indice n.83
sulla situazione della popolazione kurda nel nord della Siria
Ondata di scioperi in Egitto
Anche l'Egitto soffoca Gaza
USA: sulla fine dello sciopero della fame dei detenuti
AUTUNNO 2013: appello dei detenuti nelle carceri
comunicato dal carcere di viterbo
Lettera dal carcere di Sulmona
Lettera dal carcere di terni
Un mese di mobilitazione In sostegno delle lotte nelle carceri
lettera dal carcere di teramo
Resoconti presidi e iniziative sotto le carceri
Da una lettera dal carcere “Pagliarelli” di Palermo
Francia: Delle scintille nelle galere (estate 2013)
lettera dal carcere di Spini di Gardolo (tn)
lettere dal carcere di Velletri (rm)
Lettera dal carcere di Rebibbia (rm)
Lettere dal carcere di Spoleto (pg)
Da una LETTERa DAL CARCERE DI OPERA (mi)
Lettera dal carcere di Bergamo
Lettera dal carcere di Trapani
lettere dal carcere di San Vittore (mi)
Ora e sempre No Tav: aggiornamenti
lettera di un compagno agli arresti domiciliari
La Nostra Guerra Non è Finita: 16, 17, 18 Ottobre 2013 a Roma
Bologna: Sul processo “Outlaw”
aggiornamenti dalla lotta dentro e contro e cie
con gli IMPUTATI per le LOTTE alla BENNET DI ORIGGIO (VA)
sulla situazione della popolazione kurda nel nord della Siria
Seguono stralci di una conferenza avvenuta il 13 agosto a Chiomonte, in Val Susa.
Cenni storici
Il Kurdistan è la regione della Mesopotamia, situata tra i fiumi Tigri e Eufrate, culla fra alcune altre, dell’agricoltura; abitata da una popolazione fra le più antiche del pianeta. Per la sua posizione geografica, questo territorio viene definito cerniera fra oriente e occidente, ripartito fra diversi stati (Iran, Iraq, Turchia e Siria), ricco, fra l’altro, di petrolio, acqua - per cui si trova, oggi come sempre al centro di svariati interessi delle potenze imperialiste. Le divisioni imposte dal saccheggio imperialista attraversano la società curda, in nome del “divide et impera” come è avvenuto e avviene in tutti i territori colonizzati. Anche nella popolazione del Kurdistan, nel corso dei secoli si sono dunque formate fazioni. Da qui il carattere della popolazione kurda di non essere omogenea ma piuttosto tribale, segnata da guerre, lotte intestine tra i vari clan che la costituiscono.
L’evoluzione del PKK
La lotta del Partito del Lavoro del Kurdistan (PKK), che fin dai suoi inizi (fine degli anni 70), seppur nato come partito marxista-leninista classico, ha posto alla sua base certamente la guerra di liberazione nazionale per la costruzione di uno stato indipendente socialista kurdo, ma con l’obiettivo di attaccare principalmente, ancor prima dello stato turco, la composizione, il carattere tribale, feudale, patriarcale della società kurda, ossia, il potere dei clan, delle fazioni e dei signorotti che avevano in mano il potere effettivo.
Il PKK ha finalizzato la sua lotta contro quel potere per costruire relazioni relazioni sociali gestite dal basso. L’evoluzione del PKK nel corso degli anni lo ha portato a divenire opposizione reale entro i villaggi e le città, punto di riferimento di tutte quelle forze, soprattutto le donne, che hanno trovato in esso, nella guerriglia un’occasione per rompere con i rapporti sociali del passato e di cercare di costruire un’alternativa. Il PKK è così divenuto una sorta di milizia di autodifesa dei villaggi, un esercito popolare.
Nel corso dei secoli l’oppressione dello stato turco in Kurdistan non si è certamente fermata ad impedire l’insegnamento e l’impiego della lingua kurda, ma piuttosto si è sempre più caratterizzata, nei bombardamenti chimici dei villaggi e delle città, nelle deportazioni di massa, come genocidio. Le milizie del PKK nella difesa del territorio combattono questo nemico.
Il federalismo democratico: prospettiva-alternativa
L’evoluzione pratico-teorica del PKK ha portato la sua dirigenza ad elaborare negli ultimi decenni una nuova teoria: abbandono dell’obiettivo di uno stato kurdo etnicamente omogeneo. Lo dicono apertamente: Noi non vogliamo più costruire un nuovo stato con dei nuovi confini, uno stato per la popolazione kurda, perché abbiamo capito che stato significa inevitabilmente sfruttamento del popolo, perdita di autonomia e di capacità decisionale da parte del popolo. Il PKK oggi propone il “federalismo democratico”, cioè, una forma di repubblica democratica, multireligiosa, multietnica, che rappresenti dunque tutte le popolazioni che vivono in quell’area, che travalichi i confini imposti dagli stati-nazione; una repubblica fondata sulle assemblee di villaggio, paese, quartiere, città autogestite dal basso.
Così, in questi ultimi anni, nel pieno della guerra contro lo stato turco, la resistenza kurda ha sviluppato e praticato un obiettivo di società inventando degli organi, come il KCK (Cordinamento della Comunità del Kurdistan), per realizzarlo. Il KCK si è presentato alle recenti elezioni, le ha stravinte assumendo tutte le amministrazioni locali di ogni tipo attraverso suoi candidati eletti a sindaci, a responsabili di scuole, asili, ospedali – dove la presenza-iniziativa delle donne è stata molto significativa… Lo stato turco ha risposto a questi sviluppi con un’ondata di arresti, oltre ottomila, proprio per tentare di smantellare questo tentativo di gestione dal basso.
L’alternativa kurda faccia a faccia delle multinazionali, dei loro stati
La prospettiva della “confederazione democratica” si è dunque estesa sull’intero territorio abitato dalla popolazione kurda. Nella Siria del nord, uno di questi territori, oggi, nella guerra civile scoppiata negli ultimi anni, nel vuoto di potere che si è creato nell’insurrezione contro il regime di Assad, la popolazione kurda, che non si è schierata né con il regime in decadenza né con le milizie definite dalla propaganda imperialista “ribelli”, a loro volta finanziate da Turchia, Qatar, Arabia Saudita, ha colto l’occasione di autogestire la propria regione, formando milizie di autodifesa di villaggio, entrate inevitabilmente sotto il tiro degli uni e degli altri.
La situazione attuale in Siria è molto difficile da comprendere e da risolvere. La popolazione kurda ha deciso di uscire già nel giugno 2012 dalla guerra civile, mettendo piuttosto in pratica un’alternativa sia al regime di Assad sia al fallimento del cambiamento seguito dai capi-clan kurdi Barzani e Talabani (presidente addirittura dell’Irak) nel nord Irak. L’alternativa si basa sulla rivoluzione democratica, vale a dire sui parlamenti locali; più politica e meno armata di quella seguita dal PKK nel Kurdistan occupato dalla Turchia. Il tentativo è di creare una zona autonoma democratica che non diventi il cortile dell’imperialismo americano in Medio Oriente. Ciò ha dato molto fastidio ai gruppi armati islamici sostenuti da Arabia Saudita, Qatar, America, Yemen, e ne ha dato altrettanto allo stesso regime di Assad (che in quella regione può contare almeno su una relativa neutralità); il formarsi di una “zona autonoma” nel nord della Siria si scontra inoltre con gli interessi della Turchia. Questo stato vorrebbe, come minimo, che in quel territorio si ripeta quanto è accaduto nel nord Irak. Qui, infatti, i clan kurdi di Barzani e Talabani hanno potuto agire, in combinazione con la Turchia, come in un territorio apparentemente controllato da loro. Con una certa autonomia hanno potuto costruire villaggi, dighe, mettere sotto controllo i fiumi, appaltare la gestione dei pozzi petroliferi… fino a creare uno stato (kurdo) all’interno di un altro stato (irakeno).
