indice n.96
solidarietà con la lotta di Kobane contro l'ISIS
Colonia: estrema destra a caccia di consenso contro l'Isis
Operazione “Mos Maiorum”
AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
comunicato dal carcere di Spoleto (PG)
Lettere dal carcere di Spoleto (pg)
Lettera dal carcere di Piacenza
da una lettera dal carcere di cosenza
lettera dal carcere di padova
LETTERA DAL CARCERE DI BUSTO ARSIZIO (VA)
lettere dal carcere di rebibbia (rm)
solidali con imputati/e per i fatti di Piazza Verdi a Bologna
Lettera dal carcere di Velletri (rm)
Da una lettera dal carcere di Cremona
da una lettera dal carcere di bergamo
quando piove abbiamo un brivido e sappiamo di chi è colpa
DAL PROCESSONE contro il movimento NO TAV
Rovereto: chi ha paura delle parole
NUOVA INCRIMINAZIONE PER SILVIA COSTA E BILLY
ancora proteste al caat di torino
Bologna in corteo contro Visco e Forza Nuova
ancora proteste al caat di torino
NOTE SULLA LOTTA CONTRO GLI SFRATTI A TORINO (seconda parte)
solidarietà con la lotta di Kobane contro l'ISIS
Seguono stralci di un comunicato solidarietà con la resistenza dei curdi a Kobane di Khaled Barakat del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP).
[...] Tutte le forze rivoluzionarie palestinesi e arabe dovrebbero unire i loro sforzi per sostenere la lotta della resistenza curda a Kobane contro l'ISIS e li suoi sostenitori imperialisti. Le popolazioni in Siria, Iraq e ovunque nella regione sono sotto attacco da parte dell'imperialismo - un attacco che arriva non solo attraverso bombardamenti aerei e occupazioni, ma anche attraverso il supporto di potenze regionali reazionarie, attraverso la promozione di settarismo, e attraverso gruppi armati reazionari che portano avanti un programma di caos settario. Essi hanno cercato di sostituire il conflitto centrale nella regione, quella dei popoli contro il sionismo e l'imperialismo, con il settarismo e l'imposizione di una massiccia violenza reazionaria contro i gruppi minoritari, che sono parte integrante della regione, mentre questi stessi gruppi armati reazionari non intaccano minimamente gli interessi dello stato sionista e delle potenze imperialiste. Questi attacchi hanno avuto luogo in contemporanea con l'ultimo assalto genocida sionista contro il popolo palestinese a Gaza. "Noi siamo con il popolo della Siria che difende la propria unità contro ogni tentativo di dividere forzatamente il paese e saccheggiare le sue risorse a beneficio dell'imperialismo. Questo è l'obiettivo dell' ISIS e dei suoi alleati.
Oggi, i combattenti curdi, donne e uomini, lottano per la loro libertà e la loro vita contro questi gruppi reazionari, la cui presenza nella regione è stata equipaggiata, armata e sostenuta dall'imperialismo e dai suoi alleati e agenti nella regione. Non è un caso e nemmeno un mero simbolismo che l'ISIS stia attaccando Kobane oggi con le armi degli Stati Uniti ", ha detto Barakat. "In particolare, il ruolo delle donne combattenti della resistenza curda a tutti i livelli di lotta e di leadership rappresenta un esempio eroico di sacrificio.
Si deve inoltre rilevare che il ruolo dello Stato e del governo turco, uno dei maggiori partner commerciali di Israele e un alleato militare fondamentale degli Stati Uniti, è stato quello di favorire l'ingresso di questi gruppi armati reazionari (ISIS e altri) che ora attaccano Kobane in Siria. Allo stesso tempo, negli ultimi giorni, decine di manifestanti curdi sono stati uccisi dalle forze armate dello Stato turco. La cosiddetta 'zona di sicurezza', voluta fortemente da Francia e Turchia, e gli attacchi aerei degli Stati Uniti e dei suoi alleati, non sono altro che una copertura per l'ingresso dell'imperialismo nella regione. L'unica vera sicurezza può essere garantita solo dalla lotta popolare e di resistenza, non dagli eserciti imperialisti e dall'aviazione.
C'è una lunga storia di sostegno dai rivoluzionari palestinesi per i combattenti per la libertà curdi. Condividiamo un nemico comune: l'imperialismo. E anche noi condividiamo il nemico comune dei gruppi reazionari settari armati, come l'ISIS, che sono, andando al nocciolo, una creazione e conseguenza dell'imperialismo e delle sue occupazioni e dell'egemonia sulla regione. I regimi arabi reazionari, in particolare l'Arabia Saudita e Qatar, hanno svolto un ruolo importante nell'incoraggiare, armare e diffondere questa minaccia contro i popoli della regione. Nessuna soluzione o assistenza per la nostra regione verranno da eserciti imperialisti o attacchi aerei imperialisti. Queste forze hanno portato soltanto terrore, settarismo, reazione, e morte ovunque vadano. E' la lotta dei nostri popoli uniti che può confrontarsi e raggiungere la vittoria sull'imperialismo e sul sionismo, le fonti primarie di terrore nella regione, e sulle malvagie forze reazionarie che cercano di mantenere la loro egemonia e saccheggiare le risorse del nostro popolo.
14 ottobre 2014, traduzione da pflp.ps, da infoaut.org
Colonia: estrema destra a caccia di consenso contro l'Isis
Migliaia di neonazisti, oltre 3mila secondo alcune fonti, si sono dati appuntamento ieri a Colonia in occasione di una manifestazione contro l'Isis, un pretesto per raccogliere sostenitori per "un'Europa bianca e cristiana". Un chiaro tentativo di incentivare il razzismo e la xenofobia per le strade della Germania. A saltare all'occhio era la quantità di persone che ieri hanno partecipato alla manifestazione, a cui però ha fatto da contraltare l'immediata risposta degli e delle antifasciste tedesche, che insieme alla comunità curda si sono ritrovati in circa 1.500 per contrapporsi al corteo nazi-fascista.
Ne sono nati violenti scontri tra antifascisti e nazisti, sotto gli occhi conniventi della polizia schierata per la maggior parte del tempo a protezione dei secondi. La furia violenta e senza senso dei neonazisti si è scagliata contro numerose persone (alcune delle quali si trovavano lì per caso) durante il tragitto del corteo. A fine giornata si contavano numerosi feriti, mentre diversi locali gestiti da persone di differenti nazionalità sono stati attaccati.
La giornata di ieri ha dato riprova della complicità da parte della polizia nell'assecondare l'ingestibilità della piazza di estrema destra. Nonostante alcuni media riportino di alcuni attacchi da parte dei neo-nazi nei confronti delle forze dell'ordine, è emblematico come un evento di questa portata - che ha radunato numerose persone provenienti da tutta la Germania in nome dell'ideologia razzista - sia stato totalmente sottovalutato dalle autorità stesse, permettendo ai nazi-fascisti di sfilare a Colonia seminando il caos tra i passanti e agevolando lo scontro con gli antifascisti, successivamente criminalizzati come la radice dei disordini che ci sono stati.
Gli attacchi da parte di gruppi neo-nazisti sono continuati anche dopo che la polizia si è ritirata dalle strade di Colonia: numerose persone sono state aggredite nei parchi così come un ristorante cinese a Ebertplatz è stato oggetto di un raid al grido di "Gli stranieri fuori". [...]
27 ottobre 2014, da infoaut.org
Operazione “Mos Maiorum”
Una direttiva del Ministero per le procedure d’identificazione, scatena pestaggi con segnalazioni da Crotone, Reggio Calabria, Messina e Ragusa. Questa direttiva del Ministero dell’Interno, inviata alle diverse unità coinvolte nelle procedure di identificazione, contiene alcune istruzioni che fanno rabbrividire. Nella circolare si fa riferimento alle lamentele degli altri Stati in relazione alla mancata identificazione dei migranti, per cui si ordina di procedere “con rinnovata cura nelle attività di identificazione e foto segnalamento dei migranti”. Le istruzioni (distribuite anche ai migranti) spiegano invece piuttosto bene quello che sta avvenendo in questi giorni, quando precisano che oltre alla denuncia in caso di rifiuto ad essere identificati, la polizia procederà all’acquisizione delle foto e delle impronte digitali anche con l’uso della forza se necessario. L’Italia deve riprendere la schedatura dei migranti per l’inserimento dei dati in Eurocad, il sistema che permette agli stati di definire lo stato competente per l’esame della domanda, verificando che il richiedente non l’abbia presentata in altri paesi UE. Così in queste settimane nei Centri di “accoglienza” del sud succede di tutto: pestaggi, identificazioni violente e privazione della libertà, arrivano foto di corpi che documentano segni di violenze.
Da lunedì 13 a domenica 26 ottobre, ci sarà una grossa operazione di polizia, su scala europea, contro i/le migranti. Con il nome di “Mos Maiorum”, questa operazione ha come obiettivo l’arresto ed il controllo di centinaia di persone e la raccolta di informazioni, in previsione del rafforzamento delle loro politiche anti-immigatorie.
L’operazione Mos Maiorum viene condotta congiuntamente dall’Unione Europea, dagli Stati membri dello spazio Schengen e dalle agenzie europee Frontex ed Europol.
La zona in cui saranno effettuati i controlli [dell’operazione Mos Maiorum, NdT] si estenderà quindi sul territorio di 32 Paesi (i 28 dell’UE più 4 che non sono membri dell’UE, ma partecipano allo spazio Schengen) e sul mare: dalla Norvegia alla Spagna, dall’Islanda a Cipro, dal Portogallo all’Estonia, passando per la Romania. Per tutto ciò saranno mobilitati niente meno che 18.000 sbirri e guardiacoste e i costi dell’operazione saranno coperti a posteriori dagli Stati e da Frontex. Le zone dei controlli sono lasciate alla discrezione degli Stati ed organizzazioni partecipanti e possono quindi essere molto ampie: le acque territoriali, i porti ed aeroporti, le frontiere esterne ed interne dell’UE e dello spazio Schengen, le stazioni ed i treni, le autostrade, i trasporti pubblici e la strada, i posti di lavoro e gli uffici pubblici, etc.
Ogni controllo comporterà una procedura che raccoglierà i seguenti dati: informazioni sul controllo (luogo, data, ora, mezzo di trasporto), sulle persone arrestate (nazionalità, sesso, età, luogo e data di ingresso in Europa), sui percorsi fatti, i mezzi di trasporto e la destinazione finale, sui documenti in possesso, le pratiche amministrative già cominciate ed i pagamenti fatti agli “scafisti”. Sarà aperto, per il coordinamento dell’intera operazione, un ufficio in Italia e ogni procedura verrà loro trasmessa attraverso un indirizzo mail (gruppo.frontiere@interno.it). Sembrerebbe che questo tipo di operazione debba essere attuato ogni 6 mesi, sotto il coordinamento del Paese assegnatario della presidenza dell’UE.
Si tratta di un’operazione di schedatura/censimento, visto che saranno controllate centinaia di persone (verranno loro prese le impronte digitali, saranno iscritte nei database europei, etc.), ma allo stesso tempo di una sorta di indagine, alla scala di Africa/Asia/Europa, per conoscere i nuovi percorsi intrapresi dai migranti, i nuovi Paesi di partenza e di transito; informazioni che permetteranno ai Paesi europei, in collaborazione con quelli “vicini”, di rinforzare il loro controllo e creare nuovi dispositivi.
Da anni, l’Unione Europea, la sua agenzia Frontex e gli Stati membri dello spazio Schengen impiegano mezzi colossali per rendere l’Europa inaccessibile a quelle e quelli che essa non vuole accogliere, con l’accresciuta collaborazione dei Paesi detti “di partenza” o “di transito”, nell’Europa dell’Est, nel Maghreb e in Africa. Da un sistema di visti sempre meno accessibili ai più poveri, alla chiusura delle frontiere esterne, la guerra ai/alle migranti infuria. Nell’Atlantico e nel Mediterraneo, i muri di filo spinato e di gadget tecnologici di Ceuta e Melilla e la presenza militare e poliziesca in mare rendono i percorsi sempre più lunghi e pericolosi per gli harraga. In 20 anni, più di 21.500 persone sono morte alle porte dell’Europa e questa cifra non smette di crescere di giorno in giorno.
A inizio 2014 è stato creato il progetto Eurosur. Esso permette di condividere i mezzi già esistenti per la sorveglianza delle frontiere marittime e di metterne altri (droni, radar, satelliti…) a disposizione. Le informazioni, raccolte 24 ore su 24, vengono allo stesso tempo centralizzate e diffuse, in modo che ogni Paese possa seguire una determinata situazione in tempo reale e prendere le misure necessarie, cioè intervenire per “ridurre il numero di immigranti illegali che entrano nell’Unione Europea senza essere scoperti”.
Fra qualche settimana, una nuova missione, chiamata “Frontex Plus”, rafforzerà la sorveglianza al largo delle coste italiane e maltesi. Richiesta dall’Italia in seguito ai recenti sbarchi di harraga sulle sue coste, essa deve sostituire “Mare Nostrum”, che sta arrivando alla sua fine.
Dando uno sguardo alle poche segnalazioni comparse sui social network o sulla stampa, questa prima settimana dell’operazione Mos Maiorum, ci indica qualche elemento:
- A Trieste e Ventimiglia è palese un controllo rafforzato delle frontiere interne all’Europa. Bus e treni vengono setacciati. Le dichiarazioni di alcune autorità francesi, seguite da quelle della Lega, riguardo la necessità di sospendere il trattato Schengen per “l’incompetenza italiana” nel controllo della frontiera a sud, sembrano essersi tradotte in un pugno di ferro.
- Numerosi controlli nelle zone agricole, dove lavorano i/le braccianti da sfruttati, si sono tradotti in arresti per i lavoratori immigrati. Lo stesso sta avvenendo alle lavoratrici sessuali, colpite da veri e propri rastrellamenti notturni, nei cantieri e nei grandi luoghi di distribuzione alimentare.
- Continue segnalazioni di controlli negli appartamenti per mano della polizia municipale di molte città. Forse, nell’anestesia diffusa, questo tipo di controlli risultano più invisibili e “meno ostili” rispetto a una palazzina militarizzata da carabinieri/poliziotti/esercito. In alcuni casi, sembrerebbe che agenti della municipale chiedano informazioni, in condomini qualsiasi, riguardo chi abita nella palazzina.
Nelle stazioni ferroviarie principali, sono presenti dei checkpoint ai quali forse non si presta più attenzione, quasi fosse parte della normalità. I controlli sono molto frequenti. Lo stesso avviene nelle stazioni metro.
In alcune città, le questure celebrano i controlli specifici in alcune zone, con ingenti posti di blocco a poche strade di distanza l’uno dall’altro. In altrettante città vi sono state iniziative di informazione e di contrasto.
Segue la traduzione di un volantino trovato nelle strade di Parigi.
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Per due settimane, dal 13 al 26 ottobre, l’Unione Europea ha lanciato un’operazione poliziesca su vasta scala, chiamata “Mos Maiorum”. É diretta a lottare contro l’immigrazione clandestina, mobilizza 18000 poliziotti e si concretizza in maggiori controlli ai danni delle persone senza documenti. Lo scopo di quest’operazione è la raccolta massiccia di informazioni, col fine di meglio conoscere i modi attraverso i quali i clandestini sono arrivati qui, per poter meglio sbarrare loro la strada in futuro, mettendo maggiormente l’attenzione sui punti di transito da sorvegliare e smantellando le reti di “scafisti”. Per raccogliere questa massa di informazioni, l’ordine è quello di arrestare più clandestini possibile ed interrogarli (età, sesso, nazionalità, data e luogo di ingresso nell’UE, tragitto e mezzi di trasporto, prezzo pagato, destinazione, eventuali documenti falsi, pratiche d’asilo effettuate…).
Tutto ciò non è una novità, perché, anche se rischiano di essere più numerose in questo periodo, retate ed espulsioni infuriano in tutta Europa contro quelli che i potenti non vogliono o non vogliono più. In parallelo alla relativa soppressione delle frontiere fra i Paesi dell’UE, le frontiere esterne dell’Europa si chiudono sempre più e più violentemente contro quelli che sperano di trovare qui una vita più facile e meno pericolosa che altrove, di riunirsi a persone care oppure di fuggire da una situazione giudicata invivibile.
Ma in tutti i Paesi (“sviluppati” oppure no), è lo stesso sistema di dominio che avvelena i rapporti e le condizioni di vita: il capitalismo e lo sfruttamento economico assegnano a ciascuno un posto nella scala sociale e più sei povero, più fanno attenzione affinché resti al tuo posto, a lavorare e lasciarti umiliare, dal padrone, il controllore, il cliente, lo sbirro, il giudice, il professore…Le politiche migratorie, lasciando entrare alcuni e non altri, secondo criteri di rendimento economico, cercano di controllare i flussi migratori, ma soprattutto di fare paura a tutti, attraverso i controlli, le espulsioni o i soggiorni nei CIE, affinché gli immigrati irregolari che vengono tollerati all’interno dell’Europa si tengano buoni e, costretti nella clandestinità, accettino qualunque lavoro sottopagato senza potersi lamentare. Le frontiere e le assurde identità prefabbricate che le accompagnano, le nazionalità, sono per i potenti uno strumento per spartirsi il bestiame umano da governare, selezionare gli indesiderabili, dividere gli sfruttati e far loro accettare delle condizioni di miseria.
Con questa nuova operazione, che ha un evidente scopo mediatico (far vedere ai bravi cittadini che la polizia lavora e che gli Stati proteggono la civilizzazione dai barbari…), la politica anti-immigratoria europea si rafforzerà forse ancora di più, ma non cambierà di fondo.
Cosa può far cambiare le cose? Noi, gli sfruttati, con o senza documenti. Perché la caccia agli immigrati clandestini è parte della guerra che il Potere porta avanti ogni giorno contro tutti i poveri, gli indesiderabili. Una guerra alla quale, troppo spesso, non rispondiamo.
Ma potremmo opporci alle retate di clandestini per strada, oppure decidere di prendercela con le istituzioni, le imprese, le persone che rendono possibili la reclusione e le espulsioni. La lista è lunga: infami (RATP [azienda dei trasporti pubblici di Parigi, NdT], banche, uffici pubblici), trasporti utilizzati per le espulsioni (Air France, SNCF [le ferrovie francesi, NdT]), le ditte che costruiscono i CIE (Bouygues, Vinci, Eiffage), le associazioni che ci lavorano e quindi li cauzionano (Croce Rossa, Ordine di Malta, Cimade, France Terre d’Asile)…
Perché non partiamo all’attacco di tutti quelli, politici, padroni, sbirri, sfruttatori di ogni tipo, che fanno delle nostre vite una schiavitù perenne, sia che abbiamo sia che non abbiamo i loro documenti? Abbasso tutte le frontiere e le nazioni! Contro i politici, gli sbirri ed i collaboratori che li fanno esistere, passiamo all’attacco!
