indice n.88

Oleodotto nel Sud-Sudan: interesse e impegno della Germania
Insurrezione in Bosnia-Erzegovina
AGGIORNAMENTI DELLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Sulla funzione-scopo delle carceri in Germania
LetterE dal carcere “Pagliarelli” (PA)
lettera dal carcere di bergamo
lettere dal carcere di Alba (cn)
Lettera dal carcere di Pescara
LetterE dal carcere di Rebibbia (RM)
Lettera dal carcere di Siano (CZ)
Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
da una lettera dal carcere di pavia
lettere dal carcere di san vittore (mi)
Sul processo a Trieste contro Maurizio e Valerio
Lettere dal carcere di Ferrara
Lettera dal carcere di Piacenza
Lettera dal carcere di Lecce
Lettera dal carcere di Milano-Opera
Lettera di Davide Rosci
15 ottobre 2011: un’assoluzione e quattro condanne
PRESIDIO ANTI-CARCERARIO A SAVONA
Lettera dal carcere di Winterthur (Svizzera)
sul “PROCESSONE” e altri processi CONTRO IL MOVIMENTO NO TAV
Aggiornamenti sui 4 no tav accusati di terrorismo
trento: azione contro il tribunale di sorveglianza
lettera dal carcere di alessandria
sabato 22 febbraio: mobilitazione generale del Movimento NO TAV
processo cox18, resoconto udienza del 30 gennaio
Pisa: perquisizione al Garage Anarchico
arresti a roma e napoli
Roma, 15 marzo: manifestazione nazionale contro la repressione
monza: I FINTI BUONI CHE SGOMBERANO K2O
Sulla giornata in ricordo delle Foibe a Cremona


Oleodotto nel Sud-Sudan: interesse e impegno della Germania
Nel SudSudan lo scontro armato fra truppe del governo e ribelli si approfondisce, mettendo in fuga centinaia di migliaia di persone.
Il 9 luglio 2011 la popolazione di questo territorio, si è staccata anche dal Sudan, approvando con voto diretto, fra l’altro, una costituzione provvisoria. Nel nuovo paese mancano tante cose, ma non scarseggiano le carte scritte dell’ordinamento statale. Sin dalla sottoscrizione dell’accordo di pace fra nord e sud stipulato il 9 gennaio 2005, giorno anche del referendum tenutosi nel sud sulla separazione, lo stesso territorio si era dato una propria costituzione però di carattere regionale. In seguito con il sostegno di esperti competenti, quella prima carta costituzionale è stata elaborata in costituzione entrata in vigore nel SudSudan immediatamente dopo il referendum del 9 gennaio 2011. Gli esperti che hanno consigliato, collaborato in tutto lavorano presso l’Istituto per il Diritto Pubblico Estero e per il Diritto delle Genti Max Planck di Heidelberg (Germania).
L’interesse della RFT verso il SudSudan risale ai primi anni 90, quando gli USA iniziano a impegnarsi contro forze presenti nel mondo arabo a loro ostili; nel sud del Sudan è in corso da decenni una guerra condotta dalla popolazione del sud per separarsi dal nord. La ragione della guerra è semplice: nel sottosuolo del sud sono nascosti tre quarti delle riserve petrolifere dell’intero Sudan. E’ chiaro che il Sudan perdendo il sud non perde soltanto un territorio gigantesco, ma anche un’entrata considerevole. I rapporti fra organizzazioni tedesche (oltre a quella citata, si ricorda la Fondazione Konrad Adenauer) e separatisti sudanesi risalgono a quell’interesse e a partire da quel tempo.
Gli affari delle società tedesche vanno a gonfie vele a cominciare dalla costruzione di strade che facilitano i rapporti di scambio con Kenia, Uganda… Rimane irrisolto il problema del trasporto del petrolio. L’oleodotto in funzione per esportarlo attraversa il Sudan, che lo controlla e ne trae anche entrate finanziarie. Il SudSudan vuole separarsi da questa morsa.
Nel 2003 una società tedesca costruttrice di binari progetta un collegamento ferroviario fra Juba, capitale del SudSudan e Mombasa, città portuale del Kenia. L’idea è di trasportare il petrolio con vagoni-cisterna e costruire in seguito un oleodotto. Tuttavia il primo contratto per la costruzione di quella linea ferroviaria è stato assegnato a imprese cinesi.
In ogni caso Berlino continua a fornire il proprio sostegno al nuovo paese-stato: nel 2007 il governo tedesco ha stretto un accordo decennale che prevede la formazione di personale amministrativo statale…nel 2008 ne viene sottoscritto un altro per il “rafforzamento delle funzioni della polizia”…
L’RFT ha riconosciuto lo stato del SudSudan l’8 luglio 2011, ancor prima del risultato del referendum, e il giorno dopo ha aperto l’ambasciata…

17 gennaio 2014, da jungewelt.org


Insurrezione in Bosnia-Erzegovina
In Bosnia-Erzegovina fra il 1991-1995 si è combattuta una guerra civile durissima fra le etnie croata e serba scatenata dagli interessi degli stati imperialisti, in primo luogo USA, Italia, Germania... Il fattore scatenante della sommossa di questi giorni è stata la protesta dei lavoratori di cinque imprese di Tuzla (nord-est del paese) cadute in bancarotta. La protesta è stata preparata, esortata nelle reti sociali sotto il motto “50mila persone in strada per un domani migliore”. In tante città si è arrivati allo scontro con la polizia, che ha parzialmente perso il controllo.
Mercoledì 5 febbraio: le persone licenziate manifestano davanti alla sede del governo regionale per ottenere gli aiuti statali. Tanti di quei lavoratori non ricevono salari da mesi, neppure l’assicurazione sociale. Le loro rivendicazioni sono cadute nel vuoto.
Giovedì 6 la protesta si estende. Accanto agli operai vanno in strada studenti e pensionate/i. Circa 7mila persone riescono a bloccare le strade e a urlare davanti davanti all’amministrazione cantonale “ladri, ladri”… riescono ad entrare nell’edificio, la polizia manganella, poi, visto che per lei si metteva male inizia a sparare proiettili di gas lacrimogeni. I manifestanti rispondono con sassi, bottiglie incendiarie, incendio dei cassonetti della spazzatura. Sono contati 130 feriti, innanzitutto poliziotti.
Il giorno seguente, di fronte al rifiuto del governo cantonale di esaudire le richieste dei manifestanti, la lotta si intensifica… ci si batte apertamente per la cacciata del governo e allo stesso tempo contro l’intromissione di stati esteri. Nella capitale Sarajevo viene appiccato il fuoco al palazzo del governo…
Tuzla è simbolo della sconfitta del capitalismo: nella Jugoslavia socialista la città era un centro industriale con tanti posti di lavoro, innanzitutto nelle miniere, nella produzione chimica e dell’energia. Oggi di tutto ciò non esiste quasi più niente: tante fabbriche, su pressione delle organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale o l’Unione Europea, sono state privatizzate; in gran parte sono state poi vendute sotto valore a società estere o a “trafficanti” locali. E’ nato da qui il termine “mafia della bancarotta” che si dà da fare con il lavaggio del denaro sporco: le imprese prese di mira vengono condotte in bancarotta, le loro macchine e gli edifici messi in vendita, infine operai/e buttati in strada.
Così adesso in Bosnia (3,8 mln di abitanti) la disoccupazione ha investito circa 100mila persone (in maggioranza giovani), di fronte a 80mila che hanno (ancora) un posto di lavoro; la moneta locale (marco) è collegata all’euro, i prezzi delle merci sono molto simili a quelli praticati in Germania, ma in Bosnia il salario medio ammonta ad appena 420 euro: per tante persone la fame è ormai un’esperienza quotidiana. Per questo non è una sorpresa sentir pronunciare, fra chi è sceso in strada, parole in favore del passato, della Jugoslavia socialista.
Sabato 8 e domenica 9: migliaia di persone sono scese in strada, città come Sarajevo sono completamente bloccate dall’insurrezione che ha già realizzato una conquista: nei cantoni di Sarajevo, Tuzla e Zenica i primi ministri dei rispettivi governi si sono dimessi. Negli incendi delle sedi governative e della polizia sono rimaste ferite centinaia di persone insorte, soprattutto giovani.
L’alto rappresentante del governo di Sarajevo occidentale, Valentin Inzko, in un’intervista al quotidiano austriaci “Kurier”, non ha escluso, se l’insurrezione non si dovesse fermare, di esortare l’Unione Europea (UE) ad inviare un proprio “aiuto” militare. Già nel 2004, in una situazione calda, l’UE inviò (missione Altea) dei soldati in Bosnia-Erzegovina, precisamente 100 l’Austria e 129 l’RFT.
Mercoledì 12 e giorni successivi le proteste sono proseguite e estese con assemblee di operai/e, disoccupat*, pensionat*, studenti.
A Sarajevo ai blocchi stradali si sono uniti gli autisti dei mezzi pubblici, ai quali da parecchi mesi non vengono versati i salari. Il discorso centrale, che percorre i blocchi stradali, è il ritorno nelle mani dello stato delle aziende privatizzate.

Febbraio 2014, da jungewelt.org


AGGIORNAMENTI DELLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Torino, CIE di C.so Brunelleschi
13 gennaio. Mentre i crocerossini di Mappano si preparano ad arringare una ventina di aspiranti volontari succede un imprevisto. Un gruppo di solidali con le lotte dei reclusi nei CIE entra in sala: qualcuno srotola uno striscione, qualcun altro inizia a distribuire volantini, altri ancora raccontano a tutti i presenti l’altra faccia della Croce Rossa, quella che da anni collabora nella gestione delle prigioni per senza documenti. I crocerossini si innervosiscono in fretta e non sanno che pesci pigliare: qualcuno vorrebbe zittire e cacciare i contestatori, qualcun altro propone di tenerli bloccati fino all’arrivo dei carabinieri. Dopo una decina di minuti i contestatori se ne vanno in tutta tranquillità.
15 gennaio. È l’una di notte nell’area rossa del Cie di Torino, quando un recluso di trent’anni in attesa di asilo politico è colpito da una crisi epilettica mentre si trova in cortile. Per verificare se fosse o meno una messinscena, i poliziotti di guardia lo pestano per bene. Gli altri reclusi riescono a impedire alla polizia di portarsi via il ragazzo e lui, una volta tornato nelle camerate, decide per protesta di cucirsi la bocca con del fil di ferro.
18 gennaio. Presidio davanti al CIE. Prima che tutto ricominci come prima e per non dimenticare!
27 gennaio. Negli uffici postali di Porta Palazzo e della Barriera di Milano, un gruppo di solidali con le lotte dei reclusi dei CIE, con manifesti sulle vetrine, volantini e interventi al megafono segnala a clienti e impiegati che PosteItaliane, attraverso la loro controllata MistralAir, collaborano con le deportazioni dei senza-documenti. Gli impiegati si sono barricati nell’ufficio lasciando fuori i clienti e hanno riaperto solo all’arrivo di una volante di polizia, rimasta a piantonare fino all’orario di chiusura.
28 gennaio. I lavori di ristrutturazione delle aree rese inagibili dal fuoco delle rivolte, non sono stati ancora iniziati. All’interno del CIE, dopo trasferimenti veloci ed espulsioni, son rimasti 45 reclusi, sembrerebbe che pian piano stiano svuotando questo lager forse per chiuderlo?
8 febbraio. Presidio davanti al CIE. Fuoco ai CIE “Dopo le immagini da Lampedusa, dove gli ospiti del CPSA venivano messi in fila nudi per essere disinfettati.
Dopo le immagini da Roma, dove gli ospiti del CIE si son dovuti cucire la bocca con ago e filo per far sentire la propria voce, prima a Natale e di nuovo pochi giorni fa. Dopo gli incendi delle ultime settimane nel CIE di Torino, ora per tre quarti distrutto.
Dopo le dichiarazioni, le inchieste, le denunce di questi ultimi mesi nessuno può più ignorare che dentro i Centri per senza-documenti gli ospiti non sono ospiti ma prigionieri e che l’accoglienza che vi si pratica è quella di un lager. Nessuno, nemmeno chi già sapeva ed ha scosso le spalle impotente, chi vedeva da un balcone ed ha sorriso.
Fanno finta di niente, invece, quelli che i Centri li hanno inventati, allargati e sostenuti, quelli che hanno annusato un buon affare e ne hanno approfittato. Fanno finta di non essere i responsabili dell’esistenza dei Centri in Italia, per evitare che tutti li trattino come andrebbero trattati: Giorgio Napolitano e Livia Turco, Umberto Bossi e Gianfranco Fini, con i loro sodali di un tempo e di oggi; la Croce Rossa, le cooperative bianche e rosse come Auxilum e Connecting People, le Misericordie, e pure le Poste Italiane, che con la compagnia aerea Mistral Air hanno il monopolio dei trasferimenti interni e delle espulsioni dei senza documenti verso il Nord Africa.
Prima ancora che si accendessero i riflettori su di loro, i prigionieri dei CIE hanno saputo fare quel che andava fatto: rivoltarsi, scappare, distruggere le gabbie dentro le quali venivano rinchiusi. È solo grazie a loro che oggi rimangono in piedi soltanto cinque CIE, smozzicati, bruciacchiati e a funzionamento ridotto.
I prigionieri, dentro, hanno fatto la propria parte, a noi fuori spetta fare la nostra: sostenerli quando lottano, ma anche non dar pace a chi ha inventato i CIE, a chi li ha riformati, a chi ne ha fatto un mestiere e ancora oggi ci lucra sopra. Senza aspettare di vedere che ne sarà delle promesse di parlamentari e ministri, senza aspettare le lacrime di coccodrillo di qualche consigliere comunale. Ora più che mai è il momento - dentro e fuori - di dare l’ultima spallata perché dei CIE non rimangano che macerie. Prima che, spenti i riflettori, tutti si dimentichino dei Centri e di quel che ci capita dentro. Prima che tutto ricominci come prima.
4 febbraio. Nella sede della Croce Rossa di Moncalieri si tiene un corso di primo soccorso a pagamento. Un occasione per un gruppo di nemici di frontiere e sfruttamento di spiegare ai partecipanti il ruolo della CRI nella gestione dei CIE, della sua complicità con le vessazione ed i maltrattamenti verso i reclusi, dei manganelli, dei pestaggi e delle chiavi delle celle, che i crocerossini hanno spesso e volentieri tenuto in tasca. Poche parole, ma piuttosto dure… La copertura verso l’ispettore di polizia che ha provato a stuprare Joy, nel Cie di Milano, la morte di Hassan nel 2008 per mancanza di cure.
10 febbraio. Due prigionieri danno fuoco alla propria camera, la stanza numero 5 della sezione di “isolamento”, son stati spostati in un’altra già danneggiata in passato e senza corrente. Inoltre la polizia sequestra gli accendini.
14 febbraio. Sui muri di una sede del PD sono apparse scritte “Esposito, Bubbico, dietro i Cie ci siete voi”, “Le belle parole non cancellano le colpe, pagherete tutto”.

Modena, 1 febbraio. Presidio in Piazza Torre in solidarietà con Andrea, Gabriele, Sabbo e chi si rivolta nei CIE
Il 16 giugno scorso tre compagni, Andrea,Gabriele e Sabbo, sono stati arrestati a Modena con l’accusa di aver danneggiato la struttura del locale CIE (centro di identificazione ed espulsione per immigrati).
Pubblico ministero e polizia parlano di una sorta di attacco paramilitare condotto da una ventina di persone travisate, i danni sono una siepe e un telone bruciacchiati. Da allora Andrea, Gabriele e Sabbo sono sottoposti all'obbligo di dimora nel comune di residenza e al rientro notturno. Il loro processo è stato già rinviato per cinque volte consecutive, questo permette il protrarsi delle misure cautelari a loro carico.
Non ci interessa se quel giorno le cose siano andate come descritto dagli sbirri e se i compagni arrestati abbiano o meno partecipato. Ciò che ci interessa è che i Cie sono dei lager, e i lager vanno distrutti. Dei tredici centri esistenti circà metà, tra cui da agosto anche quello di Modena, sono chiusi grazie alle rivolte partite da chi vi è rinchiuso.
Chi istituisce dei lager (il Partito Democratico, con la legge Turco-Napolitano), chi ci lucra (i vari enti gestori come la Misericordia di Giovanardi) e chi li protegge (esercito e polizia), è un nostro nemico. Noi stiamo dalla parte degli immigrati che all'interno dei centri si rivoltano e di coloro che dall'esterno fanno di tutto per inceppare il funzionamento di queste strutture. A loro va tutta la nostra solidarietà. I CIE si chiudono col fuoco della rivolta. Anarchiche e anarchici.

Roma, CIE di Ponte Galeria
30 gennaio. Prosegue la protesta delle bocche cucite per 13 internati perché naturalmente non è cambiato nulla. Inoltre hanno saputo che alcuni loro connazionali, nelle loro stesse condizioni, sarebbero stati rilasciati dal centro di espulsione di Caltanissetta.
Altri 20 reclusi sono in sciopero della fame. Uno dei reclusi con la bocca cucita è stato liberato con un permesso di soggiorno per “protezione umanitaria”. Gli altri son contenti per lui, intanto proseguono la protesta.
1 febbraio. I 13 contestatori si sono scuciti le labbra e hanno ripreso a nutrirsi, naturalmente l’interruzione della protesta è avvenuta per sfinimento. I reclusi sono meno di cento su di una capienza teorica di trecentosessanta posti e le tre aree distrutte sono là, abbandonate a sé stesse.
15 febbraio. Dopo il rimpatrio di due reclusi, 42 internati sono in sciopero della fame ed hanno dichiarato: “Qui dentro sta tornando il vento della disperazione”.
Manifestazione davanti al CIE, organizzata da antirazzisti, da associazioni di migranti, centri sociali e movimenti di lotta per la casa e varie associazioni al seguito, per chiederne la chiusura. Ci sono stati attimi di tensione quando alcuni manifestanti hanno provato a buttare giù una recinzione e la polizia ha lanciato dei lacrimogeni.

4 gennaio. Sicilia, Porto di Augusta
Sbarco di 233 migranti, presi e messi in un palazzetto dello sport di Augusta, il Palajonio, in attesa di essere internati negli altri pochi CIE rimasti. In questo periodo in questo porto son sbarcate più di mille persone. Tra gli sbarcati ci sono 40 minori, di cui 22 non accompagnati. Questi ultimi sono stati sistemati presso una struttura di Priolo. Altri minori, separati dai propri nuclei familiari, sarebbero finiti in una struttura di Catania.

21 gennaio. Brindisi, CARA di Restinco
Scoppia una rivolta animata da una ottantina di richiedenti asilo politico, che con calci e pugni aggredisce gli addetti alla vigilanza, che sono costretti ad arretrare e chiamare rinforzi. Due nigeriani di 18 e 25 anni, sono stati arrestati con le accuse di resistenza e minacce aggravate e lesioni a pubblici ufficiali. Un militare è stato lievemente ferito.

27 gennaio. A Firenze, contro i complici delle espulsioni
Gli sportelli bancomat di cinque uffici postali vengono messi fuori uso con della colla versata nelle fessure di inserimento delle schede, e sulle vetrine vengono tracciate scritte come «No Cie», «No rimpatri» e «Poste=Mistral Air=deportazioni». Anche nel vicino comune di Bagno a Ripoli, sulle fiancate di quattro automobili della C.R.I. compaiono scritte contro le espulsioni e vengono tagliate le gomme.

31 gennaio. Roma, CARA di Castelnuovo del Porto
A causa del diluvio su Roma, i rifugiati del CARA trovandosi chiusi nelle celle allagate, son stati costretti a salire sui tetti. Questa struttura è stata costruita su una piana alluvionale del Tevere e si è completamente allagata, un operatore è rimasto gravemente ferito a causa di un corto circuito. L’assenza di acqua calda, riscaldamento ed il rifiuto da parte dei soldati di distribuire la colazione ha fatto nascere un piccolo incendio davanti alla caffetteria. Spento l’incendio, il cibo è arrivato.

Catalnisetta, CIE di Pian del Lago
4 febbraio. Nella notte quattro reclusi scavalcano il muro di cinta, oltre la recinzione incontrano due soldati ma non riescono a trattenerli, così riescono ad evadere.
15 febbraio. Mentre all’esterno del Cie si tiene un presidio per la chiusura del centro, cinque prigionieri approfittano della confusione creatasi all’interno e tentano la fuga superando muri e cancelli. La polizia riesce a catturare tre fuggiaschi, ma due riescono a far perdere le proprie tracce e a riconquistare la libertà.

