mesi di pedinamenti vengo arrestato con l'accusa di essere un addestratore, non possedevo né armi né prodotti chimici e non frequentavo la moschea.
Nel primo grado il pm chiede quattro anni più le attenuanti generiche e spiega che non sono un addestratore e non chiese l'espulsione, il giudice dopo 15 minuti per decidere, mi condannava a cinque anni e quattro mesi, nessuna attenuante e l'espulsione immediata dopo il fine pena.
A prova di tale condanna non c'era nulla, né armi, né prodotti chimici, le intercettazioni e nessun incontro con musulmani praticanti, era un processo con rito abbreviato, senza lo scalo di pena sarebbero otto anni. Non hanno potuto provare nulla se non il fatto che l'hard disk del computer conteneva foto, video, articoli e libri militari, scaricati da Internet e di libero accesso a tutti, i siti fonte di tale materiale non sono stati mai oscurati dal governo italiano, ne chiesi la motivazione al capo della Digos che non sapeva come rispondermi.
Subito dopo la foto segnalazioni tutte le tv parlano di un attentato sventato contro la sinagoga di Milano, ovviamente dire che sono stato arrestato perché a 20 anni addestravo persone attraverso Facebook non avrebbe fatto allarmismo e anzi forse avrebbe fatto ridere qualcuno.
Persino il direttore della comunità ebraica di Milano in un'intervista disse che non c'è da preoccuparsi che è un fatto isolato di uno squilibrato, dunque se non si è preoccupato lui un motivo c'è, infatti non sono mai stato in quel luogo e non ho mai parlato con nessuno.
In secondo grado mi vengono scalati otto mesi, e i fili dell'autoradio presenti nel cassettino della mia automobile e due orologi analogici della Renault vengono fatti passare dal nuovo pm come preparativi per un'autobomba quando gli stessi artificieri escludevano completamente manomissioni o presenze di esplosivo. Inoltre una spada artigianale di 60 cm ad uso decorativo che non taglia viene fatta passare come arma con cui mi addestravo in assenza di armi da fuoco!
Sono entrato in carcere e sono rimasto in isolamento nel regime 14 bis per due mesi, senza avvocato di fiducia, senza contatti con la mia famiglia e l'esterno, con la censura segreta sulla corrispondenza che arrivava dopo un mese di ritardo, i miei non sapevano se fosse vivo o morto e dove fosse finito.
Gli psicologi venivano a trovarmi ogni giorno, all'inizio non sapevo come funzionasse il carcere, non volevo far vedere nessun cedimento o segno di debolezza, volevo dimostrare che ero fiero della mia identità, ma più mi comportavo da duro più allungavo il mio isolamento, dicevo sempre di stare bene e non avanzavo né richieste né domandine né lamentele, stavo in cella 23 ore su 24 e a volte non uscivo proprio, ma in seguito sotto consiglio di uno a cambiare atteggiamento e dovetti infine privarmi per tre giorni del sonno, ero diventato uno zombie, avevo perso lucidità e camminavo strisciando i piedi a terra. Il carcere nel timore di mio suicidio scrisse a Roma e il giorno dopo raggiunsi di altri fratelli al piano di sopra.
In carcere ho imparato l'arabo e l'Islam, sono diventato più praticante, ho visto e scoperto realtà di cui prima non ero a conoscenza. L'obiettivo dello stato italiano non è reintegrarci o recuperarci ma di punirci per la nostra religione e strumentalizzarci per dimostrare l'amore incondizionato agli Usa e ricevere fondi per combattere quel terrorismo che non c'è e che riempie le tasche e aumenta gradi e stipendi a chi monta questi film.
Sono fiero di chi sono perché con la mia fede, ideologie e decisioni non ho fatto male a nessuno, bensì ho salvato la mia vita dall'egoismo, dall'alcol, dalle droghe e dalla violenza della strada ed ho aiutato come ho potuto i più deboli, denunciando e diffondendo la realtà di ciò che succede loro, e ho voluto rendere la conoscenza universale, a vantaggio e accessibile a tutti affinché i più deboli che pagano sempre il prezzo più alto possano avere speranza per un futuro migliore. Questo è un breve riassunto della mia storia, ero ragazzo come tutti il 15/3/2012 quando mi hanno arrestato. La vita è bella e farò il possibile affinché sia bella anche per chi sta peggio di me, ovunque nel mondo.
Rossano, 19 novembre 2014
lettera dal carcere di agrigento
Salute a tutto il collettivo! E' da un bel po' di tempo che non ho vostre notizie, in realtà è una condizione generalizzata. Sono nel buio delle rapportazioni con l'esterno, e non so se la nuova ed ennesima censura sulla corrispondenza sia una delle cause o c'è dell'altro. Sono rientrato qualche giorno fa da Oristano (per un processo) e ai primi di luglio dovrò riandarci.
Io sono in forma e son certo anche voi. Vi abbraccio, Davide.
Presoni 'e Petrusa 7 giugno 2015
Davide Delogu, C.C. Contrada Petrusa - 92100 Agrigento
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In solidarietà a Davide e per far conoscere, attraverso il suo caso, la realtà del 14bis e dell’isolamento carcerario, si stanno organizzando svariate iniziative in molte parti d’Italia, qui di seguito ne segnaliamo soltanto due.
La lotta al Tav ci ha mostrato una volta di più che la realtà dei fatti e l'informazione di massa non vanno affatto di pari passo. Il movimento NO TAV, colpito in prima persona dalle bugie di TV, radio e giornali, ha allora imparato a cercare fonti dirette e attendibili su quanto ci circonda, e così le iniziative informative sulle lotte 'lontane' rimbalzano sui nostri calendari attraversando i borghi della Valle.
La 'Pizza Resistente', pur essendo di poche parole, sostiene concretamente chi lotta intappolato tra le sbarre delle patrie galere. Ma a questo giro, come si suol dire, due parole le vuole spendere... non le sue, beninteso, ma quelle di Davide Delogu.
La sua lotta è una lotta lontana, perchè lui è rinchiuso in un carcere, e noi quello che succede in un carcere lo possiamo quasi solo immaginare.
La sua lotta è una lotta vicina, perchè il carcere è un monito per tutti noi che ci troviamo fuori dalle sue mura: siamo dunque davvero liberi?
Le parole dirette di Davide testimoniano cosa succede quando ad alzare la testa è chi si trova in prigione. I fatti che racconta contengono la motivazione che ci porta a sostenere la sua lotta. La sua determinazione sono un esempio di coraggio e coerenza.
Le parole di sostegno alla Valle che resiste che troviamo nelle sue lettere trasmettono lo slancio che ci serve per far rotolare via dal nostro cammino di lotta il macigno della repressione. Uniamo le lotte! Liber* tutt*!
