indice n.102
Libia: la guerra degli stati NATO alle popolazioni in fuga
il Parlamento europeo su "libertà e i diritti umani" in Algeria
Vicenza: detenuti salgono sul tetto del carcere
aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i cie
dagli O.P.G. alle r.e.m.s.: cronaca di una visita
Ancora sull’infame ruolo della psichiatria penale in Svizzera
Vicenza: detenuti salgono sul tetto del carcere
Lettere dal carcere di Opera (Mi)
lettera dal carcere di Ferrara
Per rilanciare la mobilitazione contro il 41-bis
lettera dal carcere di padova
Lettera dal carcere di Bancali (ss)
da una lettera dal carcere di Massama (or)
Note sulle carceri di Viterbo e di Velletri (Roma)
scabbia alle vallette?
Continuano devastazione e saccheggio portati avanti da Expo
Anonymous: arresti e perquisizioni
Torino: ancora sgomberi e arresti
Bologna: Nuova richiesta di sorveglianza speciale
milano: sgomberi e intimidazioni in prealpi
Trento: Assillo sgomberato, Cronaca di una giornata
E la chiamano La buona scuola
aggiornamenti dalle lotte nella logistica
napoli: si è chiusa l’iniziativa di protesta a Piazza Municipio
Turchia: in sciopero gli operai di Fiat, Renault e Ford
Libia: la guerra degli stati NATO alle popolazioni in fuga
La Commissione dell’Unione Europea (UE) adotta un nuovo piano riguardo alle genti profughe: il loro destino non gioca alcun ruolo. Ora per l’UE, occuparsi delle genti profughe che attraversano il Mediterraneo non è più una necessità umanitaria ma bensì un fatto che riguarda la politica della sicurezza. Questa conclusione ha più a vedere con il genocidio – dei popoli del Tricontinente – che con ogni altra considerazione.
Gli stati dell’UE stanno elaborando una risoluzione da proporre all’ONU, che legittima l’impiego di ogni mezzo necessario contro le cateratte su cui navigano le genti profughe. Se l’ambiguità degli stati occidentali sia riuscita a convincere Russia e paesi africani è ancora tutto da vedere. Realizzare quella risoluzione significa, in sostanza, impiegare la marina militare. Su questo la ministra della difesa della Germania si è espressa con determinazione: “La guerra in Libia va avanti con noi”.
Prima della fine del mese di Maggio verrà introdotto un sistema di quote considerato necessario alla sicurezza nell’UE. A questo seguirà entro la fine dell’anno una proposta per un sistema comune dell’UE, definito “duraturo e capace di far fronte alle grosse correnti di migranti.” I criteri da seguire nella ripartizione-accettazione delle genti profughe terranno conto delle condizioni economiche del paese di provenienza, del numero di popolazione e delle percentuali di disoccupazione. Viene così gettato alle ortiche il regolamento seguito fino ad oggi chiamato “Dublino II”, secondo cui la gente profuga deve restare nel paese dell’UE raggiunto per primo. Adesso, invece, tutti gli stati dell’UE concordano che: “Nel cambiamento previsto, Dublinio II non viene considerato disumano per le persone profughe, ma, piuttosto, viene data loro speranza riducendo il numero degli ingressi nei paesi dell’UE.”
L’UE di conseguenza ha annunciato di “triplicare per il 2015-2016 le capacità di Frontex (l’Agenzia per la sicurezza dei confini…) e le risorse chiamate ‘Triton’, ‘Poseidon’ connesse agli interventi militari nel Mediterraneo.” In queste acque naviga senza esclusione di colpi l’incaricata per gli affari esteri dell’UE Federica Mogherini. In questi ambiti hanno preparato le scelte compiute in aprile dai capi di stato e di governo dell’UE secondo cui, fra le altre, da oggi in avanti verranno distrutte le barche, ogni mezzo di navigazione adoperato dalle genti profughe – “anche nel mare aperto della Libia.” Quest’ultima intenzione avanzata all’ONU ha incontrato la critica e il rifiuto della Russia.
A sua volta, il governo libico con sede a Tripoli, non riconosciuto dagli stati occidentali (Italia compresa), pur se critico nei confronti dei loro propositi, si è detto “pronto a collaborare per il superamento della crisi connessa alle genti profughe.” Anche il governo di Tobruk, più fedele alla NATO, è di questo parere, ma nella realtà non controlla che una piccolissima parte del paese.
La situazione in Libia dopo il maggio 2014
Il governo e l’esercito libici a Tobruk, sede dell’esecutivo riconosciuto dalla comunità internazionale, ribadiscono il monito “a non toccare la sovranità dello Stato” e avvertono tutte le imbarcazioni a non entrare nelle acque territoriali libiche se non dopo un coordinamento con gli organi competenti. In caso di violazione il governo provvisorio “reagirà con bombardamenti come quelli contro il cargo turco”. Il riferimento è alla nave mercantile turca bombardata dall’aviazione militare di Tobruk l’11 maggio scorso. Questo governo, che controlla una piccola porzione della parte orientale della Libia, in un comunicato ha sostenuto che “ciò che è avvenuto alla nave turca è la conseguenza della sua entrata di forza nelle acque territoriali libiche… di avere in particolare forzato il divieto di avvicinarsi al porto di Derna per portare aiuti ai ‘ribelli’…”. Il bombardamento ha causato la morte di almeno un marinaio turco.
Cos’è accaduto?
Il 16 maggio il generale Khalifa Belqasim Haftar (stretto collaboratore della CIA), un comandante dell’esercito libico, ha proclamato l’inizio dell’Operazione Dignità; un’offensiva aerea e terrestre contro una serie di milizie dichiaratamente “islamiche” particolarmente forti nell’est del paese (la Cirenaica, capitale Bengasi). Due giorni dopo, queste bande hanno attaccato il parlamento di Tripoli e lo stesso generale ha annunciato di averne sospeso i lavori (in realtà sono continuati con molte difficoltà).
L’attacco al governo e al parlamento da parte di Haftar si possono spiegare in parte con il fatto che gli ultimi due primi ministri, Abdullah al-Thani e Ahmed Maiteeq, sono considerati in qualche misura “appoggiati” dagli islamisti. Così da quel momento, il fronte dei partiti e delle milizie islamiste appare molto frammentato e in qualche misura “distinto” dalle forze regolari del governo.
Il 30 luglio, ad esempio, una di queste milizie ha occupato Bengasi dopo aver conquistato alcune caserme di soldati fedeli ad Haftar e ha proclamato la nascita di un Emirato islamico. Questo gruppo, Ansar al-Sharia, è una milizia islamica vicina ai salafiti - una corrente dell’islam sunnita. In questo senso è distinta da molte altre formazioni islamiche, come ad esempio il ramo libico dei Fratelli Musulmani, piuttosto forte in parlamento e che, per il momento, sembra appoggiare il governo ad interim di al-Thani.
Per riassumere
Bengasi sembra essere di fatto controllata da milizie di estremisti islamici.
A Tobruk: le formazioni islamiche più estremiste e quelle più moderate (legate ai Fratelli Musulmani) sono diventate una minoranza dopo le ultime elezioni, ma il governo ad interimi di al-Thani è ancora considerato più vicino a questi gruppi che alla maggioranza laica delle forze presenti in parlamento.
A Tripoli, sono in corso da settimane diversi scontri. Non è chiaro chi comandi in città, ma sembra che qui siano più forti le milizie che appoggiano il generale Haftar. In particolare, ci sono stati durissimi scontri intorno all’areoporto di Tripoli tra una nuova milizia islamista chiamata “Fajr Libya” (che dichiara di essere dalla parte del governo) e altre milizie “laiche” (anch’esse dichiarano di essere dalla parte del governo e sono effettivamente finanziate dal ministero della Difesa). A rendere il quadro ancora più confuso sono gli scontri e l’assenza di trasparenza relativamente all’atteggiamento di questi gruppi nei confronti del generale Haftar e delle sue forze. In questi scontri è stato anche danneggiato un grande serbatoio di petrolio vicino all’aeroporto di Tripoli.
Petrolio e gas
Durante la guerra civile nel 2011 la produzione venne sostanzialmente interrotta, ma gli impianti vennero quasi tutti risparmiati dai danni. Negli ultimi anni le esportazioni di gas e petrolio sono tornate a crescere, anche se non hanno mai raggiunto i livelli precedenti. Questa situazione tocca direttamente gli interessi dell’Italia che importa il 10 per cento del suo fabbisogno di gas naturale proprio dalla Libia. Tuttora, ad ogni modo lo stato italiano è uno degli ultimi stati occidentali a mantenere una presenza diplomatica a Tripoli.
La particolare relazione tra Italia e Libia ha creato un po’ di allarmismo nelle ultime settimane. Il timore è che la situazione in Libia causi un’interruzione delle forniture di gas all’Italia, mentre contemporaneamente la crisi ucraina causi un’interruzione delle forniture di gas russo.
Scontri tra milizie, scioperi e proteste hanno spesso interrotto le forniture che, nel loro complesso, non hanno mai raggiunto i livelli di prima della guerra. Comunque resta che, in caso di interruzioni dalla Libia, l’Italia potrebbe almeno in parte aumentare le proprie importazioni da altri partner, come ad esempio dall’Algeria, che ha ancora grandi riserve di gas intatte (negli ultimi anni l’Algeria ha diminuito le sue esportazioni di gas, principalmente per il calo di domanda da parte dei suoi due principali partner, Italia e Spagna, duramente colpiti dalla crisi economica). A questo proposito, l’ex presidente dell’ENI, Paolo Scaroni, ha dichiarato all’inizio della crisi libica che “l’Italia può facilmente fare fronte alle interruzioni di gas da parte di uno dei suoi partner.”
tratto liberamente da jungewelt.de, 13 maggio 2015 e seguenti
il Parlamento europeo su "libertà e i diritti umani" in Algeria
Una risoluzione sulle restrizione delle libertà democratiche in Algeria è stata approvata il 29 aprile da una cinquantina di deputati del Parlamento europeo, di destra, estrema-destra, socialisti, ecologisti e membri della "Sinistra Unita", tra cui il Front de Gauche per la Francia e Syriza per la Grecia. Questa risoluzione ha un significato politico pratico che nessun antimperialista algerino può prendere alla leggera, anche se il potere e le sue pratiche antidemocratiche sono l'obiettivo apparente.
La risoluzione è stata adottata con il pretesto di protestare contro la condanna a pene detentive di 8 giovani disoccupati che avevano manifestato per il lavoro. Le condanne sono state emesse a marzo dal tribunale di Laghouat. Si tratta di un fatto sorprendente che dei parlamentari europei improvvisamente comincino a piangere per la sorte dei disoccupati e a difendere il loro diritto a manifestare, in particolare quelli nelle regioni meridionali del paese. Decine di operai sono stati perseguiti dai tribunali negli ultimi anni per gli scioperi, condannati e messi alla porta a dispetto della legislazione sociale, come ad esempio i lavoratori dei Moulins de Mahdia a Tiaret o quelli di Cevital a Béjaïa. Il Parlamento europeo non ha battuto ciglio. La polizia algerina ha represso l'anno scorso la manifestazione dei lavoratori licenziati dalla multinazionale del cemento Lafarge davanti alla sede di questa azienda. Lafarge li ha perseguiti nei tribunali. Ha fatto appello alla polizia per sedare le loro proteste fuori dalla fabbrica di Oggal. Il suo capo della sicurezza ha calpestato l'emblema nazionale. Le proteste dei lavoratori sono durate per mesi, ma gli "eurodeputati" non hanno visto o sentito nulla!
La risoluzione ha stabilito un elenco di ingiunzioni al potere affinché abroghi tutte le leggi che limitano i "diritti umani", le libertà di riunione, d'associazione e di manifestazione. I parlamentari hanno invitato la Commissione, l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il Servizio europeo per l'azione esterna a costringere il regime a impegnarsi in un piano d'azione dettagliato sugli obiettivi, un calendario e degli "indicatori" di realizzazione delle riforme democratiche.
Coloro che hanno ancora illusioni sugli obiettivi reali dell'Unione europea potrebbero vedere in questi suoi proclami "democratici" delle intenzioni "lodevoli" per l'Algeria. Vorrebbe dire chiudere gli occhi sul manifesto carattere imperialista dell'Ue e dei suoi organi a cui la risoluzione rivolge il suo appello per un'azione sistematica verso l'Algeria. Questo carattere imperialista è indicato da tutti i misfatti dell'Ue contro i popoli. L'Unione europea non è, non lo è mai stata, né potrà mai essere un organismo che sta con i popoli. Si tratta di un blocco imperialista che agisce unicamente in funzione degli interessi delle multinazionali capitaliste.
I cittadini e i lavoratori algerini coscienti non saranno ingannati. Solo gli ingenui possono credere che l'Unione europea sia un'organizzazione politica che vuole il bene del popolo, del popolo algerino. La compassione mostrata dai deputati europei per il diritto dei disoccupati algerini a manifestare per il lavoro non può che destare sospetto ai loro occhi. Essi non devono concedere alcun credito agli interessi dell'Ue nelle lotte che conducono instancabilmente per le loro rivendicazioni politiche e sociali. Devono opporre la più grande diffidenza e la più grande vigilanza a tutti gli "appelli alla democratizzazione" dell'Algeria emanati dall'Ue, da qualsiasi altro Stato imperialista e da tutte le loro cosiddette "Ong", Rete euro-mediterranea per i diritti dell'uomo (Remdh), Reporter senza frontiere (Rsf), Federazione internazionale dei diritti umani (Fidh), Amnesty International, ecc.
E' lo stesso Parlamento europeo che ha votato nel marzo 2011 una risoluzione che chiedeva all'Unione europea di intervenire militarmente in Libia e che ora osserva nel silenzio totale il caos seminato in questo paese dopo averlo consegnato alla tirannia sanguinaria delle forze dell'oscurantismo installate alla sua testa attraverso la distruzione dell'esercito libico. E' questa stessa Unione europea, con gli Stati Uniti, che ha partecipato ai bombardamenti e allo smembramento della Jugoslavia nel 1999. E', inoltre, quella che ha fomentato disordini in Ucraina in sostegno a un colpo di stato portato nel febbraio 2014 da gruppi fascisti e che tace sul massacro degli abitanti del Donbass, sui 6.000 civili uccisi dall'esercito di Kiev e dai gruppi neonazisti come "Azov". E' questo stesso parlamento che si guarda dal condannare i periodici massacri dei palestinesi da parte degli occupanti israeliani, che si astiene dal criticare i regimi tirannici del Golfo. I lavoratori non hanno nulla da aspettarsi da una organizzazione che ha sprofondato nella povertà i popoli della Grecia, della Spagna, dell'Italia, del Portogallo per obbligarli a pagare i debiti dei capitalisti, che ha fatto del principio della "concorrenza libera e non falsata" la pietra angolare sacra della sua costituzione, della sua estensione e della sua "politica europea di vicinato".
L'Ue mette in luce la sua doppiezza. Finge di scoprire le pratiche antidemocratiche del regime algerino. Non si è posta nessuna domanda circa la sua legittimità nel 2002, quando ha firmato con questo l'accordo di associazione che ha strangolato l'economia nazionale in una camicia di forza. Per interesse di classe e per rafforzare le sue alleanze esterne, il regime ha firmato questo accordo. L'Unione europea ha raggiunto da parte sua l'inclusione di clausole politiche che gli danno il diritto istituzionale di osservare la situazione interna economica e politica con il pretesto di far rispettare la democrazia, i diritti umani e l'"economia di mercato" in Algeria.
La risoluzione del Parlamento europeo è soltanto un insieme di ipocrisia e falsità
Si tratta di uno strumento realizzato per giustificare "giuridicamente" l'ingerenza degli Stati imperialisti in Algeria, in violazione della sua sovranità. Si tratta di una luce verde politica agli organismi dell'Ue per intensificare la loro pressione e intervento in varie forme. I suoi ispiratori hanno scelto il momento preciso in cui il calo dei proventi del petrolio rende ancor più fragile la situazione economica. Mettono in moto il ricatto politico e aumentano la loro pressione sul potere in modo che dimostri maggiore docilità. L'obiettivo dell'Unione europea è di sfruttare le sue contraddizioni interne per costringerlo a consegnare la ricchezza del paese e in particolare il petrolio agli appetiti delle multinazionali, di accelerare il ritmo nell'adozione delle leggi che rendono ancor più precari i lavoratori, di smantellare immediatamente le barriere alla circolazione dei capitali e dei profitti, trasformare lo Stato algerino nel braccio armato dei loro piani in Africa e nel mondo. Infatti, dietro il paravento dei moniti indirizzati al regime algerino, c'è il popolo e i lavoratori algerini che sono morsi dai piani dei dirigenti imperialisti europei. [...]
Partito Algerino per la Democrazia e il Socialismo (PADS)
15 maggio 2015, estratti da resistenze.org
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Lady Pesc nel coro della Nato
Federica Mogherini, la «Lady Pesc» che rappresenta la politica estera della Ue, presa sottobraccio dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, canta «We are the world» (il brano di Michael Jackson) insieme a lui e ai ministri degli esteri dell'Alleanza. Con questa scena emblematica (v. il video sul «New York Times» del 15 maggio) si è concluso in Turchia il vertice Nato, al quale la Mogherini ha avuto l'onore di essere invitata.
«La Ue e la Nato – ha dichiarato – hanno natura differente, ma condividono gli stessi valori». Vi sono «sfide attorno a noi che ci uniscono», dall'Ucraina alla Libia. È quindi «estremamente importante la stretta, ottima cooperazione che abbiamo tra Unione europea e Nato a livello di difesa e politica estera, tra me e il segretario generale, e i nostri staff, che si incontrano regolarmente». Questa «cooperazione strutturale», che rende «complementari» Ue e Nato, è rafforzata da «inviti reciproci»: dopo essere stata invitata al vertice Nato, la Mogherini ha invitato il segretario della Nato alla riunione dei ministri della difesa e degli esteri Ue, il 18 maggio, per parlare di «operazioni militari».
Stoltenberg e la Mogherini hanno incaricato i rispettivi staff di «intensificare la cooperazione Nato-Ue», perché «le nostre strategie siano complementari» (ossia quella Ue sia funzionale a quella Nato), così da «operare insieme rapidamente ed efficacemente in caso di minaccia ibrida contro qualsiasi dei nostri membri».
L'Unione europea, di cui 23 dei 28 paesi sono allo stesso tempo membri della Nato, viene così vincolata alla Nato sotto comando Usa (il Comandante supremo alleato in Europa è sempre nominato dal Presidente degli Stati uniti). L'Alleanza che, dichiara Stoltenberg, «sta realizzando il maggiore rafforzamento della difesa collettiva dalla fine della guerra fredda».
Mentre Stoltenberg, su incarico di Washington, preme sui membri europei della Nato perché aumentino la spesa militare, la Mogherini annuncia che «l'Unione europea rilancerà a giugno gli investimenti nella difesa».