11 febbraio. Milano, CIE di Via Corelli
Proprio di fianco alla sede del CIE, chiuso da gennaio per ristrutturazione, stanno costruendo una palazzina bianca di due piani con ingresso coperto e tetto spiovente. Sembrerebbe che il Cie Corelli si trasformi in un CARA, centro di “accoglienza” per richiedenti asilo. Il nuovo aguzzino gestore sarà la Cooperativa francese Gepsa, che hanno già operato in Italia al Cara romano di Castelnuovo di Porto e che in patria si occupano di carceri, è uno dei principali partner dell’amministrazione penitenziaria.

13 febbraio. Cagliari, Centro di “Prima Accoglienza” di Elmas
Una nuova fuga ha bloccato alcuni voli dell’aeroporto di Cagliari per due ore, adiacente al centro d’internamento. Tra nove fuggiaschi, purtroppo cinque son stati riacciuffati, speriamo uccelli di bosco per i rimanenti.

16 febbraio. Sicilia, CARA di Mineo
Presidio per la chiusura del CARA e di tutte le galere etniche, organizzato da molte varie associazioni e antirazzisti.

Le Morti alle frontiere
30 gennaio. Calais, Stretto della Manica. Un ragazzo di 17 anni proveniente dall’Iran, ha provato ad attraversare la frontiera per raggiungere il Regno Unito, nascondendosi in un camion. Nel tentativo di scendere, è caduto ed è stato investito da un altro camion in arrivo, uccidendolo sul colpo. È la quarta morte alla frontiera di Calais negli ultimi sei mesi, ed almeno la ventiduesima negli ultimi quattro anni.
4 febbraio. Si sa solo che un giovane iraniano viene ucciso da un proiettile.

Milano, febbraio 2014


Sulla funzione-scopo delle carceri in Germania
[...] Da anni sosteniamo che con la richiesta di un miglioramento delle condizioni carcerarie potrebbe venir costruita la solidarietà ampia fra i prigionieri, indispensabile per un’efficace resistenza. Noi, purtroppo, dobbiamo tener ben presente che questa è una chimera. Perlomeno il 90% dei prigionieri, in genere, non è politicamente interessato (molto triste, ma vero) e che sicuramente il 95% dei prigionieri, per cause differenti, non si difende da tutto quel che gli viene combinato dal sistema nel corso degli arresti. La gran parte dei prigionieri si arrangia e vive una paura assoluta nei confronti dei soprusi, degli arbitri immediati e brutali adoperati per intimidire ogni resistenza. I prigionieri sono al 100% nelle mani del sistema e nessuno può realmente aiutarli, può mettere fine a un simile terrore. Questo lo sa benissimo ogni prigioniero. L’ispettorato di vigilanza nelle carceri e i tribunali sono parte di questo sistema, lo conoscono e lo permettono.
In una lettera del gennaio 2013 abbiamo scritto che al massimo in tutte le carceri del paese ci sono 200 prigionieri effettivamente resistenti. 200 su 70mila! Il sistema attraverso il terrore prodotto dalle armi dell’intimidazione sforna questo tipo di prigionieri. E funziona addirittura in modo fantastico. Il 95% dei prigionieri s’accuccia, si piega nel vero senso della parola. Oggigiorno fra i prigionieri non esiste più alcuna solidarietà, quanto meno nessuna ampia e chiara. Noi temiamo che non si ripresenterà fino a quando i prigionieri non vedranno che essa si ristabilisce anche fuori in forma percettibile. Siamo altrettanto convinti che solo se i prigionieri capiscono bene che anche fuori si fa qualcosa in tal senso, possono tornare a riflettere sulla ripresa della resistenza. Siatene certi: sappiamo quel che scriviamo! Purtroppo lo conosciamo troppo bene!
Scrivete che la vostra intenzione di comunicare sulle carceri sarebbe una possibilità di sviluppare rapporti e una miglior resistenza contro le esistenti angherie. Anche noi siamo dell’avviso che le iniziative non sono sufficienti; però qui su questo tipo di appelli vogliamo proporre alcune riflessioni: chi esorta e motiva i prigionieri alla resistenza passiva deve responsabilizzarsi con cura nei confronti di chi li segue e spera nell’aiuto. In tante lettere abbiamo descritto come agisce questo sistema quando si tratta di ammutolire i prigionieri ribelli o di ammansirli in qualche maniera.
Domanda: Che cosa volete e riuscite realmente a fare per loro, se loro seguono i vostri appelli e poi vengono terrorizzati dal sistema e vengono seriamente torturati? In quale forma di sostegno possono contare questi prigionieri? Nei momenti di protesta vengono inviate non soltanto squadrette di guardie che pestano chi si ribella.
Questo è il punto saliente rispetto alla resistenza nelle carceri poiché il “gatto” si morde sempre la “coda”: dato che i prigionieri sono completamente nelle mani del sistema e perché non esiste nessuna loro resistenza visibile, bisogna aver cura nel considerare che i prigionieri caratterizzabili come “Kamikaze e Sepuko” sono sparpagliati in 300 carceri. Se la gran parte dei prigionieri di diverse carceri si unisse e si contrapponesse al sistema in modo completamente pacifico e passivo, le carceri nel volgere di pochi minuti verrebbero completamente paralizzate. Le carceri funzionano unicamente perché le fanno funzionare i prigionieri. Chi come prigioniero lancia simili appelli, oggi si troverebbe in un tempo brevissimo trasferito in altro carcere in isolamento assoluto e, inoltre, con un aumento di pena a causa di “istigazione all’ammutinamento”. Si può pretendere questo da una persona o addirittura esigerlo? Proprio no.
Come detto: noi sappiamo quel che diciamo ed anche che la lotta anticarceraria deve essere portata avanti perciò anche fuori. In quale forma condurla è cosa che riguarda ognuno/ognuna. Il fatto è: soltanto a chi è fuori è possibile muovere qualcosa – soltanto chi è fuori non avverte il terrore 24 ore su 24 del sistema carcerario, non ci si confronta. Inoltre occorre accortezza: il sistema carcerario adopera anche l’invio di notizie di tutte le istituzioni, lo somministra ai prigionieri come mezzo di oppressione, ciò assieme al terrore psicologico, a innumerevoli arbitri e soprusi. Chi chiede il rispetto dei diritti viene automaticamente querelato e considerato soggetto da combattere. Questo sistema caga sulle sue leggi fondamentali. Qui dentro va a noi non diversamente da come va a voi fuori. Quello su cui state riflettendo a Magdeburgo, Berlino e in altre città non serve “unicamente” alla spiegazione di un qualche “reato”, ma piuttosto riguarda la crescente e durevole resistenza contro l’esistente giustizia di classe, la repressione e per chiarire i ripiegamenti criminali del diritto. In questo bisogna ben chiarire che si tratta di tentativi di intimidazione e di potatura dei diritti umani fondamentali.
Oggi la sinistra ha bisogno del superamento dei litigi ideologici; è tardi per discutere sulla difesa delle origini. Dobbiamo unirci affinché la controcorrente di sinistra anarchica e/o comunista non venga terrorizzata e criminalizzata. Per questo scopo i detentori del potere utilizzano ogni possibilità, compresa la brutalizzazione dell’essere umano. C’è da aspettarsi che riprendano ad impiegare l’art. 129 del codice penale [equivalente al nostro 270bis, associazione sovversiva con finalità di terrorismo, ndr].
Va continuamente chiarito al sistema che 5 dita sono effettivamente un pugno e se esso cerca di spezzare anche solo una di queste dita, si troverà di fronte 1000 pugni. Come è accaduto di recente a Stoccolma (dove nel maggio 2013 per oltre una settimana nei quartieri abitati soprattutto dall’immigrazione è scoppiata una vera e propria rivolta con incendi di negozi, uffici, auto…a causa dell’uccisione di un immigrato da parte della polizia).
Saluti solidali a tutte/i coloro che è comune l’ABC con le sue lettere piccole e grandi

Pit Scherzl (prigioniero e membro di un’associazione di sostegno alla resistenza di chi si trova in carcere); traduzione da gefangenen.info, dicembre 2013


LetterE dal carcere “Pagliarelli” (PA)
Per me è stata un’immensa gioia partecipare, finalmente anche dall’isolamento, riprendevo a lottare all’interno di un contrasto più generale qual è stata la mobilitazione di settembre. È stato un grandioso inizio che ci ha permesso di gettare le basi per affrontare il percorso di lotta che si vuole cercare di costruire. Le galere coinvolte non sono state numerose, perché secondo me, non c’è stato il tempo sufficiente per diffondere la proposta.
Noi detenuti possiamo dare un contributo fondamentale nel far girare l’appello per la seconda mobilitazione che avverrà tra qualche mese, comunicando a tutti i nostri conoscenti, amici, familiari che sono detenuti in altre galere, questa iniziativa, e informando i compagni/e fuori a quali persone è possibile spedire l’opuscolo “Il morso del serpente”, in modo che, a catena, ci possa essere la massima diffusione.
L’obbiettivo è quello di avere una forte unità per ottenere con la lotta quelle che sono le nostre rivendicazioni, senza cedere a mediazioni e compromessi con le istituzioni, sarebbe la morte della lotta stessa. Il potere è solito usare la tattica di gestirci all’interno dei loro comandi e ricattarci ancora di più! Non dobbiamo farci intimorire dalle rappresaglie del consiglio di disciplina, anzi, è più che giusto che se ne ottenga la sua abolizione! Se ci trattano peggio delle bestie (con tutto il rispetto per le bestie) come pretendono che noi ci comportiamo? Per ogni punizione che ci danno perché stiamo lottando contro il mostro torturatore carcerario, non solo essere appoggiati dal “soccorso legale carcere”, che è un collettivo di avvocati che si è costituito apposta per contrastare le dinamiche della punizione (e ingraziamo i compagn* per questo importantissimo sostegno!) ma anche e soprattutto il coordinamento deve rispondere, insieme alla lotta esterna, con iniziative solidali, nei confronti di chi è finito nel circuito meschino e vendicativo della punizione (trasferimenti, 14bis, sanzioni disciplinari varie) sostenendo con la lotta i nostri compagni caduti nelle mani del “tribunale interno di esecuzione” (cons. di disciplina) solo così, nella multiformità della solidarietà potremo riuscire a contrastare la logica del ricatto con più efficacia. Detenuti di tutta Italia uniamoci! Davide.

Pagliarelli, 7 gennaio 2014

***
Oggi ho sentito alla radio la notizia del rigetto della scarcerazione da parte del riesame, per gli arresti che sono avvenuti in merito ad un’azione No Tav, ai quali vorrei aggiungere, insieme al movimento, il mio messaggio di vicinanza.
L’altro giorno ho ascoltato una Commissione d’inchiesta che interrogava il capo del DAP Tamburino on merito alla vicenda di Riina e del 41bis in generale. E’ stato affermato che per certi aspetti non è possibile inasprire il 41bis, perché sia la Corte Costituzionale che quella europea, hanno posto alcune direttive su dei limiti che non possono essere superati. Ad esempio, l’assenza totale di socialità (nell’ora d’aria in questo caso) è incompatibile con l’art. 3 del CEDU, però non capisco perché non debba valere anche per il regime del 14bis, dato che di fatto ci troviamo soli e senza poter parlare con nessuno (oltre tutto è vietato) 24 ore su 24.
Presumo che una lotta reale contro il 14bis non sia mai avvenuta, ma non per abbellirlo ma per annullarlo definitivamente. Da quando è stato creato, mi sembra nel 2004 (potete dirmelo con esattezza?) non ho sentito niente che possa indicare una forte rottura contro questo regime, ma potrei anche sbagliarmi. Se avete informazioni in merito mi sarebbe utile averle, dato che mi sto preparando a un serio percorso in questo senso.
Sempre dall’ascolto di questa commissione d’inchiesta, il capoccia propone di estendere il sistema di videoconferenza nel resto dei circuiti penitenziari, ma questo già lo sapevamo. Poi riporta un dato, che rispetto ai 760 detenuti in 41bis, 10 di loro presentano manifestazioni ribelli… vantandosi che in un anno ci sono stati 800 ricoveri in ospedale, considerando l’età avanzata di quasi tutti i detenuti sepolti nel 41bis… Riferisce, sempre il capoccia, che i N.I.C. possono svolgere anche indagini su dati che affluiscono da tutti i penitenziari quando si presentano delle “fasi critiche”, per cui viene subito segnalato il pericolo e da qui il rapporto coi Gom. Esiste anche una convenzione che prevede una collaborazione tra servizi segreti e DAP (quando è ufficiale) per meglio strutturare il rapporto d’intelligence e altro. Citava tra l’altro il “protocollo farfalla”, magari su internet si può trovare qualche approfondimento.
Ho accennato queste cose per ricordare di quanto il sistema repressivo stia avanzando, statale e privato che sia (poiché l’uso è il medesimo), interconnettendo le forze che mettono in campo. Anche noi detenuti abbiamo l’occasione di unirci nella lotta nel rilancio della seconda mobilitazione che riterrà ad aprile. L’appoggio esterno sarà più forte che mai e quindi è meglio non trovarsi impreparati. Se non avessi questa condizione in cui non posso scrivere liberamente, avrei con piacere dato una mano per un contributo più dettagliato rispetto a inventive di metodi che si potrebbero utilizzare nel corso del contrasto. Ma non mancherà più in là l’occasione per farlo.
Per ora vi saluto cara Olga, grato per la vostra presenza. Un abbraccio fraterno. Davide

Presoni de Pagliarelli, 18 gennaio 2014

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Saludi kumpanzo, oggi ho finalmente ricevuto l’opuscolo, ieri mi è arrivata la tua lettera del 4 gennaio (+ bollo e cartolina) con sul retro l’intervento dei Folletti della Belfast Valsusina che perseguono la “strategia del logoramento”. Così la forza del movimento penetra anche in questo lurido isolamento, dandomi quel calore e quella risolutezza per avanzare nella resistenza anche se cementificati vivi in questo luogo di annientamento.
Mi chiedevo se l’opuscolo sta girando anche in Valle, mi sembra importante per avere maggiore consapevolezza sul legame tra dentro e fuori.
Ho sentito alla radio (alla fine l’ho dovuta comprare a 40 euro e che al massimo ne potrebbe costare 7! Togliendomi la banda di frequenza AM, col sospetto di manomissione per consumare più batterie!) di quei due detenuti che sono morti di cancro, il secondo dopo 30 giorni dalla scarcerazione per motivi di salute, mentre un terzo detenuto, sempre nella galera di Alessandria, dopo un anno di continue lamentele alla fine non riusciva più ad alzarsi dal letto, cosa che ha costretto i dottori a portarlo in ospedale, diagnosticandogli un tumore alle ossa!
Bisognerebbe fare una forte campagna contro questi macellai della salute, poiché con diagnosi superficiali ed errate, hanno creato una logica per cui il detenuto simula sempre… fino alla morte! O come quando succedono degli “incidenti” il medico scrive che siamo caduti dalle scale. Sono tutti come il dott. Mammoli [fra i maggiori responsabili della morte di Franco Serantini dopo due giorni di carcere per trauma cranico nel carcere di Pisa nel maggio 1972, perché nella visita d’ingresso e successive diagnosticò il dolore alla testa del compagno come un semplice mal di testa, ndr] ...insomma non è una novità.
Qui siamo certamente immersi nel gelo e nell’umidità, fa incazzare che nessuno protesti per i riscaldamenti che non funzionano da anni. Questa condizione di maltrattamento l’ho specificata all’amministrazione che non ha neanche il coraggio di rispondermi. Per cui passo il tempo girando in cella come un cavallo che vorrebbe correre, ma che si limita invece a sbrinare le articolazioni. E quando sono bello caldo mi siedo per scrivere.
Un abbraccio di fortza paris a tutto il collettivo, Davide.

Presoni de Pagliarelli, 11 gennaio 2014

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Ciao, spero tutto bene! Come vedi unisco a questa il verbale che mi hanno notificato oggi. L’unico della giornata e nei giorni precedenti ne ho ricevuti degli altri, sempre inerenti alle cartoline dal “tenore anarco-insurrezionalista”. Si è dunque scoperto che il censore non gradisce neanche la libertà di stampare le cartoline che possano esprimere la propria creatività, utilizzando a piacimento l’art. 38 comma 6 del regolamento di esecuzione che dice che si può eseguire il trattenimento solo se ci sono “contenuti che costituiscono elementi di reato o che possono determinare pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza”. Alla faccia dell’interpretazione! Questo non succede neanche nelle sezioni AS2! Comunque lo farò notare anche all’avvocato quando verrà.
Intanto sono dal 7 febbraio in sciopero della fame contro il 14bis e la sua bestialità.
Anche perché mi è stata fatta la proroga di altri 3 mesi [di 14bis, ndr], sempre con l’arbitrio di cui sono capaci. Poi mi è stato riferito che il Consiglio di disciplina che ha emesso il parere favorevole alla proroga ha inviato al Dap la proposta di trasferirmi in un altro carcere che abbia sezioni di AS2. Insomma vedremo quel che accadrà. [...]

Presoni de Pagliarelli, 11 febbraio 2014
Davide Delogu, v. Bachelet 32 - 90129 Palermo


lettera dal carcere di bergamo
Qui è sempre tutto uguale. Mi hanno promesso il lavoro di imbiancare la sezione, e ho firmato pure il contratto, ma il direttore ha detto no. Sono dei serpenti e non ti danno niente se non sei loro confidente. In 16 anni di galera io ho lavorato in tutto 12 mesi. Però io non sono di loro fiducia, loro lecchino e ho la coscienza pulita. Spero di andare in un altro carcere con le buone; sarà un’impresa molto difficile. Ogni volta che volevo essere trasferito dovevo prima fare il 14bis, sei o più mesi, e poi mi trasferivano.
Per l’estradizione ancora niente. Uno di questi giorni scrivo a Roma e chiedo a loro, al Dap, di restare per sempre in Italia, così posso “rubare” galera agli italiani ah, ah. E chi lo sa che può succedere? Magari mi mandano via allora. Ho pensato di scrivere al “dott.” Trota e di chiedere il suo aiuto. Lui è una persona “intelligente” ah, ah.
Mi tengo in forma, faccio sport tutti i giorni e non mollo mai. In questi tempi di tanta “modernità” ci sono sempre più ignoranti. Tante volte sento nostalgia per i tempi passati, dove i giovani avevano ideali, dove combattevano per qualcosa. Oggi ci sono solo disobbedienti che fanno qualcosa; con l’era “digitale” le persone sono come robot.
Spero che questa mia lettera trovi tutti voi in buona salute e in forma.
Un caro saluto a te, tutte/i compagne e compagni.

Bergamo 30 gennaio 2014
Sabanovic Jasmir, via Gleno, 61 - 24125 Bergamo


lettere dal carcere di Alba (cn)
Il 18 ottobre 2013 nel carcere di Cuneo è morto un detenuto (Giacomo Marchisone, 68 anni) a causa di un cancro ai polmoni estesosi in altre parti del corpo. In breve, l’infermeria del carcere aveva diagnosticato che Giacomo era colpito da “sindrome influenzale”, asma, e l’ha trattato come tale con Tachipirina e Ventolin; così il cancro ha potuto estendersi e far crepare il malato. Il cancro è stato scoperto nell’aprile 2013 nell’ospedale del carcere di Pisa dove Giacomo era stato trasferito, dopo 10 mesi di carcere, per un intervento all’“ernia iatale”. Venne riportato da Pisa a Cuneo il 9 settembre.
La malattia è venuta alla luce attraverso la radiografia al torace; a far morire in carcere Giacomo sono riuciti la lentezza del medico interno e del magistrato di sorveglianza del carcere di Cuneo nell’ordinare e eseguire la scarcerazione.
La moglie ora porta avanti la querela, per “omicidio colposo” nei confronti del personale medico-sanitario del carcere di Cuneo, già avanzata da Giacomo negli ultimi giorni di vita. […]

Alba, 29 gennaio 2014
Gola Mohammed Carlos Eduardo, via Vivaro, 14 – 12051 Alba (Cuneo)

***
Alla lettera che segue era allegata una documentazione di oltre 20 pagine, diversi fatti e considerazioni sono ripetute più volte. Siamo così ricorsi a una sintesi che stia nell’opuscolo senza lasciare indietro nulla.
Buon giorno. Ciao ragazzi e ragazze, uomini e donne dell’Associazione Ampi Orizzonti, vi scrivo dal carcere dove attualmente mi trovo. La Casa Circondariale di Alba, in provincia di Cuneo. Da ragazzo sono stato al minorile, il Ferrante Apporti di Torino; dopo sono passato in quasi tutte le carceri del Piemonte, sempre nelle sezioni normali.
Ho studiato da geometra e ora ho 28 anni. Sono sud-americano del Brasile. Quando avevo due anni e mezzo sono stato adottato da una famiglia italiana di Asti.
Questa carcerazione è iniziata il 2 dicembre 2008. Mi sono convertito all’Islam l’8 luglio 2007, prima che mi arrestassero. Sono dentro per tanti articoli, fra i quali “tentato omicidio” nei confronti di due carabinieri.
Vi ho scritto per dirvi quello che mi è successo, nell’infermeria del famigerato carcere di Quarto d’Asti una mattina di primavera di tre anni fa, il 27 maggio 2010. In quel periodo ero ubicato nella sezione B, una sezione sperimentale appena aperta, dove la vita carceraria era leggermente migliore che altrove. Non avevo MAI avuto problemi con altri detenuti e neppure con quelle due guardie, di cui dirò, prima di quel giorno. Nel carcere di Asti ero comodo per fare i colloqui con i miei famigliari.