Giovedì 25 giugno, a Venaus:
- dalle 16: si accende il fuoco, libera circolazione del materiale informativo, scriviamo una lettera a Davide;
- dalle 19: si mangia la pizza tutti assieme, ognuno lava il suo piatto;
- a seguire, dalle 21 circa: momento informativo sulla situazione di Davide. A partire da alcuni stralci delle sue lettere potremo fare insieme qualche riflessione sulle similitudini tra carcere e società, sulla repressione e su come affrontarla..
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Mercoledì 1 luglio al centro sociale Micene, via Micene (zona Selinunte, San Siro, Milano) ore 19.30 apericena. A seguire (non troppo tardi) assemblea per una mobilitazione contro il 41bis e la sua estensione all'intero sistema carcerario; in primis 14bis (punizioni e isolamento). Lo scopo è socializzare quanto accaduto nella sezioni 41bis in merito alle restrizioni a libri, riviste, stampa, ecc.
Passi da compiere qui a Milano e Lombardia per mettere in piedi una mobilitazione incisiva – cominciando dal fatto che nel carcere di Opera c'è la sezione a 41bis più numerosa d'Italia (oltre 100 prigionieri) là dove c'era il femminile.
In allegato a tale scritto è stato diffuso materiale informativo su quanto accaduto sinora e una lettera di Roberto (prigioniero nella sezione 41bis di Spoleto) che ci aggiorna sulla situazione.
L'apericena per raccogliere fondi da inviare al compagno Davide, da oltre un anno sottoposto al 14bis. In allegato appello a solidarizzare e lottare con lui.
E' opportuno che ci si adoperi tutti perché il comunicato abbia un'ampia diffusione
Collettivo OLGa
Trento: Presidio al carcere di Spini di Gardolo
Nei giorni scorsi i detenuti del carcere di Spini hanno dato vita ad una forte protesta (battiture, lenzuola incendiate, bombolette del gas fatte esplodere nei corridoi) contro le restrizioni imposte dal nuovo direttore, Valerio Pappalardo. Limitazioni alle telefonate e ai colloqui, divieto di usare il campo da calcio sono le cause immediate della protesta, ma sullo sfondo c'è sempre il ruolo dei magistrati di sorveglianza (Arnaldo Rubichi in particolare) che negano sistematicamente l'applicazione delle misure alternative al carcere.
Alla protesta l'amministrazione penitenziaria ha reagito con pestaggi e isolamento , facendo intervenire i Gruppi Operativi Mobili (tristemente noti per le torture inflitte nella caserma genovese di Bolzaneto, contro i manifestanti anti - G8, e per i numerosi pestaggi in tante altre carceri). Parecchi prigionieri si trovano in infermeria, ancora una volta il direttore sanitario (Ramponi, responsabile anche del Pronto Soccorso dell'ospedale Santa Chiara) copre l'operato delle guardie.
Per rompere l'isolamento. Per esprimere la nostra solidarietà ai detenuti in lotta
SABATO 20 GIUGNO DALLE ORE 15, PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE DI SPINI
18 giugno 2015, da informa-azione.info
lettera dal carcere di Sulmona (aq)
Carissimi compagni, vi informo che abbiamo ricevuto l’opuscolo numero 102. Innanzitutto volevo ringraziarvi per la solidarietà che esprimete a tutti i prigionieri e per la vostra vicinanza alle condizioni di ingiustizia che vivono tutti gli ergastolani. Una punizione crudele che sottrae la libertà, perché l’ergastolo è una pena disumana che priva l’uomo di ogni diritto. Voglio mettervi a conoscenza di alcune problematiche che riguardano il carcere di Sulmona.
Scorrendo lo scritto riguardante il compagno Mimmo Belfiore devo precisarvi che non è sottoposto al regime del 41bis. Le condizioni sanitarie in generale, qui, sono serie perché ci sono racchiuse molte altre situazioni analoghe. Belfiore ha avuto problemi post-operatori e negligenze gravi che lo hanno portato ad essere ancora, a tutt’oggi, ricoverato. Per ricordarvene altri cito Chessa Gavino e Montalto Giuseppe, anch’essi con complicazioni post-operatorie.
Purtroppo i carcerati vengono qualificati come persone di serie B che possono subire tutto, come sofferenze e torture. Che riguarda il carcere di Sulmona. Non voglio insinuare che tutto quello che è successo a Belfiore è stato voluto, ma purtroppo, guardando la realtà, si evince che accade troppe volte.
Un altro problema che riguarda il carcere di Sulmona è il regime di chiusura da parte dell’istituzione. Qui c’è la maggior concentrazione di ergastolani e siamo lasciati al nostro destino. L’area di trattamento è assente, il lavoro è quello che è, oltremodo si aggiunga che la maggior parte di noi ergastolani si trova in cella a due (posti) e la conclusione la lascio a voi. Che abbiano l’intenzione di continuare con la nomea di questo carcere chiamato “carcere dei suicidi” c’è da chiederselo.
Ho tanta esperienza carceraria, so bene che qualche istituto funziona e qualc’un altro no: qua siamo fra quelli no. E se devo dirla tutta credo anche che non ci sia alcuna volontà di cambiare.
Il carcere quanto aperto può essere sempre una gabbia rimane. Noi siamo contro tutte le galere e per un mondo di uomini liberi. Ciao a tutti, Antonino.
7 giugno 2015
Indirizzi Antonino Faro, via Lamacio, 2 - 67039 Sulmona (L’Aquila)
In una seconda lettera datata 11 giugno Antonino aggiunge:
[...] vi scrivo queste poche righe per farvi avere chiarimenti in merito alla lettera che vi ho spedito giorni fa. Vi informo che Mimmo Belfiore oggi è stato scarcerato perchè la sua situazione generale si è aggravata, perchè deve subire un altro intervento chirurgico – speriamo bene. E' importante così da libero ha il sostegno dei suoi famigliari.
Saluti a tutti i compagni. Antonino...
Lettera dal carcere di Teramo
Dopo le condanne definitive per la giornata del 15 ottobre 2011 a Roma, Davide Rosci, liberato solo pochi giorni prima, è rientrato in carcere.
La sentenza della Corte di Cassazione ha confermato le pesanti condanne nei confronti, di Mauro, Davide e Cristian, mentre per Marco è stata annullata l'accusa di devastazione e saccheggio e rimandato il processo in Corte d'Appello.
Davide si trova ora rinchiuso a Teramo, dove l'appello alla solidarietà diffuso nei giorni scorsi ha fatto sì che stia ricevendo moltissima corrispondenza e supporto. Questo gli dà forza, per cui invitiamo a continuare a scrivergli e di seguito pubblichiamo una lettera che ha inviato dal carcere di Teramo (tratta da osservatoriorepressione.info).
Carissim*, giudicare in modo lucido quello che mi è accaduto in questo ultimo mese penso sia impossibile pertanto non cercherò di commentare o analizzare i singoli eventi.
Quando ti piombano addosso certe cose forse conviene solo prendere atto, quindi piano piano spero di realizzare e reagire così come ho sempre fatto.