Mentre Stoltenberg conferma che la Nato sta potenziando la sua «Forza di risposta», la Mogherini annuncia che «la Ue ha bisogno di accrescere la capacità di risposta alle crisi», capacità «non necessariamente militare, ma che non esclude un aspetto militare».
Mentre Stoltenberg sottolinea che la Nato è impegnata su due fronti – quello orientale dove «fronteggiamo una Russia più minacciosa, responsabile di azioni aggressive in Ucraina», quello meridionale dove «vediamo il tumulto e la violenza diffondersi in Medioriente e Nordafrica» – la Mogherini annuncia che l'Unione europea sta potenziando la «Partnership orientale», per sostenere soprattutto l'Ucraina e la Georgia (di fatto già integrate nella Nato), e sta pianificando quella che Stoltenberg definisce «una operazione Ue nel Mediterraneo e attorno al Mediterraneo», ufficialmente per affrontare «la tragedia dei migranti», lasciando intendere che la Nato è pronta a sostenerla. Ricorda a tale proposito che «l'operazione Nato in Libia nel 2011» servì a «proteggere i civili dalla violenza del regime di Gheddafi», ma che «gli sforzi per stabilizzare il paese non sono riusciti», per cui occorre oggi «stabilire un governo unitario in Libia». [...]
19 maggio 2015, da resistenze.org
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Ovviamente non vi sono più dubbi. Si tratta di una nuova gigantesca guerra sul fronte sud del Mediterraneo. E' tutto pronto o quasi. Sono già schierate le navi della marina militare dell'Italia capomissione , della Francia, della Gran Bretagna, della Germania ecc ecc. E' l'ennesima versione della guerra umanitaria: ora bisogna colpire i barconi vuoti usati dagli scafisti nelle traversate del Mediterraneo. Questa è la versione ufficiale approvata al Consiglio dei Ministri degli Esteri e della Difesa dell 'Unione Europea del 18 maggio.
Il mandato definitivo alla Guerra lo darà il Consiglio di Sicurezza dell' O.N.U. nelle prossime settimane. In ogni caso non oltre il 24 giugno giorno in cui il Consiglio dei Capi di Governo e di Stato darà il via agli attacchi. Non tutto però è definito: attacchi solo in acque internazionali od anche in acque nazionali libiche od anche sulle coste libiche?
Gli europei e la NATO (sì perchè la NATO è costantemente invitata a questi vertici e l'Unione Europea è costantemente invitata ai vertici NATO) sono per la versione extra large mentre Cina e Russia sono per la versione "ridotta". Il Consiglio di Sicurezza troverà l'equilibrio parziale e provvisorio della guerra.
In tanto vi sono alcune norme: la prima fase durerà 1 anno; il comando sarà italiano (Renzi vuole la sua parte di gloria per tentare di ricolonizzare la Libia ed avere un po' di pozzi petroliferi e sedersi al tavolo delle potenze militari); il comandante sarà un ammiraglio italiano; il centro di comando sarà il comando militare della marina italiana a Roma; dopo un anno se necessario si passerà il comando alla NATO; martellante campagna d'informazione che non è una guerra ma una campagna umanitaria perchè i cittadini europei potrebbero allarmarsi ed opporsi se venissero a conoscenza della verità. Sembra che ci sia scritto proprio questo nei documenti dei vertici internazionali.
Intanto per i migranti sono previsti nuovi 8 centri di cui 7 nel Sud (anche una caserma ristrutturata). I migranti saranno assistiti per l'identificazione e lo smistamento o il rimpatrio da "funzionari" italiani ed europei. Impronte, DNA, schedature, ricerche di familiari.
Vicenza: detenuti salgono sul tetto del carcere
Il 9 maggio si è svolto un saluto al carcere San Pio X di Vicenza. L’iniziativa è stata partecipata da circa una trentina di solidali, giunti da alcune città del Veneto. Per un paio d’ore si è cercato di comunicare con i detenuti attraverso interventi al microfono, slogan e musica. Il presidio ha riscontrato curiosità e interesse anche da parte dei familiari dei prigionieri, con i quali è stato possibile scambiare qualche parola all’uscita dal colloquio.
Si è voluto portare un primo gesto di solidarietà concreta nei confronti dei prigionieri, dopo aver appreso che, lo scorso 29 aprile, 4 detenuti nordafricani sono saliti sul tetto del penitenziario e lì vi hanno resistito coraggiosamente per 24 ore, incuranti di freddo, pioggia e secondini schierati.
La protesta è scoppiata per via delle pessime condizioni detentive e per denunciare pubblicamente quanto accaduto a un altro detenuto, che poco prima dei fatti in questione era stato coinvolto in un pestaggio con un agente della polizia penitenziaria. Nei giorni seguenti, i ragazzi che hanno dato vita alla lotta sono stati immediatamente trasferiti in altri penitenziari e sottoposti a sanzioni disciplinari “gravi”: il tutto secondo la logica di premio-punizione che permea ogni aspetto della vita carceraria.
Quello appena descritto rappresenta soltanto l’apice di tutta una serie di atti di ribellione che recentemente si sono sviluppati dentro al carcere di Vicenza. Infatti, già nel mese di febbraio c’è stata un’altra rivolta nel corso della quale sono stati distrutti mobili presenti nelle celle, divelti termosifoni e dati alle fiamme materassi, tanto che per poco il carcere non è stato evacuato.
Lo scenario descritto è sicuramente indice del un contesto esasperato che si vive in generale dentro le prigioni italiane e che inevitabilmente si riflette anche in penitenziari più piccoli e circoscritti come nel caso di Vicenza. Anche qui del resto sovraffollamento, condizioni, disumane, trattamenti, punitivi, vessazioni da parte delle guardie e dell’amministrazione penitenziaria sono all’ordine del giorno!
Nello specifico, da quanto ci è dato sapere, al San Pio X sono rinchiuse circa 300 persone, nonostante la capienza massima del penitenziario sia di 150. La struttura venne costruita nei primi anni ’80 e nacque come istituto di massima sicurezza, tanto che le celle sarebbero predisposte per una sola persona, anche se attualmente ce ne stanno di più. Circa un anno fa il carcere di Vicenza balzò alle cronache nazionali per via di un’inchiesta che coinvolse 15 poliziotti della penitenziaria sui quali venne aperta un’indagine per “abusi di autorità”, dopo la denuncia da parte di alcuni detenuti di aver subito dei pestaggi. Un’ultima informazione è relativa al magistrato di sorveglianza, particolarmente restio a concessioni nei confronti delle richieste della popolazione carceraria e per tale motivo al centro di contestazioni. Tutto ciò fa dedurre una situazione interna sicuramente incandescente e sulla quale occorre continuare a prestare attenzione in vista delle mobilitazioni future.
Vicenza, maggio 2015
aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i cie
Torino
Nel Cie torinese da qualche tempo il numero dei reclusi è tornato ad essere consistente. Sono state riaperte da alcuni giorni le aree viola e gialla chiuse momentaneamente, pare, per una disinfestazione e ora la struttura ospita circa un'ottantina di persone.
Sarà questo aumento di presenze unito forse all’aria di primavera che sembra svegliare un po’ i reclusi dal torpore forzato in cui per mesi sono stati avvolti.
Il 12 aprile, alla sera, c’è stato un tentativo di fuga da parte di un ragazzo marocchino che si è concluso purtroppo con il suo rientro nel Cie. Aveva chiesto di andare in ospedale per una visita poi, mentre lo stavano caricando sull’ambulanza per riportarlo nel Centro, è riuscito a scappare. La sua fuga si è conclusa però a causa dello zelante intervento di alcuni avventori di un pub che, su richiesta dei poliziotti che gli correvano dietro, hanno atterrato e malmenato il giovane.
Già da alcuni giorni poi i ragazzi rinchiusi chiedono a gran voce di poter parlare con il direttore del Cie - lo ricordiamo, uomo dell’agrigentina Acuarinto - per lamentare il cibo schifoso, servito a orari sempre diversi e le condizioni di detenzione che sono costretti subire. Il direttore dal canto suo si è guardato bene dal farsi trovare e così oggi, stanchi di promesse non mantenute, i reclusi dell’area bianca e rossa hanno rimandato indietro colazione e pranzo, promettendo proteste più rumorose nel caso non venisse soddisfatta la richiesta di incontrare il direttore. Per scaldare un po’ gli animi dei reclusi e ricordare loro che chi lotta non resta da solo, in serata alcuni solidali sono andati a fare un saluto sotto le mura di corso Brunelleschi.
Sabato 18 aprile in mattinata alcuni nemici delle espulsioni sono andati ancora a disturbare l’Agenzia Viaggi 747 in via Milano 13/b. Il gruppo di solidali ha riempito la vetrina dell’agenzia con manifesti e fatto sapere a lavoratori e passanti che ruolo ha quest’ultima all’interno del meccanismo delle espulsioni. Per assurdo il giorno dopo il diettore del Cie di Torino si è degnato di farsi vedere dai reclusi: domenica sera si è presentato alle gabbie e ha proposto loro di scegliere il menu del giorno successivo…
Una settiamana prima una ventina di nemici delle espulsioni si reca davanti agli Studi Di Virgilio siti in via Muriaglio 8/C per disturbare e possibilmente fermare per un po’ il lavoro di questa ditta che è da tempo impegnata nella ristrutturazione del Cie di Corso Brunelleschi. Nello specifico, la ditta in questione si starebbe occupando di installare vaschette per i cessi. Così, in pochi minuti, la vetrina si è ritrovata ancora una volta ricoperta di manifesti mentre diversi interventi al megafono hanno spiegato ai passanti le ragioni della protesta.
«Vendicare le morti in mare» recita la scritta, alta qualche metro, vergata nella notte sui muri dell’Ufficio immigrazione della Questura di Corso Verona verso fine aprile.
12 maggio. Dopo una mattinata di provocazioni e insulti da parte dei militari, diversi reclusi hanno deciso di reagire. In particolare i reclusi dell’Area Bianca hanno rifiutato il pranzo e gettato il cibo fuori dalle gabbie, mentre nell’Area Rossa un recluso avrebbe tentato di impiccarsi. La reazione della polizia non si è fatta attendere e la celere è entrata nelle aree Bianca e Rossa e ha iniziato a manganellare i reclusi: almeno un recluso è stato catturato e portato in isolamento, altri sono finiti in infermeria. Nel tardo pomeriggio un gruppo di solidali si è ritrovato fuori dalle mura del Centro e anche se la celere era già fuori ad attenderli hanno salutato rumorosamente i reclusi.
Nel Centro la tensione resta alta: nell’Area Verde sono scoppiati alcuni incendi, diversi reclusi hanno rifiutato la cena, alcuni sono saliti sui tetti delle baracche e il direttore del Centro ha minacciato di far intervenire nuovamente la celere. Tre dei quattro ragazzi portati in infermeria questo pomeriggio, un senegalese e due marocchini, non sono ritornati nelle sezioni: non è chiaro se siano stati rinchiusi nelle celle d'isolamento o arrestati, come riferito dalla Questura.
L’indomani nel Centro in tanti continuano lo sciopero della fame e alcuni reclusi continuano a rimanere sui tetti. Sono state effettuate delle perquisizioni e per tutta la notte la celere è rimasta schierata, con l’evidente intento di intimidire i reclusi. È da confermare la notizia che alcuni moduli abitativi siano inagibili dopo gli incendi di ieri. Emilio Agnello, direttore del Centro per conto di Acuarinto, ha tentato a più riprese di convincere i reclusi a terminare le proteste, promettendo miglioramenti e minacciando l’uso della forza. Ma i reclusi sembrano molto determinati e sostengono di voler continuare a lottare.
10 aprile, Cie di Ponte Galeria (Roma)
Alle 4 della mattina la polizia ha svegliato un recluso tunisino per comunicargli la deportazione imminente. Nel disperato tentativo di evitare l’espulsione il ragazzo ha deciso di ingoiare una lametta e tagliarsi le vene. Soltanto dopo le proteste dei suoi compagni di sezione, quando il ragazzo era senza sensi in una pozza di sangue, è arrivata un’ambulanza per portarlo in ospedale. Nel Centro la protesta è iniziata con proteste e molti detenuti hanno iniziato lo sciopero della fame alle 21 il ragazzo tunisino, ritornato al Cie per qualche ora con dei punti di sutura agli avambracci, è stato nuovamente riportato all’ospedale, dal momento che continuava a sputare sangue. Dentro al Cie lo sciopero della fame di tutte la sezioni maschili continua.
Il giorno dopo, mentre il recluso tunisino è ancora ricoverato all’Ospedale San Camillo, dentro al Centro lo sciopero della fame continua. Presidio di solidarietà fuori dalle mure del Cie.
12 aprile. Nel Centro lo sciopero della fame è terminato. Il recluso tunisino è ancora ricoverato all’Ospedale San Camillo.
17 aprile. L'espulsione purtroppo ha riguardato altre due persone. Dai racconti dei familiari di uno dei due ragazzi espulsi, abbiamo saputo che, a seguito di un pestaggio avvenuto prima in Italia e poi, appena sbarcato, anche in Tunisia, il ragazzo si trova tuttora ricoverato in ospedale a Tunisi.
Per protesta contro l’internamento e la minaccia continua di deportazione, un altro ragazzo recluso ha deciso di cucirsi le labbra con il filo di ferro, portando avanti uno sciopero della fame inizialmente sostenuto da molti reclusi, in concomitanza con la resistenza alla deportazione. Stando ai racconti di alcuni testimoni, due giorni fa Moes, il ragazzo con le labbra cucite, dopo essere stato più volte pressato ad accettare il trasporto in ospedale, ingannato dalla promessa di essere liberato, ha accettato di ricevere le cure precedentemente rifiutate con la paura dell’espulsione. Il giorno successivo al trasporto in ospedale, Moes è stato visto dai suoi compagni di reclusione rientrare al CIE ammanettato, recuperare i suoi effetti personali per poi subire una deportazione in Tunisia, quando era ormai separato da tutti gli altri. Questa mattina, 12 sbirri sono entrati nella cella di Alì, un altro ragazzo nato in Tunisia, lo hanno ammanettato e deportato.
Ad oggi, nella sezione maschile del CIE di Ponte Galeria sono recluse più di 80 persone, ogni giorno ci sono nuovi ingressi, principalmente frutto di retate in strada, e frequenti sono le deportazioni.
28 Aprile, Sicilia. E’ stata pubblicata ieri la notizia della deportazione di 31 tunisini, detenuti nei CIE siciliani (Pian Del Lago e Trapani-Milo), con un volo diretto per Tunisi.
28 Aprile, Bari. Un ragazzo di origine albanese, detenuto nel Cie di Bari, è salito sul tetto del centro per protestare contro la detenzione. Una volta intervenuti, i carabinieri lo hanno obbligato a scendere e il detenuto si sarebbe a questo punto rivoltato aggredendo le guardie. Il recluso è stato arrestato per minaccia, violenza, resistenza e lesioni a P.U. e subirà un processo per direttissima.
Milano, maggio 2015
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Nel CIE di Ponte Galeria (Roma) l’uso di psicofarmaci è fuori controllo
A Ponte Galeria è in vigore “una forma atipica di sanità”. Diagnosi approssimative o inesistenti, mancanza di referti e ricette individuali, somministrazione fuori controllo, portano a una condizione di uso e abuso di psicofarmaci di ogni tipo che lascia tracce profonde in chi passa dai Cie.
Appena entrato, racconta Sunjay Gookooluk – chiuso un tempo a Ponte Galeria, ti portano in stanze dove vieni spogliato, perquisito dalla polizia accompagnata dai cani annusatori; poi, dopo aver attraversato qualche porta e corridoio ti prende in consegna “l’ente gestore” (ieri la Croce Rossa, oggi la società francese Gepsa) che si occupa dello “screening”, cioè, quello che dovrebbe essere l’accertamento dell’idoneità fisica e psicologica della persona arrestata. In concreto lì viene valutato il rischio infettivo, cioè, la presenza della tubercolosi o della scabbia; infine, dopo aver attraversato un cortile di cemento diviso da recinzioni alte diversi metri (le arie dei passeggi), si accede alle 14 camerate maschili, spoglie e fatiscenti. Chi entra è privato dei lacci delle scarpe, di pettine, lamette da barba, penne per scrivere…
Allo screening, fino al 2009 – soltanto dopo l’impiccagione “suicidio” di una ragazza tunisina chiusa nella sezione femminile, dilaniata dall’imminenza del rimpatrio –, non intervenivano né lo psichiatra né la psicologa. Poco dopo è stata infatti stipulata una convenzione fra l’ente gestore e l’unità di psichiatria della Asl locale (Roma D). Da quel momento, viene compiuta una consulenza finalizzata alla prescrizione di terapia, proseguita anche con il passaggio di gestione (nel marzo 2010) alla cooperativa Auxilium, in concreto, dall’Asl locale ai centri di salute mentale degli ospedali vicini, come il Grassi di Ostia. Ha così inizio pianificato la distribuzione di farmaci che creano dipendenza, erosione della libertà intima… (ciononostante anche in quel Cie sono esplose, si sono spesso verificate nel tempo ribellioni individuali, di gruppo, generali).
Con il passaggio dalla Croce Rossa a Gepsa, i “funzionari”, cioè quelli che devono, fra le altre cose, somministrare i farmaci, erano 67 oggi sono 20 (le persone chiuse sono 75) la penetrazione della psichiatria in quel Cie è appunto “fuori controllo”. Secondo Medu (Medici per i Diritti Umani), che ha realizzato diversi rapporti sulle condizioni di vita nei Cie: “la diagnosi dei disturbi psichiatrici è assente o approssimativa, eppure si ricorre con facilità all’uso di psicofarmaci”…
Le quattro principali classi di psicofarmaci: ansiolitici (causa: ansia, insonnia, ipertensione muscolare…); antidepressivi (causa: depressione, ossessione, dolore cronico…); dell’umore e antipsicotici, al Cie vengono somministrate tutte.
Una somministrazione che avviene in tre turni giornalieri a cui non è presente nessun medico; in quello della sera passa un “operatore” che consegna in mano le medicine sconfezionate e se ne va. Il rischio è precisa il Medu: “…per esempio, gli ansiolitici (benzodiazepine, ossia, Valium, Tavor, Rivotril…) sarebbe auspicabile un’assunzione di massimo un mese, per evitare che si sviluppi una dipendenza o reazioni paradosso, cioè, che l’ansiolitico si trasformi in eccitante”…
Lo stesso vale per il metadone, farmaco adoperato per spezzare l’assuefazione, per esempio, all’eroina, che, distribuito però per interrompere tutte le dipendenze dagli stupefacenti, si trasforma in veicolo di intossicazione. Episodi di vomito, diarrea e stati d’ansia spesso sono raccontati da tante persone chiuse ieri e oggi in quel Cie.
feb. 2015, liberamente tratto e commentato da “FARMACIE”, opuscolo del partito radicale
dagli O.P.G. alle r.e.m.s.: cronaca di una visita
Il REMS (Residenze per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza) di Pontecorvo. Lontano 130 Km circa da Roma. Autostrada per Napoli. Certo meglio che raggiungere Castiglione delle Stiviere. E poi magari stai meglio, magari il posto è meno soffocante.
