indice n.89
Ucraina: tragedia invece di rivolUzione
l’Unione eUropea militarizza la libia
USa: Stato di polizia
USa: i lavoratori immigrati ancora in Sciopero
AGGIORNAMENTI DELLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
lettera dal carcere di bergamo
lettera da carcere di nUoro
lettera dal carcere di Siano (cz)
lettere dal carcere di rebibbia (roma)
da una lettera di Un prigioniero
appello del coordinamento dei detenUti – primavera carceraria
lettera dal carcere di viterbo
detenUti devaStano la Sezione di iSolamento di piacenza
comUnicato dal carcere di ivrea
prigionieri paleStineSi: Sciopero della fame per aprile
Grecia: prigionieri contro la differenziazione dei circuiti
lettere dal carcere pagliarelli (pa)
lettera dal carcere di monza
lettera dal carcere dozza di bologna
lettera con il braccialetto
lettera dal carcere di peScara
lettera dal carcere di ferrara
da una lettera dal carcere di alba
interviSta a claUdio lavazza, detenUto in Spagna
lettera dal carcere di lenzbUrg
contro l’intimidazione alla compagna andi!
sui proceSSi contro il movimento no tav
lettere dal carcere di aleSSandria
lettera dal carcere di ferrara
30 marzo: preSidi a roma, aleSSandria e ferrara
dalle Udienze del proceSSo “15 ottobre 2011”
affile: proceSSo agli antifaSciSti
bellaria (rimini): faSciSti accoltellano compagni
Milano, processo Cox: udienza del 27 febbraio 2014
milano: “no alle rUSpe nei parchi”
Milano, Via Preneste 2, quartiere San Siro: La lotta Paga
Ucraina: tragedia invece di rivoluzione
In Ucraina non è avvenuta una “rivoluzione democratica pro-europea”, ma bensì una tragedia. La caduta del governo,
indubbiamente corrotto, retto da Janukowitsch ha portato all’insediamento di un governo altrettanto indubbiamente
corrotto. La politica estera di questo governo è chiaramente un punto a vantaggio dell’UE e della NATO contro la Russia.
Lo scontro politico interno è stato vinto da forze fasciste. La presa di posizione dell’occidente contro Janukowitsch,
ma favorevole all’ “opposizione unita”, ha condotto al fatto che per la prima volta nella storia dell’Ucraina i fascisti
detengono effettivamente il potere dello stato.
Questo significa una frattura nell’Europa del dopoguerra, fino ad ora non presa sufficientemente sul serio dai partiti
di sinistra. L’offensiva è stata colta soltanto dalla Russia. Anche per il governo della Germania la presa del potere da
parte dei fascisti in Ucraina non rappresenta alcun problema. Ciò è conseguente al rapporto costruito nel corso del 2013
dal governo tedesco con il capo fascista Oleg Tjagnibok per portare il partito ucraino di ultradestra, Swoboda, al
potere. Così nel febbraio 2014 mentre nelle città dell’Ucraina esplodeva la rivolta, nell’ambasciata della Germania a
Kiev (capitale dell’Ucraina) continuavano a tenersi incontri con i fascisti. In quei giorni c’è stato persino il primo
incontro, a Kiev, fra il ministro degli esteri di Berlino, Frank-Walter Steinmeier, e Tjagnibok…
Il problema più grave è che in Ucraina non esiste una forza di sinistra capace di indicare una prospettiva. Le attese di
tanti dimostranti che vedono nell’avvicinamento all’UE una spinta al benessere e alla libertà per tutti, sono
incredibilmente ingenue. Nessuna forza ha aperto gli occhi sulle illusioni che muovevano i manifestanti. Il governo
abbattuto, per parte sua, nel propagandare l’avvicinamento all’UE ha favorito la diffusione di quelle illusioni. L’UE
non ha tentennato a trarre vantaggio dall’ingenuità di chi manifestava, impiegandola piuttosto come punta per abbattere
il governo di Janukowitsch da sempre ben disposto verso la Russia.
Il movimento di protesta costantemente incoraggiato dall’UE nel corso degli avvenimenti ha mutato il proprio carattere:
da una manifestazione per la sottoscrizione di un accordo di associazione con l’UE è passato apertamente al lancio
dell’appello per l’abbattimento del governo. La radicalizzazione e militarizzazione della protesta sono così finite
nelle mani dei fascisti. Le forze democratiche esistenti fra i dimostranti hanno tollerato i fascisti nel momento della
lotta contro il governo, trasformandoli da fattore esterno in fenomeno sociale e apertamente accettabile. Ciò che ha
portato la sinistra al naufragio…
In Ucraina, in fondo, è nei fatti accaduto un ulteriore avanzamento delle potenze economiche, militari degli stati
capitalisti coalizzati nella NATO. Chiarificatore su questo è il pensiero espresso dalla scrittrice comunista argentina
Stella Calloni – in jw 24 febbraio-)…
“Quanto è avvenuto in Ucraina è la continuazione della politica aggressiva della NATO, che prepara la strada alla terza
guerra mondiale. Gli anelli Irak, Libia, Siria formano una catena che conduce direttamente a ciò. USA e Europa sono
immerse in una crisi profonda, condizione che le rende pericolose. Diversamente da noi in America Latina, la popolazione
europea non è preparata ad affrontare quel che accade. In Europa le persone non sono ben informate e non hanno chiaro
che ovunque, i loro governi si muovono su un terreno disseminato di mine, e che la miccia di queste non è nelle mani
della popolazione. Questa situazione sfocia direttamente nella catastrofe”.
marzo 2014, tratti da jungenwelt.de
L’Unione Europea militarizza la Libia
La politica degli stati membri dell’UE è di respingere i profughi dai propri confini (europei). L’UE ha avviato la
missione di polizia EUBAM (European Union Border Assistance Mission), per creare in Libia una gendarmeria sul modello
italiano (carabinieri). Questa truppa sottostante all’esercito viene soprattutto impiegata per il controllo dei confini.
Successivamente potrà essere posta a sorvegliare gli impianti petroliferi delle società europee. Alla missione di
polizia citata fino ad oggi hanno preso parte 20 poliziotti tedeschi [e italiani?].
Per la popolazione libica che vuol lasciare il proprio paese, la fuga diventerà ancor più difficile… Nel respingimento
dei profughi la competenza è nelle mani dell’Italia. È l’Italia che infatti monta gli impianti per la sorveglianza dei
confini della Libia marittimi e terrestri. L’obiettivo è impedire ai profughi l’oltrepassamento in direzione
dell’Europa. Se vengono colti nei confini marittimi libici, gli stati membri dell’UE evitano l’ammissione alla richiesta
di asilo.
In Libia la sicurezza dei profughi non è garantita. Si è a conoscenza di gravi maltrattamenti causati da polizia e
milizie. L’Italia ha lanciato droni per realizzare il controllo dei confini a sud della Libia (deserto del Sahara). Va
detto che il governo tedesco in generale sostiene queste installazioni e l’intero progetto di controllo-respingimento.
In particolare l’interesse è rivolto alla protezione, attuata da una polizia militarizzata, delle piattaforme
petrolifere di società italiane, inglesi e tedesche.
gennaio 2014, tratto da jungewelt.de
***
Libia: azioni di polizia USA nel Mediterraneo
Navi da guerra USA, anche su invito del governo libico, sono intervenute con elicotteri in pieno Mediterraneo per
dirottare con la forza nel porto di Cipro la petroliera “Morning Glory”. Diversi marines sono atterrati sulla
petroliera. Non ci sarebbero stati né morti né feriti da nessuna parte. Tutto dovuto al fatto che all’inizio di marzo
dei “separatisti” armati avevano occupato il porto petrolifero di Al-Sidra (Libia dell’est) ed il “governo autonomo”
della stessa regione aveva iniziato a vendere direttamente il petrolio estratto dai pozzi controllati un tempo dallo
stato centrale.
Il “governo autonomo” di Al-Sidra in quei giorni vendette “illegalmente” petrolio anche alla nave “Morning Glory”
battente bandiera nordcoreana, permise di riempirla e di difenderne l’uscita in mare aperto.
Il governo libico centrale dopo aver inutilmente tentato, anche con minacce, di impedire alla petroliera di essere
caricata e di lasciare Al-Sidra con a bordo anche “separatisti” armati, ha allora fatto appello al governo USA che ha
accettato con solerzia l’invito-esortazione.
marzo 2014, tratto da jungenwelt.de
USA: stato di polizia
Lui non è corruttibile, lettera-articolo dalle carceri USA
Il senato USA nei giorni scorsi ha rifiutato di confermare il candidato, indicato dallo stesso presidente Obama, come
capo del Dipartimento dei diritti civili nel ministero della giustizia.
Quando Debo Adegbile, l’aspirante designato, è stato rifiutato - sebbene sia il giurista meglio formato e capace, ideale
ad occupare quell’ufficio - la paura e la menzogna sono trionfate sulla ragione e sui fatti. Gli sgherri torturatori di
Broad Street (sede centrale della polizia di Filadelfia nord-ovest), anche conosciuti come “Confraternita dell’Ordine di
Polizia” (Fraternal Order of Police, FOP) hanno altre idee e non digeriscono la verità. Nel loro tentativo, più volte si
sono accaniti contro di me, hanno calunniato un uomo che non conoscevano e non volevano conoscere. A loro è sufficiente
il semplice fatto che Adegbile sia un attivo avvocato del Fondo di Difesa Legale (LDF) dell’organizzazione dei diritti
civili NAACP, il quale dal 2010 ha assunto la mia difesa.
Il FOP attacca Adegbile perché sul mio caso aveva inviato petizioni al tribunale, cioè nient’altro che rendere possibile
ad un prigioniero di essere tutelato sulla base dei diritti garantitigli dalla costituzione. In questo modo il FOP ha
insudiciato proprio la costituzione su cui ogni poliziotto presta giuramento.
È un’amara ironia che proprio al candidato nominato alla più alta carica per la difesa dei diritti civili, sia stato
impedito il diritto ad un procedimento corretto e il suo diritto civile alla difesa. C’era da aspettarselo, poiché lui
aveva osato fare quel che secondo la legge e la costituzione gli avvocati sono obbligati a fare, ossia, difendere
adeguatamente i loro assistiti. Soltanto a causa di ciò gli esperti del FOP si sono preoccupati di impedirne la nomina,
invocando allo scopo pure menzogne.
Come si deve definire un paese in cui i poliziotti decidono chi può diventare giudice, pubblico ministero o membro del
governo? Stiamo parlando senz’altro di uno stato di polizia.
Il giudice, morto, Albert F. Sabo, contento di avermi condannato a morte, prevenuto fino al midollo, si felicitava della
propria appartenenza al FOP, e i giudici della corte suprema della Pennsylvania con orgoglio ribadivano la volontà di
continuare a finanziare il FOP. Chiamavano questi versamenti, naturalmente, “spese per la competizione elettorale”,
dirette alla loro rielezione nel tribunale più alto dello stato federale.
Quel che interessa i senatori milionari del Congresso USA, i quali possono al massimo far richiamo - nel loro impegno
sulla sicurezza dell’1% dei superricchi - è il sostegno del 10% degli elettori, a quel che ancora rimane delle loro
anime, in ogni caso già venduto al miglior offerente.
Volevamo mandare a casa questi trafficanti e sistemare sulla tribuna del Congresso USA una gigantesca banconota da 10
dollari, così da chiarire che là sono tutti corruttibili; dato che la stretta maggioranza dei senatori dei partiti
Repubblicano e Democratico ha votato contro Debo Adegbile, ancora una volta questi politici hanno dimostrato che in
questo paese si riceve sempre quel che si è pagato.
Mumia Abu Jamal
15 marzo 2014, da jungenwelt.de
USA: I LAVORATORI IMMIGRATI ancora in sciopero
Tacoma, Washington: il 6 Marzo i lavoratori immigrati rinchiusi nel Centro di Detenzione di Northwest hanno comunicato
l’inizio dello sciopero della fame. Dal 16 Marzo lo sciopero è in atto. Questa protesta all’interno del quarto centro di
detenzione per immigrati più grande negli Usa ha avuto moltissimo supporto. Lo sciopero è parte del grande movimento
contro le deportazioni e la separazione di intere famiglie immigrate.
Questa azione eroica vuole fare pressione sull’amministrazione Obama per chiedere la fine del regime di internamento e
deportazione per immigrati (CIE – Immigration Customs Enforcement).
I prigionieri hanno fatto alcune richieste minime di sopravvivenza all’interno dei CIE: vogliono cibo migliore; chiedono
di essere trattati dignitosamente; chiedono di essere pagati meglio per i lavori che svolgono all’interno del centro:
ricevono solamente 1 dollaro al giorno; richiedono la riduzione dei prezzi per la spesa all’interno del centro e la fine
alle deportazioni.
Il 6 Marzo, 1.200 immigrati hanno rifiutato il pasto. Ora il numero di scioperanti si è ridotto. Fuori i compagni in
contatto con loro apprendono che 20 di loro sono stati messi in isolamento per ritorsione allo sciopero della fame. Uno
degli organizzatori all’interno, Ramòn Mendoza Pascual, ha comunicato che “lo sciopero andrà avanti ad oltranza finché
ce ne sarà bisogno”.
A fine Febbraio scorso, quando alcuni immigrati hanno comunicato di voler iniziare la lotta, stavano per essere
trasportati su alcuni pullman e quindi essere deportarti ma il gruppo Not One More Deportation è riuscito a bloccare i
pullman che stavano uscendo dal centro.
L’11 Marzo i famigliari degli immigrati rinchiusi e circa 250 community supporters hanno dato vita ad un presidio
davanti al Centro e tutti i giorni da allora il presidio viene mantenuto. Chi ha preso parola al presidio denunciava gli
alti profitti tratti dall’industria carceraria. Il Centro di Detenzione di Northwest appartiene a GEO Group – colosso
americano leader mondiale di servizi per centri di correzione e detenzione, centri psichiatrici e comunità di recupero
presente in America, Inghilterra, Australia e Sud Africa. Il suo maggiore stakeholder è Wells Fargo Bank, compagnia di
servizi finanziari operante in tutto il mondo e quarta banca per attività e terza per capitalizzazioni borsistiche negli
U.S.A.
L’11 Marzo, Maru Mora Villalpando della Latin Advocacy (Difesa), ha detto al presidio “Il governo federale sta mettendo
le vite dei nostri cari nelle mani di una società che sta sempre più abbassando il livello di trattamento all’interno
delle carceri al fine di trarre sempre più profitti sulla pelle dei detenuti.
Noi supporteremo i detenuti e garantiremo che la loro richiesta di un trattamento più equo venga soddisfatta.”
I detenuti, rifiutandosi di essere considerati vittime, hanno aderito allo sciopero e stanno contribuendo a guidare un
movimento nazionale contro arresti e deportazioni che negli ultimi tempi sono sempre più frequenti e violenti.
21 marzo 2014, da workers.org
AGGIORNAMENTI DELLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Torino, Cie di C.so Brunelleschi
27 febbraio. Una ventina di solidali davanti alle mura del CIE saluta i reclusi rumorosamente con battiture, slogan,
petardoni, fumogeni e grida si levano dall’interno del CIE.
7 marzo. Un recluso evita la deportazione, procurandosi diversi tagli alle mani all’interno dell’aereo pronto al
decollo. Il pilota, per evitare casini, ordina di farlo scendere immediatamente, e la polizia è costretta ad obbedire,
così la deportazione salta. Ritornato al cie, il recluso viene messo in isolamento.
10 marzo. Le fiamme sono divampate in cinque camere dell’isolamento e in tutti gli stanzoni dell’area gialla. Tutti i
reclusi son stati portati in cortile, dove hanno passato la notte, in quanto gli aguzzini non sapevano dove sistemarli,
visto che tutte le sezioni ad eccezione di una, son tutte pesantemente danneggiate e mezze chiuse. Poco dopo l’inizio
degli incendi, di fronte al Centro si è radunato un grosso presidio: una settantina di persone per venti minuti di
slogan e battiture e i reclusi hanno pensato bene di portarsi avanti ancora un po’ con il lavoro, appiccando incendi
anche nelle camere dell’area bianca.
11 marzo. Dopo una notte all’aperto, gli aguzzini hanno spostato i reclusi nei pochi spazi ancora agibili, ossia le
stanze per la mensa e due camere. Quelli che stavano nelle celle dell’isolamento andate a fuoco, invece, sono stati
messi a far compagnia ai prigionieri delle celle ancora integre. Durante lo spostamento tutti i prigionieri son stati
interrogati dalla polizia sui fatti della sera prima e sui contatti che hanno con l’esterno. Un recluso è stato messo in
isolamento nell’unica cella rimasta indenne.
13 marzo. Con la Croce Rossa lo Stato rinchiude e deporta gli immigrati salvando le apparenze. “La lotta paga”, a volte,
non è solo uno slogan. Si lotta perché è giusto, intanto, spesso perché si hanno le spalle al muro, o ancora perché si
inseguono sogni belli e li si vuol rendere veri. Ma la lotta può pure migliorare immediatamente le condizioni di vita e
spezzar le catene. È il caso di questi giorni in corso Brunelleschi dove, dopo gli incendi di domenica, non c’è più
posto per tenere i prigionieri. E visto che pure negli altri Centri italiani son messi male e non c’è modo di effettuare
trasferimenti, giorno dopo giorno, l’Ufficio immigrazione è costretto a liberar qualcuno: in sordina, perché non si
sparga troppo la voce che per conquistarsi la libertà non serve aspettare le mene dei consigli comunali e dei
sottopifferi ministeriali. I primi tre già lunedì, altri tre martedì, altrettanti ieri e uno oggi: sono una decina i
prigionieri usciti dal Centro dal giorno della sommossa, e non è poco in proporzione viste le dimensioni cui si è
ridotto il Cie negli ultimi mesi.
15 marzo. Presidio alla Croce Rossa di fronte alla sede regionale di Via Bologna, in solidarietà con la lotta dei
prigionieri del CIE. La sede della C.R.I. è ricoperta di scritte sui muri e circondata da celerini, carabinieri,
investigatori in borghese e vigili urbani. Il presidio è animato da cinquanta nemici delle espulsioni con tanti
striscioni, battiture, interventi e una bella serie di registrazioni di testimonianze da dentro, che hanno spiegato il
ruolo dei crocerossini dentro ai centri. Durante il presidio avviene una diretta telefonica dal CIE di C.so Brunelleschi
che annuncia delle fiamme divampate in altre due stanze dell’isolamento. In serata un gruppo di solidali si ritrova
davanti al cie per salutare con slogan, petardoni e fuochi d’artificio.
16 marzo. Nell’area rossa l’unica camera agibile viene incendiata, i reclusi dormiranno in cortile con i materassi.
Nell’area viola l’ultima camera agibile va in fumo, i reclusi dormiranno nella sala mensa già danneggiata ma senza
materassi.
17 marzo. Nel CIE restano agibili solo cinque camere dell’area femminile, una camera dell’area blu e qualche cella d’
isolamento, in totale i reclusi sono meno di quaranta. Dopo una settimana di incendi, inizia il contrattacco repressivo:
sei ragazzi nigeriani e un tunisino vengono arrestati, probabilmente accusati dei danneggiamenti avvenuti negli ultimi
giorni; mentre altri 24 nigeriani vengono rimpatriati con un volo charter partito da Caselle e diretto a Lagos.
20 marzo. Alla convalida d’arresto dei rivoltosi, il giudice si rende conto che è passato troppo tempo tra l’incendio e
l’arresto: manca la flagranza di reato, quindi i sette vanno liberati dalle vallette ma confermano il trattenimento al
cie.
Il CIE è sempre più ridotto a un cumulo di macerie, non sembrano essere imminenti lavori di ristrutturazione, e i
reclusi presenti sono una trentina su una capienza originaria di circa 200. Ciononostante sembra confermata la gara
d’appalto per la gestione dei prossimi tre anni.
23 marzo. Presidio sotto le mura del cie in solidarietà con chi lotta nei centri.
Condanne a Modena
Il 24 febbraio la giudice Manuela Cortelloni, dopo un lungo dibattimento degli avvocati difensori, ha emesso sentenza
contro Andrea, Sabbo e Gabriele accusati di aver danneggiato il Cie modenese durante un presidio di solidarietà ai
reclusi avvenuto il 16 giugno scorso. Le pene sono di 1 anno per Andrea e Sabbo, senza la condizionale, e di 8 mesi per
Gabriele (dopo 8 mesi ora è completamente libero). Sabbo e Andrea dopo otto mesi è stata revocata la misura cautelare
dell’obbligo di dimora con restrizioni notturne, ora devono firmare due volte a settimana. Il CIE di Modena grazie al
fuoco delle rivolte è chiuso!