Rientrare in carcere è stata per me una sorpresa, così come credo per tutti, e sinceramente mi sarei aspettato che questo Stato “Democratico’’ mi avrebbe concesso il tempo tecnico per trovare un lavoro e quindi reinserirmi nella società, ma così non è stato.
Purtroppo loro credono di rieducarmi sbattendomi dentro e se la soluzione migliore gli appare questa veramente c’è da rimanere perplessi su quale metodo di misura sia stato adottato, la strada ora sarà tutta in salita e da qui non riesco a vedere la fine.
L’unica cosa che so di dover fare è di essere forte per me, ma soprattutto per i miei famigliari perché sono loro che subiscono di più ciò che è accaduto. A loro va attualmente tutto il mio pensiero e proprio per loro devo restare calmo e lucido.
La cassazione ha chiuso l’ultimo capitolo di questo libro e il finale ha lasciato una morale chiara: in Italia il fascismo è vivo nelle istituzioni, le leggi fasciste servono a sbattere in carcere chi non si piega ad un sistema che premia chi ruba, inquina e lucra sulla povera gente e purtroppo che il sacrificio dei partigiani è servito a ben poco. Piangersi addosso non serve a nulla quindi c’è solo da augurarsi che dagli errori del passato si possano trarre insegnamenti per il futuro. Non farlo risulterebbe un regalo troppo grande a coloro che da sempre guidano l’Italia per i loro sporchi interessi. Sono certo che da domani si aprirà una discussione in merito.
Prima di congedarmi da questa missiva, e prendermi un caffè che il mio concellino Eddy ha fatto, voglio chiedere a tutti voi che avete sempre dimostrato tanta solidarietà di stare vicini soprattutto a mia madre. Vi chiedo di tenerla presente per un lavoretto come badante, donna delle pulizie o altro perché con la morte di mio padre non ha più un sostegno economico. Siete stati tutti voi per me una famiglia e se una famiglia, in questo caso allargata, è unita nulla potrà piegarla. Vi voglio bene.
Davide Rosci, c.da Ceppata 1, Località Castrogno - 64100 Teramo
lettera dal carcere di avila (spagna)
Salute a tutti i compagni e le compagne che lottano contro questa società repressiva carceraria e per la distruzione del suo attuale sistema di dominio capitalista.
Compagne/i, era molto che non riuscivo a comunicare con voi, soprattutto con la gente di Tokata, dato che dopo più di 7 anni dentro e sempre classificata in primo grado (attualmente in 91.3) per la mia ideologia anarchica e la mia personalità non-sottomessa e antiautoritaria, gli sbirri della II.PP (Istituzioni Penitenziarie) e del ministro dell'interno hanno deciso d'includermi nel FIES 5 nel dicembre del 2014, perchè non ho mai avuto incertezze nel ribellarmi, fare proteste, fare scioperi della fame o cercare di distruggere il più possibile le loro maledette "macro-carceri di sterminio" ogni volta che per qualche motivo o per solidarietà con qualche compagno di lotta, cosa che ha portato la mia pena dai sette anni di condanna ai 14 anni che sto scontando attualmente e avendo ancora davanti la prospettiva di due processi-farsa ad Avila, già rinviati due volte, dove vogliono aggiungermi altri sette anni, non voglio entrare nel discorso dell'innocenza o colpevolezza perchè solo le loro leggi sono i miei delitti, solo la sua putrida (in)giustizia borghese è il nostro carcere...
Credo fermamente che chi rimane in silenzio e si sottomette alle aberranti leggi che pretendono imporci questi boia idolatri del fascismo senza metterle in dubbio si sta conformando ed è complice di tutto quello che succede in questi "centri di sterminio e sperimentazione umana" al cedere alla sconfitta che suppone la sottomissione.
Il maggiore nemico di un detenuto è l'abuso di potere con cui si producono tutte le ingiustizie e queste continueranno ad esserci finchè ci saranno detenuti che stanno zitti con il timore di alzare la voce... Quanti compagni ancora devono pagare con la propria vita per ribellarsi e lottare per tutti i detenuti? Quanti casi ancora come quello di Dopico, Gavioto o di Volvo, che è stato trovato morto in "strane ma evidenti circostanze" per aver il coraggio di lottare e rimanere fedeli all'ideale libertario, devono succedere affinchè la gente si svegli e prenda sul serio la lotta anticarceraria? Quanti compagni come Javier Guerrero Carvajal dovranno mettere in gioco la propria vita facendo scioperi della fame per non lasciarsi schiacciare dall'Amministrazione, conquistare i propri diritti e generare dibattito nel Movimento Libertario e il popolo in generale, per creare coscienza sociale e che tutti i detenuti e le detenute possano apportare il proprio granello di sabbia nella lotta...
La verità è che non comprendo l'attitudine di molti di coloro che anni fa avete lanciato la campagna Carcere = Tortura, e oggi quattro anni dopo, quei buoni propositi sono rimasti una cortina di fumo; così come mi tolgo il cappello per tutti coloro che continuano a rimanere fedeli alla nostra lotta ed al nostro bell'ideale.
Sempre mi sono definita e dichiarata apertamente anarchica, nemica del potere, nemica di ogni tipo di figura autoritaria e di tutta l'oligarchia governativa (Stato-Monarchia-Parlamento) e del suo putrefatto sistema del Capitale fatto di morte e dominazione; motivi utilizzati contro di me dalle II.PP. e il Ministero dell'Interno non solo per includermi nel FIES 5 ma anche per controllare tutta la mia corrispondenza e limitare l'invio a due lettere la settimana, questo per limitare l'appoggio con gli anarchici a livello internazionale, con cui ho affinità.
Per questo non posso comunicare con voi come vorrei ne esprimermi al cento per cento, se qualcosa mi ha insegnato la vita è che i sentieri si percorrono camminando e l'essere anarchico si dimostra con i fatti e non con le parole! Con la prassi e materializzando il nostro ideale libertario. Stufa di vedere e di subire le ingiustizie dall'asse centrale della macchina punitiva dello Stato, il carcere, e di come soffrono molti compagni a mano dei loro boia e di comprovare come si ritorcono contro di me le rappresaglie per la mia ideologia acrata e di promuovere la distruzione totale di questa Società repressivo-carceraria e dei suoi strumenti punitivi di dominio a favore della liberazione totale degli individui, ho deciso di ribellarmi di nuovo e tornare ad alzare la voce attraverso uno sciopero della fame che ho iniziato il 23 marzo 2015 (concluso il 30 aprile, proprio in vista dei processi poi rinviati) per rivendicare: che mi vengano restituite le mie pertinenze sequestrate dopo esser stata classificata secondo l'art. 91.3, i vestiti, alcuni prodotti d'igiene, libri di lettura e di studio, radio-cd, tv e altro. Posso tenere in cella solo 6 cambi di vestiti, 6 cambi di intimo, 2 paia di ciabatte o scarpe, tovaglia, gel, shampo, deodorante e dentifricio.
