indice n.90

La guerra sul confine fra Siria e Turchia è realtà quotidiana
Marocco: Lotta di classe e repressione
Turchia,vietato il Primo Maggio in Piazza Taksim
Libia: carabinieri addestrano la guardia di frontiera e costiera
AGGIORNAMENTI DELLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
da una lettera dal pagliarelli di palermo
Lettera dal carcere di Ferrara
lettera dal carcere di alessandria
12 APRILE, TRIESTE: PRESIDIO SOLIDALE al processo
processo in videoconferenza per i compagni Gianluca e Adriano
contro il 41-bis e alla sua estensione
Lettera dal carcere di Rebibbia (rm)
Sul disegno di legge riguardante le carceri in Grecia
Lettera dal carcere di Rossano (CS)
Lettera dal carcere di firenze-Sollicciano
Da una lettera dal carcere di Spoleto (pg)
lettera dal carcere di bergamo
Lettera dal carcere di Perugia
il Ddl carceri diventa legge
lettere dal carcere di san vittore (mi)
Genova: interruzione solidale con detenuti/e in lotta
lettera dagli arresti domiciliari
Lettera dal carcere di Terni
da una lettera dal carcere di bologna
Manuale per una vita da ristretta
Da Piacenza a Cremona, solidarietà con i detenuti in lotta
sul presidio sotto il carcere di pozzuoli (na)
da una lettera dal carcere di pescara
UNA BRECCIA NEL MURO: Presidio sotto il carcere di lecce
Padova: Presidio sotto la Casa Circondariale Due Palazzi
lettera dal carcere di ivrea
Torino: Ancora una volta sotto le Vallette
dal processone contro il movimento no tav
Sulla sentenza di primo grado del Processo "Outlaw"
2 aprile 2014: sgomberi coordinati in tutta Italia


La guerra sul confine fra Siria e Turchia è realtà quotidiana
Domenica 23 marzo un aereo militare turco (F-16) ha abbattuto un Mig da combattimento siriano in volo nello spazio aereo
siriano; il pilota è riuscito a catapultarsi. Lo stato maggiore turco, apertamente sostenuto dal governo, in una
conferenza stampa ha affermato che l’aviazione turca ha agito in quel modo in quanto il Mig siriano poiché: Quando si
viola il nostro spazio aereo la risposta militare è e sarà immancabile”.
Per contro, il ministro degli esteri siriano ha definito l’abbattimento una “eclatante aggressione”. Il Mig-23 non
avrebbe violato lo spazio aereo turco, ma bensì attaccato un campo di militare di Al Qaida in Siria situato nei pressi
del confine con la Turchia. In quei giorni gruppi di Al Qaida hanno affrontato battaglie pesanti contro l’esercito
siriano per il controllo dell’importante valico di frontiera di Kasab sulle montagne sovrastanti la città di Latakia.
“Le truppe turche cannoneggiano attraverso i carri armati e l’artiglieria le alture presso Kasab e così coprono
l’avanzare delle bande terroriste”, dichiara il governo siriano. In questa battaglia è rimasto ucciso Hilal-Assad,
cugino del capo dello stato.
Tuttavia, nel rapporto fra Al Qaida e il governo turco esistono grossi contrasti rispetto al controllo del territorio in
Siria e in Irak. Scontri sono sorti rispetto al monumento funerario dedicato allo scià Suleyman che si trova nella
provincia di Aleppo (Siria) e, sempre in territorio siriano, a 25 km dal confine con la Turchia, sulle rive del fiume
Eufrate, al monumento dedicato al sultano Osman I, fondatore dell’impero ottomano – considerato dal diritto
internazionale come territorio turco. Qui, adesso, stazionano stabilmente diverse decine di soldati turchi. Al Qaida,
con i suoi gruppi militari appartenenti allo “stato islamico in Irak e nel Levante” (ISIL, dalle iniziali in inglese)
negli stessi giorni ha minacciato di abbattere quei monumenti se la Turchia non ritira da quei territori i suoi soldati
assieme alle sue bandiere. Dalla tensione a parole allo scontro armato il passaggio è stato breve. Nei giorni scorsi in
quelle zone sono infatti rimasti uccisi in scontri con l’esercito turco tre militanti di Al Qaida di origine albanese.

Aggredita la popolazione armena in Siria
Miliziani di Al Qaida, penetrati il 21 marzo in Siria, provenienti dalla Turchia, sotto la protezione anche aerea delle
forze armate turche, hanno preso sotto il tiro delle armi la maggioranza armena –data la sua appartenenza religiosa al
cristianesimo – della cittadina siriana di Kasab e dei villaggi circostanti. Oltre duemila armeni e alatiti si sono
messi in fuga in direzione di Latakia. Chi è rimasto a Kasab è stato ucciso o costretto alla conversione all’islam.
La popolazione di Kasab di origine armena è discendente di chi sopravvisse al genocidio compiuto dal regime dei “Giovani
Turchi” nel corso della prima guerra mondiale. Nel 1915 gli abitanti armeni nei territori compresi nella parte nord-
orientale dell’attuale Turchia e a nord dell’Iran fino alle cime del Caucaso, vennero deportati a milioni in Siria e
Giordania. Solo qualche migliaio sopravvisse alla deportazione.

Aprile 2014, da jungewelt.org


Marocco: Lotta di classe e repressione
Lo scorso 6 aprile si è svolta a Casablanca una manifestazione indetta dai principali sindacati del paese. Circa 150.000
persone hanno contestato le scelte politiche del governo, in un paese dove la crisi morde le vite della gran parte della
gente.
Casablanca è tradizionalmente il cuore delle lotte dei lavoratori, in un paese dove i “diritti” sindacali sono più
leggeri della carta dove sono scritti. Chi si iscrive al sindacato, partecipa a lotte e scioperi, rischia di essere
licenziato.
Lo stesso diritto di espressione svanisce di fronte a qualche slogan di troppo nei confronti di re Mohamed VI, che, al
di là della patina innovatrice, mantiene un controllo ferreo sul paese.
Il 6 aprile, al termine della manifestazione, nonostante non vi fossero stati scontri, la polizia ha fermato 15
manifestanti, per gli slogan del settore più radicale del corteo. Nel mirino della polizia soprattutto quelli diretti
contro la monarchia e il capitalismo.
Ad otto di 15 fermati il tribunale ha confermato ieri gli arresti.
La durezza degli apparati repressivi, anche extralegali, emerge anche dalle morti “sospette” di due attivisti. Uno morto
in carcere, l’altro trovato per strada, dopo aver ricevuto minacce durissime, nel caso avesse continuato a partecipare
alle lotte.

17 Aprile 2014, da infoaut.org

***
Ciao a tutt*, arrivato al Marocco, la prima notizia shock che vi mando è quella della morte di un giovane compagno nelle
carceri del regime torzionario (torturatore).
Fate girare!

Biografia del martire
Il compagno Nouredine Abdelwahab è nato nel 1982 nella cittadina Mhamid Alghizlane (sud-est del Marocco) in una povera
famiglia. E questa povertà era la stimolante alla sua adesione nella militanza rivoluzionaria. Esso ha dedicato la sua
energia fisica e mentale a favore delle masse popolari e loro interessi. Ha iniziato l’attività militante dal liceo,
dove ha preso la maturità letteraria nel 2007 in un liceo pubblico.
Ha integrato l’università di Ibn Zohr sezione giurisprudenza, e ha aderito all’organizzazione la Via Democratica Basista
(VDB) la corrente Marxista Leninista del sindacato studentesco Marocchino (UNEM).
Era conosciuto con la sua militanza di propaganda e agitazione con le masse. Ha guidato tante battaglie operaie e di
masse come la lotta degli operai della compagnia Doha. E’ stato arrestato il 25 giugno 2012 della polizia giudiziaria
con altri 3 dei suoi compagni dopo una manifestazione notturna della popolazione di Mhamid Alghizlan in protesta contro
la rottura continua della corrente elettrica, dell’acqua, del telefono e di internet, che ha causato perdite ai
commercianti e agli abitanti. Dopo l’arresto dei 4 compagni i cittadini hanno presidiato la caserma dei carabinieri per
la loro liberazione.
E’ morto il 1° aprile ’14 nel carcere di Ouerzazate dopo essere condannato a due anni e otto mesi. W il martire! W la
rivoluzione! W VDB! W il Marxismo Leninismo!
Il 6 aprile sarà organizzata una manifestazione operaia nazionale contro le "politiche" di austerità chiamata da 3
sindacati.


Turchia,vietato il Primo Maggio in Piazza Taksim
Il Prefetto di Istanbul ha negato pochi giorni fa l'autorizzazione a celebrare come solito la ricorrenza del Primo
Maggio in Piazza Taksim. E' la notizia che sta rimbalzando tra social media, network di movimenti e stampa mainstream
turchi, dopo che vari sindacati maggioritari e associazioni si sono visti negata la loro rchiesta formale di utilizzo
della Piazza, luogo di resistenza e teatro degli episodi conflittuali venuti alla ribalta in tutto il mondo a partire
dallo sgombero lo scorso anno degi occupanti dell'adiacente Gezi Park.
Il Prefetto ha rincarato la dose adducendo la motivazione che si starebbe approntando una apposita zona per le
manifestazioni, lontano dal centrale quartiere Kadikoy, che verrebbe situata in periferia, nella parte anatolica della
città.
Una proposta inaccettabile per i movimenti anti-Erdogan e i partiti della sinistra extraparlamentare, che hanno ribadito
la loto intenzione di voler festeggiare il Primo Maggio di Piazza Taksim. Un Primo Maggio che, contrariamente alle
sfilate e ai concertini che regolarmente ne svuotano i contenuti rivendicativi in molti paesi dell'Europa Occidentale,
ha significato negli ultimi anni una data centrale per la ripresa della conflittualità sociale.
Una data che, dopo l'affronto del Prefetto - allineato con il Governo centrale - si preannuncia ad alta tensione, anche
a seguito del rinnovato fermento sul fronte operaio, con la rivolta che ha avuto luogo ieri a Kutahya, dove i dipendenti
licenziati dall'ex azienda nazionale dell'energia, la (fu) Çelikler Seyitömer Elektrik Üretim A.Ş, hanno fronteggiato la
polizia per ore fin dentro lo stabilimento, nel tentativo di opporsi alla privatizzazione completa dell'ente e la
delocalizzazione forzata dello stabilimento.

18 Aprile 2014, da infoaut.org


Libia: carabinieri addestrano la guardia di frontiera e costiera
La “missione” per la formazione della polizia in Libia è iniziata nel maggio 2013, da allora la situazione della
sicurezza in Libia è peggiorata al punto che l’UE ha deciso evacuare parti della “missione” a Malta: metà del bilancio
totale (30 mln di euro) è stato trasferito ad un’agenzia privata che avrà il compito di garantire la sicurezza degli
appartenenti alla “missione”.
Dei 110 funzionari componenti all’inizio la “missione”, scelti in diversi paesi dell’UE oggi ne sono rimasti soltanto 45
(2 della Germania); loro obiettivo è formare un apparato di polizia integrato capace di rendere sicuri i confini. Detto
altrimenti: capace di allontanare i profughi provenienti dall’Africa sub-sahariana, di impedire loro di attraversare la
Libia come paese di transito verso l’Europa.
Fino ad ora questi corsi sono riusciti a istruire 300 funzionari libici, preparati a dirigere settori civili come la
dogana, ma anche militari come la guardia di frontiera e costiera. La fusione fra militare e civile è presente anche
nella composizione della “missione” della quale fanno parte esperienze militari come la guardia costiera di Malta e i
carabinieri d’Italia.
L’ipocrita servizio profughi di Malta all’inizio dell’anno ha pubblicato un rapporto sulla situazione degli 8mila
profughi in Libia: sono completamente abbandonati all’arbitrio, alla discrezionalità della burocrazia e delle milizie;
incarcerati senza intervento della magistratura, quindi completamente a torto, in carceri inoltre non controllate dallo
stato, ma semplicemente condotte dalle milizie. Qui subiscono torture, maltrattamenti che per tanti si concludono nella
morte.
12 aprile 2014, da jungewelt.de


AGGIORNAMENTI DELLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Cie di Pian del Lago (Cl)
Il 27 marzo una quarantina di reclusi hanno tentato l’evasione dal Cie. Nel tentativo di distogliere l’attenzione, i
prigionieri hanno lanciato pietre e altri oggetti contro i militari addetti alla sorveglianza della struttura. Non ci
sono stati feriti ma notevoli danni ai mezzi delle forze del manganello.

Cie di Bari
10 aprile. Nel corso della notte alcuni materassi sono stati incendiati.
17 aprile. Un recluso protesta dando fuoco ad una coperta a causa del rinvio dell’udienza che avrebbe dovuto decidere il
suo destino.

Centro di “accoglienza” di Rovereto (Tn)
27 marzo. Erano arrivati sabato 21 marzo, in parte eritrei e in parte somali. Ma al centro di "accoglienza" dell'ex
polveriera di Marco (Rovereto), allestito durante la cosiddetta emergenza Nord Africa, non sono rimasti neanche due
giorni. Di quaranta che erano, il lunedì all'interno della struttura ne era rimasto uno solo. Evidentemente all'
"accoglienza" organizzata dagli Alpini e dalla Croce Rossa hanno preferito la fuga per la libertà. Buon viaggio!

Cie di via Corelli, Milano (riaperto)
13 aprile. I lavori di ristrutturazione sono stati ultimati e la gestione è stata assegnata alla società francese Gepsa,
che si occupa di servizi nelle carceri, e all’ Associazione culturale Acuarinto di Agrigento, organismo gestore dei
progetti di accoglienza per Sistema di “protezione” dei richiedenti asilo e rifugiati SPRAR, finanziati dal Ministero
dell’Interno. Gestisce inoltre il Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) di Castelnuovo di Porto (Roma).
La nuova capienza è di 140 posti anziché di 132. A fianco del Cie, sempre in Via Corelli, è in fase di realizzazione un
Centro di “accoglienza per Richiedenti Asilo”. Si tratterebbe del primo Cara di tutto il nord-ovest.
18 aprile. Giunge notizia che un gruppo di reclusi sarà trasferito dal Cie di Trapani al Cie di Via Corelli, quindi
dovrebbe essere quasi certo che il Cie di Milano purtroppo ha riaperto.

Cie di Trapani Milo
Il 22 marzo tre prigionieri riescono a evadere e il giorno seguente si tiene un presidio di solidarietà davanti alle
mura del Cie.
30 marzo. Sette reclusi tentano la fuga utilizzando un vecchio gancio di metallo e alcune corde di fortuna. In sei sono
riusciti ad evadere, mentre uno purtroppo si è incidentato fratturandosi l’indice del dito ed è stato portato in
ospedale solo dopo le forti proteste di quaranta reclusi. Nonostante i lavori di ristrutturazione concentrati
sull’innalzamento delle reti esterne, il Cie di Trapani continua ad essere il Cie delle fughe.
Il 31 marzo i reclusi scavalcano la prima recinzione per richiedere quei beni di prima necessità che vengono negati.
Durante il confronto con le forze dell’ordine, un poliziotto in assetto antisommossa sferra una testata ad un recluso,
spaccandogli il naso. Così inizia un parapiglia tra reclusi e polizia, che si placa all’arrivo del direttore delle
guardie, che dice di fare rapporto sull’accaduto e che l’indomani arriverà la Croce Rossa a gestire il Cie. Infatti il 4
aprile il Cie, che sembrava dovesse chiudere, è stato affidato in gestione provvisoria al locale Comitato Provinciale
della Croce Rossa Italiana.
Il 17 aprile la polizia entra in tutte le aree del Cie ed esegue una perquisizione con cani antidroga, obbligando i
reclusi a spogliarsi e a fare flessioni; il responsabile della Croce Rossa interviene e rimprovera le guardie, ma
soprattutto per il motivo di aver creato una situazione di tensione. Continua la solita perquisizione. Guardie e operai
rimuovono dalle camere vari oggetti in ferro che erano fissati ai muri (reggi mensola), sostenendo che sono utilizzate
dai reclusi come ganci per scavalcare le recinzioni e fuggire.

Cie di C.so Brunelleschi, Torino
23 marzo. Un’ora e mezzo di musica, battiture, interventi al microfono, fumogeni e petardoni nel vialone di Corso
Brunelleschi. In cinquanta fuori dalle sbarre del Centro, per portare ai reclusi la solidarietà di chi sta fuori e
ribadire, dopo queste settimane d' incendi, arresti, liberazioni e deportazioni, che i Cie si chiudono col fuoco.
E’ in corso il bando per la gestione del Cie di Torino, con un prezzo base proposto dalla Prefettura di 40 euro, ma
l’unico ente in gara rimane la Croce Rossa, già gestore di questo Cie e che non se la sente di farsi carico in perdita
di un centro semidistrutto. La Prefettura di sicuro prolungherà temporaneamente l’affidamento ai crocerossini, al
vecchio prezzo, e poi probabilmente cercherà di venire incontro alle loro esigenze riprovando con un bando su basi un
po’ più alte.

Cie di Gradisca d’Isonzo (Go) (chiuso)
Nell’ambito di una inchiesta sulla gestione del Cie, 13 aguzzini sono stati rinviati a giudizio dal Tribunale di
Gorizia. Tra i rinviati a giudizio ci sono sia i componenti del consiglio d’amministrazione dell’ente gestore Connecting
People, sia la vice-prefetto vicario di Gorizia. L’accusa è di associazione a delinquere finalizzata alla truffa allo
Stato e inadempienze in pubbliche forniture. La cifra frodata ammonterebbe ad oltre 2 milioni di euro. Il processo
inizierà il 2 luglio, ma i tempi del dibattimento saranno abbastanza lunghi, ci vorranno almeno 10 udienze e tenuto
conto della pausa estiva e dei tempi dell’ingiustizia italiana, la sentenza è attesa nel 2015. In pratica il gestore è
accusato di avere dichiarato un numero maggiore di reclusi ospitati nella struttura, al fine di ottenere un rimborso
maggiore da parte dello Stato.

Il mare dei morti
8 marzo, Spagna. Muore per ipotermia un ragazzo diciottenne appena sbarcato sulle coste di Tarifa.
18 marzo, Grecia. Naufragio al largo dell’isola di Lesvos. Recuperati i corpi di 7 persone annegate, compresi 2 bambini
e 3 donne. Dispersi altri 2 passeggeri
19 marzo, Sicilia. Un morto a bordo di un’imbarcazione soccorsa nella notte dalla Marina militare italiana nel Canale di
Sicilia.
22 marzo. In questi ultimi giorni ci sono stati oltre 4.000 sbarchi nel porto di Pozzallo (Ragusa). Il 20 aprile
continuano le ondate di profughi su barconi al largo del mediterraneo, dopo essere soccorsi vengono internati nei Centri
di “Accoglienza” , dove in questi giorni sono evase 300 persone tra adulti e minori. Nel Centro “d’accoglienza” di primo
soccorso ad Augusta (Siracusa), molti sono in sciopero della fame per la libertà negata.