Il nord della Siria: alleanza nella guerra antimperialista
Quello che la popolazione kurda del nord della Siria sta costruendo rappresenta perciò un grosso pericolo per chi ha dei piani sulla Siria di domani. Da oltre un mese in quella zona – ricca di petrolio – ci sono degli scontri molto forti, nei villaggi kurdi la popolazione è stata massacrata dai gruppi islamici, che si spostano da un paese all’altro per servire il cosiddetto “esercito di liberazione siriano”. Questo è documentato anche in immagini, video.
Dal nord della Siria la gente fugge; migliaia di persone raggiungono fra mille impedimenti militari-diplomatici (per esempio con il blocco durato più giorni della dogana) il nord Irak, la Turchia. Negli scontri accennati ci sono stati oltre 150 morti. Le milizie kurde combattono l’aggressione, assieme ad altre popolazioni, alawite, turamene; si sono date un esercito, si coordinano, non si riconoscono affatto nelle forze “ribelli” siriane o meno che siano, non sono presenti negli organi politici di queste tanto meno si riconoscono nelle loro pretese politiche, religiose e sociali.
I tentativi di seduzione dei genocidi
La Turchia vede l’esperimento avviato nel Kurdistan (in Siria) con molta paura perché una zona autonoma nella Siria di domani potrebbe divenire un modello sia per il Kurdistan del nord Irak che della Turchia. Il governo di Ankara ha avviato nel nord della Siria colloqui diretti con i rappresentanti eletti kurdi, membri del KCK. La situazione è dunque, caotica, molto complessa, difficile da comprendere, e anche da difendere.
La popolazione kurda in quel territorio si trova come fra l’incudine e il martello, basti pensare che i gruppi armati islamici, e non, in guerra con il regime di Assad si addestrano, hanno le loro retrovie soprattutto proprio in Turchia. La popolazione kurda di quella regione viene attaccata perché con la sua visione laica della società non ha mai aderito, se non all’inizio, alla guerra civile esplosa in Siria; non condivide assolutamente la guerra religiosa fomentata, come in Irak, dagli USA e loro alleati nella regione, proprio per impedire con la guerra, per esempio fra sciismo e sunnismo, ogni soluzione politica indipendente, presupposto dell’autonomia economica, insomma del controllo sui giacimenti petroliferi e del gas. USA e co. hanno così scelto, optato anche in Siria per la “balcanizzazione”, frammentazione per la “guerra permanente”. Uno stato senza sovranità sul controllo delle risorse, dei confini, con la sua popolazione che si scanna, è molto più facile da saccheggiare.
Internazionalismo necessario
In Siria si sta combattendo una “guerra mondiale” fra USA, Russia, Cina… dove l’interesse del popolo siriano, la sua sovranità e simili sono assolutamente banditi. Territorio, popolazione devono piuttosto essere, come in Irak, giocattoli nelle mani dei saccheggiatori. La resistenza kurda è un ostacolo alla realizzazione del disegno imperialista – il sostegno ad essa di ogni resistenza al capitalismo, in qualsiasi parte del mondo si trovi, è presupposto di ogni altro sviluppo.
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Un altro metodo di tortura nelle carceri: le telecamere
DİYARBAKIR (DİHA) - La violazione dei diritti umani sui detenuti aumentano giorno dopo giorno nelle carceri turche e la recente attuazione di un sistema di sorveglianza attraverso telecamere hanno spinto i detenuti a dire basta.
Negli ultimi mesi, vi stato è un ampio posizionamento di telecamere soprattutto nelle zone della prigione dove sono rinchiusi i prigionieri del PKK e del PAJK.
I detenuti sono tenuti sotto sorveglianza per 24 ore, senza che vi sia una giustificazione giuridica sia con la legislazione nazionale che internazionale. I detenuti che protestano contro questa pratica illegale affrontano provvedimenti disciplinari.
L’avvocato Selvin Tunç sottolinea che gli intento di questa pratica non é altro che tortura psicologica. Nihat Ekmez un detenuto del carcere di tipo E di Burdur, una delle carceri in cui é stato attuato il sistema di telecamere dice: “Loro ci vogliono come se fossimo un albero morto”.
Finora il sistema a videocamere é stato attuato nelle prigioni di Kirklar 1 e Kirklar 2, nel carcere di tipo L di Balıkesir, nel carcere di tip L di RizeKalkandere ed ultimamente nel carcere di tipo E di Budur. Il sistema di videosorveglianza verrà eventualmente attuato in tutte le carceri nel prossimo periodo, e tutti i lavori per sue le infrastrutture sono in corso in molte carceri. Un’istanza definitiva per assumere un provvedimento disciplinare contro i detenuti che protestano si é verificata nel carcere di tipo E di Burdur.
Nihat Ekmez, ha dichiarato alla sua famiglia nell’ultima telefonata settimanale alla sua famiglia, di essere stato angosciato dalle telecamere poste nella caffetteria, e di aver avuto problemi con l’amministrazione della prigione quando avevano protestato. Ha anche aggiunto che loro sospettano che la telecamera regista anche i colloqui. Ha dichiarato alla sua famiglia: “Loro puntano a distruggere la nostra personalità e a schiavizzarci. Loro ci vogliono come un’albero morto. Noi non vogliamo permetterne l’attuazione”.
L’avvocato Selvi Tunç informa del fatto che le politiche di isolamento aumentano continuamente nelle carceri, e le videocamere sono poste in tutti i settori più comuni, e insiste nel dire che non c’é un fondamento legale per questo utilizzo. Aggiunge che anche le stanze dei detenuti sono mantenuti nel campo di visualizzazione angolare delle telecamere”.
Sostiene che una incessante sorveglianza aumenta l’isolamento, e che i detenuti che protestano sono soggetto a punizioni arbitrarie, che rendono elevato l’isolamento.
Tunç sostiene anche che le videocamere sono posizionate nella caffetteria e persino anche nei luoghi dove si dorme.
“I detenuti sono già sottoposti a sorveglianza attraverso molti metodi, ma questo trattamento aggiunge la beffa al danno. L’intento é quello di isolare, lasciare in solitudine. La sua base è la tortura psicologica. Questo trattamento é per creare una sensazione di essere continuamente sorvegliati e perciò di impedire il diritto di socializzazione dei detenuti”.
Tunç sostiene che il sistema di sorveglianza é utilizzato solo con i prigionieri politici e aggiunge: “Questo é una violazione del principio di uguaglianza della Costituzione”.