Alba Adriatica, 1 marzo. Alcuni mezzi della Croce Rossa sono stati imbrattati con scritte: “Fuoco ai CIE” - “Complici
dei lager” - “Solidali con Andrea, Sabbo, Gabriele”, rovinando la presentazione del calendario 2014 organizzata dal
comitato locale.
CARA (Centro di “accoglienza” per richiedenti asilo politico) di Gradisca d’Isonzo (Go)
28 febbraio. La strada Sr 305 è stata bloccata per un paio d’ore da parte di un centinaio di migranti del Cara. La
protesta è stata motivata dalle condizioni invivibili all’ interno del centro e per le normative sull’immigrazione.
Cie di Trapani Milo
22 febbraio. Dieci reclusi riescono ad evadere scavalcando le recinzioni, mentre uno viene bloccato e pestato
violentemente alla testa spaccandogliela. Tutti i reclusi reagiscono protestando ed il ferito viene portato
all’ospedale, gli vengono dati sette punti di sutura in capo e riportato al Cie. Verrà accudito dagli altri reclusi, che
osservando un netto peggioramento di salute, protestano spargendo la spazzatura nei cortili di quattro sezioni. Dopo
mezz’ora arriva l’ambulanza per soccorrere il ferito.
26 febbraio. Trenta prigionieri tentano la fuga ma, le forze del manganello riescono a bloccarli tutti.
27 febbraio. Sette prigionieri scavalcano le recinzioni, due vengono purtroppo presi, gli altri cinque si danno alla
macchia.
1 marzo. Due reclusi scavalcano le recinzioni e fuggono via.
17 marzo. Il cie sta per chiudere per ristrutturazione, quindi i richiedenti asilo son stati trasferiti in un Cara,
altri reclusi son rimasti chiusi in una situazione di semi-abbandono: i gestori sono scomparsi, assenza di detersivi,
saponi e carta igienica, manca la corrente nelle camere e il cibo arriva in maniera irregolare. Così i reclusi hanno
protestato scavalcando il primo cancello che li tiene prigionieri e non rientreranno fino a quando potranno parlare con
il Direttore del Cie, ma sembra che sia scappato. Intanto continuano le notizie di controlli e accompagnamenti di
migranti dall’Umbria al CIE di Trapani.
Cie di Ponte Galeria (Roma)
24 febbraio. In otto tentano la fuga ma raggiunto il perimetro del centro, scatta l’allarme e la polizia accorre, li
acciuffa e li sbatte per tre giorni in isolamento, poi riportati nelle sezioni.
26 febbraio. Un ventenne libico tenta il suicidio. Il libico aveva fatto parte della milizia di Gheddafi, e rischia la
vita in caso di rimpatrio. Il consolato libico ha verificato l’identità, ma lo straniero non è stato rimpatriato, né
rilasciato.
Cie Di Bari
21 marzo. Vibrante protesta da parte di un centinaio di reclusi, scatenata dalla scarsa qualità dei pasti. Alcune
confezioni di cibo erano scadute da cinque giorni ed altri cibi contenevano carne di maiale. Le pietanze contestate son
state sostituite. Non risultano scontri, né feriti, ma sarebbero state danneggiate alcune finestre e scardinata una
porta.
Parigi, Cie di Vincennes
14 febbraio. Nella notte i reclusi, barricati nelle stanze, mettono fuori uso le telecamere di sorveglianza e lanciano
estintori, porte e mobili contro la polizia, che era arrivata in assetto antisommossa alle 4 di notte per espellere un
recluso. Cinque reclusi vengono feriti dalle manganellate e l’espulsione viene eseguita. Molti reclusi iniziano lo
sciopero della fame per protesta. Due rivoltosi vengono condannati a due e quattro mesi di galera per aver scardinato
una porta ed uno per essersi rifiutato di sottoporsi all’esame del Dna.
15 febbraio. Nella notte vengono esplosi alcuni fuochi d’artificio davanti al Cie. La polizia ferma cinque persone ed
accusati di “assembramento armato”, travisamento, rifiuto di fornire le proprie impronte digitali, di farsi fotografare,
di sottoporsi all’esame del Dna, tre di loro vengono sottoposti all’obbligo di dimora nella regione di Parigi e al
divieto d’incontro tra loro, gli altri due vengono arrestati e trasferiti nel carcere di Fleury-Mérogis.
18 febbraio. Per i cinque solidali, il processo è stato rinviato al 24 marzo. A Barbès viene indetto un presidio di
solidarietà.
Il mare dei morti
17 marzo. 596 migranti in arrivo con i barconi vengono “soccorsi”, come dicono loro, ma in realtà per queste persone
inizia la reclusione, la tortura e la persecuzione alienante!
18 marzo. Altre 13 imbarcazioni vengono intercettate dalle navi che agiscono nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum,
con altre 1.532 persone a bordo.
Milano, marzo 2014
Lettera dal carcere di Bergamo
Saluto te, tutte le compagne e tutti i compagni. Ho ricevuto i libri e vi ringrazio. Qui purtroppo siamo solo in due ai
quali piace leggere; e quando c’è un po’ di tranquillità si può leggere. È meglio leggere che vedere la tv. Negli 8
canali che si vedono qui ogni giorno vedo “telenovele” di questi politici di merda. Questa è violenza mentale. Non so
perché gli italiani pagano il canone per vedere questa spazzatura.
In Bosnia un mese fa i cittadini hanno dato fuoco ai palazzi dei politici in cinque-sei città; i politici si sono
nascosti come topi di fogna. Speriamo che anche in Italia succeda questa stessa cosa.
Qui è sempre tutto uguale, si vive giorno per giorno e ogni giorno è sempre più schifo. Lo stato paga 400 euro al giorno
per ogni detenuto e io qui non vedo neanche 5 euro al giorno. Però i direttori e altre cariche hanno 3-4 mila euro al
mese e non fanno niente, ma che bella vita: scaldano i loro grossi culoni e sono anche pagati per questo; viva la
democrazia italiana, ah ah.
Ho scritto una lettera al ministero di giustizia. Per l’ennesima volta ho chiesto che mi diano l’estradizione. Questa
volta ho scritto che se mi danno l’estradizione, do la mia parola, che non metto più piede nel territorio italiano,
anzi, non lo sorvolo neanche. Non ho niente contro il popolo italiano, ma contro quei parassiti dei politici, dei
giudici corrotti e altri vermi che sono al potere. Pazienza.
Unica cosa buona che ho qui dentro è lo sport. Mi costringo ogni giorno allenamenti duri e questo mi aiuta a non
impazzire, Per fortuna mia non prendo nessun tipo di terapia e così non divento una loro mummia. Per adesso finisco
questa lettera e spero di trovare tutti voi in buona salute.
Un caro saluto a te, a tutte le compagne e tutti i compagni. Jasmir
Bergamo 3 marzo 2014
Sabanovic Jasmir via Gleno 60 - 24125 Bergamo
Lettera da carcere di Nuoro
[...] Qua la situazione è sempre la stessa, non si riesce a realizzare niente di buono, anche perché viene difficile
realizzare qualcosa di positivo. È un carcere molto chiuso, ma la cosa più devastante è che siamo tremila km distanti
dai nostri famigliari, per cui per fare qualche colloquio è un casino.
Io pensavo dopo 22 anni di prigione che la mia pena fosse in discesa, invece no! È all’incontrario, poi quando penso che
sono ergastolano ostativo, non penso più alla libertà. Non lo so forse è una cosa psicologica o forse dico qualche
cazzata, perché penso solo se posso morire più prima possibile, solo la morte ti può dare sollievo e liberarti da queste
mura. Sbarre e catene.
Quando vedo quei politici in TV che litigano, per motivi banali, e in carcere persone che si suicidano e fuori persone
che si tolgono la vita, perché non riescono a trovare un lavoro perché hanno qualche attività lavorativa, ma non
riescono a mantenerla a causa della crisi, per cui è destinata a chiudere.
Però vi dico una cosa: che sono bravi i nostri politici quando fanno decreti per costruire nuovi carceri, è bellissimo,
così città piene di carceri.
Un grosso saluto al mio amico C. Musumeci che si batte da sempre contro l’ergastolo ostativo, 10 – 100 – 1000 Musumeci,
lo stesso per Marcello dell’Arna.
Un saluto caro. Salvatore .
Nuoro 2 febbraio 2014
Salvatore Pulvirenti via Badu e Carros, 1 – 08100 Nuoro
Lettera dal carcere di Siano (CZ)
La censura della pena capitale
Ogni pena deve servire per trasformare il recluso in cittadino, come stabilisce la Costituzione, in caso contrario la si
uniforma ai tempi bui dei secoli scorsi dove era usata come vendetta sociale.
Nel nostro Paese viene usata la politica del terrore, si inaspriscono le pene per dare in pasto alla gente i
mostrificati, per distogliere la loro attenzione dai veri colpevoli delle loro problematiche.
La repressione è usata per alzare una cortina fumogena affinché il direttorio che ha il potere nel Paese possa
continuare a beneficiare dei loro privilegi, conservare i loro interessi e usare la cassa pubblica come fosse di loro
proprietà.
Per tenere in piedi questo sistema ricorrono come principi rinascimentali alla violenza, in questo modo compattano il
Paese e danno un nemico all’opinione pubblica.
In questi ultimi tempi l’allarmismo ingiustificato essendo che nella storia degli ultimi cinque secoli nel Paese non
sono mai calati così drasticamente tutti i reati senza esclusione. Addirittura negli ultimi dieci anni ha ucciso più lo
Stato che la criminalità, nelle statistiche europee siamo l’ultimo paese per numero di omicidi e ritenuto dall’Unione
Europea il Paese più sicuro, con tutto ciò i soliti politici prezzolati si inventano complotti e i media amplificano per
agitare lo spettro dell’insicurezza e della paura.
Un popolo che ha paura e vive nell’insicurezza può essere plasmato e condizionata come un gregge di pecore
indirizzandolo dove vuole il pastore.
Chi commette un reato è giusto che paghi la sanzione, ma usare la salvaguardia sociale di contrasto ai fenomeni
delinquenziali, come disegno politica per governare con la forza delle leggi e l’apparato poliziesco per imporre il
potere di una casta “aristocratica”, non è democrazia è un’altra cosa. Hanno prodotto una legislazione criminale che
calpesta i diritti umani, straccia la Costituzione e regredisce la civiltà a quella del Medioevo.
L’ergastolo ostativo, l’articolo 4 bis, il 41 bis, il 416 bis, cito solo quelli più importanti, sono degli obbrobri
paragonabili solo alla legge Pica; la madre di tutte le leggi repressive arrivate fino a nostri giorni anche se con
terminologie diverse. Inquinate dalle teorie criminali e razziste di Cesare Lombroso che affermava come i meridionali
erano geneticamente difettati, la conformazione fisica ed etnica portavano a una naturale propensione a delinquere,
dunque criminali per nascita, eredi di un’atavica popolazione difettosa, che niente e nessuno poteva sottrarre al loro
destino. Non delinquenti per un atto cosciente e libero della volontà, ma per innate tendenze malvagie.
Gli ergastoli ostativi sono al 99% tutti meridionali; l’art. 4 bis lo stesso; i 41 bis degli ultimi vent’anni sono stati
e lo sono al 100% tutti meridionali; il 416 bis (associazione mafiosa) un reato non reato dove è impossibile difendersi,
usato per arrestare senza aver commesso reati, al 99% è applicato a tutti meridionali.
Questi obbrobri “legali” sono stati legiferati per il Meridione e contro i meridionali, derivanti da queste teorie
naziste e radicate nel nostro sistema penale e penitenziario.
La Consulta che dovrebbe controllare la costituzionalità delle leggi, viceversa si rende complice compiacendo le
segreterie dei partiti che li hanno eletti. Per questi signori l’ergastolo in Italia non esiste, è solo virtuale sic. Va
a finire che c’è lo siamo sognati e stiamo vivendo in un sogno. Vi prego svegliatemi perché sto dormendo da 30 anni,
siccome Travaglio ha scritto che un ergastolano sconta solo 7 anni e mezzo, pertanto ho scontato già quattro ergastoli,
quando mi scarcerate?
Come avevano separato i detenuti in due classi: recuperabili e irrecuperabili, così hanno fatto con l’ergastolo; una
pena di morte diluita nel tempo che censurano per non offuscare la battaglia in prima linea nel mondo per l’abolizione
della pena di morte; “italiani brava gente”.
L’efferatezza di questa pena è doppiamente crudele, non ti tolgono la vita ma te la rendono insopportabile, tenendoti in
un limbo di un eterno presente. Costringendoti a vivere con la più spietata delle torture: la speranza, in più a tanti
li hanno seppelliti vivi nei regime di tortura dei 41 bis.
L’ergastolo è la più arcaica e residuale delle sanzioni medioevali, ti “marchiano” con un timbro sulla fronte - non
adatto al mondo esterno -, una schiavitù perpetua simile all’ergastulum romano, da quel momento la vita non ti
appartiene più, perché uno schiavo è oggi, domani, sempre.
Ti prendono anche in giro, ti vogliono recuperare ma per tenerti chiuso tutta la vita in una cella; un loculo che i
signori del DAP vogliono imporci di condividere con un altro schiavo. I maiali per legge devono avere 9 metri quadrati
di spazio, mentre a noi neanche i 7 metri di spazio stabilito dal CPT vogliono concederci. Siamo meno degli animali.
L’ergastolo ostativo è una tortura istituzionalizzata, hanno mostrificato chi lo subisce per legittimare agli occhi
della gente la sua disumanità.
Come disse Aldo Moro “ l’ergastolo è più crudele della pena di morte”; l’avevano già capito i rivoluzionari francesi nel
1791, oltre due secoli fa, avevano abolito l’ergastolo perché ritenuto più disumana della pena capitale, d’altronde la
pena di morte ha bisogno di un coraggio momentaneo. L’ergastolo di un coraggio mostruoso perché dura tutta la vita. Sono
un morto vivente, in attesa che il tempo, boia della sentenza, porti a termine il suo compito, con la fine biologica.
Tutto è censurato perché non si deve sapere che in Italia sono state istituzionalizzate la pena di morte con l’ergastolo
ostativo e la tortura con il regime del 41 bis.
Catanzaro, dicembre 2013
Pasquale De Feo, Via Tre fontane 28 - 88100 Siano (CZ)
Lettere dal carcere di Rebibbia (roma)
Ciao a tutti, sono Raffaele e tra pochi giorni andrò in appello con una condanna di sei anni per rapina aggravata. Ma
questo stato di merda per 1 rapina può condannarmi a sei anni? Lo schifo lo è il tribunale di Velletri (Roma), ci fosse
stato un conflitto a fuoco! Ma meglio… è un anno che sono chiuso, esattamente dal 7.01.013 e pure a marzo ho altri 8
processi per altre cose… io non mi butto giù, anche perché la mia forza sono i miei due figli e la mia famiglia.
Stò lottando per la comunità, anche perché se aspetto in un indulto o amnistia, mi crescerebbe la barba sotto i piedi.
Certo a 32 anni bruciarsi gli anni migliori della vita e pensare che ogni giorno che passi in quattro mura, sudice e
fatiscenti sono giornate spezzate così nel nulla.
Allora cari amici miei di tutti i carceri e anche conoscenti, vi lascio con un grande abbraccio. È anche vero che il
crimine non paga sempre, ma a volte paga bene, il mio urlo và a “chi non prova galera non apprezza la libertà…”
Rebibbia, 6 febbraio 2014
Raffaele Morra, v. Majetti 70 – 00156 Roma
***
Cari compagnx di Ampi Orizzonti, vi ringrazio per avermi fatto pervenire anche qui nel carcere di Rebibbia di Roma, nel
quale da circa un mese sono stato trasferito su mia richiesta, il nuovo numero dell’opuscolo.
Dunque ora trovandomi nella mia città in qualche modo posso dire di sentirmi più vicino alla mia famiglia e ai miei
compagnx, se non altro in linea d’aria.
Qui rispetto al precedente carcere di Perugia le celle rimangono aperte dalle 8 alle 21 e vi è maggiore accessibilità
all’aria, questa è composta di alcuni spazi per praticare attività fisica ma soprattutto da un piccolo giardino con
alberi, siepi e panchine e, vi assicuro che un giardino fa la differenza, come il stare all’aperto seduti su di una
panchina a fumare una sigaretta o a leggere un bel libro. Comunque non sarà assolutamente questa apparente miglioria a
distrarre la mia consapevolezza dal luogo, anzi, dal non-luogo nel quale vengo tenuto prigioniero. Come sempre, forte
della vostra vicinanza vi mando un profondo abbraccio fraterno. Alberto.
Rebibbia 1 febbraio 2014
Alberto Funaro C.R. Rebibbia, via Bartolo Longo, 72 - 00156
Considerazioni di un prigioniero
Il vostro (di Olga) fine è il mio: migliorare le condizioni infami alle quali uomini e donne da più di 100 anni sono
sottoposte/i. E in 100 anni le cose sono cambiate ben poco nelle carceri e nei manicomi italiani (O.P.G.). Spesso certi
psicologi e psichiatri sono loro i primi ad essere persone disturbate mentalmente. Spesso dietro rispettabili psichiatri
e psichiatre si nascondono animi neri, dediti all’occultismo e all’esoterismo, e in certi casi al satanismo. Se penso a
quanto il diavolo abbia avuto potere nei tanti ex-manicomi per tutti gli internati furono uccisi, seviziati, usati come
cavie, violentati sessualmente, picchiati ecc. e non è che dopo la legge Basaglia le cose siano poi cambiate molto…
Penso che sia un’utopia cercare l’abbattimento del sistema carcerario in sé. Purtroppo il sistema carcerario infame e
criminale c’era, c’è e ci sarà. Quindi credo che le nostre forze debbano anche concentrarsi sulla questione del
migliorare queste condizioni nefaste.
Ad esempio, poter far entrare la moglie in carcere per fare l’amore con il proprio marito in uno stanzino chiuso, ogni
tanto, come in altri paesi fanno. Oppure, poter far portare la play-station o l’x-box e i dvd come in altri paesi fanno.
Inoltre abolire l’ergastolo, battaglia vostra (e mia) importantissima, per arrivare ad una giusta civiltà (o per lo meno
ad una civiltà degna di questo nome). E poi l’abolizione del 41bis quale strumento di tortura legalizzata di stato. E
aggiungo: tortura quotidiana protratta negli anni. E altre giuste cause… Detto e pensato questo è normale, per me e per
voi e per tanti altri come noi, che auspichiamo il rovesciamento totale delle istituzioni criminali/democratiche
italiane ed extra-italiane.
Marzo 2014
APPELLO DEL COORDINAMENTO DEI DETENUTI – PRIMAVERA CARCERARIA
Dal giorno 5 al giorno 20 aprile del 2014 come “Coordinamento dei detenuti” abbiamo indetto una nuova mobilitazione
all’interno di tutte le carceri italiane.
L’obbiettivo che ci siamo posti è quello di dare coscienza a tutti i reclusi che solo attraverso la lotta possiamo
ottenere quelle migliori condizioni di vita che noi tutti chiediamo e che ogni rivendicazione deve necessariamente
essere accompagnata da una azione collettiva di noi tutti.
L’inevitabile isolamento di queste mura rende difficile un’organizzazione estesa e ampia, ma noi non ci tiriamo indietro
e con coraggio ci apprestiamo a far sentire la nostra voce sia all’interno che all’esterno di queste strutture.
Siamo consapevoli di non poter riuscire da soli nell’intento di mobilitare tutte le carceri, ma sappiamo allo stesso
tempo che fuori possiamo contare sul sostegno di migliaia di solidal* che condividono l’idea che il carcere non sia la
soluzione ma il problema di una società piena di contraddizioni.
Con questa nota chiediamo a tutti voi di dare la giusta visibilità alla nostra iniziativa del prossimo aprile
diffondendo il più possibile il comunicato, che trovate allegato, sulla rete e sui mezzi di informazione invitando i vs
contatti a fare lo stesso; ci appelliamo inoltre a tutte le organizzazioni anticarcerarie, ai movimenti politici e non,
agli antagonisti, ai famigliari dei detenuti e agli ex-carcerati affinché vengano organizzate all’esterno dei
penitenziari italiani presidi informativi e di solidarietà nei giorni precedenti e durante la mobilitazione di aprile.
Nessuna galera potrà contenere la nostra voglia di libertà!
marzo 2014, Coordinamento dei detenuti
Lettera dal carcere di Viterbo
Carissim* ribell*, vi scrissi la mia ultima da questa fogna di Viterbo dopo esser stato trasferito per la settima volta
e da allora sono partito e ritornato, in soli 20 giorni, altre due volte. Siamo a nove traduzioni in soli 11 mesi, ora
punto al Guiness dei primati… se prima mi ero rotto il cazzo adesso non ci faccio più caso, anzi la cosa mi tempera
animo e mente.