Milano, aprile 2014


da una lettera dal pagliarelli di palermo
[...] È notizia fresca che da ieri qui al Pagliarelli hanno iniziato a fare lo sciopero del carrello che durerà una
settimana, dopodiché inizierà lo sciopero della spesa non so per quanto tempo. Non ho idea se l’iniziativa è legata alla
mobilitazione del “Coordinamento”, al partito dei radicali oppure è “spontanea”. Mi è parso di capire alla radio che la
mobilitazione è per amnistia/indulto.
Il Ministro Orlando pur di non dare indulti, pur di ottenere una proroga dell’ultimatum e non pagare le sanzioni europee
sta ripetutamente falsificando i dati riguardo alla capienza reale delle carceri (lui dice circa 50.000, mentre non
arriva ai 40.000) e a quanti detenuti sono usciti per mezzo degli ultimi 4 “pacchetti” sul carcere (lui dice 10.000
mentre, in realtà, sono circa 5.000). Comunque qualche misero ed ipocrita “atto di clemenza" differenziante, anche
secondo me saranno costretti a fare. Non è di certo quello per cui tutti noi stiamo lottando, fatto che deve sviluppare
ancora la propria potenzialità se vogliamo strappare allo stato almeno la concessione forzata di un’amnistia
generalizzata e l’abolizione dell’ergastolo. Certamente tutte le altre proteste che si stanno verificando in giro per le
carceri in questo periodo (ascoltando “radio carcere” mi rendo conto che sono parecchie) per indulto e amnistia deviano
sia le forze sia chiaramente il discorso.
Le vostre fasi di preparazione all’esterno sono essenziali anche per costruire un solido punto intermuro fondamentale
per andare avanti magari superando le difficoltà comunicative con un po’ di corrispondenza in più con chi sta fuori.
Io inizierò lo sciopero della fame dal 12 al 27 aprile (sono sempre 15 giorni) così ho anche l’occasione di andare l’11
aprile in tribunale a Palermo (la camera di Consiglio per il mio ricorso contro la proroga del 14bis mi è stata rinviata
per quella data), ma non è l’unico motivo per cui sto iniziando il 12. Avevo chiesto se si poteva lanciare l’appello del
“Coordinamento dei detenuti” su “Radio carcere” dato che è ascoltata da tutti i detenuti di tutte le galere tramite lo
spazio delle telefonate, interviste e/o lettura di lettere (la cosa buona è che non censurano) però sintonizzandomi
nelle ultime settimane non ho purtroppo sentito niente! [...]

Pagliarelli presoni, 5 aprile 2014
Davide Delogu, via Bachelet, 32 - 90129 Palermo


Lettera dal carcere di Ferrara
Sono incazzato, non un po’, tanticchio. Diciamo parecchio. Molto incazzato. Appena un’ora fa ho fatto la
videoconferenza. ‘Na pagliacciata. Umiliante per certi versi.
È inutile nasconderlo, questa data la aspettavo da molto tempo. La vita qui dentro è monotona, come si può intuire uno
si affida a queste scadenze. Conto i giorni. Lo ammetto. Fra un mese ho quell’udienza. Una settimana, 2 giorni. 1
giorno.
Stanotte non ho dormito. Ero agitato. Alle 3 mi son messo a leggere “La vera storia del capitano Long John Silver”.
Risultato, stamattina avevo delle occhiaie della madonna. Ho cercato in tutti i modi di agghindarmi per mostrare un viso
presentabile. Almeno che i compagni vedessero che stavo bene.
Forse lo sapevo che sarebbe stata una delusione però ho voluto sperare che qualcosa accadesse. Poi verso le 9 e 20 è
venuto a prendermi l’ispettore. Mi son detto: «non farò un viaggio fino a Torino, ma vedrò un’altra parte della galera».
La saletta della videoconferenza distava non più di 20 metri dalla sezione. Prima mi han messo in una camera di
sicurezza. Mi son accorto allora che dentro al carcere ci sono pure dei giardinetti più o meno curati e fuori ci stavano
degli alberi, non so di che tipo, ma il vento ne faceva muovere le foglie. Già, ci sono già le foglie, è arrivata presto
la primavera quest’anno.
Poi mi hanno portato nella saletta. Una stanza normale con due scrivanie, in una sedeva l’ispettore, sull’altra c’ero io
con un bel televisore Lcd e telecamerina sopra. Beh a vedermi in Tv ero abbastanza presentabile. Appena entro in video
un saluto forte ai compagni. Avevo ragionato su cosa fare, cosa dire. Saluto col pugno alzato, perché mi piace salutare
così. Poi presto attenzione in aula, la Tv è rivolta dalla parte del giudice e basta. Che cretino mi sento, ho salutato
solo il giudice. Avrei voluto mostrare un saluto a 39 denti o a 41, ma visto che mi vede solo il giudice sarò serio,
farò il prigioniero serio. Sulla Tv ci sono io in un riquadro piccolo e poi si vede l’aula, 10 secondi il giudice e 10
secondi compagni, avvocati e la pm (che è brutta come una racchia). L’aula è grande, praticamente deserta. Provo a
riconoscere i compagni perché la definizione video non è un granché. ‘Ste telecamere quando devono funzionare fanno le
poco definite. ‘Fanculo. […] Provo tanta rabbia dentro. So dell’immensa forza che mi vorrebbero dare tutti e sto qua
seduto come un piciu in ’sta cazzo di galera. Vaffanculo al Dap. Al carcere. Ai giudici. A tutti loro.
L’ispettore dice che è finito, si ritorna in sezione, io scosto una tendina per guardare fuori, lui se ne accorge e mi
dice che se voglio mi fa guardare pure dall’altro lato. No grazie. Passiamo accanto all’infermeria, c’è un detenuto
comune, panico. Lo saluto. Eccomi nuovamente fra le mie 4 mura solite. Ancora una perquisa. A posto. Lo spettacolo per
oggi è finito. Claudio.

Ferrara, 1 aprile 2014
Claudio Alberto, via Arginone 327 - 44100 Ferrara

***
«Al nostro compagno Claudio è stato imposto di seguire quest’udienza solo tramite videoconferenza, pertanto lui non si
trova ora qui vicino a noi. Questa misura aggrava ancor più la condizione di prigionia in cui si trova. Per questo,
finché lui non sarà presente con noi in aula, ostacoleremo il buon procedimento di questo processo cominciando da ora,
abbandonando l’aula».

Questo il testo letto dai coimputati di Claudio presenti oggi in aula durante l’udienza preliminare del processo ai
Banditi. L’udienza in realtà è rinviata a lunedì prossimo, 7 aprile, ma anche se per pochi minuti i compagni presenti
hanno comunque un assaggio di cosa è un processo in videoconferenza.
In attesa di una riflessione più approfondita sulla questione, ci sembra dunque interessante condividere le impressioni
raccolte questa mattina. Innanzittutto l’aula. Non è quella prevista, ma un’altra ubicata nei sotterranei del Palazzo e
tecnologicamente attrezzata. Diverse sono le videocamere che riprendono il giudice, le parti offese e gli imputati con i
loro avvocati e quattro gli schermi che ne trasmettono poi le riprese. L’immagine di Claudio occupa una piccolissima
porzione degli schermi e rimane a lungo muta. Sono infatti i giudici gli unici a poter accendere il suo microfono e
durante questa breve udienza evidentemente non ritengono necessario farlo. L’unico segnale della sua “presenza” arriva
allora da uno squillo di uno dei telefoni presenti in aula cui, su indicazione delle guardie, risponde l’avvocato.
Dall’altro capo c’è Claudio che, ottenuto il permesso dal secondino che lo affianca, esce di scena e si reca in fondo
alla stanza per telefonare al suo difensore. Ci si accorge così che la sua immagine arriva in differita e che in aula
tutti possono ascoltare quello che l’avvocato dice al proprio assistito. Non molto a dire il vero, perché la
conversazione non dura un granché, il giudice la interrompe infatti dopo poco ricordando che non stanno svolgendo un
colloquio.

1 Aprile 2014, tratto da autistici.org/macerie
***
Bloccato Freccia Bianca: “con detenuti in lotta e I prigionieri in AS2”
Domenica 13 aprile una quindicina di solidali ha ritardato di diversi minuti la partenza del Freccia Bianca per Venezia
in partenza da Ferrara, in solidarietà con i detenuti in lotta e nello specifico con Claudio ed i compagni in isolamento
nella sezione di AS2.
I binari sono stati bloccati con fumogeni ed uno striscione con scritto: "A fianco dei detenuti in lotta. AS2=tortura.
Libertà per tutti". Nel frattempo venivano scanditi interventi al megafono e distribuiti volantini e flyer. Segue il
testo del volantino distribuito in aggiunta all'appello del coordinamento dei detenuti.

PERCHE' SIAMO A FERRARA
Cogliamo l'occasione della mobilitazione anticarceraria lanciata dal coordinamento dei detenuti dal 5 al 20 aprile per
ribadire la nostra solidarietà con tutti i prigionieri.
Nel carcere di Ferrara in particolare si trova una sezione di Alta Sicurezza specifica per detenuti "politici", con
l'obiettivo di tenerli separati dai "comuni". All'interno vi sono quattro compagni anarchici: Adriano, Alfredo, Claudio
e Nicola.
Claudio, arrestato il 9 dicembre scorso accusato insieme ad altri di aver attaccato il cantiere dell'alta velocità in
Val di Susa, in particolare si trova in una condizione di isolato tra gli isolati. Per lui vige il divieto di incontro
con due degli altri tre priionieri della sezione. Sia per lui che per Adriano inoltre è stato disposto che i processi si
svolgeranno tramite videoconferenza, strumento che non permette all'imputato di presenziare fisicamente alle udienze e
quindi di poter parlare direttamente con il proprio avvocato o di vedere amici e parenti presenti in aula.
Il carcere è un ingranaggio infame del sistema in cui viviamo. Questa situazione lo rende ancora più palese, non
soltanto si rinchiudono degli individui, ma li si priva anche della possibilità di vedersi e comunicare tra loro.
Chi detiene le redini del potere spera così di minare la resistenza dei singoli e impedire lo sviluppo di rapporti di
solidarietà. Non deve riuscirci.
LIBERTA' PER CLAUDIO, PER I NO TAV, PER I COMPAGNI PRIGIONIERI E TUTTI I DETENUTI! BASTA GALERE!
Anarchiche e anarchici
16 aprile 2014, da informa.azione.info

***
Un abbraccio a Chiara nel tribunale di Teramo
Nella mattina del 9 aprile, una cinquantina di compagni sono andati al tribunale di Teramo, per salutare Chiara,
attualmente detenuta in alta sorveglianza nel carcere di Rebibbia a Roma per un attacco contro il cantiere della Tav in
Val di Susa nel maggio scorso. Nel processo odierno invece era indagata, insieme ad altri dieci compagni, per aver
impedito nell’estate del 2011 una manifestazione della Lega Nord ad Alba Adriatica. All’inizio della mattinata, tramite
gli avvocati, circola la notizia che non avrebbero portato Chiara in tribunale a Teramo, in quanto era stata disposta la
videoconferenza. Ma in seguito, visto che il tribunale locale non ha un’aula adibita per la videoconferenza, si viene a
sapere che Chiara sarebbe stata portata di persona nel tribunale teramano. Al suo arrivo grida, pugni chiusi e molti
sorrisi l’accolgono e, durante tutto il dibattimento, a turno, i compagni (visto che il giudice aveva disposto di
lasciare fuori dall’aula chi non era indagato per quel procedimento) riescono a scambiare una battuta o uno sguardo
complice e d’affetto. Ed anche qualche abbraccio, quando l’udienza finisce.
Un altro saluto viene fatto anche all’uscita del blindato che riporterà Chiara a Rebibbia: un’anta del cancello del
tribunale viene chiusa, qualche manata sul blindato ed un attimo di faccia a faccia con gli sbirri che avevano
presidiato massicciamente tutta l’area del tribunale. In seguito alcuni compagni si sono fatti un giro in centro, in
città, per distribuire un volantino e così spiegare questa giornata e ribadire, ancora una volta, che Terrorista è lo
Stato!

11 aprile 2014, da informa-azione.info


lettera dal carcere di alessandria
QUELLO STESSO FORMICOLIO
Questa mattina nel corridoio della sezione, prima di scendere all'aria, ho visto dalla finestra dei detenuti che
giocavano nel campo da calcio, che si sgranchivano le gambe accarezzati da un bel venticello. Porca vacca quanto avrei
voluto stare in mezzo a loro. Dalla cella li sento ancora esultare ad ogni goal e mi godrei almeno la partita dagli
spalti se non avessi questo cavolo di plexiglass opaco davanti alla finestra… so che questo è uno dei particolari che ha
fatto più scalpore di questa Alta Sicurezza.
Anche se con tutti gli altri detenuti non ci possiamo incontrare, se molti abbassano la testa quando per sbaglio li
incrociamo mentre siamo diretti alla sala avvocati, se ci vedono come degli alieni e le uniche cose che sanno di noi
gliele dicono le guardie o le infamità dei giornali, so che molti di loro condividono quello stesso formicolio alle
gambe che ci prende appena alzati e si quieta solo con la sera.
Qui dentro vivo una doppia tensione: da un lato la calma, lo spirito disteso con cui affrontare le giornate e attutire
le eventuali brutte notizie che mi strizzano sempre più (una lettera censurata, delle domandine completamente ignorate,
ecc…), dall'altro mi sento scalpitare, penso se sia possibile prendersi degli spicchi di spazio in più per
decongestionarsi o semplicemente per vivere più umanamente.
Un mio amico rinchiuso ad Ivrea una volta mi ha scritto "alla fine sono tutti carceri, non c'è uno meglio dell'altro" e,
ripensando alla mia permanenza alle Vallette, non ha tutti i torti. Questa cosa in un certo senso mi rinvigorisce perché
anche se io sono in un regime separato, vuol dire che alla base abbiamo gli stessi bisogni. Ad esempio, qui la socialità
si fa in corridoio sotto le telecamere con le celle chiuse, ma sarebbe molto importante mangiare assieme, tra le cazzate
di uno e le risa dell'altro; in un'altra sezione vorranno le celle aperte tutto il giorno, qualcuno il sopravvitto meno
caro, qualcun altro vorrà usare di più la palestra (se ce n'è una) e qualcuno vorrà semplicemente tutto… ecco che
ritorna costantemente quel formicolio.
Una volta gli scienziati della politica ci tenevano a dire che i detenuti erano tutti uguali e trattati come tali,
adesso dicono che ognuno è diverso dall'altro e che può essere migliore e usufruire di vari benefici. In questa scaletta
a chiocciola dove ogni detenuto si avvita sulle ginocchia nel tentativo di raggiungere l'ultimo gradino, io penso che
gli estremi si tocchino: da un lato quelli in regime speciale, con più restrizioni e molti occhi addosso, dall'altro i
più comuni tra i comuni, quelli buttati nei giudiziari stracolmi di gente che non se li caga nessuno.
Per noi è la legge stessa a dire che non possiamo godere di alcun permesso o privilegio, qualsiasi cambiamento della
condizione di vita qua dentro sarebbe troppo "pericoloso". Per gli altri è la macina della galera, incessante e
monotona, che semplicemente guarda le infinite richieste e passa avanti. Molti di loro vengono da contesti di strada e
non hanno un sostegno fuori, altri sono addirittura una grossa spesa per le proprie famiglie già in difficoltà.
Anche i Tribunali in realtà non fanno una gran differenza. Certo, su di noi spendono tante parole e un mucchio di
udienze perché il reato fa audience con quella parolina magica appioppata sopra: "terrorismo". Ma cosa dire di tutti
quelli che si possono permettere solo un avvocato d'ufficio, che a volte manco si presenta alla convalida oppure
suggerisce solo di patteggiare, causando così delle condanne pesantissime?
Entrambi veniamo usati per dare l'esempio in modo tale che si diffonda a tutti i livelli e mantenga quel grado di
soggezione costante verso la diffusione della ribellione e di una illegalità sempre più legata alla sopravvivenza
quotidiana. "Venire usato", forse è questa la sensazione più forte che respiri quando entri nel circolo della giustizia,
dalla questura (anzi dalla volante che ti porta via in manette), alla cella.
Anche quando parlano di "svuotare le carceri" per i politici è tutta una questione di calcoli e giochetti economici, per
cui il punto non è solo chi far uscire e chi tenere, ma anche chi far entrare di nuovo. Ad esempio: hanno abolito la
Fini-Giovanardi sulle droghe, per cui è come dire che oltre a far uscire detenuti dovrebbero guardare con un altro
occhio il reato di spaccio, tuttavia è fresca la notizia di due maxi retate come non si vedevano da un po' in un
quartire di Torino per arrestare piccoli spacciatori e clandestini. San Salvario era una zona popolare e adesso vogliono
metterla a nuovo per metterci della gente che sia in grado di sostenere una vita medio alta, così da arricchire i
proprietari di case, supermercati, ecc.. a discapito dei vecchi abitanti impoveriti e allontanati. Io non dico che lo
spaccio sia buono o cattivo, non mi interessa, ma di sicuro quei ragazzi sono l'ultima ruota del carro, lavorano in
strada, non si possono permettere un affitto oppure, come un mio amico anche lui arrestato in grande stile, sono
costretti a lavorare, a scaricare bancali 8/10 ore al giorno per 20/30 euro, e nemmeno tutti i giorni. Nei suoi occhi e
in quelli di molti ragazzi come lui che ho rivisto anche in galera, è come se si leggesse una semplice domanda
"aspettare… cosa?! … perché?!". Allora si arrabbiano e agiscono con vigore ma impulsivamente, spesso vengono puniti o
messi in isolamento e imparano sulla loro pelle l'urgenza di trovare un po' di complici, di comunicare, di unirsi.
Va detto che noi, arrestati per la lotta NO TAV, siamo un po' viziati dal sostegno, dall'affetto e dalla solidarietà,
non solo degli amici più vicini, ma di una marea di persone diverse e variegate che grida per la nostra libertà,
rispedisce al mittente questa repressione continuando a creare svariati problemi.
Dirò, però, che la cosa più forte è questo sentimento di venire coinvolti: in galera tutto si gioca sulla ripetizione,
sulla percezione che nulla possa essere diverso, come fuori dal tempo e dallo spazio, ma questa, per quanto
maledettamente efficace, è un'illusione. Quelle persone là fuori mi aiutano a spezzare l'incantesimo perché mi
raccontano di come cambia il loro mondo, soprattutto di come sono loro stessi a modificarlo. Le cose vanno avanti e non
per questo devo starci male, meglio gioire e soffrire assieme che cercare di rimanere in una bolla e sperare che tutto
passi nel modo più indolore. La galera ti segna, ti solca come uno scalpello sottile e imperterrito, soprattutto quando
non te ne accorgi e pensi di stare in pace perché hai preso le distanze da tutto e da tutti.
Sta tornando l'idea e la sensazione, parlando con molti, che la miseria qua dentro, privati di tutto, non sia così
diversa da quella fuori; ma c'è chi ragiona, giorno per giorno e con tutti i rischi che corre, su come poter usare al
meglio il tempo libero che gli rimane tra le mani - anche perché ha perso il lavoro e non entra più in un negozio, non
va
più al cinema, a stento si ritrova al bar per permettersi un caffè - per cercare altri come lui e non dipendere più
dalle regole del gioco.
Io penso a tutti loro e mi dico: "Dovrò pur fare la mia parte, fosse anche solo un modo per resistere e uscirne a testa
alta, davanti ai "fratelli" di oggi e di domani.