Un altro avvocato Muhterem Süren, membro della Commissione de Carcere della sezione di Diyarbakir delle Associazioni per i diritti umani, dice che che l’applicazione ottiene la sua legittimazione dall’articolo 115 della legge sulle misure di sicurezza nelle carceri, tuttavia l’articolo dice che solo se il detenuto è probabile che continui commettere crimini o per distruggere le prove o nel danneggiare gli altri che può essere tenuto sotto videosorveglianza, ma che questo può essere deciso dall’Ufficio della procura o dal Tribunale. L’attuale utilizzo é effettuato senza incontrare queste condizioni e intende tenere sotto controllo i detenuti.
Süren aggunge che loro si opporranno all’attuazione e che si metteranno in contatto con il Ministero della Giustizia ,in primo luogo per chiedere la rimozione delle videocamere e che agiranno a livello internazionale se le loro richieste non verranno soddisfatte.
HAYRİ DEMİ, Dicle Haber Ajansj
Traduzione a cura della Redazione di ReteKurdistan Italia
16 settembre 2013, da retekurdistan.it
Ondata di scioperi in Egitto
In Egitto crescono gli scioperi nello stesso tempo in cui la situazione politica si acquieta e la protesta dei Fratelli Musulmani perde forza.
In agosto il ministero della sanità ha vietato espressamente gli scioperi negli ospedali pubblici elevando così il malumore dei sindacati dei medici.
A Mahalla al-Kubra, nella regione del delta del Nilo, diecimila tessili hanno interrotto il lavoro per ottenere il pagamento di bonus arretrati. A Suez gli operai di un’acciaieria entrati in sciopero sono stati aggrediti da unità dell’esercito; parecchi di loro sono stati arrestati, poi liberati solo dopo la mediazione del ministro del lavoro.
Il 10 settembre, anniversario di una grande mobilitazione del sindacato insegnanti (40mila in strada) avvenuta nel 2011, lo stesso sindacato ha organizzato delle proteste data la penosa situazione in cui si trovano anche gli insegnanti. “Io guadagno 190 euro al mese, non riesco a nutrire la famiglia. Il denaro che guadagno lo esauriamo in una settimana” ha detto un sindacalista ai cronisti. La miseria dello stipendio degli insegnanti si riflette sulla qualità dell’istruzione statale. Sempre più genitori mandano i loro bambini nelle scuole private, che però sono troppo care e quindi sono chiuse alle famiglie povere…
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L’organizzazione dei Fratelli Musulmani in Egitto viene dichiarata illegale con procedimento frettoloso eseguito da un tribunale del Cairo, cioè viene messa fuorilegge. Questo accade tre mesi dopo l’abbattimento della presidenza di Mohamed Mursi, rappresentante della Fratellanza Musulmana che aveva vinto le elezioni e formato il governo. Allo stesso tempo il tribunale ha ordinato la confisca da parte del governo del patrimonio e degli immobili della Fratellanza. Questa organizzazione adesso si trova in una situazione certamente peggiore da quando è stato cacciato Mubarak (febbraio 2011); in pratica è stata rigettata nella stessa situazione precedente le giornate di quella rivolta. Al momento della sentenza in aula la Fratellanza non era rappresentata che dall’avvocato.
17 e 23 settembre 2013, da jungewelt.de
Anche l'Egitto soffoca Gaza
Gaza vive ormai stretta tra due assedi, quello israeliano e quello egiziano. Dopo la caduta del regime dei Fratelli Musulmani, il nuovo governo del Cairo ha assunto una serie di misure fortemente restrittive contro la Striscia, "punizione" contro Hamas per il sostegno al deposto presidente Morsi.
E se sotto la Fratellanza le condizioni al confine tra Sinai e Gaza non erano migliorate, ora la situazione minaccia di diventare esplosiva. Mercoledì una corte egiziana ha condannato ad un anno di prigione cinque pescatori gazawi (Jamal Basla, KHaled Basla, Maher Mazen, Mahmoud Nahed e Khaled Radwan), con l'accusa di essere entrati con le loro barche nelle acque territoriali egiziane. Una pratica frequente: a causa delle imposizioni israeliane (i palestinesi non possono pescare oltre le tre miglia nautiche dalla costa, nonostante gli Accordi di Oslo prevedano un limite di 20 miglia), i pescatori sono spesso costretti a muoversi verso l'Egitto per sfamare le proprie famiglie.
Nelle ultime settimane, però, la Marina egiziana si è trasformata in un cane da guardia, in alcuni casi arrivando ad aprire il fuoco contro i piccoli pescherecci gazawi. A ciò si aggiungono le misure di sicurezza prese dal governo ad interim del Cairo al confine tra Rafah e Gaza. Chiusura a tempo indeterminato della frontiera, bombardamento dei tunnel sotterranei e operazioni militari contro presunti miliziani di Hamas sono ormai all'ordine del giorno.
E dalle istituzioni egiziane arriva la benedizione di politiche che stanno schiacciando ulteriormente una popolazione sotto assedio. Durante un talk show della tv egiziana Al-Hayat, l'ex ministro dell'Elettricità Osama Kamal si è detto "felice per i grandi sforzi dell'esercito egiziano in Sinai", che è riuscito a fermare il contrabbando di combustibile verso Gaza, impedendo così l'utilizzo dell'unico impianto elettrico della Striscia. "L'impianto potrebbe interrompere le attività tra tre giorni", ha detto Kamal, non tenendo forse in considerazione l'importanza che tale generatore ha per la Striscia: a Gaza, Israele fornisce elettricità solo 8-12 ore al giorno, il resto viene coperto da generatori privati (azionati dal combustibile egiziano) e dall'impianto elettrico. Senza tale indispensabile apporto, i blackout diventano la normalità impendendo il funzionamento degli ospedali.
Ad oggi, a causa delle distruzioni perpetrate dall'esercito egiziano, sono rimasti aperti solo dieci dei 300 tunnel di collegamento tra Rafah e Gaza, indispensabili a rifornire la Striscia di beni di prima necessità. Tra questi proprio il combustibile: si è passati da un milione di litri al giorno a solo 200mila litri.
Infine, la frontiera di Rafah, unica possibilità per la popolazione gazawi di lasciare la Striscia per lavorare, studiare e ricevere cure mediche adeguate. Dal 3 luglio ad oggi, il confine è stato chiuso per intere settimane, per "ragioni di sicurezza", secondo il governo egiziano: obiettivo, impedire il passaggio di miliziani di Hamas pronti a combattere in Sinai al fianco dei gruppi islamisti pro-Morsi.
Ma a risentirne è la popolazione civile: secondo dati delle Nazioni Unite nella settimana dal 3 al 9 settembre solo 150 palestinesi sono entrati in Egitto ogni giorno, solo il 15% della media pre-golpe (quando attraversavano Rafah circa 1.860 persone al giorno). A preoccupare è soprattutto la condizione dei malati gazawi: come riportato dal ministro della Salute della Striscia, Mofeed Mukhalalati, ci sono migliaia di pazienti in attesa di entrare in Egitto per cure mediche.