Arrivo, finalmente: Casa della Salute... Non ci sono guardie all'esterno. Entro in un edificio. “Non è qui ma l'edificio a fianco. Può raggiungerlo dalle scale interne”. Vado. Una porta a vetri, chiusa. Castiglione aveva quelle doppie ma tipo uscita di sicurezza, mai chiuse a chiave. Suono, attesa. Vedo al di là del vetro un medico, camice bianco e un tipo in giacca e cravatta. Metal detector... Castiglione non l'aveva. Mi presento e dico chi voglio incontrare. Il medico psichiatra (leggo sul cartellino) mi chiede l'autorizzazione del giudice che gli mostro. La legge tutta con attenzione e arrivato alla data mi dice che è troppo remota e l'autorizzazione forse non più valida. Gli dico che le autorizzazioni vengono revocate ma non scadono come i prodotti alimentari. Mi guarda incerto e un tantinello risentito e mi spiega “Sa noi non sappiamo ancora bene come muoverci, siamo in fase di assestamento. E poi questa non è la destinazione finale ma solo temporanea: saranno presto spostate di qui”. Poi il tipo in giacca e cravatta (tipo portiere) mi fa compilare un modulo di ingresso, mi fotocopia la carta d'identità e mi dice che non posso portare armi, oggetti in metallo pericolosi ...telefonino. Mi dice che deve controllare la borsa. Tutto mi risuona carcere. Gliela apro e lui dice che non può toccare: “Bene, quindi, che facciamo? Io non le tiro fuori gli oggetti”. Poi alla fine decido che il tempo scorre, l'orario di visita si restringe; apro bene la borsa e gli faccio guardare dentro. “Grazie” mi dice e mi da la chiave dell'armadietto dove deporre gli oggetti inammissibili. Poi passo sotto il metal detector e infine un'altra porta a vetri si apre. Prima di entrare chiedo quanto tempo posso stare e lui mi dice “Un'ora”. Altra questione: a Castiglione potevo visitarla 2 ore la mattina e due il pomeriggio. Lui mi fa capire che quando vedrò l'ambiente in cui farò colloquio capirò il perché di questo regolamento. Io decido di fottermene e sono pronta a dar battaglia ma dopo, allo scadere eventualmente dell'ora, in questo momento voglio solo vederla!
Mentre l'aspetto arriva l'assistente sociale che mi fa un po' di domande per capire chi sono e chi non sono, in che relazione mi trovo con lei, se conosco la sua vita e i suoi familiari. Cerco di essere il meno ostile possibile, c'è lei di mezzo! Finalmente arriva e l'assistente sociale le fa firmare una carta tipo “liberatoria” per il nostro colloquio. Siamo in una saletta piccolissima e spoglia: solo un tavolo e 4 sedie e tanta puzza di fumo. Ci abbracciamo e parliamo: mi dice che il personale è talmente numeroso che ogni passo che fa ha qualcuno col fiato sul collo che le chiede come sta, se va tutto bene etc etc. La sera sono chiuse in stanza (cella?) dalle 23 alle 7 della mattina; in due in una stanza con bagno, tutta colorata, con le finestre che non si aprono del tutto. Non possono acquistare nulla, né alimenti né prodotti di necessità; le lettere le consegnano all'assistente sociale che al suo buon cuore e serietà deciderà quando inviarle: due sue lettere, infatti, non mi erano arrivate. Le terapie sono le stesse che prendeva a Castiglione. Unico miglioramento le stanno curando l'artrosi. Ciò nonostante: “Insomma - mi dice - a Castiglione stavamo meglio e ora facciamo da cavie a questo nuovo esperimento! E presto sembra che ci sposteranno anche di qui!”.
Oltre alla sala colloqui c'è una dedicata al culto (tappeto a terra e due panche da preghiera), una sala con attrezzi ginnici, un buco di stanza con delle tele tutte dipinte da un'unica donna che lì esprime tutto il suo vissuto. Sono piene di lei quelle tele e alla mercè di tutti... ho un peso sullo stomaco. Siamo lì e arriva un'altra donna insieme ai suoi familiari. Non c'è privacy per nessuno di noi. Ad un certo punto mi fa vedere la sala da pranzo con annessi due divani e un mega schermo TV e decidiamo di sederci lì, con altre donne rinchiuse e le infermiere. Rivedo passare lo psichiatra e gli dico quando è possibile parlarci e lui mi invita a tornare chiamandolo prima per accordarci: é il primario. E' chiaro che è fortemente intimorito dall'aver a che fare con l'autorità giudiziaria; non si sa mai in che guaio si possono cacciare e non sono certo avvezzi a rischiare il loro culo per un po' di serenità altrui....
Il cibo sembra essere davvero una schifezza e anche il personale medico si lamenta a tal punto che spesso “rielaborano” i pasti portati da una ditta esterna. Anche questo risuona tanto carcere....
E' passata un'ora e nessuno mi dice nulla. Le infermiere mi offrono un po' di macedonia. Allo scadere dell'orario di visita mi invitano ad andare. Le stanze dove dormono sono al secondo piano e sono inaccessibili ai visitatori: lei mi dice che si affaccerà al balcone per salutarmi. La stringo e varco la prima porta di vetro, suonando ad un campanello: si apre. Prendo le mie cose dall'armadietto e mi aprono la seconda porta. Il peso allo stomaco aumenta.
Sono fuori, è una bella giornata e intorno sono tutte colline. Lei mi ha detto che la loro area di passeggio è quasi un'aiuola... Sento la sua voce che mi chiama. Mi giro, alzo gli occhi e lei è lì dietro sbarre doppie e fitte: il balcone è tutto ingabbiato e pieno di telecamere...
Roma, maggio 2015
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Resoconto del corteo "Chiudiamo gli OPG/Liberiamoci dalla psichiatria" del 28 marzo a Reggio Emilia
Dopo mesi di assemblee, volantinaggi e presidi, un robusto corteo di quattrocento compas, ha concluso una campagna di decisa critica alla psichiatria: dottrina che viene sempre più utilizzata come strumento di coercizione e annientamento nei manicomi, nelle carceri e nella società (scuole, case di riposo, posti di lavoro).
L'iniziativa si è conclusa con un partecipato presidio davanti all'OPG e al carcere, che a Reggio Emilia sono vicini. Siamo riusciti a farci sentire dagli internati che il giorno dopo, via SMS, ci hanno detto del loro entusiasmo.
I prigionieri degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) verranno traslocati in Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS). Cioè in strutture private, più piccole e più sparpagliate sul territorio. Questo non fa presagire niente di buono come dimostrano le prime esperienze di cui siamo a conoscenza.
La chiusura degli OPG è solo un'operazione di facciata; il manicomio non è solo la struttura fisica ma, principalmente, un criterio. Che si chiamino manicomi criminali, OPG o REMS hanno la funzione di isolare chi non accetta determinate leggi, morale, etica, comportamenti e idee.
Come il carcere così i manicomi hanno l'obiettivo di togliere senso agli individui e alle loro azioni e idee, piegarli e modificare la loro individualità per renderli uniformi e funzionali a produrre e consumare.
La psichiatria, che non è una scienza, ha la presunzione di spiegare i movimenti interiori più profondi e di porre rimedio alle "malattie" dell'animo umano. In realtà è uno strumento che con contenzione, elettricità, chimica, bisturi entra nel cervello dell'individuo e, disumanizzandolo, lo trasforma in una cosa. Così come il carcere è usata per reprimere e per impaurire. Questo servizio le viene riconosciuto dando prestigio ai suoi chierici e cospicui guadagni a privati approfittatori, farmaceutici in primis.
Ovviamente le notizie sui giornali, come sempre, sono state poche e strumentalizzate ma nel movimento, nelle carceri e nelle strutture psichiatriche di contenzione è aumentata la sensibilità, l'attenzione e l'insofferenza. A metà giugno ci sarà un'assemblea per fare il bilancio delle attività e del corteo e rilanciare con altre iniziative. L'obiettivo è sì chiudere i manicomi ma, soprattutto, liberarsi dalla psichiatria.
Milano, maggio 2015
lettera dalle carceri svizzere
Ancora sull’infame ruolo della psichiatria penale in Svizzera
Sul finire del 2014 il tribunale federale aveva rigettato il reclamo inoltrato (da me) un anno prima contro il rifiuto del Dap di Zurigo della liberazione condizionale. Nello stesso atto del rigetto, tuttavia, il tribunale sollecitava l’inizio della “risocializzazione”, cioè, “alleggerimenti della detenzione”, intesi come “benefici” quali: permessi, carcere semi-aperto… allo scopo di “diminuire il pericolo di recidiva” dopo il fine-pena (maggio 2018).
Nella stessa udienza l’avvocato che mi segue ha sollecitato il “responsabile” nel Dap del mio caso, a pronunciarsi sul seguito (o che altro) della sollecitazione del tribunale e di avere l’opinione analoga delle altre due carceri (Lenzburg e Bostadel) dove sono stato e sono ora. Il “responsabile” non si è detto contrario, ma ha voluto precisare che prima deve chiedere “delucidazioni” (non vincolanti) alla sezione forense-psicologica del Dap; questo, nell’ambito delle modalità “ROS-Abklaerung” (RisikoOrienterter Stravollzug) che sta per: Chiarificazione sull’esecuzione della pena orientata al rischio.
La “Abklaerung” è insomma una modalità di controllo e di valutazione “potenziata” (principio dei “tre occhi”) condotta dal Dap sulla concessione dei “benefici” e sulle liberazioni dei “clienti pericolosi” – introdotta per primo dal cantone di Zurigo e poi scimmiottata, finora, da altri tre cantoni.
La “Chiarificazione” è arrivata a fine aprile 2015 (tempi quasi olimpionici…) insieme all’annuncio che “la conseguente pianificazione concreta dell’esecuzione Le sarà comunicata a metà maggio 2015”. Su quest’atto sarà possibile una contemporanea “audizione” (legale) del “cliente”, vale a dire del sottoscritto.
Un’addetta all’ufficio “forense-psicologico” ha così partorito, “basandosi sugli atti”, la montagna “scientifica” Risk-Assessement (Valutazione del rischio), impiegando persino Fotres (autore Urbaniok, pubblicato nel 2006). E’ questo un catalogo pseudo-scientifico computerizzato, composto da migliaia di caselle con relative crocette necessarie per “calcolare” (heil Lombroso…!!! et al.) categorie quali la “pericolosità sociale” e il “pericolo di recidiva”. Catalogo elaborato, applicato e spacciato (con entrata milionaria “collaterale”!) a livello internazionale, dallo psichiatra forense tedesco Urbaniok assieme alla banda psicologica-psichiatrica del Dap di Zurigo, di cui è il capo. In Germania lui è pregiudicato… è un fanatico perito/terapeuta che, con uguale fanatismo settario, produce e perora una massiccia applicazione dell’internamento a tempo indeterminato.
La sbirra-psichiatrica-psicologa addetta trae da questi po’po’ di rilievi e punteggi scontate “conclusioni, raccomandazioni e premesse”. In primo piano, ovviamente colloca la (mia) “visione del mondo incline al delitto”. Poi, “si desidera” (da me) la solita dissociazione politica, vale a dire, rinnegare tutto e tutt* e di più ancora, assieme all’adesione totale al pensiero unico dello Stato e del capitale – attualmente dominante. Lei ritiene necessari dei controlli stringenti ed anche una “disponibilità del cliente a collaborare”, una mia “credibile esplicazione di rinuncia a dei possibili atti criminali sia attivamente – nel non eseguirli; sia passivamente – nel non pianificarli o sostenerli, visto quanto sarei influente”.
Ed infine, con massima (e bene o male calcolata…) infamia tipicamente totalitaria ed impertinente stupidità e paranoia patologica tipica per ogni piccolo o grande mercenario del potere, considera necessario “un divieto di contatto con compagnie a rischio correlato” e la “ricostruzione di un nuovo ambiente sociale” (sic!).
Che dire? Certo: finché rimarranno impuniti, e rimarranno, imperverseranno!
maggio 2015
Marco Camenisch, Postfach 38 – 6313 Menzingen (CH)
Lettere dal carcere di Opera (Mi)
Con gioia ho ricevuto vostre notizie, come sempre sono argomenti interessanti e che dovrebbero portare la gente a mettersi la mano sulla coscienza e a scendere in strada a lottare contro le infamità di questo stato di merda… sono molto contento di avere avuto queste vostre notizie, perché oltre al settimanale “Umanità Nuova”, che secondo l’umore degli sbirri mi danno o no, non mi arrivava più niente. E’ sempre stimolante sapere che fuori ci sono compagne/i che sono solidali con i prigionieri/e e che lottano contro le galere, i CIE, gli OPG e tutti questi luoghi di tortura e reclusione che solo incattiviscono e ammalano i prigioniere/i reclusi dallo stato infame.
Mi ha colpito l’articolo sulle limitazioni al 41bis, a parte che la circolare del DAP è finanziata dalla fame di soldi che si vogliono sempre di più intascare quelli che gravitano intorno al mondo carcerario (direttori, funzionari del DAP e compagnia bella) e quindi mettendo in vendita a prezzi fatti da loro qualsiasi cosa può avere un detenuto in cella – tipo: radio, lettori cd, lettori dvd e computer, dove si possono tenere/avere – quindi oltre la spesa di cibi, per l’igiene, adesso hanno monopolizzato anche quei pochi svaghi che può avere un prigioniera/o.
Inoltre, togliere i libri ad una prigioniera in condizione di ristrettezza tipo 41bis, 14bis o isolamento è un’ulteriore tortura psicologica, visto che in questi regimi di solito non si ha niente e non si ha contatti con i compagni/e di detenzione, essendo che non tutti i prigionieri/e hanno la possibilità economica di acquistare i libri, vengono tenuti in balìa della solitudine che in galera è la cosa più brutta che ti può capitare.
La solidarietà dei compagni/e di detenzione e i piccoli svaghi ti aiutano a sopravvivere all’interno di una galera.
In mancanza di questi la mente vaga e, dopo un po’, diventi pazzo. Ho parlato con compagni/e che sono stati in regime di 14bis, senza fornelli, tv, compagnia di compagni di detenzione, hanno cominciato a parlare da soli per sentire almeno la vicinanza della voce come compagnia e che ne sono usciti traumatizzati e cambiati da questa esperienza offerta dallo stato.
Un uomo che non vede davanti a sé stimoli è soggetto a pensare e in detenzione i pensieri non sono belli, e questo porta ad impazzire o, addirittura, a togliersi la vita; in ristrettezza ogni pensiero è amplificato, quindi una sciocchezza in galera può apparire una questione di vita e di morte, e sei sempre sul filo del rasoio e ci metti nulla a fare del male o a farti del male autolesionandoti, e questo perché in galera recluse/i non hanno stimoli.
I libri in galera sono essenziali. E’ vero che in molte galere ci sono biblioteche, ma sono mal fornite e se cerchi libri particolari non ci sono; e se una prigioniera, un prigioniero vuole del materiale di controinformazione è impossibile trovarlo in una biblioteca di una galera. Quindi, comprare libri tramite l’amministrazione penitenziaria è un modo di controllo ulteriore anche da parte della mala informazione di giornali e telegiornali schiavi del potere.
Ora vi saluto con un forte abbraccio solidale con tutti i compagni, le compagne che lottano contro lo stato infame… Con stima e affetto…
Inizio di maggio 2015
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Carissimo compagno, …ti scrivo perché qui non mi arriva più posta dai compagni-e, e con la censura mi hanno fatto un’ulteriore infamia.
Qui i materassi sono scaduti da 20 anni e chi lo vuole nuovo deve comprarselo al costo di 52 euro. Le celle sono senza lampadine e chi arriva in cella non trova la luce, deve aspettare una settimana prima di riuscire a comprarla alla spesa.
Portano detenuti in isolamento senza motivi, molti ce li lasciano mesi e mesi, e chi prende 15 giorni ce lo lasciano anche un mese.
In isolamento non c’è nulla per pulire le celle, il vitto è scarso e non viene cambiato da mesi, così chi non ha soldi è costretto ad uno sciopero della fame forzato.
La direzione fa abusi su tutto… Se mai ci sarà un presidio qui fuori i detenuti saranno tutti felici e urleranno la loro rabbia… Ti abbraccio, sono sempre al tuo fianco…
fine aprile 2015
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Finalmente ho ricevuto la vostra lettera, nello stesso tempo ho ricevuto la bella cartolina e ringrazio moltissimo. E ringrazio tutti-e voi per quello che state facendo [...].
Oggi sono quasi tre mesi che sto qua in questo cimitero, non ho mai visto qualcosa di simile in tutti i miei anni di carcerazione.
Qui ogni settimana muore un detenuto a causa di malattie. Addirittura nella sezione uno paralizzato totalmente con ictus è morto bruciato con il mozzicone della sigaretta che gli è caduto sul materasso con le finestre aperte con il vento e non è intervenuto nessuno a salvarlo.
Un altro arrivato al CDT non l'hanno scarcerato, il giorno prima di morire è svenuto nella sua cella e il dirigente sanitario dott. Coccobello gli ha detto smettila di simulare, senza visitarlo, ed il giorno dopo è morto.
Un altro che si chiama Maurizio ha fatto 28 anni di galera e adesso è paralizzato con 6 tumori ed altre patologie e gli mancano 10 mesi, invalido 100% (dall'inps) e gli hanno negato il domiciliare per i suoi ultimi sei mesi di vita.
Un altro vive mille patologie infettive e ha 87 di CDT è incompatibile dei medici legali del tribunale ma non l'hanno scarcerato lo stesso. Tutti qui sono denuti morti che camminano, scene impossibili da sopportare, tutti detenuti in carrozzelle e non si muovono dal letto, con il pannolone che gli cambiamo le infermiere ogni giorno perchè se la fanno addosso. Tutte le sezioni qui puzzano di merda, io personalmente ho offeso pesantemente i medici e le guardie prendendo un rapporto disciplinare per andare all'isolamento. L'ho fatto per non vedere più quelle persone che stavano morendo e scene terribili che ogni giorno ne vedi una nuova. E' incredibile, ci vuole un libro per raccontarvi quello che succede qua. Il più sano in questo Cdt sono io, nonostante il medico legale di Venezia mi ha concesso l'incompatibilità ma i medici qua dicono il contrario.
Mi visitano una volta al mese, è orrendo ragazzi, io ho sentito queste cose sul CDT di Opera in passato, ho accettato il trasferimento temporaneo da Belluno perchè volevo vedere con i miei occhi quello che succede qua, è stato un trasferimento di mia scelta. Per completare il mio quadro del male che subiscono i detenuti nei carceri italiani, sono senza parole.
Il direttore di questo carcere è il dott Siciliano, suo padre era direttore del carcere di Napoli è stato ucciso da un ex detenuto, potete immaginare l'odio e il rancore e il gusto di vendetta di questo parassita nei confronti dei detenuti con la complicità di un'altro virus mortale dott. Roberta Cossa magistrato di Milano e l'appoggio del dott. Pagani vice capo el DAP di Roma.