2 aprile 2014
Niccolò Blasi, Strada Casale 50/A - San Michele - 15122 Alessandria


12 APRILE, TRIESTE: PRESIDIO SOLIDALE al processo
Solidarietà con Maurizio e Valerio e con tutti/e i-le detenuti/e in lotta
Lo scorso 8 febbraio si teneva, presso il tribunale di Trieste, la prima udienza del processo a Maurizio Alfieri e
Valerio Crivello, due prigionieri da anni rinchiusi nelle galere dello stato italiano. Sono sotto processo perchè,
durante la loro detenzione nel carcere di Tolmezzo, hanno reagito alla provocazione di un “collaboratore di giustizia e
della direzione penitenziaria”.
Quel giorno, a Maurizio, è stata vietata la presenza in aula dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria per
questioni di cosiddetta “sicurezza”, dovute al fatto che difronte al tribunale ci fosse un presidio solidale. Si è
tentato di costringerlo ad accettare la videosorveglianza, volendo cioè negargli la presenza in aula, prassi che la
legge prevede per i detenuti sottoposti al regime dell'isolamento del 41 bis, ma che oramai DAP e tribunali nei fatti
tendono ad allagare a tutti i prigionieri “scomodi” sotto processo.
Per quanto riguarda Valerio invece, la legge prevede obbligatoriamente la partecipazione in video conferenza, essendo
accusato, sulla base delle infamate di “pentiti”, come al solito manovrati a piacimento dalle procure, di “associazione
a delinquere di stampo mafioso”. Questo processo e la sua gestione da parte di magistrati e DAP si deve al fatto che
Maurizio e Valerio denunciano e lottano contro le nefandezze che succedono dentro le galere.
Dopo questo fatto grave tutti e due sono stati trasferiti in altri carceri allontanandoli ancora di più dai loro cari,
messi ancora in isolamento a poche settimane da una nuova mobilitazione che i detenuti nelle carceri italiane hanno
lanciato dal 5 al 20 aprile, contro le condizioni disumane di detenzione, la tortura “bianca” dell'isolamento e le
violenze e gli arbitrii delle guardie e della direzione dei penitenziari, rivendicando l'amnistia generalizzata e
l'abolizione dell'ergastolo. Per Maurizio è il sesto trasferimento in un anno e mezzo!
Questi due uomini, a dispetto di chi li vuole in silenzio, continuano a lottare ancora a testa alta contro le
ingiustizie e le torture che si perpetrano all'interno dell'istituzione penitenziaria, solidarizzando con le lotte
sociali al di fuori delle mura, da quella contro il Tav a tutte quelle lotte che si oppongono alla sfruttamento
dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura.
Alla scorsa udienza, Maurizio ha infatti dichiarato: “Io non voglio difendermi, bensì attaccare il vostro sistema
criminale”. E noi, con lui, diciamo: chi sono i veri criminali e assassini, quando ogni giorno almeno un operaio muore
sul posto di lavoro, ogni due giorni un detenuto viene ritrovato cadavere nella propria cella, nel Mediterraneo si
contano 20 mila morti, negli ultimi vent'anni, fra immigrati e profughi, uccisi dalle leggi sull'immigrazione della
“civile” Europa e in fuga dalla fame e dalle guerre condotte e provocate dal “democratico” Occidente. Come Naseri
Mohammad Gul, il giovane afghano suicidatosi nel centro di Trieste lo scorso mese, scappato dall'inferno della
democrazia esportata dai bombardieri e ucciso dall'oppressione che ha ritrovato qui, tra miseria materiale,
“accoglienza” blindata, ipocrisie “umanitarie”, burocrazia e aguzzini in divisa. Quest'ultimi sì che possono uccidere
impunemente, come dimostrano proprio a Trieste, in anni recenti, gli omicidi di stato di Alina Bonar, nel 2012, e di
Riccardo Rasman, nel 2006.
Per tutto ciò, il 12 aprile saremo di nuovo in strada al fianco di Maurizio e Valerio e di tutti i detenuti/e che
lottano!
12 APRILE ORE 9.30 DAVANTI AL TRIBUNALE DI TRIESTE IN VIA CORONEO 20
LIBERTA' PER TUTTI E TUTTE

aprile 2014, fonte: collettivo.tazebao@gmail.com

Sabato 12 aprile si doveva svolgere l'udienza al Tribunale di Trieste per il processo a Maurizio Alfieri e Valerio
Crivello. Il giorno prima si era saputo che l'udienza non si sarebbe svolta perché l'avvocato di Maurizio ne aveva
chiesto il rinvio. La prossima udienza si terrà il 9 maggio sempre a Trieste.
Nonostante il rinvio si è svolto un presidio al carcere con la presenza di una ventina abbondante di compagni e
compagne. Anche questa volta c'è stata una buona attenzione da parte delle detenute. Sono stati fatti vari interventi
tra cui uno ricordando Naseri Mohammad Gul, ragazzo afgano suicidatosi con la pistola rubata ad un poliziotto davanti la
Questura di Trieste nel mese di marzo.
Per la prossima udienza vedremo di sapere in anticipo se Maurizio sarà presente in aula in modo tale da organizzare una
presenza importante al Tribunale.


processo in videoconferenza per i compagni Gianluca e Adriano
Il 26 marzo si è tenuta presso il tribunale di Roma l’udienza preliminare del processo in cui sono imputati Gianluca e
Adriano.
I due compagni sono accusati di “associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico”, a cui
si aggiungono quelle di incendio, furto aggravato in concorso, deturpamento e danneggiamento di cose altrui. Si tratta
di tredici azioni realizzate nel territorio dei Castelli Romani contro banche, una pellicceria, sedi distaccate di ENI
ed ENEL e contro la discarica di Albano.
Il processo, di fronte alla corte d’assise, avrà inizio il 26 Maggio.
Con il provvedimento di rinvio a giudizio il GUP D’alessandro si è assunta la grave responsabilità di disporre che gli
imputati debbano partecipare tramite videoconferenza.
La decisione sarebbe motivata da una circolare del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria che prescrive
l’utilizzo di questo dispositivo come misura di contenzione dei detenuti “più pericolosi”, adottata in seguito
all’evasione di Domenico Cutrì, avvenuta nel corso di un trasferimento giudiziario.
Si tratta di una misura che d’ora in poi potrebbe riguardare, insieme ad altri, tutti i procedimenti riguardanti i
detenuti in regime di Alta Sicurezza.
L’utilizzo della videoconferenza rientra all’interno di un politica carceraria, stabilita dalla Comunità Europea, basata
sul modello della differenziazione e quindi dell’isolamento. Si tratta di separare dal corpo dei detenuti gli elementi
considerati più pericolosi: da un lato per poter, con minor rischio e minor costo, gestire la massa crescente degli
internati, dall’altro per tentare di annichilire tutti i nemici dello Stato insuscettibili di ravvedimento.
L’isolamento, che si tenta di imporre in maniera sempre più stringente, può arrivare ad essere una vera e propria forma
di tortura che provoca pesanti danni fisici e psichici a chi la subisce.
Una serie di provvedimenti adottati recentemente nelle sezioni AS2 (riservate ai compagni rivoluzionari) sono
indirizzati ad aumentare il grado di isolamento: chiusura di cancelli che dividono da altre sezioni, limitazioni di
colloqui, tentativi di imporre l’isolamento individuale, divieto di incontro tra detenuti della stessa sezione. A tutto
questo si aggiunge il processo in videoconferenza, uno strumento che colpisce in diversi modi gli individui a cui viene
imposto.
Sul piano umano negare ad un detenuto di partecipare fisicamente alle udienze significa infliggergli un ulteriore
violenza, impedendo che il suo sguardo possa, anche solo per breve tempo, fuoriuscire dal ristretto orizzonte
dell’istituzione totale ed incrociarsi con quello affettuoso e solidale dei compagni, degli amici, dei parenti.
Dal punto di vista processuale la videoconferenza fa parte di una serie di dispositivi tesa a rappresentare l’immagine
del nemico (il mafioso o il terrorista) del quale si deve cancellare ogni traccia di umanità e ragione. Si suggerisce
una colpevolezza a priori, legata a ciò che un soggetto è considerato piuttosto che ai gesti che ha effettivamente
compiuto. L’imputato viene rappresentato come un mostro da tenere relegato e distante in quanto troppo pericoloso per
presenziare in aula.
Così, una giuria popolare potrà condannare molto più a cuor leggero una immagine che scorre su uno schermo, come il
telefilm della sera, piuttosto che un essere umano in carne ed ossa che è in grado di riconoscere come un proprio
simile. Esattamente come un militare che guida un drone uccide più a cuor leggero di uno che spara da distanza
ravvicinata.
L’imputato invece verrà limitato nella possibilità di esporre le proprie ragioni da una corte che potrà togliergli
arbitrariamente la parola, e che di fatto lo porrà sotto questa costante minaccia. Verrà escluso, schiacciando un
semplice tasto, ogni qualvolta dica qualcosa di non gradito dai togati.
Recentemente, con l’applicazione dell’articolo 270 sexies il potere ci ha dimostrato di possedere uno strumento
giuridico potenzialmente in grado di colpire con condanne pesantissime ogni forma di reale conflitto sociale. Stabilito
che terrorista è considerato chiunque si opponga efficacemente al sistema, devono in seguito costruire l’immagine del
terrorista con un adeguato impianto scenografico. Da questo punto di vista la videoconferenza è un ulteriore strumento
di guerra psicologica che si aggiunge ai processi in aula bunker, all’utilizzo di carceri speciali, al linguaggio
mistificatorio con cui si descrivono le azioni di lotta, evocando tutto un immaginario.
Mentre le cause sociali della repressione sono sempre più evidenti, mentre assistiamo con crescente frequenza a
costruzioni giudiziarie che assumono sfacciatamente il carattere della rappresaglia politica, i repressori mettono in
atto l’ennesimo tentativo di tappare la bocca a chi si oppone ad un sistema fallito.
Vogliono soffocare le voci coraggiose e ribelli, vogliono seppellire le ragioni di chi lotta nel silenzio del cemento.
Le sentiranno i signori al potere queste voci, le sentiranno sempre più forti e sempre più vicine alle loro orecchie
che non tollerano disturbi. Le sentiranno nei tribunali che vorrebbero asettici, nelle piazze che vorrebbero rassegnate,
nelle notti in cui vorrebbero dormire sonni tranquilli.
Solidarietà attiva a Gianluca e Adriano. Solidarietà ai compagni e alle compagne prigioniere. Solidarietà ai detenuti e
alle detenute

Rete evasioni, Flex Mob
27 marzo 2014, fonte: evasioni@canaglie.org

contro il 41-bis e alla sua estensione
Lo scritto che segue ha l’ambizione di contribuire a socializzare la conoscenza e il dibattito su un “salto” compiuto
dallo Stato contro le lotte sociali dentro e fuori le carceri, un’aggressività decisa e capace di esprimersi non solo
per mezzo della repressione ma anche mediante gli strumenti della prevenzione e del controllo.
Il “salto” al quale ci riferiamo trova una delle sue dimostrazioni con gli arresti del 9 dicembre 2013 e che hanno
portato in carcere i militanti No Tav Chiara, Mattia, Nico e Claudio con l’ accusa di “terrorismo”.
Questo scatto in avanti dello Stato ha destato attenzione in ogni ambito del movimento, poiché lo ha posto di fronte ad
un serio aggravamento non solo delle misure di prevenzione e di controllo (dentro e fuori le galere) ma anche ad un
rafforzamento della repressione. E’ evidente agli occhi di tutti l’interesse dello stato nel voler scoraggiare ed
impaurire quanti non accettano la devastazione dei territori, lo sfruttamento nei luoghi di lavoro, politiche abitative
dettate dalla speculazione, vessazioni di ogni sorta nelle prigioni, un costante impoverimento dei livelli di vita e più
in generale un modello di società (il loro) che prevede solo precarietà, paura, controllo sociale e maggior repressione
(per tutti ogni altro).
Il carcere e le applicazioni sempre più restrittive della legislazione penale sono gli strumenti migliori per estendere
il potere della deterrenza e le politiche della differenziazione. L’ Avvocato Caterina Calia, nell’ opuscolo “Oltre le
mura”, evidenzia «come oggi vengano usate imputazioni di devastazione e saccheggio per semplici danneggiamenti,
avvenuti durante i cortei, oppure come addirittura vengano contestati reati gravissimi, quali l’associazione eversiva o
l’aggravante di terrorismo e attentato per piccole azioni di resistenza, come è avvenuto per la lotta No Tav in
Piemonte».
Da qui, dunque, l’importanza della lotta contro il sistema penitenziario e della necessità che essa si generalizzi e si
approfondisca.
Con i presidi, con i saluti intorno alle carceri, con le presenze nei tribunali, con la corrispondenza, attraverso le
relazioni con i familiari dei detenuti viene contrastato l’isolamento che Pm, giudici, guardie ed il Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria tentano di imporre. Ogni giorno ci scontriamo con i molteplici mezzi ai quali lo
Stato ricorre per impedire qualsiasi iniziativa in grado di rafforzare (o costruire) il legame tra chi sta dentro una
galera e chi sta fuori: pensiamo ai divieti di incontro, agli isolamenti via via più accaniti, fino al processo in
videoconferenza.
Il problema, però, è che tanto dentro quanto fuori una prigione non si conoscono a sufficienza storie come quella di
Maurizio e di Valerio, che nel giro di pochi mesi hanno conosciuto l’ isolamento nel carcere di Tolmezzo, diversi
trasferimenti, l’ applicazione del 14bis ed infine pure la videoconferenza.
Oppure la storia di Davide, sottoposto da oltre sei mesi al 14bis nel carcere Pagliarelli di Palermo, con l’accusa di
aver preso parte alle proteste collettive dell’ estate-autunno 2013 nel carcere del Buoncammino di Cagliari.
E ancora meno è conosciuta la condizione di quei prigionieri arabi rinchiusi nelle galere di Macomer (Nuoro) e Rossano
Calabro (Cosenza), accusati di “terrorismo”, costretti in stato di isolamento e contro il quale si battono, ricevendo in
tutta risposta pestaggi, censura, etc…
La quotidianità vissuta da chi subisce i regimi di isolamento presenti in ogni carcere (pensiamo, ad esempio, a
Piacenza, Tolmezzo, Terni, Poggioreale, Ferrara, Pagliarelli, Siano, etc…) deve essere conosciuta e comunicata, affinché
si costruisca e si rafforzi una solidarietà sempre più estesa che sia condizione e conseguenza della generalizzazione e
della continuità della lotta. Per questo consideriamo di importanza vitale comunicare con chi oggi è dentro. Sapere se
il trattamento di videoconferenza è già in uso, quali e quanti sono i detenuti che lo subiscono, quando è stato
introdotto e quali sono i motivi che vengono sbandierati per giustificare la sua applicazione.
Non possiamo non pensare al futuro. Ci sentiamo obbligati a conoscere e a comprendere che cosa lo Stato intenda
ulteriormente fare in materia di prevenzione, controllo e repressione tanto in carcere quanto fuori. E’ evidente che
l’arroganza dello Stato nel pretendere di disporre delle nostre vite come fossimo oggetti stia generando tensioni
sociali di una certa portata, ma è altrettanto chiaro il suo bisogno di attrezzarsi come non mai allo scopo di
prevenire, monitorare e reprimere.
Da questo punto di vista, ad esempio, il 41bis e la videoconferenza non assumono importanza solo in quanto misure
repressive, ma entrano a far parte di un piano più generale di prevenzione. Attraverso questi (ed altri) trattamenti lo
Stato intima la sua volontà di «annientamento dell’individualità del prigioniero» mettendo in campo misure in grado di
agire come «deterrente per ampi settori che si muovono su un terreno di conflitto sociale» (dall’opuscolo citato “Oltre
le mura”).
Milano, aprile 2014, OLGa


Lettera dal carcere di Rebibbia (rm)
Chi lotta può perdere… chi non lotta ha già perso! Lo diceva il “Che” un po’ d’anni fa.
Dando un’occhiata alle sue “Lettere” alla figlia traspare tutta la sua solitudine e a volte l’amarezza di un uomo in
lotta. La su esperienza di rivoluzionario in Congo, poi, è una fotografia nitida di ciò che significa perdere…
Per non parlare della sua fine, che a dispetto dei tradimenti o proprio in virtù di quelli ne fa un eroe. Un esempio. Il
“Che” è il “Che”. Ma la lotta è la lotta. E quella non muore, non può morire. Finché ci sarà uno sfruttato, finché ci
sarà una giustizia di classe, fin quando saranno costruite galere…
“Mi rivolto, dunque sono”. Camus ribaltò così il “Cogito ergo sum” troppo malleabile alla filosofia del potere. Ed è ora
e qui, ovunque ci troviamo che dovremmo, no, dobbiamo stracciare il velo di ipocrita pacifismo che è sempre più una
comoda e funzionale pace dei sensi, senza paura e senza tregua. Perché è già troppo tardi.
Perché arrestano ‘cotidia’ (ogni giorno) compagni per un moto di sano dissenso e li etichettano terroristi. Perché i
tentacoli mediatici del sistema cantano come sempre all’unisono, ma la loro canzone reazionaria la cominciano a
balbettare perché qualche, forse per loro troppe, coscienze inquinano di salutari “no” l’opinione pubblica. E’ già tardi
se non vogliamo continuare a subire lo spettacolo di un’alternativa al potere che perpetua il dominio finanziario anche
domani. E’ già tardi se non vogliamo restare impassibili davanti ai televisori, rincoglioniti spettatori della nostra
trasformazione in codici a barre.
Se è vero che un uomo nasce libero, se è vero che davanti ad una ben oleata propaganda in passato abbiamo accettato di
essere accomunati dal titolo di lavoratori ed indossato camici e tute blu che puzzavano di schiavitù per poi essere
uguali solo tra gli ultimi… Se è vero che la storia insegna, come è possibile ora accettare di essere dei sfottuti
consumatori?! Cazzo però se mi guardo intorno anche solo da qui, da questo carcere capitolino, mi accorgo che è proprio
così… che è già troppo tardi!
Ma se solo ci fermassimo a guardare che stiamo facendo della nostra terra, dei nostri mari, anche il più stolto e
rincoglionito dei consumatori capirebbe che c’è una lotta partigiana in atto. E se a qualcuno dan prurito le ideologie,
beh!, la terra no, la terra non si tocca. Su quella non regge alcuna divisione di analisi o di metodo compagni.
E non è più “già tardi”. Ed eccola la base per abbattere gli alibi della disgregazione. Chi cospirando nelle carceri,
nelle scuole o nelle fabbriche e negli uffici fa si che rinasca un fronte unico rivoluzionario. Non ha più alibi la
rassegnazione. La terra non si tocca!
Se è vero che siamo nati liberi, qui ed ora, ovunque respiriamo! Complice e solidale sempre, anche da qui, da una cella
di isolamento per aver istigato disordini e sommossa! Enrico.