"L'Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari dell'ONU è molto preoccupato per le recenti misure di sicurezza e le restrizioni imposte al confine di Rafah - ha detto il portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite - Tali restrizioni hanno provocato ritardi per studenti e malati che necessitano di trattamenti immediati e la mancanza di materiali di costruzione, combustibile e medicinali"
20 settembre 2013, da nena-news.globalist.it
USA: sulla fine dello sciopero della fame dei detenuti
Il 5 settembre, dopo 60 giorni, i detenuti hanno interrotto lo sciopero della fame e del lavoro. La decisione di interrompere lo sciopero è avvenuta dopo 5 giorni che due Senatori hanno riconosciuto la serietà e l'urgenza delle condizioni dell'isolamento e dunque inizieranno dal prossimo Ottobre ad occuparsi delle richieste per le quali i detenuti hanno iniziato lo sciopero. Lo faranno attraverso udienze pubbliche (anche questa è stata una delle richieste da parte dei detenuti, degli attivisti e dei familiari) e i primi 2 punti sui quali si focalizzeranno ad Ottobre sono le condizioni d'isolamento nelle prigioni dii massima sicurezza in California e l'effetto dell'isolamento a lungo termine come strategia del management carcerario e in termini di diritti umani.
Segue un comunicato di alcuni familiari.
Come membri e portavoce del CFASC California Families to Abolish Solitary Confinement (Familiari della California per l'abolizione dell'isolamento carcerario), del Hunger Strike Mediation Team (Gruppo di mediazione dello Sciopero della fame) e del Prisoner Hunger Strike Solidarity Coalition (Coalizione di solidarietà ai detenuti in sciopero della fame) sappiamo che lo sciopero della fame di quasi 60 giorni è stato un enorme sacrificio per i prigionieri. Non possiamo nemmeno immaginare cosa abbiano sopportato i loro corpi in quesi 60 giorni e siamo veramente molto contenti che sia finito e senza che ci sia stata perdita di vite.
Allo stesso stesso, sappiamo e siamo pronti ad affrontare le grandi sfide che ci attendono. Per garantire che i prigionieri, i nostri cari, non debbano mai più sopportate tali sofferenze, noi continueremeno nel nostro lavoro per porre fine a quelle condizioni disumane. Come membri del CFASC, noi stessi e molti familiari siamo pronti a rimanere in prima linea per porre fine alla pratica dell'isolamento a lungo termine.
We are very proud of our family members and loved ones that were willing to make such a sacrifice which has gained international attention and we are honored to be part of such a historical movement.
Siamo molto orgogliosi dei nostri familiari e persone care che erano disposti a fare un tale sacrificio che ha guadagnato l'attenzione internazionale e siamo onorati di essere parte di un movimento di tale storico.
Siamo molto orgogliosi dei nostri membri e dei nostri cari che sono stati disposti a sopportare tutto quel sacrificio che ha portato ad un'attenzione internazionale, e siamo onorati di essere parte di questo movimento storico.
Irene Huerta, CFASC, moglie di Gabriel Huerta, Rappresentante del PB Short Corridor
Dolores Canales, CFASC madre di un prigioniero della PB SHU
5 Settembre 2013
California Families to Abolish Solitary Confinement
tradotto da prisonerhungerstrikesolidarity.wordpress.com
AUTUNNO 2013: appello dei detenuti nelle carceri
Il coordinamento dei detenuti nato in maniera spontanea alla vigilia della manifestazione nazionale di Parma del 25-5-2013 ha come obbiettivo coordinare e aiutare tutte le mobilitazioni contro le condizioni disumane a cui tutti i detenuti sono quotidianamente posti e alle barbarie del sistema giuridico italiano.
Abbiamo indetto, come già comunicato durante questa estate, una mobilitazione nazionale per il mese di settembre che avrà inizio il giorno 10 e fine il giorno 30 dello stesso mese. E' nostra intenzione far sentire la nostra voce e protestare contro la situazione esplosiva delle carceri italiane, la quale vede un sovraffollamento intollerabile con detenuti ammassati in celle lager, in condizioni igeniche e strutturali al limite dell'indecenza, speculazioni sui prezzi della merce, trattamenti inumani, abusi di qualsiasi genere e troppo, troppo altro ancora.
Non possiamo inoltre esimerci dal protestare contro quelle forme di tortura legalizzata in cui versano gli internati nei regimi 41bis, 14bis e Alta Sorveglianza, che vengono quotidianamente uccisi, psicologicamente e fisicamente. Chiediamo quindi l'abolizione di questi strumenti degni della peggior dittatura e l'abolizione della legge Cirielli.
Per la riuscita della mobilitazione chiediamo un'aiuto particolare a tutti coloro che stanno vivendo sulla propria pelle la repressione dello stato italiano anche se non con il carcere. Sappiamo che centinaia di compagn@ sono oggi sottoposti agli arresti domiciliari o ad altre forme di privazione della libertà per la sola colpa di essersi opposti al sistema costituito. La nostra richiesta va, insieme alla nostra solidarietà, a tutti coloro che sono indagati per le loro idee politiche, per aver difeso il proprio territorio dalle speculazioni o essersi opposti con l'azione diretta al potere costituito. Chiediamo il vostro contributo attivo a questa mobilitazione perché pure voi state vivendo sulla vostra pelle la dittatura che si cela dietro le parole "legalità" e "sicurezza".
Il primo passo per spezzare queste catene é rompere il muro dell'indifferenza.
La solidarietà e' un'arma usiamola!
Chiediamo a tutti i compagn@ che leggeranno il comunicato di dare il loro impegno, aderendo come ritengono più opportuno alla protesta (noi detenuti attueremo lo sciopero della fame dal 10 al 18 settembre, e dal 18 al 30 settembre forme di protesta concordate e ritenute più idonee a seconda del carcere ) e di diffonderlo ai loro conoscenti.
settembre 2013
coordinamento dei detenuti
comunicato dal carcere di viterbo
Anche noi detenuti del Carcere di Viterbo aderiamo alla mobilitazione indetta dal Coordinamento dei detenuti che avrà inizio il giorno 10 settembre e finirà il 30 dello stesso. Con lo sciopero della fame di 8 giorni e ulteriori forme di pacifica protesta diciamo basta a tutte le barbarie del sistema in cui viviamo! Riteniamo non più tollerabile il sovraffollamento dei penitenziari italiani che vedono migliaia di detenuti stipati come animali dentro celle inadatte, qua a Viterbo di neanche 8 mq.
Sosteniamo inoltre le rivendicazioni che lo stesso Coordinamento riporta e quindi che non ci siano più differenziazioni, isolamenti e trasferimenti, che vengano aboliti i sistemi di tortura quali: 41 bis, 14 bis, Alta Sorveglianza ed Ergastolo.
Ciò che viene da noi richiesto crediamo sia sacrosanto, sono battaglie di civiltà che forse non dovremmo neanche portare come basilari, ma siamo consapevoli che il nostro sia un sistema tra gli ultimi al mondo e quindi è nostro compito provare a cambiarlo dall’interno.
Noi per primi dobbiamo essere capaci di far uscire la nostra voce all’esterno e chiediamo a voi tutti di non lasciarci soli. Il “Mammagialla” è uno dei carceri peggiori d’Italia, non lo diciamo solo noi detenuti; siamo sempre chiusi in cella, non esistono attività volte al reinserimento, le figure come psicologo, psichiatra, educatori e altro sono quasi del tutto assenti. Si dice che il degrado di civiltà di un paese lo si misura dalle condizioni in cui versano le proprie galere, se così fosse il nostro è un paese del Terzo Mondo.
Prima dell’Amnistia o altro pensiamo che sia primario che ci venga riservato un trattamento umano. Invitiamo tutti i detenuti della Regione Lazio a non tirarsi indietro e lottare insieme a noi!