Io se Dio vuole il mese prossimo torno a Belluno che è un paradiso in confronto di questo cimitero in più è la mia ultima tappa per raccontare veramente come funzionano i carceri italiani. La legge dice che quando un detenuto ha meno di 200 CDT si applica il divieto di custodia cautelare in carcere. Qua a opera i CDT tutti sono inferiori a 100 CDT altro che 200, è ridicolo. Qua si tratta di maltrattamenti abusi di potere e autorità e lesioni aggravate, omicidi, omissione di soccorso, istigazione a suicidarsi ecc. ecc. da parte dei medici, dirigenza sanitaria, direzione e amministrazione penitenziarie e magistrati di Milano. Reati che continuano a commettere nei confronti dei detenuti, persone disabili, malati terminali indifesi.
Lodicamente le denunce da qui non partono tramite le matricole come gli altri carceri credetemi qui è peggio dei carceri di Guantanamo e Abu Ghraib. Negli occhi dei detenuti vedo solo la tristezza e terrore e rassegnazione non ho parole.
Amici miei questa è l'istantanea che fotografa le carceri italiane. [...]
Inizio maggio 2015
lettera dal carcere di Ferrara
[…] Qui a Ferrara non si è mosso niente. Tutto come prima. Le stesse abitudini, lo stesso ritmo, soliti problemi e se protesti finisci in isolamento per poi essere pestato. Guarda caso accade tutto di sabato/domenica notte quando va via il comandante, il commissario – e sono sicuro che tutto è studiato. Noi di notte sentiamo le grida che vengono da questo isolamento.
L’altra notte verso le 2 un poverino gridava “aiuto polizia aiuto”, si vedeva che era la sua prima volta in carcere e pensava che la polizia poteva intervenire e salvarlo dal pestaggio?
Carissimi compagni/e qui c’è da rimanere senza parole. Quelli che possono denunciare, e infatti ce n’era qualcuno, però alla fine come conto salato da pagare c’è il trasferimento a Parma o cose simili e anche più lontano; lontano dai famigliari, dalle persone care che ti vengono a trovare. Bene cari, ti privano anche di questo. Hanno questo potere, cioè di torturare esseri umani senza essere puniti.
Adesso dopo questo non posso aggiungere nulla. Nella speranza che si risolve qualcosa concludo con distinti saluti e tanto affetto. Un abbraccio a tutti.
Maggio 2015
Per rilanciare la mobilitazione contro il 41-bis
Breve resoconto dalla riunione che si è tenuta l’8 maggio presso la sede di Radio Black Out (Torino)
Per conoscenza, facciamo circolare un breve riassunto dei punti di discussione che sono emersi nella riunione che si è tenuta tra compagn* attiv* in alcuni collettivi antirepressivi e di solidarietà rivoluzionaria. Si tratta appunto di elementi di discussione, non di sintesi ma di proposta per allargare il dibattito sul rilancio della mobilitazione contro il 41-bis e della solidarietà nei confronti dei rivoluzionari che sono reclusi nelle sezioni sottoposte a tale regime.
L’incontro è stato proposto a seguito dell’applicazione della circolare del DAP che impedisce l’accesso via posta o tramite pacco colloquio di qualsiasi tipo di pubblicazione all’interno delle sezioni 41-bis.
- Nel ribadire che il 41-bis è un’espressione della tortura di Stato, che in diverse forme e modalità si inserisce in un contesto/modello di inasprimento delle dinamiche repressive e penitenziarie a livello internazionale, consideriamo la censura dei libri e delle possibilità di arricchimento culturale per i reclusi un’ulteriore restrizione nelle condizioni di prigionia su cui è importante fare leva per rilanciare una più allargata e partecipata critica all’istituzione carcere e ai circuiti di differenziazione e isolamento che riesca a rompere gli argini delle situazioni militanti e delle realtà che si occupano specificatamente di carcere e repressione.
- La carcerazione “speciale” e l’inasprimento generale delle condizioni di reclusione che oggettivamente produce sono strumenti di deterrenza nei confronti della critica rivoluzionaria e delle espressioni di insubordinazione alle leggi dello Stato e del Capitale. Tali strumenti mirano a riaffermare il monopolio della violenza da parte degli organi di Stato e minare la resistenza dei reclusi. In risposta non è auspicabile cadere in logiche vittimiste, ma porre l’accento sulle possibilità e sui percorsi con cui fare fronte, dentro come fuori le galere, a tali dinamiche.
- Di pari passo alla mobilitazione che denunci quest’inasprimento generale e la specifica restrizione dei già angustissimi spazi vitali all’interno del 41-bis rappresentata dall’impossibilità di procurarsi letture e testi di studio, si sottolinea l’importanza di rivendicare l’identità politica dei rivoluzionari sottoposti a tale regime speciale.
Come già anticipato, si tratta di punti di discussione emersi durante la riunione e che raccolgono le diverse sensibilità e prospettive che si sono espresse in questa occasione, senza volere rappresentare un’interpretazione univoca dei presupposti o dei possibili svi
luppi su cui articolare la mobilitazione. Questo breve resoconto vuole quindi essere un contributo agli ulteriori confronti attraverso cui auspichiamo prenda forma una mobilitazione capace di esprimere appunto le specificità di ciascuna realtà in un percorso comune che riesca concretamente a dare ulteriore energia alla necessaria lotta contro la carcerazione speciale e alla solidarietà nei confronti dei rivoluzionari prigionieri.
Si allega, per chi ancora non l’avesse ricevuta, una premessa tecnica redatta da OLGA in merito alla circolare del Dap in questione.
Si ricorda che una prossima occasione per affrontare l’argomento sarà l’assemblea che si terrà a Padova, alla mensa Marzolo il prossimo sabato 16 maggio.
9 maggio 2015
Compagn* presenti alla riunione
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“Leggere rende liberi”, parola di Mattarella. Lo dica a chi è al 41bis…
Inaugurando a Torino il Salone del Libro il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ribadito l’importanza e “la ricchezza dei testi e della lettura: leggere non è solo una ricchezza privata, ma un bene comune, ossigeno per le coscienze. La lettura è una porta sul mondo, leggere ha a che fare con la libertà e con la speranza».
Una porta aperta per molti che non la oltrepassano, ma chiusa, insieme alla speranza, a chi è sottoposto al regime carcerario 41bis.
Ad oggi si contano circa 700 persone chiuse in sezioni speciali e da alcuni mesi in maniera definitiva non possono più ricevere libri, qualsiasi forma di stampa, attraverso la corrispondenza e neanche attraverso i colloqui, che siano con parenti o con avvocati. Questo a seguito di una circolare del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) inviata nel novembre 2011. Le persone sottoposte al 41bis possono acquistare libri solo per il tramite dei carcerieri che difficilmente si metteranno alla ricerca di libri specifici, un altro duro colpo alla libertà che già si aggiunge all’assurdo limite imposto alla quantità di libri che è consentito tenere in cella: soltanto tre.
Se, quindi, leggere ha a che fare con la speranza, limitare la lettura o vincolarla al “consenso” del carceriere equivale a togliere, oltre alla libertà, anche la speranza, è degrandante quanto inaccettabile, al pari dell’impiego della videoconferenza nei processi.
In un crescente manettarismo questo paese sta perdendo completamente il senso di umanità, spinto da flussi deformati di pseudo-informazioni che alimentano e fomentano odio contro inesistenti nemici, riservando invece cordiali rimproveri a quella classe che detiene il potere e quotidianamente ne abusa.
Accettare che venga consentita una carcerazione in queste condizioni è facile perché rimbalzando da una delega all’altra ci si può autoassolvere, la tortura delegata al sistema, “la giusta punizione”, ci hanno convinto di questo, e quando un disperato arriva al suicidio ecco il popolo pronto a gridare in coro “uno di meno”. Come ci abbiano portato fino a questo punto non mi è chiaro ma so per certo che restare ancora indifferenti non farà che aumentare il livello di tortura perpetrato nelle carceri, ben lontano dalla nostra vista, e da quel che resta della nostra coscienza.
Nel leggere alcune delle impugnazioni dei giudici di sorveglianza ecco una motivazione che denota straordinaria creatività: “sia vietato l’accumulo di un numero eccessivo di testi, anche al fine di agevolare le operazioni di perquisizione ordinaria”. Certo, non hanno tempo da perdere a sfogliare libri, loro, hanno già in mano il manganello, che pretese. Non manca la generosità, lo Stato comprende le esigenze dei detenuti ed ecco che consente la detenzione, nella propria cella, di “un codice penale, un testo religioso ed un dizionario”. Si può volere qualcosa di più?
14 maggio 2015, Simonetta Zandiri, da tgmaddalena.it
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Domenico Belfiore (in carcere da 32 anni condannato per l'uccisione del Procuratore capo di Torino Bruno Caccia, attualmente ristretto nel carcere di Sulmona in regime di 41 bis, alcuni giorni fa, era andato in coma. Presso l'Ospedale di Sulmona gli era stato riscontrato un tumore all'intestino, da operare con urgenza. Riportato in carcere in attesa di operazione, andava in coma. Ricoverato con urgenza all'Ospedale de L'Aquila, non si capisce perchè non a Sulmona dove già era in cura, veniva operato. Terminata l’operazione di quella portata i medici di quell’Ospedale hanno ritenuto il loro paziente in condizioni di ritornare in carcere (ricordiamo che è in regime di 41 bis). Naturalmente la sua situazione è precipitata in brevissimo tempo e Domenico Belfiore è ricaduto in coma. Un’altra volta ricoverato, questa volta a Sulmona, è stato operato tre volte un’altra volte ed è ancora in gravi condizioni.
Questa informazione mi è stata girata da Pancrazio Chiruzzi che è in contatto con la famiglia. Ritengo necessario verificare i fatti, e, se confermati, denunciarli perché, a quanto mi risulta, in Italia non è ancora legge la pena di morte e un prigioniero, quale che sia il suo reato, ha diritto a essere curato.
fine aprile 2015, Rosella Simone
lettera dal carcere di padova
Giuseppe Zagari è arrivato a Sulmona, il "carcere dei suicidi"
Per un prigioniero è difficile, e molto complicato, avere fiducia in uno Stato e in una Giustizia che non rispettano le loro stesse regole, perché spesso l’universo carcerario è come un gelido mostro nietzschiano da cui non è possibile difendersi. Spesso più che rapporti di giustizia si tratta di rapporti di forza, che assicurano il dominio, non certo la giustizia.
I diritti dei reclusi sono eventuali e inesigibili, mentre i doveri e i trasferimenti non voluti sono certi e inevitabili. Corre voce che a giorni riprenderanno le deportazioni dei detenuti di “Alta Sicurezza” da Padova e molti miei compagni stanno vivendo male questi provvedimenti amministrativi, che li costringeranno ad interrompere la loro crescita interiore, culturale e lavorativa. E io mi sento impotente per non poterli aiutare, perché ho solo questa stupida penna che non serve a niente contro lo strapotere di certi funzionari che gestiscono la vita dei detenuti, e purtroppo anche quella dei loro familiari.
Giuseppe Zagari è stato il primo detenuto dell’Alta Sicurezza di Padova ad essere “deportato” nel carcere dei suicidi di Sulmona. E mi ha scritto questa lettera che rendo pubblica con la speranza che Dio, o qualcuno al posto suo, lo faccia rientrare nel carcere di Padova, per dargli la possibilità di poter continuare a lavorare nella redazione di “Ristretti Orizzonti”. Noi lo aspettiamo e abbiamo deciso di tenere libera la sedia e il posto del tavolo dove di solito lui si sedeva durante le riunioni della redazione.
“Caro Carmelo, sono approdato in questo istituto dove, come ti avevo preannunciato, sono finito alle celle (di punizione ndr) perché ho reclamato di poter stare da solo. Sono stato accontentato, ma puoi immaginare: il degrado è più unico che raro.
Sono in una celletta di colore indefinito, sembra verde e non lo è, sembra blu sporco e nemmeno così è, insomma fa schifo. Qui non posso fare nulla, né passeggiare con questi poveri cristi che sono qui, né cucinarmi, nè fare altro, tranne che passeggiare avanti ed indietro in questi due metri quadri.
Qui sarebbe il reparto infermeria, ma ti giuro che di infermeria non ha proprio niente, c’è solo la desolazione e lo sconforto di tante persone che lamentano la mancanza di cure e l’abbandono a se stessi. Io, per farti un esempio, sono due giorni che non mangio, non per mia volontà ma perché il vitto fa schifo ed io, soffrendo di colesterolo, non posso toccarlo.
Carmelo, sono davvero dispiaciuto per questo trasferimento e ti giuro che è la prima volta da quando sono detenuto che mi sento davvero cupo, forse perché, dopo aver incontrato persone straordinarie come voi in redazione, in me era cominciata una crescita davvero importante. E sono certo che, pian piano che avrei preso confidenza con quell’ ambiente giornalistico, sarei riuscito a dare un mio contributo alle tematiche che ogni giorno affrontavamo. Devo ammettere che ti invidiavo molto quando con la tua intelligenza e preparazione spiegavi tutti quei cazzi di articoli di legge in maniera brillante. Se ti avessi incontrato prima, al posto di studiarmi la Divina Commedia, mi sarei studiato il codice penale e ti avrei fatto le scarpe. Ormai non ho più la capacità nè la voglia di cimentarmi nella lettura, forse perché so di non avere più quella lucidità di un tempo, perciò cercherò di sopravvivere come posso.
Carmelo, con tutta sincerità, sono pure un po’ stanco di questa vita da schifo e delle ingiustizie che viviamo quotidianamente. (…) Ora dimmi un po’ tu come posso farmi la galera in queste condizioni. Se tu puoi aiutarmi nel suggerirmi cosa possa fare per uscire da questa situazione, ti prego di scrivermi, ti giuro che così è troppo, non è accettabile dover vegetare per il resto dei miei giorni.
Comunque, Carmelo, lotta sempre, anche per me, perché io non ho più forza. Buona fortuna. Salutami tutti quanti in redazione. Ti voglio bene. Giuseppe”.
Carcere di Padova, maggio 2015
Carmelo Musumeci, via Due Palazzi 25 - 35136 Padova
maggio 2015, da carmelomusumeci.com
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IN MEMORIA DI RAFFAELE CATAPANO
Il 16 dicembre 2014 è morto il nostro amico Raffaele dopo 40 anni di carcere. Era ancora detenuto, anche se gli ultimi mesi li ha trascorsi in ospedale per curarsi un cancro che lo aveva colpito.
Lo vogliamo ricordare positivamente aiutando alcuni/e detenuti/e che condannati/e a pene pesanti (soprattutto ergastolo) e detenuti/e in sezioni a 41 bis o sezioni speciali, e che vogliono riprendere o concludere gli studi, ma incontrano difficoltà economiche per poter portare avanti il loro progetto di studi.
Per questo in segno di amicizia e nel ricordo affettuoso di Raffaele abbiamo iniziato a dare un piccolo aiuto a due detenuti: uno condannato all'ergastolo e che si trova in sezione AS-l e l'altro che deve scontare 30 anni in sezione 41 bis. Proseguiremo con determinazione e con calma in questo progetto di solidarietà e di memoria. Abbiamo chiesto ai familiari il permesso e lo abbiamo ottenuto, l'iniziativa è autonoma da loro.
Pasquale De Feo sta preparando un libro su Pianosa e Asinara durante il 41 bis (dal 1992 fino alla loro chiusura) dedicheremo questo libro a Raffaele che ha trascorso un periodo della sua detenzione in questo regime nell'isola dell'Asinara. I proventi del libro serviranno a finanziare l'iniziativa.
Chi vuole partecipare al progetto, può inviare un contributo anche di pochi euro e chiedere informazioni a:
Giuliano Capecchi, Via Cintola Alta, 58 - 50027 Strada in Chianti (Firenze)
maggio 2015
Giuliano Capecchi, Maria Cristina Bimbi, Gloria Bimbi e altre e altri...
Lettera dal carcere di Bancali (ss)
Saluto te e tutte-i compagne-i, come ti ho promesso ti scrivo le mie avventure nel carcere di Sassari.
Sabato 9 maggio 2015 sono arrivato in questo carcere di merda, mi hanno perquisito, hanno come sempre buttato qua e là tutti i vestiti, e poi senza parlare con nessuno mi hanno portato in sezione dove io non voglio andare.
Mi sono lamentato e ho chiesto di parlare con un ispettore, chiedendogli di portarmi in isolamento. Lui mi risponde che è lui a decidere tutto. Mi sono opposto, ma in modo verbale, non ho usato nessuna violenza né forza. Due guardie mi hanno preso le braccia per legarmele con le manette, ma non ci sono riusciti. Allora è arrivata una terza guardia che mi ha dato una botta tra le gambe. Poi quando sono caduto in ginocchio, hanno cominciato a picchiarmi e mi hanno legato le mani dietro la schiena, hanno continuato a picchiarmi, uno mi ha messo i piedi sulla gola, non riuscivo a respirare.
Tutto questo divertimento è durato 5-6 minuti. Dopo 30 minuti mi hanno portato dal dottore, due di loro in sala dal dottore mi hanno chiesto cosa era successo. La dottoressa mi chiede cosa è successo, guarda me e poi le due guardie, io ho risposto che non è successo niente, e poi ho rifiutato visite mediche, anche se sul mio corpo ci sono tracce di pestaggio visibili.
Non paure delle guardie, non ho paura di nessuno; io sono poco di buono, ma non sono mai stato un infame e non ho denunciato mai nessuno in vita mia. Di questo pestaggio è colpevole anche il “DAP”, gli ho chiesto carcere lavorativo, tipo Mamone (casa di lavoro in Sardegna) e loro invece mi hanno mandato in questo carcere di merda che è punitivo.
Mi hai detto che avete avvocati che aiutano gente come me senza mezzi per chiedere a un avvocato urgentemente un trasferimento in un carcere più umano.
Qui in cella non ho né tv né radio, mi hanno sequestrato anche l’accendino e se voglio accendere la sigaretta devo chiamare la guardia.
Ho cominciato lo sciopero della fame domenica 10 maggio 2015. Oggi è mercoledì, mi hanno pesato e sono 58 kg; pressione 90-60. Vediamo che cosa succede più avanti. Per adesso finisco questa lettera, spero di trovare tutti voi in buona salute, saluto tutti voi compagne e compagni, un caro saluto a te da questo carcere di merda. Jasmir.
Sassari, 13 maggio 2015
Sabanovic Jasmir, Strada Provinciale 156, via Abbaccurrente, 4 - 07700 Bancali (Sassari)
In una precedente lettera del 7 maggio ci dice che a Bergamo sono due settimane che organizzano delle partenze e in un’altra dell’11 maggio aggiunge:
[...] Sono in isolamento senza tv, radio, senza tavolo e sgabello. Poi ti scrivo di nuovo e ti spiego le mie avventure del primo giorno in questo carcere. Ho cominciato lo sciopero della fame fino a che non ottengo quello che ho chiesto. ‘Sto verme del ministero di giustizia. Ma come si sa loro si aiutano e per gli altri chi se ne frega.