Qui a Viterbo sono capitato nella sezione dove il primo dell’anno sono accaduti diversi casini e il clima che si respira
è veramente pesante. Per chi è restato qui al braccio quarto B come “svago” c’è rimasta solo l’ora d’aria e il resto
della giornata siamo chiusi in cella.
Avevo fatto uscire una lettera/denuncia per dire quanto è successo, ma pare che la stessa non sia arrivata a
destinazione, chissà il perché…? Nella lettera raccontavo l’atteggiamento delle guardie durante la rissa e ponevo
l’indice sui trasferimenti punitivi che ne sono seguiti. Praticamente gli agenti sono intervenuti dopo 40 minuti e così
facendo si sono massacrati; sei sono stati gli accoltellati (il coltello usato è un serramanico), tre sono ricoverati in
coma e tredici i feriti. È stata una mattanza e tutti dicono che si poteva evitare, ma così non è stato. E oltre al
danno è arrivata la beffa con i 37 presenti in saletta denunciati e trasferiti.
Questo episodio conferma che ormai le carceri sono sempre di più delle polveriere e trattandoci come bestie accade poi
che lo diventiamo veramente. È ora di riprenderci la nostra dignità!
La mobilitazione indetta dal “Coordinamento dei detenuti” dal 5 al 20 aprile, alla vigilia del termine ultimo
dell’Unione Europea all’Italia per risolvere il problema carceri, può essere il mezzo per riconquistarla e noi non
possiamo tirarci indietro, perché, come scrive il “Coordinamento”, noi dall’interno dobbiamo essere i primi a lottare.
Iniziamo quindi accennando alla mobilitazione in sezione, redigiamo un comunicato di sostegno, magari includendo anche
problematiche del carcere stesso o della sorveglianza e facciamolo firmare a tutti tramite lo scrivano, per poi inviarlo
ai mass media; organizziamoci con gli altri per fare una battitura tutti insieme (basta bussare a chi è sotto o sopra
la vostra cella), vediamo se ci sono le forze per fare uno sciopero del vitto, acquistando nelle settimane precedenti un
po’ di più di pasta, olio, pomì, gas, ecc. ecc.; sondiamo il campo chiedendo se si vuole fare lo sciopero della fame e
il resto verrà da sé.
Sarà difficile ottenere grossi risultati, ma se protestiamo dentro e fuori vedrete che la nostra voce non resterà
inascoltata e, cazzo, potremo dire di aver fatto quello che andava fatto mettendo un ulteriore tassello nello scacchiere
della lotta anticarceraria.
Augurando a tutti voi fratelli e sorelle carcerati una buona lotta, saluto con il pugno alzato Chiara, Nicco, Mattia e
Claudio. No Tav siempre! Terrorista è lo stato, tenete duro!
Un abbraccio fraterno inoltre a Davide, Maurizio e Charker
Viterbo, 5 febbraio 2014
Davide Rosci
La lettera è stata spedita pochi giorni prima che venisse trasferito ai domiciliari.
Detenuti devastano la sezione di isolamento di Piacenza
Apprendiamo dai media locali che i detenuti della sezione di isolamento del carcere delle Novate, hanno devastato e
allagato il reparto dove sono imprigionati. Secondo la testimonianza di un sindacalista dei secondini “tutti i detenuti
del reparto isolamento hanno sistematicamente divelto tutto quello che potevano rompere, lavabi, bagni, lavandini,
bidet, hanno addirittura rotto tubi dell’acqua; il reparto stamattina si presentava allagato e con tutti i pezzi sparsi
per il corridoio, sembrava che fosse caduta una bomba sul quel reparto”. Nonostante non vi siano testimonianze dirette,
è ipotizzabile si sia trattato di una strategia per ottenere collettivamente il trasferimento nelle sezioni comuni o in
altre strutture; sicuramente un modo per rendere inagibile un pezzo dell’apparato detentivo. Da segnalare che nei giorni
scorsi, oltre ad una rissa tra fazioni di detenuti di nazionalità diversa, un prigioniero era stato trasferito in
isolamento dopo una colluttazione con tre guardie, da loro riportata come “aggressione immotivata”.
21 marzo 2014, da informa-azione.info
Comunicato dal carcere di Ivrea
Riceviamo e diffondiamo un comunicato redatto da alcuni detenuti del carcere di Ivrea in merito al “primo suicidio del
2014 nelle carceri italiane” e alle condizioni detentive a cui sono costretti.
Si voleva comunicare e fare sapere la realtà che si vive nel carcere di Ivrea. Il giorno 3 gennaio 2014, al primo piano
– lato sinistro, un nostro compagno si è impiccato nella cella. Solo noi detenuti e compagni siamo intervenuti a tirarlo
giù e spezzare la corda che lo ha ucciso, abbiamo cercato di farlo riprendere facendogli il massaggio cardiaco e
gettargli acqua in faccia. Un ragazzo marocchino gli ha fatto pure la respirazione bocca a bocca e le guardie guardavano
dalla rotonda senza fare nulla, abbiamo persino preso la barella per portarlo in infermeria. Mentre ci aiutavamo per
salvare il nostro compagno e lo portavamo in infermeria, le guardie hanno spinto il ragazzo marocchino che stava
aiutando e lui ha dovuto reagire per non essere picchiato. Dopo aver portato il nostro compagno in infermeria ci hanno
chiuso nelle celle senza farci sapere niente del nostro compagno: per sapere qualcosa, noi detenuti abbiamo dovuto fare
casino e bruciare tutto quello che ci capitava nelle mani. E il giornale dice grazie alle guardie... tutte cazzate. Al
nostro compagno non hanno fatto entrare neanche la moglie al colloquio per dieci minuti di ritardo. A un altro detenuto
avevano tolto i colloqui solo perché passato “appellante”, voleva darsi fuoco e parlare con la direttrice, ma niente da
fare. Qui le guardie lo istigavano a fare il gesto di bruciarsi, dicendogli ridendo “che cazzo me ne frega di te,
bruciati pure”; queste le risposte date dalle guardie al detenuto. Se stai male e accendi la luce rossa messa fuori
dalla cella, arrivano dopo un’ora ma solo perché si inizia a fare casino, se no non vengono. La direttrice non si vede
mai. Il mangiare: un mestolo a testa... A Natale i volontari volevano dare il panettone, ma la direttrice ha risposto di
no perché c’era troppo lavoro da fare, aprire il panettone, tagliare a fette il panettone e si sporcava troppo.
Le lenzuola vengono cambiate dopo un mese se va bene. Il nostro menu di Natale: un mestolo di pasta e fagioli e due
pezzetti di spezzatino con insalata la sera.
La domenica sera il carrello non passa: chi non ha niente non può cucinarsi nulla.
La carta igienica: due rotoli a detenuto ogni 25 giorni.
Andando avanti così i morti non sono finiti se qualcuno non si decide a fare qualcosa.
Chi può cucinare cucina nel bagno, dove si dovrebbero fare solo i bisogni, non cucinare.
Siamo in due in una cella di 2x3 metri. Questo carcere è una mina che può esplodere da un momento all’altro. La guardia
grida dalla rotonda al suo collega “apri le bestie che vanno a fare un’ora d’aria”.
Bella comunicazione ha fatto il Tg3 quando è morto il nostro compagno, morto detenuto di Ivrea a 42 anni, ma quello che
è morto non era una bestia, era un uomo e aveva pure un nome; l’hanno detto talmente veloce che chi lo ha sentito è
stato fortunato. CronacaQui dice che hanno fatto tutto le guardie... visto in che mondo viviamo?
L’opinione pubblica non sa queste cose, ecco perché qui si muore per qualche guardia; non siamo ascoltati da nessuno,
tieni oggi, tieni domani, poi alla fine si muore.
Un grido di aiuto e un affettuoso saluto dai detenuti del carcere di Ivrea.
Ivrea, 5 gennaio 2014
Seguono le firme dei detenuti
Prigionieri palestinesi: sciopero della fame per Aprile
Più di un migliaio di prigionieri palestinesi hanno avvertito le autorità del carcere israeliano della loro intenzione
di intraprendere lo sciopero della fame ad Aprile. Lo sciopero arriva come segno di protesta contro il deterioramento
delle condizioni igieniche e sanitarie delle carceri e contro il crescente numero di provocazioni da parte delle
autorità. In risposta alle minacce continue di sciopero della fame dei prigionieri palestinesi, la Knesset israeliana è
stata costretta a rivedere la legge riguardo l’alimentazione forzata dei detenuti in sciopero.
In una lettera inviata al Ahrar Center for Prisoners Studies, i palestinesi detenuti nel carcere di Megiddo hanno
sottolineato il deterioramento delle loro condizioni. Secondo la lettera, i 120 palestinesi attualmente detenuti presso
il carcere di Megiddo vivono in condizioni precarie e sono privati dei loro bisogni umani fondamentali. Come scritto
nella lettera, la scarsa igiene minaccia la salute dei detenuti; i servizi igienici non hanno acqua corrente e lavandini
e docce mancano di acqua calda e igiene di base.
I detenuti hanno minacciato di intensificare la loro protesta in risposta alla politica repressiva e arbitraria
dell’amministrazione carceraria.
Il direttore del Centro Ahrar, Fouad al-Khuffash, ha riferito della terribile situazione nel carcere di Megiddo e ha
sottolineato che l’amministrazione del carcere israeliano ha intensificato le sue provocazioni e le quotidiane
violazioni contro i detenuti.
Le denunce dei palestinesi riguardo le condizioni nelle carceri israeliane sono in aumento e riguardano prevalentemente
la scarsa igiene, i pochi servizi medici e i quotidiani attacchi ai prigionieri da parte delle autorità.
Domenica i prigionieri nel carcere di Eshel, nei pressi di Be’er Sheva, hanno informato l’amministrazione carceraria che
il prossimo mese inizieranno lo sciopero della fame.
Un avvocato della Palestinian Prisoner Society ha riferito che lo sciopero è un segno di protesta contro le umilianti
operazioni di ricerca dell’amministrazione carceraria e i continui insulti ai loro parenti in visita, che spesso si
prolungano fino alle tarde ore della sera.
I prigionieri hanno detto di protestare anche per il maltrattamento all’interno dei loro reparti e per la negligenza
medica.
Si calcola che quasi 1000 prigionieri saranno in sciopero della fame nel mese di Aprile. Circa 4600 detenuti palestinesi
(tra cui 12 donne e 187 bambini) sono attualmente detenuti nelle carceri israeliane, secondo il Prisoners Affairs
Ministry. Attualmente 79 detenuti sono in sciopero della fame individuale contro il deterioramento delle condizioni
carcerarie. Questo è il più alto numero di scioperi dal Settembre 2013.
Nel mese di febbraio il Ministro palestinese dei prigionieri e detenuti, Issa Qaraqeh, ha dichiarato che le autorità
israeliane sono responsabili della vita dei prigionieri.
Poichè le condizioni di salute dei detenuti stanno peggiorando, le autorità israeliane stanno facendo pressione affinchè
lo sciopero venga interrotto. All’inizio di marzo il Ministero della Difesa Israeliano ha pubblicato una relazione sulla
legge che riguarda il ‘’trattamento dello sciopero della fame’’. Il memorandum rappresenta una revisione ad un
protocollo esistente, e consente l’alimentazione forzata dei detenuti in sciopero della fame.
Il memorandum arriva in risposta agli scioperi della fame prolungati tra i prigionieri palestinesi nel 2012. Questi
scioperi della fame hanno raccolto una grande attenzione da parte del pubblico e dei media, generando disapprovazione
verso i leaders politici israeliani e i funzionari nelle prigioni. Il memorandum è stato rilasciato per la critica
pubblica ed è stato formulato congiuntamente dal Ministero della Giustizia, il Ministero della Salute e il Servizio
Penitenziario Israeliano. È stato anche approvato dal procuratore generale Yehuda Weinstein lo scorso settembre.
12 marzo 2014, da infoaut.org
Grecia: prigionieri contro la differenziazione dei circuiti
24 marzo 2014 - Inizia oggi la mobilitazione nazionale nelle prigioni greche contro la nuova riforma riguardo alla
creazione di strutture carcerarie di tipo C.
Il primo passo della mobilitazione è stata la protesta di oggi pomeriggio, quando i prigionieri si sono rifiutati di
rientrare nelle celle. Le prime prigioni che hanno aderito alla protesta oggi sono state quelle di Koridallos, Corfù e
Domokos.
In questi giorni la riforma del ministero della giustizia riguardo alle prigioni di massima sicurezza e al ritiro dei
permessi è arrivata alla consultazione pubblica. le prime misure della riforma sono già state pubblicate.
1) Classificazione dei detenuti in 3 tipi (A, B e C). Il tipo C includerà tutti i detenuti accusati di rapine o
estorsioni all'interno di organizzazioni criminali, prigionieri politici e tutti quelli considerati pericolosi e con
condanne da 10 anni fino all'ergastolo, oltre a chi si ribella dentro il carcere.
2) I detenuti di tipo C non avranno più permessi esterni e i loro colloqui e telefonate subiranno limitazioni.
3) Le celle di tipo C saranno create (non solo a Domokos ma anche in altre carceri) al fine di isolare i detenuti.
4) La polizia adesso acquista un posto permanente nel carcere (perquisizioni delle celle, trasporto dei detenuti dentro
il carcere ecc) con compiti segreti e autorità neanche menzionate nella gazzetta governativa.
25 marzo 2014, da informa-azione.info
Lettere dal carcere Pagliarelli (PA)
Saludus a totus! Oggi ho iniziato lo sciopero della fame, sebbene non mi trovi in ottima forma fisica, e anche i medici
mi hanno sconsigliato di farlo… quindi andrò avanti fino a quando riuscirò.
Considero questa iniziativa come una tappa di un percorso per il conseguimento del mio scopo che è quello di cancellare
dall’Ordinamento Penitenziario l’art. 14bis, vero e proprio strumento politico di annientamento del potere carcerario.
Ed è anche una mia iniziale risposta alla proroga con la quale il DAP, accettando il parere favorevole della direzione,
mi prolunga di altri mesi il 14bis, utilizzando la solita logica vendicativa e programmatica con cui si assicurano la
continuità i macellai del sistema, con l’eliminazione forzata, maniacale e psicopatica, di qualsiasi condizione umana.
Intanto vedremo se si aprirà qualche breccia in merito alla lotta contro questo regime. Vi farò sapere. Un caloroso
abbraccio di lotta, Davide.
Pagliarelli-Presoni, 7 febbraio 2014
***
Ciao, saludi! Ho ricevuto la lettera del 27 febbraio coi saluti finali sempre importanti del collettivo. Grazie per i
preziosi consigli sugli scioperi della fame, la prossima volta ne terrò conto. Stavo avendo problemi renali e glicemici
e quindi al 14° giorno ho dovuto sospendere.
Oggi ho iniziato lo sciopero del carrello (vitto) a tempo indeterminato (che, stando in 14bis è come se fosse un semi-
sciopero della fame.) per proseguire il discorso sulla cancellazione dell’art. 14bis, ma soprattutto come anticipo alla
mobilitazione di aprile, in cui ciascuno dovrà prepararsi e attivarsi, mi auguro, nella maniera più incisiva possibile.
Ma è anche un modo di reagire al sopruso perpetrato ieri, dove, durante una perquisizione mi hanno sottratto tutti i
periodici (opuscoli, riviste ecc.) che potevo avere in cella (dato che è consentito dall’Ord. Pen.), almeno fino a ieri.
Ora, all’improvviso, i periodici rientrano nelle restrizioni adottate per i libri (una lettura alla volta “previo
cambio”), con la discrezionalità dei tempi che occorrono per la consegna.
Intanto il 21 marzo avrò la camera di consiglio sul ricorso presentato contro la proroga e vedremo di esporre bene tutta
la questione. Vi abbraccio “pro sa Libertadi!” Davide.
Palermo 6 marzo 2014
Davide Delogu, v. Bachelet, 32 - 90129 Palermo
***
Carissimi amici di Ampi Orizzonti, il mio nome è Calogero, sono un detenuto del carcere “Pagliarelli” di Palermo,
proveniente dalla C .C. di Caltanisetta.
Dopo una ventina di giorni, sono venuto a conoscenza della vostra esistenza, del vostro impegno nella lotta alle
carcerazioni disumane, all’abbattimento delle barriere, alla barbarie dei penitenziari e delle guardie aguzzine, alla
quale vengono sottoposti tutti i detenuti d’Italia. Grazie al vostro opuscolo mensile, si riesce a capire, a toccare con
mano, tramite le varie testimonianze pubblicate, quanto siano più o meni simili le condizioni di vita all’interno delle
carceri, da nord a sud e nelle isole e per mezzo del quale si può anche capire quanto lo stesso opuscolo, sia di grande
preoccupazione per le direzioni carcerarie, tant’è che un mio compagno è stato denunciato per calunnia, per avere
pubblicato nel vostro opuscolo una lettera, dove denunciava gli abusi perpetrati ai danni dei detenuti del Pagliarelli,
motivo per il quale ad alcuni hanno censurato la posta in arrivo e credo anche in partenza.
Comunque, non per questo ci si arresta nella lotta, perciò avanti tutta. Pertanto sarei ben lieto di poter ricevere il
vostro opuscolo mensile ed il catalogo libri e riviste, per potermi unire concretamente alla lotta comune contro
l’isolamento e l’oppressione dello stato assassino. Un caro saluto dalla calda Sicilia, a tutti gli amici di Ampi
Orizzonti, con stima Calogero.
Palermo, 7 marzo 2014
Calogero Lo Monaco, via Bachelet, 32 - 90129 Palermo
Lettera dal carcere di Monza
[…] per quanto riguarda la sezione dove mi trovo non saremo in molti a partecipare allo sciopero. Oggi vi posso dire che
io parteciperò anche se ci saranno ritorsioni. Sinceramente non me ne frega nulla.
Qui a Monza per queste cose, dagli scioperi alle battiture prendono e ti puniscono come dicono loro. Nell’ultima
battitura che abbiamo fatto durante le ore dei colloqui con i familiari hanno preso due/tre persone per sezione e le
hanno mandate chi in osservazione e altre in isolamento. Questo è il loro modo di reprimere ogni forma di protesta
all’interno del carcere. Per queste merde noi non abbiamo nessun diritto e sembra che ci provano gusto a calpestar i
nostri diritti: da quello della salute al lavoro con paghe misere e ridicole. Qualsiasi richiesta che si fa, di
qualsiasi genere, viene negata. Ora con le sezioni aperte la gente ha paura a far qualsiasi cosa, perché non appena fai
qualcosa vieni mandato nelle sezioni chiuse, ti fanno rapporto – che vuol dire perdere i giorni di liberazione
anticipata. Si può dire che hanno il coltello dalla parte del manico; ora sta a noi far cambiare le cose qui dentro come
in tanti altri carceri, incominciando da questa mobilitazione.
Vi lascio e vi ringrazio. Un grosso abbraccio ai 4 compagni No Tav arrestati per terrorismo non mollate, tenete duro,
siamo con voi e con le vostre lotte. Fuoco alle carceri.
Un saluto a tutti coloro che lottano affinché questi posti di tortura possano crollare uno dopo l’altro.
Monza, 22 febbraio 2014
Lettera dal carcere Dozza di Bologna
Ho letto dello schifo del carcere di Pescara… È vergognoso, e quegli infami del cazzo invece di pensare a costruire
nuove carceri, “dovrebbero” come minimo proprio demolire quelle a dir poco oscene come la struttura in questione.
Si parla di mobilitazione per aprile e vi avviso subito che qui alla Dozza siamo davvero poco unite per vari motivi (che
non sono una novità, quindi non sto ad elencare).
Insomma saremo veramente poche, ma ci saremo! In ‘sti giorni ci ho pensato tanto. In 4 anni ne ho viste e fatte di
proteste… tra tutte quella che reca il maggior danno all’amministrazione è lo SCIOPERO DELLA SPESA. Ci rimettono davvero
un sacco di dollari; lavorando come spesina ho visto che su 70 detenute ogni settimana ci sono all’incirca 2.500 euro di
spesa, e, confrontando i prezzi tra una Coop e quelli del sopravitto c’è una differenza non da poco. In più loro hanno
un contratto con la ditta e spesso ci rifilano a prezzo pieno i prodotti che non riescono a vendere fuori, mentre loro
li pagano una miseria. Voi che ne pensate? Che idee di lotta avete in mente?
Di novità vi dico che qui qualcuna è uscita con il braccialetto e altre hanno preso i giorni con il nuovo decreto.
Ad una signora accusata di pedofilia sono stati rigettati con la motivazione che non ha mai confessato il fatto e che
non si è dimostrata pentita del suo reato (non avendo comunque mai preso rapporto).
Ora vi lascio in attesa di novità da parte di tutti riguardo al mese di aprile. Vi ringrazio ancora per la vostra
vicinanza a noi detenuti e con un saluto carico a ragazzi No Tav che stanno subendo un’ingiustizia oltre ogni limite! A
presto… Vanessa.