Rebibbia. Altrove! 23 marzo 2014
Enrico Cortese, via Majetti, 70 – 00156 Roma

***
Ciao amici e compagni di Olga, volevo il mio trasferimento transitorio a Regina Coeli… Naturalmente dopo la denuncia e
l’isolamento coi divieti di incontro non mi avrebbero mai fatto restare a Rebibbia. Quindi eccomi di nuovo qui. Dopo 4
mesi ho ritrovato vecchi amici e i soliti problemi. Ma davvero va oltre l’ideologia e la sete di libertà la
consapevolezza che questo carcere andrebbe abbattuto per primo. Con la scusa che è una galera d’approdo e di transito,
ignorano completamente anche le nuove leggi che ci vogliono a celle aperte per 8 (otto) ore al dì, con relativi corsi e
spazi ricreativi… Qui è tutto una costrizione all’oblio. Ed alla rassegnazione!
C’è una cosa che sopra tutte insiste nello spingere lame sullo stomaco: i carcerieri qui giustificano ogni sopruso con
la favella dell’ORDINE E SICUREZZA. Ma questa preoccupazione non è rivolta a timori di sommossa, solo alla certezza che
allargando le “libertà” e le concessioni, i detenuti ne approfitterebbero per biechi business! Sia maledetto il
metadone, siano maledette gocce e pastiglie, sia maledetta innanzitutto l’ingenuità e la resa. L’ingenua complicità di
chi anche tra noi fuori ha smesso di condannare la resa alla droga, perché una volta “dentro” ci si accorge che non
permette al collo di piegare la testa!
Due giorni fa han portato due compagni degli scontri del 12 aprile a Roma… Massima solidarietà, come sempre. Ma nel mio
piccolo, umilmente, mi permetto di scrivere che forse è ora di finirla con questi regali alla pubblica sicurezza. Forse
è ora di convogliare le forze almeno in scontri partoriti da strategie diverse.
Concentrarsi su atti davvero fastidiosi e non dannosi solo per noi! Agli sbirri regaliamo solo vacanze pagate con un
sampietrino. C’è da riprendere in mano e coordinare una lotta senza tregua. Urlare i nostri “claim” [rivendicazioni,
ndc], come diceva Negri.
Dalle montagne della Val di Susa alle pianure salentine. Forse sarebbe ora di mollare i simboli e puntare ai mandanti,
come facevano i compagni spagnoli che han dato il via all’indignazione quando si presentavano in massa sotto casa dei
politici colpevoli degli sfratti. Ma qui è tardi per l’indignazione. E’ ora di manifestare intelligentemente il nostro
odio, amando la nostra terra. Rivendicando l’unica giustizia e far la storia, quella del popolo!
Ora vi saluto compagni/e. Vi chiedo di mandare qui a regina Coeli l’opuscolo, almeno per ora… domani non lo so. So solo
che non gli basta sbattermi in isolamento o aggiungere mesi alla mia condanna per farmi ingoiare la mia solidarietà, la
mia dignità!
Un abbraccio ai compagni in lotta ovunque, soprattutto a quelli chiusi come me! A Chiara, a Francesco P. a Rebibbia: a
nuove migliori compagni/e! Fuck the Jail!
Un salentino resistente. Enrico

Fottuto carcere! Altrove! (metà aprile 2014)
Enrico Cortese, via della Lungara, 29 - 00165 Roma
lettera dalle carceri greche
Sul disegno di legge riguardante le carceri in Grecia
Segue una lettera di Kostas Gournas, membro dell’organizzazione “Lotta Rivoluzionaria” e di Dimitris Koufodinas, membro
dell’organizzazione “17 Novembre” (17N) sul disegno di legge riguardante le carceri in Grecia. La lettera è stata
mandata al giornale PONTIKI e pubblicata il 27 marzo 2014.

Il disegno di legge sulle carceri provoca una Guantanamo greca.
I detenuti in queste carceri speciali:
- saranno privati di tutti i diritti dei prigionieri (permessi, sospensioni, ecc.);
- si vedranno limitare i diritti relativi alle visite e alle chiamate telefoniche;
- resteranno rinchiusi in cella per 23 ore;
- si troveranno di fronte un’unità speciale segreta della polizia con poteri e competenze imprecisati.
Questa morsa attuata in carcere è paragonabile con quella attuata a Guantanamo. Il disegno di legge di Samaras, Dendias
e Athanasiou è ispirato al fascismo. È l’espressione di un stato in costante emergenza. È il corrispondente memorandum
per i prigionieri.
Il microcosmo dei prigionieri non è risparmiato dal vasto attacco frontale portato alla società greca. Il capitalismo
neoliberale globale tenta di superare la crisi, calpesta i diritti conquistati da decenni e impiega questa strategia
modo disumano contro la società greca.
Strategia che non ammette sbocchi, soffoca, invece, la dignità dell’individuo e ogni desiderio di resistenza. Il disegno
di legge è conforme a questa logica, costruisce la minaccia delle carceri di tipo C, che spaventa i prigionieri ed è
pure diretta contro l’intera società in lotta. Obiettivo primario di tale disegno di legge è l’isolamento dei
prigionieri politici. Prototipo è il modello adottato nel 2002 in particolare per i prigionieri di “17N”.
Lo scopo è istituire e legittimare l’isolamento, è impedire il tentativo dei prigionieri di comunicare alla società
tendenze contrarie al sistema. Le loro lotte e quelle dei movimenti di solidarietà, però, hanno sovvertito già nel 2002
questi progetti, vincendo la politica dell’isolamento. Anche oggi sarà così.
Invitiamo i prigionieri politici, tutti i prigionieri in lotta, i movimenti di solidarietà, la società che lotta, a
unificare le loro voci e le azioni di lotta contro questi disegni di legge fascisti. Anche questa lotta è parte della
battaglia contro il tentativo dello stato di distruggere la società.
P.S. Il disegno di legge è già attuato nelle carceri. La cancellazione dei permessi, in particolare la chiusura di ogni
via d’uscita sbocco, porta a risultati tragici: i tre fautori del disegno di legge hanno usato le maniere pesanti a
Malandrino.

Kostas Gournas / Dimitris Koufodinas

19 aprile 2014, fonte: info@rhi-sri.org


Lettera dal carcere di Rossano (CS)
La lettera che segue ci è arrivata in raccomandata con ricevuta di ritorno
e con il visto per censura datato 17 aprile. Non abbiamo mai smesso di scrivere a Mohamed né di madargli mensilmernte
l'opuscolo ma evidentemente il carcere di Rossano ritiene inopportuna questa nostra corrispondenza. Un caro saluto a
Mohamed.

[...] spero stiate tutti bene, io come sempre bene, volevo informarti che non ho più ricevuto nulla da voi, né lettere
né altro, aspettavo la lista dei libri ma non è più arrivato nulla. Ho fatto l'appello e hanno scalato 8 mesi, adesso mi
mancano 2 anni e 8 mesi, cerchiamo di passarlo nel modo più dignitoso.
Fammi sapere se questo ritardo dipende da voi o per altri motivi... A presto

Rossano, aprile 7 aprile 2014
Mohamed Jarmoune, Contrada Ciminata Greco, 1 - 87067 Rossano Scalo (Cosenza)

***
SULLA SEZIONE DI ALTA SICUREZZA (AS) DEL CARCERE DI ROSSANO (CS)
E' stato ultimato un opuscolo informativo sulla sezione AS2 del carcere di Rossano che invieremo a chi ne farà
richiesta. Di seguito riportiamo alcuni stralci dall'introduzione.

[...] La sezione di Rossano non è il primo bunker predisposto in Italia per colpire direttamente immigrati arabi
considerati “terroristi” o “fiancheggiatori”; fa seguito infatti a piccole sezioni di isolamento installate, a partire
dall’11 settembre 2001, nelle carceri di Opera, Parma, Rebibbia… alle quali, nel tempo, si sono aggiunte vere e proprie
sezioni speciali costruite nelle carceri di Macomer (Nuoro), Benevento ed Asti […]
Sul trattamento riservato a coloro che sono stati trasferiti in queste sezioni, la nostra fonte principale sono le
lettere dei prigionieri. La corrispondenza, in parte riportata in questo opuscolo, è stata intessuta negli anni in mezzo
a ostacoli ben immaginabili. […]
In questa ricerca per il collettivo è stato un punto fermo, per esempio, l’esortazione proveniente da dentro a seguire
da vicino processi, storie di bisogni, preoccupazioni di vario tipo individuali o di gruppo. Così, nel coltivare questo
complesso rapporto, siamo arrivati a capire e sentire che la resistenza opposta dai prigionieri di guerra arabi chiusi
nelle sezioni speciali in Italia, è intima parte della lotta contro il profitto, contro il dominio sui territori, sulle
materie prime (petrolio, nichel, cobalto, oro, banane, soia…), sullo schiavizzare incessantemente la forza-lavoro di
miliardi di persone dell’ “Oriente e del Sud”.
E' parte della lotta che appartiene a chiunque in tutto il mondo, comprese/i noi in Italia, agisce contro ogni genere di
sfruttamento e devastazione.
Con il passare del tempo e delle esperienze, abbiamo imparato che senza socializzazione delle conoscenze è impossibile
costruire lotte capaci di dare forza alla lotta in cui ci impegniamo, è impossibile uscire dalla gretta genericità del
piccolo gruppo. Proprio per rafforzare la lotta generale che tutte/i dobbiamo affrontare anche qui in Italia contro
carceri e tribunali, socializziamo la raccolta della corrispondenza accennata, insieme all’opuscolo dedicato al
combattente palestinese Khaled Hussein morto-ucciso il 22 giugno 2009 nella sezione speciale del carcere di Benevento.

Milano, aprile 2014 - OLGa


Lettera dal carcere di firenze-Sollicciano
Quello che scrive Chaker, in particolare la mancata consegna dell’opuscolo senza alcuna comunicazione da parte dei
carcerieri è accaduto anche con altri prigionieri. Nel caso di Chaker l’opuscolo ci è tornato indietro con scritto sul
bustone “sconosciuto”, facendoci così pensare ad un suo trasferimento o comunque che non è più lì. E’ ormai chiaro:
l’opuscolo è sabotato dai carcerieri al pari della corrispondenza inviata alla casella postale “Ampi Orizzonti”, chi lo
riceve viene ulteriormente controllato. Fuori ci impegnamo a tenere aperte le strade alla circolazione dell’opuscolo
proprio per la funzione comunicativa presa di mira dai carcerieri. Però tutti assieme dobbiamo trovare il modo di
saltare i sabotaggi del ministero, moltiplicando, questa la proposta, la corrispondenza fra carcere e carcere e gli
indirizzi per scrivere fuori. Chi ha idee le tiri fuori nel modo che ritiene.

Gentilissimi compagni e compagne, sono un vostro carissimo amico, vi seguo con molta attenzione da sempre, vi scrivo per
farvi sapere che l’ultimo opuscolo da me ricevuto risale ad agosto col nr. 83 quindi sono già 7 mesi che non ne ricevo
più.
Con molto piacere vi richiedo di continuare ad inviarmi le vostre scritture. Considero i vostri opuscoli interessanti e
di grande compagnia. Se vi è possibile mi farebbe piacere ricevere, se ce ne sono, novità su ciò che riguarda indulto,
amnistia o nuove leggi.
Oltre a me, tutti i miei compagni di detenzione dal carcere di Sollicciano, vi mandiamo tanti e sinceri saluti a voi e a
tutti i detenuti dei carceri italiani. Un saluto particolare lo invio al mio amico e compagno Davide Rosci.
E per concludere questa mia vi mando questa poesia e la dedico a coloro che come me si rispecchiano in queste parole.

Amore a prima vista
L’ho conosciuta ad una festa di compleanno,
me l’ha presentata un mio paesano,
era bella bionda, più bella che gioconda!
Mi sono presentato e lei mi ha subito abbracciato
E baciato in modo appassionato.
Sentivo il mio cuore che batteva, il sangue nelle vene che scorreva,
le farfalle nello stomaco rapidamente volavano,
i capelli della testa rapidamente si muovevano,
le formiche sotto la pelle rapidamente viaggiavano.
Con la sua bellezza rapidamente mi ha stregato
Ed immediatamente me ne sono innamorato.
Un amore a prima vista
Mi sento un grande artista.
Dopo la festa a casa sua mi ha portato,
ma purtroppo mi sono addormentato.
La mattina mi sono svegliato, malato, spaventato, preoccupato.
A casa sua non l’ho trovata, senza salutarmi se n’è andata.
Già sentivo la sua mancanza,
senza di lei provo tristezza, senza di lei provo solo dolore e sofferenza.
L’ho cercata, in una piazza l’ho trovata, subito l’ho abbracciata,
subito mi ha toccato il cuore fino in fondo.
Mi sentivo l’uomo più felice del mondo.
Poco dopo ancora se n’è andata, ma presto è tornata,
e per non essere di nuovo mollato l’ho sposata.
Mi insultava, mi picchiava, mi torturava,
e come uno schiavo mi trattava.
Ma io ero sempre innamorato.
Lei mi ha abbandonato, mi ha scaricato, il cuore mi ha spezzato,
e io ero sempre innamorato.
Un tradimento con uno sbirro mi ha regalato,
mi ha incastrato, in carcere mi ha mandato.
Dietro le sbarre sono cambiato!
Non sono più il ragazzo innamorato.
L’ho conosciuta ad una festa di compleanno,
e per colpa sua mi sono condannato per 4 anni 8 mesi.
MALEDETTA DROGA

Carcere di Sollicciano, 2 aprile 2014
Marzouki Chaker, v. Minervini 2/R - 50018 Sollicciano-Scandicci (Firenze)

***
Sulla cancellazione della Fini-Giovanardi sulle droghe
Con la cancellazione per illegittimità costituzionale della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, è rientrata in vigore la
precedente normativa del 1990, la Jervolino-Vassali.
Dopo mezzo secolo di escalation proibizionista, la legge Fini-Giovanardi (dal 2006 al 2014) aveva rappresentato un
ulteriore inasprimento delle politiche antidroga e la sua cancellazione fa rivivere le politiche architettate per il
contesto culturale degli anni 80-90. Ma dagli anni novanta ad oggi la diffusione delle sostanze è aumentata e non
riguarda più solo quei soggetti considerati marginali.
Gli unici ad affermare il contrario sono i rappresentanti del Dipartimento Politiche Antidroga (DPA), organismo
istituito ad Hoc nel 2006 dalla legge appena dichiarata incostituzionale e che rimane inspiegabilmente ancora in piedi.
Quest’apparato politico travestito da istituto scientifico pretende di dettare la verità assoluta sulle droghe e con i
suoi poteri straordinari, conferitigli da una delega governativa, rappresenta il maggior nemico alla liberazione della
canapa ed ad un approccio pragmatico, sensato e socialmente condiviso delle politiche sulle droghe. Dai suoi annunci
traspare con chiarezza l’intenzione di perseverare con la linea ultra proibizionista contro i drogati, fondata su
concetti come la deterrenza, la repressione, le cure forzate.
L’attuale programma del DPA considera quella delle droghe una questione esclusivamente medica e criminale e promuove
l’uso delle droghe legali, come gli psicofarmaci, per “curare” con la forza i drogati. [...]

aprile 2014, estratto da osservatorioantipro.org


lettere dal carcere di Spoleto (pg)
[…] oggi vi mando questo mio scritto per condividere con tutti i lettori di Ampi Orizzonti i grandissimi disagi e i
moltissimi abusi esistenti in questo carcere… Insieme a tutti voi voglio lanciare un grido d’aiuto per fare presente
tutto quello che accade qui…
C’è una legge che non viene mai rispettata, l’art. 42 dell’Ordinamento Penitenziario, che stabilisce nel disporre i
trasferimenti, che deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alle residenze delle
famiglie, per consentire e coltivare gli affetti. Sono 4 anni che mi trovo lontano migliaia di km dalla mia famiglia,
non ho mai avuto un avvicinamento per colloqui. Così è per tutti noi qui. In tutti questi anni non ho mai percepito
nessun aiuto dall’amministrazione penitenziaria, nessun tipo di fornitura, né personale né per l’igiene totale della
cella. Non ho mai partecipato, perché qui inesistenti, a corsi di formazione… ho lavorato sempre come porta-vitto o
inserviente per una misera paga di 75,58 euro al mese…
Inoltre, mi hanno costretto, usando la forza fisica, ad allocarmi in cella con un altro detenuto… visto che ho
protestato mi hanno trasferito in camerine con altri 5 detenuti, una cella 20 mq senza acqua calda, bidé, doccia senza
cesso (dobbiamo andare in un cesso comune)... La cucina lavora per 700 piatti (il regolamento prevede che ci vuole una
cucina per ogni 200 detenuti affinché il mangiare sia minimamente soddisfacente)… così il cibo è immangiabile anche con
la fame che ti attanaglia le budella, per non parlare della scarsa pulizia igienica che si trova nel vitto che ci viene
portato sempre freddo e stracotto dato anche il lunghissimo tragitto che deve fare…
L’acquisto di cibi è composto da una lista cortissima, i prezzi applicati sono al di sopra del normale, tutto costa più
caro di quello che costa fuori…
Carissimi lettori, potrei scrivere centinaia e centinaia di pagine elencando tutto quello che qui non funziona, ma
preferisco per il momento chiudere solo con questo piccolissimo riassunto e lasciarvi con un caloroso abbraccio
confidandovi la riflessione che in tutti gli anni che sono qui moltissime autorità sono entrate, parlamentari, assessori
sindaci del comune di Spoleto ecc. ecc. ma mai nessuno è stato così curioso da essere portato nelle sezioni dove vivono
i detenuti, per vedere come vivono. Chissà mai perché nessuno di loro, con i poteri che ha, non ha deciso di vedere lo
sgomento, e di più, in questo istituto.
Vi porgo un caloroso abbraccio e spero di leggere presto i vostri commenti.
Concludo con il comunicarvi che oggi vengo messo in isolamento perché combatto e tutelo i miei diritti, denuncio gli
abusi subiti, cosa che all’amministrazione non piace.