***
Frontex (Agenzia europea per la gestione della cooperazione operazionale alle frontiere esterne) è un’agenzia europea che, dall’ottobre 2005 (data della sua prima operazione), è incaricata di attuare diverse operazioni di sorveglianza e di controllo alle frontiere esterne dell’Europa (principalmente quelle meridionali ed orientali). L’UE e gli stati membri mettono a sua disposizione mezzi militari, tecnologici e polizieschi (navi, elicotteri, radar, sensori…) e ogni anno gli viene assegnato un budget di svariate decine di milioni di euro. Si tratta del braccio armato della politica anti-immigratoria europea: Frontex organizza la chiusura ermetica, militare e tecnologica, delle frontiere. L’agenzia interviene anche al di fuori dell’UE, in particolare nei paesi che confinano con le sue frontiere esterne, per esternalizzare le politiche anti-immigratorie europee. Organizza anche dei voli charter per espulsioni congiunte a partire da più paesi. Decine di organizzazioni europee ed internazionali lavorano con Frontex: agenzie internazionali di polizia e di giustizia, organizzazioni di gestione delle migrazioni e dei rifugiati, centri di ricerca e di sviluppo in materia di sicurezza, etc.
Europol è l’ufficio di polizia criminale intergovernamentale dell’UE che coordina il lavoro delle polizie nazionali in materia di terrorismo, traffico di stupefacenti e criminalità organizzata. Europol partecipa sempre più spesso alle operazioni condotte contro i/le migranti, con l’obiettivo dichiarato di “smantellare le reti di scafisti e di trafficanti di droga ed i gruppi terroristi”, il famoso trittico “immigrato, spacciatore, terrorista” che sta dietro tutta la politica europea nella sua lotta contro l’immigrazione e che serve da spaventapasseri per legittimare le sue azioni. L’attuale situazione politica in Iraq e Siria torna loro comoda. Un’altra operazione portata avanti da Europol (e alla quale ha partecipato anche Frontex), dal 15 al 23 settembre 2014, chiamata “Archimede” e diretta contro i gruppi criminali internazionali, ha portato anche al controllo di più di 10.000 migranti e all’arresto di 170 “scafisti”.
ottobre 2014, liberamente tratto da non-fides.fr
AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
CIE: da 18 mesi a 3 mesi e nuova direttiva per l’identificazione
22 ottobre. Cambiano i tempi di trattenimento nei CIE: la Camera dei deputati ha approvato la norma contenuta nella Legge Europea 2013 bis relativa al periodo massimo di trattenimento dei cittadini stranieri all’interno dei CIE, accogliendo così l’emendamento – già approvato il 17 settembre scorso dal Senato – presentato dai senatori Luigi Manconi e Sergio Lo Giudice. Se fino a ieri una persona poteva essere reclusa fino a 18 mesi, ora il tempo massimo di trattenimento sarà di 90 giorni.
Torino, CIE di Corso Brunelleschi
22 settembre. La Prefettura di Torino ha annunciato che, per la modica cifra di 37,86 euro al giorno per recluso, iva esclusa, il nuovo gestore del CIE di Torino è il raggruppamento temporaneo d’imprese composto da Gepsa e dall’Associazione Culturale Acuarinto, unico concorrente ad aver partecipato alla gara d’appalto. Se al momento è ancora il personale della Croce Rossa ad affiancare le forze dell’ordine all’interno del Centro di corso Brunelleschi, non ci vorrà ancora molto perchè Gepsa si insedi a pieno titolo anche in questo CIE. Dopo Via Corelli a Milano e corso Brunelleschi a Torino, l’ipotesi che Gepsa possa diventare in futuro il gestore unico dei CIE in Italia sembra pian piano prendere consistenza.
8 ottobre. Un recluso litiga con i Finanzieri, che si trovano lì a controllare il CIE, a causa dell’inspiegabile riduzione del tempo di colloquio con la fidanzata ad un quarto d’ora. Parte subito da parte degli aguzzini una denuncia sul litigio, che il recluso rifiuta di firmare e ritornato in cella spacca il televisore e insulta le forze di polizia presenti. Poco dopo reparti celere della Finanza e dei Carabinieri fanno irruzione nell’area per prelevare, e pestare, il ragazzo, mentre i suoi compagni di camerata vengono tenuti lontani a suon di manganelli (a un recluso verranno applicati sei punti di sutura in testa). Un ragazzo viene arrestato ma poi riportato al CIE nella cella d’isolamento. Mentre il recluso denunciato per il litigio, viene arrestato e condannato per direttissima ad un anno e tradotto, malconcio a causa del pestaggio nel CIE, agli arresti domiciliari a casa della fidanzata.
Nella stessa giornata tre ragazzi tentano la fuga, ma purtroppo scavalcato il cancello della loro sezione, sono stati fermati dalla polizia.
12 ottobre. Presidio al CIE. Di seguito la locandina dell’iniziativa:
“Tutti i CIE ancora funzionanti in Italia, compreso quello di Torino, sono stati danneggiati durante le rivolte che i reclusi hanno scatenato al loro interno. Stanchi di aspettare e carichi di rabbia, hanno deciso di bruciare ogni cosa per poter tornare liberi. Nei nostri quartieri la polizia gira indisturbata a caccia di senza documenti nel tentativo di sottrarci qualcuno, magari un nostro amico o parente, o chi siamo soliti incontrare in quartiere. Ma quando il CIE è distrutto non possono rinchiuderci i nostri amici. Quando il CIE non c’è più, si inizia a respirare meglio. La macchina delle espulsioni si inceppa e rallenta. E’ importante portare il nostro calore e la nostra solidarietà ai pochi che sono ancora rinchiusi nel CIE di Torino e gridare forte che I CIE SI CHIUDONO CON IL FUOCO DELLE RIVOLTE. Un’occasione anche per salutare il ragazzo che in seguito alle cariche di lunedì nella sua area è stato arrestato e si trova ora in isolamento.”
Durante il presidio, i reclusi di due aree hanno provato a dar fuoco alle loro camerate. In un area l’intervento tempestivo della polizia ha soffocato l’incendio, mentre nell’altra area il fuoco è divampato da rendere necessario l’intervento dei pompieri. Nonostante le stanze fossero annerite e bruciacchiate, alcuni dei ragazzi hanno passato lì la notte, altri sono stati invece smistati nelle altre tre aree ancora agibili.
Roma, CIE di Ponte Galeria
17 ottobre. Un gruppo di ragazze e ragazzi solidali con i reclusi e le recluse del CIE di Ponte Galeria ha interrotto la presentazione del libro “Cum Panis. Storie di fuga e memorie in quattro ricette” organizzata e presenziata da esponenti locali dell’associazionismo e del PD, come Khalid Chaouki, in una biblioteca del quartiere Pigneto. A lavarsi la faccia e la cosCIEnza non c’erano solo politici e giornalisti: il buffet con “specialità mediorientali” era offerto dalla cooperativa Auxilium, la stessa che gestisce CARA e CIE, compreso quello di Ponte Galeria!
Dopo essersi sorbiti una mezz’ora di video in cui le donne profughe venivano vittimizzate, relegate alla cucina dei loro piatti tipici, all’essere mogli o madri, i solidali hanno esposto cartelli e hanno preso parola nella sala ricordando a tutti i presenti il ruolo dell’Auxilium e delle politiche del PD in ciò che è accaduto due giorni fa a Ponte Galeria. Il 16 Ottobre, infatti, un ragazzo marocchino, in sciopero della fame da 13 giorni, è stato portato nell’infermeria del CIE dopo essere svenuto: lì è stato picchiato dalle guardie, legato e deportato. Tutto questo è successo mentre all’interno di Ponte Galeria era presente una delegazione “per i Diritti Umani”. Lo schifo che ci fanno le guardie che lo hanno picchiato e l’Auxilium, che guadagna sulla reclusione di tutti e tutte le altre, è pari allo schifo che ci fanno i ricchi benpensanti di sinistra che vorrebbero che la “battaglia contro i CIE” fosse quella “per la legalità, contro gli abusi della polizia e per la difesa dei diritti umani”, retorica utilizzata da Khalid Chaouki per autodecretarsi paladino dei diritti dei migranti. La lotta contro i CIE è la lotta di ogni immigrato/a contro il razzismo, il carcere, la reclusione e le deportazioni. La lotta contro i CIE è di ognuno/a di noi contro le retate, lo sfruttamento, i controlli in strada, l’indifferenza. Le lotte dentro i Centri d’Identificazione ed Espulsione ce lo raccontano: i CIE si chiudono con le rivolte. Hurriya.
Crotone, CdA-CARA di Sant’Anna di Isola di Capo Rizzuto
10 ottobre. I migranti del CARA hanno segnalato pestaggi nei loro confronti, per essersi opposti con uno sciopero della fame alla procedura coatta d’identificazione. Il CdA-CARA è dislocato in un vecchio aeroporto militare su una strada statale a 15 km da Crotone e dal centro abitato di Isola Capo Rizzuto, è gestito da 11 anni dalla Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia.
CIE di Bari
1 ottobre. Un trentenne tunisino, Fathi, si è cucito le labbra per protesta cominciando uno sciopero della fame e della sete. Fino a due settimane fa Fathi si trovava nel CIE di Ponte Galeria, ma poi è stato trasferito nel CIE di Bari, dopo alcune proteste. Fathi è in Italia dal 1987, sbarcato con passaporto. E’ considerato pericoloso socialmente perché ha due condanne a suo carico. Dopo 27 anni in Italia, Fathi è spaventato dall’idea di essere spedito in Tunisia, una nazione da cui si è allontanato quando era ancora minorenne.
24 ottobre. Le forze dell’ordine tentano di portare via con la forza un recluso albanese per espellerlo. L’uomo è in Italia da 15 anni, tenta di opporsi ma viene trascinato a forza in una stanza e picchiato. Gli altri reclusi sentono le urla e dopo l’avvenuta espulsione, accatastano e incendiano materassi. Il giorno dopo iniziano uno sciopero della fame.
Milano, ex CIE di Via Corelli
15 ottobre. L’assessore al Welfare del Comune di Milano Pierfrancesco Majorino ha siglato l’accordo con Prefettura e Ministero dell’interno per trasformare, per alcuni mesi, lo spazio di segregazione del CIE in Centro di “accoglienza” per i profughi siriani ed eritrei. Non ci sono notizie da quando partirà quest’operazione, ad oggi è tutto chiuso.
Dal 28 ottobre l'ex centro di espulsione di via Corelli a Milano entrerà in funzione come centro di accoglienza per i profughi fino alla fine dell’anno, due mesi. E' comunque prevista la possibilità di proroghe.
Varese, cronaca di ordinario razzismo
23 settembre. La Prefettura di Varese dovrà risarcire 8 mila euro ad una coppia di sposi a cui il sindaco di Tradate aveva negato le nozze. I fatti risalgono al 2008. Un uomo albanese e una donna italiana si erano presentati in comune per sposarsi. Il sindaco, oggi senatore della lega, si era rifiutato di celebrare il matrimonio, dopo avere constatato che lui non aveva il permesso di soggiorno in Italia. Così l’uomo era stato portato in un centro di espulsione ed espulso in brevissimo tempo. La donna era andata in Albania, e il matrimonio era stato celebrato lì. Così lui era potuto tornare in Italia, grazie al ricongiungimento familiare, e iniziare così una causa contro il comune di Tradate. Ora è arrivata la sentenza, in cui si è stabilito che il municipio di Tradate non ha colpe, perché l’ufficiale di stato civile che celebra il matrimonio non rappresenta il Comune, bensì lo Stato. Quindi toccherebbe alla Prefettura rimborsare gli sposi.
Spagna
Melilla, enclave spagnola di circa 12 chilometri quadrati, costituisce l’unico punto di passaggio via terra tra Africa e Europa. La frontiera, protetta da una tripla barriera alta 6 metri che si estende per un perimetro di circa 10 chilometri.
24 ottobre. Nella mattinata c’è stato un nuovo tentativo di entrata in massa nell’enclave di Melilla (sarebbero oltre 36 i tentativi dall’inizio del 2014 e circa 2.000 i migranti entrati sul suolo spagnolo). Una ventina di migranti su 200 che hanno tentato di scavalcare le reti della frontiera, sono riusciti ad entrare scavalcando le barriere di 6 metri, dove una settantina di persone è rimasta in bilico per 13 ore, prima di essere consegnati dalla guardia Civil alla polizia marocchina. Un’organizzazione non governativa Pro.de.in, che si occupa di tutelare i diritti umani dei migranti ha diffuso un video che documenta il brutale pestaggio e il respingimento di un ragazzo in stato d’incosCIEnza nel territorio marocchino.
In risposta alla pressione migratoria e alle accuse mosse alla diffusione del video, il governo spagnolo si prepara a ratificare con un emendamento al progetto di Legge Organica di Protezione di Pubblica Sicurezza, gli abusi di polizia nei respingimenti sommari in frontiera. La modifica di legge prevede un protocollo di azione, redatto dal ministero degli interni e citato da El Pais, che prevede un allarme permanente, con la continua vigilanza delle frontiere, in cooperazione con le autorità marocchine, per intercettare quanto prima l’arrivo in massa di immigrati. Saranno impediti i tentativi di scavalcamento, seguendo i principi fissati dalla legge, per cui gli agenti dovranno prestare aiuto e tutelare l’integrità fisica dei migranti, informandoli delle cause e delle finalità dell’eventuale arresto. La normativa prevede inoltre l’impiego di agenti in assetto antisommossa, nel caso in cui i migranti adottino attitudini violente, ma sempre nel rispetto dei principi di opportunità, congruenza e proporzionalità. E gli agenti saranno tenuti a chiamare i servizi di assistenza sanitaria nel caso in cui qualcuno dei clandestini risulti ferito. I migranti che riusciranno a passare la frontiera e che saranno intercettati dalle forze di sicurezza dovranno essere trasferiti in commissariato, dove saranno identificati e registrati.
Il mare dei Morti
1 ottobre. Spagna. Ritrovati in mare i corpi senza vita di due passeggeri di un’imbarcazione affondata nelle acque dell’isola di Perejil, nello stretto di Gibilterra.
2 ottobre. Libia. Naufragio al largo delle coste libiche al largo di Garabuli, 60 km a est di Tripoli. Recuperati almeno 10 cadaveri, i dispersi sarebbero almeno 70.
3 ottobre. Spagna. Restano ancora dispersi in mare 8 dei passeggeri dell’imbarcazione affondata due giorni fa nello stretto di Gibilterra, nelle acque dell’isola di Perejil.
Milano, ottobre 2014
comunicato dal carcere di Spoleto (PG)
Noi sottoscritti detenuti del carcere di Spoleto con la seguente vogliamo rendere di dominio pubblico tutti gli abusi che siamo costretti a subire, in modo che in internet e in ogni radio dei nostri compagni/e l’opinione pubblica possa venire a conoscenza che qui a Spoleto tutti i detenuti sono trattati peggio degli animali.
Vitto detenuti
Nel carcere giudiziario non esiste una commissione dei detenuti in violazione dell’art. 90 dell’O.P., così non vengono rispettate le tabelle caloriche senza parlare della scarsa qualità del vitto che ogni volta ci danno solo 20/30 grammi di carne quando invece ci spettano 110 grammi di carne ciascuno. E spesso la carne “puzza” e non sappiamo se è scaduta. Anche di frutta ci spetterebbero 280 grammi ciascuno ma ci danno sempre 3 prugne a testa, così che chi non ha possibilità economiche è costretto ad un digiuno forzato per l’arroganza della direzione.
Sopravvitto
I prezzi del sopravvitto sono tre volte superiori a quelli in vendita all’esterno violando l’art. 12 dell’O.P. che prevede il controllo della variazione dei prezzi e lo sconto sui prodotti, senza parlare della qualità che è sempre di 3° o 4° categoria e non esistono prodotti dei discount come avviene in altri istituti.
Fornitura detenuti
In questo istituto non c’è mai stata passata la fornitura per l’igiene della cella e della persona violando l’art. 8 dell’O.P., così vengono penalizzati tutti i detenuti che non hanno possibilità economiche, soprattutto gli extracomunitari e un buon 85% dei detenuti che sono costretti a vivere nell’incuria e nel totale abbandono delle più elementari condizioni igieniche e così viene violato ogni nostro diritto.
Aria sanitaria
L’aria sanitaria in questo carcere è solo una presa in giro, per ogni male ci danno la solita pasticca che è la tachipirina che è un antipiretico e non c’entra nulla con tutti i mali che un detenuto può avere perché bisognerebbe accertare la causa con una visita medica, e per questo passano giorni e anche settimane e chi reclama la visita medica e dice di voler protestare gli agenti lo istigano ad autolesionarsi violando l’art. 17 O.P. che prevede la costante assistenza medica, così viene violato anche l’art. 32 sulla tutela e diritto alla salute di individuo e collettività come stabilito dalla costituzione italiana.
Isolamento e sanzioni disciplinari
In questo istituto dopo l’insediamento del nuovo direttore Luca Sardella è stato attuato un consiglio disciplinare che noi definiamo un plotone di esecuzione perché il direttore e il comandante mandano in isolamento anche se abbiamo ragione perché hanno messo in atto un sistema repressivo dove i nostri diritti vengono calpestati, e a chi viene portato in isolamento viene vietato di acquistare ogni genere di alimentari, e il vitto in isolamento è ancora più scarso di quello che passa nelle sezioni.
Violazione dell’art. 36 O.P. D.P.R. 230
In questo istituto al nostro ingresso non ci vengono consegnati gli opuscoli dei nostri diritti e doveri ma ci è stato imposto di firmare un modulo dove le regole le hanno fatte in direzione, così siamo stati tratti in inganno e chi non si attiene alle loro regole viene portato in isolamento (violazione dell’art. 6 O.P., violazione norma del 30/06/2000 n. 230)
Violazione art. 5 O.P.
I magistrati di sorveglianza non hanno mai svolto il loro compito di vigilanza sul nostro stato di detenzione come previsto dall’art. 5 O.P. senza parlare poi dei benefici di legge che qui non esistono e sono solo una chimera, perché anche a chi ha tenuto una regolare condotta, ha espiato anni di galera e gli manca un solo anno non viene concesso alcun beneficio, e in questi ultimi tre anni 5 detenuti si sono suicidati rendendo corresponsabili proprio questi magistrati.
Passeggio detenuti
Il passeggio detenuti è come una strada dissestata con sassi, mattoni e buchi che non ci consentono un regolare svolgimento delle attività sportive o di passeggiare, che noi invece facciamo a nostro rischio e pericolo, con la sabbia che ci penetra nelle narici senza parlare di quando piove che diventa un pantano. In più gli agenti ci dicono che sotto quella sabbia si trovano agenti chimici pericolosissimi e noi chiediamo che sia aperta un’inchiesta per accertare eventuali agenti che danneggerebbero la nostra salute.