Per sapere cos’è successo quel giorno Gola ci ha mandato una fotocopia della Stampa del 22 novembre 2013 giorno del rinvio a giudizio, senza udienza preliminare – non prevista per questo tipo d’accusa – su quanto accaduto quel giorno nell’infermeria dove Gola viene accompagnato da due guardie per una visita di routine. Uno degli sbirri cerca di sfottere il prigioniero per la sua lunga barba, anche adoperando parole quali “Maometto puzzava”; Gola reagisce, le guardie gli saltano addosso, in quattro, uno con il passamontagna, alzano lo stereo per coprire i rumori mentre stringono un nastro adesivo attorno alla bocca del prigioniero… gli tagliano un pugno di barba… gli coprono il volto con un sacchetto della spazzatura infine lo appendono alle sbarre di una finestra per qualche minuto… (proprio come i loro soci yankee nel carcere di Abu Ghraib), urlandogli nelle orecchie “Farai la fine dei tuoi fratelli nelle carceri irachene”. Gola ha fatto denuncia sostenuto dall’avvocato… c’è stata un’inchiesta interna… sono venuti fuori almeno due nomi delle guardie che lo hanno pestato… Il processo inizia l’11 aprile 2014.

Non è la prima volta che al carcere di Asti succedono dei soprusi e dei pestaggi da parte dei secondini a danno dei detenuti. Già verso la metà del primo decennio degli anni 2000, due detenuti subirono pestaggi dalla “squadretta”. Uno di loro l’ho conosciuto personalmente nel carcere di Saluzzo. Per quei fatti il processo si è concluso un paio d’anni fa di fronte al tribunale di Asti.
Stefano Cucchi è morto sotto i colpi di criminali che indossavano una divisa. BASTARDI!
Giuseppe Uva anch’egli è morto in una caserma dei carabinieri di merda, nel varesotto qualche anno fa. Poco tempo fa quelli della penitenziaria di Poggioreale a Napoli hanno ucciso un detenuto… Alcuni ignoti della penitenziaria del carcere di Catania di recente hanno impiccato in isolamento Gianluca di Mauro un ragazzo di 25 anni.
Senza dimenticare i due italiani morti in carcere per mano della gendarmeria francese, a distanza di pochi anni l’uno dall’altro. Senza contare molti casi di minor intensità, ma non per questo di minor importanza, anzi beati i vivi che, seppur “sepolti vivi”, almeno possono ancora parlare e raccontare la loro esperienza. Molti sono stati e sono i casi che non vengono neanche fuori!!! Molti agenti della polizia penitenziaria provocano i detenuti o li guardano con superiorità piuttosto che di sfida o di ironia; oppure li trattano con superficialità. Ebbene io rispondo loro che se mi odiano e ci odiano a noi detenuti, beh, io ancor di più odio loro.
Quello che successe a me nella mattinata del 27 maggio 2010 si chiama TORTURA.
Che il paese “civile” Italia non riconosca la tortura come reato e quindi penalmente perseguibile, non significa che in Italia le torture non succedano. Le torture in Italia succedono! E non solo in carcere! Come d’altronde succedono in tutti i paesi, chi più chi meno civile. Ma poi bisogna sempre vedere cosa si intende per civiltà. Perché credo che un paese che rifiuta di riconoscere la tortura come reato e che permette ai servizi segreti di gestire in parte l’andamento dei 41bis, come si evince dal “protocollo farfalla” (*).
Beh, questo non è affare d’un paese realmente civile, bensì la parola civiltà in questi casi è solo di facciata per nascondere l’animo demoniaco che celano le associazioni segrete come la massoneria, gli illuminati e di conseguenza i servizi segreti stessi (italiani e non). Dico a voi, come ho già detto a chiunque mi conosca che se per disgrazia mi trovassero impiccato oppure con le vene tagliate o qualsiasi altra morte, beh, sappiate, che non mi sono suicidato, ma che qualcuno mi ha suicidato! […]
Qua nel carcere di Alba ci sono 4 sezioni ognuna di 20 celle, più una sezioncina per gli ex-appartenenti alle forze dell’ordine (gli sbirri) e alcune celle dell’infermeria e dell’isolamento… inoltre una palazzina staccata per il momento inutilizzata, pare. Tutte le celle sono da due con letti a castello. Nelle celle non c’è l’interruttore della luce, è fuori, così per spegnerla e accenderla dobbiamo chiamare i secondini con tutte le difficoltà che potete immaginare; così è per la tv schermata, non possiamo toccarla… quando il telecomando si scarica dipendiamo totalmente dall’umore delle guardie. Inoltre qui non rispettano gli orari di apertura delle celle per poter uscire in corridoio, li riducono, fanno come gli pare… Ciao ora vi saluto amici e amiche… ciao da Gola…

Carcere di Alba 3 gennaio 2014
Gola Mohammed Carlos Eduardo , via Vivaro, 14 – 12051 Alba (Cuneo)

(*) Definito almeno 10 anni fa tra il Dap e il Sisde per la “gestione” dei detenuti in regime di massima sicurezza senza che rimanga alcuna traccia nei registri delle galere di interrogatori segreti accompagnati da torture per far cantare qualche prigioniero, com’è successo ancora, per esempio, nel maggio 2013 a Bernardo Provenzano - fra l’altro in galera da decenni…


Lettera dal carcere di Pescara
Cari compagni/e, ora vi racconto cos’è successo nel carcere di Pescara la notte tra il 3 e il 4 dicembre 2013. Partiamo dall’inizio, e quindi è giusto informarvi che il lager di Pescara è un piccolo lager composto da 300 individui, di cui si e no 15 sono carcerati, gli altri sono semplicemente “individui” e soprattutto infami oppure leccaculi degli “omini blu”, per fortuna che qualcuno si salva ancora… ma giusto qualcuno, quindi immaginate che siamo in netto svantaggio.
Voi direte che in tutti i carceri ci sono persone indegne, ma qui credetemi è al di fuori del comune, siamo arrivati al punto che se un compagno viene mandato al 14bis, qui si dà ragione alle guardie! Vi rendete conto? E non vi dico altro… Comunque torniamo a quella famosa notte di dicembre, il carcere di Pescara è famoso per essere stato costruito su di una palude, e da queste parti tutti sanno che le sue “famose” celle d’isolamento (sotterranee) sono da anni allagate, questo perché questo bellissimo “hotel” è stato costruito sotto il livello del mare, o meglio in una vera e propria “fossa”.
La notte in questione a Pescara è piovuto per tutta la notte e alle 4 del mattino nella mia cella c’erano già 30 cm d’acqua, alle 5 hanno deciso di aprirci e mandarci alla saletta del piano superiore. L’acqua ha continuato ad innalzarsi fino a raggiungere il metro… “ovviamente” avendo una sezione chiusa, molti si sono arrangiati a dormire da compagni o per terra, e dopo due giorni sono iniziati alcuni trasferimenti… non sto qui a dirvi che ho visto con i miei occhi “individui” che per non partire hanno baciato le mani ai brigadieri!!! (ora capite dove sto rinchiuso?) ma tralasciamo queste schifezze, dopo 20 giorni quando molti di noi si erano ormai sistemati, ci hanno ordinato di riscendere al piano terra, senza prima disinfestare la sezione, tenendo in considerazione che quel metro d’acqua era acqua di fogna… ognuno come ha potuto si è arrangiato a pulire con un idrante e prodotti acquistati da noi stessi, senza parlare del muro che ovviamente ora è pieno di muffa e di una lanetta bianca che stiamo respirando… ma ancora una volta non c’è che dire!
Per loro e non parlo solo degli “omini blu”, la sezione è agibile… beh ora vi saluto, ringraziandovi per quello che fate per noi detenuti/e, e libertà per tutti i compagni accusati di terrorismo, Ivano.

Pescara febbraio 2014
Ivano Matticoli Via S. Donato 2 - 65129 Pescara


LetterE dal carcere di Rebibbia (RM)
Dal 13 dicembre sono detenuto ne c.c. Di Rebibbia. Al G12 stiamo sperimentando le elemosinarie e ricattanti riforme della ministra Cancellieri. Le 8 ore con cella aperta... i 75 giorni a discrezione di poco discrete divise... Ci sarebbero varie riflessioni da imprimere su questo foglio riguardo all’efficacia repressiva di questi “contentini”, ma so di scrivere su pagine colme di esperienza e Resistente sagacia, quindi scriverò d’altro.
Vi scrivo di Regina Coeli. Vi ho passato poco di più di due mesi, mi han trasferito qui, a Rebibbia, dopo un acceso litigio col brigadiere di servizio alla biblioteca (figura di riferimento per il direttore del carcere). Litigio dovuto ai continui sfottò che lì ricevevano alcuni ragazzi afro-americani e, goccia che ha fatto traboccare il vaso, alla poco simpatica pitturazione sul muro frontale della sala, allora in allestimento per il Natale, di una mega-svastica! Ma neanche per questo vi scrivo... l’ignoranza di questi individui gli è cucita addosso come la loro divisa!
Lì ho lasciato compagni, amici, in un carcere avvilente, disumano fin dalla struttura.
E’ rinomata la storicità del complesso, ma, nonostante i continui restauri e “abbellimenti”, Regina Coeli resta un convento punitivo di stampo medievale. I passeggi sono buche di cemento. Non vi è traccia di un albero o aiuola che sia. Non vi è pioggia che lasci traccia sui muri di gesso, perennemente umidi, coi materassi di spugna che si imbevono di quell’umidità provocando ciò che potete immaginare su ossa di corpi chiusi in gabbia (per chi non rinuncia all’aria nonostante quello che è) 23 ore al dì! Per non parlare dei controsoffitti dei corridoi che cascano di continuo per il peso dell’acqua accumulata... Regina Coeli dovrebbe essere un carcere di transito. Ho amici che son lì da anni.
Ho visto ragazzi più che in salute e senza alcuna dipendenza arrendersi agli psicofarmaci e alla rassegnazione nel giro di pochi mesi. È un carcere giudiziario. Tante persone in attesa di giudizio, forse i tempi più duri e psicologicamente devastanti.
Da sempre son sicuro che la musica dietro le sbarre sia, insieme ai libri, la miglior terapia per “autofinanziare la speranza”... beh, a Regina Coeli ora non era possibile neanche quella! La Mivar 19” è bloccata su 11 canali che escludono quelli musicali, han poi bandito lettori cd e non è possibile neanche farsi lasciare nel pacco una dannata, benedetta radiolina.
Però comprarla all’interno, naturalmente, sì! Per una “modica” cifra di 37 euro la puoi acquistare con le cuffie pure: una radio che fuori i cinesi venderebbero con vergogna! Neanche la macchinetta per tagliare i capelli è più consentita a Regina Coeli. Tutto ciò con la scusa che modifichiamo tutto per fare i tatuaggi... Come se bastasse a distogliere dalla volontà, o necessità a volte, di imprimersi un nome sulla pelle... L’unico risultato son tanti tattoo sbilenchi e tante teste rasate a zero e graffiate dalle lamette...
Ho vissuto il carcere già a Monaco di Baviera, nel recente passato... Il carcere dove conservano la statua di Hitler nei sottopassaggi, dove all’entrata trovi subito il cimitero immenso, dei detenuti “abbandonati”, dove han giustiziato quelli della Rosa Bianca, dove una targa di non ricordo quale cancelliere dice che “il carcere può e deve essere solo privazione e durezza”, dove ho conosciuto, guardato negli occhi il male di vivere... Immagino cosa possa essere, anzi, lo so, Regina Coeli per gli amici stranieri, perché è già disgregante per chi ha famiglia e amici fuori. Logico quanto ingiusto, esiziale per molti finire nella trappola di quella cricca criminale degli psichiatri! Per ultimo lascio alla vostra attenzione la problematica dell’assenza totale di un dentista. Latitante per mesi, forse incolpevole dei tempi di attesa dovuti al solito sovraffollamento (1150 ospiti a dispetto di 600 posti scarsi!), ma quando dall’attesa si passa all’inesistenza non ci sono più scuse per nessuno! Così si salvava solo chi poteva permettersi il dentista privato... in questo è fottutamente vero che il carcere è lo specchio della società!!
Ok. Qualcosa l’ho tirata fuori. Dal “Regina” salvo solo l’umanità di qualche infermiera, della prof. della scuola media (massima licenza presente lì) e di 1 assistente girachiavi che, poraccio, ha sbagliato lavoro...
E salvo i detenuti. Prigionieri. Comuni io non lo dico, non lo scriverei. Che comune può essere una causa. “Comune” è lo sconosciuto che i verbali d’arresto tacciono come “correo” al nostro ingresso in galera! Ed è questo sistema-stato classista. Ancora e ancora. Io gli amici li ricordo tutti. Non uno era comune! Ed è per tutti loro la presente. Complici e solidali di ogni uomo che alza la testa. Siempre! Enrico “Enko” Cortese.
P.S. Ora sono qui, a Rebibbia. Sarei lieto di ricevere l’opuscolo e poter continuare anche tramite voi, a diffondere parole di Libertà, Resistenza, Anarchia!

Rebibbia, gennaio 2014
Enrico Cortese, Via Raffaele Majetti, 70 - 00156 Rebibbia Roma

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LA CENA DELLE “FESTE”
Nelle carceri spesso assistiamo, da parte delle istituzioni, a comportamenti vergognosi ai quali non possiamo opporre la benchè minima resistenza materiale ma soltanto esprimere il nostro più sprezzante giudizio. Qui nelle carceri il colore della quotidianità è il grigio colore non definito, tra il bianco e il nero, in sintonia con l’animo e l’umore della maggior parte dei suoi “residenti”. Per le “feste natalizie” questa tinta, certamente non fulgida, acquista tonalità ancora più fosche per merito di episodi al limite della decenza.
L’amministrazione penitenziaria per le sere del 24/12/2013 e 31/12/2013 si è distinta ed ha brillato per ignominia selezionando due “menu” a dir poco oltraggiosi e vergognosi sia per qualità che per quantità. Ve li proponiamo avvertendovi di non impreziosire le vostre tavole, nelle cene con gli amici, con tali prelibatezze... perdereste non solo l’amicizia ma ben altro...
Sera del 24/12: 1 minestrina in brodo, 2 wurstel e contorno di carotine lesse.
Sera del 31/12: replica di brodino con verdure finocchi finemente tagliati alla julien; fettina, molto ina, di non si sa quale povera bestia deceduta per raggiunti limiti di età. Solo la sera del giorno 24 è stata “addolcita” da una fetta di panettone dello spessore rigorosamente millimetrico.
Si è così avvertita ancor più, oltre la fame onnipresente, la disparità e la diseguaglianza di chi ha le possibilità economica e può provvedere alla spesa, di chi effetua colloqui familiari e riceve pacchi con cibi e chi invece non ha nè l’uno nè l’altro.
Siamo comunque grati ai nostri carcerieri i quali si preoccupano di non contribuire alle cause di obesità tra la popolazione detenuta e di bandire il sovrappeso in cui potrebbero incorrere i carcerati saldati e stipati dentro le celle per 22 ore al giorno, incoscienti dei benefici delle diete e sempre avidi di cibo! Se si ingrassa, si sa, gli spazi esigui si ridurrebbero ulteriormente ed il sovraffollamento risulterebbe ancor più aggravato.
Altrettanta attenzione dovrebbero però riservare nei confronti degli “ospiti illustri” che spesso si affacciano alla nostra prigione per loro riservano rinfreschi sontuosi e luculliani, ricchi di calorie farcite da dosi generose di colesterolo attentando così non solo alla linea dei malcapitati bensì anche al loro sistema cardiocircolatorio. Loro però sembrano gradire tant’è che preferiscono trascorrere il loro tempo conversano amabilmente, tra una pizzetta ed un tramezzino, con direttori, educatori, comandanti ecc... godendo delle delizie del buffet piuttosto che intrattenersi insieme ai pedanti, noiosi, lamentosi e ripetitivi detenuti che “tanto sciorinano in continuazione le solite lamentele sul nostro illegale, illegittimo, anticostituzionale e barbaro sistema carcerario”.
Anche qui, per chi non lo sapesse, vige un rigoroso codice di ospitalità e l’amministrazione su questo non transige... l’ospite è sacro!
Anche i detenuti, loro malgrado, “sono ospiti” delle patrie galere, ma vi assicuriamo che saremo felici di non esserlo più, così come vi garantiamo che non soffriremo nemmeno un pò della mancanza dei vostri “deliziosi menù”.

Rebibbia, gennaio 2014
Gianpaolo Contini, Via Raffaele Majetti 70 - 00156 Roma

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In merito all DDL falsamente definito “svuotacarceri” vorrei informarvi che i tanto sbandierati aumenti della liberazione anticipata (da 45 giorni per semestre a 75) non sono automatici, ma subordinati, non solo alla “buona condotta” ma alla frequentazione delle varie “attività” cosiddette “trattamentali” (esempio scuole, corsi ecc.).
Ciò significa, in primis, un ricatto e poi un serrato controllo da parte della KUSTODIA su chi frequenta o meno tali attività. Per quanto riguarda invece la concessione dei giorni arretrati a partire dal 2010, per chi è sottoposto al 4bis l’area educativa deve produrr delle dettagliate relazioni comportamentali di ogni detenuto.
In sintesi: se si frequentano le scuole e i corsi, può darsi che il Magistrato di Sorveglianza conceda l’arretrato, altrimenti NIENTE.
Per ora, comunque, l’rea educativa è ancora alle prese con la compilazione delle SINTESI COMPORTAMENTALI e finora, almeno qui, pochissimi detenuti e prossimi al fine pena, ne hanno usufruito. Per tutti gli altri si prevedono lunghe attese. Come accadde per la Gozzini e per tutti i provvedimenti che si sono susseguiti, c’è sempre il concetto PREMIALE alla base di qualsiasi concessione. Posso immaginare che accadrà adesso che in ballo, anziché 45 giorni per semestre ce ne sono 75! … (furbizia servile).
Purtroppo devo confermarvi che in questo carcere è pressoché impossibile organizzare qualsiasi forma di protesta e la maggior parte dei prigionieri sono solo in attesa della manna dal cielo (indulto), senza nulla fare per sollecitarlo. Aldilà di queste considerazioni personalmente seguito a resistere e a coltivare la nostra splendida idea:
PER UNA SOCIETA’ SENZA GALERE SENZA SERVI NE’ PADRONI!
Un abbraccio forte! Uno ad uno! Una ad una! Hasta Siempre!

Carcere di Rebibbia, gennaio 2014


Lettera dal carcere di Siano (CZ)
In occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, in diverse sedi, come a Catanzaro, si sono avute proteste da parte degli avvocati, contro il taglio delle tariffe professionali e del Fondo statale per il gratuito patrocinio.
Questo a fronte della durata dei processi e degli oneri che ne derivano. In un articolo del Corriere della Sera del 15 gennaio 2014, Michele Ainis rileva “…il nostro ordinamento ospita 35mila reati, un record planetario…”. Ora, chi frequenta suo malgrado le patrie galere, difficilmente può permettersi costosi legali di tasca propria, né dispone del numero di cellulare del Ministero di Disgrazia e Ingiustizia.
Per altro il diritto alla difesa è norma costituzionale, art. 24 (della Costituzione), ma con questi tagli gli avvocati iscritti all’albo del gratuito patrocinio, tenderanno a uscirne o, se vi rimarranno, a ridurre il proprio impegno al minimo. Tradotto in soldoni, più galera per i più poveri.
Del resto già da tempo il ricorso al gratuito patrocinio è tutt’altro che automatico, pur permanendo l’obbligo d’avvalersi della facoltà di un avvocato. Solo le spese per avere copia degli atti, degli incidenti probatori e altro sono di per sé notevoli e vanno a gravare sulla vita dell’imputato anche oltre un’eventuale condanna. Aspetto da considerare, rilevato l’estendersi del penale al complesso delle lotte sociali, con evidenti fini di ricatto ed intimidazione.