Che mi si permetta di continuare i miei studi nella UNED e mi si faciliti il materiale necessario; diritto allo studio che avevo prima e che dal 17 febbraio sono tornata nel 91.3 e mi viene negato sistematicamente.
Fine del mantenimento del grado punitivo in modo perpetuo con tecnicismi illegali della II.PP che mi si progredisca nel secondo grado, o come minimo in primo grado, seconda fase, 91.2 e mi si riporti nella sezione verde con le mie compagne.
Fine del FIES, che mi escluda dal FIES 5 impostomi nel dicembre 2014.
I prigionieri e le prigioniere come me siamo persone e abbiamo dei diritti; diritto ad una vita degna, diritto all'intimità, diritto al segreto delle comunicazioni. Che venga annullata la censura della corrispondenza e il limite delle due lettere a settimana a tutti.
Che vengano restituiti i permessi di uscita al compagno Javier Guerrero Carvajal, prigioniero in lotta che con la scusa di ascoltare musica da un cd prestato lo hanno punito con l'isolamento e la revoca dei permessi. Ricordiamo che Javi ha fatto uno sciopero di 130 giorni di sciopero della fame con periodi di scioperi della sete, è stato operato ai reni a causa dello sciopero ed ha una flebite su una gamba, completamente gonfia per i problemi renali. Se l'amministrazione e il carcere di Lama non gli importa nulla della vita del nostro compagno a noi si! E lo vogliamo vederlo sano vivo e libero il prima possibile.
Che si faccia un'inchiesta sulle "strane circostanze" della morte del nostro compagno Borja Martin Gomez (alias Volvo) nel carcere di Lama lo scorso 6 marzo. Lo scorso anno nelle stesse strane circostanze è stato trovato morto anche il compagno Gavioto, anche in questo caso non è stata fatta nessuna inchiesta.
Fine della tortura e dei maltrattamenti in carcere, basta con tanta impunità e silenzio amministrativo! Che si investighi tutte e ognuna delle denunce poste per maltrattamenti in carcere.
Libertà immediata per il nostro caro e irriducibile Txema Pirla e per Josè Antunez Becerra. I quali sono in carcere da 32 e 40 anni rispettivamente e dovrebbero essere in libertà già da vari anni per superare il limite massimo di 20 o 25 anni fissati dal codice penale art.76.
Che siano messi in libertà tutti i malati cronici o incurabili; il carcere aggrava la malattia e provoca morti che potrebbero essere salvati con un corretto trattamento all'esterno e circondati dall'affetto dei propri cari. Se il carcere è una "condanna temporale" per un malato diviene una condanna a morte. Non vogliamo più morti in carcere.
E per salutare dirvi che mi sembra una idea fantastica la creazione della CACT per gestire e coordinare meglio le azioni dentro-fuori, rinnovare i vincoli tra i compagni dentro e fuori e per avere una maggior rapidità ed efficacia nell'agire quando qualche compagno ne ha bisogno. Nonostante ciò, devo dirvi anche che purtroppo chi è in Fies o abbiamo la censura, abbiamo difficoltà con la posta e le notizie ci arrivano tardi, bisogna insistere per la corrispondenza soprattutto quando tornano indietro. Attualmente nella zona di Avila non ci sono gruppi di appoggio e una strategia effettiva per garantire l'esistenza di una comunicazione fluida sarebbe quella di aumentare la crazione di gruppi di appoggio in ogni provincia o regione e che ci passiate una lista dei compagni e in quale carcere stanno per non perderci di vista durante i trasferimenti. Da sei mesi ho una lista di partecipanti al coordinamento.
Con i miei migliori desideri di salute e libertà vi mando un fraterno e combattivo abbraccio da Avila. Noelia.
maggio 2015
Noelia Cotelo Riveiro, CP Brieva, Modulo Amarillo - 05194 Apartado de correos 206 - Avila - Spagna
Milano: sgomberato l’hotel occupato. Ci rivediamo nelle lotte!
11 giugno, 4.30 del mattino, la polizia blocca l’accesso a via Ruggiero Settimo: il Grand Hotel Occupato è sotto sgombero. Sette compagni all’interno. Giù dal letto, di corsa sulle scale, le barricate si chiudono, si va verso il tetto. Quattro poliziotti in passamontagna e maschera anti-gas sono già lì e sorprendono i compagni lanciando gas CS all’interno dell’edificio.
Lo sgombero termina in qualche ora, i compagni vengono portati in questura per poi essere rilasciati nel pomeriggio con denunce di invasione di terreno e resistenza a pubblico ufficiale.
Durante lo sgombero, non ce ne meravigliamo, i poliziotti si sono accaniti sul materiale musicale presente all’interno dell’edificio, distruggendolo.
Erano quattro mesi, dal 23 gennaio, che abitavamo l’Hotel. Questa occupazione nasce dall’esigenza di conciliare la Vita in comune con la volontà di organizzarsi nelle lotte, da quella antifascista, a quella nei quartieri popolari, a quelle contro le grandi opere. Aprire crepe dentro la Milano vetrina di Expo dove incontrarsi, organizzarsi e contrattaccare.
Per questo motivo era un luogo di riferimento nazionale ed internazionale per tutti coloro che volevano conoscere e contribuire alle lotte milanesi.
Era anche uno spazio di socializzazione ed incontro aperto alla città durante le iniziative di discussione, presentazione di libri e aperitivi musicali.
Lo sgombero si inserisce in un clima di oppressione che le istituzioni, attraverso media e polizia, stanno creando in città. Basta tornare nei quartieri Giambellino e Prealpi, i giorni che hanno preceduto la manifestazione NoExpo del 1 maggio, per avere uno sguardo più chiaro. Sgomberi, persequizioni, identificazioni, stati di fermo, fogli di via.
A Milano non vi è spazio per chi lotta quotidianamente, la città deve apparire come una vetrina perfetta e seducente agli occhi di tutti, deve vendersi bene.
Non saranno certamente questi attacchi, questa gogna mediatica delle giornate relative al primo maggio, che riusciranno a reprimere tutti coloro che lottano e che si organizzano per opporsi quotidianamente agli stressanti ritmi di vita imposti dalla metropoli di Expo. Non è solo uno spazio a definire l’agire politico di una collettività, non sarà certo questo sgombero a fermarci; con o senza uno spazio fisico ci rivediamo nelle lotte!!
giugno 2015, da tazebao.org
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un’udienza per lo sgombero in prealpi
Sono passate tre settimane da quel 15 maggio in zona Prealpi, quando, per uno sgombero da parte di MM di due appartamenti occupati, alcune persone si mossero in solidarietà a chi era sotto sgombero.
In quella giornata, oltre alle solite cariche e manganellate, il commissariato di Quarto Oggiaro decise di fare passare un “brutto quarto d'ora” a qualcuno, forse anche per vendicarsi un po' del Primo maggio. Così, tre persone furono arrestate, violentemente, con l’accusa di resistenza!