Violazione art. 42 Corte europea
In virtù delle nuove leggi europee che riguardano il trasferimento vicino ai nostri luoghi di residenza per poter coltivare i nostri affetti famigliari e non provocare crisi famigliari a causa del nostro allontanamento a centinaia di chilometri, in questo carcere si viola anche la legge 230/2000 art. 61 c. 2 e la direzione e in primis il comandante Piersigilli ci promettono un trasferimento che poi risulta solo una presa in giro che da anni viene attuata con tutti i detenuti in collaborazione con il D.A.P.
Intanto rendiamo pubblico tutto ciò che qui è scritto e ci riserviamo per i giorni a venire di intraprendere forme di sciopero finché non vengano presi seri provvedimenti nei confronti delle direzione di questo istituto, perché prima che detenuti noi siamo esseri umani con una dignità e non permettiamo più di farci calpestare. Invitiamo anche l’Alta Sorveglianza a mobilitarsi.
Carcere di Spoleto, 20 settembre 2014
In fede i sottoscritti (Seguono 77 firme, quasi tutti i detenuti di due sezioni e mezzo, escluse le sezioni A.S.)
Lettere dal carcere di Spoleto (pg)
Carissimi/e compagni/e, vi scrivo per farvi sapere che questi bastardi per aver raccolto le firme contro i loro abusi mi hanno dato 15 giorni di isolamento. Stamattina mi sono rifiutato di andare al consiglio disciplinare, poi appena mi hanno comunicato i 15 giorni di isolamento gli ho detto che se hanno le palle di venire a prendermi in cella io li aspetto ...
Ieri hanno preso un ragazzo (Marucci Stefano) e lo hanno massacrato e si trova in isolamento con le costole rotte, il naso rotto, la faccia irriconoscibile e piena di sangue ... sono saliti in 20 e lo hanno massacrato ‘sti bastardi infami e luridi.
Il comandante Marco Piersigilli aveva promesso di trasferire un detenuto vicino a casa, ma dopo varie promesse hanno pensato solo a riempirlo di psicofarmaci e sabato 13 si è impiccato, è vivo per miracolo perché avevano il defibrillatore, scrivete tutto su internet perché dobbiamo lottare contro Spoleto. Ora a me cercheranno di farmi applicare un altro 14 bis perché è la loro unica salvezza per bloccare le mie lotte, ci vuole un presidio sotto il DAP ... solo voi fuori potete dare voce al mio trasferimento. Stavolta venderò cara la pelle. Bacioni,
Carcere di Spoleto, 23 settembre 2014
Maurizio Alfieri, Via Maiano 10 - 06049 Spoleto (PG)
Il 4 ottobre a Udine si è svolto il processo (in videoconferenza) contro Maurizio Alfieri e Valerio Crivello, accusati di aver minacciato un delatore e collaboratore della direzione carceraria di Tolmezzo. Maurizio è stato condannato a 2 mesi e mezzo, Valerio a un risarcimento. Maurizio ci tiene a far sapere che durante la videoconferenza non è mai stato inquadrato il pubblico e che non gli è stato possibile leggere la sua dichiarazione, che pubblichiamo ora. Maurizio indossava la maglietta su Stefano “Cabana” Frapporti e il foulard No Tav...
Sig.re presidente e sig.ri della Corte, oggi ho deciso di dirvi una volta per tutte quello che penso riguardo a questo processo, perché ormai è solo un teatrino e non voglio permettere a nessuno di poter pensare di prendermi in giro, e spiegherò perché vi sto dicendo questo.
Riguardo la precedente udienza io e Crivello abbiamo assistito a cose vergognose, e mi permetto di parlare anche a nome suo perché so che condividerà ciò che dico.
Ebbene il processo doveva essere rinviato, dato che avevate ricevuto comunicazione da parte dei nostri legali che non sarebbero stati presenti, invece lei sig.re presidente ha proseguito il processo. Il Pubblico Ministero addirittura ha chiesto al Crisci Mario se dopo le minacce di morte ha avuto paura per la sua famiglia e soprattutto per i suoi figli! Questo dimostra che siete prevenuti, perché vi ricordo che si tratta di “presunte minacce” dato che voglio esprimermi giuridicamente come dovreste farlo voi, e il Pubblico Ministero si è dimenticato che il Crisci Mario ha fatto arrestare dei camorristi del clan dei Casalesi, e la paura deve averla da quelli che ha fatto arrestare... ma questo il P.M. non lo ha detto.
Lei ha detto, sig.re presidente, che questo processo serve ad accertare la verità. Io non capisco di quale verità lei sta parlando, forse è meglio parlare di accanimento verso me e Crivello per aver scoperchiato tutti i pestaggi e le torture che avvenivano a Tolmezzo, e dopo la delusione del procuratore Bonocore per la montatura fallita e gli arresti di persone innocenti che il tribunale del riesame ha scarcerato, questo processo come quello che mi hanno già fissato per il 17 aprile del 2015 e altri che non tarderanno ad arrivare, sono passati tutti dalle mani del procuratore Bonocore, così come tutte le denunce dei detenuti che hanno subito pestaggi e che venivano archiviate. Adesso si cerca una vendetta nei nostri confronti, perché i giornali hanno pubblicato tutte le manifestazioni organizzate dai nostri fratelli e sorelle che denunciavano pestaggi e torture con testimonianze, e voi non avete mai e dico mai processato un solo aguzzino in 25 anni che esiste quel lager a Tolmezzo.
Se voi pensate di reprimere chi come me si ribella a questi crimini processandomi, e se volete anche condannarmi, fatelo, ma vi voglio ricordare una volta per tutte che non ho paura di voi, non lo dico per spavalderia, ma con la convinzione di un uomo pieno di dignità, di orgoglio, di principi, consapevole che i miei ideali e la mia coscienza non verranno mai seppelliti dalle vostre sentenze e da quattro mura, perché al mio fianco ci sono Stefano Frapporti, Aldo Bianzino, Marcello Lonzi, Stefano Cucchi e tutti i fratelli e sorelle che le vostre sentenze hanno ucciso per la seconda volta, complice uno Stato canaglia e criminale con giudici compiacenti e complici.
Volete condannarmi? Fatelo pure, io non ho paura, la mia coscienza mi fa dormire sonni tranquilli, ricordatevelo.
Questo è quanto dovevo dirvi e non dimenticate che sono orgoglioso di essere anarchico e no tav e che i vostri processi sono già stati fatti e il vostro teatrino con me non passa.
Carcere di Spoleto, 4 ottobre 2014
Maurizio Alfieri
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Carissime “persone” mi rivolgo a tutti/e con questo termine perché al di là delle razze, della nazionalità, delle divinazioni ideologiche e soprattutto prima ancora di essere “detenuti/e” siamo e saremo “persone” e lo saremo fintanto riusciremo ad conservare la dignità, l’umanità e lo spirito libero che è insito in ognuno di noi.
Il sistema carcerario non è altro che un “non luogo” dove lo Stato dimostra, in tutto e per tutto, il suo fallimento; si dice che in base a questo si definisce il grado di civiltà di un intero paese ed ogni giorno che passa mi rendo conto sempre di più e la superficialità, o meglio dire la sciattezza col quale viene gestito, è la dimostrazione tangibile che non funziona: lo Stato ha perso! Non si prende cura dei suoi “figli” che, pur avendo commesso crimini indicibili, vengono abbandonati nella piena indifferenza. La tirannide perpetuata ogni giorno da coloro che dovrebbero far rispettare la legge ha raggiunto livelli insopportabili e tutti quei bei discorsi che politici sbandierano per un voto in più, sono un’offesa al buon senso: reinserimento, riabilitazione, espiazione... La realtà è ben diversa e lo sappiamo bene! Lo scopo di questa istituzione non è altro che uno zoo dove “rinchiudere in cattività” tutti coloro che sono incappati nelle strette maglie della rete che chiamano giustizia.
Ma cos’è la giustizia? È solo una parola come Stato, Chiesa, scuola; non significa nulla! È solo una parola che fa da barriera tra chi sta dalla parte o dall’altra e dietro di essa si cela un mondo, anch’esso fatto di persone, che si pavoneggiano con i loro riti e le frasi fatte come: “la legge è uguale per tutti” e si sentono autorizzati ad esserne al di sopra. Questi magistrati con le loro toghe si sentono intoccabili ed in parte vero; lo abbiamo permesso noi e quindi accuso ognuno di noi per non aver fatto abbastanza; non aver studiato, lottato e detronizzato questa classe politica: i vari portaborse, lacché e azzeccagarbugli che gestiscono (malamente) la cosa pubblica!
Ho deciso di non parlarvi delle innumerevoli cose che “non vanno” in questo lager perché le storie si assomigliano tutte e sinceramente c’è qualcuno là fuori non vuole essere contagiato dalla “annuncite”, io non voglio prendermi la carcerite!
Quello di cui vorrei parlare invece è di equilibrio e con molta difficoltà sto cercando di trovarlo... Ognuno di noi è diverso, ognuno è meravigliosamente unico buona cosa ci accomuna tutti: la sofferenza! Certo anche quella individuale, personale, intima ma può essere la scintilla per innescare una reazione a catena al fine di far cambiare le cose... Mi viene in mente una frase di Steave Jobs: “le persone così pazze da credere di poter cambiare il mondo, sono quelle che lo cambiano davvero”.
La domanda è: “quanto, ognuno di noi, è disposto a perdere?”. Perché vedo con stupore che molte persone scelgono di essere soggiogate, ricattate e più lo fanno e più la dose d’umiliazione aumenta!
Gli anni ‘70 ed ‘80 sono finiti e con essi ogni ideologia che muoveva folle speranzose che sono diventate vecchie e grasse incollate davanti alla TV. Ci hanno rubato i sogni! Per quanto lei mi riguarda, nel mio piccolo, cerco di mantenere quella minima parte di sanità mentale che mi permette di non piegarmi e di non farmi istituzionalizzare anche se le provocazioni sono tante o ancora un grande potere ed in questo momento lo sto usando scrivendovi! Faccio istanze, domandine e scrivo a chiunque possa far uscire allo scoperto il “giogo legislativo” che gli “illustrissimi” (ma quanto gli piace?) magistrati esercitano abusandone fino alla nausea con i loro polipi in gare si di rigetti accompagnati da supercazzole assurde.
La “svuota-carceri” finora si è rilevata solo propaganda, i benefici vengono rimandati per tenere sotto scacco ognuno di noi... È una guerra psicologica alla quale bisogna sottrarsi! Qui non si tratta di organizzare sommosse, di eleggere un capo, bensì trovare insieme l’unica iniziativa di protesta che venga attuata in ogni lager contemporaneamente! Io non ci sto, non accetto questa palese di Stato e do la mia piena disponibilità ad ascoltare idee concrete al fine di ottenere ciò che ci spetta di diritto! Abbiamo il dovere di pagare il nostro debito ma in condizioni umane perché, lo ripeto, siamo prima persone e poi detenuti/e.
Non è questione di Strasburgo (grande presa in giro!), l’obiettivo deve essere più alto. Dobbiamo mettere in condizione tale gli uffici preposti di lavorare 24 ore su 24 intasandole di denunce, di scartoffie annotando tutto (N° protocollo ecc.)! Perché ogni ritardo, ogni rigetto, ogni supercazzola al momento opportuno, sarà importante... Purtroppo il tempo a disposizione ce l’abbiamo... Ma questo può rivelarsi un vantaggio! Come diceva Sen Txu “conosci te stesso e conosci il tuo nemico”.
Oppure rosolatevi nelle vostre brande guardando Maria De Filippi o il calcio e non lamentatevi, perché ne perdete di dignità, a voi dico: lasciate che noialtri ci organizziamo, fatevi da parte perché non abbiamo bisogno di voi! Dobbiamo essere pecore oppure lupi? Probabilmente entrambi, lupi travestiti da pecore ed al momento opportuno tirar fuori i denti utilizzando le stesse armi che vengono usate contro di noi! Mantenete quindi vivo il vostro spirito, ognuna a modo suo, la libertà è nella propria testa, è solo il corpo che è imprigionato!
“Buoni amici, buoni libri ed una coscienza silenziosa: è tutto quello che serve per una vita ideale” (Mark Twain).
Per combattere il crimine c’è bisogno di una rivoluzione culturale, fintanto che la cultura non dilaga come un virus, potranno sempre farci 1000 soprusi... Gentile sì, ma coglioni no! Questa dittatura quindi può essere sconfitta solo combattendo l’ignoranza e loro lo sanno, lo status quo può essere abbattuto solo in questo modo con estrema disciplina ed altrettanta risolutezza.
“A volte occorre che l’oscurità regni temporaneamente, prima che un nuovo splendore si ribelli” (Adam Weishaupt). È tempo quindi di aprire gli occhi, svegliarsi ed uscire dall’oscurità! Alla prossima! Sempre e comunque a testa alta. Tiziano.
Spoleto, 23 settembre 2014
Lettera dal carcere di Piacenza
Cari compagni di Olga, vi scrivo per darvi qualche notizia sulla situazione del carcere in cui mi hanno recentemente trasferito, ovvero quello di Piacenza. Sono arrivato proprio nel pomeriggio di sabato 20, cioè poche ore dopo l’appuntamento del presidio. In ogni caso i detenuti della sezione in cui mi trovo non si sono purtroppo accorti di nulla, forse per la posizione sfavorevole all’interno della struttura. Questa sezione è riservata ai soli imputati e si trova nel vecchio padiglione, sordido e cadente, che ne contiene altre cinque. Tutti gli ambienti, a partire dalle celle fino alla saletta ricreativa e dal laboratorio, versano in condizioni strutturali ed igieniche letteralmente disastrose. La maggior parte dei detenuti che ho intorno, come nell’ordinario, sono stranieri e poveri. Molti di loro sono anche appena maggiorenni. Il volontario versa sul conto dei nullatenenti appena cinque euro mensili, ma gli articoli di sopravvento sono tutti maggiorati (a cominciare dal caffè Gimoka, che costa 1,50 a fronte del costo di 80 cent all’esterno) e perfino il listino prezzi si paga 1,20.
Ho potuto saggiare in prima persona che tipo di risposta insultante si ottiene a chiedere astratto del regolamento interno al momento dell’ingresso (come da art. 69 comma 2 e art. 36 comma 5 del D.P.R. 30 giugno 2000 chiusa parentesi). Per ottenere un po’ di tabacco in anticipo sulla spesa ho dovuto rifiutarmi di entrare in cella, assicurandomi così un richiamo disciplinare.
La sensazione che incombe è di abbandono totale: l’infermeria, l’ispettore di sorveglianza e qualsiasi possibile interlocutore a cui i detenuti vogliono rivolgerle le proprie lagnanze, latitano a tempo pieno.
In compenso è consentito tenere in cella un numero estremamente ridotto di oggetti di uso quotidiano (perfino la quantità di calzini è rigidamente limitata), le battiture sono al mattino e alla sera e le perquisizioni locali avvengono in totale spregio degli effetti personali dei detenuti. Tanto per cominciare durante la perquisizione locale si viene tutti chiusi a chiave in saletta eppure una “raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle regole europee”, alla Regola 5.8, prevede che “i detenuti devono assistere alle perquisizioni dei loro effetti personali”...
Poi c’è la corrispondenza sparsa ovunque, gli indumenti gettati in ogni angolo del pavimento senza il minimo scrupolo igienico, i libri spiegazzati e gli armadi rovesciati. Come?! Ma l’art. 74, comma 3 del regolamento di esecuzione non disponeva che “le perquisizioni nelle camere dei detenuti devono essere effettuate con rispetto della dignità dei detenuti nonché delle cose di loro appartenenza”? Naturalmente, come non ci stanchiamo di ripetere, non esiste garanzia sancita sulla carta che valga se a sorreggerla non c’è la forza collettiva delle lotte, la determinazione a porre un freno all’arbitrio di chi ci gestisce. Dentro ancor più che fuori. Con stima, Michele.
Piacenza, 26 settembre 2014
Michele Garau, Strada delle Novate, 65 - 29100 Piacenza (PC)
da una lettera dal carcere di cosenza
[...] Il giorno 30 settembre, senza preavviso alcuno, dopo oltre 3 anni di permanenza presso il carcere di Catanzaro, sono stato impacchettato e spedito presso il carcere di Cosenza. Nulla di nuovo sotto il sole e fuori dall’ordinaria quotidianità, chi legge sa ed è abituato ai continui spostamenti, benché ogni trasferimento stravolge vite, abitudini e percorsi, anche riabilitativi, intrapresi. Personalmente mi chiedo: e il diritto allo studio, anche costituzionalmente protetto? Sono iscritto alla facoltà di Sociologia presso l’Università di Catanzaro. Riuscivo a sostenere gli esami in virtù di accordi tra l’Università e il carcere che, tra le altre, prevedono la possibilità di sostenere gli esami all’interno del carcere. Cosa non possibile ora, poiché i professori non affrontano alcun viaggio per valutare la preparazione dello studente detenuto in un’altra città, dunque addio agli studi.
Cari detenuti, liberi e reclusi, chi vi scrive e saluta è Antonio Piccoli; si deve sapere che la guerra è comune, e che la giustizia è contesa, e che tutto avviene secondo contesa necessità (mai la nostra, o dei più deboli e afflitti). [...]
Dal carcere di Cosenza, un libero recluso.
Cosenza, 7 ottobre 2014
Antonio Piccoli V. le Mancini, s.n.c. - 87100 Cosenza
lettera dal carcere di padova
In una recente lettera Carmelo Musumeci ci invia iseguente appello invitandoci a diffonderlo e a raccogliere le firme indicando nome, cognome, data e luogo di nascita, carcere, da quanto si è in carcere e a spedirle alla redazione di “Ristretti Orizzonti”, via Citolo da Perugia, 35 - 35138 Padova.
Per qualche metro e un po’ di amore in più
Carceri più umane significa carceri che non annientino le famiglie
L’Europa non si può “accontentare” dei tre metri di spazio a detenuto per decretare che le nostre carceri non sono più disumane. Lo sono eccome, e lo sono in particolare per come trattano i famigliari dei detenuti: sei ore al mese di colloqui e dieci miserabili minuti a settimana di telefonata, spazi per gli incontri spesso tristi e affollati, attese lunghe, estenuanti, umilianti.
E allora chiediamo all’Europa di occuparsi anche delle famiglie dei detenuti, e di invitare l’Italia a introdurre misure nuove per tutelarle.
Siamo convinti che unirci in questa battaglia possa essere una forza in più per ottenere il risultato sperato. E noi speriamo che questa battaglia qualche risultato lo dia: una legge per liberalizzare le telefonate, come avviene in moltissimi Paesi al mondo, e per consentire i colloqui riservati. E una legge così, aiutando a salvare l’affetto delle famiglie delle persone detenute, produrrebbe quella “sicurezza sociale”, che è cosa molto più nobile e importante della semplice sicurezza.