Siano, 27 gennaio 2014
Bruno Ghirardi, Via Tre Fontane, 28 - 88100 Siano (CZ)


Lettere dal carcere di Sulmona (AQ)
Carissimi compagni, vi informo che ho ricevuto l’opuscolo 87…la vostra vicinanza e solidarietà che manifestate a tutti i prigionieri nelle nostre condizioni. Questo è importante perché ci aiuta a lottare e superare le difficoltà che rappresentano questi posti di sofferenza dove nessuno deve stare.
Vi spedisco un documento-istanza (*). Se lo volete pubblicare o fare avere a quei prigionieri ergastolani che non hanno conoscenza in merito alla situazione del “rito abbreviato” e della possibilità che possono togliere l’ergastolo e portare la pena a 30 anni. Fate voi quello che ritenete meglio fare con questo documento.
Tanti saluti a tutti, con affetto Antonino.

Sulmona, 29 gennaio 2014

Il documento citato lo abbiamo spedito insieme all’opuscolo a chi sappiamo avere la condanna dell’ergastolo. Lo spediremo anche a chi ce lo richiederà.

***
[...] Vi informo che da qualche mese ci sono dei problemi con la direzione perché, da quello che ci dicono, il DAP ha deciso che anche gli ergastolani possono stare in cella in due persone. La cella non ha gli spazi dove possono stare due persone, quindi, ci sono dei problemi per tutti quelli che vogliono rimanere da soli. Qualcuno è andato in isolamento per rimanere solo, altri si sono messi in due… Qui siamo in 40 ergastolani, ci hanno fatto un campo di concentramento…

Sulmona, 12 febbraio 2014
Antonino Faro, via Lamaccio, 21 - 67039 Sulmona (AQ)


da una lettera dal carcere di pavia
Qua è uno schifo, ci hanno messo in una sezione vecchia, la cella dove sono è pure vecchia con tutti i muri sporchi e pieni di muffa. Si ha un po’ più spazio che a San Vittore, la cella è 2x3 e siamo dentro in due. La spesa la puoi fare una volta a settimana, e ogni lunedì ti arriva. Insomma è tutto diverso da San Vittore, dal male in peggio. Qua saremo più o meno 350 detenuti. […]
Qua a differenza di San Vittore ti tengono chiuso tutto il giorno, ti aprono solo per andare a fare la doccia o per andare all’aria 2 ore al mattino e al pomeriggio. Se vuoi scendere solo alla seconda ora non puoi, solo alla prima. Poi se fai qualche domandina per parlare con l’assistente volontario ti fanno aspettare settimane e se ti va bene ti chiamano […]
Gli appuntati sono meglio di San Vittore, sono quasi tutti più educati, però ti controllano sempre, tipo quando sei in cella ti controllano sia di giorno che di notte mentre dormi. Quando vai all’aria devi dare nome, cognome, cella e sezione, sia quando scendi che quando Sali. Tutte le mattine vengono a fare le battiture in cella, insomma pare un carcere di alta sorveglianza! […]

gennaio 2014


lettere dal carcere di san vittore (mi)
Ciao compagni/e un saluto a pugni chiuso a tutte/e, io “diciamo” sono in vacanza dal 2011, a metà del 2012 ho avuto gli arresti domiciliari, poi, dopo 5 mesi l’affidamento che, grazie a una relazione falsa e di merda della tipa dell’U.E.P.E. (perché dopo un po’ gli ho risposto male, lei mi ha fatto una relazione di merda che mi ha riportato a S. Vittore poi a S. Gimignano (Siena) e di nuovo qui. Tutto questo perché mi hanno fatto un cumulo di reati per iniziative dal 2000 al 2007. Inoltre, con la relazione di merda mi ha tolto i 45 giorni di libertà anticipata e i 5 mesi che avevo già fatto, che dovrò rifare. Quindi finisco il 18 gennaio 2015. Non mi aspettavo sta bastardata... ne scriverò meglio nelle prossime lettere…
Ieri mentre tornavo in cella il capoposto mi ha fermato e mi ha detto “ti ho messo in cella un altro dei centri sociali come te!” poi arrivato in cella ho trovato la sorpresa del Conte (Alessandro)…
Per ora vi mando un saluto a pugno chiuso

Milano, 10 febbraio 2014
Claudio Giannuario, P.zza Filangieri, 2 - 20123 Milano

***
Ciao cari compagni… come state?… io tutto bene, tutto bene, proprio adesso che sono tornato nella nostra città Milano, piena di compagni e amici qua con me reclusi!!! Ma sempre più, uniti… cazzo! E proprio ve lo devo dire, con chi potevo finire qui in cella… po’ po’ di meno che il nostro caro compagno “Mozzarella” (Claudio), fate voi!! lotta, lotta sempre senza abbassare la guardia!!!
Parto col ringraziarvi per essere venuti, due domeniche fa, fuori dal carcere di Ferrara… L’abbiamo apprezzato tutti, soprattutto Maurizio, che aveva proprio bisogno!! Bravi, bravi, bravi… di vero cuore!! [...]
Un saluto va anche al compagno di Bologna Loppi Fabio, lì con me nel carcere di Ferrara che vi ha scritto una bella lettera!!

Milano, 10 febbraio 2014
Alessandro Chiapatti, P.zza Filangieri, 2 - 20143 Milano


Sul processo a Trieste contro Maurizio e Valerio
Sabato 8 febbraio, a Trieste, si è svolto il presidio in solidarietà con Maurizio Alfieri e con Valerio Crivello. Una cinquantina di solidali si sono trovati in presidio al lato del tribunale con la voglia di appoggiare Maurizio, il quale aveva l’intenzione di leggere al processo una dichiarazione contro il sistema penitenziario.
Una trentina di persone entrate in aula vengono a sapere che Maurizio non sarebbe stato presente perché il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria gli aveva imposto la videoconferenza dal carcere di Ferrara, senza nemmeno avvisare il suo avvocato. Si tratta di un precedente molto grave. Maurizio non è in regime di 41bis né ha condanne per associazione mafiosa. Il DAP ha imposto questa misura per “ragioni di sicurezza” legate alla annunciata presenza solidale, cosa mai accaduta neanche con compagni imputati di “terrorismo”. Questo dimostra come il 41 bis tenda ad avere conseguenze sempre più estese e come, alla legislazione emergenziale, corrisponda una prassi emergenziale motivata da qualsiasi pretesto.
Maurizio ha preso la parola per dire che non accetta la videoconferenza (dispositivo con il quale, oltre ad essere separato fisicamente dai compagni in aula, l’imputato non può neanche intervenire durante il processo in maniera autonoma), aggiungendo: “Io non voglio difendermi, bensì attaccare il vostro sistema criminale”. Alle urla e ai saluti dei compagni ha risposto con “Viva l’anarchia!”. Il processo è stato rinviato al 12 aprile.
I solidali, usciti urlando cori dal tribunale, hanno fatto degli interventi su quanto successo. Al presidio erano presenti anche la madre e la sorella di Riccardo Rasman, ragazzo triestino assassinato in casa dalla polizia nel 2006, le quali hanno avuto modo di raccontare ancora una volta la loro dolorosa storia. In seguito ci si è spostati sotto al carcere davanti alla sezione femminile. Le recluse hanno salutato con entusiasmo i solidali ringraziandoli per la loro presenza. Hanno ascoltato con interesse gli interventi ed hanno chiesto più volte gli indirizzi per scrivere ai compagni fuori. Dopo un paio d’ore il presidio si è sciolto. Da alcune persone abbiamo saputo che nel tardo pomeriggio è stata bloccata una delle strade principali di Trieste con cassonetti e striscioni in solidarietà ai detenuti, a Maurizio ed a Valerio.
La prossima udienza si svolgerà sempre a Trieste, alle 10.30 del 12 aprile. La presenza numerosa dei compagni e delle compagne ha fatto sì che la solidarietà non facesse passare sotto silenzio il processo in corso a Maurizio e Valerio. E la decisione del DAP conferma quanto la solidarietà dia fastidio, ma allo stesso tempo come non si possa accettare questa nuova infamia. Invitiamo tutti e tutte ad essere presenti di nuovo il 12 aprile e soprattutto a far sentire il proprio appoggio nelle mille forme dell’azione solidale.

febbraio 2014, compagne e compagni


Lettere dal carcere di Ferrara
Carissimi/e compagni/e, come sempre vi invio un abbraccio fraterno per tutto quello che da tanti anni state facendo per tutti/e noi prigionieri. Prima di iniziare a scrivervi voglio inviare un abbraccio a tutti/e i compagni/e di Ferrara che domenica 2 febbraio qui fuori hanno portato la loro solidarietà a me e a tutti i compagni in AS2, Claudico, Nicola, Alfredo e a tutti i prigionieri. Le loro urla e i fuochi di artificio hanno scaldato i nostri cuori e li abbraccio fraternamente a nome di tutti i prigionieri.
Compagni/e vi avevo scritto pochi giorni fa per informarvi dell’ennesimo trasferimento e nuova allocazione… Oggi vi sto scrivendo perché domani 8 febbraio c/o il tribunale di Trieste andrà in onda un processo che io definisco “una farsa” e che vede imputato me e Valerio in un’aggressione nei confronti di un collaboratore di giustizia e collaboratore della direzione di Tolmezzo. Questo processo si collega alle 22 false denunce che ho subito il isolamento a Tolmezzo, false e indegne come chi le erigeva, perché io e Valerio ci siamo fatti promotori di raccogliere centinaia di denunce su pestaggi e abusi, così, oltre alle denunce, avevano ordito un piano per farmi adescare e corrompere da un agente corrotto(oltrechè alcolizzato) conosciuto da tutti i detenuti.
Dato che davo fastidio per aver reso di pubblico dominio quanto accadeva, soprattutto con presidi fuori da quel lager, mi hanno incastrato, arrestando mio fratello e altri amici che erano e sono innocenti. Però per loro sfortuna ho trovato giudici più scrupolosi e ligi alla verità, che hanno annullato le custodie cautelari, concludendo che era stato ordito un piano con la finalità di riuscire a incastrarmi. Per tutto questo andrò al dibattimento e chiederò la presenza di giornalisti e tv, così faremo saltar fuori cose ben più gravi,che, la procura di quel capoluogo occultava attraverso giudici compiacenti e collusi. Ci saranno decine e decine di testimoni pronti a raccontare episodi di torture e fatti gravissimi. Comunque ci sarà tempo per scrivere su questa infamia.
Di sicuro negli ultimi 4 anni mi hanno fatto fare 35 mesi di isolamenti, tre 14bis (6 mesi l’uno totale 1,5 anni, ndr). Ma tutto questo mi ha invogliato ancora di più ad essere più determinato, per cui chiunque deve sapere che tutto quello che non ci uccide ci rafforza. Poi con i nostri/e compagni/e, che sono la nostra corazza e giubbotto antiproiettile… non abbiate timori e paura di nessuno, non sarete soli/e.
Dopo il processo verrà divulgato un mio memoriale dove parlo un po’ di tutto, di Bolzaneto G8, della TAV, dei morti/e per mano di uno stato criminale; insomma non voglio togliervi il gusto di quanto ho scritto.
Domani vedrò tutti/e i miei compagni/e sorelle e fratelli, abbraccio anche tutti coloro che per altri motivi non potranno esserci, e dico a tutti/e loro che li adoro e amo…
Un abbraccio particolare a tutti/e i compagni/e in AS2 a Claudio, Chiara, Mattia, Niccolò libertà per tutti/e i compagni/e No Tav arrestati innocenti, un abbraccio ad Alfredo, Nicola e compagni in As2.
Ora e sempre No Tav (Liberi/e tutti/e. Un abbraccio solidale e ribelle, Maurizio.

Ferrara 7 febbraio 2014
***
Carissimi/e compagni/e, vi avevo scritto stamattina e adesso ho ricevuto una notizia che mi ha fatto imbestialire… Sono tornato adesso da un colloquio con il comandante, dove ho già informato che domattina non verrò tradotto al processo che ci sarà a Trieste per motivi di ordine e sicurezza decisi dal giudice…vogliono farmi fare la videoconferenza ed io rifiuto in quanto non sono sottoposto al 41bis o 416bis. Anche al comandante ho detto che rifiuto questa presa di posizione perché la definisco un abuso e una forma di prevaricazione che preclude il diritto a voler presenziare per la mia difesa, anche se non andavo per difendermi “ma per attaccare il sistema”, quel sistema che lo stato chiama legge e che io definisco criminale e delatore.
Il mio rammarico è di non poter vedere e abbracciare tutti/e i miei compagni/e sorelle e fratelli, ma loro sanno che io ero entusiasta di vederli/e, e che non avrei mai rinunciato a questo processo “farsa”, che vorrebbe garantire solo l’immunità ai fatti di Tolmezzo, a tutte quelle sporcacciate su abusi e pestaggi che hanno sempre occultato a Tolmezzo, sulla trappola che quella direzione ha organizzato contro di me, con un agente corrotto, infame e indegno, come coloro che insieme a lui hanno ordito un piano contro di me, ma al dibattimento avranno molte sorprese, perché non cercherò sconti di pena.
Tutto il Triveneto e l’Italia sapranno di cosa sono stati capaci. E se oggi non mi vogliono portare a Trieste e solo per il fatto che un giornalista il 25 ottobre aveva scritto un articolo sul giornale del Veneto che riportava una manifestazione fuori dal tribunale a Udine dove i compagni/e denunciavano abusi e pestaggi. Così oggi, per paura che ancora si verifichi un analogo articolo, dato che ci sarà un presidio fuori dal tribunale, hanno deciso che per motivi di sicurezza io faccia la videoconferenza. Ma rifiuto categoricamente ogni compromesso, perché vorrebbero un compromesso ed io nel mio DNA non scendo a patti con nessuno, questo deve essere chiaro. Le lotte non si arrestano. [...]

Ferrara, 7 febbraio 2014
Maurizio Alfieri, via Arginone, 327 - 44122 Ferrara


Lettera dal carcere di Piacenza
Ciao ragazzi spero stiate tutti bene, io sono sempre qua e tiro avanti facendo la muffa senza mai però cadere nell’autocommiserazione. Ho iniziato i processi in videoconferenza ormai da un po’, ed io, a maggior ragione, non avvezzo a questo mondo, ho avuto la piena conferma di quanto accidiosa sia la giustizia” in Italia: lenta, indolente, superba ed impietosa. Dopo un anno e mezzo, ancora si è in alto mare, così la custodia cautelare va avanti imperterrita e le persone si trovano con i legami familiari spezzati, famiglie impoverite per ingrassare avvocati e così via, allora chi entra come delinquente si incancrenisce come tale e chi entra come innocente spesso diventerà colpevole di qualcosa.
Purtroppo devo ammettere che solo la personale esperienza, mi ha sbattuto in faccia alcune verità sociali che prima riuscivo a vedere solo di sguiscio per mancanza di “fantasia morale”, è sempre così, il ferro è rovente solo sulla nostra pelle. È stato richiesto dal procuratore il congelamento dei termini di custodia in modo da rendergli più agevole e comodo il lavoro. A tal modo i termini potrebbero essere prolungati fino a 6 anni, garantendo un comodo soggiorno carcerario agli imputati. C’è questo strano disequilibrio nella giustizia dei tribunali, tra l’ardore e la solerzia nell’imprigionare e nell’incuranza e la pigrizia nello scagionare, ma la cosa peggiore è la presunzione, una volta condannato l’individuo, di volerlo rieducare.
Qualche settimana fa ho detto chiaramente ad un brigadiere, che della loro rieducazione facevo volentieri a meno. Non voglio essere rieducato da un sistema che insegna ai criminali ad essere avvezzi alle angherie, dimodoché quando avranno la libertà, odieranno ancor più ciò che porta il vessillo dello Stato (poco male) ma soprattutto, lo useranno più facilmente verso i loro stessi simili (perché l’uomo per natura si adatta sia al bene sia al male, ma l’abituazione per quest’ultimo diviene sinceramente più semplice quando l’avvantaggia). Non voglio essere rieducato da un sistema che insegna ai piccoli criminali a mirare più in alto nel mondo della malavita, ma ancor peggio quando insegna ad essere vili e subdoli grazie all’inganno di una premialità meticolosa. Si chiama stimolo condizionato. Pavlov ha insegnato molto sulla premialità: luce-osso-il cane sbava, dopo un paio di volte la sola luce basterà a far sbavare il cane. Vogliono cani, non uomini; vogliono cani come quelli dell’armata rossa che certi di trovare la “pappa” sotto i carri armati tedeschi gli correvano incontro imbottiti di esplosivo, con l’orgoglio dei loro padroni che li facevano saltare per aria. Vogliono trasformarci in cani ben vestiti pronti a rispondere “non è previsto.” SE LA POSSONO TENERE LA LORO RIEDUCAZIONE!
Vogliono insegnarci la moralità, quando loro per primi ne sono privi a partire dai tribunali scendendo fino alle carceri. Essere morali non significa essere buoni significa sapere che cose e azioni possono essere buone o cattive. Eppure la loro giustizia democratica è molto macchiavellica e di parte: il (loro) fine giustifica i (loro) mezzi.
Facciamo un esempio? Hanno scavalcato la giurisprudenza facendo diventare l’aggravante di un reato, un reato stesso punibile (con altre aggravanti) fino a 20 anni e senza omicidio: è il caso dell’associazione mafiosa che tra cavilli e arzigolii giuridici viene punita con la sola presunzione. Così se l’omicidio era aggravato dall’ambiente associativo un tempo veniva comunque giudicato come tale, mentre in questi ultimi vent’anni la sola associazione diventa reato che in caso di omicidio giustifica l’ergastolo. A questo proposito faccio notare che gli ergastolani in Italia negli ultimi sedici anni sono quadruplicati, non credo che la giustificazione sia che gli italiani siano diventati più efferati in poco più di una decade e che gli immigrati abbiano incrementato la percentuale dei delitti di sangue!
C’è da dire che l’ergastolo viene dato, in ambito associativo non solo a chi commette le nefandezze ma anche a coloro che si ritenga abbiano, in qualche modo, avuto un ruolo (anche parziale) nel delitto. Direi che è senz’altro poco costituzionale questo modo di legiferare!
Ad oggi subisco ancora quotidianamente perquisizioni giornaliere a me specificamente rivolte, e da più di 8 mesi, nonostante il 14bis per la tentata evasione (non avvenuta) mi sia stato revocato perché non aveva “nulla a che vedere con la messa in sicurezza del detenuto e poiché richiesto dopo oltre un mese e mezzo, dimostrava, venendo meno, la mancanza di tempestività che presuppone il decreto” (Grossomodo furono queste le parole del Mag. di Sorv.). Eppure il DAP ha rinnovato al carcere l’obbligo perquisitivo giornaliero.
Alla direttrice che si ostinava a definire queste perquisizioni “preventive” dissi chiaro che erano punitive, ma ho anche ammesso che gli unici detenuti che dovrebbero essere puniti in tal modo sono tutti coloro che accettano una carcerazione ingiustificata senza ribellarsi, tutti coloro che accettano il compromesso salva chiappe (le loro) a danno di quelle altrui, tutti quelli che accettano di vegetare, ma soprattutto tutti quelli che non sognano almeno una volta di evadere per scappare dalle prepotenze gratuite di servitori dello Stato. Ormai il carcere mi pare solo la metafora di un Italia presa in ostaggio dalla “eleptocrazia” della classe politica, dalle imposizioni dei poteri forti e purtroppo anche dalla nostra stupidità e indolenza che annichiliscono la nostra voglia di ribellarci. Ma si sa, “gli uomini si sottomettono ai sovrani per essere liberati dalla paura” (Hobbes).
Vista così sembra quasi impossibile rimettere a posto le cose senza un atto di forza.
Un pensatore viennese, Otto Neuroth, diceva che siamo come marinai che navigano su un’imbarcazione malandata, costretti a ripararla pezzo per pezzo in mezzo al mare, durante il tragitto senza mai potersi rifugiare in un cantiere ospitale per rimetterla a nuovo.
Cari amici, spero di non avervi annoiato con queste riflessioni da carcerato, ma ora vi lascio che in tv c’è un bel film di Scorsese… Con stima e rispetto, Valerio.