Oggi c'è stato per loro il primo grado di giudizio. Tra le varie deposizioni degli sbirri e qualche testimone della difesa, è andata via una intera mattinata.
Nonostante le versioni imbellettate e romanzate profuse dai poliziotti di Quarto, che ci tenevano tantissimo a ribadire l’utilità della propria azione (10-15 agenti in borghese, su auto anch’esse in in borghese, nascosti agli occhi della gente del quartiere), la giustificazione per un simile impiego di “forza” per effettuare un semplice sgombero non si è capita benissimo. Ma tant’è...
Fatto sta che alla fine dell’udienza la pm ha chiesto l’assoluzione per uno degli imputati, 6 e 9 mesi per gli altri due, ma il giudice ha deciso per 4, 6 e 8 mesi per resistenza, con condanna sospesa e revoca delle firme.
A settembre l'appello, e l’iter andrà avanti (sbadiglio)...
Chi c’era.
Milano, 5 giugno
ALCUNE NOTE SUL PRELIEVO DEL DNA
Alla luce dei fatti accaduti nell’ultimo periodo, alcuni compagni hanno iniziato a documentarsi circa le procedure e le normative del prelievo del DNA da parte della polizia. E hanno steso le seguenti note.
I fatti
Il primo episodio porta la data del 2 maggio, città di Milano: alcuni compagni greci, appena usciti dal Grand Hotel occupato / Comune di via Settimo, dov’erano ospiti in quei giorni, vengono fermati e accerchiati dalla polizia, per essere quindi “accompagnati” in questura per la procedura d’identificazione, la quale comprenderà anche il prelievo del loro DNA.
Il secondo episodio avviene ancora a Milano. Stavolta siamo nel mese di giugno: il Grand Hotel occupato è sotto sgombero, resiste per il tempo che può e i sette compagni trovati all’interno vengono portati in questura: la motivazione è quella di procedere alla loro identificazione e alla notifica della denuncia per occupazione e resistenza. Anche stavolta verrà prelevato il loro DNA.
Il terzo episodio riguarda quattro compagni fermati e perquisiti dalla polizia all'aeroporto di Bergamo di ritorno dalla mobilitazione antimilitarista contro l’aeroporto di Decimomannu; a un compagno al quale viene notificata un’indagine la polizia vuole prelevare campioni del DNA: di fronte al suo rifiuto, gli viene comunicato che verrà avviata la procedura per il prelievo coatto.
Norma & ideologia
Legge del 30 giugno 2009, n. 85 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 160 del 13 luglio 2009 - Supplemento ordinario n. 108: “Adesione della Repubblica italiana al Trattato concluso il 27 maggio 2005 tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d’Austria, relativo all’approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale (Trattato di Prum). Istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA. Delega al Governo per l’istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria. Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale”.
“In casi di violenza sessuale, omicidio, rapina si trovano spesso sulla scena del crimine tracce biologiche dalle quali è possibile risalire al profilo genetico dei presenti. Il DNA è un’informazione genetica che distingue una persona dall’altra e può essere confrontato con quelli presenti nelle banche dati nazionali, se quel profilo genetico è già stato schedato. Anche l’Italia sta per avviare la Banca Dati Nazionale del DNA che è già di supporto alle indagini in molti paesi europei per risolvere casi complessi e scagionare chi è innocente”.
È questo il messaggio dello spot lanciato dal Governo italiano e mandato in onda sulle reti Rai: “risolvere casi complessi e scagionare chi è innocente”. Ovverosia: le tracce sul cadavere del bambino-scomparso-sotto-gli-occhi-dei-parenti; la maglietta della ragazzina-acqua-sapone-e-apparecchio-ortodontico stuprata e uccisa; nella famiglia-terribile-che-nasconde-un-segreto-indicibile chi è il più colpevole? E la bicicletta di Garlasco era nera o bordeaux? E i pedali erano originali oppure erano stati sostituiti per eliminare le tracce di DNA? Bisogna tenersi informati! Bisogna collaborare con gl’inquirenti (e sessantamila abitanti della Bergamasca l’hanno fatto)! Si può anche dire la propria, col televoto o inviando un post!
In un’Italia che dalla “tragedia di Vermicino” in poi ha cancellato la dimensione del conflitto sociale e le sue storicamente complesse ragioni a favore di una sequela infinita di tragedie familiari vissute-in-diretta-tivù e che da ormai quindici anni è esposta, a detta di politici e giornalisti, a una “minaccia terroristica” non meglio precisata epperò “terribile”, perché non cercare le tracce di DNA anche sui luoghi dei sabotaggi No Tav o degli scontri del Primo Maggio meneghino? Sicuramente se ne troveranno, visto che né gli attivisti No Tav né i “Black Bloc” provengono da un altro pianeta, con un diverso acido desossiribonucleico. E, del resto, perché buttare al macero le abilità maturate, a livello internazionale, in anni e anni di inchieste contro movimenti animalisti ed ecologisti radicali? Ma c’è un ma… Una simile “perizia”, infatti, annuncia una clamorosa disfatta dei reggitori dello Stato, ché l’incipiente rinovellarsi della “questione sociale” risulterà affatto irriducibile allo storyboard di una ennesima puntata di “CSI”. Ciò detto, torniamo ai fatti.
Rilievi tecnico-giuridici
Al Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita è affidato il compito di chiarire ogni aspetto sulla costituzione della Banca Dati DNA.All’indomani del corteo del Primo Maggio a Milano, polizia e magistratura comunicano la volontà di creare un archivio di tracce di DNA, su quanto rinvenuto in strada, elemento importante all’interno di una vasta indagine che costoro auspicano porti ad alti risultati.
Chi ha esperienza di “accompagnamenti” in questura sia per identificazione sia per accertamento d’indagine su di una qualche ipotesi di reato, in quanto persona indagata, sa che dovrà sottoporsi ad alcune procedure: farsi identificare attraverso un documento d’identità è praticamente d’obbligo, per accertamenti più minuziosi le forze dell’ordine provvederanno poi a registrare, oltre alle generalità, alcune caratteristiche fisiche del soggetto: altezza, colore degli occhi, tatuaggi o cicatrici, impronte digitali. E fin qui nulla di nuovo, purtroppo o per fortuna. Epperò dal 1º maggio 2015 si è aggiunta una novità: il prelievo del DNA, anche se la persona oggetto d’indagine è già stata identificata attraverso le procedure descritte sopra.
A consentire l’identificazione di una persona indagata è l’articolo 349 del Codice di procedura penale; tale articolo nel 2005 è stato ampliato in nome dell’antiterrorismo: se l’identificazione non risulta possibile tramite i soliti accertamenti, si può ricorrere al prelievo della saliva e dei capelli, previo consenso volontario della persona o per mezzo di un’autorizzazione scritta o orale del pubblico ministero, autorizzazione che dev’essere riportata sul verbale rilasciato al termine delle procedure.