Firmiamo per chiedere finalmente questa legge, coinvolgiamo le famiglie di chi è detenuto, ma anche quelle dei cittadini “liberi”, perché in ogni famiglia può capitare che qualcuno finisca in carcere, e nessuno più dovrebbe essere costretto alla vergogna e alla sofferenza dei colloqui, come avvengono ora nelle sale sovraffollate delle nostre galere.
Facciamo del 24 dicembre, vigilia di Natale, festa delle famiglie, una scadenza importante per sostenere, con tutte le forme di lotta non violente che riusciamo a immaginare, questa nostra richiesta.
24 dicembre 2014: per quel giorno, raccogliamo migliaia di firme, da tutte le carceri, per un po’ di amore in più.
settembre 2014
La redazione di Ristretti Orizzonti
LETTERA DAL CARCERE DI BUSTO ARSIZIO (VA)
Ultimamente qui a Busto Arsizio c’è aria di giornalismo. Mi spiego: da un lato pare che l’amministrazione stia tirando a lucido le parti “visibili” dell’istituto come se si aspettasse una visita importante, dall’altro sul giornale locale si parla del carcere con un articolo un po’ inquietante. Dovete sapere che da tempo è in programma l’apertura di una nuova sezione costruita tenendo conto delle indicazioni europee successive alla famosa sentenza Torreggiani. Sembra proprio che a breve alcuni fortunati detenuti verranno spostati in celle più spaziose con acqua calda e doccia, forse addirittura con un’illuminazione decente. In attesa dell’inaugurazione del padiglione nuovo appunto vengono ridipinti e rattoppati i corridoi della matricola, della “rotonda” e tutta l’infermeria. Unico dettaglio: i ritocchi estetici non riguardano i lati delle porte rivolti verso le sezioni e i passeggi – per ora? – Insomma, la vernice è poca e chi se ne frega se dal lato dei prigionieri mura e acciai continuano a marcire, tanto non si vede! Ci sono così tutti i presupposti estetici per un bel codazzo mediatico, tipo quello del mese scorso quando è stata presentata ai giornalisti la vasca per riabilitazione dei detenuti invalidi. Potrei dilungarmi sulla sottile crudeltà di tenere in gabbia perfino chi non è in grado di camminare, vantandosi di fargli il bagnetto fisioterapico molto molto umanitario e caritatevole ma vabbè, io sono polemico di natura. Insomma tutto è pronto per le foto, e la Prealpina che mi fa? Pubblica un articolo in prima pagina il 9 ottobre dicendo in soldoni che è ingiusto pretendere che magistrati e avvocati interroghino i fermati africani in una stanza di pochi metri quadri divisi solo da una scrivania, che c’è il rischio di prendersi l’ebola se a Malpensa un corriere non è stato esaminato bene! Benissimo. L’articolo spiega dettagliatamente i materiali isolanti che giudici e guardie dovrebbero indossare per portare qui e interrogare chi è arrestato appena sceso dall’aereo. Benissimo. Si paventa addirittura l’uso di biro usa e getta. Benissimo. A noi tutti però è venuto da chiederci: ma a parte il pressapochismo medico dei giornalisti, a parte l’allarmismo per vendere più copie, è normale che su mezza pagina di articolo non siano mai citati i detenuti come possibili contagiati? […]
Busto Arsizio, 14 ottobre 2014
Lucio Alberti, via per Cassano Magnago 102 - 21052 Busto Arsizio (VA)
lettere dal carcere di rebibbia (rm)
Un saluto a tutti voi, sto iniziando un autunno molto caldo, le nostre istituzioni sono convinte che con questi piccoli pacchetti sulla giustizia nelle nostre carceri si tornerà nella legalità più totale. Ma chi vive nell’incubo di questo inferno è consapevole che non sarà così, che tra un po’ ci ritroveremo un’altra volta nelle condizioni dello scorso anno. Bisognerebbe sostenere le varie iniziative che nel tempo si andranno a proporre ma anche noi dobbiamo far la nostra parte, perché è solo lottando che si può arrivare ad un cambiamento. Partendo dai prezzi del sopravvitto, bisogna tener presente che ogni istituto ha una società che ha vinto una gara d’appalto, ma si scorda molto facilmente che nel vincere la gara ha proposto dei prezzi che nel mercato sono al di sotto. Sarebbe sufficiente che se noi tutti vedessimo dei prezzi fuori dal normale, ci relazioniamo con i nostro magistrato di sorveglianza, oppure la scelta più efficiente, sabotare la spesa con le solite problematiche, sigarette, caffè, zucchero, ma quando prima di noi altri detenuti hanno lottato per prendersi dei benefici hanno dovuto rinunciare a qualcosa, perciò lottiamo, lottiamo, e lottiamo.
Roma, 21 settembre 2014
Marco Costantini, Via R. Majetti, 70 - 00156 Roma
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Psichiatria e controllo sociale
Nel 1952 l’associazione psichiatrica americana (APA) pubblicò il suo primo “manuale diagnostico e statistico dei disordini mentali” (DSM), che conteneva una lista di 112 tipi di disturbi. Nel 1968 il DSMII si conformò alla sezione dei disturbi mentali contenuti nella pubblicazione dell’organizzazione mondiale della sanità: la classificazione internazionale dei disturbi (ICD) che consisteva di 163 disturbi.
Gli psichiatri americani sono stati coinvolti direttamente con i comitati che hanno stilato l’ICD.
Nel 1980 fu pubblicata la terza edizione del DSM, al quale furono aggiunti 61 tipi di disturbi, raggiungendo un totale di 224 disturbi mentali.
Erano avvenuti alcuni interessanti sviluppi. Nella sezione “infanzia, fanciullezza e adolescenza” furono aggiunti 32 nuovi tipi di “disturbi mentali”, tra i quali: disturbo della condotta, disturbo da deficit dell’attenzione, disturbo della lettura, il disturbo del calcolo e il disturbo del linguaggio.
Nel 1987, nel DSMIIIR, il numero dei disturbi mentali aumentò arrivando a 253.
Nel 1994 il DSMIV elencava un totale di 374 disturbi mentali
Da osservare: nonostante le pretese tecniche, il DSM non è mai entrato nella storia della scienza e, il realtà, non ha mai rappresentato una scoperta scientifica per nessuno degli addetti ai lavori, tranne che per gli psichiatri stessi.
Il motivo è che la maggior parte dei disturbi che gli psichiatri definiscono mentali è sconosciuta e non esiste alcuna prova organica che ne attesti l’esistenza. In altre parole, nessuno dei disturbi elencati nel DSM è sostenuto da un qualsiasi criterio di osservazione diagnostica oggettiva!
Quindi: non vi è alcuna prova che uno dei 374 “disturbi mentali psichiatrici” esista del tutto; essi esistono perché la psichiatria dice che esistono.
Da diversi anni a questa parte, oggi in modo assiduo e martellante, la diffusione di psicofarmaci nei vari ambiti del sociale ha preso piede anche in Italia in un modo talmente rapido e veloce che nessuno ha mai avuto l’opportunità o l’inclinazione a chiedersi come mai hanno assunto un ruolo così importante nella vita quotidiana degli individui.
Gli psicofarmaci sono usati intensamente nelle scuole, nelle case di riposo, nei centri di riabilitazione dalle droghe, nei carceri, nei centri di permanenza temporanea per immigrati/e, e molte persone ricorrono ad essi anche per “aiutarsi” a controllare il peso, per i problemi in matematica e di concentrazione, per la mancanza di autostima, per l’ansia e per i piccoli o grandi dispiaceri di tutti i giorni. Insomma, gli psicofarmaci sono divenuti la panacea per le pressioni, oppressioni e stress della vita moderna.
Tuttavia, benché siano legali e sponsorizzati costantemente dai medici, psichiatri e neurologi, che li definiscono medicine”, sono molto doversi dai farmaci usati solitamente per la cura delle malattie organiche. Essi sono dei farmaci che alterano la mente e l’umore; ciò significa che sono in grado di cambiare non solo il modo di pensare, di sentire e di agire di una persona, ma anche di alterare quello che una persona vede. Per quanto allucinante possa essere farmacologizzare la vita degli individui, riteniamo che a nessuno debba essere negata la possibilità di scegliere l’assunzione degli psicofarmaci per se stesso, ma in tale scelta bisogna comunque avere chiaro che questi non curano, reprimono solo i sintomi fornendo altresì una temporanea fuga dalla fonte dei problemi. La maggior parte di questi possono avere degli effetti collaterali talmente gravi da incidere in tutto il corpo e soprattutto sul sistema nervoso, provocando una immediata dipendenza.
La psichiatria, con una lista di diagnosi dagli altisonanti termini scientifici, privi realmente di significato, affianca ad un prontuario di farmaci psicotropi che causano numerosi effetti collaterali e sintomi d’astinenza, convince gli individui che diagnosi e droghe siano la risposta autorevole per qualsiasi problema, grande o piccolo che sia.
Insomma, ogni motivazione individuale o sociale è ridotta ad un “problema” di salute mentale. La “medicina” sperimenta accanitamente sulla vita di bambini, adulti, anziani ed animali, obbedendo ad ordini di controllo e di tortura inerente ad un vasto progetto di morte sociale di cui la psichiatria è una delle pratiche più diffuse.
L’unica metodologia di comprensione adottata dalla psichiatria è l’utilizzo della forza e della violenza in cui la punizione è la sola terapia efficace per imporre le proprie menzogne spacciandole per verità e renderle così, assolute ed incontestabili.
Voglio condividere questa parentesi, parte fondamentale di una ricerca che sto stilando grazie a testi, documenti, ricerche pervenute anche dall’esterno, perché oggi la psichiatria è un mezzo di controllo adottato dalla società, e la si deve combattere.
Questa ricerca oltre ad avere un fine prettamente personale, affrontando in prima persona una lotta contro questi “medicinali” e questi drastici trattamenti.
Dopo una reazione un po’ calorosa di un ragazzo di 20 anni che dopo giorni passati in ospedale sotto TSO voleva solo essere dimesso, è stato legato al letto e sedato, ricoverato per un problema ne è uscito con un altro, catalogato come schizofrenico e coinvolto nel vortica dei psicofarmaci.
Io a distanza di più di due anni, essendo ristretto e riuscendo a vedere poco questo ragazzo, mio fratello, sto affrontando questa ricerca per far capire ai miei genitori che non tutte le cose che dicono questi professoroni sono vere, anche se sono laureati non vuol dire che ciò che dicono sia realtà.
Con questa ricerca voglio coinvolgere le persone che in carcere fanno uso di psicofarmaci o conoscono persone che ne fanno uso... la terapia... esistono tanti modi per superare le giornate, non diamo la possibilità di manipolarci.
Roma, 30 settembre 2014
Auteritano Domenico, via r. Majetti, 70 - 00156 Roma
solidali con imputati/e per i fatti di Piazza Verdi a Bologna
Si avvia alla conclusione il processo a Bologna per i fatti di Piazza Verdi del 13 ottobre 2007. Due dei compagni imputati per pene che arrivano fino a 7 anni per aver cercato di impedire un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO).
Complici e solidali con Madda Sirio Fede Juan e Fako. Hanno fatto quello che dovevano!
Contro la violenza della psichiatria è giusto fermare il TSO e abbattere il manicomio!
Gli psichiatri hanno fatto molte vittime ma cosa hanno imparato dagli innumerevoli casi come il TSO a Francesco Mastrogiovanni il cui supplizio – così si definisce la morte per tortura – documentato minuto per minuto e fortuitamente, caso più unico che raro, giunto a conoscenza della comunità? Niente! Continuano ad adottare pratiche basate su convinzioni affatto scientifiche; ogni loro scuola o corrente ha un proprio credo in contraddizione con quello delle altre.
Continuano sulla loro strada mortifera sperimentando tecniche sempre nuove per legittimarsi come strumento di pacificazione sociale. Operano per uniformare e conformare i cittadini a produttori e consumatori di merci; renderli funzionali e soffocare tutte le istanze di cambiamento espresse o desiderate.
Se fino a ieri, per loro, l’omosessualità era “malattia” oggi lo sono il veganesimo, l’urgenza di modificare regole sociali, l’agitazione da sfratto, l’attività dei bambini e la loro poca voglia di stare dietro a un banco preferendo correre dietro alle nuvole, eccetera. E questi sono solo alcuni esempi.
Eppure se guardassimo dentro la testa di chi subisce un TSO e dentro a quella di chi glielo impone non noteremmo anomalie fisiologiche o indizi di malattia. Possono esserci dei comportamenti più o meno tollerabili ma questo non legittima nessuno psichiatra ad entrare nei cervelli di persone non consenzienti con bisturi, chimica o elettricità.
Ci insegnano la paura e la meraviglia verso l’ubriaco che urla il suo stato d’animo in una stazione e la tolleranza verso le pratiche che annichiliscono l’individuo togliendogli senso, disumanizzandolo e rendendolo una “cosa” per tutta la vita.
Ovviamente non stiamo qui ad auspicare la tolleranza verso qualsiasi comportamento; ciò che fanno gli psichiatri, ad esempio, per noi è intollerabile: toglie libertà e dignità ad individui facendo rientrare la sacralità di un’esistenza in astruse tabelle fossilizzate. Hanno l’arroganza di credersi nel giusto quando modificano il senso e la vita agli altri e giustificano risultati e conseguenze nefaste con statistiche prive di ragionevolezza e colme di dogmi.
Quella degli psichiatri non è un’attività tollerabile ma, comunque, non è neanche un sintomo di malattia bensì l’utilizzo della religione psichiatrica come strumento per ottenere potere e continuare a mungere le menti. Questa religione serve loro per guadagnarsi un posto d’onore tra i servi che aspettano cada qualche briciola sotto al tavolo del banchetto dei potenti.
Antonin Artaud - Lettera ai primari dei manicomi
[...] Non staremo qui a sollevare la questione degli internamenti arbitrari, per evitarvi il penoso compito di frettolosi disconoscimenti. Noi affermiamo che un numero dei vostri ricoverati, perfettamente pazzi secondo la definizione ufficiale, sono anch’essi internati arbitrariamente. Non ammettiamo che si interferisca con il libero sviluppo di un delirio, altrettanto legittimo, altrettanto logico, che qualsiasi altra successione di idee o di azioni umane. La repressione delle reazioni antisociali è, per principio, tanto chimerica quanto inaccettabile. Tutti gli atti individuali sono antisociali. I folli sono per eccellenza le vittime individuali della dittatura sociale; in nome di questa individualità, che appartiene all’uomo, noi reclamiamo la liberazione di questi prigionieri, forzati della sensibilità perché è pur vero che non è nel potere delle leggi di rinchiudere tutti gli uomini che pensano e agiscono.
Senza insistere sul carattere perfettamente geniale delle manifestazioni di certi folli, nella misura in cui siamo in grado di apprezzarle, affermiamo l’assoluta legittimità della loro concezione della realtà, e di tutte le azioni che da essa derivano. Possiate ricordarvene domattina, all’ora in cui visitate, quando tenterete, senza conoscerne il lessico, di discorrere con questi uomini, sui quali – dovete riconoscerlo – non avete altro vantaggio che quello della forza. [...]
Assemblea Antipsichiatrica/Nonpsichiatrica Donoratico - 17 ottobre 2014
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Padova: Un TSO sotto i portici e gli insulti dei passanti
Sabato 25 ottobre 2014 - Apprendiamo dai media locali che nel primo pomeriggio, sotto i portici del centro di Padova, un uomo senza casa avrebbe inveito contro un gruppo di musicisti di strada sostenendo che non avressero i permessi per esibirsi in quel luogo. Di certo non il massimo dell'ospitalità e della simpatia, forse una frase che si è sentito dire spesso, ancorché declinata in modo diverso. Sul posto accorrono due moto e un'unità cinofila della Polizia Municipale che, sei contro uno, cercano di infilare l'uomo nel vano del veicolo adibito al trasporto dei cani. La violenza dei vigili urbani suscita quantomeno l'irritazione dei presenti, che numerosi iniziano ad insultarli chiedendo loro di lasciarlo andare. Si apprenderà poco dopo che l'uomo, grazie a una firma dell'assessore alla sicurezza Maurizio Saia, è stato sottoposto a un Trattamento Sanitario Obbligatorio, tecnica di repressione psichiatrica a cui, in una simile circostanza, alcuni compagni e compagne si erano fisicamente opposti senza limitarsi alle grida di sdegno, scelta per cui ora sono sotto processo.
28 ottobre 2014, da informa-azione.info
Lettera dal carcere di Velletri (rm)
[...] Vi racconto un fatto accaduto in questo istituto c/c di Velletri. In data odierna 11 settembre si è presa notizia che c’è stato un altro “suicidio” presso il reparto di isolamento del carcere di Velletri.
Ho parlato con un infermiere fisioterapista, che ho incontrato sul corridoio dell’infermeria riguardo al suicidio che è successo all’isolamento. Mi ha raccontato quanto segue.
In isolamento dove c’è stato il suicidio, erano in isolamento padre e figlio, il padre di 55 anni ha avuto un malore e le continue insistenze di aiuto da parte dei detenuti ristretti al reparto di isolamento, gridano gridando, sbattendo per chiamare la guardia e un supporto di un dottore ma c’è stata indifferenza, perché pensavano che quest’uomo di 55 anni facesse finta e invece è morto d’infarto. Ma lo stesso giorno, e poco dopo il figlio si è suicidato questo è quanto da modificare sulla lettera.
Brutta storia... Il padre che stava male ed è morto d’infarto ed il figlio che non ha preso la bolla e del comportamento della direzione e dei dottori il figlio ha preferito uccidersi.
Porgo i miei più distinti saluti a tutti voi con rispetto e onore verso i vostri confronti.
[...] Le mie più sentite condoglianze a questa famiglia che non conosco, ma che ora sta soffrendo molto per colpa del carcere che ci opprime buttandoci in una cella di isolamento, colpa del sistema che non funziona.
A presto vostre mie notizie. ... L’anarchia... È l’unica via... Lottiamo, lotteremo sempre
Anarchico ombra Romano resistente
Velletri, 6 ottobre 2014
Claudio Perrone, via Campoleone, 97 - 00049 Velletri (RM)
Da una lettera dal carcere di Cremona
[…] Poi c'é stata la protesta al carcere vecchio del 28 agosto, sempre riguardante i soliti argomenti menzionati prima, mancanza di educatori e assistenti sociali, ecc. In infermeria manca tutto, c'é la tachipirina per tutti i mali e invece ci sono psicofarmaci a volontà, basta chiedere, così la gente sta buona e non si taglia oppure come è successo due mesi fa a un tunisino che provocato dall'agente che gli diceva “ma voi che vi tagliate vi fate solo dei graffietti e fate le vittime, se avete coraggio tagliatevi le palle!” e lui di tutta risposta è tornato in cella e poco dopo ha chiamato l'agente che era li vicino e gli ha messo le palle in mano ed è svenuto, il resto lo lascio immaginare a voi! E vi giuro che questa non è una delle solite dicerie! Anche perché solo pochi giorni fa, mentre ero in infermeria per un elettrocardiogramma (perché soffro di epilessia ed avendo avuto degli attacchi...) è giunto un cinese che fino a due mesi fa era nella mia sezione, poi è stato spostato, era troppo depresso, insomma era stato portato in infermeria sanguinante perchè si era tagliato il pene! E subito dopo portato d'urgenza in ospedale che qui è di fianco al carcere.