Qui siamo arrivati in 40 da tutte le carceri della Lombardia, e a prima vista tutti poveri, pazienza. Questo carcere ci sono i pavimenti nuovi, le docce in cella con le piastrelle, ma in cella non c’è la luce, non funziona la doccia, così devo lavarmi con acqua fredda. Ma sono abituato a tutte queste porcherie che fanno e non mollo mai. [...]
da una lettera dal carcere di Massama (or)
[...] Rispondo alla tua lettera dalla nuova destinazione, mi hanno deportato in Sardegna a Oristano. I carceri costruiti dalla cricca di amici di Alfano devono essere riempiti, dopo mio fratello ci sono finito anch'io. Hanno fatto la corsa per farmi trasferire, sono da una settimana solo nella sezione, dovrebbero arrivare a giorni altri progionieri. [...] Poco fa mi ha chiamato mio fratello A. lui sta al piano di sotto perchè è AS3 ed io sopra perchè AS1. Ha telefonato a casa, mio fratello V. non sapeva niente che mi trovavo qui. [...]
Oristano, 20 maggio 2015
Pasquale De Feo, Via Is Argiolas - 09170 Massama (Oristano)
Note sulle carceri di Viterbo e di Velletri (Roma)
[…] Viterbo… brutto carcere, punitivo. I portachiavi lì sono maledettamente cattivi. Quando ti portano in isolamento, in cella liscia, o con il 14bis, ti entra in cella la “squadretta della morte”, così viene chiamata, ti entrano in cella alla maniera della celere, con tanto di casco, manganello e con lo scudo… ti buttano una coperta bagnata addosso e ti picchiano senza pietà. A me questo è successo tre volte. Non auguro a nessuno di passarci da Viterbo (Mammagialla).
Là ci è passato un mio amico che ha ricevuto le cartoline “Liberare tutti i dannati della terra”. Ha scritto di non sentirsi solo, di essersi sentito incoraggiato dentro.
A Velletri un mattino di fine marzo, poco dopo le 6, ci sono state diverse perquisizioni ordinate dal pm di questa città dirette alla ricerca, fra l’altro, di “utenze telefoniche” e che altro.
maggio 2015
scabbia alle vallette?
La scabbia, o almeno l’allarme scabbia, ha fatto nuovamente la sua comparsa alle Vallette e ancora una volta nel blocco C. Non sappiamo se la questione riguardi tutto il blocco o se sia invece confinata soltanto in alcune sezioni. L’unica informazione certa è che al momento Lucio, Francesco e Graziano si trovano in quarantena. Giovedì scorso il loro avvocato si è recato al carcere per incontrarli ed è stato rimandato indietro dagli agenti penitenziari: «I detenuti sono sottoposti a un totale isolamento dall’esterno perché potrebbero avere la scabbia», queste le scarne motivazioni fornite dagli agenti penitenziari senza precisare se ci fossero altri detenuti in quarantena né la durata dell’isolamento sanitario.
Nella giornata di ieri sono arrivate nuove informazioni dai responsabili sanitari del carcere che hanno precisato che i tre dovrebbero uscire dall’isolamento lunedì prossimo, giusto in tempo per presenziare all’udienza del 12 maggio, aggiungendo poi che la scabbia non sarebbe stata contratta alle Vallette ma i tre sarebbero arrivati già infetti dal carcere di Ferrara. Al “Lorusso e Cotugno” sostengono poi di esserne a conoscenza orami da diverse settimane: i primi ad accorgersene sarebbero stati i medici che hanno visitato i tre al loro ingresso nel carcere torinese.
Una ricostruzione dei fatti che da subito non convince molto — non si capisce infatti perché i tre non siano stati messi in quarantena sin da subito, ma abbiano potuto inizialmente svolgere regolarmente i colloqui e presenziare alla prima udienza — e che sembra soltanto un misero tentativo di creare qualche fastidio a Lucio, Francesco e Graziano scaricando la responsabilità di tutto sul carcere di Ferrara. A confermarcelo qualche ore fa, dopo che la notizia circola ormai da un paio di giorni un po’ su tutti i quotidiani locali online, è proprio uno dei tre compagni che telefona a un familiare chiarendo come sono andati i fatti. Qualche giorno fa una piccola irritazione compare sulle braccia dei tre compagni, con ogni probabilità per le pessime condizioni in cui hanno trovato le celle al loro arrivo, il personale penitenziario decide che si tratta di scabbia, li mette in isolamento e, giovedì mattina, li informa che il loro avvocato, venuto a conoscenza della loro situazione, ha deciso di non incontrarli.
Si è trattato insomma di una piccola vendetta ordita dalle autorità penitenziarie nel tentativo, tra le altre cose, di mettere i tre compagni in cattiva luce presso gli altri detenuti e ostacolare la possibilità che siano trasferiti in una sezione comune.
Oltre a sottolineare che i tre non si sono affatto lasciati abbattere da quanto accaduto vi ricordiamo il loro indirizzo:
Lucio Alberti, Graziano Mazzarelli e Francesco Sala
C.C. “Lorusso e Cotugno” - via Maria Adelaide Aglietta, 35 - 10151 Torin
12 maggio 2015, da autistici.org/macerie
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sul processo per l’attacco al cantiere del tav a chiomonte
Il 12 maggio é il giorno della requisitoria e delle arringhe nel processo contro Lucio, Francesco e Graziano. Nonostante i pm non siano riusciti, almeno al momento, a far processare i tre per terrorismo, decidono comunque di spararla grossa.
Cinque anni e sei mesi è infatti la loro richiesta di condanna, già scontata di quel terzo di pena che viene automaticamente tolto a chi sceglie il rito abbreviato. Facendo due conti la richiesta non scontata di Padalino e Rinaudo è quindi di otto anni e tre mesi, così motivata: sette anni per la resistenza aggravata, cui vanno aggiunti, in continuazione di reato, un anno per il trasporto e la detenzione di armi da guerra e tre mesi per il danneggiamento.
L’udienza termina nel pomeriggio con le arringhe degli avvocati rimandando al 27 maggio. In tale udienza i tre sono stati condannati in primo grado, con rito abbreviato, a 2 anni e 10 mesi di carcere e trasferiti ai domiciliari, con tutte le restrizioni. In attesa della sentenza, intorno alle 11,30 i solidali si erano concentrati nei pressi dei cancelli della centrale di Chiomonte, piuttosto irraggiungibili visto che il ponte era bloccato dalle camionette della celere.
L’accusa di terrorismo è stata momentaneamente accantonata. A questo riguardo vogliamo anticiparvi che il 16 luglio a Roma ci sarà un’udienza presso la Corte di Cassazione che valuterà il ricorso avanzato dalla Procura di Torino in merito alla decisione presa dal tribunale del Riesame a fine dicembre scorso. Un’udienza che potrebbe dare un’ulteriore spallata all’accusa di terrorismo o ridargli invece fiato.
Seguono le dichiarazioni spontanee di Lucio e Francesco, lette in aula durante la prima udienza del processo a loro carico svoltasi il 23 aprile al Tribunale di Torino.
In questa sede mi vengono rivolte essenzialmente 3 domande alle quali scelgo di rispondere: 1- Eri lì quella notte? 2- Cos'è accaduto? 3- E perché l'avresti fatto?
Alla prima domanda si può rispondere con un semplice sì, c'ero anch'io. Ma anche se non ci fossi stato poco cambierebbe dato che ho manifestato il mio appoggio a quel sabotaggio, come molti altri.
La seconda invece si risponde da sola, e posso solo ribadire che si era scelto di danneggiare il cantiere, cosa che è accaduta, senza altresì colpire alcuno, cosa che infatti non è accaduta. Questa è, al di là di ogni mistificazione, la semplice realtà dei fatti.
Ma il terzo quesito ben più interessante, si propone di capire quale fosse l'intendimento delle persone che parteciparono a quel sabotaggio.
La procura dà la sua ipotesi che, scorrendo le carte, si può riassumere più o meno così:
“Gli imputati, dal carattere violento e che conoscono unicamente il dialogo della violenza, appartenenti ad un movimento di contestazione di poche centinaia di persone e comunque estranei alla Valle, con tecniche militari misero in atto un gesto criminale e scriteriato guidati dal rancore e dall'astio che essi nutrono nei confronti di operai, poliziotti e carabinieri. Un vero e proprio atto di guerra, punitivo verso il nostro Stato e la sua politica economica.”
Qui si valicano prepotentemente i confini del giuridico per entrare a gamba tesa nel campo della valutazione politica. Ed è pertanto in questi termini che risponderò; ripetendo qui quello che già sostenni con forza durante i molti dibattiti svoltisi nei momenti di solidarietà con i compagni che ci hanno preceduto in carcere.
Il terrore, la paura e il panico indiscriminato sono strumenti che non appartengono alla mia cassetta degli attrezzi. Questi sentimenti, alimentati, provocati o creati ad arte lungo la storia hanno da sempre favorito quelle fazioni che volevano conquistare o consolidare il proprio potere in senso autoritario e totalitario. Una persona o un popolo terrorizzati sono demotivati, spaventati, soverchiati da paure emotive che li spingono a cercare protezione alle loro angosce più primordiali.
Facili prede quindi di chi aspira al dominio giocando sulle paure più istintive delle persone, le leve di simili emozioni sono l'ultima risorsa dei potenti che sempre l'hanno utilizzata allo scopo di rafforzarsi e tacitare il dissenso nei loro confronti con tutti i mezzi a loro disposizione, anni fa sicuramente più cruenti, oggigiorno sembrano per contro bastare massicce campagne mediatiche dove le parole vengono distorte fino a perdere il loro significato pur d'adattarsi all'utile spauracchio sociale del momento. La mia accusa descrive la Storia degli Stati e dei potenti, la ritorno pertanto a chi l'ha formulata.
Quello che mi spinse fu la volontà d'agire contro il disperante, cinico sentimento di rassegnazione e apatia di chi crede che nulla possa cambiare, che tutto sia già deciso e pianificato. Sentimento assai radicato in questo Paese, ma non in quel movimento che ha deciso di porre un secco No! ad una devastante idea di futuro, ed è per questo che scelsi d'appoggiarlo, sin dal primo incontro, con quelle donne e quegli uomini che lo compongono.
Fu quindi spavalda allegria volta a superare un soffocante presente, esso sì distruttivo e costrittivo, verso l'ambiente, le persone e i loro affetti.
Di questo io rispondo, in piena coscienza. Francesco.
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Da alcune frasi, rubate alla mia voce, si è voluto dedurre di tutto e di più, si sono esaltati o sminuiti vari passaggi, a seconda del bisogno dell'accusa.
Se prendo la parola oggi è perché voglio ribadire quella che è la realtà. Io c'ero.
Quella bellissima notte di maggio mi sono incamminato sui sentieri della Valsusa determinato a sabotare il cantiere TAV di Chiomonte.
Ho scelto di colpirne i macchinari senza mettere a rischio l'incolumità di chi, pure, quei macchinari manovra o difende.
Quella notte i fatti hanno espresso le intenzioni, e il valore del gesto ha permesso di superare ogni paura. La paura diffusa, il terrore che ci viene imposto massivamente, per me sono barriere da abbattere. Sono armi che lo Stato, il potere, usa per mantenere il controllo e paralizzare chi si pone in conflitto con esso. Per questo, non possono essere i miei strumenti rivoluzionari.
Di ciò che ho fatto e di ciò che ho detto sono pronto a rispondere, consapevole che ciò che spinge il mio cuore e la mia mano è troppo grande per stare tra le mura di quest'aula o tra i commi del codice penale. Lucio.
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Blitz al convegno sulle carceri. Torino, 6 maggio. Dentro i locali di Marte, un negozio finanziato dalla Compagnia di San Paolo dove i radical chic possono acquistare prodotti realizzati dai detenuti delle carceri piemontesi, entrano una ventina di persone e interrompono la presentazione di un libro con cori e slogan contro il carcere e in solidarietà con Francesco, Lucio e Graziano. All’evento avrebbe dovuto partecipare anche Marco Bonfiglioli, dirigente dell’Ufficio Detenuti e Trattamento del PRAP di Torino, assente per “motivi personali” ma degnamente sostituito da una sua collaboratrice.
Presidio alle vallette. Torino, 24 maggio. Un centinaio di solidali, chi arrivato dalla Valsusa, chi dalle strade di Barriera, chi da altre città danno vita a un presidio che per alcune ore tiene compagnia con petardoni, fumogeni e cori a tutti i detenuti dei blocchi B e C che si affacciano sul pratone dietro al carcere delle Vallette. La celere si schiera sin da subito davanti alle recinzioni, ma il perimetro del carcere è talmente lungo che i poliziotti non riescono ad impedire la comunicazione con i detenuti che si addossavano alle sbarre delle finestre. Un saluto particolare viene indirizzato a Erika, Toshi, Luigi, Paolo, Lucio, Francesco e Graziano e qualcuno di loro riesce anche a farsi sentire dai solidali. Con il calare della sera il presidio si scioglie con le luci dei fuochi d’artificio.
da autistici.org/macerie
Continuano devastazione e saccheggio portati avanti da Expo
Devastazione reale connaturata alle Grandi Opere e ai Grandi Eventi.
Devastazione culturale che porta frotte di visitatori pilotati e scolaresche eteroguidate ad imparare modelli di produzione e di vita che sono sfruttamento del pianeta, devastazione degli ecosistemi ambientali e sociali, dominio della monocultura capitalistica, sull'agricoltura di sussistenza, legata ai bisogni reali dei territori,devastazione dell' immaginario collettivo ad opera di mass media sudditi delGrande Fratello imperiale.
Saccheggio che le multinazionali regine dell'Expo portano avanti, sistematicamente, contro le popolazioni di tutto il mondo, con l'appropriazione violenta della terra, dell'acqua, dell'aria, dei semi, della sovranità popolare, della salute, della forza lavoro, delle case, delle culture, della bellezza che è componente essenziale della vita.
Expo imperversa, nonostante lo spreco di cibo buttato nei sacchi a perdere di una periferia devastata e affamata, nonostante i lavoratori sfruttati e non pagati, le strutture pericolanti, gli scheletri mafiosi nell'armadio, le connivenze di un sistema politico locale e nazionale che chiama a raccolta i “benpensanti” contro i dissidenti all'Expo, ma difende (e condivide) il sistema affaristico e guerrafondaio che dell'Expo è ragione e linfa vitale.
Intanto restano in carcere i cinque manifestanti del Primo Maggio NO Expo, presi a caso, come loro stessi testimoniano , e accusati di violenza, devastazione e saccheggio, per le vetrine infrante di una banca e l'incendio di alcune autovetture.
Alle donne e agli uomini di buona volontà non può non apparire inaccettabile la sproporzione, intollerabile la repressione, insostenibile il silenzio, urgente la richiesta di scarcerazione di queste ragazze e ragazzi che sono parte di noi, noi che questo sistema senza sogni e senza memoria, subdolo e violento lo combattiamo, lo combatteremo sempre, a fianco dei popoli del mondo per cui l'Expo è vetrina di sfruttamento, devastazione, morte.
13 maggio 2015, da notav.info
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1° maggio 2015 a Milano: sempre complici e solidali
Come Rete Evasioni esprimiamo la nostra solidarietà a chi è stat@ colpit@ dalla repressione prima, durante e dopo il corteo del 1° maggio a Milano e siamo pronti/e ad affiancarci a chi intraprenderà un percorso in sostegno delle persone arrestate.
Ciò che ci ha spinto a dare vita alla Rete Evasioni, poco dopo il corteo del 15 ottobre 2011 a Roma, è stata la voglia che questo percorso di solidarietà concreta con chi era colpito dalla repressione, potesse essere da stimolo per i compagni e le compagne di altre città. Nessuna velleità da specialisti quindi, bensì voler essere una parte di tante Reti di solidarietà diffuse nei territori.
In questi ultimi giorni guardiamo con distanza il susseguirsi di comunicati riferiti alla giornata di lotta del 1° maggio a Milano, poiché pensiamo che il confronto assembleare sia sempre preferibile a quello mediatico, pur consapevoli delle difficoltà a cui si va incontro dovute al vivere in posti lontani tra loro.
Ciò nonostante abbiamo deciso di esprimerci in quanto, proprio in questi giorni, stiamo per affrontare l’ennesima e ultima fase del processo di primo grado contro chi era nelle strade di Roma il 15 ottobre 2011.
A nostro avviso le risposte più adeguate agli attacchi repressivi sono date da momenti di lotta. Tra le proposte quella del 12 maggio a Roma.
Dalle aule di tribunale, invece, ci arriva la certezza (nel caso ne avessimo ancora bisogno) di come la dissociazione agevoli l’isolamento e la punizione contro chi partecipa a manifestazioni conflittuali. Insomma veri e propri “oli lubrificanti” per gli ingranaggi dei sistemi repressivi. Per noi non si tratta solo di note tecnico-giuridiche quanto piuttosto di scelte politiche.
Concludiamo ricordando che i dispositivi quali il prelievo forzato del DNA, il Daspo e la “flagranza differita” sono da tempo pronti, confezionati e in alcuni casi già applicati, in completa omologazione con i progetti di controllo sociale europeo.
Per cui, considerazioni del tipo “grazie a quello che è successo a Milano, ci sarà un peggioramento dell’accanimento repressivo” sono, a dir poco, pretestuose.
Libertà per tutte e tutti
Il/la “manifestante buono/a” è chi conosce la solidarietà e la pratica nel quotidiano.
Roma, 7 maggio 2015
Le compagne e i compagni della Rete Evasioni, da inventati.org/rete_evasioni
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aggiornamenti sul processo per il 15 ottobre 2011 a Roma
L’11 maggio, durante la prevista udienza per l'inizio della requisitoria del PM Minisci la difesa ha presentato in aula delle eccezioni tecniche relative alla produzione dei video presentati dall'accusa su cui basava la sua requisitoria. I dvd prodotti non erano conformi agli originali, alcuni anche privi di audio oltre che degli orari di registrazione. Inoltre sempre il PM aveva depositato ulteriori video il 27 aprile, tempo insufficiente per essere visionati dalla difesa. La corte ha deciso di rinviare all'8 giugno e 6 luglio.
La prima data servirà alla difesa per depositare una relazione dettagliata della non conformità dei video a quelli originali mentre la seconda data la corte scioglierà la riserva sulla decisione che prenderà.
Durante l'udienza un compagno imputato si è presentato in aula indossando una maglietta con scritto "basta con le leggi fasciste, il 15 ottobre non si processa". Inizialmente fermato prima di entrare in aula dalla Digos (molto presente) è stato poi invitato dalla corte a togliersi la maglietta. A seguito del suo deciso rifiuto è stato "messo alla porta". Un altro compagno imputato dopo aver espresso la sua solidarietà verso il compagno espulso ha abbandonato l'aula.