Il prelievo del DNA non è quindi consentito se l’identificazione è certa, anche se vi è l’autorizzazione del pubblico ministero. Identificazione che peraltro è sempre certa, visto che i compagni fermati di solito sono ben conosciuti dagli operanti di polizia o perché in possesso di documenti di identità.
In caso di rifiuto legittimo pertanto si potrà procedere al prelievo di un campione biologico solo nei confronti di persone indagate per un delitto che prevede la pena non inferiore nel massimo a tre anni. In tal caso per poter effettuare il prelievo sarà necessario uno specifico decreto del giudice o in cado di urgenza un decreto motivato del pubblico ministero da convalidarsi nelle successive 48 ore dal giudice.
I prelievi di DNA effettuati dal personale della questura di Milano sono avvenuti senza volontario consenso da parte dei soggetti interessati, anzi con un rifiuto da parte loro che ha avuto come risposta una serie di pressioni, intimidazioni e dichiarazioni di piena “libertà d’azione”, in nome di quanto accaduto il Primo Maggio, da parte degli operatori di polizia (loro testuali parole: “D’ora in poi a Milano facciamo così!”).
A parte ogni altra considerazione su un ordinamento giuridico che viene “aggiustato” in questa o quella Questura, facciamo notare che sui cosiddetti “fatti del Primo Maggio” a tutt’oggi risulta essere aperta solo una indagine contro ignoti. Nessuna autorizzazione a un qualsiasi prelievo di DNA da parte di un pubblico ministero vi è mai stata, né ne risulta traccia in nessuno dei verbali rilasciati ai compagni, nondimeno sottoposti al prelievo della saliva. Quindi, la dicitura prestampata di consenso e di rispetto della persona, in bella mostra sul tali verbali, altro non è che il sigillo del sopruso poliziesco.
Se i prelievi effettuati avranno valore o meno in sede legale sarà tutto da verificare. Certo è che, comunque, rimarranno come traccia identificativa della persona a uso e consumo della polizia.
Facile è prevedere che una simile pratica andrà avanti e si estenderà ben oltre l’indagine sul Primo Maggio milanese. L’importante è che incontri un rifiuto sempre più forte, tenace e consapevole. A ciò mirano queste nostre prime note.
24 giugno 2015
Alcuni compagni e compagne di Milano
Torino: decine di famiglie prendono casa in via Bardonecchia
Nuova occupazione a scopo abitativo a Torino. Decine di famiglie con bambini hanno trovato casa in un edificio (ex scuola) in via Bardonecchia 151 (quartiere Pozzo Strada), di proprietà comunale fino al 2013, quando il comune ha deciso di venderlo alla Cassa Depositi e Prestiti, società per azioni finanziaria partecipata dallo Stato all'80%, che a sua volta ha intenzione di venderlo all'ennesimo palazzinaro e speculatore immobiliare per costruire case che con molta probabilità rimarranno vuote.
Così questa mattina, famiglie e solidali hanno aperto le porte dell'edificio e sono entrati, rilevando lo stato di abbandono a cui era ormai sottoposto e con l'intenzione ora di dare un senso all'ennesimo edificio lasciato vuoto. Famiglie e solidali hanno deciso non solo di riappropriarsi dei bisogni e della dignità, ma di dare vita a questo spazio anche con attività utili al quartiere in cui è situato.
In una Torino in cui solo nel 2014 sono state sfrattate oltre 4.500 famiglie senza alcun intervento da parte delle istituzioni, alle quali ormai rimane il triste primato di aver creato una situazione sociale disastrata, questa nuova occupazione riesce a dare respiro e una dignità a decine e decine di famiglie.
Intanto gli occupanti rilanciano già per sabato 27 giugno con un'iniziativa nella nuova occupazione di via Bardonecchia, per un pomeriggio di giochi e merenda per i più piccoli, un aperitivo e un'assemblea aperta a tutti e tutte per approcciarsi al quartiere e farsi conoscere.
21 giugno 2015, da infoaut.org
Giornate di sfratti a Palermo: c'è il “Prendocasa” a bloccarli
Stamattina le famiglie del Comitato di lotta “PrendoCasa Palermo” insieme ad alcuni militanti dei centri sociali, hanno impedito l'esecuzione di uno sfratto ai danni di una famiglia di Villabate, paesino nel palermitano. Negli scorsi mesi, due famiglie, abitanti della stessa palazzina, avevano deciso di rivolgersi allo sportello antisfratto del Comitato per ricevere supporto e solidarietà. Tutte le famiglie che ad oggi vivono in questa palazzina, 6 in totale con 12 bambini a carico, sono a rischio sfratto ormai da mesi e vittime di un tipico esempio di truffa e vera e propria ingiustizia che quotidianamente le agenzie immobiliari commettono a danno delle tantissime famiglie che vivono nell'incertezza e precarietà abitativa.
Nel 2010 le famiglie di Villabate, si erano infatti rivolte alla Zeus Immobiliare e tramite questa avevano preso in affitto gli appartamenti. A causa di un problema alle tubature, l'erogazione dell'acqua (pubblica) non era assicurata. Alle richieste di intervento alla società Acque Potabili Siciliane (fallita nel 2013) la risposta era sempre negativa a causa di una morosità pregressa, non imputabile agli attuali abitanti, di oltre seimila euro. Accade che le famiglie, attraverso la stipula di un “contratto preliminare”, versino puntualmente le mensilità dell'affitto, ogni mese ad una persona diversa e in contanti, senza una ricevuta di pagamento, con la promessa rimandata di mese in mese di un regolare contratto. Ma di regolare negli affari della Zeus c'era ben poco e ad un certo punto dichiara fallimento e scappa con la cassa. Poco tempo dopo alcune delle famiglie iniziano a ricevere delle notifiche di sfratto per occupazione dalla nuova proprietà, un'altra agenzia immobiliare, la GIERRE. La condizione per regolarizzare gli abitanti, secondo quest'ultima, è il pagamento delle mensilità dovute, pari ad una media di 30 mila (!) euro a famiglia. Il tentativo di trovare un compromesso da parte delle famiglie risulta inutile, nonostante la volontà da parte degli abitanti sotto sfratto di risolvere un problema che non le riguarda affatto. Una, la famiglia della signora Concetta, prova in ogni modo di impedire che la sua famiglia rimanga per strada; ed è dopo la terza “visita” e invasione dell' Ufficiale giudiziario in casa propria che si rivolge al comitato “Prendocasa”.
Il 28 maggio scorso il primo intervento antisfratto del Comitato in supporto a una delle famiglie. Volontà di sfratto che, nonostante la presenza di carabinieri, proprietari (GIERRE) e loro avvocato oltre all'Ufficiale g., viene impedito e rinviato di un mese. Un mese nel quale però il caso ha iniziato ad avere un proprio seguito, suscitando la solidarietà e la compattezza di tutti gli inquilini colpiti dalle stesse vicende, e del vicinato.