Ma tornando alla protesta violenta accaduta nella parte del carcere vecchio, dopo quello che è accaduto lì nulla è cambiato, almeno qui al nuovo, non so al vecchio ma credo che anche lì sia così. Anzi qui è cambiato qualcosa ma in peggio e cioè noi qui prima avevamo un'infermeria al primo piano nella sezione G dove sono io e dove si poteva consultare il medico per qualsiasi cosa e veniva usata per tutti e quattro i piani, ora invece c'é solo la vecchia infermeria situata nel vecchio carcere che oltre che c'é un lungo percorso, c'é anche una lunga fila, quindi se qualcuno sta male grave oltre a non esserci barelle (l'ascensore è rotto da giugno...) c'é un lu ngo percorso da fare con un sali e scendi di scale. Poi ci hanno tolto l'interfono per chiamare le guardie quando siamo chiusi e di sera e di notte non sono al piano ma giù al piano terra nell'ufficio del caporeparto e per avvertire che qualcuno sta male devi fare un casino della madonna e segnali tramite le sbarre con un lenzuolo o qualcosa di visibile dalla telecamera con la speranza che ti veda e accorra e, dopo aver accertato i fatti, che scenda giù e chiami dottori o altro dal carcere vecchio, in casi gravi sono i detenuti che ti portano di peso.
Poi per prendere ancora di più i detenuti per il culo o per far calmare le acque dopo i fatti accaduti, sia al carcere vecchio in un modo e sia al nuovo in altre maniere, hanno messo dei volantini con scritto che iniziano dei corsi da fine settembre e altri da ottobre, per cui chi voleva partecipare doveva farlo tramite domandina e, nel nulla che c'era stato finora, questi corsi erano una boccata di ossigeno. I corsi elencati erano: alfabetizzazione per stranieri, scuola media, corso di informatica, corso di inglese, attività di lettura dei giornali, attività di gestione biblioteca, sala musica, palestra (e pensavo avessero aperto una palestra nella parte nuova dato che lo spazio nella parte vecchia con tutti gli strumenti sono in uno stato pessimo e inutilizzabile), campo sportivo (con tornei organizzati), corso di corsa, progetto Alchimia giardinaggio-orticultura... Dopo aver letto questo volantino tutti i detenuti, credendo che la loro giornata potesse passare in maniera diversa e magari imparare qualcosa, si sono affrettati a far domandine per poter partecipare a uno o più corsi senza sapere la sorpresa che è arrivata quando dal 20 settembre in poi sono stati chiamati dall'ispettore che doveva comunicargli se accettavano o no la partecipazione ai corsi, così gli era stato detto dall'agente al piano quando venivano chiamati e come potete immaginare avendo fatto la domandina tutti volevano partecipare al corso in cui si erano iscritti tramite domandina, senza immaginarsi la sorpresa avuta una volta giunti a colloquio con l'ispettore, che dopo aver chiesto se veramente voleva partecipare al corso e dopo la risposta affermativa, la seconda domanda era se il detenuto era disposto a trasferirsi e dopo l'iniziale stupore del detenuto e alla successiva domanda sul perché dovesse trasferirsi per fare il corso, con nonchalance la risposta dell'ispettore è stata perché i corsi non si svolgono qui ma a Biella. Dopo questa ennesima presa per il culo ci sono state varie proteste che oltre a farci dire dal comandante che non ci sono i fondi per poter istituire dei corsi, ci hanno anche proibito l'uso del campo per 15 giorni e con ancora l'assenza di educatori e assistenti sociali.
E finisco questa lunga lettera con una storia (che fa capire come viene gestito questo carcere di merda) accaduta a un detenuto rumeno con gravi problemi psicologici che lo fanno comportare come si comporterebbe un bambino, ad esempio qualsiasi cosa tu gli dici lui la fa senza pensare come ad esempio essendo nullatenente e fumatore se tu gli dici ti do una sigaretta vai a baciare quello o qualsiasi cos'altro lui lo fa! E con tutto che sia i detenuti, gli agenti, i dottori, la psicologa durante tutto il tempo che sono qui e lo conoscono non è stato seguito da nessuno, né visitato da una psicologa o assistente sociale per fargli avere qualcosa di alternativo al carcere che oltre agli psicofarmaci non gli dava nulla per migliorare la sua condizione cioé di non parlare con nessuno o ripetere quello che gli chiedi e camminare da solo avanti e indietro. E questo fino a ieri e alle conseguenze assurde che gli sono state inflitte dal comandante. Ora vi spiego ciò che è accaduto ieri.
Per noi della sezione G in mattinata possiamo andare al campo, io non scendo insieme ad un altro detenuto mentre tutti gli altri compreso Adrian (il detenuto rumeno) scendono giù e mentre gli altri giocano a pallone Adrian, come al solito, cammina intorno al campo e mentre camminava Adrian nota che il cancello (che è sempre chiuso e dà sul piazzale e che può portare sia alle cucine, sia alla portineria, da dove si esce dal carcere) è stato lasciato aperto (dimenticanza dell'agente) e lui nella sua ingenuità l'ha varcato. Una volta nel piazzale deve essere stato visto da dei detenuti del secondo piano che sapendo (bastardi) che lui fa qualsiasi cosa gli dici hanno iniziato a strillare dicendogli di andare verso la portineria e suonare dicendo di essere liberante. Dopo essere stato cacciato dalla portineria è tornato di nuovo nel piazzale e di nuovo quei bastardi del secondo piano gli hanno detto di andare verso la cucina (al cui esterno c'erano dei carrelli con i rifornimenti) e di prendere due pacchi di farina e di portarli al campo che l'indomani ci avrebbero fatto il pane e così lui ha fatto, e quando è stato visto dai miei compagni di sezione non hanno avuto neanche il tempo di chiedergli dove avesse preso quella farina che è arrivato un esercito di agenti con a capo il comandante e l'ispettore che senza proferire parola l'hanno pestato e portato via. Alle altre persone le hanno fatte risalire in sezione al 1° piano e così anche noi due che eravamo rimasti sopra abbiamo saputo cos'era successo e abbiamo anche associato le urla che avevamo sentito ma senza capire verso chi erano dirette sennò saremmo intervenuti dicendo ad Adrian di tornare al campo, anche perché queste stronzate che gli hanno fatto fare, per primo l'hanno portato in isolamento e anche se noi spiegando al comandante (andando io di persona a parlare) che oltre le sue condizioni che conoscono molto bene era stato indotto a fare ciò che che ha fatto, abbiamo anche fatto una raccolta di firme per farlo tornare in sezione spiegando che nonostante le sue condizioni noi lo aiutavamo e nel suo piccolo si divertiva oltre a mangiare e fumare con noi. Ma di tutta risposta ci è stato detto che ormai era tutto in mano al magistrato e il reato era di evasione e furto... Fate voi in che schifo siamo, che invece di aiutarlo gli hanno peggiorato la vita a questo pover'uomo a cui mancavano ormai pochi mesi ad uscire, e invece ora da come ci han detto dovrà rispondere alle domande del giudice e io mi chiedo come farà dato che quando gli poni delle domande o ti guarda senza rispondere e poi ti chiede una sigaretta, oppure ti ripete ciò che gli hai chiesto!
Più che rinchiusi e abbandonati a sé stessi non so che dirvi!
Nessun recluso, nessun escluso. Dentro ogni gabbia un cuore pulsante di libertà. Amor y rabia.
25 settembre 2014
Claudio Giannuario, via Palosca 2 - 26100 Cremona
lettere dal carcere di bergamo
Di seguito riportiamo alcuni stralci di una riflessione fatta qualche anno fa dal carcere di Parma e inviataci di recente.
[…] Ora, accade che dai detenuti più “vecchi”, ci si aspettino delle risposte più accomodanti a 360 gradi, quando si tratta di porre rimedio a qualsivoglia situazione che li chiami in causa, questo, se da una parte da modo di farsi conoscere e ben considerare, anche e soprattutto di fronte a una ritrovata buona condotta, dall'altra, ti mette in una situazione impegnativa, ovvero, come detto, da un detenuto “affidabile”, ci si aspettano risposte più accomodanti a tutta una serie di quesiti e questa è una buona cosa, ciò che non è il massimo, è che il detenuto in questione sia “utilizzato” affinché la sua presenza in una sezione, contribuisca a che nella stessa, vi sia l'equilibrio in oggetto. Come aspettativa-richiesta, oltre ad essere onerosa, si discosta da quella che è la condizione di detenuto e possibilmente, espone lo stesso a “rischi” tali, da compromettere il suo percorso di crescita e riconsiderazione di quello che è il viver civile, in qualche modo inoltre, è un po' un demandare i propri compiti di custodia a chi per definizione, non può e non deve ricoprirne. Ad ogni modo, con un po' di tempo, si è venuti a capo anche di questa situazione, senza che nessuno dovesse “sacrificare” troppo del proprio. Come già detto, in questo caso, c'é stata la volontà e la voglia, di comprendere l'esigenza del momento, anche se discutibile, infatti, ne io ne nessun altro detenuto, deve essere “utilizzato” come ago della bilancia, in nessun modo, soprattutto se ciò avviene per un'incapacità nel gestire uno o più detenuti problematici, questo, perché chiunque lo facesse, si troverebbe in difficoltà e anche così non fosse, il merito del momento, non sarebbe magari riconosciuto in altra situazione e anzi perseguito, gettando il detenuto in confusione […]
Ora come ben si sa, non ci sono soldi, personale ecc. ecc. Quindi ogni categoria in gioco, ha i suoi motivi di dissenso, dunque mi chiedo, può essere questo motivo di attuare un atteggiamento lassista? Per fare qualche esempio, l'infermiera, chiamata più del solito a dover salire in sezione per il malessere di un detenuto, potrebbe a “giusta” causa lavarsene le mani? L'agente di custodia cui venisse chiesto il tal interessamento per la tal pratica, potrebbe ritenersi in diritto di far finta di non sentire? L'accesso nell'istituto ai volontari, potrebbe essere interdetto, o concesso in misura notevolmente minore, rispetto al necessario consentito? La promozione di eventi, corsi, momenti di aggregazione (catechesi, cineforum, ecc.), gruppi di studio e non, può essere considerato un di più e passare in secondo piano, invece di essere considerato parte integrante del vivere la detenzione nel migliore dei modi possibile? […]
20 ottobre 2014
Dattilo Luca, via monte Gleno 61 - 24125 Bergamo
***
[…] Leggendo l’opuscolo ho letto il nome di Fabiani Michele, ero con lui in carcere a Sulmona. Lo voglio salutare e ringraziare per l’aiuto che mi ha dato. Voglio anche che sappia che io sono in corrispondenza con alcuni compagni del carcere di Terni. Sto sempre solo in cella e parlo con poche persone e sto “bene”, se si può stare bene in carcere!Vi mando cari saluti cari compagni e compagne. Vi ringrazio per il vostro impegno.
Bergamo, 7 ottobre 2014
Sabanovic Jasmir, via monte Gleno 61 - 24125 Bergamo
quando piove abbiamo un brivido e sappiamo di chi è colpa
Ogni volta che piove abbiamo un brivido per quello che potrebbe accadere, e quando il disastro si manifesta però, sappiamo anche di chi è la colpa.
Nel paese dove prioritari sono il Terzo Valico, il Tav e tante opere inutili, la sicurezza dei territori e la salvaguardia delle vite vengono sempre dopo. Le lobby politiche ed economiche usano tutto il potere di persuasione che hanno, a mezzo stampa soprattutto, per convincere l’opinione pubblica di quanto siano portatrici di progresso, posti di lavoro e benessere, le loro grandi opere inutili, le continue colate di cemento su territori che non ce la fanno più.
Noi sappiamo bene che non è così, e non abbiamo bisogno dell’ennesima tragedia per capirlo. Ci siamo rassegnati all’idea che non avremo mai una classe politica in grado di non pensare ai territori come bacini elettorali e luoghi dove far costruire le ditte amiche di turno. Mai come oggi, dove il Governo Renzi parla di progresso e modernità vediamo attuare politiche territoriali vecchie, e nocive, basate sul tunnel più lungo o sul licenziamento più facile. Pensano di incarnare il futuro e invece ragionano come nella preistoria, questa è la realtà.
L’alluvione di Genova, dell’alessandrino e dell’Emilia dimostrano come non ci sia nessuna credibilità in quelli che poi versano lacrime di coccodrillo dopo che accade la tragedia.
Ogni volta che un fiume esonda, che il tetto di una scuola cade o un presidio sanitario viene chiuso, la nostra determinazione aumenta, e avendo sotto gli occhi la devastazione del nostro territorio e un cantiere inutile, difeso da centinaia di uomini delle forze dell’ordine, siamo sempre più consapevoli di essere nel giusto, di lottare in una direzione utile al futuro di tutti.
Pur pagando un prezzo altissimo in termini giudiziari, non accettiamo più scuse di sorta, o s’investe nelle piccole ed utili opere di salvaguardia del territorio, nel miglioramento della qualità della vita dei cittadini o ci troveremo sempre a fronteggiare l’ennesima tragedia.
Da tempo abbiamo scelto da che parte stare e sappiamo di avere ragione e credibilità nel portare avanti una lotta popolare che parla il linguaggio di sempre più uomini e donne.
Nel dare solidarietà alle popolazioni colpite dalle alluvioni e dalle esondazioni, diciamo a tutti che fermarli è possibile, ma soprattutto che fermarli continua a toccare a noi, tutti e tutte.
In ultimo chiediamo, vista la necessità di manodopera, nei territori colpiti, che le forze dell’ordine impiegate al cantiere di Chiomonte, invece che stare a presidiare il buco della democrazia e il danno più grosso all’economia del paese degli ultimi anni, prendano stivali e pala e vadano a spalare insieme ad i cittadini, attività senza dubbio più utile alla collettività.
Il movimento No Tav in assemblea, Bussoleno 20/10/2014
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a novi e tortona fermati gli sciacalli del cociv
Si sa che i No Tav – Terzo Valico hanno un grandissimo difetto: sono donne e uomini, giovani e anziani che dicono quello che pensano e fanno quello che dicono. Così ieri un centinaio fra attivisti dei comitati e cittadini hanno risposto all’appello lanciato dal movimento a mobilitarsi ancora una volta per fermare gli espropri del Terzo Valico.
A Novi l’appuntamento era stato lanciato nei giorni scorsi per impedire l’esecuzione di quattro espropri alla Pieve, zona alluvionata la settimana scorsa, mentre a Tortona solo nelle ultime ore era stato lanciato l’appello da parte del comitato tortonese a bloccare due espropri nella frazione di Rivalta Scrivia. Così gli attivisti e i cittadini si sono divisi in due diversi blocchi e pale alla mano hanno atteso fiduciosi l’arrivo di chi ha pensato bene di eseguire gli espropri pochi giorni dopo l’alluvione che ha messo in ginocchio l’alessandrino.
Gli sciacalli del Cociv hanno pensato di girare alla larga dai presidi e non si sono fatti vedere, mentre alcune pattuglie della digos controllavano da distante l’evolversi della giornata. Come sempre morale alto, ottimo cibo e vino di qualità in abbondanza, sono stati gli ingredienti che hanno permesso che una nuova giornata passasse in serenità fra discussioni, partite a calcio e molti sorrisi. A rendere la giornata ancora migliore sono arrivate le graditissime delegazioni No Tav dalla Valle di Susa e da Torino a rimarcare una volta in più lo strettissimo rapporto di complicità e solidarietà che lega chi lotta contro le grandi opere inutili devastanti per l’ambiente e la salute di tutti.
Se non arriveranno altre lettere nei prossimi giorni, la resistenza agli espropri si sposterà nuovamente ad Arquata Scrivia il prossimo 19 novembre quando ad essere a rischio esproprio sarà parte del terreno che ospita il Presidio No Tav di Arquata a Radimero. Già da oggi possiamo affermare con certezza che quella sarà una giornata certamente impegnativa come quella dello scorso 30 luglio a Serravalle e ad Arquata. Il tempo per eseguire gli espropri stringe e sarà molto improbabile che rinunceranno ad eseguire i loro intenti come avvenuto nella giornata del 10 settembre. Già da oggi facciamo appello a tutte e tutti gli attivisti No Tav – Terzo Valico e a tutti i solidali italiani a mobilitarsi in massa in quella giornata per resistere ancora una volta tutti insieme all’arroganza del Cociv e della classe politica che vuole costruire ad ogni costo il Terzo Valico. Nei prossimi giorni seguiranno indicazioni più precise.
22 ottobre 2014, da notavterzovalico.info
DAL PROCESSONE contro il movimento NO TAV
Udienza di venerdi 3 ottobre 2014
E’ l’ultima della “fase istruttoria”, alla quale seguiranno la fase delle discussioni”, cioè, la requisitoria della pm, le arringhe della difesa, infine, la sentenza prevista il 20 gennaio 2015. All’inizio difesa e anche accusa avanzano “richiesta di prove”, fra queste anche l’acquisizione di articoli di giornale su dirigenti dell’LTF (Ferrovia Lione Torino). Sull’infiltrazione della n’drangheta… il tribunale le respinge perché “gli articoli della stampa non rientrano nella nozione di prove”. Seguono subito dopo le letture dichiarazioni di quattro imputati, riportate più avanti.
Per oltre 4 ore viene ascoltato un consulente tecnico dei video incaricato dalla difesa; ha già svolto un eguale impegno nel processo per il G8 di Genova nel 2001. In breve, ha ricomposto, meglio, sincronizzato video e foto portati in aula dall’accusa (le riprese della “polizia scientifica” comprese quelle raccolte dagli elicotteri) e dalla difesa relative alle giornate del 27 giugno e 3 luglio 2011. E’ riuscito a far scorrere contemporaneamente nello stesso quadrante televisivo tre fonti di video e foto. Cosi, ad esempio, vengono superati i tagli di “gaia” (il nome in codice dei video della polizia) che fa vedere le cime degli alberi mentre a terra i manifestanti vengono pestati, oppure, dove taglia i comandi dei poliziotti “sparagli in faccia” (i lacrimogeni), “ammazzali tutti”…
Udienza di martedì 7 ottobre 2014
E’ una giornata dedicata alla requisitoria, cioè all’orgia del tribunale espressa dalle pm. Loro la iniziano con inni, inchini all’agire della polizia, insomma con una cosciente provocazione-aggressione alla resistenza dei manifestanti tesa per impedire lo sgombero della Maddalena (Chiomonte), dove invece lo stato aveva deciso di installare il primo cantiere in Val di Susa. Subito dal pubblico come da noi partono risa e commenti ai quali la corte risponde con la minaccia di sgombero. Dunque la pm inizia.