Un terzo compagno, non imputato, che ha ribadito la solidarietà ai compagni e a tutti e tutte gli/le imputati/e riproponendo il concetto scritto sulla maglietta, ha dovuto lasciare l'aula con l'impossibilità di partecipare alle prossime udienze.
Nonostante domani non ci sia l'udienza si è comunque deciso di mantenere il presidio davanti a piazzale Clodio alle h. 11 e la manifestazione.
Sembra che il sig Minisci abbia rosicato non poco...
Nel tardo pomeriggio del 19 maggio è arrivata la notizia della scarcerazione dei due compagni Davide Rosci e Mauro Gentile. Il tribunale di Roma, preso atto della decorrenza del termine massimo per la custodia cautelare ha accettato l’istanza di scarcerazione presentata dall’avvocato Romeo.
Anonymous: arresti e perquisizioni
Perquisizioni, denunce e due arresti domiciliari durante un'operazione coordinata la mattina del 20 maggio dalla Polizia Postale contro presunti membri della crew di hacktivisti digitali Anonymous.
Ad essere colpite dall'operazione repressiva denominata “UNMASK” (“smascherare”) almeno 5 persone nelle città di Torino, Sondrio, Livorno e Pisa accusate, secondo gli inquirenti, di avere “portato a termine ripetuti attacchi informatici ai sistemi di numerose amministrazioni pubbliche ed aziende private, dalle quali venivano illecitamente carpite credenziali di autenticazione (userid e password) ed altre informazioni sensibili”.
Nel mirino delle forze dell'ordine alcune delle più eclatanti azioni del collettivo, tutte volte a fornire un supporto “esterno” (ma non per questo meno fondamentale) alle lotte e ai movimenti sociali articolatisi negli ultimi anni in Italia: tra le operazioni contestate figurano infatti i numerosi attacchi contro il sito del Tribunale e del carcere di Torino in sostegno alla lotta No Tav e contro i sindacati di Polizia (Coisp, Siulp, Sappe) sempre pronti a difendere l'infame operato dei propri uomini, come nel caso degli omicidi di Aldrovani e Cucchi. Nelle indagini risultano finanche i recenti hackeraggi contro la biglietteria online di Expo 2015 nella giornata del primo maggio scorso e contro il Ministero della Difesa, operazione quest'ultima rivelata dagli account ufficiali di Anonymous Italia nella giornata di ieri.
Ad essere presi di mira in maniera particolare dal Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (C.N.A.I.P.I.C., già oggetto di attenzioni da parte degli hacktivisti negli anni scorsi) gli account conosciuti come "aken" e "otherwise", tra i più attivi e generosi nelle operazioni di attacco informatico e di diffusione dei dati trafugati.
Le indagini, secondo quanto scritto nel comunicato della polizia, avrebbero “necessitato un particolare dispositivo operativo che ha permesso grazie al diretto coinvolgimento del personale impiegato in attività sotto copertura ed al coordinamento delle operazioni sul territorio, di sorprendere gli esperti hacker con i computer accesi, evitando quindi la cifratura dei contenuti”; una modalità di azione nuova per quanto riguarda questo tipo di operazioni repressive, che ben dimostra come la centralità dell'operato di Anonymous abbia messo in estremo imbarazzo istituzioni e forze politiche da sempre costrette a minimizzare i successi degli hacktivisti salvo poi dovere fare i conti i pesanti danni (di immagine e di contenuto) che le diverse #op hanno causato nel corso degli anni.
Tra le persone indagate risulta anche un redattore dell'emittente torinese indipendente Radio BlackOut, che questa mattina ha subito una perquisizione nella propria abitazione durante la quale è stato sequestrato un computer portatile (di proprietà della sua compagna...). Diego, questo il nome del compagno, ha raccontato l'episodio questa mattina ai microfoni di Radio BlackOut, spiegando come il suo rapporto di estrema diffidenza nei confronti degli apparecchi informatici – per di più nota e risaputa da chiunque lo conosca – lo renda una delle persone meno indicate ad essere oggetto di un'inchiesta contro il collettivo Anonymous.
Una dichiarazione che rende evidente come la rocambolesca ricostruzione delle indagini fornita delle forze dell'ordine, al limite di una spy story, venga poi smentita dai fatti e dall'approssimazione che mostra come determinate operazioni di polizia puntino più che altro a colpire nel mucchio per reprimere una forma di militanza e di attivazione politica del tutto sfuggevole alle consuetudinarie forme di controllo e, per questo, considerata più pericolosa di altre. E' quindi importante, da subito, fare sentire la nostra solidarietà nei confronti delle persone arrestate e indagate questa mattina, dal momento che quella di Anonymous non è che una delle tante forme di lotta collettiva che abbiamo imparato a sostenere e rivendicare per le strade delle nostre città e per i sentieri delle nostre valli.
Nessuno va lasciato solo e come sempre la migliore risposta ai provvedimenti repressivi non può che essere il rilancio della lotta e delle iniziative di sostegno. Per questo motivo come redazione di Infoaut ci rendiamo da subito disponibili a fornire ogni tipo di assistenza, compresa quella legale, ai compagni e alle compagne colpiti dall'operazione contro Anonymous.
Anonymous siamo tutti e tutte noi! We do not forgive. We do not forget.
Liber* tutt* subito!
20 maggio 2015, da infoaut.org
Torino: ancora sgomberi e arresti
Non è durata molto l’occupazione in via Biella 21, giusto il tempo di vedere in che condizioni è la casa e iniziare a fare le prime pulizie. Verso le 12 e 30 del 15 maggio compaiono improvvisamente una cinquantina di celerini e diversi agenti della digos, al solito molto nervosi. La strada viene chiusa, il portone della casa occupata sfondato, chi si trova all’interno dell’abitazione viene identificato e sei solidali sono condotti in questura per accertamenti. Il blitz delle forze dell’ordine non riesce però a bloccare tutti, otto occupanti raggiungono infatti il tetto pronti a resistere. Dopo poco, insieme ad alcuni mezzi dei vigili del fuoco muniti di scale e teloni, arriva anche la pioggia che però non crea grossi fastidi a chi è sul tetto che grazie a un telo di plastica riesce a rimanere all’asciutto. Sei persone sono fermate e portate in questura e diversi sono i denunciati a piede libero.
Nel pomeriggio, un presidio di solidarietà si trasforma in un piccolo corteo per le strade del quartiere, per raccontare agli abitanti le ragioni dell’occupazione e la tenacia di chi resiste. Quando i solidali passano vicino a via Biella per salutare gli occupanti sul tetto, parte una carica a freddo della celere, che sghignazzando riesce anche a far cadere qualche bambino, ma senza altre conseguenze.
L'indomani il presidio convocato in piazza Sassari si fa pian piano più numeroso e ci si prepara a partire in corteo, dal tetto di via Biella 21 arrivano alcune novità. Visibilmente scocciati per la magra figura fatta con il blitz di ieri e non sapendo bene che pesci pigliare, i digossini cominiciano a togliere un po’ di tegole dal tetto per innervosire i compagni che resistono ormai da 24 ore, continuando poi a minacciarli di arresto se non scenderanno a breve. [...]
Verso le 16, gli 8 compagni decidono di scendere dal tetto. Viste le ripetute minacce di arresto fatte dai digossini, inizialmente scendono solo 4 compagni che vengono portati in questura per essere identificati, gli altri 4 restano sul tetto così da sconsigliare alle forze dell’ordine di arrestare chi è già sceso. A far pressione fuori dalla casa ci sono poi numerosi solidali che da diverse ore percorrono le strade del quartiere con urla, slogan e interventi al megafono. Quando i 4 compagni portati in questura vengono rilasciati dalle forze dell’ordine, anche i 4 rimasti sul tetto scendono e vengono portati via per essere identificati. Una volta che tutti sono fuori dalla Questura il presidio si scioglie ma non si fermano gli sgomberi in città.
Il 19 maggio è la polizia che attacca a bocce ferme, e gli obiettivi che colpisce sono due contemporaneamente, apparentemente opposti: l’occupazione italianissima di via Pinelli, nata poco più di un mese fa sotto l’ala del consigliere fascista Marrone, e la casa occupata di Via Soana, una esperienza autonoma vecchia oramai di tre anni, senza santi protettori e da sempre popolata di gente proveniente da vari angoli del pianeta. L’attacco parte all’alba, in entrambi i casi con la solita esibizione di camionette, celerini ed agenti in borghese ed in entrambi i casi non incontra resistenza: solo in via Soana una famiglia si rifiuta di uscire e si chiude nel proprio appartamento fino al primo pomeriggio. Il messaggio che arriva da Tribunale e polizia è chiaro: la questione abitativa è un tema troppo esplosivo e non si tollerano illegalità, neanche quando sono teleguidate dagli aspiranti stregoni che siedono in Consiglio comunale. In via Pinelli, i Servizi sociali ci mettono il loro, offrendo una sistemazione temporanea e d’emergenza ai torinesi doc mentre gli altri, residenti nei comuni limitrofi, vengono esclusi: il riscatto nazionale propugnato da Marrone naufraga in una questioncina di campanili. In via Soana, dove la polizia sembra esser preoccupata più che altro che non arrivino anarchici e solidali a rompere le palle e tiene la strada chiusa per tutta la mattina, tutto va più per le spicce: i Servizi sociali non si vedono per nessuno. Di più: vari degli occupanti vengono portati in Questura, e almeno in due spediti al Cie di corso Brunelleschi giacché non solo non sono torinesi, ma non hanno neanche il permesso di soggiorno in regola.
All’alba del 20 maggio cinque mandati di cattura e quattro divieti di dimora vengono emessi dal Gip Loretta Bianco contro nove compagni di Porta Palazzo, accusati di aver tentato di bloccare una retata contro i senza-documenti del quartiere il 2 febbraio passato.
La polizia è riuscita ad arrestare Erika, Paolo, Toshi e Luigi mentre Marco, fortunatamente, è uccel di bosco. Qualcuno è stato preso a casa propria, qualcun altro - pedinato, evidentemente, dagli scorsi giorni - a casa di amici.
La polizia ha fatto irruzione anche nella casa occupata di via Lanino a cercare chi mancava e a notificare il divieto di dimora a un suo coimputato.
I divieti di dimora, cinque in tutto, sono da Torino e provincia. L’episodio che viene contestato ai compagni riguarda i fatti della sera del 2 febbraio e sono stati riassunti dall’accusa nei capi di imputazione di resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio e violenza privata, con tutte le aggravanti del caso (il numero di persone intervenute, e il fatto che qualcuno degli intervenuti fosse “travisato”). Loretta Bianco, il Gip che ha convalidato gli arresti, ha firmato le carte esattamente tre settimane fa rimandandole al Pm - che secondo quanto dicono i lanci di agenzia sarebbe il solito Rinaudo - per l’esecuzione. Ad arresti convalidati, dunque, bisognerà aspettare qualche settimana per avere novità da un punto di vista giudiziario.
Nelle carte che abbiamo potuto leggere, l’accusa inscrive i fatti del 2 febbraio nella lotta contro i Cie e le retate: si arriva addirittura a ricordare rivolte in corso Brunelleschi del 2007, incendi dei moduli abitativi e presidi fuori dalle gabbie.
L’accusa ha ragione: esiste a Torino gente disposta a combattere contro le prigioni per senza-documenti e i rastrellamenti che permettono alla polizia di riempirle, queste prigioni; esiste da ben prima del 2007 e continuerà ad essercene fino a quando queste prigioni non verranno chiuse. Gli arrestati ne fanno parte. L’esistenza stessa di questi luoghi è, tra le tante ingiustizie che danno forma alle nostre città, una delle più immediatamente odiose, una di quelle che fanno fremere il sangue nelle vene: non c’è da stupirsi che qualcuno cerchi i modi per opporsi e mettersi in mezzo. C’è da stupirsi, semmai, di chi sistematicamente si volta dall’altra parte, anche quando ad esser portato via e rinchiuso è un vicino di casa, un conoscente, o solo un passante qualsiasi che ha come unica colpa quella di essere incappato in un controllo avendo in tasca un documento scaduto. E c’è da stupirsi ancora di più di chi su questo tema si lascia abbindolare dalle acrobazie verbali di assessori e consiglieri municipali, che più forte condannano i Centri e ne auspicano la chiusura più ne permettono invece la rimessa in moto, dopo un periodo lungo nel quale il loro accantonamento poteva sembrare dietro l’angolo. I nostri sono accusati, tra le altre cose, di aver provato ad aprire gli sportelli di una camionetta dove sei senza-documenti erano stati parcheggiati in attesa di essere portati in Questura e quindi, presumibilmente, al Cie. Il problema dell’accusa sarà quello di provare che qualcuno di loro ci abbia tentato veramente, pur senza riuscirci; il nostro problema, e speriamo non solo nostro, rimane quello di capire come riuscire ad aprirle veramente, quelle porte, la prossima volta che ce ne sarà occasione. [...]
Non poteva mancare, nell’ordinanza di custodia cautelare, il riferimento agli sfratti, agli arresti di un anno fa e alla lotta per la casa a Torino. Brillante intuizione a Palazzo di giustizia: le lotte, soprattutto in un quartiere come questo, son quasi tutte collegate e giusto ieri, a conferma di ciò, due degli occupanti sgomberati da via Soana son finiti in corso Brunelleschi perché senza documenti. Sappiamo del resto che la Procura si è presa come punto d’onore l’incarico di perseguire puntualmente ogni lotta sociale cittadina e con tutta la durezza della quale è capace: ce ne siamo fatti una ragione e non ce ne lamentiamo di certo. Facciamo notare però come questa volta abbia trovato un Gip talmente obbediente ed ansioso di carriera da convalidare l’arresto di una incensurata esclusivamente perché l’accusa la ritiene essere colei che, avvistata la polizia, ha telefonato ai compagni per avvertirli della retata in corso. Oppure di descrivere “stabili legami sul territorio”, e quindi a tangibile rischio di fuga, e quindi meritevoli di aspettare il processo in galera, compagni che qui in città hanno casa, lavoro, affetti e lotte.
Con l’aria che tira in città e a Palazzo di giustizia, arresti come questi è abbastanza normale che vengano effettuati: anche di questo ce ne siamo fatti una ragione, non ce ne lamentiamo e da parte nostra siamo ancora qui, testardi, che continuiamo a lottare. Vogliamo sottolinearne, però, la tempistica. Convalidati a fine aprile, sono stati eseguiti solo stamattina, il giorno prima dell’udienza durante la quale Rinaudo chiederà al Tribunale di sottoporre alla Sorveglianza speciale sette di noi. Casi della vita? O il tentativo invece di essere più convincente, portando in aula uno degli aspiranti sorvegliati in catene a conferma della sua pericolosità? - A voi la risposta, ma anche questo non non è un quesito difficile.
***
sulle applicazioni della sorveglianza speciale a torino
«Quasi un anno fa la Procura di Torino ha fatto arrestare noi e altri compagni, ed è riuscita a farci tenere sei mesi in cella o agli arresti domiciliari per aver lottato con tanti uomini e donne perché tutti abbiano una casa in questa città.
Il prossimo 21 maggio ci presenterà invece il conto anche per decine di altri episodi di lotta per i quali non è riuscita – o prevede di non riuscire – a farci punire come e quanto avrebbe desiderato: questa volta chiederà al Tribunale di sottoporci alla sorveglianza speciale, grazie alla quale spera di recuperare il terreno perduto e di forzare l’inefficacia del diritto penale nel contrastare i conflitti sociali e punire chi vi partecipa.
È di questo che stiamo parlando, difatti, è di questo che parlano i fascicoli che la pubblica accusa ha prodotto per l’occasione: in quelle pagine non ci sono solo le biografie devianti di otto sovversivi, ma il ritratto di una città divisa e delle lotte che la attraversano. Da un lato chi ha tutto: il denaro, la forza della legge e pure gli strumenti della conoscenza. Dall’altro chi ha sempre di meno, schiacciato tanto all’angolo da considerare un privilegio avere un lavoro precario e sfruttato e un pericoloso concorrente chi è più precario e sfruttato di lui, chi vive ancora più di espedienti, chi è ancora più privato della cultura e della capacità di immaginare un mondo diverso.
È sulle asprezze di questa frattura che abbiamo poggiato lo sguardo, e dalle scintille che ne scaturiscono che ci siamo lasciati scottare. Ci siamo schierati tutte le volte che abbiamo potuto e con i mezzi che avevamo, anche quando schierarsi voleva dire commettere reati. Per non commetterne avremmo dovuto voltare la testa quando una famiglia veniva sbattuta fuori di casa; ignorare le lotte di uomini e donne chiusi in gabbia perché troppo poveri per essere stranieri; essere altrove quando uomini messi al lavoro come schiavi si ribellavano ai propri padroni o quando truppe bene armate cercavano di imporre opere utili solo ad ingrassare affaristi e politici. Avremmo dovuto mettere a tacere, insomma, quel senso di giustizia che ognuno di noi si porta dentro e che viene offeso ogni giorno dalla violenza della legge e della economia.
E invece abbiamo scelto di non tacere. Di più, abbiamo sempre pensato che si possa, e si debba, mettersi in mezzo concretamente: l’abbiamo fatto in pochi quando eravamo da soli; in tanti quando altri erano con noi e da singoli gesti di resistenza si è riusciti a costruire una lotta che facesse ritrovare agli esclusi la forza di resistere, intravvedendo intanto la possibilità di vivere diversamente, senza ingiustizie sociali e sfruttamento.
La Procura ci dipinge come i capi di una congrega di malfattori, noi che non abbiamo mai voluto né ubbidire né comandare, oppure come degli incorreggibili. Chiedendo al Tribunale di punire noi pochi che saremo in aula il 21 di maggio vorrebbe in realtà spaventare i tanti che rimarranno fuori, nella speranza di prevenire che nelle strade ci sia ancora chi propone agli sfruttati di contendere il terreno portone dopo portone, metro dopo metro, a chi li costringe ad una vita di esclusione.
Se gli uomini del Tribunale le daranno ragione sarà un gioco tutto sommato facile per i questurini tenerci sotto stretta sorveglianza una manciata di anni. Ma dubitiamo che altri si lasceranno spaventare e siamo certi che, con noi o senza, resistenze e conflitti continueranno a dare grattacapi ai padroni di questa città, e alla Procura con loro.
Qualunque sarà la decisione che prenderanno, allora, avranno solo perso tempo.»
Questa che avete appena letto è la dichiarazione preparata dai compagni che la Procura di Torino vorrebbe sottoporre alla Sorveglianza speciale.
La mattina del 21 maggio, all’udienza durante la quale si doveva discutere dell’applicazione della Sorveglianza speciale per sette compagni di Torino, è arrivato con un plico talmente voluminoso di nuovi atti e documenti che proverebbero inconfutabilmente l’incorreggibilità dei nostri sovversivi da dar modo alla difesa di chiedere un lungo rinvio per esaminarli. Rinvio concesso senza problemi dalla Corte: l’appuntamento è al 15 ottobre, con un procedimento unificato per tutti, insieme dunque anche all’ottavo compagno che ancora aspettava la notifica e che avrebbe dovuto avere quindi una udienza a parte. Se Rinaudo sperava di veder dei nuovi sorvegliati speciali già nei prossimi giorni, dunque, si è dato la zappa sui piedi.