Bologna, inizi di marzo 2014
Vanessa Bevitori, via del Gomito, 2 – 40127 Bologna
Lettera con il braccialetto
[...] sono finalmente uscito dalle “Vallette” con il braccialetto elettronico, vabbé meglio che stare lì… Vi volevo
ringraziare per i vostri opuscoli mensili che mi hanno aiutato ad essere informato.Ringrazio anche per i due pacchi di
libri che ho da voi ricevuto. Mi hanno aiutato ad essere meno solo. Ti possono imprigionare il corpo, ma la mente mai!
Bisogna solo non farla atrofizzare… come molti.
Ancora grazie e congratulazioni… saluti. Giuseppe.
Torino, 19 febbraio 2014
Lettera dal carcere di Pescara
Cari compagne/i, …ultima novità? Sento una voce provenire dallo spioncino del blindato: “Quanti siete qui dentro?” (la
conta delle 14.00). Mi giro per rispondere e vedo l’omino blu con il foglio e la penna e con lui un “individuo” che
stava facendo la conta!!! Cioè vi rendete conto, un detenuto che fa la conta insieme all’ omino blu”… oh! Scusatemi,
l’ho chiamato “detenuto”, volevo scrivere “individuo” ahahah.
E vabbé, ci sono compagni più sfortunati che stanno in lager peggiori ed un mio pensiero è sempre rivolto a loro
tutti/e…
Ora vi saluto, vediamo questa sera chi verrà a chiuderci ahahah.
Una presta libertà a tutti i detenuti, Ivano
Pescara 25 febbraio 2014
Ivano Matticoli, v. S. Donato, 2 - 65129 Pescara
Lettera dal carcere di Ferrara
Carissimi amici di Ampi Orizzonti, tanti cordiali saluti.
Prima di tutto vorrei ringraziarvi per il libro che trovo veramente interessante e pieno di contenuti, soprattutto il
racconto drammatico che lascia perplessi…
Finalmente ho letto il foglio “Lettera del coordinamento detenuti, dicembre 2013”, cercherò di farlo girare…
Qui sfortunatamente non è cambiato nulla, anzi, va sempre in peggio. Sto cercando da alcuni giorni di incontrare il
direttore per chiedere di essere trasferito aiutato a trasferirmi in una Casa di Reclusione, vista la condanna che
supera 8 anni, ma del direttore non c’è traccia!! Non conosco manco la sua faccia! Lei viene in questo carcere il
martedì e il venerdì egli altri giorni della settimana li passa nel carcere di Rimini o Ravenna, non sono sicuro. A dire
il vero non so se si presenta qui o no!?!
Adesso in questa lettera posso solo dire che questo carcere è una merda e merda rimane. Nella prossima lettera vi
racconterò tante cose assurde, come al solito, che continuano ad accadere… Concludo con i più cari saluti a tutti
quanti.
Carcere di Ferrara, fine febbraio 2014
da una lettera dal carcere di Alba (CN)
[...] Questo carcere lo stanno convertendo da “Casa Circondariale” in “Casa di Reclusione”, insomma, da giudiziario a
penale. Si spera che la conversione porti con sé alcune installazioni, per esempio, quella degli interruttori delle
celle e modificazioni, come quella di togliere il vetro “antiproiettile” davanti ai televisori.
Le novità naturalmente riguarderanno anche partenze e arrivi, nel senso che nella palazzina, in origine femminile, poi,
fino ad oggi riservata a sbirri finiti in galera, in futuro vi dovrebbero portare i “collaboratori di giustizia”.
Marzo 2014
Intervista a Claudio Lavazza, detenuto in Spagna
Pubblichiamo un’intervista di Contra Info al compagno Claudio Lavazza, dal 1996 rinchiuso nelle carceri spagnole.
Domanda: Nella ricerca della piena libertà, hai scelto di attaccare il mondo del potere con tutti i mezzi possibili.
Quali furono i motivi principali che ti hanno spinto a intraprendere questo sentiero di ribellione armata?
Risposta: I motivi furono un insieme di circostanze che vanno dal tentativo di colpo di stato in Italia, utilizzando la
strategia della tensione (attacchi terroristici con esplosivi in luoghi pubblici) attuata da parte dei gruppi
dell’estrema destra e dei servizi segreti, agli attacchi dei partiti politici dell’arco costituzionale con la Democrazia
Cristiana particolarmente attiva nel segnalare come responsabili dei gravi attentati la sinistra rivoluzionaria e agli
anarchici, fino all’ingiustizia e alla repressione nei confronti della classe operaia portata avanti dall’autorità, la
stessa che applaudì il governo fascista di Benito Mussolini e l’entrata nella seconda guerra mondiale dell’Italia a
fianco dei nazisti tedeschi.
D: Nel tuo libro “Autobiografia di un irriducibile” (“Pestifera la mia vita” nella trad. it.), racconti come nel 1981,
partecipasti all’assalto del carcere di Frosinone (Lazio, Italia), con l’obiettivo di liberare un compagno. Oggi più di
30 anni dopo sono poche le occasioni in cui la solidarietà di fatto con i prigionieri della guerra sociale arriva fino a
questo punto. Come si può riproporre di nuovo la prospettiva della liberazione immediata dei nostri fratelli?
R: La liberazione immediata è un obiettivo fondamentale in questa guerra sociale… però mentre il sistema è progredito in
infrastrutture e mezzi di repressione, noi siamo rimasti alla preistoria, senza avanzare in preparazione militare e
tecnologica per far fronte ai super-carceri. Queste costruzioni isolate sono quasi impossibili d’attaccare come è stato
fatto nel 1981 in italia, liberando due prigionieri. Certo i tempi sono cambiati, quando si parla di attacco al sistema,
anche se non possono piacere termini come preparazione militare, è evidente che si parla di guerra e di scontro e per
ottenere dei successi è necessario essere all’altezza dei tempi che lo sviluppo tecnologico impone. Non dico che sia
impossibile attaccare strutture come i super-carceri, però per come siamo messi adesso è un sogno irrealizzabile, quello
di liberare i prigionieri lì rinchiusi.
D: Nella tua lunga traiettoria di lotta polimorfa, supponiamo che hai partecipato a varie organizzazioni di
controattacco allo stato delle cose. Quali sono le esperienze avute, circa il tema della vera autorganizzazione
combattente, senza dirigenti nè diretti?
R: Le mie esperienze al riguardo sono maturate poco a poco, in 16 anni di clandestinità. Nessuno fa il maestro e tutti
dobbiamo imparare da tutti, da chi ha più esperienza e preparazione; tra anarchici abbiamo dei principi anche semplici,
che ci permettono di avanzare rapidamente nell’autorganizzazione combattente: una volta formato un gruppo ci sono
compiti che ognuno deve rispettare… per esempio, se io sono un esperto in tattiche di attacchi, gli altri dovranno
ascoltarmi, senza che mi vedano come un dirigente, nè loro sentirsi diretti. Tutti avranno qualcosa da dire, però se
queste parole sono frutto dell’incapacità e della mancanza d’esperienza, dovranno ascoltare me, per il buon esito
dell’operazione. Ugualmente dovrò anch’io ascoltare quello più esperto, se dimostra più capacità di me. Ovvero sono
maestro secondo le circostanze in un dato momento, sarò alunno quando qualcuno più preparato di me prende la
responsabilità del gruppo. Così, secondo la mia esperienza si crea l’autorganizzazione.
D: È l’anarchia una via illegalista di per sè? E se è così come possono le individualità in rivolta confluire in fiumi
che anneghino le leggi e le norme che ci legano nella miseria?
R: L’anarchia è illegalista per natura, perchè cerca di esistere al margine della legalità imposta dal sistema. Noi
anarchici abbiamo nostre leggi e modi di essere, che vengono sempre condannate dalle leggi e dagli organi degli Stati.
Il fatto di non accettare le regole imposte del lavoro salariato, rubare ai ricchi è considerato illegale dal sistema,
per noi è giusto e obbligatorio, e pertanto legale dal nostro punto di vista. Inoltre qualsiasi atto che non appoggia il
mantenimento del potere capitalista, si può considerare come parte di questo fiume di ribellione che annegherà le leggi
e le norme.
D: Se la rivoluzione è un atto quotidiano, sorge la necessità dell’azione diretta tanto per la distruzione di tutto
quello che ci opprime, come per la creazione di un nuovo mondo. Come sposare queste due necessità senza cadere nella
militanza sterile e alienante o, nel riformismo disfattista?
R: La creazione di un nuovo mondo e la necessità del lavoro rivoluzionario quotidiano non può cadere nella
militarizzazione alienante o nel riformismo disfattista. Bisogna stare attenti su questo aspetto, per evitare di cadere
nella stanchezza e che questo provochi l’abbandono dei compagni. È qui dove si manifesta la nostra creatività, con
l’apporto di nuove idee e stimoli, la rivoluzione ed il cammino verso la rivoluzione non possono cadere
nell’alienazione… bisogna darsi un respiro ogni tanto, per non cadere nella routine. I tempi delle nostre azioni ci
appartengono, nè il potere, nè la tristezza sociale stanno aldisopra della nostra necessità di vivere come persone
libere.
D: Nel 1996 sei stato arrestato a Siete Puertas, dopo l’esproprio alla banca Santander di Cordoba. Quali furono le
reazioni dei circoli anarchici (con o senza virgolette) a quel tempo, tanto nello stato spagnolo quanto al di fuori di
esso?
R: Sono stato catturato a Bujalance; Sietepuertas è il nome della caffetteria dove mi ha preso la Guardia Civil, la
caffetteria non esiste più, al suo posto c’è una banca. Le reazioni dei circoli anarchici dello stato spagnolo furono di
dura critica per alcuni, e altri a favore dell’esproprio della banca Santander di Cordoba (una delle più ricche della
città). Da fuori abbiamo ricevuto un appoggio solidale commovente dall’Italia. Ricordo quand’ero in isolamento nel
carcere di Cordoba, ferito e pestato, mi arrivò un telegramma dall’Italia che mi ha fatto piangere per il calore e la
solidarietà che sprigionava. Poi sono arrivate altre lettere e cartoline dalla Spagna e da altri paesi, con la stessa
intensità e affetto.
D: Tu hai portato l’offensiva oltre le frontiere degli stati, burlandoti per molti anni dell’autorità dei vari paesi.
Come vedi la lotta antipatriottica ed internazionalista degli anarchici?
R: Le lotte antipatriottiche ed internazionaliste degli anarchici nel mondo le vedo presenti e costanti, ricevendo in
cambio durissime reazioni poliziesche e dei tribunali, segno della loro paura. Voi da fuori avete più dati che
certificano l’intensità di queste lotte. Quello che mi piacerebbe vedere, prima di scomparire, è qualche trionfo. Questo
sarebbe per me e per voi, un bellissimo regalo… Speriamo che arrivi presto.
D: Trovandoti rinchiuso nelle segrete della democrazia spagnola hai portato avanti dure lotte per rompere l’isolamento e
per l’abolizione del regime speciale FIES. Come valuti questi momenti oggi?
R: Si, ho portato avanti dure lotte per l’abolizione del FIES e dell’isolamento, l’abolizione delle lunghe pene
detentive e del cosiddetto ergastolo nascosto. Ora sono in lotta per l’abolizione delle torture e dei maltrattamenti in
carcere, iniziata nell’ottobre 2011, con azioni comuni come lo sciopero della fame simbolico ogni primo del mese e con
una rete d’appoggio di avvocati solidali per assistere giuridicamente i compagni in lotta, contro le rappresaglie del
sistema penitenziario. Non valuto quei momenti come qualcosa di passato… ma al presente, con meno intensità, forse, e di
partecipazione rispetto ad un tempo. Essere prigioniero vuol dire essere in lotta permanente, il carcere non è un luogo
dove ci si può rilassare e dimenticare la realtà circostante.
D: Il tuo è un caso di lunga pena detentiva, come di altri anarchici nel mondo. Dopo tutti questi anni hai notato
cambiamenti nell’ambito della società carceraria e della sua popolazione?
R: Si ci sono stati molti cambiamenti da quando sono entrato la prima volta in carcere nel 1980. La sua popolazione è
cambiata con l’entrata delle droghe legali come il metadone e gli psicofarmaci, somministrate quotidianamente
dall’amministrazione carceraria. Sono riusciti a isolare la buona parte dei reclusi, trasformandoli in degli
individualisti. Non esiste più quella solidarietà combattiva, dove quando toccavano uno, toccavano tutti. Non è più così
da molti anni ormai. Il controllo sui detenuti non è solo fisico, ma anche mentale, e impedisce al recluso di seguire la
propria personalità. Le droghe, assunte tutti i giorni, tolgono il meglio di sè stessi, lasciando solo la preoccupazione
di continuare a prenderle, il resto è secondario e di minore importanza… questa è la sua miserabile lotta e cercare di
convincerli del contrario è una perdita di energia e di tempo. Chi si droga è schiavo del sistema due volte, uno per
essere prigioniero, l’altro per essere dipendente. Per fortuna esiste una parte… piccola… di popolazione reclusa che non
entra in questo insieme, e con questa parte si può lottare insieme per arrivare a dei cambiamenti qui dentro.
D: Sempre sul tema della lunghezza della pena: Come ha influenzato la tua lunga permanenza in carcere la solidarietà nei
tuoi confronti, ma anche le tue amicizie e relazioni?
R: La solidarietà nei miei confronti mi riempe di orgoglio, soprattutto adesso che è uscita la mia autobiografia.
D: Qual’è lo stato dei procedimenti giudiziari nei tuoi confronti e quali sono le prospettive per il futuro?
R: Attualmente, dopo 17 anni in carcere, la mia condanna in Spagna è di 25 anni. Una volta finita mi aspetta una
condanna in Italia di 27 anni e sei mesi, un altra condanna in Francia di 30 anni (ed un altro procedimento, che con un
pò di fortuna, dovrebbe concludersi con altri 15 anni di galera). Il mio obiettivo è di ottenere un riconteggio della
pena in un totale di 30 anni. Non esiste nella legislazione attuale un solo articolo che dica che posso riottenere la
libertà dopo 30 anni di carcere. Dovrò lottare per arrivare al tribunale europeo dei diritti umani affinchè riconoscano
un limite alla pena, sennò il mio è un ergastolo.
D: Quale messaggio ti piacerebbe trasmettere a chi lotta giorno e notte, dentro e fuori le mura?
R: A chi lotta, mantenetevi forti e liberi perchè la maniera migliore di lottare contro il sistema e le carceri è di non
entrarci mai.
Un forte abbraccio a tutti. Claudio.
Claudio Lavazza, C.P. Teixeiro (módulo 11) - Carretera Paradela s/n - 15310 Teixeiro-Curtis (A Coruña) - Spagna
tratto da it.contrainfo.espiv.net
Lettera dal carcere di Lenzburg
Carissimx compas, grazie di cuore x l’opuscolo 88. Avete visto che schiaffo sonoro ai “padroni del vapore” e carogne
annesse? Con le stupende iniziative NoTav e ZAD del 22 febbraio? Che bello questo fallimento della loro perfida
propaganda, del loro basilare “Divide et impera”! Che bella dimostrazione potente che la lotta paga e che la solidarietà
è la nostra arma invincibile!
Saprete che è morto Rolf Clemens Wagner, nostro compa (“ex-RAF”) di Germania. Amore ed onore anche a lui! Ma nessuna
tristezza!, poiché noi generazione ormai “vecchia”, di combattenti piuttosto “agli sgoccioli”, possiamo andarcene quando
arriva il momento, in piena serenità e colmi di inflessibile orgoglio, poiché con tuttx noi vecchi, meno vecchi ed
anzitutto giovani e giovanissimx fratelli e sorelle guerrierx, la lotta continua, con inflessibile orgoglio… Continua
insieme, tra generazioni, tra noi così varx e da luoghi ed in lotte così differenti, ma in un’unica lotta! Insegnando,
“noi vecchi”, “a non voltare lo sguardo, a restare vicini a chi è nel giusto…”, ed imparando, “noi vecchi” da “voi
giovani” guerrierx, a non dimenticarlo mai.
Che bella ed importante questa lettera dei familiari di Chiara Y compas! O anche quella dei familiari della stupenda
compa del Cile, Tamara Sol Vergara, anche lei guerriera ostaggio dello stato.
Compas! Genitori e figlx, giovani e vecchi, tuttx guerrierx in lotta sulle barricate, nelle galere, in ogni dove,
nessuna tristezza! Ma solo orgoglio, per il giusto, per la libertà!
Con solidarietà, amore e profondo rispetto, con voi sempre. Marco
Lenzburg 26 febbraio 2014
Marco Camenisch, Postfach 75 - 5600 Lenzburg (CH)
Contro l’intimidazione alla compagna Andi!
La compagna Andi, militante del Soccorso Rosso Internazionale (SRI) e dell’organizzazione comunista svizzera
“Revolutionaerer Aufbau”, sta scontando dal 13 maggio 2013 una condanna a 17 mesi nel carcere di Winterthur, in quanto
accusata di aver compiuto alcuni anni fa un attacco con esplosivo contro il consolato spagnolo (azione rivendicata come
atto di solidarietà verso i prigionieri del PCE(r) e GRAPO in lotta contro l’isolamento).
In questi giorni contro la compagna viene messa in atto un’ulteriore manovra repressiva: il carcere di Winterthur, dove
lei è detenuta, chiude per 10 giorni e i detenuti lì rinchiusi vengono messi “in permesso”, ma ciò non vale per Andi,
che invece verrà trasferita nel carcere di Zurigo. Le condizioni di questo carcere sono ben più dure: una sola ora
d’aria al giorno, contatti con gli altri detenuti molto limitati, comunicazione con l’esterno quasi impossibile. Già
alcuni mesi fa era stata messa in isolamento per alcuni giorni come atto di ritorsione per una lotta che la compagna
stava conducendo in solidarietà al militante comunista George I. Abdallah.
Respingiamo la provocazione nei confronti della compagna Andi, che viene colpita per la sua militanza. Il SRI è una
struttura da tempo impegnata nel lavoro di controinformazione rispetto al percorso politico e alla prassi dei
rivoluzionari prigionieri e delle loro organizzazioni, finalizzato a costruire e a sviluppare la solidarietà di classe
attorno alla resistenza che, nonostante le loro condizioni oggettive, i rivoluzionari prigionieri continuano a
manifestare. Nel corso degli anni il SRI è stato più volte oggetto di attacchi da parte degli apparati repressivi.
In questa fase di profonda e perdurante crisi capitalista di sovrapproduzione, la repressione dello stato si è andata
sempre più dispiegando e sta colpendo duramente tutte le forme di lotta. In questo contesto, il carcere è da sempre la
misura repressiva adottata dalla classe al potere per debellare e annientare chi non intende piegare la testa e continua
a battersi per il cambiamento dello stato delle cose presenti, nella prospettiva dell’abbattimento di un sistema basato
sullo sfruttamento e l’oppressione, causa dell’imbarbarimento delle condizioni di vita dei proletari e delle masse
popolari.
Pesanti condanne sono state inflitte a compagni/e, rinchiudendoli per anni nelle carceri imperialiste, sin dagli anni
‘70. Incriminazioni e incarcerazioni vengono eseguite contro militanti che si stanno battendo a sostegno delle
popolazioni in lotta, per impedire il saccheggio e la devastazione del territorio, come lo sta a dimostrare, ad esempio
in Italia, la resistenza contro la costruzione della linea di alta velocità (TAV).
La repressione, oltre a colpire da sempre i rivoluzionari e le avanguardie di lotta, in questa fase si accanisce anche
contro chi si batte in maniera determinata in difesa del posto di lavoro, contro chi costituisce organismi contro il
carcere e i regimi detentivi differenziati (41 bis, 14 bis, ecc.), per creare un collegamento fra le lotte di resistenza
nelle carceri e quelle che si sviluppano all’esterno, nel mondo del lavoro, della scuola e del sociale.
L’attacco è portato anche nei confronti degli organismi nazionali e internazionali, come successo nel corso degli anni
al SRI, che operano nel campo della solidarietà di classe verso i rivoluzionari prigionieri e tutti coloro che lottano e
resistono.
In tal senso, ribadiamo la nostra solidarietà di classe alla compagna Andi, a tutti i prigionieri che resistono nelle
carceri imperialiste e a chi, con la lotta e l’organizzazione, si oppone e per questo viene represso.
Contro la repressione non si tace e non si arretra!
Abbattere il capitalismo!