I detenuti del Mammagialla di Viterbo
10 settembre 2013, da www.ontuscia.it
Lettera dal carcere di Sulmona
Carissimi compagni, vi scrivo queste poche righe per farvi avere mie notizie e per informarvi che ho ricevuto l’opuscolo 82, che qui facciamo girare per gli altri compagni. Anche perché ci sono tante cose interessanti e di sostegno a tutti i prigionieri che lottano nelle carceri per i propri diritti e per ottenere un po’ di vivibilità.
Vi informo che qui tutti i prigionieri aderiscono alla lotta per l’abolizione dell’ergastolo, quindi abbiamo fatto dei documenti dove facciamo presente alla direzione e al DAP che siamo in sciopero dal 1° settembre fino al 15 settembre e che siamo solidali con tutti gli ergastolani in lotta e con tutti gli altri prigionieri che lottano per i propri diritti e per un mondo da cambiare. Con affetto, Antonino.
2 settembre 2013
Antonino Faro, v. Lamaccio, 2 – 67039 Sulmona (L’Aquila)
Lettera dal carcere di terni
Sono venuto a conoscenza che il 17 settembre 2013 ci saranno mobilitazioni all’interno delle carceri tipo scioperi e battiture. Vi scrivo per farvi sapere che anche il reparto (AS2) sosterrà questa mobilitazione il 17 settembre. Dove aderirà allo sciopero della fame e quello di non partecipare alle attività comuni tipo passeggi, socializzazione e acquisti alimentari.
Per non fare confusioni, non so se il resto dei compagni aderiranno.
Io ci sono per il 17 settembre. Vi abbraccio. Mauro.
Terni, 2 settembre 2013
Mauro Rossetti Busa, via delle Campore 32 - 05100 Terni
Un mese di mobilitazione In sostegno delle lotte nelle carceri
In questi ultimi mesi abbiamo visto crescere la partecipazione e la determinazione con le quali detenuti e detenute di molte carceri italiane stanno lottando contro le condizioni detentive disumane di sovraffollamento che portano all’insorgenza di malattie derivate dalla detenzione, a continui atti di autolesionismo e omicidi di stato chiamati suicidi, tragica conseguenza dell’oppressione penitenziaria.
- Contro tutte quelle forme di tortura legalizzata come il il 41bis, il 14bis, l'Alta Sorveglianza, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari tutti nati per annientare le persone sia psicologicamente che fisicamente;
- contro le violenze e gli abusi compiute dalla polizia penitenziaria troppo spesso taciute, coperte e assolte e quindi incoraggiate;
- contro i trasferimenti punitivi a centinaia di chilometri di distanza;
- contro lo sviluppo ulteriore dell’edilizia penitenziaria che avviene specialmente in aree insulari come la Sardegna e in località sperdute difficilmente raggiungibili;
- contro la mancanza di cure sanitarie, di igiene e di cibo in qualità e quantità;
- contro la somministrazione di psicofarmaci in grande quantità che riducono le persone a vegetali;
- contro la speculazione sui prezzi del sopravvitto, vera rapina legalizzata e le speculazioni sui prezzi della mercede, sfruttamento vero e proprio nei confronti dei pochi detenuti cosiddetti “lavoranti”;
- contro le leggi che criminalizzano gli immigrati e negano le misure alternative a chi è “recidivo”;
Vogliamo sostenere con ogni forma di solidarietà l’urgente necessità espressa da molti detenuti e detenute, affinché venga applicata una forte amnistia generalizzata che prenda tutti i reati, e che vengano abrogate tutte le leggi disumane.
Un esempio l’hanno dato a Cagliari quei detenuti che negli ultimi mesi sono riusciti ad organizzare svariate forme di lotta e hanno scelto di condividere e di far conoscere al di fuori di quella sezione e di quel carcere quello per cui stanno lottando, rilanciando ad altri e altre la possibilità di agire.
Raccogliamo l’appello che i detenuti fanno a tutti i movimenti, singoli cittadini, familiari dei detenuti, organizzazioni politiche e non di essere la loro voce fuori da queste mura e quindi sostenere le loro rivendicazioni, creando una rete solidale, informando quante più persone possibili, valutando forme di lotta all’esterno delle carceri.
Di seguito un primo elenco delle manifestazioni organizzate per il mese di settembre fuori da alcune carceri alle quali se ne aggiungeranno altre nei prossimi giorni.
domenica 8: Bologna (via Del Gomito – ore 18)
martedì 10, lunedì 16, lunedì 30: Forlì (via della Rocca 4 – ore 18.30)
sabato 14: Monza (via San Quirico 9 – ore 11); Cremona (via Palosca, 2 – ore 9); Teramo (contrada Castrogno – ore 14); Udine (via Spalato, 34 – ore 18)
venerdì 20: Tolmezzo (UD, via Paluzza, 77 – ore 20); Cagliari (v.le Buoncammino, 22 – ore 19)
sabato 21: Padova (via Due Palazzi, 35 – ore 16); Nuoro (via Badu e Carros, 1); Saluzzo (CN, via Regioni Bronda 19/b – ore 17)
domenica 22: Viterbo (strada Mammagialla – ore 11)
sabato 28: Milano-San Vittore P.za Aquileia – ore 11)
Milano, settembre 2013
Solidali/e con le lotte dei detenuti
lettera dal carcere di teramo
Carissim* compagn*, vi scrivo a distanza di poche ore dal presidio che i solidali hanno organizzato all'esterno del carcere di Castrogno (Teramo).
Grazie al volantinaggio che ha preceduto l'iniziativa molti erano a conoscenza dell'arrivo dei solidali e tanta è stata la gioia alla loro vista.
La settimana si era aperta con una discussione molto partecipata per parlare dei temi della mobilitazione lanciata dal "Coordinamento" e tutti hanno da subito appoggiato le rivendicazioni dello stesso.
Si è deciso di sostenere la protesta con uno sciopero del carrello e battiture provando a coinvolgere tutte le sezioni, ma le difficoltà sono state non poche.
Io ho intrapreso lo sciopero della fame e da martedì 10 ad oggi ho perso diversi chilogrammi; in questi giorni la solidarietà avuta dal resto dei fratelli carcerati mi ha dato la forza di continuare e fino a quando il fisico lo consentirà non mi fermerò.
E' stato bellissimo vedere l'entusiasmo dei detenuti e anche se il carcere è un luogo pieno di infami e confidenti, molti non si sono tirati indietro e, a testa alta, si sono fatti sentire da chi fuori era venuto a portare il loro saluto.
In sezione, per "evitare" il contatto tra noi e chi era all'esterno, hanno usato il becero ingegno di chiuderci nelle celle e guarda caso l'ora di socialità è stata autorizzata al solo lato dove non era possibile vedere i compagni.
Questo trattamento è stato riservato solo alla sezione dove ero io... quanto è misera la vita negli abusi di potere.
La nostra è stata una protesta del tutto pacifica, molti si sono interrogati dell'utilità della stessa e figuratevi che alcuni mi hanno anche invitato a desistere dicendomi: "tanto chi ti sente?".