Piacenza, 2 novembre 2013
Valerio Crivello, Strada delle Novate 65 – 29100 Piacenza


Lettera dal carcere di Lecce
Sono un detenuto e basta, anche perché qui il nome non conta niente, sei solo un numero da contare circa quattro volte al giorno e da assegnare in una stanza i cui confini sono una finestra con sbarre, un cancello con sbarre e quattro muri di cemento roventi o ghiacciati a seconda delle stagioni.
Qui dentro trovi persone che infastidiscono la cosidetta “società civile”, persone da “rieducare” da omologare ma più che altro da emarginare e isolare, ma anche da ricordare in occasioni di festa quando il politico di turno viene a ricordarci l’art.27 della Costituzione italiana e a prenderci per il culo su eventuali progetti, e sulle loro lodevoli intenzioni, ci credono davvero più stupidi che mai, la nostra complicità permette tutto questo. Il paesaggio che s’intravede dalle nostre finestre è in perenne silenzio, ognitanto di sera puoi vedere qualche fuoco d’artificio sparato da conoscenti di noi detenuti che festeggiano qualcosa. Un pomeriggio tutti noi abbiamo sentito delle voci emesse da un megafono [il presidio del 29 settembre, ndr], tutti hanno chiamato tutti invitandoli ad affacciarsi a quella squallida finestra, abbiamo sentito delle voci che c’invitavano a farci sentire, abbiamo ascoltato musica, ma per alcuni c’ è stata la grande sorpresa di sentire i propri cari, mogli e bambini. Io non sono un padre,forse non posso capire, ma immagino cosa abbia provato un mio compagno padre ad ascoltare la voce di un figlio separato da questo maledetto muro di cinta, un’emozione difficile da comunicare su un pezzo di carta. Sono state delle ore in cui nelle nostre menti c’è stata un’evasione totale, anche se qualcuno aveva paura di gridare visto che le guardie potevano ascoltare, perchè è la solita paura che al potere piace diffondere. Comunque, qualcuno si ricordava di noi, e ci gridava la propria vicinanza e solidarietà, persone che magari desiderano aprirci gli occhi e non rassegnarci, un’ulteriore spinta a guardarci attorno e riconoscere gli abusi subiti, semmai ce ne fosse bisogno. Il presidio sotto il carcere è finito, chi ricorda le voci, chi la musica, chi riflette sulla propria condizione, tutte emozioni positive che vanno ricordate a lungo per spezzare i confini creati da chi gestisce il potere e da chi ci vuole soli, poveri, pazzi. Noi resisteremo sempre

8 febbraio 2014, da informa-azione.info


Lettera dal carcere di Milano-Opera
Ciao compagni/e, ho ricevuto i libri e l’opuscolo, non so come ringraziarvi, almeno posso occupare il mio tempo leggendo dei buoni libri… sfogliando quei testi mi vengono in mente tanti ricordi di gioventù, erano altri tempi vissuti pienamente pur di raggiungere i tuoi sogni, oggi tutto è difficile, e mi metto nei panni di voi giovani che studiate e fate sacrifici per ritrovarvi con un pugno di mosche in mano. E’ pazzesco come vanno le cose oggi, fossi io al vostro posto avrei già le soluzioni, ma non posso dirvele…
Leggendo le lettere dal carcere mi è balzata agli occhi una lettera di Ferrara dove io sono stato per 7 anni prima di essere trasferito qui a Opera. Ebbene, il detenuto si lamentava per via della squadretta della penitenziaria che detta legge e si macchia di tanti pestaggi senza mai pagare dazio, ricordo il capo di quella squadretta, ne ho viste di cotte e di crude. I pestaggi sono all’ordine del giorno e rovinano per davvero le persone con lesioni permanenti.
Qui a Opera è sempre la solita vita. Adesso dalle 15,30 alle19, al 1° A, le tre sezioni sono aperte e possiamo andare da una all’altra senza problemi. E’ un esperimento.
Il campo sportivo non c’è più il campo sportivo, debbono costruire un nuovo padiglione di quattro piani, ho visto con i miei occhi le baracche degli operai e la gru, perciò in estate niente più campo sportivo, ci andavamo due volte alla settimana.
Alla prossima, vi abbraccio tutti… W la libertà…
Febbraio 2014
Lettera di Davide dai domiciliari
L’8 febbraio, dopo 355 giorni di dura reclusione, è stata una sensazione forte quella di tornare a casa e poter riabbracciare, questa volta non da un tavolo divisorio, i miei cari.
Il tintinnio di chiavi che dettava il ritmo della mia vita si è improvvisamente fermato e non osservare più il mondo da dietro quelle sbarre mi ha fatto provare un piacevole sensazione, ma, nonostante questo “benessere” temporaneo, resta tutta la mia indignazione per la condanna subita.
Avrei voluto scrivere questa lettera prima, ma non mi hanno neanche notificato l’atto riportante quelle che erano le mie prescrizioni e solo oggi posso farlo. Di seguito vi riporto il mio pensiero e la mia riflessione sul processo.
La conferma delle condanne in appello per il reato di epoca fascista di “devastazione e saccheggio”: lo stato si serve, a distanza di oltre 80 anni, ancora di un codice penale nato in epoca dittatoriale (costruito per sopprimere tutte le opinioni politiche diverse da quelle dominanti cit. Calamandrei) e lo fa per reprimere ogni dissenso al solo fine di intimorire il popolo su quelle che possono essere le conseguenze derivanti anche dalla sola partecipazione ad una manifestazione di protesta.
Affermo ciò perché, la corte ha fatto proprie le tesi dell’accusa puntando il dito non sulla condotta specifica di ognuno di noi, ma su quanto successo il 15 ottobre del 2011 nella sua complessità e l’esser stati fotografati vicino al blindo che andava in fiamme è bastato per condannarci ad anni e anni di reclusione.
È stato un processo sommario, condizionato dall’attenzione che il caso ha avuto sui mass media e basato su prove che non provavano assolutamente niente così come dimostra l’assoluzione di Mirko che si è fatto due anni di reclusione a gratis. Anzi, durante l’arringa difensiva si è fatta per la prima volta luce su quello che è stato l’atteggiamento delle forze dell’ordine il 15 ottobre del 2011 e, dalle relazioni di servizio lette in aula del personale della polizia presente in piazza quel giorno, risultano a chiare lettere gli ordini di fare caroselli sulla folla e spazzare via i manifestati con gli idranti.
Il risultato è stato quello di isolare chi si opponeva alle politiche neoliberiste di lacrime e sangue imposte dalla troika, demonizzare i movimenti antagonisti allora pronti a scendere in piazza e dividere i manifestanti in buoni e cattivi.
E’ così e non vi sono dubbi. Infatti dal 15 ottobre del 2011 ad oggi non vi sono state più grandi manifestazioni di piazza. Dobbiamo capire che senza strategia non andiamo da nessuna parte e se continuiamo ognuno a pensare ai cazzi nostri quello che oggi siamo noi a subire domani saranno altri compagni a vivere. Questa cosa come compagni e come antifascisti non possiamo accettarla.
Propongo pertanto di indire a Roma una grande manifestazione antifascista e antirepressiva per la prossima primavera, una manifestazione che ponga le basi ad una serie di azioni concrete da mettere in atto in futuro tra le quali quella di intervenire alle celebrazione del 25 aprile ricordando a chi si improvvisa antifascista solo quel giorno che è giunta l’ora di pretendere l’abolizione del codice Rocco attraverso un lotta trasversale che parta dall’Anpi nazionale a tutti i movimenti antagonisti .
IL FASCISMO NON PASSERA’!

Davide Rosci


15 ottobre 2011: un’assoluzione e quattro condanne
È arrivata qualche giorno fa la sentenza della Corte d’appello riguardo alla manifestazione del 15 ottobre 2011 a Roma, una giornata in cui mezzo milione di persone ha riversato la propria rabbia e il rifiuto dell’austerity e della crisi generalizzata del sistema istituzionale ed economico italiano. Le condanne di primo grado vengono tutte confermate con misere riduzioni e solo un imputato di Mosciano è stato assolto con formula piena. L’assoluzione di Mirco Tomasetti è dovuta al fatto che la procura non era nemmeno certa del suo riconoscimento nei filmati delle forze dell’ordine, dove secondo l’accusa egli comparirebbe vicino al blindato in fiamme. I giudici d’appello hanno confermato che il reato non sussiste, perciò Tomasetti ha potuto lasciare i domiciliari e l’avvocato Sabatino ha fatto sapere che chiederà allo stato di essere risarcito per due anni di infondata detenzione.
Per gli altri quattro imputati sono state avvallate le accuse legate al blindato incendiato in piazza San Giovanni: per due manifestanti la condanna è scesa a 4 anni e 8 mesi da 6 anni e per altri due a 5 anni. Per Davide Rosci, invece, il giudice ha confermato i 6 anni di reclusione imposti al primo grado, senza riconoscere alcuna attenuate, forse perché Davide si è sempre impegnato nelle lotte sociali. L’unica istanza accolta dal giudice per quanto riguarda Davide è stata quella di concedere i domiciliari: egli è stato l’unico a essere detenuto in carcere due anni con diversi spostamenti da un carcere all’altro.
Tra le accuse confermate per i quattro manifestanti, si trova anche il capo “devastazione e saccheggio”: un reato che ha origini nell’era fascista e comporta pene molto alte, un reato che negli ultimi anni è stato applicato in maniera indiscriminata a partire dal 2011.
La sentenza della Corte d’appello di certo non può consolare, anzi, è motivo di rabbia per l’accanita criminalizzazione nei confronti di chi porta avanti e pratica forme di lotta sociale.
Il 15 ottobre in piazza San Giovanni c’eravamo tutti/e!

11 febbraio 2014, da infoaut.org


PRESIDIO ANTI-CARCERARIO A SAVONA
“La legge è fatta esclusivamente per lo sfruttamento di coloro che non la capiscono, o ai quali la brutale necessità non permette di rispettarla” B. Brecht
Il 28 settembre 2013 Francesco, accusato della partecipazione alla rivolta del 15 ottobre 2011 a Roma, viene tradotto dagli arresti domiciliari al carcere Sant’Agostino di Savona con un infame stratagemma dei Carabinieri di Varazze e del giudice romano Zaira Secchi, rivelatosi illegittimo di fronte ai loro stessi Codici.
In quei giorni un pugno di compagni/e, amici e solidali si recarono più volte fuori dalle mura di quella prigione per portare la propria solidarietà e vicinanza a Francesco e un caloroso saluto a tutti i detenuti.
Dopo 3 mesi di carcerazione (con il trasferimento prima a San Remo e poi a Rebibbia) la vendetta dei servi dello Stato verso chi, come lui, si rifiuta di abbassare la testa, ha una parziale attenuazione e Francesco torna ai domiciliari tra i suoi affetti ed amici.
Ma migliaia di individui continuano ad essere rinchiusi ed isolati nelle patrie galere. La situazione dei penitenziari italiani è oggi, più che mai, sulla bocca di tutti.
La miseria sociale e la povertà economica dilagano e di conseguenza le maglie della repressione diventano sempre più strette. Sempre più persone possono molto facilmente finire in galera da un momento all’altro. Le condizioni delle carceri sono ai limiti dell’indigenza e della tortura, omicidi/suicidi e condotte autolesionistiche non si contano più ogni giorno che passa.
Ci parlano dell’ennesima “emergenza” tanto per giustificare lo stato di eccezione permanente in cui il Potere è licenziato a prendere qualsiasi provvedimento ritenga opportuno per rafforzare la sua autorità; ci parlano di soluzioni per affrontare il sovraffollamento e magicamente dopo 5 anni dall’applicazione del reato di clandestinità ci si accorge delle disumane condizioni in cui gli immigrati vengono rinchiusi nei C.I.E.
Indulto, indultino, svuota-carceri, amnistia, depenalizzazione del reato di immigrazione, legalizzazione della marijuana.
Tutti argomenti con i quali, di fronte all’innegabile e alle rivolte (molti C.I.E. sono stati distrutti o parzialmente distrutti da rivolte interne), vorrebbero servire contentini per placare animi focosi e coscienze turbolente.
Ciò che non ci raccontano è che da sempre il carcere serve a controllare la società, al fine di conservare il loro potere e privilegio, al fine di lasciare padroni e governanti commettere indisturbati i propri crimini.
Chi è inutile, chi non serve più a produrre merce o capitale, o peggio ancora chi non si rassegna a questa vita indegna, va emarginato, talvolta eliminato.
Per tutti questi motivi e mille altri, per un’incontrollabile passione per la libertà, abbiamo deciso di tornare al carcere di Sant’Agostino per portare un nostro saluto a chi vi è rinchiuso e rompere l’isolamento a cui ci vorrebbero costringere, dentro e fuori da quelle mura.
Solidarietà a chi resiste all’infame regime penitenziario! Contro il carcere e la società che lo necessita!
SABATO 15 FEBBRAIO dalle ore 13.30 PRESIDIO ANTI-CARCERARIO sotto il carcere SANT’AGOSTINO di SAVONA.

Gruppo anarchico “Fuori Controllo” Savona - fuoricontrollo.noblogs.org


Lettera dal carcere di Winterthur (Svizzera)
Come piccolo contributo alle giornate d’azione della resistenza contro il WEF a Davos. All’annuale incontro internazionale dei padroni della politica, del capitale, delle scienze, alle loro strategie ed ai loro lacchè. In solidarietà con il prigioniero rivoluzionario Marco Camenisch in sciopero della fame e del lavoro dal 30.12.13 al 26.01.14.
Da anni si scrive tanto SUL SIGNIFICATO DEL WEF, non lo ripeto in quest’occasione. Una cosa rimane chiara, per la piazza finanziaria Svizzera, il governo CH, la classe dominante, di questo paese è e rimane uno degli “eventi sociali più importanti dell’anno”.
Ne sono coscienti Schwab (fondatore e presidente del World Economic Forum. Ndr) e consorteria. Con la classica arroganza del potere lo illustra sinteticamente quando tenta pubblicamente l’estorsione alla popolazione di Davos e comuni circostanti dicendo: o rendete giusto omaggio all’invasione di capitalisti al potere ed al loro rispettivo comportamento, oppure ce ne andiamo, la concorrenza è grande!
Il programma è serrato, come sempre. Un’occhiata al contenuto, preparato dai Global Agenda Councils in Abu Dhabi, ai top 10 dimostra dove verte la loro analisi della crisi capitalista: in cima, le tensioni crescenti nel Medio Oriente ed in Africa, cioè la tendenza alla guerra, l’allargamento della forbice dei redditi, ossia l’aumento della divisione delle classi, l’insistente disoccupazione strutturale, anzitutto giovanile, cioè la crescita mondiale di una giovane armata di riserva industriale, ed il calo della fiducia nella politica economica.
Per noi è interessante che si consideri “la crescente importanza delle mega città” piuttosto un’opportunità per l’economia capitalista e non un problema.
Con il cinismo del potere, il WEF a Davos si rapporta con le grandi catastrofi sociali delle ondate mondiali di profughx: la simulazione di lager per profughx. “ I partecipanti sperimentino per 75 minuti il sentimento di impotenza dex profughx nei campi” commentava il Director of Experimental Programs. Mentre nello stesso giornale borghese c’è un articoletto con il titolo “Morti di fame nel campo profughx– niente aiuto per Yarmuk in Siria.” Come mai dette, le numerose promesse elettorali dei governanti dell’EU dopo le “morti di Lampedusa”; la moria, gli abusi, l’espulsione è, già da tanto, di nuovo “ moneta corrente”. Mentre in residenze sempre più lussuose i responsabili e i loro sbirri delle cause di questi movimenti migratori, delle crisi imperialiste, delle campagne di sfruttamento e delle guerre nel loro stretto cerchio e bilateralmente ordiscono progetti, coordinano, appianano ligi le loro contraddizioni, fanno contratti!
Le sempre più frequenti insorgenze di massa, rivolte, lotte di classe e resistenze nei più svariati continenti sono l’altra parte delle barricate, alle quali noi ci rapportiamo anche nella resistenza al WEF ogni anno, solidarizzando.
A MARCO CAMENISCH, che si trova in sciopero della fame e del lavoro contro le provocazioni del regime di detenzione ed in solidarietà con la resistenza contro il WEF, va in modo molto particolare il mio rispetto più profondo e solidale: da più di 23 anni prigioniero è rimasto irremovibile. Ha difeso la sua identità politica e rivoluzionaria da ogni tentativo di ricatto di Stato, messo in atto dall’ufficio esecuzione delle pene e delle misure del Cantone di Zurigo tra l’altro, per solo considerare la sua liberazione condizionale che gli toccherebbe dal 2012.
Così rifiuta le perizie psichiatriche per “dimostrare” alla giustizia di classe di non essere malato bensì persona con coscienza politica con una chiara posizione di rottura con il sistema capitalista: non si dissocia dalla propria identità come anarchico e non compie nessuna rottura con le/i sux compas, amicx ed interessatx sparsx per il mondo, con i le/i quali intrattiene un rapporto politico oltre tendenza vivace e dinamico.
SOLIDARIETA’ ED AMORE PER MARCO – SOLIDARIETA’ CON LE PRIGIONIERE POLTICHE E I PRIGIONIERI POLITICI IN TUTTO IL MONDO
IL CAPITALISMO NON HA ERRORI - È L’ERRORE – WIPE OUT WEF

Winterthur, 21 gennaio 2014
Andrea Stauffacher, Palmstrasse 2 - 8411 Winterthur, Schweiz


sul “PROCESSONE” e altri processi CONTRO IL MOVIMENTO NO TAV
Udienza del 30 gennaio 2014, aula bunker carcere Le Vallette (To)
All’inizio la corte ha respinto la richiesta di rinvio dell’udienza avanzata da cinque “imputat*” perché nello stesso giorno avevano un processo a Milano; il rifiuto c’è stato perché l’invio della richiesta è stato compiuto via fax invece della “deposizione in cancelleria”, perché il processo a Milano è condotto da un solo giudice, quindi secondario… perché il processone deve andare avanti, punto e basta.
Anche questa giornata è stata dedicata all’ascolto delle “parti lese” (sono circa 200). Gli sbirri “lesi” ripetono come un magnetofono “relazioni di servizio” pressoché identiche, un copione in cui ferite, cure mediche, diagnosi, giorni di malattia …rimangono per aria; agli interventi degli avvocati che cercano di capire, i Pm si scuotono, il Presidente va loro incontro non ammettendo le domande.
Non sono proprio tutte eguali le deposizioni. Differente, persino patetica, è quella del poliziotto che dice di aver subito un forte shock a causa della lesione permanente a un timpano per lo scoppio ravvicinato di un petardo e l’intossicazione da gas lacrimogeno. Scoppia persino in pianto quando descrive il crollo del suo sogno di “andare a servire sulle motovedette e invece mi hanno messo in ufficio perché non più idoneo”… infine prende a urlare “mi hanno tolto casco e manganello” (i manifestanti).
Un altro sbirro descrive le molotov di cui non ha scritto nella relazione (se ne ricorda solo ora, “visto che ne parliamo”) e ricorda: “Si avanzava, si prendevano le pietre e si tornava indietro…” un altro confessa: “Siamo scappati dopo aver tentato una carica.”
Segue l’ascolto di una strana “parte lesa”, Antonio Lazzaro manager di Italcoge, l’azienda che, vinto l’appalto lanciato da Lione-Torino-Ferrovie (LTF) avrebbe avuto danneggiati almeno 20 mezzi per l’escavazione e simili. Chiarisce che in quelle giornate (27 giugno e 3 luglio 2011) i suoi mezzi erano finiti nelle mani di poliziotti dato che i macchinisti titolari si erano rifiutati di lavorare nelle strade e nei cantieri blindati, accerchiati… Lazzaro non ricorda a chi appartenesse la pinza meccanica impiegata per smantellare un barricata (“Stalingrado”)… non ricorda quasi nulla. In suo aiuto viene un’altra volta la corte, respingendo le domande della difesa sui suoi rapporti con imputati nell’inchiesta “Minotauro” (mafia calabrese).
Su questo punto chiede di intervenire uno di noi, Guido, che in una dichiarazione scritta documenta da fonti ufficiali che: l’LTF nel 2012 ha propagandato un traffico sul tronco ferroviario Torino-Lione di 10 mln di tonnellate, mentre è stato appena di 3,4 mln t.; il transito di TIR sull’autostrada del Frejus sarebbe stato di 1.360.000 mentre non ha superato 678.00. “Questi cali non sono frutto di una situazione di crisi momentanea, ma sono una tendenza evidente che riflettono un cambiamento strutturale delle economia di Francia e Italia… Alla luce di quanto esposto nasce più di un sospetto che la manipolazione dei dati sia servita a spingere il governo ad una scelta inutile ed antieconomica e l’accelerazione che LTF tenta di dare ai lavori sia un tentativo di creare una situazione di non ritorno (l’accelerazione di cui sopra comprende l’apertura del cantiere di Chiomonte che è il motivo per cui siamo qui imputati) prima che l’evidenza dei dati (che sono pubblici) smascheri completamente la follia di questo progetto.”