Collettivo contro la repressione per un Soccorso Rosso Internazionale
dicembre 2013, ccrsri1@gmail.com
sui processi contro il movimento no tav
Udienza del 28 febbraio 2014, aula-bunker Carcere Le Vallette (Torino)
Quella di venerdì è stata una giornata di mobilitazione proposta, voluta, costruita da tant* compas imputat* in tanti
processi conto il movimento No Tav, per l’aperta rivendicazione delle ragioni della lotta contro la devastazione
ambientale e sociale perseguite dai governi, dai gruppi di interesse che li esprimono; per non subire i processi, per
impedire al terrorismo di stato di intimidire e riuscire a dividere i movimenti di lotta e resistenza vivi e attivi in
tutto il paese: dalla Sicilia alla Val di Susa. Una giornata dunque completamente in continuità con la mobilitazione
generale di sabato 22 febbraio 2014 che ha dato vita, almeno in 50 città, a manifestazioni partecipate ben visibili a
tutt*, perché penetrate e percepite nei centri città, anche nelle carceri – come è accaduto attorno a S. Vittore a
Milano.
Venerdì mattina davanti all’aula bunker, invece del solito piccolo gruppetto di “imputat*” e di “pubblico” eravamo
qualche centinaia arrivate lì anche con due pullman; tant* sono stat* tenut* fuori con il (dis-) ordine “dentro non ci
sono più posti a sedere”. Ciononostante, si è riuscit* a concretizzare quanto ci si era prefiss* - e anche oltre.
Non appena finito l’appello gli avvocati di Lollo e Giorgio hanno chiesto di dar loro la parola affinché potessero
leggere la propria decisione di revoca definitiva dell’avvocato. Nel silenzio generale è stata ascoltata la lettura
anche dal “pubblico” premuto in fondo alla grande aula. I PM, in particolare Rinaudo, hanno chiesto a un certo punto
alla corte di bloccare la lettura “perché non inerente”… ma stavolta sono stati loro sì bloccati da noi tutt* imputat*,
dal “pubblico”, dagli avvocati. (Lo scritto della revoca è allegato al resoconto).
Subito dopo un nostro compagno, per il quale un avvocato aveva chiesto la parola per una “dichiarazione spontanea”, ha
iniziato a leggere un comunicato comune di chi imputat* nel processone No Tav (che riportiamo di seguito). Uno scritto
che esamina il ripiegamento del processo ai voleri colpevolisti della procura, interessata soprattutto a nascondere
azioni, mezzi, torture, arresti… adoperati dalla polizia per reprimere le manifestazioni in valle, in particolare nelle
giornate del 27 giugno e 3 luglio 2011.
Anche in questo caso Rinaudo ha esortato la corte a zittirci, ma anche stavolta è stato raggiunto da un corale “stai
zitto. È un anno che vi ascoltiamo, oggi dovete ascoltarci”. Così è stata. Si è arrivati in fondo, leggendo tutt*
assieme gli ultimi capoversi, in particolare quello in cui diciamo di abbandonare l’aula e di tornare in Clarea. Siamo
usciti dai banchi assieme, urlando “Giù le mani dalla Val Susa… Sabotare non è sbagliato… Terrorista è lo stato”… ci
siamo unit* al “pubblico” anche nell’urlo, come nei pugni alzati e insieme lasciamo l’aula.
In un clima di soddisfazione, di ritrovata forza individuale e collettiva, di coesione prendiamo la strada per
Giaglione, dove per mezzogiorno c’é il ritrovo con chi della valle può raggiungerci per andare assieme al cantiere della
Clarea. Si forma così lungo il sentiero che raggiunge la Clarea un corteo di oltre 300 persone di ogni età, che con
striscioni contro gli arresti del 9 dicembre (di Chiara, Mattia, Claudio, Nicco) bandiere No Tav, con canti, appelli,
richiami a chi in isolamento, dunque con i colloqui negati… si trova una ventina di metri prima del ponte sulla Clarea,
il sentiero sbarrato da centinaia di sbirri, come al solito maldisposti nei nostri confronti. E infatti dopo qualche
quarto d’ora di muso contro muso una decina di sbirri si lancia con i manganelli contro il presidio, ne colpisce la
prima fila (almeno quattro di noi prendono dei forti colpi in testa). Subito le nostre fila immediatamente dietro
reagiscono, si fanno avanti anche con qualche pedata. Tutto si acquieta in pochi secondi. Rimaniamo in quella posizione
ancora un poco, poi tutt* assieme facciamo ritorno a Giaglione con i nostri canti, le nostre urla di solidarietà.
Si respira netta l’intenzione-sensazione di aver ritrovato il senso concreto di “si parte e si torna assieme”, nella
lotta per chiudere i cantieri devastatori, come di fronte alle retate di arresti – che cercano invece di tenerli aperti.
Sta soprattutto a noi, che stiamo vivendo questa esperienza, farla conoscere a chi ogni settimana, ormai, viene spint*,
aggredit* nei tribunali come in galera, allo scopo di socializzare pratiche e metodi per tener testa a processi e
carcerazioni – anche le più balorde.
[Quando siamo usciti dall’aula è stato nominato l’avvocato d’ufficio per Lollo - solo per lui la revoca è infatti
risultata valida, poiché l’ha dichiarata e sottoscritta -, che però non era reperibile. Allora il giudice ha nominato
come sostituto l’avvocato d’ufficio presente in aula. Tuttavia, un avvocato appena nominato può chiedere una sospensione
per visionare gli atti ma un sostituto no. Con questo artifizio tecnico l’udienza è continuata con l’ascolto degli
sbirri feriti ecc. Prossima udienza venerdì 7 marzo; dovrebbero avere inizio gli interrogatori degli “imputat*”.]
Ecco il comunicato comune:
Questo processo, sin dai suoi esordi, si è palesato non come un dibattimento volto all’accertamento dei fatti e a
stabilire eventuali responsabilità, ma come un dibattimento a senso unico, quello della procura torinese, in totale
assenza di arbitri imparziali.
La scelta stessa di quest’aula - scelta più volte giustificata come mancanza di maxi-aule per infine svelarsi per quello
che era: una precisa scelta politica - lo dimostra. La pesante militarizzazione dell’aula, i pesanti controlli e le
perquisizioni all’ingresso, la registrazione (e la duplicazione) dei documenti d’identità del pubblico presente non sono
altro che espedienti per creare un clima di pericolosità sociale intorno al movimento No Tav volto a condizionare
l’opinione pubblica sulla legittimità di provvedimenti sempre più pesanti. Non a caso si è passati dalle comuni
imputazioni di resistenza a quelle di terrorismo.
L’ammissione come parte civile di ben tre ministeri - interno difesa ed economia -, cosa mai accaduta in presenza di
semplici reati di resistenza e lesioni, è prova di come questo clima, costruito ad arte dalla procura torinese, trovi
nel tribunale la sua legittimazione e la benedizione dei vari governi del TAV.
All’inverso la non ammissione, come testi della difesa, dei tecnici No Tav è l’ennesima riprova di come si voglia
condurre il processo su binari prestabiliti, presentare cioè quanto è accaduto nelle giornate del 27 giugno e del 3
luglio 2011, estrapolandolo da ogni contesto reale e senza tentare minimamente di comprendere le motivazioni e le
ragioni degli imputati. Si vuole processare il movimento No Tav senza che si parli mai del TAV.
Il modo stesso in cui sono regolati e limitati i diritti della difesa - il reiterato rigetto di ogni istanza difensiva,
l’impossibilità di conoscere (e quindi poter citare) i nomi dei dirigenti delle forze dell’ordine nelle giornate per cui
siamo accusati, l’impossibilità di poter controinterrogare i testi dell’accusa su argomenti di cui i PM non hanno già
posto domande, l’impossibilità di valutare l’attendibilità dei testi nel caso di agenti che hanno redatto relazioni di
servizio usando le medesime frasi - sono per noi la dimostrazione di quanto tutto sia già stato deciso e il dibattimento
rappresenti solamente una formalità necessaria.
La fretta stessa con cui si vuol giungere alla sentenza, il ritmo imposto da tribunale - con udienze massacranti di
diverse ore, inframmezzate solo da una brevissima pausa per il pranzo, tenute con una già pesante cadenza settimanale
ottenuta solo dopo la protesta unanime dei difensori, non disposti ad accettarne due la settimana - rappresenta un grave
impedimento all’esercizio del nostro diritto alla difesa.
Il reiterato divieto da parte del tribunale di ascoltare gli imputati - negando loro quasi sempre la parola e invitando
i carabinieri ad allontanarli - sono la palese dimostrazione di come gli imputati non siano considerati degli attori
comprimari del processo ma semplici comparse, indispensabili ma senza diritti, utili solo alla prosecuzione della
rappresentazione.
Per questi motivi siamo giunti alla conclusione che qualsiasi sforzo generoso da parte dei nostri difensori sarà sempre
vanificato dal clima di ostilità che si respira in quest’aula.
Pensavamo che il metodo con cui la procura torinese imbastisce le proprie inchieste contro il movimento No Tav potesse
essere messo liberamente in discussione in sede processuale da parte dei nostri difensori.
Pensavamo di essere processati per delle ipotesi di reato, ma ci siamo accorti - nel corso del procedimento - che siamo
processati non per quello che potremmo aver fatto ma per quello che siamo.
Pensavamo di avere un processo normale in un tribunale normale, ma ci sembra - in quanto No Tav - di essere sottoposti a
un procedimento che si dimostra sempre più “speciale”.
Per queste ragioni abbiamo deciso oggi di disertare questo processo.
Abbandoniamo quest’aula, lasciandovi liberi di sperimentare i nuovi metodi di procedura legale da usarsi contro il
movimento No Tav, e ce ne andiamo in Val Clarea, luogo simbolo della nostra resistenza alla devastazione della Val Susa,
per testimoniare ancora una volta la nostra determinazione e il nostro impegno in questa lotta.
E infine la revoca:
Come imputati in questo cosiddetto processone affermiamo ancora le ragioni di questa lotta, la compattezza e l’unità del
movimento No Tav. Abbiamo seguito con attenzione le varie fasi processuali e vogliamo brevemente chiarire alcuni punti
sul processo.
Prima è doveroso ribadire il perché noi, come centinaia di migliaia di persone siamo stati e saremo presenti in Valsusa:
quest’opera è una devastazione sociale inutile (per gli interessi generali della collettività) e dannosa: lo
testimoniano gli studi sui tumori, che bucando quelle montagne, colpirebbero migliaia di persone come avviene in molte
parti del paese dove a migliaia muoiono in un letto d’ospedale isolati e per via di altre speculazione che non si
fermano neanche davanti a ciò, i soldi sottratti ad ospedali, lavoro “sano”, infrastrutture ecc che, soprattutto nella
crisi (imposta) sono basilari. Anche per questo ci opponiamo.
Premessa doverosa ma nel merito del contesto non può essere escluso un altro elemento: la repressione!
Dunque i tribunali non possono considerarsi per noi estranei e diciamo che riconosciamo questa corte ma non nella
terzietà e invece come parte di interessi contrapposti ai No Tav e in continuità con i governi di ieri e di oggi le
scelte, gli andamenti e condanne non dipendono solo dalla corte e lo diciamo chiaramente consci che non è una questione
personale, anzi, esistono eccezioni (che però confermano la regola). Citiamo ad esempio la cosiddetta sentenza Forleo
sul diritto di resistenza dei popoli in contrapposizione all’accusa di terrorismo per alcuni resistenti e combattenti
iracheni.
Nonostante siamo processati addirittura solo per cosiddetti “reati di piazza” (noi come tanti altri processi) da subito
tra carcerazioni preventive, varie imponenti restrizioni e retate in “grande stile” abbiamo visto sin da subito che la
procura ha cercato di dare un monito per chiunque e un impronta particolare: di forte repressione e palesemente negli
interessi al tav. Questo di pari passo alla campagna di criminalizzazione della lotta che a cicli viene riutilizzata.
Critichiamo senza entrare nello specifico il meccanismo del concorso morale ed infatti negli ultimi anni troppo spesso
si viene processati per scelte “di campo” e neanche per singole condotte: così si cerca di sconvolgere vite anche per
una singola manifestazione e che di fatto viene utilizzato per ridurre il dissenso. Per noi non può e non deve essere
considerata la questione solo in termini di “ordine pubblico”.
Vediamo che c’è un accelerazione grave di quello che consideriamo un tentativo di processo a schiacciamento e
sottolineiamo solo gli ultimi esempi eclatanti circa le dichiarazioni degli agenti che da 10 giorni di prognosi iniziali
arrivano a 90 giorni, affermazioni inverosimili di presunte accette lanciate in testa a loro, un estintore che avrebbe
ferito decine e decine di poliziotti e ciò passate agli atti senza troppo clamore.
Qui in questa sede pensiamo realmente che non sia in discussione la violenza in quanto tale ma la risposta alla violenza
di chi vuole imporre il tav (e ciò che ne consegue) con le buone o con le cattive come del resto avviene per la
“macelleria sociale “in corso come le guerre di rapina, lo strangolamento economico dei vari settori di classe e
sociali, la disoccupazione e precariato e tutto il modo di imporre scelte di pochi che ricadono su tutti!
Noi riteniamo necessarie le varie forme di resistenza in certe fasi e crediamo che la condanna alla violenza a “senso
unico” sia una “truffa” anche perché di quelle giornate non si contestualizza nulla e i più di 4000 gas lacrimogeni ai
CS lanciati anche ad altezza uomo, le pesanti cariche e pestaggi ai danni di manifestanti evidenziano il contesto.
Molto più forte è il concetto di non violento assoluto che stimiamo e apprezziamo ed è componente forte del movimento No
Tav, ed anch’esso represso. Proprio in questo senso viene a mente un non violento assoluto: Ken Saro Wiwa, promotore ed
estensore di coscienza nelle lotte contro la devastazione ambientale, razzismo, genocidi e guerre in Africa e nel mondo
promosse dai vari governi e dalle multinazionali del petrolio e morte. Ucciso con condanna a morte. La questione per noi
è sempre la stessa: non violenza si o violenza no ma a cosa si resiste e ci si oppone.
Contestiamo anche il motivo reale per cui ci troviamo in quest’aula bunker: l’etichetta di “pericolosi socialmente” e la
propaganda mediatica che se ne vorrebbe dare. I veri pericolosi sociali sono a vario titolo chi vuole imporre dall’alto
scelte di pochi a danno di molti!
Risalta anche la questione delle parti civili: aziende “ambigue” con interessi al tav, i numerosissimi agenti e tutte le
enormi anomalie che nonostante le continue e pronte arringhe difensive sono ancora annesse come parte lesa. Per questi
motivi, vediamo che viene quasi azzerata, svilita e umiliata la difesa e sono ora venuti a meno ogni principio più
elementare e minimo di difesa possibile.
Pertanto, con rinnovata stima nei confronti dei nostri avvocati e tutto il collegio di difesa, revochiamo
definitivamente (salvo cambiamenti reali delle parti in causa e della corte) gli avvocati che abbiamo nominato al
momento del nostro arresto del 26/01/2012. Come detto in precedenza da chi ha fatto tale scelta, quando nominerete
avvocati d’ufficio, affermiamo a chiare lettere che parleranno per voi e mai e poi mai per noi!
Ora e sempre No Tav! Ora e sempre resistenza!
Miniani Lorenzo Kalisa, Rossetto Giorgio
Udienza del 7 marzo 2014, aula-bunker Carcere Le Vallette (Torino)
Il clima della precedente udienza si avvertiva quest’oggi nella aggressività attenuata dei pm e della corte di fronte
alle argomentazioni degli avvocati e nostre stesse. Sì, perché oggi si è concluso l’ascolto delle “parti lese”, cioè
degli oltre 180 sbirri “feriti” nelle giornate del 27 giugno e 3 luglio 2011, ed è cominciato e concluso
l’interrogatorio di noi “imputatx”. In cinque di noi hanno deciso di affrontare questa esperienza in cui hanno
rivendicato il significato di quelle giornate, della lotta No Tav in generale unita alle loro, nostre, scelte
individuali, sempre manipolate, capovolte dalla catena infame digos-pm-giudici-media. Tutti hanno rivendicato di
riconoscersi nella giustezza della resistenza in val di Susa alla devastazione ambientale perseguita da uno stato
saccheggiatore e assassino; di aver sostenuto con slancio la difesa della “libera repubblica della Maddalena”, la
costruzione delle barricate per difenderla. Un’esperienza di vita, di lotta in comune, di resistenza passiva soffocate
in quella fine di giugno con ruspe, truppe di polizia e carabinieri che si facevano largo con manganelli, con lo sparo
di gas urticanti, i micidiali cs, idranti, pestaggi, torture, arresti… Tutti hanno ribadito con fierezza il proprio
essere anarchico o comunista, respingendo le domande dei pm fino ad ammutolirli anche con “sono un bibliotecario non una
spia”.
Il processo riprende martedì 11 marzo e andrà avanti almeno per 20 udienze (una alla settimana) con l’ascolto dei testi
della difesa.
Udienza del 11 marzo 2014, aula-bunker Carcere Le Vallette (Torino)
Sono state ascoltati undici “testi della difesa”, assessorx, consiglierx regionali, sacerdoti… tormentati dalla coppia
Rinaudo-Padalino, il cui agire viene agevolato dal tribunale con l’ammissione delle loro. Un copione provocatorio al
punto che dal pubblico iniziano ad alzarsi urla critiche. Il presidente è lesto come non mai a ordinare l’espulsione
dall’aula di una donna No Tav a causa di queste urla contro le domande, le convulsioni, tutte ammesse, sputate dal PM
Padalino su una teste. Sei carabinieri attorniano la compagna e la conducono fuori dall’aula.
Il processo riprende lunedì 24 marzo; l’udienza del 21 marzo salta a causa dello sciopero degli avvocati.
Milano, marzo 2014
***
Pesanti condanne per due No Tav
Terza udienza del processo a carico di Paolo e Forgi, i due giovani compagni fermati nell’agosto 2013 poco prima di
un’iniziativa No Tav in Clarea a bordo di quella che i media si affannarono a definire “auto arsenale”, che trasportava
materiale per azioni di disturbo alle reti e di difesa dai lacrimogeni che la polizia è solita sparare ad altezza uomo
contro i No Tav.
Dallo scorso 30 agosto i due compagni sono sottoposti a misure cautelari: dopo qualche settimana di detenzione al
carcere delle Vallette, da più di sei mesi sono tutt’ora detenuti agli arresti domiciliari.
I PM [Padalino e Rinaudo] hanno ricostruito la propria versione dei fatti, insistendo [come già nella prima udienza]
sulla presunta “micidialità” del materiale trovato a bordo dell’auto, facendo continui rimandi ad episodi riguardanti
altri momenti di lotta No Tav per dimostrare il presunto utilizzo violento cui il materiale sequestrato era destinato.
Le loro richieste: una multa di 10.000 euro + 6 anni di detenzione per entrambi, assieme a tutte le aggravanti del caso
ed escludendo invece il beneficio della condizionale [ricordiamo che si tratta di due giovani entrambi incensurati...].
La sentenza, dopo le aringhe della difesa è arrivata nel tardo pomeriggio: il Tribunale ha condannato in primo grado sia
Paolo che Forgi ad una pena di 2 anni e 2 mesi e al pagamento di 5000 euro di multa, confermando nei fatti l’impianto
accusatorio della procura. Una sostanziale eguaglianza figlia di una scelta precedentemente concordata. Per entrambi i
compagni il tribunale ha conservato gli arresti domiciliari.
Tutta la nostra solidarietà a Paolo e Forgi, colpevoli di lottare contro lo scempio del Tav e di battersi per il futuro
di tutti/e, con l’augurio di rivederli presto liberi e al nostro fianco nelle lotte. Paolo e Forgi liberi! Liberi tutti!
Libere tutte!
14 marzo 2014, liberamente tratto da infoaut.org
***
Cuneo: sentenza “rapina di mirtilli”
Mercoledì 5 marzo a Cuneo la procura ha visto fortemente ridimensionato il proprio intento accusatorio nei confronti del
movimento No Tav. Il dibattimento e la sentenza di 1° grado hanno fatto crollare l’infame castello accusatorio del
concorso in rapina “di mirtilli”.
La procura ha chiesto pene fino a 3 anni e 9 mesi per concorso “ordinario” (e non più “anomalo” come aveva presupposto
il GIP in fase di istruttoria), ma il collegio giudicante ha assolto i quattro imputati dall’accusa di rapina,
derubricando il reato in concorso in violenza privata e condannandoli a 1 anno e 3 mesi (tranne per un compagno i cui
precedenti gli sono costati 6 mesi in più di pena).
Grande è stata la gioia nel vedere invalidato il teorema della procura cuneese: nonostante ciò, riteniamo assurda la
condanna ricevuta per aver partecipato a un blocco del traffico.
Da questo punto di vista troviamo conferma dell’accanimento da parte della magistratura nei confronti del movimento No
Tav, che si traduce nella costante volontà di trovare sempre e comunque pretesti per criminalizzare il dissenso e la
partecipazione ai momenti di piazza. Ci riserviamo comunque di ricorrere in appello per vedere cancellate anche queste
condanne.