Aprile 2014

***
Noi non ci conosciamo ma spero tanto di diventare vostro amico, mi trovo a Spoleto, attualmente sto scontando
l’isolamento diurno, divenuto esecutivo dopo la sentenza definitiva all’ergastolo. Sono originario della Calabria, ho 30
anni e padre di due meravigliosi figli.
Qui in isolamento ho avuto modo di fare la conoscenza di Maurizio (Alfieri), poiché si è fatto tagliare i capelli in
saletta, cosa che normalmente viene fatta da tutti i detenuti, dal momento in cui il barbiere non esiste. Per questo
motivo gli hanno dato 10 giorni! Assurdo! A questo abuso ha risposto riempiendo di tante parole il direttore, il quale
non ha esitato a dargli altri 15+15 giorni. Maurizio vi manda i saluti e vi dice che da tempo ha la posta bloccata, in
entrata e uscita. Vi manda un caloroso abbraccio e vi scriverà non appena risolverà queste tematiche.
Attraverso voi vorrei ricevere dei libri da leggere cosicché possa colmare queste lunghe giornate di solitudine. Per il
genere dei libri non ho un indirizzo preciso, per cui lascio a voi la scelta. Anche quelli di poesia vanno bene. Vi
ringrazio di vero cuore, Antonino.

Spoleto, 15 aprile 2014


Lettera dal carcere di Bergamo
Saluto tutti voi, compagne e compagni, giovedì mi sono arrampicato sul muro dell’aria. E’ alto 5 metri, comprese le
sbarre di ferro. Io sono stato 4 ore. Volevo parlare con magistrati di sorveglianza e volevo il trasferimento da questo
posto di merda. Mi aspetto che mi diano il 14 bis. Vi faccio sapere le novità. Ma se entro 7 giorni non vado via mi
arrampico di nuovo al muro.
Magari in in questo modo non è buono fare proteste, ma io conosco solo questo. Se voglio ottenere una cosa io pago, e
non faccio alle spese di altri!
Qui non c’è stato né sciopero né niente. Ma non si può aspettare niente da questa gentaglia. Protestano i detenuti con
l’ergastolo, si battono per altri detenuti; e i detenuti “comuni” che devono combattere non lo fanno. Io sto dalla parte
di quei detenuti veri e non dalla parte della gentaglia. Mi dispiace per i compagni e per quei pochi buoni detenuti che
soffrono in questo regime di merda, fascista, dove non funziona niente. Direttori e altre alte cariche prendono 4-5
mila euro al mese: e non fanno niente. Il ministro di giustizia prende 40 mila euro al mese, e per cosa? E poi vogliono
dare lezione “morale” a me e a questi altri poveracci chiusi in galera. E nel parlamento italiano ci sono già una
settantina di senatori condannati.
L’altro giorno ho mandato a fanculo il direttore e altri dirigenti qui e gli ho detto che io mi inchino davanti a gente
come Gino Strada e non davanti a loro che sono peggiori di me. Gli ho detto quello che sento e penso, e si sa che a loro
non piace questo. Ma che vanno a fare in culo tutti loro, e con loro pure quella mummia di Giorgio Napoletano. Io gli
auguro ogni male che c’è.
Spero che questa lettera trovi tutti voi in buona salute. Vi saluto da questo carcere “aperto” ah, ah. Jasmir.

Carcere di Bergamo 12 aprile 2014
Sabanovic Jasmir, via Gleno 61 - 24125 Bergamo


Lettera dal carcere di Perugia
Compagni, (ho notato che molti specificano “e compagne”, io non lo faccio non per sessismo o misoginia ma, perché, mi
piace pensare che il termine compagni, usato per rivolgersi ad una moltitudine di persone, racchiuda in sé ambo i sessi,
un po’ come dire “esseri umani”; tralasciamo comunque inutili sofismi introduttivi e veniamo a noi).
Prendo spunto da una bella lettera scritta da un compagno detenuto a Rebibbia e pubblicata sull’opuscolo 88 di gennaio
2014, (complimenti per la tragicomica immagine di copertina), in merito alla liberazione anticipata speciale prevista
dallo pseudo decreto svuota-carceri.
Il problema, a mio avviso, non è esclusivamente nell’aspetto premiale del beneficio e della discrezionalità del
magistrato nella concessione dello stesso, ma, fondamentalmente, nella richiesta da parte dello Stato, di un requisito
che lo stesso Stato non permette al detenuto di soddisfare.
Con il Decreto Legge 146/2013 alla mano, per detenuto sprovvisto di 4bis Ordinamento Penitenziario (O.P.) [Divieto di
concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti], la concessione
del beneficio è legata semplicemente alla avvenuta fruizione della liberazione anticipata ordinaria ai sensi dell’art.
54 dell’O.P. [sulla concessione della “libertà anticipata”] ed all’assenza di rapporti disciplinari. Per chi invece,
come me, come il sopraccitato compagno detenuto a Rebibbia e come molti altri, è marchiato di 4bis, il discorso è ben
diverso.
Per usufruire della liberazione anticipata speciale di 30 giorni, in relazione ad ogni semestre maturato dal 2010
(soltanto per i periodi passati in carcere, poiché le pene alternative non fanno testo), non basta aver ottenuto la
liberazione anticipata ordinaria e non aver conseguito rapporti disciplinari, ma, è necessario aver continuato a dare
chiara dimostrazione di volontà di partecipazione ad un percorso di concreto recupero e reinserimento sociale, oltre,
chiaramente, alla discrezione del magistrato di sorveglianza.
Ora, visto che siamo ben consapevoli che nelle carceri italiane non sussiste la reale possibilità per tutti di accedere
alla scuola, e ad eventuali corsi, né, tantomeno, al lavoro retribuito, come è possibile soddisfare tali requisiti? Ecco
quindi che quello che sarebbe potuto essere, se accessibile a tutti, indistintamente ed indipendentemente dalla volontà
del magistrato, un ottimo beneficio, si rivela uno strumento di soggiogazione mentale del detenuto. Ciò ha scatenato,
almeno in questo carcere, un’orda di lavoratori volontari, che accettano di buon grado, di farsi schiavizzare
gratuitamente per svolgere i più vili compiti, mentre, altri, si prestano a rapporti di “collaborazione” con il
personale penitenziario.
Io, personalmente, ho già rifiutato due volte il lavoro retribuito, ma non mi pare coerente che quello stesso Stato che
mi ha imposto 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e che non mi ritiene consono, pur essendo nei termini di legge,
ad accedere a pene alternative così da poter tornare a svolgere il mio lavoro, mi reputi però idoneo per ripulire i
cessi delle guardie per circa 3 euro al giorno. Saluti. Alessio.

Perugia 26 marzo 2014
Alessio Quaresima, v. Pievaiola, 252 – 06132 Perugia


il Ddl carceri diventa legge
Sì definitivo dell’Aula della Camera nella seduta del 2 aprile al disegno di legge sulle pene alternative al carcere,
che contiene fra l’altro anche la depenalizzazione della cosiddetta “immigrazione clandestina” e le norme sulla messa
alla prova. Il testo è stato approvato a Montecitorio con 332 sì, 104 no e 22 astenuti.
Si tratta della prima norma di iniziativa parlamentare sulla giustizia approvata in questa legislatura dopo la sua terza
navetta (Camera-Senato-Camera). L’obbiettivo è quello di svuotare le carceri, a meno di due mesi dalla scadenza
dell’ultimatum dell’Ue che intima all’Italia di tornare a livelli umani di detenzione (attualemente oltre 60mila
detenuti in carcere a fronte di poco più di 48mila posti ufficiali).
Secondo gli ultimi dati, ricorda, su 60.828 detenuti solo 37.000 sono i condannati in via definitiva, mentre il 40%
della popolazione carceraria è in attesa di un giudizio definitivo: si tratta di ben 22.240 persone.
Con questa nuova legge i domiciliari diventano pena principale per le condanne sotto i 3 anni. Se invece la reclusione
va da tre a cinque anni, sarà il giudice a decidere.
La detenzione non carceraria può avere durata continuativa o per singoli giorni della settimana o fasce orarie. Può
essere eventualmente prescritto il braccialetto elettronico.
Nel caso di reati per cui è prevista la detenzione domiciliare, il giudice può affiancare alla condanna anche la
sanzione del lavoro di pubblica utilità.
Infine il governo trasformerà in semplici illeciti amministrativi una articolata serie di reati. La depenalizzazione
riguarda tutte le infrazioni attualmente punite con la sola multa o ammenda e altre specifiche fattispecie come ad
esempio l’omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali o in materia di atti e spettacoli osceni, abuso
della credulità popolare, rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive. Oltre a questo anche il cosiddetto
“reato di clandestinità”.

4 aprile 2014, da osservatoriorepressione.info

lettere dal carcere di san vittore (mi)
Ti sto scrivendo da S. Vittore ma speravo di poterti scrivere da casa. Il giudice del mio processo si è riservato 5
giorni per decidere e poi ha rigettato la richiesta dei domiciliari. Quando è arrivato il definitivo l'avvocato ha fatto
di nuovo richiesta visto che ora a decidere sarebbe stato il giudice di sorveglianza e l'avvocato pensava che in 10
giorni mi mandavano a casa con i domiciliari. Visto che non arrivava risposta è andata dal giudice e il giudice ha
chiesto la dichirazione di mia moglie dove mi accettava a casa. Dopo aver fatto tutto questo l'avvocato è andata a
sollecitare il giudice e scopre che lui voleva un altro certificato di residenza perchè quello che aveva era scaduto.
L'avvocato si è arrabbiata perchè non era stata avvertita. Mia moglie ha di nuovo spedito il certificato di residenza e
ora spero solo di esserci alla fine. Io ho presentato la domanda di trasferimento perchè una volta che c'è il definitivo
ti spostano dove vogliono loro perciò spero che la prossima lettera sia da casa. Ti saluto e ringrazio te e gli altri
ragazzi

Milano, 25 febbraio
***
Sto scrivendo questa lettera ancora da S. Vittore. Proprio adesso ho ricevuto l'ennesimo rigetto per i domiciliari
perchè mi ritengono come al solito pericoloso e, come ho sempre detto, il mio caso è diverso visto che mi sono messo
contro un potere che è quello politico. Nella mia vita, dai miei 70 anni, ho sempre lottato contro questo potere
sopratutto quando sono loro che fanno leggi e sono proprio loro i primi a non rispettarle; ed è quello che fanno tutti i
giorni.
Perciò, se non mi accetteranno il trasferimento per avvicinarmi alla mia famiglia, ho deciso di fare lo sciopero della
fame dopo che sabato incontrerò l'avvocato, senz'altro se non ricevo risposta per la richiesta di trasferimento che ho
presentato più di un mese fa, nei prossimi giorni inizierò lo sciopero della fame. Ora vi saluto, spero che a voi vada
tutto bene come spero che i vostri compagni che sono stati arrestati che almeno a loro vada meglio di me.

Milano, 12 marzo 2014


Genova: interruzione solidale con detenuti/e in lotta
Venerdì 11 aprile nell'ambito della tre giorni di eventi denominata "la Storia in piazza", quest'anno dedicata al cibo,
era prevista una conferenza dal titolo "Cibo ristretto. L'alimentazione in carcere", con la presenza del direttore della
Casa circondariale di Marassi, Salvatore Mazzeo.
La conferenza è stata interrotta da diversi compagni e compagne che hanno distribuito il seguente testo in solidarietà
ai detenuti e alle detenute in lotta. Il direttore, peraltro, non si è presentato. Segue testo del volantino
distribuito.

Grazie
Oggi alla Storia in Piazza assistiamo a una magnifica inziativa culturale, dai risvolti umanitari: un raggio di luce
illumina l'angolo oscuro della città, quello che nascondiamo sotto il tappeto, e ci svela una verità nascosta.
Grazie Mazzeo, grazie a tutti voi che ci raccontate cos'è il carcere, voi che nel carcere chiudete i cancelli, decidete
le punizioni, le ore d'aria, gli isolamenti; guardate dal blindo le persone ammassate le une sulle altre, annusate
casualmente la casanza e arricciate il naso, per poi magari lucrarci sopra: non dobbiamo certo ricordarvi quanto si
specula sui detenuti, quanto il rincaro della spesa dei prigionieri sia mostruoso!
E grazie per non raccontarci invece quello che avviene quando ve ne andrete di qua, quello che avviene anche ora:
pestaggi e coercizioni, sovraffollamenti e, soprattutto, il perpetuarsi di un abominio. Grazie perchè oggi ce lo rendete
normale, grazie perchè ci nascondete con cura l'orrore di rinchiudere un essere umano dentro una stanza di cemento,
privandolo o privandola dei propri affetti, rubandogli quanto ha di più prezioso: la libertà, la salute, la vicinanza
degli altri esseri umani. Grazie all'organizzazione di questo evento culturale, perchè oggi assorbiamo Cultura:
edulcorata, ammorbidita, normalizzata. Dal di fuori osserviamo le bestie dentro, ci incuriosiamo, le compatiamo, magari;
il tutto avvolti dalla coscienza democratica che ciò che accade, in fondo, è giusto. E ce lo conferma il nuovo
provvedimento italiano che, a fronte delle rimostranze dell'Unione Europea sulle condizioni abominevoli delle carceri
italiane, prevede uno sconto di pena per chi in quelle carceri ci vive... ma le condizioni, è ovvio, resteranno le
stesse - a conferma che lo scopo del carcere è segregare e punire, anche se lo si fa in mezzo a lustrini e moine.
Noi siamo qui oggi, invece, per rispondere all'appello lanciato dal Coordinamento dei detenuti che ha indetto una
mobilitazione dal 5 al 20 aprile per rivendicare l'urgente necessità di un'amnistia generalizzata e l'abolizione
dell'ergastolo e che giustamente afferma: "sappiamo (...) che fuori possiamo contare sul sostegno di migliaia di
solidal* che condividono l'idea che il carcere non sia la soluzione, ma il problema di una società piena di
contraddizioni". E allora siamo qui a ribadire che il carcere non è e non sarà mai la nostra soluzione, e che siamo
pronti a far deflagrare tutte le contraddizioni che ci circondano. Non ringraziateci.
Alcune/i solidali con i/le prigionieri/e in lotta
13 aprile 2014, da informa-azione.info


lettera dagli arresti domiciliari
Dal 5 al 20 Aprile all’interno delle carceri italiane vi sarà una nuova mobilitazione indetta dal “Coordinamento dei
Detenuti” ed era mia intenzione partecipare anche se dai domiciliari a questa giustissima protesta che chiede l’amnistia
generalizzata in nome della libertà, l’abolizione dell’ergastolo e migliori condizioni di vita per tutti i detenuti.
Avrei voluto attuare lo sciopero della fame, ma, per non sembrare un novello Pannella teramano, dato che in un anno ho
portato avanti tre duri digiuni, ho deciso di sostenere i fratelli e le sorelle reclus* provando a pubblicizzare
l’iniziativa come meglio posso.
L’isolamento dal mondo esterno comporta una difficile diffusione delle tante lotte che all’interno dei penitenziari
vengono attuate e se non fosse per l’impegno delle poche associazioni anticarcerarie nessuno conoscerebbe lo scempio che
migliaia di persone internate ogni giorno vivono e che la corte dei Diritti dell’Uomo ha certificato e sanzionato.
Il carcere, e l’ho vissuto sulla mia pelle, è uno schifo indescrivibile e fino a quando non ci metti piede puoi solo
immaginare quante sofferenze si vivono al suo interno; i direttori di questi lager si fanno belli nel mettere in atto
una volta l’anno un’iniziativa di facciata dipingendo gli istituti che dirigono come luoghi di reinserimento ma la
realtà è ben diversa ed i suicidi, i pestaggi, i trattamenti inumani e gli abusi indicibili perpetrati nel buio delle
celle li sbugiardano clamorosamente.
Vogliono, ora che la situazione è al collasso, far credere ai cittadini che ce la stanno mettendo tutta per invertire la
rotta, ma le chiacchiere stanno a zero. I dati parlano di un tasso reale di sovraffollamento pari al 175%, e non del
135%, e che la totalità delle strutture è illegale in base ai parametri dell’U.E. Il problema comunque non sta tanto nel
sovraffollamento quanto nel modo in cui lo stato gestisce le carceri.
Quello che ho vissuto in prima persona ho cercato di descriverlo nelle tante lettere inviate dalla prigione e spero di
aver portato almeno una persona a riflettere sul tema.
Ma non basta solo porsi domande perché la repressione, con la sua massima espressione qual è il carcere, è ormai l’unico
strumento che questa società utilizza per regolare tutte le sue contraddizioni.
Bisognerebbe lavorare di più e meglio e l’ideale risulterebbe una dettagliata inchiesta (chi non fa inchiesta non ha
diritto di parlare, cit. Mao), ma sappiamo bene che lor signori si opporrebbero con tutte le forze perché portare alla
luce la dura e cruda realtà indurrebbe il popolo poi a riflettere ed è noto che quando la gente pensa con la propria
testa sono guai per chi ci vorrebbe come semplici automi.
Mi piacerebbe fare qui un’analisi dettagliata ma la stessa risulterebbe troppo lunga quindi, come primo passo, vorrei
chiarire almeno alcuni aspetti elementari.
Quello che ho capito in 355 giorni di carcere è che tutti sanno ma che nessuno ha il coraggio di parlare e se ti
permetti di ribellarti le ritorsioni sono le più dure che mai; tale pistola puntata alle tempie fà si che questo
scandalo italiano, chiamato sistema penitenziario, possa continuare.
E’ ora di portare il nostro paese nella legalità perchè non è accettabile sapere che in una cella di 7 mq ci vivono 4
persone quando per un maiale sono 6 i mq stabiliti per legge, che esistono regimi di tortura legalizzati come il 41 bis
e 14 bis (e vi invito a leggere cosa prevedono), che siamo l’unico paese ad avere “il fine pena mai” che equivale alla
pena di morte, che 100.000 bambini ogni giorno varcano le mura carcerarie per abbracciare i genitori, che non sono
riusciti a chiudere gli OPG vero inferno in terra, che i tassi di suicidio, di morti “accidentali” e di atti di
autolesionismo sono impressionanti, che ci sono dei malati cronici incompatibili con il carcere a cui lo stato nega
perfino di morire decentemente e molto, troppo altro ancora.
Potrei ora calcare la mano elencando episodi che ho vissuto o puntare sul vs pietismo snocciolando numeri e statistiche
da bollettino di guerra ma a poco servirebbe, voglio solo dirvi di non chiudere gli occhi dinanzi alla protesta dei
detenuti perché il silenzio è il miglior alleato di chi ha portato il sistema carceri ad essere definito come inumano e
degradante.
Iniziamo inoltre ad aprire le nostre menti cercando di capire che è la crisi che fa aumentare la delinquenza e che la
migliore soluzione al problema non sono più carabinieri o codici più severi, ma scuole, istruzione, posti di lavoro,
salari congrui e giustizia sociale.
Se dai condizioni di vita migliori a tutti nessuno avrà l’esigenza di rubare o delinquere, se dai migliori condizioni di
vita a tutti sottrai migliaia di ragazzi alla criminalità organizzata e questa si che sarebbe una vittoria per tutti.
Non credete a chi vi dice che noi non possiamo far nulla per cambiare le cose perché è l’esatto contrario. Solidarietà
ai detenuti in lotta.
Davide Rosci dagli arresti domiciliari,
Teramo inizio aprile 2014


Lettera dal carcere di Terni
Cari compagni/e (Olga), vengo a farvi sapere che il giorno 5 aprile darò inizio allo sciopero della fame e a quello del
carrello per sostenere la lotta del “Coordinamento detenuti”. Lo sciopero della fame e del carrello terminerà il giorno
16 aprile. Dal 5 al 16 (dodici giorni). Oltre dodici giorni non posso proseguire per motivi di salute come già sapete.
Sono contro queste forme di protesta perché provengo da altre realtà di lotte carcerarie, però partecipo per essere
sempre presente. Mi nutrirò solo di the e zucchero.
Saluto il mio amico Davide Delogu che è nel carcere di Pagliarelli dove sta scontando il 14bis nel reparto AS1: forza
Davide non sei solo.
Un caro salutone anarchico Mauro

Terni 3 aprile 2014
Mauro Rossetti Busa via delle Campore, 32 - 05100 Terni


da una lettera dal carcere di bologna
[...] Noi di qua siamo salite di numero perché ho chiesto alla direzione di poter andare nell’altro braccio [ci sono il
braccio A e il B] per spiegare i motivi della mobilitazione. Hanno accettato e ho raccolto altre sei firme. Si
confermano i 2 giorni di sciopero della spesa (il 7 e il 14, abbiamo già iniziato), 2 giorni di sciopero della fame (il
18 e il 19) e 5 giorni di battitura (dal 9 al 14 di 15 minuti dalle 20.30 alle 20.45). Per lo sciopero della fame saremo
in 16 perché molte hanno la terapia (quasi tutte) però dai, comunque non è male. Pensate che avrete modo di
sincronizzarvi con noi per la battitura?