Udienza de 2 febbraio 2014, aula bunker carcere Le Vallette (To)
Oggi non è andata proprio come negli altri giorni. C’è stata la solita sfilata (oltre 30) di poliziotti, finanzieri, carabinieri rimasti “feriti” nelle giornate del 27 giugno e 3 luglio 2011, nessuno di loro oggi ha pianto, qualcuno si è limitato a portare in aula parastinchi e simili rotti o lesi dalle sassate.
Sul finire dell’udienza però, nella sollecitazione agli avvocati della difesa di confermare il calendario delle udienze loro necessarie per portare in aula testi, periti, consulenti, si è vista notevolmente confermata la simbiosi, l’intesa, fra tribunale e Pm. A un avvocato che chiedeva alla corte precisazioni sul calendario e il mantenimento dell’accordo di dicembre (che, fra le altre, aveva definito un’udienza alla settimana, 30 udienze a disposizione della difesa, ritorno nel tribunale in città…) ha risposto direttamente il Pm, senza che il presidente lo interrompesse. Anzi si sono associati per imporre alla difesa 20 udienze oppure il ritorno a due udienze la settimana. Il loro atto di forza è passato. E sullo slancio, ovviamente, sono andati oltre: si sono permessi di fissare l’udienza (7 marzo) dell’interrogatorio di noi, tutti/e,”imputat*”, borbottando un “tanto non parlano”. Intanto, in barba a ogni accordo precedente con la difesa, ma a sostegno dell’intesa tribunale-Pm, l’udienza del 20 febbraio, saltata dato lo sciopero nazionale degli avvocati, viene recuperata venerdì 28 febbraio, mentre rimangono confermate, sempre in febbraio, quelle di lunedì 10 e lunedì 24.

Udienza del 10 febbraio 2014, aula bunker carcere Le Vallette (To)
Anche questa è corsa via con giudici e sostenuti dai Pm pronti a “non ammettere” domande ai “testi” “fuori dal capitolato” prefissato, nel corso dell’ascolto di una trentina di sbirri “feriti”, i quali espongono il come sono accaduti i ferimenti in maniera eguale, ripetitiva, strampalata. Tipo: uno di loro ha detto di essere stato ferito al braccio dal lancio di una bottiglia incendiaria che gli avrebbe rovinato la pelle di un braccio nella misura di 15cmx4cm. La tuta indossata quel giorno però sarebbe stata buttata via, non c’è più; inoltre dal referto medico risulta che gli è stata riscontrata una contusione, per cui gli sono stati dati 8 giorni di malattia e non una lacerazione causata dal fuoco. Alla domanda di un avvocato sul come e perché spiegava lui questa differenza, candidamente ha risposto “si vede che il medico ha preferito scrivere contusione”.
Con le prossime udienze (lunedì 24 e venerdì 28 febbraio) dovrebbe concludersi l’ascolto dei testi d’accusa (sbirri “feriti”), ne devono ancora da ascoltare 71.
Nel corso dell’udienza di oggi i presenti di noi in aula, abbiamo discusso sul come e quando concretizzare l’uscita collettiva dall’aula per raggiungere la Clarea accompagnata dalla scelta processuale già discussa e decisa. Il giorno scelto è venerdì 28 febbraio.
Il ritorno in Clarea e l’appello per quel giorno all’intero movimento ha il significato di rivendicare le nostre ragioni contro ogni devastazione sociale e ambientale da loro perseguita; di pari passo per sconfiggere così ogni intenzione intimidatrice, manipolatrice tipica della verità di stato, che non solo nel processone, ha la pretesa di essere esemplare e da monito. Batterla, o comunque non subirla, significa vanificare i progetti terroristici ben vistosi soprattutto negli arresti del 9 dicembre scorso.

Milano, febbraio 2014

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La procura torinese senza tregua continua la sua lotta contro il movimento No Tav, spalleggiata da politici e stampa di regime. Più di 1.000 indagati e 600 imputati in un numero incredibile di processi, quasi impossibile stare dietro a tutti. Ma, come più di 20 anni di lotta No Tav ci ha insegnato, la lotta non si arresta.
15 gennaio. Condannati Alberto Perino, Loredana Bellone (sindaco di San Didero) e Giorgio Vair (vicesindaco di San Didero) a risarcire LTF con 214mila euro per aver impedito nel 2010 un sondaggio geognostico all’autoporto di Susa. La condanna è stata resa subito esecutiva, forse pensando che ciò avrebbe fermato il movimento. Invece in circa 20 giorni sono stati raccolti tali soldi, anche se è già stato presentato ricorso.
27 gennaio. Interrogatorio presso il tribunale dei No Tav minorenni rei di aver fatto un pericolosissimo volantinaggio a Salbertrand per informare sul Tav e contro Itinera, una delle società coinvolte nella devastazione. Blocchi stradali e striscioni in strada per ribadire la solidarietà ai nostri ragazzi.
4 febbraio. Finalmente a Giobbe, imputato insieme ad altri due No Tav, per rapina e violenza nei confronti di una agente di polizia, si è visto togliere gli arresti domiciliari. Rimane per lui l’obbligo di dimora.
6 febbraio. Prima udienza per Forgi e Paolo arrestati il 30 agosto 2013 per il trasporto di petardi e normali attrezzi. Aula blindatissima, i due imputati obbligati a presentarsi in aula con la scorta nonostante recentemente siano stati completamente liberati. Solita udienza di cui si parla d’altro per aggravare la posizione degli imputati di turno e dare l’idea di un movimento “terrorista” anziché di difesa del territorio. Prossima udienza il 25 febbraio.
7 febbraio. La Procura chiede pene fra i 6 ed i 18 mesi ed un risarcimento di 220mila euro a 21 No Tav accusati di aver rotto i sigilli alla Baita in Clarea, nonostante la Sovrintendenza dei beni architettonici e paesaggistici abbia dichiarato che tale baita fosse compatibile con il paesaggio.
Milano, febbraio 2013

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Dalla seconda udienza del processo per “rapina di mirtilli” a cuneo
Mercoledì 29 gennaio si è svolta a Cuneo la seconda udienza del processo-farsa per la fantomatica “rapina di mirtilli”. I fatti risalgono al 14 luglio 2012 e riguardano un presidio sotto le mura del carcere cuneese indetto per ribadire solidarietà e complicità con tutti gli imputati NO TAV che parteciparono alla strenua difesa della “Libera Repubblica della Maddalena” nelle giornate del 27 giugno e 3 luglio 2011, per richiedere il rilascio immediato di tutti i prigionieri NO TAV e in particolare del compagno Maurizio da oltre 5 mesi in regime di isolamento, per denunciare il dilagare anche nelle “sezioni comuni” delle modalità disumane del regime 41bis in tutte le carceri laddove questo è presente (in particolare nel carcere di Cuneo ove blocchi della posta, intimidazioni e pestaggi da parte delle guardie sono all’ordine del giorno).
Verosimilmente saranno 3 i processi che scaturiranno da quella giornata di lotta: danneggiamenti al carcere, corteo non autorizzato e concorso in rapina aggravata. Al momento però le indagini restano aperte e l’unico processo in corso è quello per rapina. Rapina che in realtà altro non fu che uno stupido battibecco con un’automobilista che cercò di forzare il rallentamento del traffico causato dal corteo.
Dopo una prima udienza in cui sono stati sentiti i testi dell’accusa, in questa seconda udienza la parola è andata ai testi della difesa e all’esame degli imputati.
L’atteggiamento del collegio giudicante e soprattutto l’affinità e connivenza tra il presidente e il pubblico ministero non fanno trasparire nulla di buono per l’esito della sentenza.
Le toghe hanno accolto con sorrisi di scherno le rivendicazioni politiche degli imputati, arrivando addirittura ad utilizzare i carabinieri per allontanare dall’aula una solidale colpevole di aver applaudito alle parole di un imputato. È ormai sempre più chiaro che non è il fatto in sé che la magistratura sta giudicando, ma l’evolversi di una intera giornata di lotta in cui la partecipazione e la determinazione dei compagni e delle compagne hanno lasciato completamente spiazzate le forze dell’ordine cuneesi.
Sia per l’esito della sentenza sia come risposta politica al tentativo repressivo che stanno costruendo sull’intera giornata, riteniamo dunque fondamentale indire
Per l’ultima udienza del 5 marzo 2014 alle ore 15 un presidio e una presenza in aula che dimostrino quanto processare dei notav significhi processare tutto il movimento.
Solidarietà e complicità a tutti gli imputati NoTav. A sarà dura Liber* tutt*.

F.O.A.Boccaccio - Cordatesa


Aggiornamenti sui 4 no tav accusati di terrorismo
Sono stati alla fine tutti trasferiti dal carcere Le Vallette i 4 No Tav accusati di terrorismo arrestati il 9 dicembre. Chiara a Rebibbia, Mattia e Niccolò ad Alessandria e Claudio a Ferrara, tutt* nelle relative sezioni speciali in AS2.
Chiara dopo qualche giorno passato con le altre detenute della AS2 è stata messa in isolamento per ordine della procura di Torino, ma il provvedimento è durato solo un giorno perchè, evidentemente, la direzione di Rebibbia non era troppo incline a rivoluzionare l’organizzazione del carcere per i pruriti di due Pm torinesi.
Ad Alessandria e Ferrara le cose stanno invece andando diversamente. Ad Alessandria la direttrice Elena Lombardi Vallauri ha accettato l’imposizione del divieto di incontro fra Mattia e Niccolò così, per esempio, ognuno può fare solo un’ora d’aria. A Ferrara la direttrice Carmela De Lorenzo, ha accettato che Claudio sia posto in isolamento.
Intanto, probabilmente grazie anche alle tante azioni di solidarietà poste in atto da fuori, almeno i colloqui con i familiari sono stati sbloccati.
Sono state inoltre chiuse le indagini intorno ai 4 (ma restano aperte per cercare di identificare gli altri presunti partecipanti all’azione contestata) e fissata la prima udienza per il 14 maggio 2014 durante la quale probabilmente proveranno a costituirsi parte civile 105 soggetti fra poliziotti, carabinieri, alpini, finanzieri e operai presenti nel cantiere (di cui nessuno si è fatto un graffio), la LTF (proprietaria del povero generatore), il Governo italiano e l’Unione Europea.
Intanto si susseguono in tutta Italia ed all’estero azioni di solidarietà per i 4 no tav arrestati per terrorismo ed il movimento no tav in generale. Striscioni dai cavalcavia e murales a Milano, Torino e Crema. A Bergamo e Milano coperti di manifesti No Tav anche i mezzi pubblici di superficie. Blocchi sui binari del TAV a Milano contro il blocco dei colloqui. Strade bloccate a Forlì, Cesena, Roma e Torino. Sedi del PD vandalizzate in tutta Italia. A Tolosa (Francia) calato uno striscione di solidarietà da un cavalcavia. I citofoni dell’Osservatorio sulla nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità Torino-Lione vandalizzati. Contestato Prodi a Trento. Saluti a sorpresa sotto le carceri di Rebibbia, Alessandra e Ferrara.
Impossibile elencare tutto ciò che è accaduto questo mese, perchè se i compagn* dentro non si fanno piegare anche quelli fuori non possono essere da meno.
Seguono alcune lettere spedite dai comp arrestati dal carcere “Le Vallette” di Torino, un appello dei loro familiari e il resoconto del presidio sotto il carcere di Ferrara.

Se potessi scegliere mi troverei proprio dove sono. Tra i sentieri della Valle, per le vie di Torino, con i miei compagni o specchiandomi negli occhi di donne e uomini sconosciuti, imparando ad ascoltare, scegliendo di aspettare, correndo più veloce.
Mi troverei dove si scopre il sapore dolce e intenso della lotta, qualcuno ti stringe la mano che trema e si getta il cuore oltre l’ostacolo. Lì dove il caldo, continuo e tenace abbraccio della solidarietà non permette a chi è isolato di sentirsi solo, libera la passione di chi è prigioniero e riempie la stanza di presenze amiche.
Mi sono chiesta qualche volta perchè non accontentarmi del privilegio di cittadinanza, avere quasi di sicuro una casa, qualche figlio, qualche modo di mettere la pagnotta a tavola. Ma quando scopri che la libertà e l’umanità sono un’altra cosa, quando ti accorgi che gli unici motori della politica e dei gruppi di potere sono il privilegio e il saccheggio, è troppo tardi per tornare indietro. Sei entrato in un altro mondo, che è dove sono io adesso.
In questo luogo non c’è spazio per coloro che misurano la propria misura morale su codici e leggi. Buttare in strada chi non paga l’affitto o in un lager chi non ha documenti, produrre scorie nucleari, salvare il capitale e distribuire miseria, militarizzare e devastare territori. Tutto a norma di legge, in democrazia. Anche il dissenso a condizione che non si metta davvero di traverso alla realizzazione dei piani inesorabili del progresso e del profitto.
Ma quando troppi zoccoli inceppano l’ingranaggio, se un uomo, una piazza o una popolazione diventano imprevedibili ed efficaci, è possibile sentire il rumore delle lame che si affilano. Il corpo delle leggi a difesa delle proprietà pubblica e privata, gonfia tutti i suoi muscoli. Se si scende in strada il giorno sbagliato (o giusto?), insieme ai sampietrini si può raccoglier il macigno della Devastazione e Saccheggio. Se si assume una pratica radicale contro il sistema sciale è pronta la scure dell’Associazione Sovversiva (o, con un salto in più di fantasia dell’Associazione a Delinquere). Per tutto il resto si prepara la gabbia del Terrorismo. Qualunque opposizione reale procura danni e rallenta l’avanzata dei progetti, alla fine ogni azione e lotta efficace potrebbero essere imbrigliate in questa categoria di repressione. Lo scopo è facile da individuare: una punizione esemplare per qualcuno, un monito lanciato a tutti gli altri.
Certo, l’idea di tutti gli anni di carcere evocati da tutte quelle parole stringe lo stomaco in una morsa. È molto più doloroso però immaginarsi inermi a guardare il mondo devastato per il vantaggio di pochi. Da tutti noi, che abbiamo imparato la differenza tra giusto e legale e assaporato il gusto di riprenderci le strade e i boschi, con la minaccia della galera non otterranno un granchè. E neanche ci inganneranno con il valore simbolico delle loro accuse, perchè sappiamo da dove nasce il terrore e ne conosciamo i manganelli, i gas, le reti. E gli eserciti,le armi, le sbarre.
Non dobbiamo avere paura. Lasciamola respirare a quelli che vivono blindati in un’esistenza spesa a difesa dei propri privilegi e delle proprie mire di saccheggio.
Io, in questa gabbia ho i polmoni pieni della libertà che ho imparato ad amare lottando, tra i sentieri e per le vie. E come me molti altri. Voi. Solidali, complici e inarrestabili.

Torino, 20 gennaio 2014
Chiara Zenobi, via Bartolo Longo, 92 - 00156 Roma

***
Ciao a tutti, dal 9 dicembre sono rinchiuso qua al blocco D delle Vallette insieme a Niccolò e Mattia mentre Chiara sta al blocco F, privati dei nostri affetti come delle lotte che portavamo avanti fuori, delle nostre montagne come dei nostri quartieri.
I giudici in ossequio alla volontà della procura ci hanno appioppato l’appellativo di “terroristi”, così il DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) ci ha classificato AS2. L’Alta Sicurezza è un’infamità dentro quell’infamità che è già il carcere, poiché ti impedisce di avere alcun contatto con i prigionieri “comuni”, oltre ad altre limitazioni che vanno dai colloqui ridotti, alla porta blindata della cella sempre chiusa o all’impossibilità di accedere alle attività alternative (biblioteca e palestra). Molto fastidiosa ci risulta la censura, tutta la nostra corrispondenza in entrata e uscita è letta da un secondino che poi ne spedisce copia al giudice, questo fa sì che le nostre lettere abbiano un ritardo di almeno 20 giorni da quando sono state spedite. Le guardie giustificano tale ritardo lamentandosi della mancanza di personale per far fronte alla mole di posta che riceviamo, invece uomini per sorvegliarci ne hanno parecchi. Sia chiaro, ho voluto tratteggiare qual’è la nostra condizione non perchè ci sentiamo più perseguitati di altri prigionieri, penso sia però utile che chi non è avvezzo alle angherie della galera conosca cosa sia l’Alta Sicurezza. Il carcere comunque in ogni sua forma resterà sempre una merda.
Vedere i fuochi d’artificio di un presidio attorno alle Vallette e ascoltare le grida e gli slogan di tanti compagni con cui abbiamo lottato assieme è una boccata d’aria fresca.
Durante l’udienza del riesame il Pm si è lamentato della reazione seguita ai nostri arresti. Indignato ha elencato al giudice una lunga serie di azioni in nostra solidarietà che in parte non conoscevamo.
Una scena surreale. Costoro devono capire che non possono arrestare qualcuno pensando che il loro gesto non provochi alcuna risposta. Perchè bisognerebbe accettare di essere privati di una persona che fino a ieri ci stava a fianco? I No Tav in questi anni hanno avuto spesso a che fare con la giustizia, ormai quasi nessuno ci crede più. Del resto la lotta e le pratiche sperimentate in Valle nella loro diversità dimostrano che esiste un abisso tra etica e legalità.
Il nostro caso è solo l’ultimo di una lunga serie, mi preme però soffermarmi sull’art. 270 sexies (finalità di terrorismo) che risulta il perno su cui ruota tutta l’inchiesta del 9 dicembre. Noi quattro siamo accusati del sabotaggio del 14 maggio scorso alla Maddalena, un fatto che secondo gli stessi Pm non si qualificherebbe come attentato terroristico se non si considerasse il contesto d’intimidazione e violenza in cui è avvenuto. Il sabotaggio di maggio insieme ad una miriade di atti illegali avvenuti negli ultimi due anni deriverebbe dalla decisione di una parte di movimento (quale non è specificato) di impedire la costruzione del Tav.
Se l’Italia dovesse abbandonare il progetto della Torino-Lione subirebbe un grave danno economico e di immagine in Europa, sostengono. Chiunque si opponga alla costruzione del Tav quindi compie un atto che danneggia in qualche modo il paese e secondo il 270 sexies le condotte che arrecano un grave danno al paese sono da considerare terroristiche.
A rigor di logica, se durante una manifestazione qualcuno occupa una base militare, dove gli Stati Uniti vogliono installare delle antenne che propagano onde pericolose per la salute della popolazione che vive nelle vicinanze, persegue una finalità terroristica, poiché l’Italia subirebbe un grave danno d’immagine nei rapporti internazionali con gli Stati Uniti.
Gli episodi che si inseriscono in questo disegno terroristico degli ultimi due anni sarebbero 111 secondo i Pm si va dai sabotaggi ai mezzi delle ditte che lavorano nel cantiere di Chiomonte alle scritte nei bagni a Nichelino, dagli scontri di piazza a un pollo morto trovato sotto casa di Esposito, da uno striscione lasciato davanti all’abitazione del sindaco di Susa ai cassonetti bruciati durante una sagra paesana a Sant’Antonino. Si sono dimenticati i furti in appartamento e magari gli incendi boschivi. I magistrati dimenticano che il ritardo nella costruzione del Tav non è dovuto solo alle azioni degli ultimi due anni. Se sono riusciti solo a fare un “pertus” a Chiomonte, è per la forza e la determinazione di una lotta popolare che dura da più di vent’anni.
L’8 dicembre 2005, purtroppo non c’ero, decine di migliaia di persone sono scese nella piana di Venaus distruggendo i mezzi del cantiere, evidentemente tutti terroristi.
Le han provate tutte per spaccare il movimento. Hanno istituito tavoli, comprato amministratori, scritto ogni genere di porcheria sui giornali, poi i manganelli e i lacrimogeni. Hanno provato a criminalizzare alcuni dividendo tra buoni e cattivi ed ora rispolverano il terrorismo. Dopo un po’ risultano scontati e patetici.
Curioso è notare come alcuni che oggi ci accusano di “terrorismo” sono gli stessi che negli anni ‘70 usarono la stessa arma per annientare uno dei più straordinari e complessi movimenti rivoluzionari d’Europa, che aveva reso concreti i sogni e i desideri di tanti. La lotta No Tav, con le dovute proporzioni, ha rotto quella cappa di pace sociale che permaneva in questo paese da oltre trent’anni, dimostrando che non solo è possibile opporsi a chi pretende di devastare il territorio in cui viviamo, ma che lottare è molto più piacevole della vita che ci impongono di fare ogni giorno. Ricordo un pensionato di Bussoleno che raccontava che tutta la vita si era battuto per non fare gli straordinari e ora gli toccava star sveglio per 24 ore ad aspettare una trivella.
Dopo aver vissuto la Libera Repubblica della Maddalena o dopo aver costruito una barricata al Vernetto non si può tornare alla vita “normale” come se nulla fosse. Queste rotture improvvise parlano ad altre lotte e aprono nove possibilità. Non è certo chiudendo a chiave qualcuno che potranno prevenire il manifestarsi di nuove occasioni e di rivolte.
Il momento è delicato, sanno che se vogliono aprire i cantieri a Susa il movimento dev’essere spezzato e ridimensionato. Per questo è importante continuare ad andare in Clarea e non lasciar dormire tranquille le truppe d’occupazione come è stato fatto. Il giorno o la notte che decideranno di aprire un altro cantiere in Valle lo faranno dispiegando un gran numero di uomini e mezzi, convinti di impressionarci ed annichilirci con la loro forza. Occorrerà essere vigili e tenere sempre gli scarponi ingrassati. Consapevoli che chi si ribella, per natura, avrà sempre un’idea in più di chi ha deciso di vivere sotto un superiore.
Nessun dispositivo è imbattibile, i posti di blocco si possono aggirare, le reti tagliare e i jersey ribaltare. Ci sarà da divertirsi. Un abbraccio forte a tutte e tutti i no tav. Se incontrate Giacu salutatemelo. A SARA’ DURA... ovviamente per loro