Prima del rinvio, i nostri han potuto leggere la dichiarazione collettiva e alcuni di loro han fatto pure una serie di precisazioni a titolo individuale, dando vita a qualche battibecco con la Corte e con gli uomini della Procura. Ha parlato pure Paolo, che ha partecipato alla udienza da dentro la gabbia: in ogni caso sta bene e saluta. Un bel po’ di pubblico solidale sugli spalti e fra tutto un certo baccano.
maggio 2015, estratti da informa-azione.info
Bologna: Nuova richiesta di sorveglianza speciale
Delle 4 proposte di sorveglianza speciale avanzate dalla questura di Bologna per 3 compagni e una compagna, 3 sono state recentemente rigettate e una è ancora in attesa di risposta. La questura non ha perso tempo e ha continuato a sfornare richieste: giovedì scorso un’altra compagna di Bologna è stata infatti raggiunta dalla raccomandata di un avvocato d’ufficio che le ha comunicato la fissazione di un’udienza per discutere l’applicazione della sorveglianza speciale. La proposta è datata 26 marzo e i motivi riguardano una serie di denunce e segnalazioni che vanno dal 2010 ad oggi, tra iniziative contro CIE, carcere, iniziative in solidarietà con compagni in galera dentro e fuori dallo stivale; si parla di molti episodi inseriti nel fascicolo di “Outlaw” - la merda-inchiesta che ha portato al sequestro del Fuoriluogo nel 2011 e che poi, loro malgrado, è terminata in un “tutti assolti perché il fatto non sussiste”. In grassetto viene sottolineata la condanna in primo grado per il maxi-processo no tav. Viene addirittura evidenziato che “la pericolosità della predetta è confermata anche dalle continue frequentazioni di esponenti anarco-insurrezionalisti attivi non solo a Bologna […] alcuni dei quali sono stati indagati da altre A.G. anche per reati di eversione e terrorismo”. Della serie: prima di scegliere chi frequentare guarda la sua fedina penale!
La questura non è entrata nel merito della durata della misura proposta, ma ha richiesto l’obbligo di soggiorno a Bologna e l’udienza per discutere circa l’applicazione della misura è stata fissata per il 29 maggio.
È chiaro l’intento della digos bolognese di non mollare il colpo: dopo anni di inchieste associative fallite, di assoluzioni, di fogli di via violati ecco che ripartono seguendo la moda repressiva della stagione 2014-15 con una pioggia di tentativi di sorveglianza speciale. Agli occhi di una cittadinanza un po’ inebetita dal lustro di questa città bomboniera certamente esperimenti repressivi di questo tipo risulteranno significativi e degni di stima. Quindi tanti applausi al questore e ai suoi servi che si adoperano per l’estinzione del seme sovversivo da questa città, sigillando spazi autogestiti e distribuendo a destra e a manca misure preventive.
Dal canto nostro possiamo dire che l’orrore che vediamo ogni giorno in questa città fortino (un po’ in crisi) del pd è cosa indegna: di ragioni per restare e continuare a scalfire i loro interessi ce ne sono ancora tante. Siamo troppo insoddisfatti dalla vita che ci viene proposta qui, e ne vogliamo vivere una diversa. La stiamo continuando a costruire, fuori dalle loro regole e dai loro schemi. Scrive la questura nella proposta di sorveglianza “la donna non ha dato alcuna concreta dimostrazione di voler imprimere una svolta alla propria vita”. Ma noi non siamo schiavi, siamo dinamite.
13 maggio 2015, da informa-azione.info
milano: sgomberi e intimidazioni in prealpi
A Quarto Oggiaro story
Il commissariato di Quarto Oggiaro ha dichiarato guerra agli anarchici! Quale novità, degli sbirri che cercano di farcela pagare! Ma partiamo dal principio.
Poco prima del 1° maggio sono iniziate le perquisizioni. Fatte con il solito stile arrogante della sbirraglia: cariche nel mercato, decine e decine di celerini che si divertono coi loro bei manganelli, digos che filma per fare il suo bottino di denunce. Una compagna arrestata per resistenza e lesioni. Nulla di nuovo insomma.
Il 12 maggio, le cose iniziano a farsi più “strane”: una pattuglia di 8 loschi individui in borghese rientra in una delle case già perquisite, in un momento in cui in casa non c’è nessuno, per effettuare una nuova perquisizione. Alcuni compagni intervengono prontamente per capire cosa stia succedendo. Come risposta, vari insulti e affermazioni molto raffinate del tipo: “siamo polizia, facciamo quel cazzo che ci pare”, ma a quanto pare è bastata la semplice minaccia di chiamare l'avvocato per farli fuggire con fare spaesato. Chi erano costoro? La digos spesso non brilla per intelligenza, ma di sicuro non è così maldestra.
Il dubbio svanisce la mattina del 15 maggio: altro sgombero, di certo non inaspettato, di due appartamenti di una compagna e di un compagno in gestione ad MM. È il secondo sgombero di questo tipo in poco più di un mese, il copione è quindi già noto. Presenza massiccia di celere, in quantità tale da rendere impossibile un qualsiasi intervento diretto dei e delle solidali volto a impedire lo sgombero. Si decide di rimanere per tutelare il compagno e la compagna sotto sgombero e per cercare di difendere almeno le loro cose. Qualcosa non quadra, tante facce nuove, tanti sbirri in borghese, anzi tantissimi, quasi quanto i celerini.
Poche le facce tristemente note, qualche digos qua e là, qualche altro funzionario e una manciata di stronzi che purtroppo ci siamo abituati a vedere spesso cercare di intralciare le nostre strade. Un attimo di tensione: si cercano di riprendere alcuni scatoloni di un compagno appena sgomberato, che nel frattempo erano stati caricati su di un furgone di MM. Una piccola carica di alleggerimento ci respinge definitivamente, il furgone se ne va. La calma torna. La tensione si allenta. Il presidio mano a mano si scioglie mentre aspettiamo che vengano caricate le ultime cose sui furgoni e che ci raggiunga chi è ormai senza casa. Lontano dai nostri sguardi due solidali vengono arrestati, un terzo sfugge. Al presidio c'è agitazione, non si capisce subito cosa stia succedendo. Cerchiamo di svincolarci dalla sbirraglia. Ci circondano, atterranno un compagno e lo arrestano.
Il giorno dopo processo per direttissima, le accuse le solite: resistenza e lesioni.
I compagni escono, dopo un'estenuante giornata passata in tribunale ad attendere una decisione sulle misure cautelari, che sembra non arrivare mai.
Sono tutti liberi, due con obbligo di firma, uno senza restrizioni.
Il processo proseguirà un altro giorno.
Dopo gli abbracci, iniziano i racconti degli arrestati e tutto si fa più chiaro.
Sono stati arrestati in modo particolarmente violento e zarro da agenti in borghese del commissariato di Quarto Oggiaro. Sono stati portati lì e tenuti per ore tra insulti e dispetti. Tra i quali non mancano “vi piace menare gli sbirri? Adesso ci divertiamo noi!”, “vi abbiamo dichiarato guerra!” e altre arguzie del genere. Hanno poi passato la notte a San Vittore, dove hanno potuto sentire un caloroso saluto. A quanto pare la sbirraglia non ha preso bene il fatto che il loro capoccia: il vice-questore di Quarto Oggiaro, sia stato riempito di botte il 1° maggio davanti a telecamere e fotografi.
Quale smacco per il loro machismo deve essere stato vedere in mondovisione il loro maschio alfa massacrato da un branco di zecche.
...Si vede che la tua insorgenza è troppo in crescenza... Ora cercano vendetta e vorrebbero spargere terrore. Temiamo che rimarranno delusi.
Un'ultima nota a margine la merita MM. In molti sembrano spaesati di fronte a questo aumento di sgomberi, ma come possiamo stupirci? È il classico esempio di una amministrazione di “sinistra” in difficoltà che cerca di recuperare terreno copiando le politiche delle “destre” e si dà una spolverata di immaginario securitario a spese dei pezzenti. Tra i quali ovviamente rientra la variegata categoria degli occupanti. Che poi cerchino di eliminare per primo il “cancro” dei sovversivi dai palazzi che vogliono ripulire è ancora più scontato. Come potrebbero permettersi, sotto expo, il riaccendersi di quei piccoli focolai di rivolta che sono state le barricate di Giambellino e Corvetto di novembre?
Forse pensate di averci spaventato, di averci terrorizzato a tal punto da farci nascondere in attesa di tempi migliori. Probabilmente state gongolando all'idea di essere riusciti ad imporre la vostra pace sociale a suon di sgomberi, arresti e manganelli.
Non sarà la repressione a fermare le nostre lotte. Così come non saranno delle marionette in divisa a spaventarci.
Alcune individualità anarchiche
18 maggio 2015, da informa-azione.info
Trento: Assillo sgomberato, Cronaca di una giornata
Mercoledì mattina, ore 10,00. Polizia, carabinieri e vigili del fuoco (questi ultimi con il passamontagna, forse per la vergogna della loro collaborazione infame) sgomberano l'Assillo, spazio occupato a Trento da quasi due mesi.
Prima ancora che arrivino le camionette di celere e carabinieri, i vigili del fuoco sono già sul tetto, il che non permette agli occupanti di salire e resistere.
Una quarantina di compagni si raduna poco distante (tutta la zona è presidiata da più di cento agenti). Quando i compagni sgomberati raggiungono gli altri, il gruppo comincia un blocco del traffico. La Celere carica, i compagni restano compatti e partono in corteo rovesciando cassonetti per rallentare gli sbirri. Il corteo, dopo un giro in città, si conclude a Sociologia, dove ci si confronta in assemblea, mentre gli sbirri sono presenti in forza ai due lati della strada.
Alle 18,00, sempre a Sociologia, si svolge l'assemblea già annunciata in caso di sgombero. Buona la partecipazione. Si discute delle risposte immediate. L'ipotesi che trova tutti d'accordo è quella di uscire in corteo e di spostarsi in una piazza, dove fare interventi, mettere musica e contemporaneamente aprire le saracinesche di una casa della Curia abbandonata da anni. Così avviene. In circa un centinaio si raggiunge piazza S. Maria, a quell'ora affollata di ragazzi. Vengono aperte le saracinesche dello spazio vuoto, si calano striscioni dal piano superiore e cominciano gli interventi. Nel giro di pochi minuti arrivano la Celere e il battaglione dei carabinieri di Laives. Gli sbirri si posizionano in tenuta antisommossa a una cinquantina di metri dal presidio. Subito dopo, fanno partire a freddo una carica verso i compagni, tra lo stupore della folla. Alla carica si reagisce compatti, nonostante alcuni feriti, impedendo che gli sbirri si portino via dei compagni. Poco dopo parte una seconda carica e poi una terza con il lancio di lacrimogeni. Il presidio arretra velocemente, mentre alcuni lanciano dei petardoni verso gli sbirri e altri cominciano a rovesciare un po' di arredo urbano in mezzo alla strada per distanziare la Celere che avanza di corsa. Tra pause e accelerazioni, un corteo si muove per le strade. La Celere è preceduta dalla Digos, un dirigente della quale arriva trafelato nella centralissima piazza Duomo con un bastone di legno in mano.
Il corteo dei compagni torna di nuovo davanti a Sociologia, dove continuano gli interventi al megafono e il volantinaggio. Il presidio si scioglie un'ora più tardi.
Sgombero e cariche sono arrivati tre giorni dopo le elezioni. Il sindaco Andreatta (PD, comitato d'affari degli industriali) evidentemente non voleva troppi problemi in campagna elettorale. Invitiamo gli amanti della "Settimana Enigmistica" a trovare le differenze tra le sue parole di elogio della polizia e quelle della Lega.
Come scritto nel volantino distribuito ieri, "se i padroni pensano di aver fermato l'assillo in città, si sbagliano di grosso. Continueremo a lottare, a occupare, a resistere, ad attaccare: le e gli assillanti".
Si manterranno le iniziative annunciate sulla lotta antimilitarista in Sardegna e in solidarietà ai detenuti.
15 maggio 2015, da informa-azione.info
E la chiamano La buona scuola
Il Decreto legge del Governo Renzi “La buona scuola” può essere riassunto così:
- l’assunzione di 100.000 insegnanti precari che ne comporterebbe però l’espulsione di altre decine di migliaia che da anni lavorano nelle nostre scuole (anche se non sono inseriti nelle tre fasce di graduatorie da dove ogni anno vengono pescati gli insegnanti che andranno a lavorare nelle scuole e che meritano anche essi l’assunzione e non la beffa di un ulteriore concorso e la perdita persino delle supplenze);
- presidi che assumerebbero direttamente e che interverrebbero sulla carriera e sugli stipendi;
- il Sistema Nazionale di Valutazione che imporrebbe quiz per conteggiare le “abilità” di ogni insegnante e che verrebbero introdotti in un Registro Nazionale del personale, una schedatura dei presunti “crediti” sulla cui base i presidi premierebbero i più fedeli;
- la cancellazione degli scatti di anzianità sostituiti da scatti per “merito” che riceverebbe solo il 66% dei “migliori” di ogni scuola o rete di scuole sui quali la parola decisiva l’avrebbe il preside, come un Amministratore delegato alla Marchionne;
- l’obbligo di 200 ore di apprendistato gratuito in azienda per gli studenti delle scuole tecniche e professionali, che verrebbero sottratte alle canoniche ore di istruzione, andando ad aumentare ancora di più la divisione classista con i licei;
- un’apertura ancora maggiore agli investimenti privati, “potenziando i rapporti con le imprese”, ma anche chiedendo il “microcredito” dei cittadini, cioè un ulteriore aumento dei contributi imposti ai genitori per le spese essenziali delle scuola, visto che lo Stato, come scrive Renzi, “non ce la fa” da solo;
- la presenza in ogni scuola di “innovatori naturali”, figure professionali che invece di insegnare si occuperebbero dell’aggiornamento obbligatorio altrui, nonché il “docente mentor”, supervisore della valutazione della scuola e del singolo insegnante.
- gli INVALSI, già in uso da diversi anni, quiz di valutazione nozionistico imposto dal ministero a tutti gli alunni delle medie e delle superiori, per sondare il grado di efficienza degli insegnanti, l’eccellenza delle scuole ed elargire plausi e denari ai più meritevoli.
Durante la terza settimana di giugno la Camera ha approvato, sostanzialmente, tutti gli emendamenti del DDL “La buona scuola”, qui sopra riassunti. La prima settimana di giugno Renzi proverà a chiudere la partita al Senato, dove la maggioranza è più risicata e potrebbe incontrare qualche difficoltà in più nel far passare definitivamente la legge, motivo in più per aver aspettato la chiusura dell’anno scolastico, con il conseguente sgonfiarsi della protesta da parte degli insegnanti che non avranno più la possibilità del fisiologico confronto quotidiano all’interno del posto di lavoro.
Mentre alla Camera, forte della maggioranza del Pd, veniva discusso e approvato il DDl, fuori, in giro per il paese, la repressione del dissenso veniva zittita a suon di manganello e a colpi di ricatti di precettazione nei confronti di ipotesi di proteste più radicali. Ma veniamo ai fatti.
Il 4 maggio protesta degli insegnanti a Bologna, durante la Festa dell’Unità alla Montagnola, in cui interveniva Renzi. Agli striscioni, ai fischi e alla “cazerolada” da parte di maestre e professori, la celere rispondeva con cariche e teste rotte grondanti sangue.
Il 5 maggio sciopero delle attività scolastiche degli insegnanti e del personale Ata proclamato dai sindacati confederali che raggiunge livelli altissimi di adesione, come non se ne vedevano da anni e che vanno a coronare tutta una serie di scioperi proclamati dai sindacati di base e concentrati soprattutto nei mesi di aprile-maggio.
Il 13 maggio il boicottaggio degli INVALSI unisce nella protesta studenti e prof, prove che vedono i primi ridotti ad impiegati di banca in competizione per chi produce di più, i secondi come svilenti addestratori di quiz. La protesta è un successo, ben il 20% delle scuole aderisce al boicottaggio. I commenti del ministro Giannini, fra l’imbarazzo e la rabbia, parlano di atteggiamenti inaccettabili.
Il 14 maggio confederali e sindacati di base propongono il blocco degli scrutini. Immediata la risposta ricattatoria del presidente dell’Autorità di garanzia per gli scioperi che paventa la precettazione per gli insegnanti eventualmente coinvolti. Motivazione: “Azioni illegittime danneggerebbero studenti e famiglie”
La proposta di legge parla da sé, o meglio, è lo specchio dei tempi: trasformare sempre di più la scuola secondo il modello Expo, centro commerciale dove la cultura tecnologico-progressista sia messa in vetrina, performance sfavillante e artificiosa alla Cirque du soleil che attiri acquirenti.
Quella di Renzi è solo l’ultimo atto dello scempio chiamato Autonomia della scuola, iniziato tempo addietro dai vari ministri all’istruzione: Berlinguer, Moratti, Gelmini e ora Giannini. Autonomia delle scuole che significherà la riduzione degli istituti in aziende.
I presidi potranno scegliere e premiare con incentivi economici gli insegnanti che svolgeranno le attività didattiche più accattivanti. Le risorse infatti saranno assegnate secondo criteri di premialità e merito, quindi, se alcune scuole verranno “premiate”, altre verranno decurtate di ulteriori risorse, favorendo così la competizione tra scuole e la corsa verso il basso degli istituti inseriti in territori disagiati; pensiamo solo alle periferie e al Sud rispetto al Nord Italia. I ricchi saranno sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri.
I Dirigenti scolastici avranno il potere di chiamare e assumere direttamente il 10% del personale docente della scuola, scavalcando le graduatorie nazionali in cui sono iscritti insegnanti precari da decenni. Potranno ingaggiare sponsor privati, cosa che già in parte accade, per svolgere qualsiasi servizio all’interno della scuola, adempimenti spettanti di diritto al servizio pubblico.
La tanto sbandierata assunzione di 100.000 precari ne lascerà a casa 200.000. La maggior parte degli assunti dovrà adattarsi ad un altro dei mantra dei nostri tempi, la “flessibilità”. Molti si ritroveranno a svolgere funzioni assai diverse dal lavoro in classe, faccia a faccia con gli studenti, principale motivazione di anni di precariato e di sacrifici. Faranno supplenze, gestiranno i progetti “fighi”, o svolgeranno compiti non ancora ben definiti, girovagando come tappabuchi in una rete di scuole situate in una città qualsiasi del territorio nazionale. Comincerà una corsa alle attività certificabili e trasformabili in crediti, gara che finirà non solo per incrementare quello che già sta avvenendo, invidia e competitività tra colleghi, ma per oscurare l’unica attività veramente importante del lavoro docente: il lavoro quotidiano nella classe attraverso l’unica autonomia possibile, quella delle scelte dell’insegnante senza alcun tipo di condizionamento.