Dopo la manifestazione invece tutti erano entusiasti, consapevoli che non eravamo soli e che le lotte possono e devono essere intraprese. Questo, a mio avviso, è un primo grande risultato. Certo la strada è apparsa a tutti lunga ma i primi passi sono stati fatti ed ora possiamo solo fare di più.
Un grande ostacolo che ha influito sulla mobilitazione è stato quello di non aver avuto risonanza mediatica ma noi non ci lamentiamo, sappiamo di aver fatto il possibile e se in futuro si deciderà di riorganizzarci saremo più incisivi, di questo ne siamo certi.
La giornata appena trascorsa è stata allietata da buona musica, petardi e voci libere che si sono sentiti forte qui dentro e, mentre le guardie poste sulle torrette squadravano i compagni all'esterno e gli ispettori facevano sotto e sopra all'interno delle sezioni per intimorirci, si alzavano al cielo le note di "bella ciao" che io e diversi detenuti abbiamo cantato a squarciagola convinti che presto sorgerà il sol dell'avvenir. La lotta non si arresta. Un abbraccio ribelle a tutti/e! Davide.
Teramo, 14 settembre 2013 - ore 20
Davide Rosci, c/o CC loc Castrogno - 64100 Teramo [ndc: lettera numerata 485]
Resoconti presidi e iniziative sotto le carceri
Bologna, domenica 8 settembre
Domenica 8 settembre si è tenuto un presidio informativo sotto le mura del carcere della Dozza. Una trentina di compagni, provenienti anche da altre città, ha salutato i prigionieri con interventi al microfono, slogan e musica.
Lo scopo del presidio è stato quello d'informare i detenuti della mobilitazione promossa dal "Cordinamento dei detenuti" che prevede lo sciopero del carrello dal 10 al 18 settembre e altre forme di protesta dal 19 al 30 settembre.
Sono stati letti i comunicati scritti dal Cordinamento, due lettere scritte da Maurizio e Davide in appoggio alla mobilitazione, la situazione delle carceri sarde e quella di Buoncammino in particolare. Ricordando che i prigionieri di Buoncammino hanno iniziato le loro proteste a partire dal 25 maggio (data in cui si è svolta a Parma la manifestazione contro il 41bis, l'isolamento e la differenziazione) e si sono protratte fino a metà luglio. In seguito 3 prigionieri ritenuti tra i più combattivi, e perciò scomodi, sono stati trasferiti nel carcere sardo di Lanusei e colui che ritengono il promotore delle proteste è stato spostato al Pagliarelli di Palermo in regime detentivo di 14bis.
Durante il presidio alla Dozza si è tenuta una diretta radiofonica tra "Radiazione" di Padova e le compagne della trasmissione "Mezzora d'aria" di Bologna per aggiornamenti rispetto al presidio e alle varie iniziative che avranno luogo in città a sostegno della mobilitazione lanciata dai detenuti.
La risposta che e' arrivata dall'altra parte delle mura è stata inizialmente di saluti e ringraziamenti per la nostra presenza solidale, poi è via via aumentata d'intensità. Dalle finestre hanno esposto delle magliette, uno striscione con la scritta "amnistia", bruciata della carta che lanciavano fuori ed infine è partita una lunga e diffusa battitura.
Dopo due ore e mezza di presidio li abbiamo salutati lasciandogli un paio d'indirizzi per poterci scrivere e raccontare cio' che accade li' dentro.
10 settembre 2013, da informa-azione.info
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Torino, 16 settembre 2013
Il 10 settembre, nel tardo pomeriggio, una ventina di compagni salutano i prigionieri delle Vallette, proprio nel giorno di inizio di una mobilitazione nazionale dei detenuti. Slogan, petardi ed interventi al megafono da fuori, cui i prigionieri rispondono molto rumorosamente battendo sulle sbarre ed urlando da più parti: “Libertà”.
Qualche solidale riesce ad arrampicarsi sulle reti esterne, nonostante i due rotoli di filo spinato di alcune centinaia di metri stesi nelle ultime settimane per tenere il più possibile lontani dal carcere eventuali solidali. Parlando con alcuni prigionieri, si scopre che dentro molti sono a conoscenza della mobilitazione e alcuni già da tre giorni stanno facendo lo sciopero del carrello. Dopo una mezz’ora di rumore ci si saluta, promettendo che ci si rivedrà presto.
Così, mantenendo la parola data il martedì precedente, sabato pomeriggio alcuni decine di nemici delle galere tornano sul prato del carcere delle Vallette per salutare e sostenere i prigionieri. Il presidio non è annunciato e quindi i manifestanti non sono sorvegliati da celere e digos e possono muoversi come vogliono per un paio di ore nel campo antistante il carcere. Anche questa volta, nonostante il filo spinato, qualcuno riesce ad arrampicarsi sulle recinzioni esterne e salutare più da vicino i detenuti.
Attraverso un impianto i detenuti vengono informati di presidi e iniziative in programma in tutta Italia durante la mobilitazione di settembre e vengono letti alcuni comunicati provenienti da altri prigionieri.
Ancor più rumorosa dell’ultima volta la risposta da dentro: grida e battiture contro le sbarre accompagnano praticamente senza sosta gli interventi al microfono e esultano per i grossi petardoni lanciati dentro le mura. Il casino fatto dai prigionieri si fa poi assordante quando, con il calar del buio, nel prato appare la parola LIBERTÀ scritta col fuoco. Le lettere, fatte di tondini di ferro rivestiti di stracci, ardono per una decina di minuti, poi alcuni fuochi d’artificio e gli ultimi saluti al microfono concludono il presidio. La mattina di domenica su via Pianezza, una delle strade che portano al carcere, molti degli abitanti della zona si sono trovati a guardare in alto: su una torre, ad un’altezza di almeno settanta metri, è apparsa a caratteri cubitali, la scritta «FUOCO ALLE GALERE».
16 settembre 2013, da autistici.org/macerie
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Monza, sabato 14 settembre
Da dentro e da fuori una sola battitura, uniti contro il carcere.
Sabato 14 Settembre sotto il carcere di Monza in via Sanquirico il Collettivo CordaTesa, amici e compagni solidali provenienti da altre realtà anti-carcerarie lombarde hanno organizzato e preso parte ad un presidio di protesta fuori dalle mura del carcere.
Il presidio ha avuto inizio intorno alle 10.30, normalmente orario di inizio dei volantinaggi, con il preciso intento di coinvolgere i parenti dei detenuti. Parenti che in alcuni casi si sono fermati ad ascoltare qualche intervento al microfono o anche solo a prendere un volantino, ma che sono ancora molto restii ad avvicinarsi ad un contesto di quel genere, forse perché dissuasi dalla presenza delle forze dell’ordine forse perché chiusi nella parcellizzazione della società.
Il presidio va a supportare un settembre di lotta interna ai penitenziari lanciato a livello nazionale dal “Coordinamento dei Detenuti” per protestare contro la situazione esplosiva delle carceri italiane, la quale vede un sovraffollamento intollerabile con detenuti ammassati in celle lager, in condizioni igieniche e strutturali al limite dell’indecenza, speculazioni sui prezzi della merce, trattamenti inumani, abusi di qualsiasi genere e forme di tortura legalizzata in cui versano gli internati nei regimi 41bis, 14bis e Alta Sorveglianza, che vengono quotidianamente uccisi, psicologicamente e fisicamente.