Parla dei numerosi testi della difesa dicendo che sono stati per lei inutili e dispregiativi delle forze dell'ordine (ricordiamo i numerosi e attendibili testimoni che si sono prestati a contestualizzare quelle giornate, ribadendo come si è arrivati all'imponente manifestazione nazionale e le ragioni della lotta Notav: tutto sotto il segno di provocazioni e intimidazioni nella militarizzata aula bunker del carcere Le Vallette).
Afferma che nelle giornate di resistenza del 27 giugno e del 3 luglio 2011 le forze dell'ordine hanno agito in termini legali e in maniera del tutto consona (ricordiamo invece i più di 4mila gas al cs lanciati vigliaccamente ad altezza d' uomo anche su manifestanti anziani, famiglie con passeggini e su tutti e tutte gli oltre 70 mila Notav, arrivati da tutta Italia e dall'estero, indiscriminatamente. Noi non possiamo fare a meno di ricordare i pestaggi da parte degli agenti, sempre in tanti contro uno, nei confronti dei 4 arrestati in quel giorno).
Continua sostenendo che gli imputati-e mantengono anche in aula l'arroganza, lo scherno nonchè il poco rispetto nei confronti dei Tribunali e artificiosamente, sulla base di tali riflessioni, si domanda retoricamente come potevano essere le condotte tenute durante i giorni degli scontri. A questo punto le provocazioni diventano troppe e dagli imputati si alza una voce: “l'arroganza se la tenga per lei quando ha riso di fronte...” , il compagno intendeva concludere dicendo di fronte ai filmati che ritraevano manifestanti inermi massacrati dagli agenti. La corte perentoriamente interrompe dicendo “stia zitto, vada fuori!” . La risposta è “a chi stia zitto? Io parlo quanto voglio, anzi..” e inizia così, tra mille evidenti difficoltà, la lettura di un comunicato collettivo che viene portato a termine e che noi riportiamo di seguito.
“Esiste unna violenza legale ed una illegale. Noi siamo accusati della seconda, voi vi fate forza della prima ed essa è fondamento della legge alla quale vi appellate.
La violenza di stato è ciò che ha reso e rende possibile che chi detiene il potere possa cercare di costringere un’intera popolazione dall’astenersi a compiere un determinato atto, in questo caso lottare contro un’opera nefasta e distruttiva come il Tav e parallelamente possa creare le condizioni per continuare ad imporla. Non risuona familiare a lorsignori quest’espressione?
Avete accusato di terrorismo i nostri compagni arrestati per l’attacco al cantiere Tav avvenuto il 13 maggio 2013. Siamo al loro fianco e a fianco di tutti gli inquisiti in processi per la lotta contro il Tav. Difendiamo e condividiamo ogni azione commessa contro la realizzazione del cantiere Tav in Val Susa, dalla resistenza del 27 giugno 2011, all’assedio del cantiere del 3 luglio 2011, all’attacco notturno del 13 maggio 2013. Ciascuno di questi episodi parla la stessa lingua: quella dell’opposizione ad un’opera inutile che dà profitto alle tasche di pochi e distrugge le vite di molti, sostenuta da un sistematico uso della violenza legalizzata della quale vi fate forza.
Non cerchiamo giustizia in questo tribunale, abbiamo lottato e continueremo a lottare contro il Tav”.
Con l’aiuto dei coimputati, riusciamo a leggerlo nonostante i tentativi dei cc, ordinati dalla corte, di strapparcelo di mano e di spingerci fuori dai banchi. Immediatamente dopo, assieme al “pubblico”, urliamo “Giù le mani dalla Valsusa”, “Sabotare non è sbagliato quel cantiere ce l’ha insegnato”… La corte è già scomparsa mentre i cc senza eccessiva agitazione ci premono per farci uscire dal recinto imputati e farci entrare in quello del pubblico” – che ci abbraccia.
Dopo circa una mezzora gli avvocati portano la notizia della decisione della corte, ossia, continuazione del processo ma a porte chiuse”, cioè senza pubblico oltra all’espulsione fino all’udienza della sentenza di chi ha direttamente interrotto la pm. Ci dicono inoltre che se non usciamo con le nostre gambe in aula entra la celere ecc.. La decisione comune presa al volo è: non ingigantire la già vistosa ostilità del tribunale verso la difesa. Il processo riprende, nei modi ordinati dalla corte, dopo oltre un’ora con la lettura della requisitoria, conclusa verso le 17.
Ora le provocazioni possono essere ancora più sfrontate. La pm, come un disco rotto, ricalca la tesi della procura torinese conseguente alla retata in grande stile del 26/01/2012. Continua sostenendo che all'aula non interessa la legittimità dell'opera Tav: “qui non è il TAR”, “a questi imputati e non solo non interessano le presunte nobili motivazioni ma tengono in scacco i valsusini buoni e vari Notav con le loro azioni violente”, “questi qui volevano solo sfogare i loro istinti primordiali contro gli agenti”, “sono professionisti della violenza ed hanno utilizzato le ragioni Notav per semplice pretesto”, “la storia dei lacrimogeni non convince perchè sono stati lanciati per difesa dagli agenti”, ecc; a questo punto si raggiunge l'apice perchè si ribalta il concetto che chi manifestava, a vari modi, si è opposto alla violenza delle forze del “dis”-ordine e chiaramente non è in discussione la violenza in quanto tale ma la risposta alla violenza di Stato che non viene riconosciuta! Sottolinea che la questione citata dalle difese di alcuni che tirano dei sassi come gesto simbolico, non è accettabile... l'unico gesto simbolico accettabile per l'accusa è l'autolesionismo riportando l'esempio di Jan Palach (*), che si diede fuoco per protesta davanti ai carri armati sovietici!; siamo al paradosso: l'accusa che da indicazioni su come devono comportarsi i manifestanti ossia solo gesti individuali e autolesionisti sono ammessi mentre l'agire collettivo è sempre visto male... verrebbe da dire datevi fuoco voi se ci tenete tanto!
Indispettita, dichiara che nè gli imputati-e nè i testi della difesa, hanno fornito elementi in più rispetto a quelli formulati dall'accusa; molti si sono “addirittura” avvalsi della facoltà di non rispondere, tanto durante le carcerazioni preventive quanto a piede libero e le dichiarazioni presentate da qualcuno-a (con artificio retorico) vengono considerate come ammissioni dei propri “crimini”. A questo punto una compagna imputata grida “perchè non confessate voi i vostri crimini? ASSASSINI!”. Il presidente si scuote dal torpore e minaccia di espellere anche lei.
La pm riprende affermando, relativamente alle dichiarazioni degli agenti feriti, che hanno occupato mesi e mesi di udienze, “non voglio ripetere le dichiarazioni delle parti offese...” probabilmente perchè imbarazzanti, anche per lei, in quanto contraddittorie, cambiate più volte e tante palesemente false, passati agli atti da una Corte che si comporta come passacarte dell'accusa.
Per completare la farsa, la stessa pm, dichiara che vi erano centinaia e centinaia di persone in atteggiamento paramilitare, che coordinati si alternavano nell'aggressione alle “brave forze dell'ordine che addirittura avevano l'ordine di non reagire”. Sostiene inoltre che “c'era il corteo pacifico ma ai manifestanti imputati-e non interessava: l'importante era avere il pretesto di prendere parte alla guerriglia vera e propria”.
Traccia infine il “profilo” di ogni imputato-a con tanto di aree politiche di appartenenza, ambienti, sedi politiche e spazi sociali frequentati, percorsi e trascorsi di militanza tutto chiaramente visto in chiave di aggravante quasi a sottolineare come, per la magistratura tutta, l'essere attivi nelle lotte rappresenta un accusa già di per se!
Conclude, riformulando la retorica teoria del “concorso morale” sostenendo ancora una volta che tutti-e sono responsabili di ogni singolo fatto verificatosi e pertanto di ciò devono rispondere; se ne deduce che, anche la sola presenza in Valsusa quei giorni, ha rappresentato elemento di accusa: questo è il monito che vogliono dare! Quindi per la procura il solo prendere parte a certe manifestazioni, indipendentemente dalle condotte tenute, è di per se reato.
Nella fase finale la richiesta delle condanne: riservandosi l'udienza successiva per le pene accessorie. Queste sono state così ripartite: 6 anni, 4 anni, 3 anni e dieci mesi per i più fino a scalare per un totale di più di 190 anni di galera.
Al termine è stato precisato che “a porte chiuse” si svolgerà ancora la prossima udienza (14 ottobre) in cui interverranno le parti civili, poi le dovrebbero tornare ad aprirsi.
* Il 16 gennaio 1969, moriva Jan Palach, studente di filosofia all’Università di Praga, che si diede fuoco alla maniera dei monaci buddisti (il riferimento è ai monaci, che nel corso degli anni ‘60 in Vietnam, si davano fuoco contro l’invasione americana) in Piazza San Venceslao per protestare contro l’occupazione della Cecoslovacchia da parte delle forze del Patto di Varsavia.
Udienza di martedì 14 ottobre 2014
Parlano le parti civili esprimendo le loro richieste relative ai risarcimenti. Sembrava che nell'udienza precedente si fosse raggiunto il massimo, invece per il “tentativo di schiacciamento” che vogliono imprimere non vi sono limiti. L'avvocatura dello Stato ribadisce il concetto del concorso morale perchè a suo dire i manifestanti avrebbero dovuto andarsene. Su un ristretto numero di imputati rincara la dose attraverso la narrazione dell'episodio dell'agente caduto nel bosco tra i manifestanti, lasciato solo dai suoi “colleghi” per “ragioni di Stato” in quanto non si volevano creare ulteriori tensioni e contatti tra manifestanti e forze dell'ordine. Chi ha telefonato per il “rilascio quasi immediato del poliziotto” è complice di quello che ha chiamato un sequestro di persona. Richiede che venga valutata (e suona strano che lo faccia a fine processo) per i tre imputati a suo dire vicino alla zona, l'imputazione dell'art 605 cp (sequestro di persona) con l'aggravante dell'articolo 289 bis cp (sequestro di persona a scopo di terrorismo ed eversione).
Afferma che anche qualora gli agenti avessero fatto le peggiori nefandezze comunque i reati erano stati compiuti prima. Con la prova dei filmati si evince palesemente che è tutto falso. Attacca anche gli avvocati della difesa perchè presenti in quelle giornate, fatto positivo a suo dire per interloquire e pacificare gli animi, però ad un certo punto dovrebbero “togliersi la casacca” e decidere da che parte stare. Insomma, in un certo senso per lui anche gli avvocati sono colpevoli.
L'avvocato di LTF (azienda truffaldina nell'opera per il Tav), inizia col dire che come ha affermato l'accusa, la legittimità o meno dell'opera non è in questione in questa sede. Senza pudore, però si contraddice, parlando per 20 minuti della legittimità dell'opera e del mandato dell'azienda che rappresenta. Per lui gli interessi violati sono relativi all'immagine e ad una recinzione sfondata. Si rimette alla decisione della corte paventando richieste di risarcimento per 1 milione di euro in blocco per molti-e imputati-e.
Si susseguono le arringhe degli avvocati dei vari sindacati di polizia, carabinieri, guardia di finanza e una sfilza di agenti singoli, che in sostanza per le richieste risarcitorie si rimettono ai processi civili (quando inizieranno) e nell'immediato chiedono alcune somme. Le richieste generiche, scaglionate verso blocchi di imputati-e, ammontano a circa 650mila euro per i tre ministeri, svariate decine di migliaia di euro per i vari corpi di forze dell'ordine altrettanti per le aziende del Tav e per la sfilza di agenti costituitisi parti civili.
L'ammontare delle richieste si aggira intorno ai 2 milioni di euro in solido. E' chiaro, oltre all'aspetto penale, l'intento di strangolamento anche economico degli imputati-e.
Il processone riprenderà martedì 28 ottobre, per dare spazio alle tre o quattro udienze in cui parleranno le difese, e la sentenza è prevista il 20 gennaio 2015.
Milano, ottobre 2014
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Sabato 11 ottobre, saluto al carcere di Vigevano: “Vogliamo i fatti”
E’ ormai buio quando in tant* ci incontriamo nel pratone laterale al carcere dove si affacciano un poco distanti una sessantina di celle. Dall’altra parte delle sbarre ci vedono, ci salutano subito con l’urlo ‘Libertà’ seguito da ‘Vogliamo i fatti’ … ‘Venite con le armi vere’… ‘Kalaschnikov’… Urliamo che siamo lì anche per salutare Graziano arrestato in giugno per il sabotaggio al cantiere Tav di Chiomonte, trasferito lì da qualche settimana. Ci rispondono che ‘sta bene’.
L’incontro si infiamma allo scoppio dei botti che illuminano una gigantesca scritta ‘Libertà’ ben visibile dalle celle. Questi scambi vanno avanti per oltre un’ora, quando urliamo gli indirizzi per scriverci, per tenersi in contatto…
Nei giorni successivi, veniamo a sapere che, i carcerieri hanno chiuso in cella i prigionieri, fermando le ore di socialità previste. Questo da un senso ancora più indicativo del clima di ricatti, pressioni che si vive nelle carceri superato con forza concretamente dallo slancio dei prigionieri.
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Saluto a chi si trova nel carcere di Alessandria (S. Michele)
Sabato 4 ottobre 2014 nei campi attorno al carcere ci incontriamo almeno in una quarantina per portare solidarietà a tutte le persone che in quella galera si ribellano, resistono a ricatti, prepotenze, aggressioni e peggio adoperati dai carcerieri per tentare di piegarli. In particolare ci rivolgiamo ai compagni della sezione AS2 sottoposti al processo relativo al sabotaggio al cantiere Tav di Chiomonte e dove ci sono compagni ai quali è stato imposto il processo in video conferenza.
Riusciamo a sentire l’urlo “Libertà” gridato da dentro, al quale ci uniamo più volte con “Fuori tutti dalle galere dentro nessun solo macerie”, ma anche con battiture sull’inferriata che circonda il carcere.
Con interventi più prolungati lanciati attraverso microfono+casse, assieme a pezzi musicali comunichiamo ….le proteste scoppiate nelle settimane scorse nelle carceri di Cremona (fermata all’aria, rottura delle telecamere nei corridoi…) contro la latitanza del giudice di sorveglianza di Spini di Gardolo (Trento) – per le stesse ragioni aggravate, negli ultimi mesi dal suicidio di tre prigionieri.
Sul finire, quando è già buio, la parola “Libertà” scritta con caratteri giganteschi (in tondino) avvolti con stracci, che incendiati, riescono a vederla e salutarla da dentro assieme a chi è fuori.
Questa giornata è stata voluta, anche, nonostante e contro i fogli di via inviati proprio dalla questura di Alessandria ad almeno 40 compas, perché partecipanti a presidi realizzati nel febbraio-marzo scorsi attorno allo stesso carcere.
Rovereto: chi ha paura delle parole
Pubblichiamo di seguito il comunicato diffuso dagli anarchici ed anarchiche di Rovereto a seguito del primo grado di un processo nei confronti di un compagno. Un esempio di come in Italia stia sempre diventando più difficile potersi esprimere liberamente.
Per completezza, “Invece” era un mensile anarchico pubblicato dal gennaio 2011 ad ottobre 2013.
Oggi, 16 ottobre 2014, a Rovereto, si è svolto il processo di primo grado ad un compagno, autore di un articolo apparso nel maggio del 2012 sul n.15 del giornale anarchico “Invece”. L'articolo riguarda un libro scritto da Pierpaolo Sinconi, capitano dei carabinieri. Egli ha partecipato alle missioni di guerra in Bosnia Erzegovina, Kosovo ed Iraq. Ha insegnato presso centri di formazione per il peacekeeping in Africa, America, Asia ed Europa. Fa parte del gruppo di esperti in peacekeeping e peacebuilding dei paesi del “G8”. E dal 2006 insegna Diritto Internazionale e Diritto Internazionale Umanitario presso il Centro di Eccellenza per le Stability Police Units di Vicenza.
Il reato contestato è “istigazione alla violenza”.
Nonostante l'articolo fosse firmato, i Ros di Roma e Trento hanno svolto indagini per individuare chi fosse l'autore, da lì le perquisizioni nel settembre 2013.
Al processo l'accusa ha portato come testimoni il capo dell'Anticrimine dei Ros di Trento, un ufficiale dei Ros di Roma e il capitano Sinconi.
Le loro argomentazioni riguardo l'istigazione erano fondate sulla ideologia del compagno autore dello scritto, sul ruolo del giornale “Invece” a livello nazionale ed internazionale, sulla storia degli anarchici in Trentino, le loro pratiche e i vari lavori di documentazione fatti per portare avanti le lotte. In particolare l'accusa ha insistito molto sul lavoro su Finmeccanica fatto dai compagni, “Una piovra artificiale. Finmeccanica a Rovereto”. Questo opuscolo è stato messo in relazione al ferimento dell'AD Roberto Adinolfi avvenuto a Genova nel 2012, insistendo sulla consequenzialità tra il pensiero e l'azione degli anarchici. Il PM De Angelis ha chiesto 2 anni e 8 mesi. Il giudice ha condannato il compagno a 1 anno 3 mesi. Ci saranno aggiornamenti quando verrà fissata la data del processo d'appello.
Anarchiche ed anarchici di Rovereto e Trento
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Segue la dichiarazione in aula del compagno sotto processo:
NESSUNA PACE PER CHI VIVE DI GUERRA
“La guerra! Ti rendi conto di ciò che significa? Conosci parole più terribili di questa? Non ti porta alla mente immagini di massacri e carneficine, di assassinio, di saccheggio e di distruzione? Non ti sembra di udire le scoppio del cannone, le grida lamentose dei morenti e dei feriti? Non ti par di vedere il campo di battaglia punteggiato di cadaveri?”
(1929 - Alexander Berkman)
Fin da quando ero bambino ho vissuto con la guerra negli occhi, i carri armati sul confine vicino a casa mia a causa della guerra in Jugoslavia nel 1991, gli aerei che partivano da Aviano per andare in Afghanistan passando sopra la mia testa, la mia famiglia che negli anni '50 dovette andarsene dall'Istria per una guerra voluta dai fascisti e da chi voleva nuovi confini e nuovo Potere.
Crescere vedendo ogni sera in televisione gli orrori perpetrati da uomini e donne che si prestano ad uccidere per conto di altri uomini e donne che non hanno scrupoli a commettere i peggiori delitti per i loro interessi.