Anche questa volta, dalle 8,00 di stamattina, le famiglie del Comitato hanno atteso l’arrivo dell’ufficiale giudiziario contro l’esecuzione di uno sfratto ai danni di una delle famiglie, con due minori di cui uno disabile (per un’altra famiglia invece, lo sfratto è stato fissato per luglio). In attesa di una trattativa, durante la mattinata una parte delle famiglie e dei solidali è rimasta dentro le abitazioni per impedire l’accesso alle forze dell'ordine che puntualmente scortano gli ufficiali giudiziari, un’altra parte fuori a presidiare l’ingresso. Sono state lunghe ore di trattativa risoltesi in tarda mattinata con l'ottenimento di un nuovo rinvio, il cui deterrente è di certo stato il numeroso, prolungato e sostanzialmente fisico schieramento davanti i cancelli d'ingresso agli appartamenti.
Ma questa è solo una, particolarmente ingiusta certamente, di storie di sfratti e precarietà abitativa (che ovviamente si fa esistenziale quando non si ha un tetto sulla testa) a cui assistiamo quotidianamente a Palermo. Come già accennato, proprio un altro sfratto ai danni di una famiglia era stato impedito pochi giorni fa dal comitato “Prendocasa” in tutt'altra zona della città, in via Tommaso Natale. Anche questo rinviato di un mese.
Ancora una volta, a fronte delle circa 12.000 famiglie (quelle accertate...) senzacasa in città e a graduatorie d'assegnazione bloccate da anni, assistiamo a una richiesta sempre più ingente di case, spazi da abitare per quelle famiglie colpite dalla crisi che non riescono più a mantenere un tetto sulla testa e alle quali quel tetto non viene garantito come diritto inalienabile. Nel caso specifico, oltre al danno la beffa: colpevoli di un crimine mai commesso, vittime di una truffa, le famiglie non sono rimaste con le mani in mano e, scegliendo la lotta insieme al Comitato, anziché la fortuita e fortunosa ricerca esasperante di una dimora fissa da potersi permettere, hanno portato avanti finora, una strenua e determinata resistenza al tentativo di sfratto per ben due volte. Adesso il prossimo appuntamento troverà le famiglie ancora una volta, insieme al “PrendoCasa”, a resistere mettendo i propri corpi a difesa di quelle abitazione che finora sono riusciti a conquistarsi. Si, conquistarsi, perchè la casa è un diritto.
19 giugno 2015, da infoaut.org
Sul blocco degli scrutini contro “La buona scuola”
Il blocco degli scrutini, ultimo della serie di scioperi contro la proposta di legge renziana “La buona scuola”, è andato al di là delle aspettative previste. La protesta che prevedeva il blocco e il successivo slittamento delle giornate in cui si sarebbero svolti i consigli di classe, per discutere le pagelle di fine anno dei ragazzi delle superiori e delle medie, ha visto un’adesione “bulgara” da parte degli insegnanti, con un grado di partecipazione attestato tra l’80 e il 90% su tutto il territorio nazionale.
La scuola lombarda in cui lavora la persona che scrive, ad es, ha visto, il 9 e 10 giugno, il blocco di tutti gli scrutini, con una partecipazione attiva ed appassionata di tutti gli insegnanti dell’istituto, come non si vedeva da tempo. Certo, non sarà stata una dimensione rivoluzionaria, ma affrontare e superare i piccoli boicottaggi del preside, ad es il non concedere l’assemblea sindacale, attraverso l’autogestione del luogo di lavoro e l’autorganizzazione dei lavoratori, ha risvegliato cuori assopiti da troppo tempo e acceso riflessioni nelle menti di alcuni. Ad esempio su come sia facile ed immediato rimpossessarsi dei propri spazi vitali, in questo caso, del luogo di lavoro, e come sarebbe bello continuare a mantenere il proprio istituto in una situazione di autorganizzazione permanente, la sola vera autonomia della scuola, se questa, contro “La buona scuola”, non fosse solo una dimensione “barricadera” istituzional-sindacale del momento. Su come sarebbe bello se la protesta non avesse battute di arresto e diventasse una realtà di scontro più radicale. Su come sarebbe bello se le scuole venissero e rimanessero occupate per tutto il periodo estivo...
Ma così non è. Bisogna essere ben coscienti che governo e sindacati non permetteranno mai l’instaurarsi di dimensioni che minerebbero lo status quo del loro potere.
Il primo, svelando ciò che è in realtà lo Stato, autorità e repressione, la cui unica essenza è stata ampiamente utilizzata attraverso le minacce di precettazione un paio di settimane fa e le teste degli insegnanti spaccate dai celerini a Bologna il 4 maggio, i secondi, in veste di pompieri che dovrebbero finirla una volta per tutte di strizzare l’occhio al governo di turno, a maggior ragione durante questa mobilitazione, vista la totale chiusura a qualsiasi tipo di dialogo, ma soprattutto contro la volontà dei lavoratori della scuola di inasprire e rilanciare con forza la lotta in corso.
Non è un caso, quindi che, per anestetizzare tutta la protesta fin qui mobilitata, come periodo di discussione del ddl nel suo atto conclusivo al Senato, sia stata stabilita chirurgicamente l’ultima settimana di giugno, momento che vede la chiusura dell’anno scolastico, subito prima del grande letargo delle vacanze estive. E non è un caso che Renzi stia utilizzando come ricatto morale le 100.000 assunzioni di insegnanti precari. Lo squallido tentativo è quello di smorzare dall’interno la protesta del comparto scuola che già incomincia a vedere le prime piccole spaccature tra i probabili neo assunti e non, di mostrarci agli occhi del paese come irresponsabili che non vogliono il dialogo, e di costringere i sindacati, soprattutto i confederali, a dover per forza scendere ai loro patti, pena non potersi fregiare di aver portato a casa la grande vittoria di ben 100.000 assunzioni. Peccato, però, che la scuola pubblica sarà definitivamente distrutta, peccato, però, che precari e addirittura senza più lavoro rimarranno quasi 300.000 persone.
Milano, giugno 2015
fiat pomigliano: LA LOTTA CONTINUA... E NON SI ARRESTA!!
Stamattina é stata emessa la sentenza dei 5 licenziati fiat pomigliano: il giuduce del tribunale di Nola sezione lavoro dott.ssa D'Antonio rigetta il ricorso e con un provvedimento del tutto politico conferma i licenziamenti ed espelle di fatto i 5 militanti Cobas rappresentativi e con essi qualsiasi opposizione sindacale e di lotta all'interno della Fiat di Pomigliano.