Ciò che fa piacere è che la protesta sia stata fino ad ora compatta e decisa, seppur tardiva, da parte di tutto il comparto scuola. L’unità è l’anima di ogni lotta, a maggior ragione dopo che si sta faticosamente prendendo coscienza di come, fino ad ora, le scelte governative, in combutta con i sindacati, siano state costruite anche per mantenerci divisi. Spero non si rimanga inermi di fronte ai sicuri passi indietro dei sindacati confederali che cercheranno di smorzare la protesta, dopo la presa in giro delle migliorie che ci saranno in Senato. CGIL, CISL e UIL sono fra i maggiori responsabili, assieme ai vari governi avvicendatisi, nella scelta di voler trasformare, definitivamente, gli abitanti di questo paese una massa di consumatori lobotomizzati.
Milano, maggio 2015
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Modena: studenti, metalmeccanici e ferrovieri con gli insegnanti
Giovedì 21 maggio a Modena precari della scuola, insegnanti di ruolo e personale scolastico hanno organizzato una partecipata assemblea per rilanciare la mobilitazione contro il disegno di legge sulla scuola. Il governo Renzi ha infatti deciso di ignorare il successo degli scioperi e le manifestazioni di massa dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola: il disegno di legge sulla scuola, ora in discussione al Senato, è stato approvato alla Camera dei deputati senza modifiche sostanziali. Resta l’impianto complessivo della controriforma: privatizzazione e aziendalizzazione degli istituti scolastici, presidi-sceriffi, chiamata diretta dei dirigenti scolastici nelle assunzioni dei precari, licenziamento di decine di migliaia di precari della II e III fascia (con l’impossibilità di prorogare le supplenze oltre i 36 mesi).
L’assemblea di Modena, organizzata insieme al sindacato Cub Sur, ha visto la partecipazione solidale delle principale realtà di lotta del territorio. Sono infatti intervenuti, garantendo il piano appoggio alle mobilitazioni degli insegnanti: un folto gruppo degli studenti dei collettivi (stud.aut) che hanno di recente organizzato a Modena il boicottaggio dei test invalsi; una delegazione di operai della Fiom Ferrari, in rappresentanza del coordinamento No Austerity (coordinamento che sul territorio modenese è nato proprio dall’esperienza di lotta comune e solidale dei precari della scuola e degli operai del gruppo Fiat); i coordinatori nazionali di Cub Sur e Usi-Ait, che hanno espresso pieno appoggio alla mobilitazione degli insegnanti, dando la disponibilità, se vi saranno le condizioni, a organizzare il blocco a oltranza degli scrutini (il coordinatore di Usi-Ait ha anche offerto la disponibilità del centro sociale Libera per l’organizzazione di iniziative dei precari e degli insegnanti: è in programma l'organizzazione di una serata nel corso della quale si alterneranno interventi di lavoratori della scuola ed esibizioni di gruppi musicali, tra cui quello degli studenti dell'ITI Vinci di Carpi); rappresentanti (scuola e metalmeccanici) della Cub di Reggio Emilia e di Parma. Durante l’assemblea è stato anche diffuso - e molto apprezzato - un comunicato di solidarietà dei ferrovieri della Cub Trasporti, col quale i lavoratori dei trasporti si dicono pronti a mobilitazioni unitarie e anche scioperi generali nazionali per difendere il diritto all'istruzione.
L’assemblea ha pianificato le prossime scadenze di lotta, a partire dalle giornate di mobilitazione del 28 maggio e del 2 giugno fino al blocco degli scrutini di giugno, facendo appello a tutte le realtà presenti a parteciparvi.
L’assemblea di Modena dimostra che la lotta contro la privatizzazione della scuola pubblica non è una battaglia esclusiva degli insegnanti, ma può e deve coinvolgere studenti, operai, lavoratori e lavoratrici di altri settori. Come è stato ricordato in assemblea dagli operai della Ferrari (che fa parte del gruppo Fiat) non è un caso che il modello antidemocratico e autoritario sperimentato in Fiat oggi venga esteso persino al mondo della scuola. I lavoratori e le lavoratrici di tutti i settori sono costretti a subire le medesime politiche di tagli e privatizzazioni imposte dal governo per difendere i privilegi di pochi miliardari, proprio per questo possiamo e dobbiamo lottare uniti. Avanti con la mobilitazione contro la cattiva scuola di Renzi! Blocco degli scrutini! Unità delle lotte!
maggio 2015, da coordinamentonoausterity.org
aggiornamenti dalle lotte nella logistica
Stato di agitazione presso la Ceva di Albairate (mi)
Il 14 maggio, un'assemblea molto partecipata davanti ai cancelli della Ceva di Albairate ha discusso e deliberato lo stato di agitazione. La prossima settimana é più che probabile che parta lo sciopero aprendo uno scontro destinato a durare nel tempo e "costretto" ad allargare i propri orizzonti verso l'intero settore della logistica e della grande distribuzione. Gli operai della Ceva di Albairate si trovano di fronte ad una situazione di grave minaccia dei livelli occupazionali a fronte di una “crisi” che, dopo oltre un anno di Cassa Integrazione, li pone di fronte alla prospettiva della mobilità per 49 operai, sui 100 che, complessivamente rappresentano la forza-lavoro dello stabilimento.
Come al solito l’azienda fa fronte alla proprie difficoltà congiunturali (in questo caso la perdita di una commessa importante), derivanti dalla competizione sul mercato e dalla perenne competizione fra capitalisti finalizzata unicamente al profitto, sacrificando la vita degli operai e delle loro famiglie.
Stato di agitazione alla Stef di Tavazzano (Lodi)
Di fronte al totale rifiuto aziendale di soddisfare le richieste presentate dal SI.Cobas per risolvere problematiche sindacali fondamentali, l'assemblea degli operai del 13 maggio ha proclamato lo stato di agitazione nel magazzino Stef di Tavazzano sulla seguente piattaforma rivendicativa:
1. Applicazione degli aumenti contrattuali a tutti gli istituti differiti e alle maggiorazioni per notturno e straordinario.
2. Erogazione dell'integrazione dell'indennità di malattia.
3. Erogazione per tutti del ticket sostitutivo mensa giornaliero.
4. Garanzia del minimo salariale mensile (168 ore).
5. Premio di produzione su base collettiva contro gli incentivi su base individuale.
Su queste basi il Cobas promuoverà azioni di lotta e di sciopero senza ulteriore preavviso. Si invitano tutti i lavoratori che condividono i contenuti della piattaforma a seguire le indicazioni dei delegati rifiutando incontri individuali con i preposti dell'azienda.
I facchini sbarcano nel mondo dei metalmeccanici: Sciopero alla Olifer di Bergamo
Lo sciopero, iniziato il 13 maggio alle 19, nonostante alcune defezioni di operai Fiom (che lo avevano promosso in assemblea, votandolo e firmando un documento esplicito), ha tenuto sotto scacco l'azienda per diverse ore grazie soprattutto alla presenza di circa un centinaio di operai (SDA, TNT, GLS, Dielle) e solidali (CSA Vittoria, La Cascina di Bergamo) accorsi a sostegno degli operai dell'acciaieriaUno sciopero che rompe la pace sociale che la fa da padrona da più di vent'anni, durante i quali, oltre alle perdite salariali e alla crescita di un clima repressivo, ci sono stati un incidente mortale nel 2006 (a seguito di gravi ustioni) e due gravi incidenti sul lavoro (a uno dei quali ha fatto seguito il licenziamento dell'operaio infortunato).Uno sciopero più che opportuno quindi, al di là della piattaforma rivendicativa, che infatti ha scatenato la reazione scomposta dell'amministratore delegato, del capo impianto e di alcuni crumiri, fra cui un delegato interno della Fiom con alcuni tentativi di sfondare un picchetto pacifico e selettivo (è stato consentito l'ingresso in fabbrica solo a quegli operai che, essendo in turno, non aderivano allo sciopero, impedendolo invece ai crumiri mobilitati dall'azienda)Dopo oltre un'ora e mezza di trattativa sul piazzale l'amministratore delegato Aldo De Rosa acconsentiva alla convocazione di un incontro con tutte le rappresentanze sindacali aziendali fissato per venerdì mattina e successivamente spostato al 26 maggio. L'azienda ha inoltre affisso in bacheca un comunicato di attacco ai due delegati promotori dello sciopero (uno del SI Cobas, l'altro della Fiom).Per il SI.Cobas una nuova prova di forza e compattezza, molto apprezzata dagli operai in sciopero, e l'avvio di un percorso che punta al superamento del limite rappresentato dalla crescita nella sola logistica, dando seguito concreto e costruttivo all'impegno profuso durante lo sciopero generale del 14 novembre indetto dalla Fiom, che ci vide partecipare alla manifestazione con quasi un migliaio di operai, suscitando apprezzamenti espliciti della base sindacale del più grande sindacato di categoria in Italia e destando le preoccupazioni della sua burocrazia, così come abbiamo potuto verificare anche in questo sciopero.
Con la lotta compatta i lavoratori SDA vincono la partita a Bologna, respingendo l’aggressione squadrista di Roma
Mentre i lavoratori della SDA di Bologna erano ancora in sciopero contro SDA che teneva chiuso un magazzino pur di non far entrare 13 lavoratori perché attivisti SI Cobas, nonostante fossero nella lista concordata in Prefettura per il rientro, a Roma, al magazzino Roma 1, la mattina del 19 maggio SDA è ricorsa allo squadrismo per cercare di stroncare lo sciopero di solidarietà con i compagni di Bologna. Una squadraccia di una ventina di picchiatori, capeggiati dal capo gruppo degli autisti, sono usciti dal magazzino, e dopo essersi mescolati con il picchetto dei lavoratori ai cancelli hanno estratto manganelli retrattili e colpito selvaggiamente alla testa tutti i lavoratori che sono riusciti a colpire, mandandone quattro all’ospedale (uno dovrà sottoporsi ad operazione per salvare l’occhio).
Tutto questo sotto gli occhi della celere, la cui azione è consistita nel caricare dei solidali che stavano accorrendo a sostegno dei lavoratori in sciopero, e poi minacciare di caricare il picchetto che stava resistendo, mentre il capo-squadrista rientrava in magazzino e si rimetteva la divisa. L’aggressione non è stata perpetrata nel più grande hub SDA di Roma, dove la grande maggioranza dei lavoratori aderisce al SI Cobas, ma in un magazzino minore dove i lavoratori organizzati sono ancora una minoranza. Dopo l’azione SDA ha comunicato che 20 lavoratori, presenti al picchetto, non sarebbero stati ammessi al lavoro per "questioni di sicurezza".
È un fatto gravissimo, perché evidentemente orchestrato dalla dirigenza di SDA e verosimilmente della controllante Poste Italiane, con l’evidente connivenza, anzi cooperazione delle “forze dell’ordine” borghese.
Una riedizione del metodo fascista da parte di un settore del grande capitale statale, con la copertura dello Stato contro i lavoratori in lotta.
Ma di fronte alla tenacia dei lavoratori di Bologna, in sciopero praticamente dall’inizio del mese, e alla discesa in sciopero dei lavoratori SDA di Carpiano (Milano), di Brescia e di Bergamo, SDA ha dovuto cedere e far rientrare i tredici su cui aveva posto il veto. Ma i lavoratori di Bologna sono rimasti fuori del magazzino per altre tre ore, pur avendo ottenuto tutto ciò che avevano chiesto, fino a quando SDA non ha firmato il rientro dei lavoratori di Roma 1 tenuti fuori " per sicurezza"
Ancora una volta la determinazione dei facchini ha dimostrato che i padroni si possono battere, che la forza di essi organizzati nel SI Cobas e Adl Cobas non solo li rende più forti sul piano della difesa del loro salario, ma li rende protagonisti come classe di fronte alla protervia delle aziende multinazionali e delle Poste Italiane e sono così un possibile punto di riferimento dei postini che si trovano ad affrontare un forte processo di ristrutturazione del settore.
Non era facile, ma è stato possibile: ogni battaglia non fatta è una battaglia persa.
I lavoratori della SDA di Bologna possono rientrare al lavoro a testa alta e così i loro compagni degli altri magazzini (se toccano uno toccano tutti), anche se la ristrutturazione dei magazzini SDA richiederà nuove prove di unità e di lotta. A tutti loro va il merito di aver risposto con coraggio e determinazione anche contro le forze dell'ordine accorse a far rispettare la proprietà ed i padroni del vapore.
Questa battaglia ha vinto non solo contro Sda ma contro le Poste Italiane (con l'appoggio aperto della Cisl) padroni e mandanti di questo attacco ai lavoratori e alle loro organizzazioni sindacali. Non passeranno e non sono passati.
maggio 2015
Estratti dai comunicati diffusi dal Coordinamento nazionale SI Cobas
napoli: si è chiusa l’iniziativa di protesta a Piazza Municipio
Stamattina alle 11.00 circa Mimmo è sceso dalla gru, esausto ma felice per l'abbraccio collettivo delle centinaia di compagni giunti in corteo a Piazza Municipio. L'annunciata presenza di Renzi a Napoli, che era alla base sia della manifestazione che della lunga protesta dei licenziati Fiat, si è tradotta nell'ennesimo dietrofront del capo del governo, per il quale la città di Napoli sembra oramai diventata una vera e propria zona rossa.
Dopo sei durissimi giorni di permanenza in cima alla gru del cantiere della Metro Municipio, la decisione di scendere, compiuta in maniera collettiva da Mimmo insieme agli altri quattro licenziati, al SI Cobas e ai numerosi solidali che hanno appoggiato il presidio di questi giorni, è la scelta di chi è consapevole di aver raggiunto tutti gli obiettivi che questa forma di protesta si poneva, ovvero:
a) rompere il muro di silenzio della stampa e dei mass media sui licenziamenti politici in Fiat;
b) denunciare e smascherare i fiumi di retorica con cui il governo, i partiti e le istituzioni locali cercano di nascondere gli effetti drammatici delle loro politiche di austerity che non fanno altro che alimentare ulteriore miseria, sfruttamento, e disoccupazione;
c) lanciare un monito alle numerose vertenze in atto nella nostra regione, dall'Alenia alla Whirlpool, denuciando il ruolo complice della triplice sindacale CGIL-CISL-UIL nelle ristrutturazioni attualmente in atto e indicando come la lotta dura e a viso aperto sia l'unica alternativa alla macelleria sociale voluta da padroni e governo;
d) costruire un ponte con il resto del movimento di opposizione al governo Renzi affinchè quest'ultimo assuma in maniera decisa nella propria agenda l'intervento nei luoghi di lavoro a partire dalla lotta contro licenziamenti e ristrutturazioni.
In questi sei giorni abbiamo potuto constatare che malgrado le grandi difficoltà a ricomporre un fronte proletario in grado di scardinare i piani della controparte, la scintilla accesa da Mimmo e dai licenziati di Pomigliano con la loro azione a Piazza Municipio ha dato frutti di gran lunga superiori alle attese.
L'ampia manifestazione di solidarietà mostrata da ampi settori sociali ci indica la strada.
Al contempo, la difficoltà di gestione della vicenda da parte di governo, regione e forze repressive sono state evidenti: pur arrivando al punto di negare per due giorni acqua e cibo a Mimmo, i servi della Fiat sono stati messi oggettivamente in scacco da un piccolo gruppo di licenziati politici che giorno dopo giorno hanno saputo disinnescare i teoremi repressivi tesi a presentare la protesta come un semplice problema di ordine pubblico e di sicurezza del cantiere di piazza Municipio.
Il partito dell'ordine che va dal PD di De Luca alla destra di Caldoro e attraversa l'intero arco istituzionale (con l'unica eccezione dell'amministrazione comunale di Napoli che ha speso importanti parole di solidarietà con i manifestanti), supportato dalla grande borghesia nazionale e locale e protetto dai manganelli e dai blindati messi a disposizione della questura, in questi giorni è passato dall'arroganza al silenzio, e dal silenzio all'imbarazzo: l'imbarazzo tipico di chi, una volta messi a nudo le sue responsabilità e i suoi crimini, non sa che pesci prendere e prova come ultima via d'uscita a rifugiarsi nei tristi fatti di cronaca di ieri per non veder definitivamente rovinato il proprio squallido teatrino elettorale in vista delle imminenti regionali.
Mimmo stamattina è sceso dalla gru ma la battaglia dei licenziati Fiat è solo agli inizi: il 21 maggio a Nola si terrà l'udienza per il reintegro, e tutti coloro che hanno sostenuto la protesta di questi giorni sono chiamati ad uno sforzo straordinario per far si che quel giorno il grido di orgoglio, di riscatto e di emancipazione operaia lanciato dalla gru di Piazza Municipio arrivi ancor più chiaro e forte fin nelle aule del tribunale.
REINTEGRO IMMEDIATO PER I 5 LICENZIATI FIAT DI POMIGLIANO
CONTRO IL JOBS ACT DI RENZI E LO SQUADRISMO DI MARCHIONNE
LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI E A SALARIO PIENO
SOLIDARIETA' CON I FACCHINI SDA DI BOLOGNA IN LOTTA CONTRO I LICENZIAMENTI
SOLO LA LOTTA PAGA, UNITI SI VINCE
Comitato di Lotta Cassintegrati e Licenziati Fiat, SI Cobas Napoli
16 maggio 2015, da sicobas.org
Turchia: in sciopero gli operai di Fiat, Renault e Ford
Gli operai che lavorano nella fabbrica del colosso automobilistico statunitense Ford si sono uniti agli scioperi che stanno interessando da più di una settimana gli impianti in Turchia dei costruttori Renault e Fiat. La protesta è iniziata il 14 maggio nella più grande fabbrica di auto del Paese, la Oyak-Renault di Bursa (nel nordovest della Turchia), e s'è poi estesa al sito industriale della Tofaş (sempre nella stessa città) dove invece si producono le automobili della Fiat. I lavoratori chiedono aumenti salariali e una maggiore agibilità sindacale criticando anche alcune organizzazioni sindacali concertative che accusano di non averli tutelati a sufficienza a beneficio dei profitti e degli obiettivi delle rispettive aziende.
Per quanto riguarda la Ford Otosan, un joint venture tra la Ford e la Koch Holding che produce in due siti a Kocaeli, in un comunicato aziendale ripreso dalla Cnn-Turk si legge che gli impianti hanno "interrotto mercoledì temporaneamente la produzione...a causa della mancanza di materie prime. Ma l'agenzia di stampa Dogan ha riferito che il vero motivo dello stop è uno sciopero con le medesime richieste dei loro colleghi delle altre fabbriche. Negli impianti Ford lavorano complessivamente 6mila operai.
Lo sciopero sta avendo una forte ripercussione sul paese. «Renault potrebbe riconsiderare il proprio investimento in Turchia» ha detto Jean Christophe Kugler, responsabile della regione Eurasia per la Renault, che cerca così di ricattare i lavoratori. Una minaccia che peserà sicuramente sull'andamento della vertenza, considerando che la Oyak-Renault è una joint venture fra l'azienda multinazionale francese e il fondo pensione dell'esercito turco.
21 maggio 2015, da contropiano.org