Torino, 20 gennaio 2014
Claudio Alberto, Via Arginone, 327 - 44122 Ferrara

***
Scrivo a tutti i compagni di lotta, ai NO TAV di Valle e di città, a quei giovinastri scalmanati che nel febbraio 2012 invadevano l’A32 e a quelli meno giovani che già nel 2005 avanzavano a colpi di bastone oltre le reti del cantiere. Vi scrivo per abbattere la distanza che adesso ci separa, per far si che questo momento si trasformi in un’occasione per continuare a conoscerci, per lanciare e ricevere spunti di riflessione.
Quando abitavo ancora a Pesaro, prima di trasferirmi a Torino, sentivo i genitori dei miei compagni di scuola parlare di alta velocità e NO TAV, i benpensanti dicevano che si trattava di “4 montanari” e che non sarebbero durati a lungo. Arrivato a 18 anni nel capoluogo piemontese capii che i conti non tornavano: nel 2010 mi sono avvicinato alla Val di Susa incuriosito dai racconti che giungevano dai presidi e dalle nottate insonni ad aspettare per giorni delle trivelle. Era chiaro che questi “montanari” o avevano una resistenza fisica disumana, o erano ben più di 4 e ben organizzati!
I sondaggi non sapevo nemmeno a cosa servissero esattamente, ma ero entusiasta da tutto quel subbuglio e mi ci tuffai a capofitto. Ora ho solo alcuni frammenti che mi scorrono nella mente: il freddo scavato nelle ossa e la grappa delle sei del mattino per tirare avanti fino al cambio turno all’Interporto di Susa; le cariche della polizia in mezzo al bosco e le palle di neve contro gli scudi. Poi ancora la polizia ma questa volta sulla SS24 costretta da un blocco di gente incazzata a rientrare in caserma passando per Bardonecchia. Mesi dopo, durante una manifestazione a Torino, ho sentito un celerino borbottare con un altro a proposito di quella serata: “ ci abbiamo messo più di tre ore a tornare a casa”. Col senno di poi, e ripensando ai blocchi dopo la caduta di Luca, mi verrebbe da rispondergli: “vi è andata bene che non ci avete messo una giornata intera!”.
A quel tempo la gente era tanta, non tantissima ma ben ripartita, ognuno aveva la sua responsabilità diretta, la sua azione da compiere, per mettere in moto quel meccanismo che portava a concentrarsi e tentare in vari modi l’avvicinamento e il disturbo alla trivella. La quotidianità si trasformava perché le giornate erano tutte tese a quello scopo, ognuno si sentiva protagonista a suo modo e capiva quale effetto a catena avrebbe comportato tirarsi indietro.
Quell’inverno di lotta, che per me è stato solo un assaggio, aveva delle caratteristiche che avrei rivisto su scala ancora più allargata nelle stagioni successive, fino a confondersi nello straordinario miscuglio di pratiche dell’estate 2011.
Sarebbe molto utile rispolverarle ora per affrontare le sfide che ci si parano davanti nell’immediato futuro, ma la procura non sembra essere di questo avviso. Se il movimento ha fatto passi da gigante nell’ultimo periodo accogliendo il sabotaggio come pratica legittima a chi si ribella ai progetti imposti dallo stato, quest’ultimo ha deciso attraverso questa inchiesta di attaccare un intero bagaglio di esperienze accumulate negli anni, ridefinendone i contorni e deformandone il contenuto. Parlano di “organizzazione paramilitare” e “suddivisione dei ruoli” di “gerarchia” e “gruppi specializzati”, guarda caso gli stessi termini con cui si riferiscono al modo di condurre le loro guerre, e che naturalmente non ci appartiene affatto.
Di contro, è dal 2010 che chi lotta ha capito che per avvistare una colonna di camionette o una trivella o i pezzi della talpa, basta piazzarsi in un bar, sul balcone o agli angoli delle strade che frequentano tutti i giorni e guardare nella giusta direzione. A quel punto il tam tam di chiamate farà il suo corso, senza ordini né comandanti. E’ almeno dal 2010 che ci si parla per capire le esigenze dell’uno e le capacità dell’altro, chi può prendersi un giorno di ferie e chi è disposto a “tagliare” la scuola, chi ha i figli abbastanza grandi da non doversene preoccupare e chi semplicemente c’è perché non ha nient’altro da fare. Dormire all’addiaccio non è mai stato un problema se le circostanze lo richiedevano, ma non per questo si può parlare di ninja super addestrati. Queste esperienze si sono arricchite negli anni e con loro tutte le persone che hanno preso o regalato qualcosa.
C’è chi è nato in valle e qui ha imparato a lottare, e chi è arrivato per lottare e qui ha imparato a camminare. Chiunque quella sera di maggio è sceso al cantiere non sarà di certo più speciale di tutti coloro che sono cresciuti opponendosi alla costruzione di questo treno proprio perchè non potrebbero che attingere dallo stesso bagaglio.
Non paghi di questa burla, i due pm, in un volo pindarico che sgancia sentenze come siluri sulle teste dei no tav, sfoderano un concetto degno di un corso di formazione per sbirri (alla prima lezione però): controllo del territorio. Un controllo che sarebbe a loro dire, in un passaggio fumoso del faldone, praticato dalle frange violente del movimento.
Si sono forse dimenticati che chiunque lotti in Valsusa piuttosto che controllare, non vuole essere controllato? Così le uniche frange violente che hanno quell’obbiettivo sono i signori e le signore in divisa o col casco blu, che sfrecciano sulle loro pantere su e giù per la valle. Dal 2011 a oggi in migliaia si sono aggirati nei sentieri intorno al cantiere. Ricordo un tiro alla fune costante per strappare pezzi di bosco percorribili liberamente, senza che dei brutti ceffi in passamontagna e mimetica ti sbarrassero la strada, magari puntandoti la pistola in faccia senza alcun motivo, come alcuni NO TAV potrebbero raccontare.
L’agosto del 2011 è stato sudato giorno dopo giorno: bisognava costruire il presidio in Clarea ma i check point sotto l’autostrada, all’imbocco della mulattiera, erano asfissianti. A qualcuno venne però la brillante idea di proporre un incontro quotidiano a Chiomonte per racimolare una cinquantina di persone e fare la traversata tutti assieme, così sarebbe stato più difficile essere fermati ed identificati. Funzionò, i materiali vennero portati alla baita e chi aveva il foglio di via poteva muoversi più sollevato. Nei momenti di presa bene si imbastivano banchetti che spesso sfociavano in vere e proprie feste in cui si andava sotto l’autostrada a demolire nei modi più improbabili quei mostri di ferro e cemento chiamati jersey.
Il loro concetto di “controllo” viene smentito da una reale conoscenza diffusa del territorio detenuta da chi si oppone. Questa, insieme all’inventiva e alla determinazione necessarie, è sempre stata inafferrabile per gli sbirri e gli inquirenti.
Questi signori stanno tentando di stabilire una presenza massiccia e un occhio indiscreto nelle strade di tutta la valle, spostandosi a piacimento. Qualche mese fa un ragazzo mi raccontava del livello di militarizzazione di Susa, e nel descriverlo mi riportava alla mente i racconti di un amico tunisino sull’assedio militare di Gafsa nelle proteste del 2005. A quel tempo lui e i più giovani si erano ritirati sulle montagne, mentre altri erano rimasti a resistere in città. Non conosco bene la storia ma nei suoi ricordi alcuni ragazzi si erano pure presi dei colpi dai fucili degli uomini in mimetica. Tutti sappiamo che a quel difficile “inverno” tunisino sarebbe seguita una fiorente primavera di rivolta che avrebbe sconvolto l’intero bacino del mediterraneo.
Certo, noi non abbiamo di queste pretese e ci accontenteremo di non avere montagne bucate e inutili stazioni faraoniche a Susa. Gli strumenti per continuare a lottare ci sono e la creatività pure. Noi intanto resistiamo con la testardaggine che questo movimento ci ha sempre ispirato. Speriamo solo che non facciate troppo in fretta, e di poter essere fuori quando toccherà riempire quel buco in Clarea con le macerie del cantiere…e se ci sta anche un po’ di autostrada.
Libertà! Con affetto Niccolò

Torino, gennaio 2014
Niccolò Blasi, Strada Casale 50/A - San Michele - 15122 Alessandria

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Appello dai familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò
In queste settimane avete sentito parlare di loro. Sono le persone arrestate il 9 dicembre con l’accusa, tutta da dimostrare, di aver assaltato il cantiere Tav di Chiomonte. In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché “in quel contesto” e con le loro azioni presunte “avrebbero potuto” creare panico nella popolazione e un grave danno al Paese. Quale? Un danno d’immagine. Ripetiamo: d’immagine.
L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario. Quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni 70 e 80, le bombe sui treni e nelle piazze e, di recente, in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che, appunto, terrorizzava l’intera popolazione. Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri. Sono persone generose, hanno idee, vogliono un mondo migliore e lottano per averlo. Si sono battuti contro ogni forma di razzismo, denunciando gli orrori nei Cie, per cui oggi ci si indigna, prima ancora che li scoprissero organi di stampa e opinione pubblica. Hanno creato spazi e momenti di confronto. Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione. Tutti i valsusini ve lo diranno, come stanno continuando a fare attraverso i loro siti. E’ forse questa la popolazione che sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese?
Le persone arrestate stanno pagando lo scotto di un Paese in crisi di credibilità. Ed ecco allora che diventano all’improvviso terroristi per danno d’immagine con le stesse pene, pesantissime, di chi ha ucciso, di chi voleva uccidere. E’ un passaggio inaccettabile in una democrazia. Se vincesse questa tesi, da domani, chiunque contesterà una scelta fatta dall’alto potrebbe essere accusato delle stesse cose perché, in teoria, potrebbe mettere in cattiva luce il Paese, potrebbe essere accusato di provocare, potenzialmente, un danno d’immagine. E’ la libertà di tutti che è in pericolo. E non è una libertà da dare per scontata.
Per il reato di terrorismo non sono previsti gli arresti domiciliari ma la detenzione in regime di alta sicurezza che comporta l’isolamento, due ore d’aria al giorno, quattro ore di colloqui al mese. Le lettere tutte controllate, inviate alla procura, protocollate, arrivano a loro e a noi con estrema lentezza, oppure non arrivano affatto. Ora sono stati trasferiti in un altro carcere di Alta Sorveglianza, lontano dalla loro città di origine. Una distanza che li separa ancora di più dagli affetti delle loro famiglie e dei loro cari, con ulteriori incomprensibili vessazioni come la sospensione dei colloqui, il divieto di incontro e in alcuni casi l’isolamento totale. Tutto questo prima ancora di un processo, perché sono “pericolosi” grazie a un’interpretazione giudiziaria che non trova riscontro nei fatti.
Questa lettera si rivolge: ai giornali, alle Tv, ai mass media, perché recuperino il loro compito di informare, perché valutino tutti gli aspetti, perché trovino il coraggio di indignarsi di fronte al paradosso di una persona che rischia una condanna durissima non per aver trucidato qualcuno ma perché, secondo l’accusa, avrebbe danneggiato una macchina o sarebbe stato presente quando è stato fatto..
Agli intellettuali, perché facciano sentire la loro voce. Perché agiscano prima che il nostro Paese diventi un posto invivibile in cui chi si oppone, chi pensa che una grande opera debba servire ai cittadini e non a racimolare qualche spicciolo dall’Ue, sia considerato una ricchezza e non un terrorista.
Alla società intera e in particolare alle famiglie come le nostre che stanno crescendo con grande preoccupazione e fatica i propri figli in questo Paese, insegnando loro a non voltare lo sguardo, a restare vicini a chi è nel giusto e ha bisogno di noi. Grazie.

I familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò
11 febbraio 2014, tratto da notav.info

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resoconto del presidio a Ferrara di sabato 15 febbraio
Oggi in città c’erano altre manifestazioni, una, affollatissima, promossa dall’associazione “vittime dello stato” contraria al “reintegro” in polizia degli sbirri implicati nell’omicidio di Federico Aldrovandi; l’altra, una fiaccolata di qualche leghista favorevole allo sgombero di una casa abitata da famiglie immigrate.
Qui, nello stesso pomeriggio, in un’altra piazza, c’eravamo anche noi, un’ottantina di compas provenienti da diverse città con la chiara volontà di contribuire alla rottura dell’isolamento, della dura condizione riservata a Claudio. Lui, arrestato il 9 dicembre scorso assieme a Chiara, Mattia e Nicco, accusat* di aver sabotato delle macchine nel cantiere Tav di Chiomonte, è stato trasferito qualche settimana fa a Ferrara. Qui lo hanno chiuso nella sezione di isolamento dove da tempo hanno portato Nicola, Alfredo, Adriano (Antonacci), ma con il divieto di incontrarli: insomma isolamento nell’isolamento.
Per questo dopo una sosta comunicativa nei giardini di una piazza del centro ci siamo mess* in strada con striscioni, megafono. Nelle rotonde in pina città ci siamo fermat* per comunicare alle persone fuori dai bar, alle finestre, con interventi, con la lettura di lettere dal carcere, il significato della lotta contro l’isolamento che mira a intimidirci tutt* per imporre le condanne, le devastazioni… dello stato. Infine, abbiamo raggiunto il carcere, preso la strada che gli passa davanti dove al grido “Con tutti i prigionieri solidarietà. Fuori gli sbirri dalle città”, “Claudio libero… tutti/e libere/i…” abbiamo espresso anche con il sostegno di petardi, la vicinanza a Claudio, a chi dentro si ribella alle prepotenze, ai soprusi… Da dentro ci hanno sentito e risposto alla nostra presenza. Negli interventi e nei saluti non ci siamo certo dimenticat* di Maurizio (Alfieri), nei giorni scorsi trasferito anche lui a Ferrara (dato che qui ci sono le celle con l’impianto della videoconferenza – che volevano imporgli) in isolamento in altra sezione.

Milano, 16 febbraio 2014
Trento: azione contro il tribunale di sorveglianza
Una mail anonima informa che: "I compagni in AS2 a Ferrara hanno la censura e le restrizioni sulla posta da parecchi mesi e sono in isolamento. Nico, Chiara, Mattia e Claudio hanno delle pesanti restrizioni come i primi. A questi ultimi hanno vietato i colloqui con i familiari e con i loro affetti cosi facendo vogliono annientarli e tenerli zitti. Si é piazzato l'ordigno a Trento contro i magistrati di sorveglianza per dare voce a loro e a titti quelli che sono rinchiusi e lottano con dignità. Così si manda in anticipo un saluto ai prigioneri che inizieranno la lotta ad aprile sperando che la lotta si infiammi. La magistratura e i benpensanti parlano di violenza, ma la nostra violenza rispetto a quella della magistratura e dell'apparato é poca cosa e le sofferenze e le uccisioni inflitte da loro ai
detenuti, come mesi fa e sucesso a Trento.Non siamo ipocriti come voi ci revendichiamo la violenza anche contro le persone che sono responsabili di tutto questo.
Solidarietà a Spyros Stratoulis,Tamara Vergara,Sabbi,Andrea,Gabriele,Monica caballero,Francisco Solar e a tutti quelli che lottano e che hanno delle restrizioni da parte della magistratura."

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La stessa mattina del 28 gennaio, si sono svolte sei perquisizioni tra Trento e Rovereto, quattro nelle case di vari compagni e compagne, le altre ai due circoli anarchici delle rispettive città. La causa di queste “visite” è dovuta all'esplosione di una bombola del gas davanti al Tribunale di Sorveglianza a Trento. La deflagrazione molto forte della bombola ha causato vari danni alle vetrate degli uffici di magistrati, della Provincia, Banche e altri enti.
Dopo l'ultimo periodo di allarme criminalità in Trentino dovuto all'aumento di furti e rapine con il conseguente aumento di polizia arrivata da Padova e baschi verdi della Guardia di Finanza, la Questura fa l'ennesima magra figura, visto che le rapine continuano e la notte porta ancora più consiglio.

febbraio 2014, da informa-azione.info


Lettera dal carcere di Alessandria
Ciao a tutti voi di Ampi Orizzonti, ai compagni di Olga. E’ Gianluca a scrivervi. Dai due presidi, l’ultimo il 9 febbraio, è arrivata forte la solidarietà dei compagni a tutti noi.
Urla, slogan, petardoni e tanta rabbia hanno rotto quegli schifosi muri, piegato quelle infami sbarre, almeno per un po’, nei nostri cuori che ardono sempre di libertà. Rompere il silenzio tra il “dentro”, fra queste mura, e il “fuori”, tra la società, ci sono sempre più galere, la società stessa diventa indispensabile per non far spegnere la fiamma della lotta anticarceraria e per determinare tutti i prigionieri a tenere la schiena diritta e la mente lucida. Stessa cosa vale per gli “onesti cittadini”, responsabili attivamente o passivamente, volenti o nolenti di questo esistente marcio.
Il carcere rappresenta tutto ciò che uccide ogni giorno lentamente migliaia, anzi milioni di prigionieri che non si sono “adattati” al sistema ordinario e formale della forza-lavoro e del consumo. Questi tempi reclusi che ci mettono alla prova sono solo una parte di ciò contro cui ci siamo sempre scontrati, e dovremo continuare a farlo purtroppo con non ottime previsioni per il futuro.
Ora, ultimi a essere sequestrati e deportati nelle celle dell’Alta Sorveglianza dalla repressione di stato, sono Chiara a Rebibbia, Niccolò e Mattia qui a S. Michele e Claudio a Ferrara, e a loro va tutta la mia solidarietà, con tutto il cuore. Anche contro di loro si è scatenata l’inquisizione antiterroristica della democrazia, ma questa volta si sta per superare un altro di quei “limiti” che persino il più modesto dei moderati sociali sopporterebbe. Si cerca di annientare con la paura una più che ventennale Resistenza, non solo contro un treno ad Alta Voracità e nocività, ma contro un mostro chiamato “progresso”, che miete vittime e crea nuovi schiavi ogni giorno.
Non faccio distinzioni fra gabbie, per animali umani o non umani. Se non si distrugge ogni gabbia ci sarà sempre qualcuno che troverà una scusa, una convenienza, per costruirne altre e rinchiuderci chi vuole, solo perché ne ha l’autorità.
Allora ritroviamo l’armonia con Madre Terra e i suoi viventi, distruggiamo questo esistente di miseria, sfruttamento e sadismo tecnologico. Se smettiamo di avvelenare questa terra, l’aria e l’acqua, abbiamo tutto ciò che basta per vivere nel rispetto di tutte le forme di vita, senza chiedere di più e mai più. Avremo così, tutte le motivazioni per dire e gridare che di queste galere vogliamo solo macerie. Un saluto a tutti i compagni prigionieri e in libertà, e a tutti quelli che odiano queste schifose prigioni!
PER LA TERRA E I SUOI VIVENTI, LUNGA VITA ALL’ANARCHIA!