Un altro aspetto positivo è consistito nella rilevante presenza di solidali dentro e fuori al tribunale. Insieme (un
centinaio circa tra compagni di Monza, Milano e piemontesi) abbiamo presidiato la piazza del tribunale sotto lo
striscione che testimonia la volontà di mantenere unito il fronte delle mobilitazioni contro la repressione: “Contro
tutti i processi No Tav, una sola lotta”.
Insieme abbiamo presenziato in aula in modo composto ma deciso, una presenza silente ma sicura: è forte in noi l’idea
che ormai il popolo No Tav sia in grado di affrontare con la determinazione necessaria gli innumerevoli processi a suo
carico.
La linea difensiva unitaria scelta dagli imputati e dai loro difensori ha rivendicato in aula tutte le motivazioni
politiche della giornata di lotta sotto accusa.
Il nostro pensiero ora va a Mattia, Chiara, Claudio e Nicolò (a cui era dedicato l’altro striscione presente in piazza),
ancora prigionieri e in regime di alta sorveglianza, arrestati con l’assurda accusa di terrorismo per un presunto
danneggiamento a un motocompressore.
Solidarietà e complicità con tutti gli imputati No Tav.
Chiara, Mattia, Claudio e Nicolò liberi subito. A sarà dura.
Gli imputati, F.O.A. Boccaccio, Cordatesa
da cordatesa.noblogs.org
Lettere dal carcere di Alessandria
“…il giorno del trasferimento ci siamo svegliati con Mattia che bussava dalla cella affianco, così abbiamo aperto la
finestra e la sua voce candida ha proferito le paroline magiche del buon giorno: “Ragazzi, sono partente”. All’inizio
pensavamo fosse solo lui, ma poi sono venuti a comunicarlo anche a noi. Mattia doveva andare anche al processo ed è
partito subito, ci siamo abbracciati forte, con la speranza che fosse inutile, come una scaramanzia, e di rivederci la
sera stessa. Solo per me è stato così, ma la parola “rivedere” va intesa in senso letterale, perché si è trattato giusto
di una sbirciatina di sbieco oltre le sbarre, giusto il tempo di dirgli che il PM aveva imposto il divieto di incontro.
Ha ragione Mattia quando dice che il carcere è proprio stupido: stare a 10 metri di distanza l’uno dall’altro, senza
nemmeno potersi dire “ciao”, elemosinando un sorriso tra un passaggio e l’altro per andare all’aria.
Dopo la partenza di Mattia dalle Vallette, nella cella 109 si iniziano i preparativi. In soli due tre mesi abbiamo
accumulato tante cose e non è facile dividerle perché quasi tutto era in comune (tranne ovviamente spazzolino, mutande
ecc. …) [...] Avevamo anche deciso di dormire alternati un po’ sopra e un po’ sotto, per non subire i difetti del letto
a castello, così c’erano dei dubbi anche sul possesso delle coperte. Un modo per dividerci le cose, anche se implicito,
e puramente affettivo: ogni cosa ricorda un particolare momento un’emozione o una persona cara mentre altre ci faranno
ricordare l’uno dell’altro. Infine tutte quelle cose neutre le accatastiamo nelle borse, sapendo che la metà delle cose
dovremo ricomprarcele. Infatti, i trasferimenti, e qui apro una parentesi, sono anche un ulteriore onere economico,
soprattutto per quelle persone che hanno sempre messo in comune tutto e che, come vuole il codice etico dei detenuti,
regala molto a chi rimane nel carcere o nella sezione dalla quale sta partendo. Inoltre, ogni carcere ha le sue regole,
per cui può capitare che arrivi in un posto, dove alcune cose non le accettano e allora devi recuperartele, oltre la
fatica e la spesa di riaddobbare la nuova cella di tutti quegli accrocchi utili alla quotidianità.
Ritornando al trasferimento e alla suddivisione dei beni, i libri fanno capitolo a sé, grande battaglia sui testi sacri
(Balestrini, Benjamin, Ricciardi, ecc…) mentre nessuno vuole accollarsi i mattonazzi. [...] Pietro, il dirimpettaio di
cella, dice che c’è una camionetta sola e questo ci fa sperare ma appena saliti e infilati in due cellette separate le
guardie si dicono che una guiderà fino ad Alessandria e l’altra fino a Ferrara. Bisogna usare gli ultimi momenti assieme
per dirsi delle cose belle e intelligenti ma non è facile e il silenzio prevale. Non credo negli addii e nemmeno nelle
frasi epiche da ultimo minuto, quello che dovevamo dirci, ce l’eravamo già detto e il peso della separazione mi
stranisce e disorienta.
Ad Alessandria non ci lasciano nemmeno abbracciare, così attraverso le fessure della celletta stringo le sue dita
possenti e bitorzolute da arrampicatore folle e in quel gesto c’è tutto il nostro affetto.
Prima tappa, il casellario: controllo di tutta la roba, ciò che è permesso e ciò che non lo è. Alcune cose come scarpe,
ciabatte e posta vengono passate ai raggi x, mentre altre cose vengono segnate per non superare il numero consentito (2
tute, 2 lenzuola, 2 coperte, 1 fornelletto, 3 paia di scarpe ecc…) Scopro che ci sono anche delle limitazioni sul numero
di CD (max 10) e di fotografie (max 6-8) da tenere in cella, nonché alcune cose ad hoc per gli AS, tipo non più di una
lametta e bomboletta del gas in cella. Ad aiutare la guardia al casellario c’è un detenuto lavorante, l’unico “comune”
che ho incontrato finora. È della Costa d’Avorio e riesco a scambiarci giusto due parole in francese prima di salutarlo
e il suo nome mi rimarrà impresso nella mente. Prima di farmi passare dai corridoi, la guardia chiama le altre
postazioni per sapere se ci sono altri detenuti in giro. In matricola mi fanno la foto e le impronte di rito, poi
guardando fuori la neve che ricopre ogni cosa mi esce fuori: “Un bel giorno per essere trasferiti”, e la guardia della
matricola, una ragazza con la voce genuina e sincera, mi risponde: “Sì, la neve purifica…”, grassa risata “Eh, come
no!?” In sezione, seconda perquisizione della roba e integrale, infine mi mostrano la cella. È più grande che alle
Vallette e singola, poi scoprirò che non lo fanno per tua comodità, ma per limitare i contatti tra detenuti. In AS,
infatti, anche le due ore di socialità dalle 17.00 alle 19.00 avvengono in corridoio sotto gli occhi delle guardie e
delle telecamere. Il passeggio è molto piccolo, massimo 10x10, e le mura in cima hanno delle grate che rientrano. Ci
sono degli orari per fare la doccia ma sono abbastanza flessibili. Il pranzo è verso mezzogiorno e la cena alle
16.30/16.45, a ridosso della socialità, il che è un po’ un problema. Mangiare assieme o cucinare è impossibile, il che
rischia di diventare più che altro un onere di nutrizione ed è avvilente per noi che eravamo abituati a grandi banchetti
per grandi chef.
Il blindo viene aperto alle 8.00 e richiuso alle 11.00, l’aria si fa dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 13.00 alle 15.00…
tutti orari del cazzo. In alternativa all’aria ci sono una stanzetta con pesi e cyclette e un tapis roulant duro
imbastito e la “saletta-disco” con 1 tavolino, 1 sgabello, 1 stendino e il tanto agognato ping-pong.
La spesa si effettua il sabato per il lunedì dopo, il che significa che noi siamo stati 11 giorni senza spesa. La merce
mi sembra un po’ più cara che a Torino e forse alcuni alimenti (come frutta e verdura) sono anche aumentati di recente,
in compenso il carrello e mediamente accettabile. [...]
I compagni ci hanno accolto bene, offrendoci tutto quello di cui avevamo bisogno, Francesco ci intrattiene con i mille
racconti della sua vita, di una saggezza carceraria trentennale. Con Gianluca di Roma e Ivano iniziamo a conoscerci e ci
lanciamo in discussioni sul mondo che ci circonda, siamo molto diversi e questa è una ricchezza se la si sa mettere a
frutto.
Per quanto riguarda le differenze tra il mio ingresso nelle sezioni normali e poi invece nel circuito AS direi che ce ne
sono tante, tenendo presente che delle sezioni normali ho visto solo i N.G. (nuovi giunti) che sono un po’ una realtà a
sé, per quanto ricca di stimoli. Ti ricordi tutto il discorso nella prima lettera sul fatto che ti lasciano andare a
sguazzare nel nulla di partenza? Qua è l’esatto opposto, almeno come impatto inziale, il che non vuole dire che
qualsiasi cosa ti viene data, ma di sicuro sono celeri nelle risposte. La prima sensazione è quella di averceli
appiccicati al culo, per cui non è come prima dove sei osservato solo se ti esponi e soprattutto se lo fai al di sopra
degli altri. Qua sei sempre osservato ed è come se ricercassero ogni minimo gesto sopra le righe. Col passare del tempo
questa sensazione si attenua ma resta una caratteristica fondamentale. Questo, unito al fatto che la sezione è piccola e
con poche persone, lascia meno gioco alla possibilità di emergere con delle rimostranze ben amalgamate col resto dei
detenuti. Ai N.G. quei pochi episodi di protesta, anche se erano di fatto spinta di una minoranza, riuscivano a
manifestarsi come una spinta di tutti anche se solo accennato o per poco tempo. In più lì mi sentivo veramente uno fra
tanti e le guardie non mi trattavano diversamente. Uno degli obiettivi è quello di trovare un linguaggio comune tra
detenuti per parlare dei problemi che entrano direttamente in contrasto con il trattamento a cui si è sottoposti, senza
ricadere nella lagna e non è detto che tra compagni sia più facile. Il senso di impotenza colpisce tutti, soprattutto in
AS e lo percepisco anche sulla mia pelle, anche se io sono ottimista di natura. Si può dire che le sfide sono le stesse,
in fondo, ma cambia il livello di partenza, nonché l’impatto concreto delle tue azioni, inoltre qua come ti muovi
interloquisci direttamente con i piani alti, il che non vuol dire che ricevi risposte differenti dagli altri detenuti…
ovvero “picche”. Mi sono dimenticato di dire che ci è precluso ogni orizzonte, in senso letterale: infatti davanti alle
finestre ci sono dei grossi pannelli di plexiglass opaco con l’effetto di castrare l’ispirazione e l’immaginazione.
[...] Il presidio è stato fantastico, sentivamo tutto molto bene, anche gli interventi. Abbiamo gridato soprattutto
quando sentivamo chiamare i nostri nomi, un paio di volte mi è sembrato ci fosse un botta e risposta e qualcuno (una
voce femminile) ha detto “vi sentiamo!” E poi quando ho gridato “la valle non si arresta” scandendo le parole ha
risposto che non mi capiva. [...] A momenti distinguevo anche quello che dicevano le voci senza megafono né altro. La
musica era super yeah, degno di nota il remix di “Voglio vederti danzare” mixato all’intervento di Mau. Per le prossime
sedute di tamarria è ben accetto tutto il repertorio dubstep da Skrillex a Nero, sull’onda di “Promises” che è stata
lanciata anche al presidio. [...] Fatemi sapere se qualche detenuto di qua mi scrive… a parte Mattia.
ZERO STRESS!! Per tirare fuori una citazione dal mio atavico retroterra hip-hop! Niccolò.
Alessandria, 7 febbraio
Niccolò Blasi, Strada Casale 50/A - San Michele - 15122 Alessandria
***
Cari amici di Valle e di città, quella che viene oggi scatenata conto chi si batte contro il Tav non è solo un’offensiva
tribunalizia ma una tempesta di passioni tristi e umori guasti.
«Terrorismo», «organizzazione paramilitare», «attentato»: dietro la scelta di queste espressioni si cela un’operazione
linguistica volta ad evocare sentimenti precisi.
Ogni parola attiva un campo semantico, che la collega ad altre parole e significanze. Se dico «sedia» penso anche a
«tavolo», se dico «pane» penso anche a qualcosa di «morbido» e «semplice». Allo stesso modo l’impiego di categorie come
«terrorismo» o «guerra» non ha delle ricadute solo sul piano giuridico, e di conseguenza sulla nostra libertà fisica, ma
ha una forte capacità evocativa in grado di far emergere una serie di suggestioni e di reazioni irrazionali facilmente
governabili. Ed è solo in questa triste e tenebrosa palude emotiva, abitata da leggendari e terrorifici mostri marini da
decapitare prontamente, che i moderni filibustieri del diritto navigano sicuri e, come salvatori, distribuiscono decadi
di galera come fossero caramelle gommose ad una festa per bambini. È solo in questa pozza torbida e melmosa, dove ogni
gesto di dissenso radicale viene risucchiato e rimasticato dalle fauci - queste sì terrificanti - della vendetta penale,
che i potenti si specchiano e si riscoprono belli e necessari.
Un’operazione affettiva, dunque, e una battaglia semantica sono in corso a fare da cortina fumogena attorno ad uno
scontro sociale giunto inevitabilmente al muro contro muro. È questo il gioco incrociato in cui si sta dilettando la
procura di Torino (e non solo) per costruire consenso attorno ad una precisa volontà carcerogena che, come una metastasi
aggressiva, sta attaccando ogni tessuto di lotta, in Val di Susa e altrove.
Sì, anche altrove, perché quanto sta accadendo a noi è solo la cristallizzazione di una tendenza punitiva che attraversa
diffusamente l’intera società, la quale, di fronte all’evidenza del suo fallimento, non ha altre risposte da dare che
non comprendano manette, manganelli e filo spinato.
Benché l’ombra della legge giganteggi sui più, in questo mondo sempre più compresso tra cemento e reticolati, tra terre
dei fuochi e basi militari, ci sarà sempre qualcuno disposto a ribellarsi. In fondo, la paura che ci viene scaricata
addosso non è che l’eco dei timori che risuonano nelle stanze vuote dei palazzi.
Il 14 maggio inizierà il processo che ci vede imputati. Sarà un passaggio importante al quale dovremo arrivare forti e
ricchi di idee.
Dobbiamo essere pronti ad affrontare un processo «urlato» ed improntato al sensazionalismo, sulla falsariga della
campagna mediatica da tempo imbastita per demonizzare la lotta contro l’Alta Velocità.
Per riuscire nell’impresa di strappare una condanna esemplare, saranno evocati fantasmi di ieri e di oggi, mentre le
deboli quinte dell’impianto accusatorio verranno puntellate con una «strategia della tensione» a basso voltaggio, volta
a costruire il climax adatto alla messinscena predisposta. Solo così si potrà sperare di riuscire a fomentare
l’animosità patibolare. E mentre sul palco gli inquisitori giocheranno con le ombre cinesi, in sala stampa coraggiosi
cronisti di «nera» cucineranno notizie ansiogene da spacciare al dettaglio come droghe tagliate male.
Tutti insieme parleranno la lingua del terrore e, come ventriloqui, tenteranno di farci parlare la loro stessa lingua.
E noi? Noi li lasceremo soli in quel triste mondo.
Diserteremo la paura e guarderemo oltre. Accartocceremo i loro incubi come demoni di carta e continueremo a sognare, tra
le sbarre, nei boschi, ovunque. E quando penseremo alla Val Clarea ridotta ad un cratere lunare, torneremo a regalare un
sorriso a coloro che quella notte di maggio scesero da sentieri percorsi mille e una volta e si aprirono un varco nelle
reti per poi andarsene veloci, lasciandosi dietro qualche mezzo bruciato e neanche un’unghia spezzata, come ignoti amici
dei boschi, amanti della vita e nemici della mega-macchina.
Alessandria, 20 febbraio 2014
Mattia Zanotti, Strada Casale 50/A - San Michele - 15122 Alessandria
Lettera dal carcere di Ferrara
Ciao, la tua lettera l’ho letta a To con gli altri, poi ci hanno divisi ed eccoci qua in questo bel posto di merda.
Per me è la prima carcerazione, avrei preferito iniziare con i soliti 15 giorni, poi i domiciliari, ma pazienza. Essere
subito classificato AS2 è certo una bella sfiga; perdo tutta la vita di sezione di cui parli e di cui ho letto molto in
diversi libri. Essermi ritrovato però con degli amici è stato un bell’aiuto. La settimana più difficile è stata la
prima, poi pian piano scopri quali pensieri è meglio non fare e riesci a dar ritmo alla giornata.
Devo dire che con Nico e Mattia ridevamo molto. L’ironia è un bello schiaffo in faccia alla galera. Certo questo trita-
ferro è un po’ più duro, il carcere di Ferrara è parecchio grigio. Almeno quando stai in carceri grossi non sei
completamente isolato. Qui invece la nostra sezione sembra più un OPG.
La sezione ha 6 celle singole, siamo al piano terra, quindi possiamo vedere fuori. L’aria è un rettangolo 6x12 con due
telecamere e il filo spinato israeliano sopra i muri. Come in Valsusa. Ho avuto il divieto di incontro per i primi 18
giorni, ora mi posso vedere con Adriano, un ragazzo dei Castelli Romani, mentre con Alfredo e Nicola ho sempre il
divieto di incontro. In sezione quindi siamo divisi in due gruppi da 2; facciamo l’aria separati. Surreale come
situazione, ma bisogna abituarsi.
Sto seguendo l’evolversi del processone No Tav, la solita schifezza, trovo però positiva la compattezza fra imputati. Ho
visto in tv che dopo l’udienza c’è stata una marcia in Clarea. Una bella idea.
Dopo la giornata del 22 spero che anche il movimento sia più attento alle dinamiche repressive. Sicuro è che quasi tutti
i No Tav hanno avuto modo di confrontarsi con la giustizia. Vedremo anche come sarà il clima per il nostro processo.
Ho letto di una mobilitazione per aprile, anche se non ho capito in cosa consisterebbe; tu hai le idee più chiare?
Qualcosa di simile a quella che era stata a settembre. Penso che dovremo batterci contro i regimi differenziati e
l’isolamento dai “comuni”; idee sul come però mi sfuggono.
Ho visto che bel corteo c’è stato a Mi il 22. Ti abbraccio forte, Claudio.
Ferrara, 2 marzo 2014
Claudio Alberto, v. Arginone 327 - 44122 Ferrara
***
23 febbraio: al pratone di Rebibbia
Abbiamo salutato Chiara con affetto e con rabbia e ci siamo commosse. C’erano tante compagne e compagni domenica al
pratone di Rebibbia femminile per salutare Chiara e tutte le detenute rinchiuse lì dentro.
È stata un’occasione di forza, di consapevolezza e di commozione anche perché abbiamo trovato sul prato alcuni familiari
di detenute comuni che stavano cercando di comunicare con l’interno del carcere. In particolare ci hanno colpito due
giovani donne con una bambina piccola in braccio che cercavano di farla vedere a chi era rinchiusa. Ci hanno guardato
con gli occhi sgranati, erano stupite e contentissime che esistesse qualcuno che lottava per la libertà di chi stava
dentro e hanno cantato e gridato gli slogan insieme a noi.
Alcuni familiari hanno chiamato al microfono le loro care, da dentro hanno chiesto la dedica di una canzone... Noi
streghe siamo state perseguitate, torturate, uccise… ma mai sconfitte! Ve lo potete scordare! Chiara libera! Tutte e
tutti liberi!
25 febbraio 2014, coordinamenta.noblogs.org
***
sul Presidio a Ferrara del 9 marzo
Domenica 9 marzo, un presidio di una cinquantina di compagni e compagne ha portato per oltre 3 ore solidarietà e
vicinanza a Claudio, Nicola, Alfredo e Adriano, reclusi nella sezione di alta sicurezza e agli altri detenuti del
carcere di Ferrara.
Da oltre un mese Claudio, arrestato il 9 dicembre con Chiara, Niccolò e Mattia con l’accusa di terrorismo, è stato
trasferito in questo infame carcere, inizialmente in totale isolamento e ora con la misera concessione da parte della
direzione di poter incontrare Adriano. Resta pesantissima la situazione nella quale il nostro compagno è costretto a
stare e per questo domenica siamo tornati a portargli la nostra vicinanza sotto quelle mura. Musica, interventi, slogan
e fuochi d’artificio hanno incrinato per qualche ora l’isolamento, facendo sentire loro che non sono soli.
Nell’andare via ci siamo accorti che qualche ignoto in divisa aveva tagliato due gomme all’auto di un compagno…ma
avevamo le gomme di scorta! Di certo questo non ci farà passare la voglia di tornare ancora a portare la nostra
solidarietà ai compagni reclusi con sempre più rabbia e forza!
LIBERTA’ PER CLAUDIO, ADRIANO, NICOLA E ALFREDO!
LIBERTA’ PER TUTTI E TUTTE! FUOCO ALLE GALERE!
Solidali
***
Si apre il processo per Gianluca e Adriano
Dall’Ottobre del 2013 Gianluca e Adriano sono costretti in carcere nelle sezioni di Alta Sicurezza 2 e rispettivamente
ristretti ad Alessandria e Ferrara.
Il prossimo 26 marzo si terrà la prima udienza.