Leggere a quattordici anni i testi di Giulio Bedeschi, Mario Rigoni Stern, Primo Levi, parole che avevano cominciato a incrinare la mia visione del mondo. Quando scoppiò la guerra in Afghanistan nel 2001 mi sentii impotente, capii che era necessario fare una svolta per fermare tutta quella violenza.
Alla fine è stata l'idea anarchica a farmi capire che si può fare sempre qualcosa contro la guerra e contro tutte le ingiustizie di questo mondo, e che per fermarle non bastano le buone intenzioni ma servono anche azioni concrete, perché chi vuole la guerra difenderà sempre i suoi interessi con la violenza, la propaganda, l'offuscamento del pensiero libero e “della parola”.
Il 28 ottobre del 2010 fui arrestato a Trento durante un'azione che voleva segnalare la responsabilità di quei carabinieri che erano stati invitati dal prof. Toniatti, insegnante di Giurisprudenza di Trento, e dall'ELSA, a parlare delle cosiddette “Missioni di Pace”. È da tempo che lo Stato italiano definisce le sue missioni di guerra con la parola pace. Ci dicono che ci stanno proteggendo per il nostro bene, quando io vedo milioni di persone in fuga dalle loro bombe e da quegli uomini mercenari finanziati e armati per gli interessi dell'industria bellica e per i loro interessi geopolitici.
Il Capitano dei carabinieri Pierpaolo Sinconi quel giorno mi arrestò incredulo che qualcuno avesse toccato il suo vestito e che io, anche dopo essere stato ammanettato e malmenato, davanti a tutti gli urlassi “assassini”. Così ho deciso di scoprire che mestiere facesse veramente. Lui non è un semplice carabiniere perché non lavora in una caserma qualunque, lavora alla caserma Chinotto di Vicenza nel centro del COESPU. In questo centro vengono insegnate tecniche contro-insurrezionali alle polizie dei paesi in cui la guerra viene perpetrata dagli Stati occidentali. Questo centro, come altri, è stato creato perché lo Stato, qualunque Stato, ha paura che la gente stanca della guerra, delle menzogne e dello sfruttamento si ribelli, e peggio ancora che prenda coscienza del fatto che senza Stato si può vivere liberi.
Il signor Sinconi è responsabile del perpetuarsi della guerra nel mondo; nell'articolo uscito sul giornale anarchico “Invece” nel maggio 2012 ho ribadito questa sua responsabilità, che avrà per sempre, che è lui che bombarda e massacra anche se indirettamente, è lui che tramite i tribunali internazionali dell'ONU trova la giustificazione giuridica alla violenza degli Stati. Io penso che la lotta fatta da chi vuole liberarsi da tutti i mali del mondo è unicamente una legittima difesa anche se d'attacco, perché di fronte alla guerra, massimo grado di violenza dello Stato dell'industria bellica e di tutti quelli che ci collaborano, non si può restare più indifferenti.
Anche la Provincia di Trento e la sua università, hanno delle gravi responsabilità sulla continuazione della guerra oggi, soprattutto grazie alla collaborazione con lo stato d'Israele massacratore del popolo palestinese.
Queste sono le stesse istituzioni che volevano la base militare a Mattarello contro cui noi anarchici abbiamo lottato, perché siamo contro la guerra e tutto ciò che la fomenta, idee queste che ci sono valse l'accusa di “terrorismo” dalla Procura di Trento tramite l'operazione “Ixodidae”.
Sempre queste istituzioni vogliono il TAV anche in Trentino, che distruggerebbe così la terra, nonostante sappiano che in Val di Susa c'è una ampia parte della popolazione che sta già lottando contro di esso, in uno stato di militarizzazione dei luoghi in cui vivono.
Ribadisco che i terroristi sono gli industriali bellici, quelli che utilizzano le proprie mani ed ingegno nella costruzione degli armamenti e delle nuove tecnologie, coloro che quelle armi le utilizzeranno contro altri uomini e donne per gli interessi di Stato e delle multinazionali, quelli che la guerra la giustificano tramite la filosofia, la religione, la giurisprudenza.
Voglio portare qui la mia vicinanza a quei ragazzi e ragazze israeliani che quest'estate hanno rifiutato di combattere contro il popolo Palestinese, a quelle donne che in Ucraina hanno bloccato le strade per il fronte e hanno bruciato gli uffici dove c'erano le liste di arruolamento dei loro figli, padri e compagni con lo slogan “Né con la Russia né con l'Ucraina, per la Rivoluzione Sociale”, ad Ilya Romanov, anarchico rinchiuso in prigione in Russia per aver cercato di distruggere un ufficio di reclutamento nella città russa di Nižnij Novgorod rimanendone ferito. Abbasso la guerra! Viva la lotta per la libertà!
Rovereto, 16 ottobre 2014
Luca Dolce detto Stecco
NUOVA INCRIMINAZIONE PER SILVIA COSTA E BILLY
In un precedente comunicato di aggiornamento avevamo scritto della definitiva chiusura del nostro caso in Svizzera dove la rincorsa ai ricorsi sulle macchinazioni da parte dei vari apparati di sicurezza statali italiani e confederati elvetici non avevano portato a nulla, se non che in tema di repressione la collaborazione poliziesca è sempre forte, soprattutto se i soggetti di interesse sono degli oppositori alla loro democrazia di oppressione.
Fin dal momento del nostro arresto in Svizzera con l’accusa di voler attaccare con esplosivo il nuovo centro di ricerche, allora in costruzione, di IBM e del Politecnico di Zurigo fiore all’occhiello per la ricerca nanotecnologica a livello mondiale, l’Italia ha fatto partire un’inchiesta in stretta collaborazione con la polizia elvetica volta a dimostrare l’esistenza di un’organizzazione sovversiva con finalità di terrorismo sul suolo italiano e ramificata anche in Svizzera.
Di fatto, con copione già noto, questo ha portato negli anni della nostra carcerazione ad una intensa attività spionistica in primis contro la rete di solidali che nel mentre si era creata e poi verso gli ambienti ecologisti radicali più attivi nelle varie battaglie fuori per seguire il nostro caso e per far uscire questioni come quella delle nanotecnologie che si sarebbero volute silenziate o ridotte ad un’unica voce, meglio se quella dei suoi promotori.
La Procura di Torino non contenta a quanto pare dell’esito svizzero che ci ha visto condannati per il fatto specifico e assolti per l’importazione di materiale esplodente e non contenta di non aver trovato alcuna organizzazione in Italia e neanche altrove, ha recentemente chiuso l’indagine tutta concentrata al 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo) e ha chiesto invece il rinvio a giudizio per tutti e tre con le seguenti accuse: “art.110, 280 c.p. … perché in concorso tra loro, a nome dell’ELF-Earth Liberation Front, movimento ispirato all’ecologismo radicale, per finalità di terrorismo, compivano atti diretti a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali”, art.110, 81,61 c.p. … perché in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso… illegalmente detenevano e portavano in luogo pubblico, trasferendo dalla Valchiusella a Bergamo e quindi in Svizzera il seguente materiale esplosivo atto all’impiego… art.110, 648 c.p. … perché in concorso tra loro... conoscendone la provenienza delittuosa, ricevevano da soggetti rimasti ignoti il materiale per ordigni esplosivi… provento di sottrazione illecita ai danni di una delle imprese rimasta non identificata che, autorizzata all’utilizzo di esplosivi.” Tutte le accuse contengono l’aggravante della finalità di terrorismo.
Come parte civile offesa avremo pensato di trovarci di fronte i tecno-nazi di IBM e invece la Svizzera si presenta con la sua eccellenza nella ricerca: l’Istituto Politecnico di Zurigo da sempre impegnato in ricerche nocive di cui le nanotecnologie sono solo la punta dell’iceberg.
In attesa che venga fissata a breve l’udienza preliminare che ci vede passare dalla posizione di indagati a quella di imputati ribadiamo la necessità di mobilitarci e costruire un’opposizione a queste frontiere delle tecno-scienze che usano il mondo come l’allargamento del loro laboratorio.
Tratto da www.resistenzealnanomondo.org
Bologna in corteo contro Visco e Forza Nuova
Il contesto della giornata di lotta a Bologna si apre una settimana fa, quando le sentinelle omofobe insieme ai pochi fascisti di Forza Nuova della città manifestarono odio contro la comunità Lgbtq, iniziativa che venne contestata da un sonoro presidio antifa terminato con l'allontanamento di fascisti e sentinelle.
Fiore dichiarò che avrebbe manifestato in città il 18 ottobre in risposta alla fuga conigliesca dei suoi camerati e delle sentinelle dalla piazza cittadina. Immediatamente venne promossa la mobilitazione antifascista cittadina che si arricchì di altri contenuti non appena venne annunciato l'arrivo di Visco all'aula magna dell'università per celebrare l'anniversario della casa editrice Il Mulino.
Così oggi dalle 14:30 fino a tarda sera almeno un migliaio di antifascisti e antafasciste hanno dato vita ad un corteo partecipato non solo dai centri sociali e collettivi bolognesi, ma anche da realtà venute a dar manforte dal nord-est e dal resto dell'Emilia-Romagna. Dopo aver raggiunto Piazza Maggiore il corteo si è avvicinato all'aula magna dell'Alma Mater dove Visco aveva appena iniziato il suo intervento.
A proteggere la kermesse baronale un forte dispiegamento di celere che ha caricato il corteo allontanando i manifestanti che avevano lanciato uova e vernice nei confronti delle forze di polizia. Dopo circa altre 2 ore di corteo e comunicazione nel centro la manifestazione è proseguita con l'obiettivo di avvicinarsi al sit-in nazi-fascista: raggiunta piazza Cavour il corteo, dotatosi nell'occasione di alcuni scudi, e a qualche metro dello schieramento della celere disposto in difesa dei fascisti, ha effettuato dei primi lanci di petardi e fuochi d'artificio. La celere non ha esitato a caricare gli antifa e durante l'aggressione poliziesca un compagno è stato fermato. Il corteo ha quindi deciso di avvicinarsi alla questura e dopo un'ora di presidio, una volta saputo che il compagno non sarebbe stato rilasciato, si è deciso di sciogliere la manifestazione dandosi appuntamento ai prossimi giorni. Contemporaneamente i fascisti avvolgevano le loro bandiere di odio e intolleranza dopo il comizio di Fiore abbandonando la città.
18 ottobre 2014, da infoaut.org
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Criminale è chi lascia le piazze ai fascisti!
Non chi si oppone in ogni modo al ritorno delle squallide camicie nere. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà al compagno militante del circolo Iqbal Masih che sabato 18 ottobre è stato arrestato mentre manifestava contro Forza Nuova, al fianco di altre centinaia di antifascisti. Ci muoveremo per dare tutto il nostro supporto umano e politico a Teo. Continueremo a lottare contro i fascisti dichiarati e tutti i loro “amichetti”, che in nome della tolleranza danno agibilità politica agli accoltellatori notturni.
Collettivo Iqbal Masih
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5 ottobre, contestate in tutta Italia le Sentinelle in Piedi
Chi sono le Sentinelle in Piedi?
Si tratta di una rete informale di gruppi che organizza da circa un anno, in Italia, manifestazioni “silenziose” (i partecipanti stanno per un’ora, in piedi, a leggere un libro) per protestare contro il progetto di legge anti-omofobia.
Per la libertà di espressione, dicono loro, per poter continuare a difendere la centralità della famiglia tradizionale e le differenze di genere. Si ispirano al movimento francese Manif pour tous, che l’anno scorso ha portato in piazza centinaia di migliaia di cattolici contro i matrimoni omosessuali voluti dal governo Hollande. Benché le Sentinelle in Piedi si definiscano apolitiche e apartitiche, nelle ultime veglie si sono spesso uniti a loro esponenti di Forza Nuova, che guarda caso condividono le stesse posizioni su omosessualità, aborto, famiglia e così via.
Già dalle prime veglie che hanno svolto nel 2013, varie persone appartenenti a gruppi e associazioni LGBT si sono mobilitate spontaneamente per ostacolare le Sentinelle, spesso in maniera ironica. Negli ultimi tempi gruppi di antagonisti si sono uniti alle contestazioni.
Domenica 5 ottobre le Sentinelle in Piedi hanno svolto le loro veglie in circa 80 città d’Italia, e il clima si è acceso ulteriormente.
A Parma si è svolto un presidio organizzato dalle associazioni Lgbt, mentre un corteo non autorizzato si è svolto per le vie della città ed è stato bloccato dalla polizia in antisommossa. Le Sentinelle hanno dovuto essere protette tutto il tempo dagli scudi e dai manganelli per poter svolgere la loro veglia.
I principali momenti di tensione si sono visti a Bologna. La manifestazione “pacifica” organizzata dalle associazioni Lgbt ha preso una piega diversa una volta che le Sentinelle sono state raggiunte da alcuni esponenti di Forza Nuova. Questi ultimi sono dovuti scappare inseguiti dagli antifascisti e si sono salvati solo grazie alla protezione delle forze dell’ordine, che hanno tirato qualche manganellata per tenere lontani i manifestanti. Scontata la dissociazione di Arcigay da quanto avvenuto.
Contestazioni anche a Milano, con girotondi e sfottò da parte dei gruppi Lgbt, slogan, insulti e letture di testi sul piacere anale da parte dei più facinorosi. Tra le Sentinelle erano presenti anche volti noti del gruppo No194 (antiabortisti), da due anni oggetto di contestazioni, e Roberto Formigoni, ex presidente della Regione Lombardia.
In molte città il numero di contestatori ha superato di gran lunga quello delle Sentinelle, come a Torino: cartelli, slogan e piazza piena contro l’omofobia, spintoni con le forze dell’ordine per cercare di raggiungere i veglianti.
A Napoli una trentina le Sentinelle e un centinaio oltre il cordone di sicurezza di polizia a contestarli.
A Cremona alcuni anticlericali hanno disturbato l’iniziativa brandendo un megafono, uno striscione con scritto “Facciamo l’amore con chi vogliamo No Nazi No Omofobia” e distribuendo molti preservativi per le strade del centro.
A Rovereto, blitz alla manifestazione organizzata per la difesa della famiglia. Un gruppo di contestatori ha lanciato uova e danneggiato parte del materiale delle Sentinelle.
È scontato dire che non ci interessa difendere nessuna legge né alcuna “parità di diritti”. Tuttavia troviamo preoccupante il riemergere, negli ultimi due anni, anche in Italia, di una militanza cattolica autorganizzata che si sta diffondendo ed è sempre più presente nelle strade con preghiere e cortei anti-abortisti, manifestazioni anti-omosessuali e convegni per la difesa della morale tradizionale e contro l’autodeterminazione dei corpi, dei piaceri e dei ruoli di genere.
Ci manca solo un rigurgito della morale religiosa nella società per opprimere ulteriormente le nostre vite... Quindi meglio stare all’erta, e rispolverare il nostro sano anticlericalismo e spirito iconoclasta per non lasciargli tregua!
tratto da informa-azione.info
ancora proteste al caat di torino
Il CAAT è stato costruito circa 5 anni fa, compreso il suo centro direzionale, direttamente alle spalle della Fiat Mirafiori, in direzione Grugliasco, accanto alla tangenziale sud-ovest. E’ un territorio ampio, in cui alcune cascine con i loro allevamenti tirano avanti accerchiate dai capannoni di società autostrasporti come Bartoletti, da concessionarie auto (Toyota) ma anche da vere e proprie industrie quali “Giovanni Agnelli Plant”. Qui si spreme forza-lavoro, altro non c’è.
Nel Centro lavorano oltre 300 operai in gran parte immigrati in condizioni uguali, se non peggiori, a quelle esistenti nei poli logistici di Milano, Piacenza e Bologna. Bassi salari, licenziamenti in caso di adesione e sostegno al sindacato o comunque in caso di comportamenti capaci di mettere in discussione le prevaricazioni, per esempio, il continuo ricorso agli straordinari senza corrispondente aumento del salario.
Contro questa infame realtà nel mese di maggio (2014) c’è stato uno sciopero che, con l’aiuto di poco più di un centinaio di compagne/i della città, è riuscito a bloccare le merci in entrata e in uscita, creando contemporaneamente una vera e propria paralisi dell’importante traffico merci (anche industriali) transitante sulla tangenziale. I reparti di polizia mandati quella notte a tentare di impedire il blocco delle merci, la cacciata dei soliti crumiri, vennero semplicemente travolti e messi in disparte dai manifestanti.
La prova di forza della polizia, invece riuscita, della notte tra il 15-16 ottobre raccontata di seguito è dunque una pura e vigliacca rappresaglia per cercare di togliere ogni speranza agli operai, per ridare fiato ai padroni. La polizia, il governo che la dirige, al servizio della schiavitù salariale, sì, certamente, come sempre. Questa la realtà nella quale è immersa la Torino operaia di oggi.
A cinque mesi di distanza dall’ultimo picchetto, i facchini del Centro Agro Alimentare di Torino si danno appuntamento fuori dai cancelli della mastodontica struttura in cui avviene la compravendita all’ingrosso della frutta e verdura per i mercati cittadini. Lo scopo è, ancora una volta, bloccare i camion in entrata e in uscita, dato che le condizioni di lavoro non son cambiate di una virgola, nonostante le promesse fatte a maggio.
Visto il grande disagio causato ai mercati e supermercati cittadini della scorsa primavera, e la conseguente – probabile – tirata d’orecchie ai gestori dell’ordine pubblico, direzione del Centro e Polizia non si fanno cogliere impreparati. A quanto pare, infatti, per l’occasione sono stati chiamati lavoratori estemporanei per colmare la lacuna degli scioperanti, ma soprattutto il dispiegamento del reparto celere in assetto anti sommosta è imponente, valsusino vien da dire. Con tanto di idranti per tirar via i lavoratori che cercano di sedersi in terra per bloccare l’afflusso di autoarticolati, e cariche che si ripetono all’arrivo di ogni mezzo ai cancelli di Strada del Portone 10.
Al presidio sono tanti i lavoratori degli ex Mercati Generali, di cui pochissimi italiani, ci sono i sindacalisti di base e tanti solidali, per un totale di circa 200 persone, che si scaldano intonando cori davanti all’imponente schieramento di poliziotti. Scioperanti e solidali risultano infatti immediatamente in netta minoranza, per cui non mancheranno attimi di tensione, con sassaiole ed esplosioni di petardi, ma le cariche avranno gioco facile a spezzettare il blocco, a contenerlo e a renderlo inoffensivo.
Con il passare delle ore il picchetto si dirada fino a che sul piazzale non restano che i reparti celere a monitorare l’andirivieni di camion dentro e fuori dal CAAT.