I detenuti del carcere di Monza sono riusciti a organizzarsi con mezzora piena di battitura che ha avuto luogo dalle 11.00 alle 11.30, per quanto ne sappiamo in tutte le sezioni. Da fuori si è risposto con fumogeni e una battitura, spinti dalla situazione eccezionale se rapportata alla normalità della casa circondariale monzese, che è stata diffidata delle forze dell’ordine per il rischio di sverniciare la cancellata della ditta, si è risposto continuando con maggiore verve la battitura.
Al presidio erano presenti la madre ed il fratello del ragazzo (si eviterà di citare i nomi) che l’8 Giugno è morto a 22 anni di carcere a Monza. Hanno fatto un intervento diretto agli amici ed ai concellini del ragazzo, additando lo stato come colpevole delle morti e dei soprusi del carcere e colpendo direttamente i secondini che abituati agli insulti dei compagni, attoniti hanno incassato gli insulti di una madre a cui hanno ucciso il figlio.
Ciò che si voleva fare è stato fatto, alle 14.00 il presidio è finito.
21 settembre 2013, CordaTesa - cordatesa.noblogs.org
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Cremona, 14 settembre 2013
Nella giornata di sabato 14 settembre, un buon numero di compagne e compagni (solo due familiari sono passati di sfuggita dal presidio) ha portato la propria solidarietà ai detenuti in lotta sotto le mura del carcere di Cremona.
Durante il presidio si sono speakerate lettere scritte da altri prigionieri, si sono urlati slogan (anche in più lingue), si è battuto sulle maledette reti di ferro del carcere e si è cercato di ”interagire” con i reclusi di Ca’ del Ferro, citando anche le ultime cose successe nell’estate appena trascorsa: una tentata evasione e un ”suicidio di Stato”…
Abbiamo sentito che alcuni (si è capito 3 o forse 4) hanno intrapreso dei percorsi di lotta dal 10 settembre, come lanciato dal coordinamento dei detenuti. Questo ci ha scaldato il cuore, sapendo le difficoltà enormi che si vivono in questo carcere per quanto riguarda solidarietà e lotta comune. Abbiamo promesso di tornare, come facciamo da tre anni a questa parte. Alla luce del sole o a quello della luna. Il presidio si è concluso con qualche creativo gioco pirotecnico.
Una considerazione va fatta: questo momento ha tutte le possibilità di darci qualcosa in più, la lotta dei detenuti ci parla. Studiamo le nostre possibilità, per unire pensiero e azione.
20 settembre 2013
solidali di Crema e di Cremona
da inventati.org/rete_evasioni
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Teramo, 14 settembre 2013
Sabato 14 settembre una ventina di compagni sono andati sotto il carcere di Teramo per portare solidarietà ai detenuti. Durante il presidio i carcerati hanno detto che avevano fatto lo sciopero del carrello e, ogni sera alle sette, facevano una battitura.
Un solo detenuto, invece, stava facendo lo sciopero della fame. Sciopero della fame stabilito a livello nazionale dal “coordinamento dei detenuti” per i primi otto giorni delle mobilitazioni che vanno dal 10 al 30 settembre.
Durante il presidio agli interventi al microfono dei compagni, i carcerati hanno risposto strillando le schifezze del carcere ed i nomi degli aguzzini. Dal microfono sono state letti scritti dei detenuti e sono state dette le responsabilità della società e le responsabilità individuali del mostro carcere. I carcerati hanno detto di essere stati intimati nel non far casino e, a chi si era esposto in prima persona, era stata negata la socialità. Qualche fumogeno e qualche petardone hanno accompagnato il pomeriggio di solidarietà fuori le mura di Castrogno e una rumorosa battitura dei carcerati ha salutato la fine del presidio.
Sempre a Teramo, i giornali locali hanno riportato la notizia che il primo giorno di scuola negli istituti di Giulianova è stato un po’ problematico. Infatti sono dovuti intervenire i carabinieri che, armati di tronchese, hanno aperto i lucchetti delle scuole chiusi da ignoti con la colla. A quanto dicono, è stato trovato un biglietto che recitava: “LA SCUOLA RESTERA’ CHIUSA IN SOLIDARIETA’ CON I DETENUTI IN LOTTA”. In questi giorni, inoltre, son stati visti girare per la città di Teramo e per la provincia un bel po’ di pullman ricoperti di scritte contro lo Stato, contro il carcere ed in solidarietà con i detenuti.
17 settembre 2013, Estratti da freccia.noblogs.org
Da una lettera dal carcere “Pagliarelli” di Palermo
[…] Intanto ritorniamo alle lotte che si stavano consolidando al Buoncammino (dovrebbe esserci un resoconto su Olga), quelle di tipo individuali crescevano sempre in maniera più arrabbiata, mentre quelle collettive diventavano ogni giorno spontanee (sabotaggio temporaneo dell'impianto elettrico che incentivava ad un'assordante battitura e a qualche bomboletta del gas esplosa all'interno della sezione).
La protesta organizzata invece (la seconda dopo i giorni precedenti) è stata lo sciopero dell'aria, per l'invivibilità nei “quartini” e per l'amnistia generalizzata. Al secondo giorno il direttore ordina una perquisa presumibilmente a quei detenuti che non sono usciti all'aria (i firmatari erano 101), devastandoci le celle senza alcun ritegno neanche per i viveri e oggetti di valore (radio, walkman, orologi che venivano proprio stracciati in due!). Nella cella in cui stavo trovarono dei “capelli d'angelo”, corda e altro di cui mi assumevo la responsabilità, dato che il mio compagno di cella era all'oscuro di tutto. Dopo la denuncia, mi spostano nell'altro braccio, che come scritto prima era sempre in fermento.
Date le condizioni al limite dell'invivibilità, una cella da 6 decide di barricarsi dentro, mettendo tutte le brande di traverso incastrate nel cancello d'ingresso: impossibile entrare! I detenuti dichiarano di volere immediatamente i giornalisti con la loro troupe, per denunciare la tortura carceraria che quotidianamente subiamo. La troupe arriva, ma arrivano anche amici, parenti e solidali: tanti, da riempire quasi il parcheggio antistante il muro di cinta. Da quel momento in poi scatta quella che dai giornali viene definita rivolta, ma che invece era un boato di rabbia e malessere. Se qualcuno ci avesse aperto le celle la rivolta avveniva di sicuro, perché già le guardie erano fuggite dalla sezione. Una volta azionato il blackout, decine e decine di bombolette del gas piovevano dai piani sia all'interno sia all'esterno, c'erano lenzuola bruciate, e le finestre dei barricati venivano incendiate, mentre fuori dal muro di cinta raffiche di petardi e qualche razzo venivano lanciati dai presenti.
Il giorno dopo tutti i detenuti erano carichi dato che c'era per la sera un appuntamento coi solidali, ma è bastato che il direttore passasse in ogni cella a minacciare che appena si sussurrava quando sono arrivati i compagni! Il direttore è arrivato a dirmi: “non ci sono problemi se vengono gli anarchici a presidiare, tanto chiamo i rinforzi!”. Però gli occhi che bruciavano del fuoco del giorno prima era presente in tantissimi detenuti che volevano andare oltre!