Incarcerati con le abusate accuse di associazione con finalità terroristiche o di eversione dell’ordine democratico, a
cui si aggiungono quelle di incendio, furto aggravato in concorso, deturpamento e danneggiamento di cose altrui. Tredici
azioni realizzate nel territorio dei Castelli Romani contro banche, una pellicceria, sedi distaccate di ENI ed ENEL e
contro la discarica di Albano.
Il reato di 270bis oltre a prevedere l’arresto in carcere come unica ratio e a determinare le condizioni detentive di
isolamento previste dai circuiti AS2, legittima le infamanti campagne mediatiche volte al descrivere gli indagati come
“terroristi”.
Come sempre i prezzolati della menzogna si prodigano nel nascondere ciò che potrebbe essere evidente ai lettori se ci si
fermasse a riflettere sulle responsabilità che gli obiettivi di certe azioni hanno nella devastazione, saccheggio e
genocidio di interi territori e popolazioni. Da quelli più lontani a quelli a noi più vicini.
Non c’è banca che non abbia responsabilità sulle condizioni della attuale crisi senza parlare di quelle compromesse con
il progetto dell’Alta Velocità.
L’ENEL con i suoi progetti di riabilitazione delle centrali nucleari di terza generazione.
L’ENI con la devastazione di territori come la Nigeria e la morte violenta o lenta, ma comunque scientificamente
procurata, di intere generazioni che lì hanno la sfortuna di essere nati.
Le discariche sulle quali, da sempre, cinici imprenditori di cumuli di veleni ne fanno copiosi profitti, lasciando a noi
respirare fumi tossici che ammalano quando non uccidono.
A Gianluca e Adriano ribadiamo quello che abbiamo sempre detto: noi sappiamo chi sono i veri e unici responsabili di
azioni e politiche terroriste.
Siamo solidali con chiunque si batta per fermare lo sprezzante progetto di guerra messo in atto contro gli sfruttati e
le sfruttate di tutto il mondo.
Siamo solidali con chi è privato della propria libertà e dei codici penali, dei tribunali ne faremmo volentieri
discariche!
Gianluca e Adriano, tutte e tutti fuori dalle galere!
Per scrivere:
Gianluca Iacovacci, Via Casale 50/A - 15122 San Michele (AL)
Adriano Antonacci, Via Arginone 327 - 44122 Ferrara
da informa-azione.info
30 marzo: presidi a Roma, Alessandria e Ferrara
Con il carcere le autorità vogliono togliere di mezzo chi è di troppo, chi per necessità o per scelta vive al di fuori
del recinto della legalità. Chi non ci sta, lotta e cerca di opporsi concretamente ai progetti di chi governa. Come
ormai da più di vent’anni sta avvenendo in Val Susa contro il Tav.
Con il regime di Alta Sorveglianza, un carcere dentro al carcere, le autorità vogliono separare i compagni da tutti gli
altri detenuti, per ostacolare lo sviluppo di possibile lotte.
Il 30 marzo presidi sotto il carcere di Roma , Alessandria e Ferrara.
In solidarietà con Chiara, Claudio, Niccolò, Mattia.
In solidarietà con tutti i compagni rinchiusi in Alta Sorveglianza.
In solidarietà con tutti i detenuti che lottano e che parteciperanno alla mobilitazione di aprile.
Roma: ore 16, al pratone davanti alla sezione femminile di Rebibbia in via Bartolo Longo
Ferrara: ore 16, di fronte al carcere in via Arginone
Alessandria: ore 17, di fronte al carcere in via Casale San Michelei
tratto da notav.info
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Il 14 maggio a Torino si aprirà il processo a carico di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò accusati di terrorismo per il
sabotaggio di un compressore.
Attraverso l’accusa di terrorismo contro alcuni NO TAV si vogliono colpire tutte le lotte.
SABATO 10 MAGGIO Ore 14 (ritrovo in Piazza Adriano) - MANIFESTAZIONE POPOLARE A TORINO, PERCHÉ chi attacca alcuni di
noi, attacca tutte e tutti PERCHÉ le loro bugie, loro manganelli, le loro inchieste non ci fermano RESISTIAMO allo
spreco delle risorse, alla devastazione del territorio, alla rapina su i salari, le pensioni e la sanità.
CHIARA, CLAUDIO, NICCOLÒ, MATTIA LIBERI SUBITO.
24 marzo 2014, Movimento NO TAV
Dalle udienze del processo “15 ottobre 2011”
Udienze del 4-6-11-13 marzo 2014, Roma
Sono giornate dedicate all’ascolto dei testi della difesa. In questo ascolto, nei primi giorni, viene dimostrato come
sia pratica comune fare dei cordoni per dividere e difendere le varie parti di un corteo. Attraverso i video e le
testimonianze di più di un compagno presente nel corteo, si dimostra come lo spezzone incriminato fosse molto più avanti
e quindi non responsabile di quello che succedeva al supermercato Elite. In pratica l’accusa viene smentita in tutto e
per tutto. Primo, il cordone davanti al furgone di San Precario non era esclusiva del centro sociale Acrobax (come
sostenuto dall’accusa) ma un’insieme di tutti coloro che si riconducono a San Precario. Secondo, il cordone nel momento
dell’esproprio dell’Elite era molto più avanti non era neanche a vista d’occhio (per chi non ha seguito il processo
ricordo che l’accusa vorrebbe dimostrare che il cordone davanti al furgone di San Precario si sia spostato a difesa
dell’esproprio del supermercato).
Nelle altre giornate vengono sentiti fotografi, giornalisti, giovani, sindacalisti. Visionando i vari filmati, quasi
tutti prodotti dall’accusa, si capisce perché la stessa non ha mai voluto utilizzare filmati ma solo fotogrammi estratti
dagli stessi. Le immagini parlano da sole: camionette e idranti a tutta velocità entrano in Piazza San Giovanni piena di
manifestanti pacifici investendo camion di venditori di panini e camion degli organizzatori (quello dei Cobas a seguito
di una vera e propria speronata di un idrante della polizia riporta 500 euro di danni); un furgone paninaro viene
completamente distrutto da una camionetta dei carabinieri.
Molto forti le immagini subito successive, di quando i manifestanti decidono di difendere il diritto di restare in
piazza: donne manganellate mentre camminano a braccia alzate; poliziotti con spranghe di legno e ferro, finanzieri e
carabinieri che lanciano pietre e altro verso i manifestanti insieme ai soliti lacrimogeni ad altezza delle persone. C’è
l’immagine di un ragazzo che ha perso due dita della mano colpita da un lacrimogeno; un’altra, di una ragazza svenuta in
seguito alle botte prese…
Nell’udienza del 13 marzo viene molto ridimensionata la posizione del compagno Mauro (Gentile), accusato di tentato
omicidio; il compagno rilascia una “dichiarazione spontanea” mentre descrive cosa e come è successo quel giorno in
piazza. Descrive la giornata. L’avvocato Romeo, suo difensore, presenta come testi a discarico tre compagni di Azione
Antifascista Teramo, due sindacalisti del direttivo provinciale e regionale della Fiom di Teramo e un regista di Roma
chiamato come esperto per discutere i video tra i quali quello che dovrebbe incriminare anche Dayvid. Nell’esposizione
dell’avvocato, dei testi e degli accusati è venuta fuori chiara la volontà di polizia, carabinieri di spezzare il
corteo, creando il panico tra i manifestanti spinti con forza in piazza S .Giovanni. Dalla piazza, hanno dichiarato, non
c’era alcuna possibilità di uscire a causa degli imponenti schieramenti militari che presidiavano tutte le vie di fuga.
Tutti hanno raccontato le azioni repressive avvenute all’interno della piazza a cominciare dal fitto lancio di
lacrimogeni sparati ad altezza di persona; dei pericolosi caroselli dei furgoni e blindati di carabinieri, polizia e
guardia di finanza; delle cariche violente sui manifestanti che con le braccia alzate chiedevano di andare via e di non
usare violenza.
Il PM Minsci, servo in cerca di punti carriera che i padroni della borghesia imperialista gli hanno promesso per
imbastire questo teatrino, si è molto innervosito perché è stato messo nell’incapacità di replicare se non provocare
come è solito fare.
La prossima udienza sarà il 3 aprile e per dare sostegno agli imputati ed alla difesa è importante partecipare in massa,
non ripercorriamo un’altra Genova 2001. Se il 15 ottobre c’eravamo tutti, tutti dobbiamo esserci alle udienze.
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Di seguito la “dichiarazione spontanea” letta in aula da Dayvid (militante comunista ancora oggi agli arresti
domiciliari per gli scontri a Roma del 15 ottobre 2011)
Il 15 ottobre ero presente a Roma con i ragazzi di Azione Antifascista di Teramo, ho partecipato al corteo,
pacificamente, poi a causa della confusione successiva alla carica avvenuta a via Labicana sono entrato in Piazza S.
Giovanni da via Merulana ed ho perso contatto con il mio gruppo.
Mi sono trovato nelle vicinanze del camion dei Cobas, quando è arrivato in velocità l’idrante della polizia; in quel
momento c’è stato un fuggi fuggi generale dei manifestanti per evitare di essere investiti, me compreso.
L’idrante ha tamponato il camion dei Cobas ed ha proseguito a spingerlo in avanti finché non si è liberato per
continuare a correre tra i manifestanti, sul camion c’erano persone che hanno rischiato di essere scaraventate fuori e
farsi molto male.
Ricordo bene, dopo l’azione dell’idrante, l’arrivo di furgoni e blindati di carabinieri, polizia e guardia di finanza
che praticavano caroselli creando il panico tra i manifestanti; le cariche delle forze dell’ordine che picchiavano i
manifestanti colpendoli alla testa con manganelli; ho visto molto sangue sui volti di molti manifestanti; il lancio
incontrollato dei lacrimogeni sparati ad altezza uomo e da tutte le direzioni.
Tutti noi manifestanti ci siamo trovati in enorme difficoltà in quanto non potevamo uscire dalla piazza, perché tutte le
uscite erano presidiate dalle forze dell’ordine che compivano azioni repressive contro chi tentava di andarsene; c’era
molto caos in piazza, correvamo tutti in preda al panico cercando una via d’uscita che non c’era.
In preda alla rabbia, alla frustrazione e alla paura per il rischio di essere travolti dai mezzi, io ed anche molte
altre migliaia di manifestanti siamo stati costretti a reagire per difenderci, in quanto abbiamo percepito,
distintamente, che le nostre vite erano in pericolo.
Ricordo bene anche l’episodio del furgone guidato dal carabiniere Tartaglione. La carica che lui e i suoi colleghi hanno
fatto contro di noi, ha messo in pericolo la mia e le vite delle altre persone che stavano in piazza in quel momento.
Tartaglione con il suo furgone, è salito a velocità sostenuta su un marciapiede danneggiando seriamente il mezzo che non
è ripartito perché le ruote erano completamente bloccate a causa del forte urto.
La rabbia di chi poteva essere travolto da quel veicolo si è scaricata sul furgone; il carabiniere è sceso dal lato del
guidatore, nessuno glielo ha impedito: vista la situazione, non sarebbe andato via da lì se ci fosse stata la volontà di
fargli del male. Io gli ho lanciato contro una pietra, poi ne ho preso un’altra e l’ho lanciata ancora contro di lui; se
io avessi voluto mettere in pericolo la sua vita, certo avrei fatto cose diverse, ad esempio gli avrei impedito di
scendere dal furgone e di scappare.
In quei momenti, da alcune ore respiravo gas lacrimogeno, i polmoni bruciavano, i miei occhi erano gonfi e subivamo
lanci di pietre da parte delle forze dell’ordine.
Ho tirato quelle pietre per rabbia e paura dopo aver subito, insieme a migliaia di altre persone, per diverse ore
cariche ingiustificate, respirato gas lacrimogeni ed aver assistito alla violazione dei diritti costituzionali e umani
che si sono verificati in quella piazza. Ho lanciato quelle pietre per scacciare il carabiniere, non per ucciderlo,
ripeto che altrimenti non sarebbe riuscito ad andare via. Immediatamente dopo mi sono allontanato da quel punto della
piazza e mi sono spostato verso la chiesa.
Infine, vorrei ricordare che l’uso di gas lacrimogeni CS, impiegati dalla polizia quel giorno, è vietato, perché
considerato arma chimica, come stabilito dalla convenzione di Parigi del 1993, oltre ad essere altamente tossico per chi
lo respira.
Milano, marzo 2014
AFFILE: processo agli antifascisti
Segue la lettera di 3 ragazzi che hanno osato rifiutare la riabilitazione del Generale Rodolfo Graziani, uno dei più
efferati esponenti del fascismo italiano. Ministro della Guerra durante la Repubblica di Salò, è stato inserito dall’ONU
nella lista dei criminali di guerra (per l’uso dei gas tossici e il bombardamento degli ospedali della Croce Rossa) su
richiesta dell’Etiopia, ma non ha subito alcun processo per le sue gravissime colpe. Nell’estate del 2012, grazie ai
finanziamenti della Regione Lazio, ad Affile è stato inaugurato un monumento a lui dedicato. Che ancora non è stato
abbattuto, nonostante nel frattempo sia subentrata una giunta regionale “di sinistra”.
Il 1 aprile, a Tivoli, si avrà un’udienza del processo assurdo nei confronti di chi ha voluto solo difendere una verità
storica inoppugnabile.
MA QUALE DANNEGGIAMENTO SI È SCRITTA SOLO LA VERITA’
Cari e care, siamo i 3 ragazzi accusati di aver imbrattato il mausoleo intitolato a rodolfo graziani, una delle figure
di spicco del ventennio fascista.
Per molti fascisti nostrani questo mausoleo (inaugurato nell’ agosto 2012) è stato il compimento del percorso che il
movimento sociale, ad Affile (RM), aveva intrapreso dal dopo guerra. Già nel ‘67 infatti venne presentato il progetto
del suddetto dal celebrato sindaco affilano Luigi Ciuffa (esponente dell’ msi e sindaco della cittadina per 40 anni)
Così, assieme al busto di Almirante, Affile oggi vanta anche un mausoleo intitolato tramite delibera comunale al
macellaio di Fezzan, Graziani. La regione Lazio, a seguito del clamore suscitato da tale scempio, ha bloccato una parte
del finanziamento promesso e dopo un attento sopralluogo sul posto, non ha trovato più alcun riferimento al fascista. Di
fatto il mezzo busto che dominava la sala è ora costudito gelosamente in casa dal sindaco Viri, come da lui stesso
dichiarato.
Il manufatto sarà scappato da solo o qualcuno avrà provveduto a rimuoverlo ?
Quella che secondo i piani del sindaco deve essere la Predappio del Lazio è una chiara e palese revisione storica che
pone il macellaio nella veste del soldato pluri medagliato prima del fascismo, poi soldato “non fascista” nel ventennio
e successivamente nella repubblica sociale “ fedele alla patria fino alla fine tanto da salvarne vite umane e beni
materiali dalla furia tedesca”... e si può aggiungere “ servo di una patria assassina “ come recitava uno scritto sul
mausoleo.
A seguito di diverse denunce di individualità e associazioni il sindaco Viri e alcuni assessori sono stati denunciati.
La procura ad oggi non sembra aver dato seguito all’indagine per apologia di fascismo scattata ai danni del sindaco…..
Molto più facile procedere “verso chi pratica gesti violenti”, appunto vernice, come gridava qualche fascista in giacca
e cravatta, commentando la notizia delle scritte.
Così il 1 aprile (non è uno scherzo) ci ritroveremo nell’ aula del tribunale di Tivoli ad essere accusati nel modo in
cui riportiamo: “in concorso tra di loro danneggiavano mediante verniciatura con bombolette spray la scalinata in marmo,
due porte e le quattro facciate del sacrario denominato ‘il Soldato’ sito in Affile. Con l’ aggravante di aver commesso
il fatto su beni destinati per necessità alla pubblica utilità e su edifici ad uso pubblico, scrivono i carabinieri.
A prescindere dal fatto di chi abbia praticato il gesto, vogliamo evidenziare la volontà di far passare per pubblica
utilità un mausoleo intitolato ad un criminale di guerra, come evidenzia la storia, ad un condannato per
collaborazionismo con i tedeschi nell’occupazione nazista, al ministro della repubblica di salò firmatario del bando che
rese obbligatoria la leva delle classi ‘22 ‘ 23, deportando 2.500 persone nei lager tedeschi.
L’uomo che con i suoi ordini sterminò migliaia di etiopi, l’ uomo che rivendicò lo sterminio di Debra Libanos (in cui
morirono più di 3000 persone), l’uomo firmatario delle leggi razziali, l’ uomo protetto ancora oggi da una chiesa
complice delle sue atrocità.
Sono allora 4 mura intitolate a questa figura un bene pubblico? O sono il tentativo da parte della destra nostalgica di
creare un luogo di culto per i vecchi e nuovi fascisti?
Proprio perché non ci riconosciamo in questa assurda vicenda e con sentimento di complicità con tutte le persone che
ieri hanno combattuto e che oggi combattono contro i vecchi e nuovi fascismi, con spirito di rivalsa verso un gesto che
è un insulto alla vita umana e alla Resistenza, vogliamo non far passare questo processo come “ un semplice
danneggiamento “.
Per questo motivo chiediamo un forte sostegno nelle modalità che riterrete più opportune, a tutti gli uomini e alle
donne, ad associazioni e movimenti, individualità e collettivi che si riconoscono nei valori della Resistenza. Per una
società libera da ogni fascismo e per l’ abbattimento del mausoleo a rodolfo graziani.
1° Aprile: per un sostegno dentro e fuori il tribunale di Tivoli Viale Nicolò Arnaldi n, 19 ore 9:30.
21 marzo 2014, tratto da pane-rose.it
Bellaria (Rimini): fascisti accoltellano compagni
Nella notte di sabato 8 marzo 2014 due giovani sono stati accoltellati e seriamente feriti da un gruppo di fascisti (tra
cui ex aderenti a Forza Nuova) fuori da un noto locale della zona. I due ragazzi accoltellati sono due compagni di
Rimini, attivi nelle lotte per la giustizia sociale, per il diritto all’abitare, per lo sport e la cultura popolare,
contro lo sfruttamento, il fascismo e il controllo sociale. Fortunatamente, benché uno sia tutt’ora in ospedale,
dovrebbero essere entrambi fuori pericolo e ci stringiamo a loro aspettandoli dove sono sempre stati, nelle strade,
nelle lotte, al nostro fianco.
Quello che ci preme è rendere noto un episodio gravissimo che non ha precedenti nella nostra città. Siamo antifasciste e
antifascisti militanti, come ci insegnarono i nostri nonni e le nostre nonne partigiane. Come loro siamo assetati di
libertà e, con la dignità che sempre muove le nostre azioni, cerchiamo di combattere ingiustizia e prevaricazione
ovunque si trovino, finanche in una discoteca di merda qualsiasi.
Ma ieri come oggi lottare per cambiare lo stato di cose presenti può avere un caro prezzo: quello di vedere violata la
propria incolumità fisica è uno di questi. Ed è ciò che è accaduto ai nostri compagni. Infatti le coltellate inflittegli
sono state sferrate con l’evidente intento di uccidere: colpire più volte all’addome può avere solo quell’obiettivo.
Quando un fascista arma la propria mano per colpire chi si ribella allo status quo, la matrice è ben chiara e i motivi
non sono per nulla futili: sta combattendo la propria guerra contro chi non abbassa la testa e chi considera “diverso”;
contro la vita di chi ha deciso di dedicarsi alla costruzione di un mondo migliore, dove non si debba morire di freddo
senza casa, dove si possa avere un lavoro degno che non occupi tutta la giornata per un salario miserevole, dove non ci
sia schiavitù imposta dal ricatto del denaro, dove si possa scegliere liberamente delle proprie vite senza essere
usurpati dal potere.
Per noi l’antifascismo è una pratica rivoluzionaria, oggi come ieri. E il 25 aprile non è una ricorrenza ma una lotta
quotidiana, per questo abbiamo rischiato che delle persone generose, intelligenti e piene di vita, compagni
preziosissimi, ci venissero sottratti dalle lame degli utili idioti del capitalismo.
Solo chi è in malafede può equiparare stupidamente chi propaga ignobili disvalori a chi lotta per la giustizia sociale e
la libertà, così come chi parla di “rissa tra bande” ed altre sciocchezze addomesticate, agisce nell’interesse servile
di legittimare la falsa retorica degli opposti estremismi.
I nostri compagni sono forti e hanno la pelle dura, non ne avevamo dubbi, ma proprio perchè la vita è una questione di
carne e di centimetri diciamo che, per un raggio infinito di chilometri, nessuno si deve permettere di toccarceli.