Una nota di riflessione meritano gli avvenimenti intorno alla morte per infarto di un mercataro che voleva entrare per rifornire il suo banco. Quest’uomo, dopo aver avuto un diverbio neanche troppo acceso con alcuni manifestanti, ha avuto un attacco di cuore che l’ha stroncato.
I dirigenti della Polizia, che in quel momento avevano in mano la gestione dell’ordine pubblico al CAAT, non si potevano permettere un morto accidentale tra capo e collo. Per cercare di limitare i danni, decidono quindi di portare via un paio di persone a lor detta informate sui fatti, probabilmente per dare l’impressione di star facendo accertamenti. Scelgono quindi un paio di ragazzi a caso tra il gruppo di scioperanti e solidali e cercano di prenderli tra l’indifferenza di chi, piuttosto che contrastare l’azione delle forze dell’ordine, era in quel momento interessato unicamente a scrivere comunicati per rintuzzare l’attacco mediatico – che, come sempre, riportava in tempo reale l’accaduto con titoli ad effetto. Un comportamento non certo in linea con lo slogan gridato durante tutta la serata: «se toccano uno, toccano tutti».
Grazie all’intervento di un gruppetto di persone attente il gioco non riesce, e gli agenti si trovano a dover eseguire un’identificazione di tutti i presenti che ha comunque come obiettivo quello di fermare i due giovani. A questo punto i presenti sono però allerta e si compattano intorno ai due per impedirne il fermo. Nel parapiglia che ne segue vengono agguantate, oltre ai ragazzi malcapitati, altre due persone e tutti e quattro vengono portati in fretta in Questura, per essere rilasciati diverse ore dopo.
Per fortuna a placare gli animi arrivano le dichiarazioni del figlio del mercataro, che ricollocano quanto avvenuto nell’arco delle fatalità. Un avvenimento tragico ma comune nella sua dinamica, un incidente come ne possono accadere tra uomini che difendono interessi particolari diversi, senza per questo appartenere a classi sociali contrapposte. Situazioni che continueranno a ripresentarsi, ci auguriamo senza questi esiti tragici, nelle lotte in cui ci troveremo impegnati.
17 ottobre, autistici.org/macerie/
NOTE SULLA LOTTA CONTRO GLI SFRATTI A TORINO (seconda parte)
Segue la seconda parte del testo redatto da alcuni arrestati del 3 giugno e che propone una lettura complessiva dell’inchiesta, delle sue implicazioni e cerca anche di raccontare, ancora una volta, due anni di resistenza e lotta nelle strade di Torino.
Sulla questione organizzativa
Non credo valga la pena di affrontare le tesi di un’inchiesta simile ribattendo punto per punto ai contenuti delle carte. Il modo in cui viene tratteggiata un’esperienza di lotta sociale sviluppatasi durante tre anni e tuttora in corso risulta completamente distorto.
In un simile cumulo di falsificazioni alcuni passaggi offrono però l’occasione di mettere le cose in chiaro. Quel che più mi preme è la questione organizzativa, la prospettiva d’insieme che regge la resistenza contro gli sfratti.
È noto che il nostro percorso, sorto a Torino nei quartieri di Porta Palazzo, Barriera di Milano, Borgo Vittoria presenta dei tratti molto peculiari. Risponde infatti all’iniziativa di alcuni anarchici presenti in una determinata zona della città, dove il bisogno della casa e la pressione dello sfratto sono esasperati. Ci sono saldi legami già formati in quelle strade, in una componente di sfruttati per lo più straniera. C’è un intervento pregresso intorno ai nodi del Cie, della clandestinità e delle retate, che ha favorito i rapporti di familiarità e conoscenza personale.
La lotta per la casa ha quindi modo di avviarsi raccogliendo un nucleo di sfrattati e solidali intorno alla pratica del picchetto, per strappare volta per volta una proroga all’ufficiale giudiziario, e poi dell’occupazione di edifici sfitti o abbandonati. Le tappe percorse, gli avanzamenti e gli ostacoli sono stati molteplici. Il decorso della lotta ci ha portato ad allargare la capacità di coinvolgimento, a costruire barricate per fronteggiare la polizia, ad inceppare le esecuzioni degli sfratti per un lungo periodo. Tutto ciò si è diramato intorno al fulcro decisionale ed organizzativo di un’assemblea. Non abbiamo mai voluto costituire uno sportello, una struttura separata a cui rivolgersi in caso di sfratto, preferendo invece spenderci nell’innescare una rete di mutuo appoggio composita, formata da compagni e da altri sfruttati del quartiere. Questo è l’elemento centrale, l’asse delle questioni metodologiche su cui occorre ritornare.
Durante la lotta ci siamo trovati ad affrontare attraverso analisi scritte quelle problematiche ed ipotesi che ci parevano più urgenti, attingendo talvolta ad esperienze e riflessioni del passato. È questo il caso di un articolo comparso sul mensile anarchico “Invece” con il titolo “Un obiettivo minimo desiderabile”, che ha qualche spazio nelle pagine dell’inchiesta. Ad interessare la narrazione repressiva sono concetti e categorie che richiamano il così detto “anarchismo insurrezionalista”, o meglio il dibattito teorico pratico che ha coinvolto, in decenni passati, parte del movimento anarchico intorno alla possibilità del progetto insurrezionale. In fin dei conti cosa si vuole davvero intendere con la suddetta espressione? Semplicemente un metodo organizzativo che mira a radicalizzare le lotte sociali attraverso l’autonomia da strutture politiche e sindacali, l’azione diretta e la conflittualità permanente. Nel libro “Teoria e pratica dell’insurrezione” si dice che quando una frazione degli sfruttati irrompe in un luogo controllato dal potere e ne sconvolge le regole di funzionamento, allora c’è un fatto insurrezionale. Sotto questo profilo la lotta contro gli sfratti sotto accusa ha già attraversato momenti, almeno germinali, di carattere insurrezionale. Chiudere uno o più incroci con barricate, interdire l’accesso alla polizia, sospendere l’operato repressivo delle istituzioni in una parte di territorio, non risponde forse alla descrizione considerata?
Appare chiaro come le preoccupazioni e gli sforzi siano tesi a far sì che il nostro ruolo di componente organizzata sia soltanto uno stimolo, non soffochi mai l’iniziativa autonoma. Annullare la delega, ecco la posta in gioco. Dall’articolo di cui tratto, come da tutto ciò che abbiamo detto scritto e fatto, emerge in modo quantomai lampante per chiunque sia disposto a coglierlo: «si deve lavorare per rendere meno determinante e indispensabile la presenza diretta dei compagni per quanto riguarda le decisioni ma anche i compiti organizzativi più concreti.[….] Cominciare a fare in modo che gli interessati discutano e si accordino tra loro, allargando la presa di parola e la responsabilità attiva». No? Proprio qui sorge il discrimine che ci distanzia anni luce da qualsivoglia soggetto politico, benché radicale, impegnato negli stessi temi.
Come conciliare intenzioni tanto esplicite con il «coinvolgimento, per lo più inconsapevole delle reali finalità destabilizzanti avute di mira, delle parti più deboli e disagiate della popolazione» di cui blatera l’accusa?
Anche il confronto con proposte avanzate in passato, come quella “nuclei autonomi di base”, si inscrive nella medesima lotta. Neanche a dirlo le carte dell’inchiesta mistificano il senso di questo riferimento: «In particolare il richiamo ai c.d. “nuclei di base”, forma organizzativa che ha consentito di dare corpo alla resistenza agli sfratti, è emblematico di come gli episodi trattati nella presente ordinanza siano il fine di un articolato programma criminoso […]». Peccato che l’articolo citato menzioni i “nuclei di base” in modo tutt’altro che pedissequo, dentro un’analisi problematica e densa di punti interrogativi. Quel che si trova interessante nella proposta dei “nuclei” è un’idea di struttura organizzativa non permanente ed informale, legata agli scopi e alla durata di una singola lotta, ad un “particolare attacco subito dagli esclusi”. Questo la differenzia dalle “strutture di sintesi”, cioè da organizzazioni che, anche nella storia anarchica, vogliono riunire e rappresentare l’intero campo degli esclusi. Di conseguenza abbiamo ravvisato una semplice consonanza con la natura della nostra assemblea contro gli sfratti. Ma il problema che ci siamo posti subito dopo è: possiamo intrecciare molteplici traiettorie di conflitto senza cedere a tendenze centralizzatrici?
Quando si lotta al fianco di persone che devono reagire al problema della casa, dei documenti e di procurarsi il cibo, bisogna per forza tenere separati questi bisogni? Oppure è lecito perseguire un accumulo di forze sociali, ad esempio nel raggio di alcuni quartieri, perché si disegni una più ampia rete organizzativa?
«L’idea di creare uno spazio, una fetta di città dove la densità di organizzazione degli esclusi sia abbastanza robusta da rendere possibile un’autodifesa efficace ed a ampio raggio, dove occupare le case, fermare le retate ed espropriare i supermercati siano risposte all’ordine del giorno alla molteplicità di problemi che si presentano all’orizzonte degli sfruttati … mi sembra un obiettivo minimo desiderabile». Mi pare che ci restino in mano parecchie domande… come unire le lotte senza illudersi di “ricomporre” una condizione proletaria irrimediabilmente dispersa? Possiamo approfondire il nostro radicamento in alcuni quartieri senza ripercorrere le tracce del “contropotere”? Una lotta specifica dura e radicale può formulare delle rivendicazioni senza dar luogo a derive sindacali? Non abbiamo risposte certe, non è facile averne.
Abbiamo tensioni ed idee ben chiare, i frammenti di un progetto comune, ma nessun programma pronto da applicare. D’altronde aspiriamo sempre a diventare superflui, ad alimentare un esercizio di autogestione che non ha bisogno di noi, viaggiando su binari inconciliabili con quelli della politica. Proprio l’opposto di quanto ci si attribuisce.
Fine della contrattazione
La casa è di chi l’abita. Questo verso di un vecchio canto anarchico e l’imperativo “Basta sfratti” sono, potremmo dire, le parole d’ordine di questa resistenza contro gli sfratti.
Non c’è stata invece alcuna richiesta di moratorie tra gli slogan gridati o i discorsi elaborati nel corso della lotta. Piuttosto che contribuire a far percepire le autorità come dei possibili referenti cui chiedere o strappare qualcosa, abbiamo insistito con forza sulla possibilità, e le modalità utili, a resistere per tenersi la casa.
L’invito a chi ha uno sfratto è quello di organizzarsi da solo, con amici e parenti, e se questo non è possibile o non basta, di ricercare l’aiuto di altri con lo stesso problema o di solidali. Insomma, al posto dello slogan abbastanza diffuso: «Problemi di sfratto? Ci pensiamo noi», il nostro invito potrebbe suonare più o meno così: «Problemi di sfratto? Prova a pensarci tu o, se vuoi, pensiamoci insieme». Se non è semplice sapere quanto siano diffusi gli atti di resistenza “indipendenti”, la proposta di lottare insieme, organizzandosi attraverso un assemblea periodica, ha riscosso invece un discreto successo, consentendo di accumulare una forza tale da poter resistere a lungo agli sfratti e occupare diverse palazzine vuote. Una forza in grado insomma di strappare una moratoria di fatto, temporanea, come del resto sono tutte le moratorie, dovuta però alle difficoltà e non alle concessioni della controparte.
Una forza legata a una questione quantitativa, ma non solo e non principalmente.
La nostra tensione è stata infatti rivolta principalmente a conoscere altri uomini e donne disposti a resistere, cercando di stimolare in tutti una partecipazione sempre più attiva, così che le relazioni sviluppatesi diventassero sempre più salde e improntate alla solidarietà.
Uno dei principali scogli contro cui le lotte oggi si infrangono, è proprio il feroce isolamento in cui molti vivono e che rende molto difficile anche solo immaginare di poter resistere a una decisione imposta dalle autorità. Allo stato attuale, la solidarietà e la capacità di autorganizzarsi, piuttosto che basi da cui partire sono infatti alcuni degli obiettivi da raggiungere lottando assieme.
Il picchetto, allora, non è stato solo un efficace strumento per impedire a ufficiali giudiziari e forze dell’ordine di svolgere il loro dovere, come sottolineano le carte dell’inchiesta.
Conoscersi, mentre fianco a fianco ci si dà una mano per impedire uno sfratto, avendo di fronte il padrone di casa, l’ufficiale giudiziario e le forze dell’ordine, consente alla fiducia, alla determinazione e alla consapevolezza nelle proprie possibilità di aumentare. Picchetto dopo picchetto. Ma i picchetti sono stati anche un formidabile strumento di propaganda. Le tante ore trascorse in strada davanti ai portoni sono state un’ottima occasione per discutere e conoscere tanti abitanti del quartiere che rischiavano di essere sfrattati o avevano amici e parenti con lo stesso problema. La scelta di non avere uno sportello cui potersi rivolgere per far fronte al proprio sfratto, non è stata quindi in alcun modo d’ostacolo all’incontrare altri compagni di lotta, anzi.
La visibilità offerta dai picchetti ha consentito una notevole crescita in poco tempo, ben al di là di quanto ci si potesse aspettare inizialmente. Una crescita che, insieme a un periodico rinnovarsi dei resistenti, – perché dopo un po’ qualcuno trova casa e si sistema, qualcuno non se la sente più e si allontana, mentre altri nel frattempo si uniscono alla lotta – ha complicato non poco il lavoro delle forze dell’ordine, abituate in genere a una conoscenza precisa e minuziosa di chi lotta. In questo caso, invece, la mancanza di informazioni puntuali e di portavoce cui far riferimento hanno garantito una certa opacità a chi lottava, eccezion fatta naturalmente per i militanti, rendendo difficile alla controparte valutare quale internità la resistenza avesse raggiunto nei quartieri e, di conseguenza, quali reazioni avrebbe potuto provocare un loro intervento violento.
Un quadro diventato un po’ più nitido per la Questura, quando una parte dei resistenti ha smesso di lottare iniziando un’innocua protesta davanti al Comune nella speranza di farsi assegnare un alloggio, con tanto di nomi e cognomi consegnati a qualche amministratore e assistente sociale.
Fino ad allora, non c’era stata nessuna iniziativa sotto i palazzi delle autorità cittadine. Nelle assemblee preparatorie dei cortei e delle manifestazioni composte da sfrattandi, solidali e compagni, erano prevalsi infatti i dubbi di questi ultimi sulle tradizionali iniziative sotto i Palazzi, utili più a consolidare la convinzione che debbano essere le istituzioni a risolvere i nostri problemi, che a rafforzare la lotta.
Per questo le manifestazioni e i cortei si erano fino ad allora sempre svolti nei quartieri dove si sviluppa la resistenza, diventando dei momenti importanti per poter chiarire le nostre ragioni e incontrare altri compagni di lotta. Piuttosto che ricercare un dialogo con qualche sinistro amministratore, meglio discutere con altre persone che magari domani potranno essere al nostro fianco.
A insistere sull’importanza di contare solo sulle proprie forze, non si delinea certo un percorso scontato né molto battuto. Specie poi in una lotta come quella sulla casa, storicamente caratterizzata da conflitti e scontri anche molto duri che però convivono, o meglio, che sono complementari a rapporti più o meno stretti con l’amministratore illuminato di turno. Imparare a contare solo sulle proprie forze non è quindi cosa facile.
Nello specifico di questa lotta, farlo significa anche, tra le mille altre cose, spremersi le meningi e poi adoperarsi affinché in caso di sfratti o di sgomberi nessuno rimanga in mezzo a una strada. Perché chi lotta non dev’essere lasciato solo né nelle grinfie degli assistenti sociali. E pur tra mille difficoltà, malumori ed anche aspre discussioni, finora nella nostra piccola esperienza il mutuo appoggio non è mai venuto meno. Chi è stato sbattuto fuori di casa, e nell’ultimo anno non sono stati pochi, ha sempre trovato ospitalità da qualche altro sfrattando o in qualche altra casa occupata. L’aumentare della repressione, e il rischio di non avere quindi più posti dove ospitare chi rimane senza un tetto, ha anzi costretto in alcuni casi ad accelerare i tempi e moltiplicare le energie per occupare e mettere a posto una nuova abitazione. Gli sgomberi, insomma, possono essere anche uno stimolo in più a rimboccarsi le maniche.
Lungi da noi farci sostenitori del “tanto peggio tanto meglio”, questo esempio serviva solo a sottolineare come a passi piccoli e che non sempre tra l’altro si dirigono nella direzione auspicata, si sta comunque imparando a far da soli.
L’aver escluso l’ipotesi di manifestazioni sotto i Palazzi, come si accennava prima, hanno di certo reso più semplice questo percorso. Resta però il dubbio che questa scelta, pur corretta, sia stata presa un po’ sbrigativamente, facendoci tralasciare alcune possibilità.
Finora l’unica rivendicazione dai noi formulata, se così la si vuol definire, è “Basta sfratti”, una parola d’ordine che ha il suo corrispettivo pratico nel picchetto, che serve proprio a dar concretezza a quel “Basta”. Abbiamo detto, insomma, quello che facevamo e abbiamo cercato di fare quello che gridavamo e scrivevamo sui muri.
Ma esistono altre rivendicazioni, in cui la corrispondenza tra il dire e il fare potrebbe non essere così immediata e stringente, in grado di accompagnare e rafforzare questa lotta? E come sostenerle evitando le tradizionali dinamiche della contrattazione, i tristi e inutili presidi sotto il Comune e la nascita e il consolidamento di un gruppo di portavoce, che renderebbero l’autorganizzazione della lotta una parola sempre più svuotata di ogni significato reale? Come far sì, insomma, che altre eventuali rivendicazioni possano essere un trampolino, in grado di rafforzare e radicalizzare una lotta, piuttosto che dei punti di arrivo, destinati invece a dividere chi resiste, far centellinare con attenzione la conflittualità, e in definitiva soffocare la lotta?
Diversi come su cui non abbiamo accumulato, per quanto detto finora, grandi esperienze che possano aiutarci nelle riflessioni e che in ogni caso andrebbero affrontati tenendo conto anche del quando.
L’oggi non sembra infatti proprio essere tempo di contrattazioni. Le istituzioni non sembrano disponibili a concedere alcunché, praticamente in ogni ambito. Sul fronte casa, non viene offerto molto altro oltre a sfratti, sgomberi, manganellate e misure cautelari. Una scarsa disponibilità al dialogo, sancita dal Piano casa del governo Renzi, che sta creando non poche difficoltà anche ad alcune componenti, di un movimento ampio e radicato come quello romano per la casa, abituate a miscelare attentamente “muscoli”, telefonate e incontri istituzionali.
Una fine della contrattazione che, senza minimizzare le difficoltà che la accompagnano, non toglie però alcun interesse alle riflessioni sulla questione rivendicativa, anzi. Specie se l’obiettivo di eventuali rivendicazioni non è quello di sedersi a qualche tavolo di trattativa, ma ribaltarli tutti.
26 settembre 2014, da autistici.org/macerie