8 aprile 2014

***
In solidarietà con le detenute in mobilitazione nel carcere della Dozza a Bologna, sabato 12 aprile, alle 20,00 un
gruppo di solidali si è presentato sotto le mura della sezione femminile del carcere Dozza di Bologna. Cori e grida in
sostegno alla mobilitazione delle detenute, poi una battitura di 10 minuti da fuori con coperchi e sassi sul guard rail.
Da dentro ci sono arrivate le loro voci, ci hanno sentiti. Poi hanno iniziato la loro battitura prevista dalle 20.30
alle 20.45. Anche dall'esterno il rumore si è sentito forte e chiaro. Un piccolo momento di comunicazione e di rottura
della separazione.
Cinque giorni dopo, Il 17 aprile, le prigioniere della sezione femminile della Dozza hanno iniziato lo sciopero della
fame previsto per due giorni (18 e 19 aprile).
Alle 12,00, nella strada adiacente che passa sotto le mura del femminile, un gruppo di solidali si è presentato urlando
saluti e cori al megafono e sostenendo uno striscione per spiegare agli automobilisti di passaggio il motivo
dell'iniziativa. Dall'interno è arrivata risposta, da fuori è seguita una battitura e sono state date alle prigioniere
informazioni sulla mobilitazione in altre carceri e in altre città. Ancora, forza ragazze!!

Bologna, 18 aprile 2014


Manuale per una vita da ristretta
Lettera dal carcere di Rebibbia
Presso la biblioteca Papillon di Rebibbia, presenti i vertici dell’Istituto, vi è stato un piacevole scambio d’idee tra
i detenuti del Gruppo Universitario e le autrici, anch’esse recluse di un istruttivo libro “Ricci, limoni e caffettiere.
Piccoli stratagemmi di una vita ristretta”. Il volume regolarmente distribuito in libreria, è una piccola summa per
sostenere al meglio la vita in una cella.
Vi è un capitolo dedicato alla bellezza, uno alla salute, uno al gioco e non potevano mancare una serie di ricette, per
preparare con pochi ingredienti gustosi manicaretti. Infine sono consigliati vari espedienti per sopperire ad alcune
mancanze nella dotazione penitenziaria, da come depilarsi o stirare i capelli, a come approntare un prosaico quanto
indispensabile bidet di fortuna, ottenuto tagliando a metà una bottiglia di coca cola e versandovi acqua riscaldata,
stando seduti sul WC.
Il carcere tende a comprimere fino all’annullamento la personalità delle ristrette attraverso la privazione di poche ma
indispensabili cose.
Si viene a creare così un universo di piccoli e grandi rimedi, grazie alla natura fantasiosa delle donne, per
salvaguardare la salute e la forma fisica, ma anche la bellezza, che va preservata per non turbare un equilibrio
interiore, indispensabile per sopravvivere. E poi le ricette, perché la vita passa anche attraverso la cucina e come
rendere più gradevole una cella, attraverso il riciclo di ogni materiale.
Tutto questo è esposto con genuina semplicità in questo manuale di umanità femminile, con scritti, poesie e immagini
offerti al lettore esterno, ignaro delle problematiche del Pianeta carcere, come chiave di lettura, non priva d’ironia e
ottimismo, della penosa vita delle detenute e di alcuni semplici rimedi per sopravvivervi.
Un libro che dovrebbe essere letto e meditato e dal quale ho prelevato il rimedio consigliato da una Rom, Gina, contro
“Il Malocchio, non è vero ma ci credo”, che sarà presente nel 3° tomo del mio “Napoletanità: arte, miti e riti a Napoli”

febbraio 2014
Achille della Ragione, Via Raffaele Majetti, 70 - 00156 Roma


Da Piacenza a Cremona, solidarietà con i detenuti in lotta
Sabato 5 aprile 2014, carcere di Piacenza, primo giorno di mobilitazione: dalle celle e da un prato prigionieri molto
arrabbiati e manifestanti solidali si vedono, si parlano, unendosi immediatamente nella protesta. E’ andata così, con lo
striscione “Solidarietà ai prigionieri in lotta” nel campo lavorato a frumento in un punto dove con i prigionieri di 36
celle (insomma, circa 100 persone) ci si vede e sente, perché è questo che si vuole da entrambe le parti, senza altro
mezzo che le corde vocali. Ci dividono, oltre alle sbarre delle finestre delle celle, il muro di cinta percorso da
guardie armate di mitra, telecamere... e un’ulteriore inferriata. Nelle oltre 2 ore di comunicazione, tutto ciò è stato
messo in ridicolo dalla sintonia crescente fra manifestanti e prigionieri.
Siamo andati a Piacenza per far sentire a chi è dentro che fuori c’è chi sostiene, solidarizza con chi in carcere tiene
la testa alta, si unisce nella protesta, nella lotta; con chi il 21 marzo ha distrutto la sezione di isolamento di quel
carcere.
Si è riusciti a comunicare, a sentire quel che è realmente accaduto: nell’ora d’aria di quel pomeriggio fra alcuni
prigionieri parte una lite, intervengono le guardie e li portano alle celle di isolamento, dove ci sono altri
prigionieri fra i quali Valerio (Crivello, coimputato di Maurizio Alfieri). Le guardie saltano addosso ai prigionieri
raccolti all’aria, per fermare il pestaggio i prigionieri dell’intera sezione passano in breve dalla battitura alla
distruzione completa delle celle. Tutti vengono pestati e trasferiti lontano, persino in Sicilia (Valerio a Viterbo, il
cui indirizzo è: Strada S. Salvatore 14/b - 01100 Viterbo).
E siamo lì, lo urliamo, per dare sostegno alla mobilitazione di proteste e lotte (dal 5 al 20 aprile) annunciate dal
“Coordinamento dei detenuti” nei mesi scorsi. Una mobilitazione che mira a far uscire dalla clandestinità quel che
realmente accade dentro: dalle morti-uccisioni all’uso massiccio della dipendenza dai farmaci, dall’aumento delle
condanne anche attraverso il circolo chiuso guardie-giudice di sorveglianza - da cui l’impiego dell’isolamento
prorogabile chiamato “14bis”- unito alla censura o all’ancor più vigliacco cestinamento della posta, dalla riduzione dei
salari per chi riesce a lavorare a cifre offensive, per esempio 50 euro al mese al raddoppiamento e oltre dei prezzi dei
prodotti venduti dallo spaccio interno, dalle condizioni igieniche paurose data la forte riduzione delle forniture di
detersivi-disinfettanti all’impoverimento e abbruttimento del vitto…
Tutto questo e purtroppo altro ancora anche nel carcere di Piacenza è ben presente: il cambio delle lenzuola avviene una
volta al mese, le docce non funzionano, i pacchi postali contenti cibo non entrano, il vitto è schifoso, il giudice di
sorveglianza (di Reggio Emilia) è come non esistesse, l’uso dei farmaci è diffuso e puntuale al punto che esiste una
sezione per chi è divenuto particolarmente dipendente. Come esiste la sezione femminile composta da 25 persone; le donne
ci sentivano e si è riusciti ad afferrare l’urlo: “tentano di stuprarci”.
Assieme abbiamo urlato per tutto il tempo “Libertà… Hurria… Guardie fasciste, razziste, assassine”…, cantato insieme
“Bella ciao”… ci hanno detto di tornare, abbiamo risposto che lo faremo. (In quel carcere ci sono 600-700 prigionieri
chiusi in due sezioni; in quella la vecchia ci sono il femminile, l’isolamento e quella “psichiatrica”).
Nel pomeriggio ci siamo diretti verso il carcere di Cremona. Anche qui la comunicazione fra solidali e prigionieri è
continuata per due ore. Lo scambio di informazioni è avvenuto attraverso il nuovo padiglione del carcere di Ca' del
Ferro. Qui abbiamo scoperto che due sezioni della parte vecchia sono rese inagibili per infiltrazioni. Tutti i detenuti
di quelle sezioni sono stati ammassati nel nuovo padiglione dove... manca già l'acqua calda ma non i psicofarmaci. Anche
qui lo striscione di solidarietà ai prigionieri in lotta era ben visibile.
Abbiamo salutato tutti i prigionieri con botti ed effetti pirotecnici molto vicini alle celle, con la promessa di
tornare al più presto.

aprile 2014, Compagne e compagni contro il carcere


sul presidio sotto il carcere di pozzuoli (na)
Come compagni della Mensa Occupata facenti parte dell'Assemblea di Lotta Uniti Contro la Repressione abbiamo aderito
alla seconda mobilitazione dentro e fuori le carceri, indetta per il mese di Aprile. Così, dopo aver presentato qui in
Mensa ieri l'opuscolo nato proprio dalla passata mobilitazione di settembre “Il Morso del Serpente”, oggi ci siamo
recati al carcere di Pozzuoli, organizzando un presidio di saluto e solidarietà; la reazione delle detenute e dei loro
familiari, già conosciuti nelle settimane precedenti nel corso dei volantinaggi, sono state tanto positive che da loro
stessi è partita l'idea di organizzare una “Pasquetta Solidale”, con musica, cibo e un torneo di calcetto!
La strada intrapresa è solo all'inizio e ci vede impegnati a costruire quel contatto tra dentro e fuori le galere
necessario affinché insieme, compagni, familiari e detenuti possiamo rompere il muro di silenzio e di soprusi che isola
i carcerati quotidianamente e che solo una lotta unitaria potrà abbattere.
Rilanciamo l'appuntamento di Lunedì prossimo per una Pasquetta solidale e contro ogni forma di repressione e
differenziazione! Uniti si vince!

aprile 2014, Mensa Occupata - Napoli
da una lettera dal carcere di pescara
[...] Io devo dire che sto molto bene, non tanto perché sto in galera, ma più che altro perché da quando mi è arrivato
quel comunicato del coordinamento detenuti, a differenza dell'altra volta, mi sono a attivato al 100% per organizzare
una protesta senza precedenti qui a pesata, facendo fotocopie e divulgando comunicati, all'esterno l'aiuto di mio padre
e qui dentro l'aiuto di certi compagni.
Il risultato? Dal 5 ci siamo mobilitati tutti con battiture a go go 3 volte al giorno e grazie ai comunicati che mio
padre ha mandato agli organi di disinformazione, siamo finiti anche sul giornate locale ("Il centro" de l'11 aprile).
Questo articolo è stato per i compagni come benzina sul fuoco, creando entusiasmo e voglia di lottare punto. Oltre alla
battitura avevo promosso anche lo sciopero della fame, ma sai non si può avere tutto dalla vita...
Da un po' ho iniziato a scrivere per un giornale che si fa qui all'interno che si chiama "voci di dentro", nulla a che
vedere con l'opuscolo o materiale del genere, però in tutto quello che scrivo io c'è tutto il pensiero che ci accomuna,
infatti, nei due articoli che ho scritto ho preso spunto molto da invece e da qualche lettera che mi hai mandato. (...)
Ho deciso di scrivere su questo giornale soprattutto perché oltre a girare in tutti i lager di questo paese, circola
anche all'esterno, quindi sapere che quello che penso possa definire nelle mani dio qualche borghese o politico del
cazzo mi da forza ed entusiasmo.
Un abbraccio sincero da un ribelle vero.

13 aprile 2014


UNA BRECCIA NEL MURO: Presidio sotto il carcere di lecce
Una società che ha bisogno del carcere è essa stessa carcere.
Contenere e rinchiudere coloro che non si adeguano è la priorità di un sistema sociale ed economico costantemente “in
crisi” che non vuole essere disturbato troppo da disagio, paura, insofferenza, rabbia e rivolta di chi è in basso. Per
questo in tutta Europa, come in Italia, si progetta di costruire nuove carceri e ampliare molte di quelle già esistenti.
Non certo per fare in modo che coloro che sono già detenuti vivano migliori condizioni, ma per riempirle sempre più di
sfruttati. Anche a Lecce vi è un progetto già appaltato dal Ministero della Giustizia ad una ditta specializzata nel
business penitenziario; esso prevede ulteriori 200 posti tramite la realizzazione di un nuovo padiglione che verrà
costruito, pare, dove ora vi è un campo di calcio, ad ulteriore riprova che ciò che lo Stato vuole fare è solo
internare.
L’attenzione verso il carcere e il mondo securitario che vogliono costruire, fatto di telecamere, militari, polizia,
controllo, ci spinge a guardare oltre i muri dell’indifferenza e della rassegnazione per vederli crollare ad uno ad uno
e liberare un orizzonte di libertà. Per questo pensiamo sia importante solidarizzare con i detenuti in lotta in tutte le
carceri italiane nei prossimi giorni (dal 5 al 20 aprile).
Una mobilitazione spontanea e autorganizzata contro la realtà disumanizzante del carcere, che non chiede nulla a chi,
come lo Stato, ha creato questa situazione di invivibilità e annientamento all’interno delle prigioni, fatta di
sovraffollamento, pestaggi, ecc. Un appello alla solidarietà che possa essere da ponte con l’esterno e intaccare uno dei
pilastri, come l’isolamento, che reggono l’idea stessa della prigione. Idea che si tramuta in una realtà carceraria
impossibile da umanizzare attraverso progetti ricreativi o quanto altro passi attraverso l’istituzione stessa.
Solidarietà con i detenuti in lotta, per un mondo senza galere.
Sabato, 19 Aprile, dalle 16 alle 19: Presidio e Microfono aperto sotto il carcere di Lecce

Anarchici e solidali
16 aprile 2014, da informa-azione


Padova: Presidio sotto la Casa Circondariale Due Palazzi
Venerdì 18 aprile torneremo a stringersi al fianco dei prigionieri che hanno aderito alla mobilitazione indetta dal
coordinamento dei detenuti dal 5 al 20 dello stesso mese e continueremo a denunciare le pessime condizioni di vita a cui
i reclusi sono costretti, anche nel carcere di Padova, così come i trattamenti punitivi, di ricatto e di vessazione che
sono destinati a tutti i detenuti stanchi di accettare in maniera china le regole imposte dal carcere, ma hanno
piuttosto deciso di unirsi ed organizzarsi in forme di lotta collettive per spezzare le catene dell'oppressione.
La nostra solidarietà è un forte abbraccio vanno anche ai No tav ancora in carcere dallo scorso 9 dicembre, compagni
accusati di terrorismo perché avrebbero praticato giuste azioni di resistenza in difesa della propria terra e di una
intera Valle violentata dagli sporchi interessi del capitale.
Ed è proprio la Resistenza quel filo rosso che ci collega con le diverse forme di lotta dentro e fuori le galere,
infatti il presidio di venerdì vuole anche essere un'occasione per accorciare le distanze all'insegna della solidarietà
internazionalista al fianco dei prigionieri del popolo palestinese, faro della Resistenza antimperialista in
Medioriente, in occasione del 17 aprile, giornata del prigioniero palestinese. In Palestina ci sono oltre 5000 detenuti
nelle carceri dello stato sionista israeliano, donne, uomini, anziani e bambini senza distinzione alcuna, compresi
alcuni leader di parti della Resistenza, come il segretario generale del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina,
Ahmad Sa'adat. Molti di questi si trovano in detenzione amministrativa, ovvero senza capi d'accusa specifici e per un
tempo illimitato. Questi detenuti ogni giorno ci insegnano l'importanza di lottare, con enorme coraggio e
determinazione, anche se sottoposti a regimi di detenzione che vedono come pratica costante la tortura, l'umiliazione e
la denigrazione del detenuto.
In tutte le galere dell'imperialismo si stanno levando grida di protesta e denuncia, dai paesi cosiddetti democratici in
cui è pratica quotidiana l'uso di regimi di tortura come ad es. l'art. 41 bis in Italia, fino ai peggiori scenari di
guerra dove i combattenti per la libertà vengono rinchiusi in prigioni segrete. Sta a noi avere la capacità di ascoltare
queste urla, raccoglierle e diffonderle il più possibile, mettendole in contatto tra di loro e cercando di sviluppare
percorsi pratici e concreti utili a sostenere queste rivendicazioni.
Al fianco dei detenuti in lotta! Libertà per tutti i No Tav!
Al fianco della Resistenza dei detenuti palestinesi e del loro popolo!
Ora e sempre resistenza!

aprile 2014, compagni/e di Padova

lettera dal carcere di ivrea
Qui il 3 gennaio 2014 si è impiccato un nostro compagno, Francesco Scarcella. E’ stato il primo suicidio nei carceri
italiani per colpa del giudice Scialabba, che lo teneva qua per una condanna già scontata e in questi giorni hanno fatto
il processo: INNOCENTE.
Quel giorno è successo un casino in sezione e in rotonda.
Un ragazzo marocchino che ha fatto di tutto per salvarlo è stato spinto dalle guardie. Ha reagito anche perché era la
prima volta che vedeva una persona morta. Ha picchiato tre guardie. Dopo un mese è stato trasferito al carcere di Aosta.
Da quel momento siamo stati riempiti di promesse, ma fino adesso non è cambiato nulla.
Sabato 22 febbraio 2014 è morto un altro detenuto in isolamento e ci sono stati due tentati suicidi, di cui l’ultimo il
24 febbraio: un ragazzo che voleva impiccarsi è stato tolto dal cappio in tempo dal suo cancellino!
Qua i lavoranti sono proprio schiavi, pagati 1 EURO AL GIORNO.
Non c’è niente per passare il tempo, solo un calcetto rotto e il campo sportivo è chiuso perché dicono di non avere
soldi per tagliare l’erba. Meglio non parlare del mangiare, che fa veramente schifo. Quelli che non hanno soldi fanno la
fame e meno male che ci aiutiamo tra di noi altrimenti qualcuno morirebbe davvero!
Per chiedere qualcosa ai volontari devi aspettare dei mesi (shampoo, lamette, ciabatte…). La doccia è chiusa da sabato
fino al lunedì pomeriggio.
Il cambio delle lenzuola viene fatto una volta ogni due mesi, come la fornitura, che invece di regola dovrebbe passare
ogni 15 giorni.
Il dottore e la direttrice non ci sono mai. Noi qua siamo senza riscaldamento.
Le guardie hanno ancora la mentalità del 41bis, perché una volta questo carcere era solo di massima sicurezza.
Se stai male, qua ti danno solo Brofen e Tachipirina, che per questo viene chiamata la “pillola miracolosa”. Gli
psichiatri invece di aiutarti sono capaci solo di dare TERAPIE che
rovinano proprio il corpo. C’è un ragazzo egiziano che, ogni volta che chiedeva il trasferimento per avvicinarsi alla
famiglia, prima gli veniva data una terapia che fa perdere i sensi, poi veniva spogliato e legato con il nastro e
buttato in isolamento per qualche giorno. Adesso non riesce a camminare per 10 minuti di seguito.
La cosa più schifosa che succede sono i furti dei soldi, che non arrivano mai dentro le lettere: le aprono, le
rincollano e danno sempre la colpa alla posta!
Per colpa di una telefonata che non hanno accettato di far passare ad un detenuto, questo ha preso tanti tipi di
pastiglie, ha minacciato di mangiarle ma le guardie sono rimaste indifferenti. Quindi è entrato in cella e le ha
ingoiate tutte (40!). Dopo un po’ lo ha trovato in terra il suo cancellino, è stato portato in infermeria ed ora è
sorvegliato a vista.
Abbiamo saputo che un detenuto si è impiccato l’8 marzo nel carcere di Biella. Per lo sciopero stiamo ancora parlando
con gli altri e io certo che lo faccio.
Tanti saluti a tutti i ragazzi anche da parte dei detenuti!