Alessandria, 10 febbraio 2014
Gianluca Iacovacci, via Casale 50 - 15122 S. Michele (Alessandria)


sabato 22 febbraio: mobilitazione generale del Movimento NO TAV
Terrorista è chi devasta e militarizza i territori appello per una giornata di mobilitazione nazionale
Circa 600 imputati, più di un migliaio di indagati, decine di persone sottoposte a varie restrizioni (obbligo o divieto di dimora, foglio di via), multe da centinaia di migliaia di euro, un processo contro 53 no tav condotto in un’aula bunker, diversi compagni da mesi agli arresti domiciliari. In questi numeri si può leggere l’accanimento repressivo contro il movimento no tav. Nella crociata condotta dalla Procura di Torino si è aggiunto ad agosto un nuovo capitolo: no tav indagati per “attentato con finalità di terrorismo” – e sottoposti per questo a misure restrittive – per una delle tante passeggiate di lotta contro il cantiere di Chiomonte.
Dopo mesi di criminalizzazione mediatica, arriviamo al 9 dicembre, quando quattro notav (Chiara, Mattia, Claudio e Niccolò) vengono arrestati su mandato della Procura di Torino perché accusati di aver partecipato ad un’azione contro il cantiere avvenuta nella notte fra il 13 e il 14 maggio.
Un’azione che, come già accaduto nelle pratiche del nostro movimento, aveva danneggiato alcune attrezzature del cantiere.
Per la Procura di Torino si tratta di “attentato con finalità di terrorismo”. Per noi si tratta di una giusta resistenza.
L’accusa di “terrorismo” comporta delle pene molto pesanti. Ma nell’inchiesta della Procura torinese si va ben oltre: vengono utilizzati per la prima volta in Italia articoli che definiscono “terrorista” qualsiasi forma di resistenza a quanto deciso dai poteri economici e politici. Ogni imposizione dello Stato, secondo i Pm Rinaudo e Padalino, ammette tutt’al più la lamentela, ma non l’opposizione attiva.
Insomma, in questo tentativo di attaccare frontalmente il movimento no tav si sperimentano dei modelli che potranno essere applicati in futuro ad ogni forma di dissenso reale.
Ne va della libertà di tutti.
Per questo lanciamo un appello per una mobilitazione nazionale sui vari territori per il 22 febbraio:contro l’accusa di terrorismo e la criminalizzazione di chi lotta; in solidarietà con tutti i no tav imputati e indagati; per la liberazione di Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò e degli altri no tav ancora ai domiciliari; per rilanciare le lotte; perché chi attacca alcuni/e di noi, attacca tutte e tutti; per ribadire con forza che fermarci è impossibile.
Per questi motivi il Movimento no tav indice e propone per il 22 febbraio una giornata nazionale di mobilitazione e di lotta ognuno nel proprio territorioa tutte quelle realtà che resistono e si battono contro lo spreco delle risorse pubbliche, contro la devastazione del territorio, per il diritto alla casa, per un lavoro dignitoso, sicuro e adeguatamente retribuito.
Una mobilitazione comune in solidarietà ai compagni di lotta incarcerati, ai compagni di lotta già condannati, a quella innumerevole schiera di resistenti che ancora deve affrontare il giudizio per aver difeso i beni comuni, una giornata di lotta alla quale seguirà nella metà di marzo un appuntamento a Roma per la difesa e la legittimità delle lotte sociali.
In preparazione della giornata di lotta si invita ad effettuare assemblee sui territori per sensibilizzare la popolazione sia su questi temi sia sui progetti che si contrastano.

Villar Focchiardo, 29 gennaio 2014
da notav.info


Amare mondanità
Processo Cox18 – Resoconto dell’udienza del 30 gennaio 2014
Il 30 gennaio 2014 si è svolta la prima udienza del processo che vede imputati una decina di persone per fatti accaduti il 22 e 24 gennaio 2014, in seguito allo sgombero del Centro sociale Cox18 di Milano.
Essa si è caratterizzata per l’ampia affluenza di pubblico, accorso, oltre che per solidarizzare con gli accusati, perché l’udienza dava occasione di “reincontrare” o quanto meno rivedere e salutare uno degli imputati, Mattia, che dal 9 dicembre scorso è in carcere con l'accusa di “terrorismo” a seguito di una incruenta azione di sabotaggio No Tav.
Il clima dell’incontro tra i compagni convenuti nella piccola aula 6 della Sesta sezione collegiale penale del tribunale di Milano e il loro beneamato, giunto in aula qualche minuto prima della Corte scortato da quattro agenti penitenziari, è stato il migliore che le circostanze potessero permettere. Una volta in aula, la Corte, appena scorto il folto pubblico e posta di fronte all’istanza degli avvocati difensori di fare uscire dalla gabbia l'imputato, ha anzitutto negato il permesso, generando così la protesta dei coimputati e del pubblico. In seguito a queste proteste, la Corte ha intimato lo sgombero dell’aula e, successivamente, la sospensione dell'udienza, aggiornandola alle ore 11, nella “Maxiaula” della prima Corte d’Assise, dove il processo ha avuto inizio a porte chiuse!
In questa situazione si sono avvicendati i primi tre testi dell’accusa, nell’ordine un ispettore capo, un sovrintendente della Digos e un maresciallo dei Carabinieri.
Il primo, invitato dal pm a «descrivere la “situazione ambientale”» nella quale si svolsero i fatti, precisa di non aver partecipato direttamente alle operazioni di sgombero, ma ai «servizi collaterali» di vigilanza sulle «prevedibili reazioni» di una folla ben presto accorsa in solidarietà con il centro sociale sotto sgombero, e che «alle ore 9, “circa”», contava “circa” «100-150 persone».
Le «prevedibili reazioni» cominciano alle «9-9,30, “circa”», quando un nutrito manipolo di presidianti «fa il giro» per trovarsi a «fronteggiare» un cordone dei carabinieri piazzato all’angolo fra via Troilo e via Conchetta; qui egli assiste ad alcune «intemperanze» e riconosce uno degli imputati, prima, nell’atto di tenere acceso un fumogeno e, successivamente, in quello di «sferrare alcuni pugni e calci» contro un automezzo dei carabinieri.
Dopo questo primo episodio d’«intemperanza», un ben più nutrito gruppo di 100-150 persone dà inizio a una serie di «azioni diversive», spostandosi in direzione della vicina circonvallazione ed effettuando un blocco stradale della durata di «“circa” tre quarti d’ora», fra le 11,45 e le 12,30.
Successivamente, la «prevedibili reazioni» si fanno «meno stazionarie», spingendosi in un genere di «iniziative» volte allo scopo, dice, «di portarci in giro», passando per piazza XXIV Maggio, e poi per via Gorizia e via Vigevano, in direzione della stazione ferroviaria di Porta Genova. Non si capisce se in via Vigevano o in via Gorizia, uno degli imputati, lo stesso del fumogeno, viene riconosciuto nell’atto di mettere di traverso alla strada un cartellone pubblicitario, col chiaro obiettivo di «causare disagio».
L’ispettore non segnala «altri episodi d’“intemperanza”» fino a pomeriggio inoltrato, quando, in seguito al rifiuto del Sindaco di ricevere una delegazione delle centinaia di manifestanti ora riuniti in piazza della Scala, se ne verifica un altro, nel corso del quale uno degli imputatati viene riconosciuto nell’atto di rovesciare un cestino dei rifiuti e un gruppo di alcune decine di manifestanti blocca la circolazione in via Manzoni «per “circa” un’ora».
Il secondo teste di accusa, quel 22 febbraio svolgeva funzioni di “osservazione”: lo sgombero si era svolto in maniera «tranquilla», finché non si era raccolto un grosso numero di persone. «Intorno alle 9,30 circa», un blocco composto di una settantina di persone “travisate”, cerca di forzare il blocco dei carabinieri in via Troilo. Una di loro, “non travisata”, accende un fumogeno. Il “fronteggiamento” persiste, «senza scontri», per dieci minuti, interrotto dal passaggio del blindato dei carabinieri. È in questo momento che esso è “fatto oggetto” di calci e pugni, da parte dell’imputato del fumogeno.
Dopo questo «episodio», le proteste adottano le «solite tecniche» di «risposta prevedibile»: «il blocco del traffico veicolare e dei mezzi pubblici» su viale Liguria, protrattosi per «più di mezz’ora-tre quarti d’ora», il tentativo di blocco in piazza XXIV Maggio, le azioni di “spostamento” di cassonetti e cartelli stradali allo scopo di «creare disagi».
Con questa testimonianza si conclude, almeno per quest’udienza, il “racconto” dei «gravi fatti» del 22 gennaio; il terzo teste, infatti, “riferisce” per la giornata del 24, allorché si trovò “di scorta” lungo tutto il suo percorso al corteo di «circa 3 mila» persone che, partito in «maniera tranquilla» da piazza XXIV Maggio, s’era lasciato dietro, appena svoltato l’angolo di via Molino delle Armi, una lunga serie di danni vistosi quali bancomat “danneggiati”, scritte sui muri e sulle vetrine, bidoni di immondizia rovesciati e cartelli pubblicitari «strappati».
È il pm stesso a far notare al maresciallo che il terribile ma generico “scempio” arrecato al decoro urbano non è agli atti del processo in fieri, che non lo menzionano affatto: difatti, quanto alla giornata dal 24 gennaio 2009, ben cinque persone sono imputate di aver preso parte a un “ben specifico” tentativo di rapina avvenuto in un negozio d’abbigliamento in via Torino, almeno un paio d’ore dopo dalla partenza del corteo e dalla fatidica svolta di via Molino delle Armi. È invitato quindi a farla corta, per andare ai fatti importanti: secondo la sua testimonianza, «alcune persone dal corteo» erano entrate nel negozio per «dar manforte» a «un soggetto tenuto fermo da un addetto della security». Il «soggetto» si era poi «volatilizzato», mentre quelle «altre persone provenienti dal corteo» si erano date ad azioni di «danneggiamento» del sistema antitaccheggio del negozio. Una, in particolare, si era poi spinta fino alle minacce nei confronti dell’“addetto alla sicurezza”.
Però, di tutti questi “gravi fatti” dei quali è testimone d’accusa, il maresciallo non è testimone oculare, giacché egli si trovava a «“circa” 15 metri» dalla porta del negozio. «Dalla sua visuale» ha notato, fra le tante che uscirono dal negozio, tre persone che solo «in seguito a un confronto con “i colleghi di polizia”» poté riconoscere. La «ricostruzione dei “gravi fatti”» di quel 24 gennaio in via Torino, dovrà essere perciò l’oggetto di una prossima udienza.
Essendo già le 14,30, la Corte è già informata del fatto che, sui siti degli organi e delle agenzie di stampa, già si dà risalto a quanto accaduto in mattinata raccontando della «vera e propria protesta» inscenata «da alcune decine di giovani antagonisti» durante «il processo a carico di dieci ragazzi imputati in relazione agli scontri (!) avvenuti nel gennaio del 2009, quando venne sgomberato lo storico centro sociale» («Il Giorno»). Il clamore che la «vera e propria protesta» ha sollevato già costituisce, per il giudice Raffaele Martorelli, motivo di apprensione circa il corretto svolgimento nelle udienze future.
A conclusione dell’udienza, la Corte e i difensori hanno discettato a lungo sulla “cornice” entro la quale debba svolgersi la prossima udienza, fissata per giovedì 27 febbraio 2014, alle 9,30.
A tutta prima, sembra che l’unico modo per garantire il “decoro istituzionale” sia quello di tenere l’udienza in… un’aula-bunker, e non un’aula bunker qualsiasi bensì in quella di Ponte Lambro, che primeggia tra i purtroppo numerosi e squallidi siti consimili della città, per dirla senza ambage, come “il più inculato”!
Tanto basta ai giudici della Corte per venire a più miti consigli: l’udienza del 27 febbraio si terrà in tribunale, nella stessa aula 6 della sesta sezione penale collegiale già definita “insufficiente” a garantire il carattere “pubblico” del processo penale, con la richiesta di un impegno acciocché “il pubblico” assuma contegni accettabili.
Al termine di una tale serie di nonsense s’impone come una nota tristissima la vera notizia del giorno che raggiunge a seduta ormai tolta, l’imputato sotto scorta: i giudici di Torino hanno disposto ch’egli non rientri nel carcere delle Vallette, ma in quello di Alessandria. Stessa sorte è toccata nel corso della giornata anche agli altri tre arrestati del 9 dicembre. Ed è amaro il presagio che, data la spropositata accusa che pesa sulle loro spalle, le udienze di questo strampalato processo milanese saranno, di qui ad allora, tra le poche occasioni di mondanità per uno di essi.

Milano, febbraio 2014


arresti a roma e napoli
In attesa di maggiori informazioni e comunicati, apprendiamo dai media locali che la Digos di Roma e i carabinieri del comando provinciale hanno sottoposto 17 compagni dei Movimenti di Lotta per la Casa a misure di custodia cautelare: 7 arresti domiciliari e 10 obblighi di firma. Le accuse riguardano gli scontri del 31 ottobre 2013 in via del Tritone, dove uno schieramento di forze dell'ordine era stato schierato a tutela della Conferenza Stato-Regioni. Le accuse nei confronti dei compagni sono di radunata sediziosa, rapina (di uno scudo e di un manganello), violenza, resistenza e lesioni aggravate in danno di pubblici ufficiali e danneggiamenti aggravati.
Quasi contemporaneamente, a Napoli, 10 attivisti del movimento disoccupati e precari B.R.O.S venivano posti agli arresti domiciliari e 25 all'obbligo di dimora; in questo caso, l'accusa nei loro confronti è di "uso ricattatorio della protesta di piazza".

13 febbraio 2014, da informa-azione.info
Pisa: perquisizione al Garage Anarchico
Su un piatto della bilancia l’ennesimo progetto latore di distruzione e avvelenamento, tanto abominevole quanto concreto; gli sforzi di presentarlo quale ordinaria amministrazione, quale “lieto fine” dell’avventura nucleare italiana, mal celano l’abominio di un’eredità che contiene in sé il peso di una millenaria civilizzazione e domesticazione dell’esistenza. Stiamo parlando dello sversamento, iniziato lo scorso ottobre e tuttora in corso, di 750 mila litri di acqua radioattiva nel canale dei Navicelli, un canale che da Pisa sbocca nel mare vicino a Livorno; l’acqua proviene dalla piscina di raffreddamento del reattore nucleare sperimentale del CISAM (Centro Interforze Studio e Applicazioni Militari) in fase di smantellamento.
Sull’altro piatto un manipolo di oppositori, i quali, scansati i professionisti del dissenso democratico e delle vie istituzionali, si sono organizzati e hanno provato a spostare l’ago della bilancia. Vari i tentativi da parte degli anarchici di smerdare la campagna mediatica sulla trasparenza del procedimento, portata avanti dal CISAM in collaborazione con ARPAT, campagna a colpi di rassicurazioni, dati, e ovviamente di falsità, ipocrisie e quell’odiosa tranquillità di chi avvelena la Terra e pretende docile silenzio in cambio di partecipazione e morte. E così: presidi, concerti, volantinaggi, manifestazioni di piazza… Poco, tuttavia, hanno raccolto in termini di riscontro.
In tutto ciò, qualcheduno ha pensato bene di esprimere il proprio dissenso in altri modi: prima è comparso un manifesto, sui muri della città, che usando i loghi di ARPAT e Comune di Pisa metteva in allerta la popolazione circa i pericoli connessi a un tale sversamento, poi, il 26 novembre, un gruppo di “ignoti incappucciati” che ha fatto irruzione all’ARPAT sbattendo in faccia agli impiegati della devastazione ambientale le proprie responsabilità, lasciando scritte e uscendo prima dell’arrivo delle forze dell’ordine.
L’ago della bilancia non ha neanche sussultato, questo è chiaro a tutti: di fronte a chi ci propina morte e devastazione c’è stato solo uno stizzito rigurgito di rabbia, niente di più. Altro sarebbe restituire ciò che questi signori elargiscono, come alcuni dei nostri generosi compagni hanno saputo fare: Alfredo e Nicola azzoppando Roberto Adinolfi, Marco Camenisch sabotando con la dinamite i cantieri delle centrali atomiche, e tanti altri ribelli, in passato come adesso, opponendosi, con una miriade di lotte diverse, alla morte nucleare.
Non è mancata, rapida, la reazione da parte delle istituzioni che hanno condannato il gesto come opera dei soliti “professionisti del terrore”, invocando solerte la grave mannaia della repressione a stroncare gli animi di questi incappucciati che hanno osato esprimere conflittualità in un contesto pacificato, dove lamentele e istanze vengono sapientemente recuperate. Ed eccola la “mannaia” (in questo caso ricorda più un giocattolino di plastica che una vera e propria mannaia): il 4 febbraio scorso, agenti della DIGOS di Pisa hanno perquisito le abitazioni di una compagna e un compagno del Garage Anarchico nonché la sede stessa. Alla ricerca di prove schiaccianti hanno sequestrato abiti, computer, hard disk, opuscoli, volantini, dossier e copie del foglio locale Controtempo. Le accuse contestate sono: minaccia a pubblico ufficiale, imbrattamento, falso e procurato allarme.
Il sistema produce, sfrutta, inquina, contamina e si arricchisce, mentre le conseguenze di questi processi si manifestano nell’acqua che beviamo, nell’aria che respiriamo, nel cibo di cui ci nutriamo. Tutto ciò non merita altro che odio e rabbia, motori di una risposta organizzata contro questa faccia tanto malvagia quanto vigliacca e disgustosa del dominio tecno-industriale.
Per conto nostro, ribadiamo la ferma volontà di continuare a contrastare questo progetto. La loro mannaietta di plastica non può che rompersi sulle nostre teste dure.
Non un passo indietro! Solidarietà rivoluzionaria con i compagni prigionieri in lotta!

Garage Anarchico
9 febbraio 2014, da informa-azione.info


monza: I FINTI BUONI CHE SGOMBERANO K2O
A monza, chi offre lavoro in carcere provocando meccanismi di differenziazione e privilegio tra i detenuti è lo stesso che firma la demolizione di K2O, un edificio occupato per risolvere dal basso la gravissima emergenza sfratti in cui versa la città.
Stiamo parlando della piovra Monza Casa, consorzio di housing "sociale" di cui fanno parte la Cooperativa sociale Monza 2000 (colosso del terzo settore locale, coinvolto in servizi di natura molto diversa, tra i quali il lavoro all'interno del carcere di Monza) e la Cooperativa Edilizia San Donato (responsabile diretta della demolizione di K2O).
Fa riflettere che, a fronte di quanto accaduto, la mission del consorzio sia "Contribuire a risolvere il problema abitativo con attenzione alle situazione di svantaggio economico e sociale e Promuovere azioni concretamente possibili e necessarie per sostenere iniziative abitative socialmente orientate verso le fasce sociali più deboli."
Con il lavoro in carcere “Monza 2000” fornisce all'amministrazione un'arma formidabile per sedare il dissenso più che legittimo della popolazione detenuta, costretta in condizioni pietose di sovraffollamento. I posti sono infatti pochissimi e, comprensibilmente, un detenuto rinuncia alla protesta pur di aggiudicarsene uno.
Inoltre, è il basso costo della manodopera detenuta a garantire a Monza 2000 un'ottima competitività sul mercato. La natura per nulla "sociale" del consorzio è poi sottolineata ulteriormente dal fatto che Monza 2000 trae profitto anche dagli sfratti delle famiglie, che l'amministrazione comunale invia alla Cascina Cantalupo (gestita dalla coop), pagando 400 euro al mese per una stanza singola e 300 per una doppia.
Oggi 15 febbraio 2014 un corteo percorrerà le strade di Monza per ribadire l’emergenza abitativa in città e protestare contro lo sgombero di K2O, concentramento alle 14.30 in Largo Mazzini.
BASTA GALERA COME UNICA RISPOSTA AL DEGRADO SOCIALE!
BASTA GENTE SENZA CASA E CASE SENZA GENTE!

febbraio 2014, FOA Boccaccio - CordaTesa

Il corteo di sabato 15 ha visto la partecipazione di oltre 300 persone. Durante il percorso sono stati fatti molti interventi di denuncia delle politiche speculative sulla casa e sono state fatte molte scritte, alcune enormi, sui muri della città.


Sulla giornata in ricordo delle Foibe a Cremona
Contro fascisti e violenza poliziesca sempre resistenza
Lunedì 10 febbraio, in una Piazza Fiume militarizzata anche con transenne legate in tutte le vie d’accesso, i fascisti di Casa Pound hanno tenuto una fiaccolata per ricordare le foibe.
Questa ricorrenza è l’ennesima cantilena democratica di mettere sullo stesso piano i morti degli oppressori, quelli del regime fascista e dei liberatori, ovvero uomini e donne che tentarono l’assalto contro i nazi-fascisti, attraverso la lotta partigiana e antifascista, al cielo stellato della libertà.
Quella sera abbiamo detto NO senza nessuna mediazione a tutti i fascismi che questa società produce e per affermare come nessuna piazza è da lasciare agli infami di Casa Pound.
La polizia, dopo aver parlato con il gruppo di fascisti, ha caricato mentre esprimevamo il nostro dissenso e disprezzo per quello che avevamo davanti a noi.
La commistione infame fra polizia e fascisti non è una novità, ma è stata evidentissima...
Decisamente esagerato il dispiego di forze dell’ordine tra polizia, carabinieri, celere e digos fatti venire anche da fuori città per proteggere una trentina di infami che si sentono leoni solo quando sono protetti da sbirri sempre pronti ad assecondarli, a tal punto che quando gli animi di un paio di fasci si scaldano, la celere non si fa problemi ad avanzare ed iniziare a bastonare.
Per la prima volta a Cremona, guarda caso con l’avvento del nuovo questore (!?!), la sbirraglia alza il tiro e dimostra di sapere a che serve (e chi serve) il manganello.
Tutto questo in un territorio in cui gli avvisi orali sono diventati una rodata pratica, quasi quotidiana, ne sono arrivati tre in meno di due mesi e il terzo proprio in questi giorni, ad un nostro compagno. Per questo, nel silenzio totalizzante di questa triste città, l’unicità della libertà fa ancora a cazzotti con la violenza poliziesca, i presunti “valori” di ogni fascismo e il mondo che lo tollera.

Le compagne e i compagni di Gino Lucetti
12 febbraio 2014, da informa-azione.info