Dopo i recenti omicidi di Clement a Parigi e Pavlos ad Atene, a pochi giorni dall’undicesimo anniversario
dell’assassinio di Dax a Milano, vediamo che anche in una città come Rimini le mani dei fascisti sono armate e pronte ad
uccidere. Sappiamo bene come il fascismo non sia mai stato definitivamente sconfitto perchè è il capitalismo stesso che
crea continuamente il terreno fertile per la sua riproduzione, ossia per la sua aggressiva perpetuazione. Vediamo come
nella nostra società, dal potere economico alle istituzioni politico/militari passando per le sue ramificazioni,
elementi fascisti vengano sempre mantenuti per fare il proprio sporco lavoro: che si tratti di governanti mascherati da
liberatori come in Ucraina, o di “Albe Dorate” come in Grecia, che si inventino pretesti territoriali come la Lega Nord
o che si tratti di finti benefattori come Forza Nuova o suoi ex militanti.
Questi giorni sono lunghi che ci sembra valgano anni. Sentiamo sempre più necessario disintegrare quel tessuto di
indifferenza sociale intriso di razzismo, sessismo e sopraffazione, riappropriandoci di spazi non solo di agibilità
politica ma anche di socialità quotidiana. Più avanzano le nostre lotte più terreno sottraiamo al capitale e ai suoi
sgherri in divisa o camicia nera.
Sollecitiamo con forza tutte le realtà sensibili, collettivi e singoli, senza confini geografici, nella costruzione
diffusa di percorsi di lotta contro il capitalismo e i suoi fascismi, raccogliendo le forze per avanzare con
determinazione, esprimendo rabbia, autonomia, passione, autodifesa, solidarietà, azione diretta, lotta di classe e una
smisurata voglia di libertà. Se si colpisce un/una compagn* si colpiscono tutt*, nessuno si senta escluso.
Guai a chi ci tocca!
Antifasciste e antifascisti - Rimini
Marzo 2014, tratto da informa-azione.info
Milano, processo Cox: udienza del 27 febbraio 2014
Il 27 febbraio 2014 si è svolta la seconda udienza del processo che vede imputate una decina di persone per fatti
accaduti il 22 e 24 gennaio 2014, in seguito allo sgombero del Centro sociale Cox18 di Milano. A differenza di quanto
annunciato al termine della prima udienza, il dibattimento si è svolto nella “Maxiaula” della prima Corte d’Assise, a
porte aperte, ma all’imputato in carcere con l’accusa di “terrorismo” dal 9 dicembre, a seguito di una incruenta azione
di sabotaggio No Tav, non è stato concesso di uscire dalla gabbia nella quale era rinchiuso. A motivazione di tale
scelta, il giudice Raffaele Martorelli recita che «obiettive condizioni di sicurezza ne impediscono la presenza in
aula»; poi però, grazie alla reiterata insistenza degli avvocati della difesa e solo negli ultimi minuti, è il capo
della scorta di quattro agenti di polizia penitenziaria ad assumersi la responsabilità di farlo uscire dalla gabbia e di
farlo sedere non tra gli altri imputati ma a fianco del suo avvocato difensore.
Le quattro testimonianze prodotte dall’accusa hanno riguardato soltanto i fatti del 24 gennaio 2009, per i quali ben
cinque persone sono imputate per aver preso parte a un «tentativo di rapina» avvenuto in un negozio d’abbigliamento in
via Torino.
Sul primo teste, brigadiere del nucleo informativo dei carabinieri di Milano, gli avvocati difensori avanzano subito un
“sospetto di ambiguità”, essendo egli stato presente in aula durante la precedente udienza. Interpellato in proposito,
il brigadiere conferma di essere “passato” in aula durante l’udienza del 30 gennaio, ma «solo per qualche minuto, per
dire “una cosa” a un mio collega». I giudici della Corte non ravvisano in ciò elementi di irregolarità e quindi la
testimonianza prosegue.
Il brigadiere, quel giorno, era di servizio in piazza Duomo, in un “contingente di riserva” che, una volta sfilato il
corteo, vi si «accoda». È appunto dalla “coda” del corteo ch’egli notò un gruppo di 4-5 persone “staccarsi” dal corteo
ed entrare nel negozio. Prontamente «si è fatto sulla soglia» dello stesso potendo notare altresì «una “persona di
colore” portare via un ragazzo», ha «visto» uno degli imputati (che ha riconosciuto, alla lettera, perché «lo conosceva
già») dire: «lascialo stare o spacchiamo tutto»; «in effetti», dopo quelle parole, si verifica nel negozio «una
confusione tremenda»: «15-20 persone» si dànno ad «azioni» quali il ribaltamento di un bancone e l'abbattimento di
alcuni manichini ed espositori; il brigadiere però non sa quali “danneggiamenti” tali azioni abbiano provocato, perché
«c’era troppa confusione». Quanto ai riconoscimenti, indica uno degli imputati come colui che ha pronunciato la frase
riferita in precedenza, ma «non può asserire» con sicurezza che ce ne fosse un altro, da lui precedentemente
«riconosciuto» sulla base di «una percezione che ha avuto». Delle altre 15-20 persone presenti, dice di «non avere
cognizione di causa su chi possano essere».
Uno degli avvocati della difesa gli chiede se ricordi che «il ragazzo» “trattenuto” dalla «persona di colore» fosse
riuscito a scappare, e lui risponde di sì; se ricordi che lo stesso fosse uscito dal negozio “privo dei beni” che aveva
cercato di rubare, e lui risponde che «non sa».
Il secondo teste è proprio la «persona di colore» più volte citata, quel giorno addetto alla sicurezza sia del negozio
nel quale avvennero i “fatti” sia del negozio a fianco [quando si dice cumulo di mansioni!]. Allarmato dalla
manifestazione in corso, fa abbassare la saracinesca di quest’ultimo, e si dirige verso il primo con l’intenzione di
fare altrettanto, ma una volta giunto all’interno del locale «si accorge» che «alcune persone [non ricorda quante] già
all'interno avevano preso della merce esposta»; cerca di trattenerne uno, «senza toccarlo», parandoglisi davanti per
impedirgli di uscire. In quel momento sopraggiungono, dal di fuori, ancora altre persone, con fare minaccioso, e una di
queste gli dice: «Lascialo andare o spacchiamo tutto il negozio». Su questi nuovi venuti, l’addetto alla sicurezza non
ricorda molto altro se non che «erano in tanti», «tutti uomini», con una sola ragazza che «orientava le cose da fare».
Messo davanti alle fotografie per confermare i riconoscimenti da lui fatti “in sede d’indagine”, riesce a ricordare come
“presente” nel negozio solo uno degli imputati, di cui gli è rimasto impresso che, a “fatti” ormai compiuti, aveva
«riportato indietro» un espositore di occhiali da sole che, nel parapiglia, era finito chissà dove. Ad ogni modo, oggi,
a distanza di cinque anni dai fatti, non si sente in grado di confermare i riconoscimenti. Quindi conferma quanto reso
nel verbale, ma non riconosce le persone, ora imputate, ritratte in due fotografie del verbale stesso.
Il terzo teste è un’ex cassiera del negozio. Accortasi che, mentre il corteo sfilava in strada, «un ragazzo» era entrato
nel negozio e aveva arraffato «tre-quattro giacche di pelle», aveva richiamato l’attenzione dell’addetto alla sicurezza.
Questi aveva fermato il ragazzo, ma proprio in quel momento erano entrati nel negozio altri ragazzi «facendo casino»,
con «urla» e «correndo dappertutto». Si trattava di 3-4 ragazzi e una ragazza «sui 20-30 anni». Proprio quest’ultima, si
era impossessata di un espositore di occhiali da sole (lo stesso che, anche a detta del precedente teste, sarebbe stato
poi «riportato indietro» da uno degli imputati); di questa ragazza, l’ex cassiera, oggi, non ricorda nulla; all’epoca
dei fatti le era «rimasto impresso» che «aveva i capelli rossi», come recita il verbale. Conferma di aver sentito la
frase «spacchiamo tutto», ma non riconosce la persona che l’ha proferita.
Scorrendo le fotografie per i riconoscimenti, l’ex cassiera non ricorda nessuno degli individui ritratti; solo di fronte
a una foto, che ritrae una persona che non è tra gli imputati del processo, dice che è «un volto che le dice qualcosa»,
e niente di più. Non riconosce nessuno tra coloro che sono seduti al banco degli imputati.
Il quarto teste è un agente del nucleo informativo dei carabinieri che, al momento dei fatti, si trovava a 50 metri dal
negozio e «arrivò sul posto» quando «la gente» ormai ne usciva con «tale violenza» che «ha dovuto scansarsi»! In questa
folla di persone («una trentina», “precisa” successivamente) che uscivano «con violenza» ha “riconosciuto” (in quanto
persone a lui già note) tre degli imputati, ma non ha visto quel che «avevano fatto dentro». Uno di essi, poi aveva
«fatto una scritta» sul muro esterno del negozio con della vernice spray. L’agente non entrò nel negozio, ma continuò a
seguire il corteo e, successivamente, quando i manifestanti giunsero all’angolo tra corso Genova e viale Papiniano, notò
lo stesso imputato autore della scritta nell’atto di “incendiare” «un cestino dei rifiuti».
Al termine di questa testimonianza, il pm Alessandro Gobbis rinuncia a sentire tutti gli altri testimoni d’accusa. La
prossima udienza, nel corso della quale sfileranno i testimoni della difesa, si terrà il 27 marzo, alle ore 9.
Milano: “No alle ruspe nei parchi”
...questa è la posizione scelta fatta propria, scritta, disegnata dalla larga parte degli abitanti dei quartieri di
Milano nord-ovest (Baggio, Quinto Romano, S. Siro, Trenno, Bonola) contro la decisione di Comune, Regione, Expo 2015… di
aprire nei parchi lì esistenti, prima, una “via d’acqua navigabile”, poi, cioè successivamente ai primi passi di
mobilitazione, un “canale di scolo” qua e la anche sotterrabile. Il tutto in relazione appunto a Expo 2015.
Da tempo circolavano voci su questa devastazione ambientale, ma solo in ottobre-novembre, con la calata fisica delle
transenne all’interno dei parchi per segnare e proteggere il tracciato dello scasso, tutto è diventato chiaro. Gli
abitanti di quei quartieri, assieme alle persone solidali di ogni dove, hanno cominciato a parlarsi, a stendere
striscioni sulle transenne, a presidiare sin dalle prime ore del mattino punti precisi di quel percorso, a organizzarsi
in comitati. Questi si sono dati una propria assemblea, che si incontra di volta in volta per coordinare la presenza nei
presidi e fermare così l’inizio dei lavori, l’avvio dei cantieri; per lanciare appelli alla solidarietà concreta,
organizzare manifestazioni, per negoziare con il Comune…
La mobilitazione si è estesa e rafforzata fino a impedire in diverse occasioni, nonostante la, fino ad ora, “discreta”
presenza di polizia e carabinieri, il concreto inizio dei lavori e a mettere in piedi domenica 16 febbraio, pur se
giornata piovosa, una manifestazione composta da due cortei colorati, vivi. L’uno partito da Bonola, l’altro dalle cave
di Baggio. Quando i cortei si sono uniti si contavano oltre 800 manifestanti: “un successone” hanno commentato
soddisfatte le persone impegnate nei comitati. La riuscita della lotta ha gettato in notevole difficoltà la Giunta
Pisapia stretta fra la “necessità” di realizzare concretamente lo scasso e la sicura perdita di consenso fra la
popolazione che l’ha votata. La lotta sta entrando insomma nella fase delicata degli atti di forza: cioè del possibile
ritorno delle ruspe nei cantieri, magari protette dalla polizia, transennati, presidiati da donne, uomini giovani e meno
giovani. Il proseguimento della lotta è inevitabile. Per sostenerlo l’assemblea dei comitati ha organizzato altre
iniziative, in particolare, un pic-nic nei parchi in questione per domenica 9 marzo e una fiaccolata nel centro di
Milano che circondi il Comune, piazza Cordusio, il luogo decisionale di Expo 2015, dove il monarca è Giuseppe Sala (una
carriera ultraventennale che l’ha visto sempre direttore o presidente di qualcosa dalla Pirelli passando per Telecom
Italia, Nomura Bank…fino al maggio 2013 quando è stato scelto dal governo come “Commissario unico delegato del governo
per Expo Milano 2015”, proprio così, chiamato, lui, a far decidere Maroni e Pisapia sul che fare della”via d’acqua…”
Entrambe le chiamate hanno ricevuto buone risposte da parte di famiglie, da persone impegnate insieme a fermare le
ruspe. Di seguito stralci del volantino distribuito nel corso della fiaccolata attorno ai luoghi del dominio.
Eravamo tanti, ma non eravamo tutti!
Alle 19 la Grande Milano si muove veloce, la gente sembra fuggire dal luogo dove ha trascorso 8-9 ore della sua giornata
e ora si avvia frettolosa verso una possibile casa più gratificante. In piazza oltre 300 persone si muovono lentamente
per rivendicare, sotto i palazzi dell’inutile potere della politica, il diritto elementare di essere ascoltati, di
essere informati. Della Via d’Acqua che Expo si è inventato come grande opera per esaltare l’Esposizione Universale è
rimasta solo l’ipotesi di un “tubo idraulico” che ancora preoccupa per la sua inutilità. L’attenzione dei cittadini che
hanno costretto Expo a rinunciare alla devastazione che la Via d’Acqua avrebbe provocato nei parchi pubblici a Ovest di
Milano, rimane all’erta…
(dal comunicato dei Comitati “No canal” - Milano13 marzo 2014)
Proprio nella giornata successiva a giovedì 20 marzo scelta da Sala, Pisapia e Maroni per comunicare le decisioni sul
fare o meno la “via d’acqua”, la procura di Milano ordina l’arresto di 8 persone 8, due finiscono direttamente in
galera, accusate di “associazione a delinquere, turbativa d’asta, truffa alla Regione e falso”… Gli arresti, fanno
saltare l’incontro, ma soprattutto colpiscono il vertice di “Infrastrutture Lombarde”, società della regione Lombardia
che amministra le gare d’appalto, anche per la costruzione di Expo 2015. Così, i dirigenti di Expo, del Comune di
Milano, soprattutto della Regione Lombardia, ora sono impegnati a salvare la faccia all’intero progetto di Expo 2015;
infatti non smettono di ripetere “Expo 2015 si fa”.
In questa evidente e feroce lotta di potere, le “vie d’acqua” sono scivolate indietro. I comitati di quartiere che non
le vogliono tengono diritte le orecchie, aperti gli occhi, mentre si riuniscono per capire come proseguire la
mobilitazione.
Milano, marzo 2014
Milano, Via Preneste 2, quartiere San Siro: La lotta Paga
La mattina del 18 febbraio, poco dopo le 8:00, la polizia circonda l'isolato tra via Preneste e via Tracia, cuore del
quartiere San Siro. La questura ha disposto un ingente dispiegamento di mezzi e di uomini; 5 blindati hanno bloccato gli
accessi allo stabile, funzionari di digos e carabinieri presidiano gli incroci tra via Morgantini e via Paravia, le
ambulanze sono già posizionate... L'obiettivo non è un catturando in bandiera o una di quelle grandi retate
cinematografiche che ogni tanto si abbattono sulle nostre periferie, bensì: n° 2 famiglie occupanti alloggi Aler con a
carico 5 minori di cui un bimbo di soli 2 mesi.
I rapporti di forza in questo quartiere però non sono scontati. Ma procediamo con ordine.
Alle 9:00 squilla il telefono del Comitato Inquilini che allerta i compagni dell'azione in corso. In un attimo parte il
tam-tam che porta decine di abitanti ad assieparsi a ridosso dei cancelli già difesi dalle guardie con il casco calzato.
Alle 10:30 si contano quasi 200 persone. I numeri in campo sono importanti e di fatto si crea uno stallo. Né il comune,
né le guardie, né l'Aler si vogliono assumere la responsabilità di forzare la situazione. Nel mentre la solidarietà
cresce così come il disprezzo per gli invasori. Vengono portati tavoli e panche dal vicino Micene, alcuni abitanti
iniziano a cucinare mentre altri attrezzano il bivacco.
Alle 13:00 l'impasse è totale. Nessuno fa un passo indietro. I furgoni dell'Aler carichi dei mobili e degli oggetti
sottratti alle famiglie, sino a quel momento fermi nel cortile, cercano la sortita e provano a guadagnare l'uscita
aprendo un carraio sul lato di via Tracia. La manovra però è goffa e il presidio si sdoppia bloccando anche il secondo
accesso. Vengono quindi allontanati i giornalisti e i responsabili dei sindacati, la famiglia ancora asserragliata in
uno dei due appartamenti viene malmenata e scaraventata fuori.
Alle 14:00 la polizia carica accanendosi su donne e anziani. Travolgono il picchetto sino a quel momento deciso ma
pacifico lasciando a terra una donna in evidente stato di gravidanza e un’altra portata in ospedale con fratture a una
mano e un serio trauma cranico.
Alle 15:00 La rivolta però è virale, se provi a schiacciarla lei si diffonde. Gli abitanti che prima erano affacciati
alle finestre o guardavano da lontano ora sono davanti ai cordoni della celere con le donne in prima fila e i figli in
braccio, urla, cassonetti, sedie si levano contro i vigliacchi in divisa. San Siro li ha circondati. San Siro non li
vuole. Alle guardie non resta che ripiegare, salire sui blindati e levare le tende.
Alle 19:00 sono mille le persone che attraversano il quartiere denunciando le violenze della polizia, la gestione
mafiosa del patrimonio pubblico delle case popolari e la complicità della giunta, "arancione" di vergogna.
Al termine della manifestazione le famiglie sgomberate hanno trovato nuova casa.
Il quartiere ha trasformato la questione della casa in una "vertenza" collettiva ingenerando ad ogni tentativo di
sgombero un problema di ordine pubblico.
Finché la solidarietà cementerà il fronte della lotta per la casa questi signori non avranno chances. Nessuna casa senza
persone nessuna persona senza casa.
Milano, marzo 2014
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ANALISI CRITICA DEL “PIANO CASA” DEL GOVERNO RENZI
Il decreto legge recante “Misure urgenti per l’emergenza abitativa” varato dal Consiglio dei Ministri del 12.03.2014 non
rappresenta uno scatto in avanti per affrontare l’emergenza abitativa evocata nel titolo. L’ambito normativo in cui ci
si muove è sempre quello dalla legge 431 del 1998 che ha introdotto la liberalizzazione degli affitti e ha lasciato mano
libera ai proprietari di casa nel fissare le condizioni di mercato degli affitti.
Gli interventi dello stato sono, anche con questo decreto, al massimo rivolti a contenere gli effetti più nefasti della
liberalizzazione senza andare ad intaccare la supremazia assoluta dell’interesse della rendita e della proprietà,
cercando anche di stroncare, con l’art. 5 del decreto, i movimenti di riappropriazione diretta: impedire l’acquisizione
della residenza e l’allaccio delle utenze negli stabili occupati significa tentare di eliminare uno strumento concreto e
diretto di risoluzione del bisogno abitativo, unico strumento esistente per migliaia e migliaia di persone che vi fanno
ricorso.
Al massimo potranno avere qualche giovamento le famiglie che si potranno permettere l’housing sociale o l’affitto
concordato, con prezzi sempre più vicini a quelli di mercato, quindi famiglie con reddito medio/medio-basso.
Completamente escluse le situazioni di vero disagio, gli sfrattati, le famiglie con un solo reddito precario o senza
reddito, condannati sempre di più all’emarginazione. Altro che cambio di tendenza! Questo piano casa è uguale a quello
di Berlusconi, rispolverando la vendita del patrimonio erp, facendone un perno centrale della manovra, andando a
impoverire ulteriormente la dotazione già misera (meno del 4% del totale delle abitazioni) dei comuni italiani.
In continuità con le manovre precedenti sulla casa sembra fatto per offrire facili occasioni di intervento alle imprese
del settore edile, che si vedono riconosciuti anche benefici fiscali (art.6). Non si accenna a misure minimali come il
blocco degli sfratti, la tassazione dello sfitto o il recupero a fini di edilizia pubblica di aree edificate abbandonate
(caserme per esempio).
La classe proprietaria è una casta i cui interessi non devono essere sfiorati e costoro sono i veri beneficiari di una
manovra che si presenta sotto mentite spoglie. Noi restiamo persuasi, anche di fronte al fallimento già verificato delle
misure pedissequamente riproposte con questo decreto, che il bisogno di casa vissuto da centinaia di migliaia di
famiglie, giovani, studenti sia risolvibile, in completa controtendenza con il piano casa di Renzi e Lupi, andando a
intaccare pesantemente la grande proprietà immobiliare, con la requisizione dello sfitto, il blocco degli sfratti, un
piano di edilizia popolare da avviare su aree già edificate e abbandonate, la conversione dell’edilizia sociale/housing
sociale in edilizia residenziale pubblica.
liberamente estratto da
marzo 2014, Rete diritti in casa - Parma