27 marzo 2014

***
Arrivano anche dal carcere di Ivrea (TO) notizie di condizioni di vita pessime.
Il 22 febbraio si tenne un presidio, sotto lo stesso carcere, per la morte di un recluso. A questo grave fatto si
aggiunge ora la notizia di un altro decesso, avvenuta sempre il 22 febbraio, nella sezione di isolamento e di altri
tentativi di suicidio.
Per esprimere la nostra vicinanza a chi lotta anche all'interno delle disumane carceri italiane. In solidarietà con la
mobilitazione nazionale indetta dal Coordinamento dei detenuti dal 5 al 20 aprile per un'amnistia generalizzata, il
miglioramento delle condizioni di vita dei reclusi e la scarcerazione dei malati cronici. Contro l'ergastolo, i regimi
speciali e punitivi, i reati ostativi, il sovraffollamento promuoviamo per la giornata di sabato 19 aprile 2014 un
presidio che si terrà dalle ore 14 alle 19 sotto la casa circondariale di Ivrea.
Libertà per tutti i detenuti/e.
Libertà per tutti coloro che, spendendosi quotidianamente contro i disastri del Capitale, sono colpiti da arresti,
procedimenti giudiziari e restrizioni della propria libertà.
Libertà per Chiara, Claudio, Niccolò, Mattia.

15 aprile 2014
Il Castellazzo assediato, Cassa antirepressione delle Alpi Occidentali


Torino: Ancora una volta sotto le Vallette
PROMESSE MANTENUTE, NONOSTANTE TUTTO
Come promesso alcuni giorni fa, un gruppo di solidali torna nel pratone dietro al carcere delle Vallette per salutare i
reclusi. La polizia politica, che dalle cinque di mattina segue i picchetti contro gli sfratti e gli spostamenti di chi
vi partecipa, è già lì a tentare di sbarrare la via. I compagni passano sotto il naso dei digossini che chiamano nervosi
la celere, che tarda ad arrivare. In volata inizia il saluto, subito da dentro i detenuti si fanno sentire con grida e
battiture. Finalmente arriva il blindato che non può far altro che fomentare i detenuti; aumenta il rumore e partono gli
insulti. Il saluto prosegue, con cori che rimbalzano tra dentro e fuori. Solo alla fine la Digos cerca di rimediare alla
brutta figura e ferma i solidali con tre blindati, che stazionavano da tutto il pomeriggio tra Porta Palazzo e Barriera
di Milano. Identificano i presenti, frugano nelle tasche e nelle borse, ma trovano solo temibili trombette. Dopo oltre
un’ora e mezza, qualche notifica fatta, un paio di inviti a presentarsi in questura, i fermati vengono rilasciati e
ritornano alle macchine.

15 aprile 2014, da autistici.org/macerie


dal processone contro il movimento no tav
Udienza di lunedì 24 marzo, aula bunker di Torino
Udienza durata circa sette ore e dedicata ai testimoni della difesa: principalmente quattro valligiani-e, un senatore
del mov 5 stelle e il noto esponente di rifondazione comunista Ferrero. L'udienza inizia con un ennesimo atto di
provocazione e/o pressione: gli avvocati arrivati in anticipo vengono fatti attendere fuori dall'aula apparentemente
senza motivo. Inoltre viene perquisito anche il senatore (che ha comunque minimizzato) nonostante non sia di “prassi
“...nei fatti ciò esprime il “clima” che vogliono imporre.
Durante il processo due dichiarazioni di imputati. La prima per leggere un testo in solidarietà con Zeno R. (imputato
fermato e malmenato dalla polizia mentre, per un'altra inchiesta legata a contestazioni contro la lega nord, usciva
dalla questura dopo aver fatto una firma di “routine” come misura cautelare). Interrotto nella lettura dai PM (con la
solita scusa della non inerenza al processo) chi stava leggendo ha subito fatto presente che è inerente in quanto si
tratta di un imputato No Tav, peraltro in questo processo, e gli aggressori sono della squadra mobile di Padova che è
finora stata presente come parte lesa. La corte imbarazzata ha detto che accettava agli atti il comunicato.
La seconda è una dichiarazione spontanea di un altro imputato che, tallonato dai PM, ha proseguito in modo netto la
volontà di voler continuare, riuscendoci. In breve riguarda le “attenzioni particolari” nei suoi confronti e degli
altri-e imputati-e del cosiddetto processone, da parte delle varie procure e questure di molte città... ribadendo le
intimidazioni continue e sottolineando una denuncia (morale, quindi senza darne un valore vittimista e legislativo).
Le testimonianze della difesa hanno sottolineato il quadro complessivo e nel contempo mirato a scagionare alcuni
imputati, contestualizzato la forte resistenza di quelle giornate 3 luglio e 27 giugno 2011 e non solo (per esempio
alcuni-e hanno citato in maniera positiva l'esperienza della Libera Repubblica della Maddalena). A vari modi, e dopo
specifica domanda, ognuno-a ha detto e/o rivendicato l'appartenenza al movimento NoTav.
Lunghi interrogatori e continue interruzioni e provocazioni da parte dei PM che non sono riusciti nel loro intento di
indebolire i testi della difesa. Tra le più odiose frasi dell'accusa il ritornello “i testimoni non sono attendibili”.
Cosa non solo falsa ma ribaltabile: i testimoni non attendibili sono quelli dell'accusa come la gran parte delle parti
lese e agenti che a processo hanno raccontato un'altra storia rispetto alle prime versioni, chiaramente aumentando le
presunte prognosi e ingigantendo i fatti a loro convenienza sminuendo invece le loro responsabilità!
Infine un testimone della difesa parlando delle manifestazioni di protesta in generale ha sottolineato alcune
specificità. La prima è che non c'erano vie di fuga per nessuno-a e non vi è stata alcuna possibilità di trattativa di
ridurre gli scontri, per chi aveva quell'intenzione. Ha sottolineato che i lacrimogeni non erano solo durante gli
scontri ma che arrivavano da tutte le parti e colpivano indiscriminatamente tutti-e e anche dopo le cariche, chi
scappava, chi era lontano dagli scontri ecc. Alla domanda su quale fosse lo stato d’animo percepito durante gli scontri
ha ribadito un concetto importante (tra gli applausi del pubblico solidale) e cioé che una situazione, come quella, di
forti “tumulti” ha prodotto due reazioni: da un lato paura e fuga e di pari passo una forte e determinata resistenza.
Sempre durante il processo importanti e puntuali gli interventi degli avvocati difensori!
Ancora una volta, nonostante le oggettive e molteplici difficoltà, nessuno-a si è fatta incastrare nel “piano”
dell'accusa!

Udienza di lunedi 31 marzo 2014, aula bunker di Torino
Nelle ultime due udienze il processo è entrato nella fase di “ascolto dei testi portati dalla difesa”, cioè,
soprattutto, di persone che abitano la valle, dove da decenni discutono, si uniscono nella lotta contro il Tav. Sotto
esame o “controesame” ci sono le giornate del 27 giugno e 3 luglio 2011, l’espropriazione da parte dello stato del
territorio della Maddalena sovrastante Chiomonte lungo il torrente Clarea. Un territorio, occupato, “credevamo protetto
anche perché preso in affitto da noi” sottolinea una donna “ascoltata” oggi. In ogni caso uno spazio, nel quale è sorto
un accampamento abitato da oltre cento persone, vissuto per oltre un mese da chi si oppone al Tav, cioè da abitanti
della val Susa, ma anche da persone provenienti da tutta Italia. La vita là risulta talmente socializzata, reciproca da
prendere il nome di “Libera Repubblica della Maddalena”.
Tutto ciò, alla resa dei conti, dallo stato viene considerata ostilità imperdonabile, reato; realtà da punire, con la
criminalizzazione generalizzata, con la militarizzazione della valle, con fogli di via, fermi, processi, pignoramenti,
carcere… Diventa colpa l’incontrarsi sul terreno destinato dallo stato al Tav; riunirsi ed esprimersi in assemblee
aperte a favore della difesa pacifica, anteponendo il proprio corpo, anche a mani alzate, a chi vuol espropriare e
devastare territorio per costruirci la ferrovia Tav. Diventa colpa tirar su barricate “per rispondere al prevedibile
attacco degli sfondatori”, come precisa un uomo “ascoltato” oggi.
La sentenza lo stato l’ha per davvero decretata ed iniziato ad eseguirla quel 27 giugno quando carri-pinza, carri-
idranti hanno aperto i varchi a centinaia di sbirri motivati dal governo, armati, coperti da un fitto sparo di
pallottole fumogene, allo stesso tempo asfissianti, paralizzanti. Nei confronti di tutto ciò “non c’era protezione, solo
qualche limone, bottiglia d’acqua, fazzoletto, c’era paura… sono stata male, tante persone vomitavano, cadevano a terra
colte da attacchi d’ansia… i lacrimogeni arrivavano da ogni direzione, probabilmente anche dall’elicottero della polizia
che ruotava sopra, eravamo avvolti come in una nube”… come hanno detto le persone interrogate. “Siamo stati costretti a
lasciare la Maddalena… abbiamo preso l’unica via di fuga possibile, il sentiero del bosco verso Giaglione… se c’era
qualcuno fra noi con caschi e maschere protettive, non lo so, non l’ho visto…”
Chi ha deciso di sottoporsi a questo insinuante interrogatorio, certamente non un “ascolto”, sono lavoratori,
lavoratrici, studenti, tecnici, professori… persone probabilmente entrate per la prima volta in un tribunale (per di più
bunkerizzato), pronte ad essere ascoltate, ma certamente non avevano previsto di dover affrontare le offese di squallidi
pm, sintonizzati al tribunale, invasati dal potere dello stato. Loro sono arrivati persino a denunciare un teste,
assessore del “Mov. 5 Stelle” al Comune di Torino, per “falsa testimonianza”, in quanto sosteneva di non aver visto quel
giorno nell’ora in cui diceva di essere presente alla Maddalena “manifestanti con caschi, mascherati, che lanciavano
sassi…”. E’ successo che, spinto dai pm, non ha dichiarato l’orario della sua effettiva presenza, abbastanza precedente
l’inizio dello sfondamento degli sbirri.
Nel tempio dello stato la gente della valle ha avvertito una volta di più la dimostrazione di essere considerata
senz’altro ostile; ha toccato con mano che viene considerato reato l’“essere interessata alla difesa del territorio”,
come ha precisato una donna della valle agli insinuanti pm rispetto alle ragioni della sua presenza all’alba di quel 27
giugno 2011 alla Maddalena.

Udienze dell’ 8 e del 15 aprile 2014, aula bunker di Torino
L’udienza dell’8 aprile è dedicata all’ascolto dei “testi della difesa”, che ha citato l’ascolto di Alberto Di Pace
prefetto a Torino nell’estate 2011. A lui ci si rivolge per conoscere direttamente se si sono verificati degli eccessi
da parte della polizia rispetto alle “ordinanze” da lui disposte e inviate al questore di Torino per aprire il cantiere
di Chiomonte, comprese quelle riguardanti l’impiego dei lacrimogeni; se ci sono stati travalicamenti da parte del
prefetto e co. delle “delibere” disposte dai “tavoli” europei o anche soltanto interministeriali a Roma rispetto
all’avvio della “cantierizzazione” della Maddalena; se sia venuto a conoscenza dei pestaggi subiti dalla compagna e dai
tre compagni arrestat* il 3 luglio.
Lui ricorda di essersi preoccupato di seguire le “delibere” del governo e di farle rispettare attraverso le “ordinanze”
comunicate alla questura, alle riunioni dell’“osservatorio dell’ordine pubblico”, alle quali si è sempre preoccupato di
“invitare il procuratore Caselli” allo scopo di “coordinare… la repressione dei reati là commessi”. In conclusione
quindi, come sottolinea un avv. ,“Caselli era interessato a partecipare alle riunioni del coordinamento sull’ordine
pubblico”, assieme a digos e co., cioè pronto a suggerire, indicare, perseguire episodi quali, ad es., la decisione
presa dai manifestanti di chiedere i documenti a chi voleva passare sulla strada che conduce alla centrale Enel della
Maddalena e così entrare nel territorio presidiato, che ministri, prefetto, questore …erano impegnati a riportare sotto
il dominio dello stato.
Poi è la volta di Giorgio Cremaschi, allora dirigente nazionale del sindacato metalmeccanici (Fiom), “che aveva aderito
ufficialmente aderito a quella manifestazione, ero lì anche come simpatizzante”… quando Cremaschi rispondendo al pm dice
“io condividevo gli obiettivi della Libera Repubblica della Maddalena… era un’azione di resistenza civile… mi aveva
colpito la partecipazione di persone anziane, popolari, di cultura anche religiosa”…, il pm lo incalza chiedendogli se è
stato “coinvolto in un taglio di reti”, domanda, su richiesta della difesa, non ammessa nemmeno dal tribunale; i pm,
come sempre avviene nell’ “ascolto” dei testi della difesa cercano sempre di ribaltare l’ascolto in interrogatorio. Così
non viene ammesso dal tribunale, un documento proposto dai pm di “fratelli e sorelle della Libera Repubblica della
Maddalena”, perché dal sito da cui è tratto i pm non riescono a precisare chi ne sia “il titolare”.
In seguito iniziano ad essere ascoltat* persone della valle, come Ilaria infermiera, andata alla Maddalena “per
manifestare il dissenso allo sgombero… essere lì, dimostrare con la resistenza passiva di essere contrari”… ha visto la
polizia che sfondava i cancelli con una ruspa, il lancio dei lacrimogeni, ha seguito il fuggi fuggi generale… va alla
tenda del pronto soccorso, chiede se c’è bisogno di lei… nello stesso piazzale poco dopo arriva uno schieramento di
carabinieri, i manifestanti alzano le mani, parte lo stesso la carica, le manganellate, anche Ilaria rimane colpita alla
testa, cade, arriva alla tenda pronto soccorso dove riesce a farsi dare “un tampone e del ghiaccio per fermare il sangue
e a lavarlo via… la carica dei carabinieri però non si ferma, è preceduta dal lancio di lacrimogeni… l’aria è
irrespirabile… c’è chi vomita… non si vedeva, non si respirava, si fugge verso il bosco…” dove ha fine l’inseguimento ma
non il lancio a distanza dei lacrimogeni. I pm, falsando vistosamente la disposizione dei video della polizia,
vorrebbero dimostrare che Ilaria non è stata colpita, che si è inventata tutto. Il grossolano tentativo però non riesce,
anche per il referto medico portato in aula dalla manifestante.
Segue l’ascolto di Alberto (Perino), esponente del movimento No Tav. A quanto già descritto da altr* testi su quelle
giornate, aggiunge l’impiego degli elicotteri nelle operazioni di sgombero; in particolare descrive il taglio, la
distruzione, il defecamento riservato da polizia, carabinieri agli attendamenti innalzati dai manifestanti nelle
settimane di occupazione della Maddalena. Uno sfregio da non dimenticare. Sul 3 luglio spiega, che la manifestazione era
autorizzata, che nelle giornate successive allo sgombero l’intera area della Maddalena era stata circondata e isolata
con blocchi di cemento (jersey), reti metalliche (beta fence)… dentro quell’area erano schierati carabinieri, polizia e
finanzieri che, il 3 luglio, per ostacolare l’arrivo delle migliaia e migliaia di manifestanti, non appena le teste dei
due cortei si avvicinarono all’area, presero a sparare lacrimogeni, getti d’acqua… I pm cercano di fermare l’ascolto di
Alberto, sostenendo che “non è credibile, perché il signor Perino ha avuto l’ultima condanna un mese fa”. L’avvocato di
Alberto minaccia di abbandonare l’aula in quanto la procura “dovrebbe cercare cosa effettivamente è successo, per
verificare che gli imputati abbiano commesso o meno un reato, a me pare che stia conducendo questo processo per ragioni
diametralmente opposte”… cioè, come in questo caso, non vuole che si indaghi sugli attacchi preventivi e no di polizia e
co., così da facilitare la tesi della polizia e co. aggrediti da “facinorosi” ecc. ecc. per affermare in ogni caso
l’ordine del governo: il Tav s’ha da fare.
Segue l’ascolto di Marisa, operaia delle pulizie, interrotta dai pm mentre cerca di spiegare come il 27 giugno si svolta
la fuga generale dalla Maddalena assaltata da carabinieri e co., come il figlio (imputato nel processone) che era con
lei ha tolto la fidanzata sanguinante dal pestaggio degli assalitori… Circostanze descritte infine anche da Ugo, padre
di un ragazzo incluso nel processone.