I 5 licenziati fanno appello ad una grande mobilitazione contro quest'ennennesima farsa a partire dal 14 giugno a BOLOGNA per un'assemblea nazionale, e domani ore 18 tutti a villa medusa a Bagnoli. La vergognosa vicenda del licenziamento dei 5 rappresentanti sindacali COBAS della Fiat di Pomigliano ha aggiunto oggi un nuovo tassello al mosaico raccapricciante che da anni ormai stanno realizzando Marchionne, padronato, sindacati asserviti e forze dell'ordine, all'appello mancherebbe solo la chiesa e le banche per concludere il peggio dell'universo massonico.
La storia forse non è nota a tutti e merita di essere brevemente descritta. La scorso mese di giugno 5/2014 militanti del Comitato di lotta cassaintegrati e licenziati Fiat/cobas, dopo aver inscenato un finto e caricaturale suicidio di un manichino raffigurante l'ad Sergio Marchionne all'esterno dei cancelli di Pomigliano (che seguiva il suicidio reale dell'operaia Maria Baratto, di cui è moralmente responsabile la stessa Fiat ed il suo primo dirigente) vengono licenziati in tronco per "aver infangato il buon nome dell'azienda". Un'azione di repulisti dall'interno del movimento operaio pomiglianese, che seguiva decenni di reparti-confino, cassaintegrazioni prolungate e licenziamenti politici de facto, a cui i 5 compagni insieme ad altri membri del comitato, dei disoccupati di Acerra e varie realta di lotta napoletane, si sono sempre opposti pubblicamente, finendo nella black list incrociata di padronato e sindacati gialli.
La loro lotta però non si è esaurita con il loro licenziamento e da un anno oramai inscenano proteste e dure prese di posizioni nei confronti dei soggetti politici che hanno rubato la loro gioventù in fabbrica, per poi spedirli per strada per una semplice esibizione muscolare verso la classe lavoratrice, come le continue contestazioni al PD e al suo "ducetto" Renzi ultima agli ingressi della Sata di Melfi dove si sono esibiti con vestiti da pagliacci con la machera di Renzi, verso le istituzioni locali pomiglianesi e per ultima l'eclatante salita sulla gru di Piazza Municipio da parte di Mimmo Mignano, durata per ben 5 giorni ed evendo risalto nazionale.
Ultima la giornata di lotta si è svolta al tribunale di Nola di fronte al giudice del lavoro che doveva esprimersi in merito al loro reintegro in fabbrica, in un clima apparso assurdo sin dal mattino. Infatti il giorno 16 maggio in concomitanza con l'udienza fu impedito ai solidali accorsi all'esterno del tribunale da Napoli e Bologna (encomiabili i facchini felsinei impegnati nelle lotte della logistica, pronti a scendere al fianco dei compagni napoletani) da parte di un esorbitante schieramento di blindati della polizia e digossini di poter accedere al tribunale, non di assistere al processo ma proprio l'accesso in un luogo pubblico ed aperto a tutti come un palazzo di giustizia.
Altrettanto assurda la cornice in cui fu svolto il processo, in aula l’accesso fu permesso solo a ben 11 avvocati del collegio di difesa della Fiat e a numerosissimi agenti della digos, con il chiaro intento di indirizzare la decisione giudiziaria su canali prettamente "politici". E cosi' e stato. Emblematica l'accusa lanciata da uno dei legulei prezzolati dalla Fiat verso il giudice "Accogliendo come legittime questo tipo di proteste si potrebbe correre il rischio di tornare ad un clima da anni di piombo"...
Oramai il limite è stato superato e, tra leggi speciali, misure cautelari immotivate, perquisizioni a sorpresa e altri mille abusi, lo stato di diritto in questo paese è stato definitivamente sospeso, e giornate come quella di oggi lo confermano in pieno.
4 giugno 2015
Comitato di lotta cassintegrati e licenziati fiat, S.I. COBAS POMIGLIANO
EXPOlizia 2015: al via le liste di proscrizione
Nonostante la cappa di silenzio che ormai circonda tutto quello che riguarda in negativo Expo 2015 grazie alle compiacenze servili di gran parte dei mass media, la grave vicenda che ha riguardato oltre 600 lavoratrici e lavoratori sta finalmente diventando di dominio pubblico.
Da sempre, come USI-AIT, abbiamo denunciato e contrastato il modello di relazioni di lavoro che Expo 2015 portava con sé. Con la complicità e l’assenso dei sindacati di Stato confederali, si sono applicati contratti di lavoro indecenti aventi norme e retribuzioni salariali di molto al di sotto degli stessi standard di settore. Nonostante questo, dopo un estenuante e lunghissimo iter di selezione ad opera dell’agenzia di caporalato interinale MainPower e Expo s.p.a., a chi veniva garantita questa occupazione lavorativa a termine, è stata recapitata la notizia di avvenuto licenziamento per l’impossibilità di accedere ai siti espositivi con normale pass d’ingresso. A parziale spiegazione di ciò, è utile ricordare che tutta l’area espositiva di Expo 2015 è stata decretata “zona di interesse strategico nazionale” alla stessa stregua di altri siti come le discariche di rifiuti in Campania o i cantieri TAV in Val di Susa con la conseguente militarizzazione.
Questo ha comportato che le oltre 30.000 candidature lavorative pervenute ad Expo, siano state preventivamente e accuratamente vagliate dalle Questure poliziesche.
Nei loro immensi archivi di schedatura di massa in cui siamo inconsapevolmente presenti, è bastato anche esserci con una semplice segnalazione di partecipazione a qualche movimento di lotta, protesta e contestazione – e non con condanne penali o denunce pendenti in iter processuale – per essere “bollati” come persona non avente i requisiti per poter accedere a prestare attività lavorativa all’interno di Expo. Tale vicenda è di estrema gravità e lede non solo i diritti come lavoratrici e lavoratori in palese violazione dell’articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori, ma soprattutto come cittadine e cittadini oggetti di schedature e liste di proscrizione tipiche di Stati di Polizia fascisti e autoritari.
Chiediamo quindi con forza e determinazione che MainPower, Expo spa e Questura rendano pubbliche tutte le motivazioni che hanno comportato il licenziamento di 600 persone e che si provveda, essendo licenziamenti dichiaratamente POLITICI, al reintegro lavorativo per tutte le persone coinvolte in questa vicenda che evidenzia, se ancora ve ne fosse ulteriore bisogno, dell’involuzione autoriatria e fascistoide dello Stato italiano a partire proprio dai posti di lavoro.
16 giugno 2015
Unione Sindacale Italiana – A.I.T., Federazione di Milano
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È uscito l’opuscolo “Meraviglia delle Meraviglie - Come far fiorire il deserto rubando l'acqua ai palestinesi”, Edizioni Acrati, Bologna giugno 2015
A Expo Milano 2015, Israele si mette in mostra con il suo Padiglione “Fields of Tomorrow”. Tale circostanza ha offerto l’occasione per riprendere la questione dell’occupazione della Palestina da parte dell’entità sionista e del laboratorio che continua a sperimentare in quelle terre.
Per richiesta copie: Stefania Carolei, Via Bach 4 - 40141 Bologna