L’udienza del 15 aprile si svolge grosso modo come le precedenti: i pm cercano di colpevolizzare la gente della valle
che interviene nel processo per condurlo a conoscere le ragioni del movimento No Tav, le maniere in cui è stata ed è
portata avanti dal 1998 la protesta. Per esempio Ezio, pensionato ed ex ricercatore in un centro studi della Telecom,
racconta con riferimenti precisi, basati sulla sua documentazione fotografica, gli eventi della mattina del 27 giugno e
spiega: “Ero andato lì come tanti altri del movimento No Tav perché dovevamo difendere un’idea… La gente su questa
barriera cercava di opporsi con i propri corpi alla demolizione, era previsto, era nell’aria che ci sarebbe stato lo
sgombero e noi lo ritenevamo illegittimo, quindi tentavamo di opporci pacificamente, con i nostri corpi, a questo
sgombero”. Al pm che con domande insinuanti, a dir poco, come queste:
“Quali direttive erano state impartite ai manifestanti nel caso in cui la polizia avesse superato questi ostacoli?” Ezio
riponde: “a me non risultano direttive”.
Pm: “Quindi ognuno faceva quel che voleva? Se uno voleva pacificamente opporsi se ne andava, un altro poteva tirare una
pietra?”
Ezio: “In quel periodo c’era un invito che veniva fatto spesso: più persone = meno pietre, opporsi pacificamente e
numerosi”… Al pm che lo incalza con durezza di non essere interessato alla posizione in cui si trovava, nel mostrargli
un video su lancio di sassi da parte dei manifestanti, Ezio risponde: “Io sono qui per rispondere alle domande, non per
essere intimidito.”
Si susseguono poi altre testimonianze simili, un consigliere comunale di Vaie che descrive il panico e la confusione di
quei momenti in cui centinaia di persone, che ritenevano di essere al sicuro nell’area regolarmente pagata dalla
Comunità Montana, subirono un attacco con gas lacrimogeni lanciati anche nei ripidi sentieri che furono costretti a
percorrere non avendo altre vie di fuga. “Io volevo rimanere li’ ma siamo stati impossibilitati perché l’aria era
irrespirabile e abbiamo deciso di andare verso la Ramat, per i boschi…” E di Maria: ”Sono rimasta sul piazzale perché
sapevo che lì potevo rimanere, ci avevano detto che lì era la comunità montana che rispondeva, ma siamo stati
impossibilitati perché l’aria era irrespirabile e abbiamo deciso di andare verso la Ramat, per i boschi, io con tutte le
altre persone che eravamo lì… c’era gente che stava peggio di me, vomitava, aveva problemi respiratori molto più gravi
dei miei… eravamo tutti spaventati perché non avevamo nessuna protezione.”
Questa la condizione vissuta dalla gente della valle. Una realtà che, lo si voglia o no, ha influito e influisce sulle
sue scelte successive.
In apertura dell’udienza gli avvocati della difesa sono tornati ad avanzare la richiesta di riportare il processo nel
tribunale in città. Richiesta respinta data “l’enorme quantità di imputati, difensori e parti civili” per motivare la
scelta di restare in aula bunker, “una questione di capienza e di sicurezza, visti gli ‘episodi verificati il 23
dicembre ed il 28 febbraio”. (Si riferisce alle udienze in cui le e gli “imputat*” hanno letto un comunicato di
solidarietà e contro l’arresto di Chiara, Mattia, Nicco, e Claudio e quando hanno scelto, assieme al pubblico, di
abbandonare l’aula per raggiungere la val Clarea).

Milano, aprile 2014

***
Scrivo per informare tutti quanti della situazione del mio processo. Sono Mattia, il ragazzo di 17 anni che il 19 luglio
dell'estate scorsa nella passeggiata notturna al cantiere è stato pestato. Venni portato all'ospedale e lì affidato alle
cure, quindi evitando l'arresto e la carcerazione. Dopo l'interrogatorio che ho dovuto tenere al tribunale dei minori di
Torino il 31 gennaio, dove mi sono avvalso della facoltà di non rispondere, ora l'8 aprile dovrò recarmi da degli
assistenti sociali qui a Milano. In più mi sono arrivati gli avvisi di chiusura delle indagini preliminari, quindi ora
sto aspettando di capire quando sarà la data dell'inizio del processo, ancora non se ne sa nulla. Verrò processato
separato dal resto degli arrestati di quella sera, per via della mia età. L'esposto che avevo presentato per far
presente del pestaggio, mi è stato ritorto contro in un'accusa dove vengo considerato un "calunniatore" delle forze
dell'ordine e del loro operato, in quanto c'è scritto che io sono cosciente della loro innocenza in quanto "hanno dovuto
comportarsi così per via della situazione".
Ci sentiremo presto, in quanto vi comunicherò i risvolti di questa situazione

31 marzo 2014
da autistici.org/mailman/listinfo/processonotav


Bologna: Alle cinque della sera
Sulla sentenza di primo grado del Processo "Outlaw"
Il 31 marzo 2014, alle cinque della sera, è arrivata la sentenza di assoluzione, perché il fatto non sussiste, per i 21
anarchici e anarchiche dello Spazio di Documentazione “Fuoriluogo”. Erano stati portati a processo con l’accusa di aver
costituito un’associazione a delinquere con finalità eversive dell’ordine democratico, compresa di capi, sottocapi e
partecipanti. Dopo 5 arresti durati sei mesi tra carcere e domiciliari, obblighi e divieti di dimora, fogli di via e
chiusura della sede, dopo tre anni di tormentone e nove udienze è arrivata la conclusione del primo grado di giudizio.
Non è ancora dato sapere se la pm ricorrerà in appello. L’andamento del processo lo sconsiglierebbe: la figura fatta
dall’accusa e dalla digos di Bologna suggerirebbero un decoroso ritiro in sordina. Ma tant’è, questi personaggi, anche
di fronte al crollo del loro impianto accusatorio, al tempo dedicato a seguire, pedinare, ossessionare le vite degli
accusati e delle accusate che al massimo ha prodotto dei pettegolezzi sulle loro vite private, non è escluso che
continuino a insistere. Vergogna non ne provano certo, della pochezza di mestiere dimostrata non se ne curano affatto, e
può essere che convenga loro, come esecutori della repressione, mantenere attiva l’accusa. Al servizio di protezione
dell’ordine costituito, il loro obiettivo non è sicuramente dar prova di intelligenza e competenza bensì di ottenere
almeno qualche risultato. Nel caso in questione hanno chiuso una sede e, in parte, distratto chi ha dovuto affrontare il
processo dall’essere con maggiore incisività presente nelle lotte. Hanno allontanato alcuni dalla città con i fogli di
via, ma non pensino che altri non si siano aggiunti o che quei compagni e compagne non abbiano trovato altri luoghi in
cui dare il tormento al potere.
Ha sconcertato osservare il disimpegno totale dimostrato nel sostenere l’accusa, sia da parte della pm che dei testi
digos. Qualcuno sostiene che sia stata la diretta conseguenza del nulla che avevano in mano. Altri che il loro obiettivo
sia stato comunque considerato raggiunto chiudendo il “Fuoriluogo” e disperdendo le forze dei partecipanti a quella
esperienza di lotta. Anche la minaccia verso chiunque intenda opporsi al sistema scegliendo di usare metodi decisi, il
monito “attenzione che se scendi in piazza con un po’ di determinazione potresti finire accusato di reato associativo”
restano comunque efficaci pur senza condanna. Paura è probabile che ne facciano anche solo aleggiando la possibilità di
provocare ad altri quel fastidio che hanno procurato nelle vite degli imputati e delle imputate.
Avevano deciso di colpire il “Fuoriluogo” per togliersi dai piedi un insieme di compagni e compagne con grande
disponibilità alla lotta. La determinazione e la costanza dedicate all’opposizione ai centri di detenzione per immigrati
senza permesso di soggiorno, denominati prima Cpt e poi Cie, la continuità con cui si è scesi in strada per portare la
voce dei reclusi, l’attenzione riservata a chi gestisce e lucra su quei luoghi infami, la presenza abituale davanti alle
mura di quei lager per dare solidarietà e raccogliere le storie tragiche di chi vi sta dietro, ma anche quelle delle
ribellioni, delle bellissime rivolte che non si sono mai fermate, tutto questo è risultato intollerabile per le autorità
cittadine e per i curatori dell’ordine. E questo per nominare solo l’impegno sostenuto con maggiore forza, ma molte sono
le lotte che hanno visto in prima linea in città i frequentatori di quello spazio insieme a tanti compagni e compagne di
differenti provenienze. Carcere, nucleare, nocività come il Tav o le discariche, solidarietà con gli sfruttati e chi
subisce la repressione sono i terreni in cui negli anni ci si è mossi. Le pratiche messe in atto non hanno mai tenuto
conto del lecito e dell’illecito, del legale e dell’illegale, dell’approvazione o quanto meno della tolleranza da parte
degli ufficiali dell’ordine e questo certo non ha contribuito a usare riguardi nei confronti degli anarchici e delle
anarchiche finiti sotto accusa. Il loro cattivo esempio andava sanzionato perché non ottenesse di diffondersi.
Non va dimenticato che sono potentati come l’Eni, al tempo colpita da attacchi, che hanno dato il via all’operazione
repressiva “Outlaw” il 6 aprile del 2011 riuscendo a mettere a tacere i dubbi che non ci fossero elementi consistenti
per procedere. I funzionari di giustizia hanno allora costruito tutti i passaggi necessari, dall’incriminazione al
rinvio a giudizio e al processo, e alla fine hanno dovuto limitarsi a raccogliere un misero risultato: un attacco
preventivo senza concretizzazione di pena. Tutto questo impianto accusatorio, tutto questo baccano mediatico, tutta
questa digos impegnata a stare appresso a un gruppo di anarchici per riuscire a malapena a trattenere la carica
appassionata di donne e uomini avversi alle sopraffazioni e refrattari al dominio.
Nella stessa giornata della sentenza è stato riaperto uno spazio sottratto al piacere e all'esigenza di utilizzarlo. Uno
spazio per il confronto, la discussione e la ricerca di un modo efficace per opporsi a un sistema che opprime, affama,
devasta e avvilisce la vita. Uno spazio per continuare ad alimentare l’utopia di un mondo del tutto altro da questo.
Il Laboratorio anarchico di via Paglietta 15 era stato strappato ai compagni 15 anni fa. Si tratta della sede di un
circolo intitolato a Carlo Cafiero che ospitava la Libreria Circolante. A metà degli anni sessanta era stato preso in
affitto da Libero Fantazzini con alcuni compagni anarchici. Il comune di Bologna lo aveva concesso a un costo simbolico
per sostituire la sede storica di Porta Galliera chiusa durante il ventennio fascista. Questo posto, nel giugno del
1999, fu messo sotto sequestro e poi chiuso con mattoni e cemento a seguito di un'inchiesta che aveva condotto in
carcere una compagna e un compagno. Per più di trent'anni era stato utilizzato da gruppi e individualità anarchiche,
riempito di attività, assemblee, incontri e condivisione di vita. Come spesso accade il procedimento penale non ebbe
alcun seguito ma il locale, invece di essere reso come dovuta conseguenza, restò murato e inaccessibile chiudendo con
sé un pezzo di storia della città.
La riapertura nel pomeriggio del 31 marzo ha procurato gioia ed emozione, si è mantenuta il tempo di sogno, ma avrà la
durata di una volontà.
Sconfitte a processo, non potevano le autorità costituite accettare questo smacco da parte degli “Assolti all’assalto”,
come recitava in un titolo il fogliaccio cittadino per una volta divertente. Murato e sigillato la mattina del 2 aprile
con la prepotenza e l’arroganza di chi della memoria storica si fa bello in occasione di parate e celebrazioni, il
laboratorio è tornato a vivere uscendo dall’oblio di un ricordo rimosso. Il comune di Bologna è guidato da un partito,
il Pd, che si è svenduto tutto, idee ed etica, pur di arrivare al comando. Figuriamoci se non si sarebbe svenduto anche
il risarcimento dato nel dopoguerra agli anarchici come forza che aveva combattuto il fascismo.
Il fascismo aveva chiuso due sedi, la democrazia ha chiuso il “Fuoriluogo” e due volte il “Paglietta”. Complimenti!
Il via libera per la lotta non lo concede un’assoluzione, come ha tuonato il procuratore della città, ma la tensione che
spinge per una vita bella e appassionata, libera da sfruttatori, potenti e servi.

Anarchiche e anarchici del processo “Outlaw”
6 aprile 2014, da informa-azione.info


2 aprile 2014: sgomberi coordinati in tutta Italia
A Milano l’occupazione, anzi ri-occupazione, del palazzo in cui viveva l’ “Ardita Pizzeria del Popolo” (nella zona di
piazza Napoli) aveva compiuto un anno appena qualche settimana fa. Polizia e carabinieri irrompono alle 4,30 del
mattino, ma incontrano resistenza, barricate che gli tengono testa, nonostante l’intervento dei vigili del fuoco, per
oltre due ore e mezza. In quelle ore si riesce a preparare per bene la salita sui tetti di due compagni, Andrea e Nico.
Nelle stesse ore polizia e co. penetrano nella “Base di Solidarietà Popolare” uno spazio compreso in un grosso
condominio dell’Aler (organo dell’edilizia pubblica in Lombardia, oggi odiatissimo dalla Milano proletaria e non
soltanto, sanguisuga) dentro al vicino quartiere del Giambellino occupato poche settimane fa da compagn* della Pizzeria
assieme a abitanti del quartiere. Uno spazio, subito chiamato “Base di Solidarietà Popolare”, aperto per “organizzare
attività come il recupero al mercato, le cene popolari, le merende, i giochi coi bambini, le proiezioni di film e lo
sportello della casa.
Le compagne e i compagni, sono 17, che hanno resistito vengono portat* in questura, dove fuori si forma un presidio di
parenti, solidali. Le “identificazioni” e simili si protraggono fino alle 18 circa, concludendosi purtroppo con
l’arresto e relativo trasferimento a S. Vittore di Clara, Sara, Francois, Nik.
Intanto anche nelle vicinanze della Pizzeria la presenza di compagn*, di persone che vanno e vengono, dà vita a
volantinaggi, alla sistemazione di un impianto per comunicare con parole e musica la vicinanza a Andrea e Nico rimasti
sul tetto.
Si organizza per la sera una chiamata generale nella piazza Tirana, da sempre il cuore del Giambellino. Si vuole mettere
in piedi un corteo che passando accanto alla Pizzeria si concluda con un saluto attorno al carcere di S. Vittore. Va
bene, non c’è bisogno di tante parole, così prima delle 21 oltre 400 persone si incontrano, prendono la strada.
Significativo il clima solidale espresso anche in alcuni striscioni preparati in quelle ore:
“ Da Giambellino a piazza Napoli - Da Torino a Bologna – Resistiamo agli sgomberi – Clara, Frà, Nic, Sara liberi”; “Per
continuare a speculare sgomberano spazi di solidarietà e socialità! Solidali con la Pizzeria del Popolo, con la Base di
Solidarietà Popolare! Costruiamo territori resistenti! Liber* tutt* subito!!”
Con la determinazione conseguente il corteo passa prima a salutare chi sul tetto dà continuità all’occupazione, poi
raggiunge S. Vittore dove comunica con scritte lungo la cinta (solo pochi giorni prima erano state cancellate quelle
fatte nel corso della manifestazione No Tav del 22 febbraio), battiture, interventi rivolti a tutte le persone lì
rinchiuse che dicono loro quanto è accaduto quel giorno.
La sera di giovedì 3 si ritorna nelle strade del Giambellino anche se presidiate da tanti blindati di polizia e co. per
dare continuità al rapporto con il quartiere. Nonostante i divieti si forma un corteo che invita a un incontro in un
vicino parco in comunicare, socializzare quel che sta accadendo – per affrontarlo assieme. Lì, fra bambini, famiglie,
tavoli, cibi, musica, interventi… trascorrono diverse ore dove si decide di rivedersi per una festa popolare sabato
mattina 5 aprile nello stesso quartiere. La giornata si conclude con un saluto a chi dal tetto della Pizzeria,
attorniata dai blindati, resiste allo sgombero.
Nel pomeriggio di venerdì 4 ne arriva una buona: sotto la spinta della mobilitazione, Clara, Sara, Nic, Frà vengono
scarcerat* con obbligo di firma una o anche due volte al giorno.
Sabato 5 nel primo pomeriggio, dopo una festa popolare in un parco del Giambellino si forma un corteo assieme a tanti
abitanti del quartiere, che si va a prendere Andre e Nico che, per quattro giorni e notti, hanno resistito sul tetto del
palazzo sgomberato e presidiato dagli sbirri. E’ una discesa festosa, immediatamente accolta dagli abbracci del corteo
che va sotto S. Vittore per rendere partecipi di questa felicità tutte le persone chiuse, che afferrano con sensibilità
la socializzazione di questo momento.

A Torino sono passate da poco le 9 del mattino quando in via Cuneo compaiono le camionette. A quest’ora nella nuova casa
occupata al civico 45 c’è poca gente, giacché gli abitanti sono in giro - chi ad accompagnare i bambini a scuola, chi
dal dottore, chi per altre iniziative o impegni - e la polizia ne approfitta per iniziare l’assedio. I poliziotti in
borghese passano subito dal tetto, neutralizzando ogni possibilità di resistenza, e da lì poi scendono a sfondare le
porte degli appartamenti.
La sproporzione numerica è enorme: a chiudere le vie intorno alla casa ci sono una decina di camionette, oltre al solito
codazzo di agenti della Digos... Nel giro di mezz’ora, all’angolo con via Cecchi, al di là delle camionette parcheggiate
a chiudere la strada, si forma un nutrito gruppone di gente che guarda, tra compagni, gente dell’assemblea contro gli
sfratti del quartiere e gente indignata. Un’ora di comizi prima a voce e poi al megafono, slogan, alcuni passanti che
urlano contro la polizia che butta in strada la gente. Inizia un blocco stradale a singhiozzo, poi in sessanta si parte
per un breve corteo intorno all’isolato blindato con la celere dietro al culo che regala qualche spinta.

A Bologna, tra le 7.30 e le 9.00 del mattino, è stato sgomberato il “Paglietta”, lo spazio occupato appena lunedì 31
marzo dopo la sentenza del processo a “Fuoriluogo” mentre a Livorno è stata sgomberata una palazzina occupata a scopo
abitativo la settimana precedente.

Milano, aprile 2014

Venerdì 18 aprile è stato occupato un nuovo posto a Milano, in via Watt 6, in risposta allo sgombero e risposta
all'infame "piano casa" di Renzi, Lupi and co.