Poi mi hanno portato qui a Palermo il 25/7 e attualmente non ho nessuna notizia. Dal 3/08 invece mi hanno applicato il 14bis per 6 mesi in una sezione di isolamento con la quale vorrebbero annientarmi, perché un regime vendicativo come questo, con cui ti stringono le manette anche alla gola, è l'autocompiacimento del potere carcerario che vuole possederti totalmente! Il provvedimento del DAP cita tutta una serie di punti, tanto per mettere più legna possibile sul fuoco, che possa giustificare “l'elevata pericolosità”: in primo piano mette la mia “intenzione di evadere” e mi indica come “promotore ed organizzatore di forme di protesta” (citando quella del 25) per i diversi presidi realizzati; evidenzia i rapporti disciplinari che mi hanno fatto negli ultimi 7 mesi, la mia “contiguità agli ambienti anarchici” e altre piccole cose del loro insignificante linguaggio.
Come da dispositivo, posso avere in cella solo tavolo, branda, sgabello. Due ore d'aria da solo, un colloquio al mese (disposto dal direttore) e dovrei avere almeno la radiolina che non mi vogliono dare perché sono talmente incapaci da non riuscire a mettere il sigillo dell'amministrazione sulle viti che chiudono lo scompartimento delle batterie. Intanto sto continuamente rompendo le palle per averla, dato che sono in una tomba e non si sente anima viva, ma niente! Devo proprio arrabbiarmi!...
10 agosto 2013
Davide Delogu, via Bachelet 32 - 90127 Palermo
16 settembre 2013, da informa-azione.info
Francia: Delle scintille nelle galere (estate 2013)
Traduzione di un contributo sugli ammutinamenti di quest'estate nelle carceri francesi tratto da Lucioles. Bulletin anarchiste de Paris et sa région, n. 11, settembre 2013
La prigione è una tortura continua e l’estate la rende ancora peggiore. Bisogna poi considerare la “sovrappopolazione” delle galere francesi e gli scioperi dei secondini che hanno costellato la fine della primavera. Ad inizio maggio, c’erano circa 68.000 detenuti nelle prigioni francesi (questa cifra, la più grande mai raggiunta, la dice lunga sulla guerra che lo Stato e la Giustizia conducono contro i poveri). Ciò in galere fatte per rinchiudere 57.300 detenuti; ci sono quindi in media 120 prigionieri schiacciati là dove ci sarebbe appena lo spazio per 100. In sovrappiù, gli scioperi dei secondini (che, non avendo il diritto di astenersi dal loro sporco lavoro, bloccano gli ingressi delle galere nel tempo libero) riducono o fanno saltare colloqui, attività ed ore d’aria, fanno ritardare il sopravvitto etc. In parole povere, sono i prigionieri che pagano (ancora) quando i cani brontolano per qualche briciola. La soluzione, certo, non è che ci sia più spazio in gabbia, né delle migliori condizioni, né più secondini o meglio pagati. Le rivolte nelle prigioni scoppiano la maggior parte delle volte per dei miglioramenti parziali (trasferimenti, migliori condizioni di detenzione, accesso a misure alternative al carcere, etc.) oppure di fronte a singoli abusi. Ma non dobbiamo scordare che la prigione stessa è un abominio e che la sola soluzione è la sua distruzione. E in questi ultimi tempi, seppure a partire da rivendicazioni ed obiettivi parziali, alcuni detenuti hanno cominciato.
L’estate inizia con la cupa normalità dei suicidi
Il 14 giugno, un uomo si è impiccato nella prigione di Nantes (si tratta del quarto in tre mesi, in quella galera); un detenuto delle Baumettes (Marsiglia) segue lo stesso destino l’8 luglio. A Bois-d’Arcy (dipartimento num. 78), il 6 agosto, è un giovane di 29 anni ad impiccarsi. Il 29 luglio si tratta di “morte naturale” per un prigioniero di Béziers: era caduto dalle scale e non è stato curato. Ma ce ne sono anche di quelli che dirigono il proprio odio verso i più vicini fra i responsabili della propria prigionia. Per cominciare (a quanto ne sappiamo) un prigioniero prende una piccola rivincita su una secondina a Saint-Quentin-Fallavier (38), sequestrandola per un’ora, con una lama di rasoio. Sabato 20 luglio, a Moulins-Yzeure (03), un uomo prende in ostaggio un secondino grazie ad un coltello da cucina debitamente affilato. Il tipo, recentemente trasferito da Roanne perché sospettato di preparare un’evasione, vuole vedere la moglie ed essere trasferito. Si replica mercoledì 14 agosto a Ensisheim (68): un detenuto sequestra una secondina perché gli era stato rifiutato un trattamento medico. È al riformatorio di Porcheville (78) che tre adolescenti detenuti in quel bagno per giovani restituiscono il favore alle guardie e per niente meno che la libertà. Il 5 agosto pestano e legano un secondino, prima di rinchiuderlo incosciente in uno stanzino per le pattumiere. Cercano poi di scappare passando dal tetto, ma sfortunatamente si fanno prendere. Due prigionieri della prigione di Meaux (77) hanno più fortuna. Il 24 giugno, durante un’attività sportiva fuori dalla prigione, riescono a sfuggire alla sorveglianza dei secondini dei servizi sociali e scappare. Due giorni più tardi è dal tribunale della stessa città che un detenuto riesce ad evadere, mescolandosi alle persone venute ad assistere allo spettacolo della Giustizia. Era stato portato lì dalla prigione per essere processato per furto ed aveva appena preso altri 5 anni di gabbio…
In agosto, la temperatura sale ancora
Giovedì 1 agosto, a Bourg-en-Bresse (01), una ventina di prigionieri si rivoltano. Prendono d’assalto un’ala della prigione e vi distruggono tutto, in particolare le telecamere di sorveglianza e i tubi dell’acqua, inondando due piani. Il motivo di questa sommossa è il comportamento particolarmente autoritario di una secondina ed il fatto che i Giudici di Sorveglianza sono molto rigidi. Lunedì 19 a Blois (41), un detenuto è vittima dell’ennesima “morte sospetta”. Una sessantina di altri detenuti si ammutina e distrugge un settore della prigione. Fanno anche uscire altri prigionieri dalle celle. Le super-guardie dell’ERIS [come i GOM italiani, NdT] domano la rivolta, ma la prigione ha subìto importanti danni e deve essere parzialmente evacuata. Per continuare, martedì 20 a Châteaudun (28), una ventina di detenuti dà l’assalto al locale che ospita il centro informatico della prigione, cercando di incendiarlo. Salgono poi sui tetti e gettano le tegole sulle guardie. Nel pomeriggio del giorno dopo, un’altra trentina di detenuti cerca di raggiungere il cammino di ronda a partire dal cortile dell’aria. Gli ERIS, che sono lì dal giorno precedente, ci mettono tre ore per “riportare la calma” (a colpi di flashball, gas lacrimogeni e granate antiaccerchiamento…). Una ventina di detenuti viene trasferita e l’Amministrazione Penitenziaria, per paura che la rivolta si propaghi a tutti i 590 prigionieri, fa venire dei rinforzi da Parigi, Rennes e Digione. Il mattino di giovedì 22, a Bois-d’Arcy (78), un detenuto sta male e il medico non arriva. Per protestare, una ventina di altri detenuti rifiuta di rientrare dall’aria, fino all’arrivo degli ERIS. Sempre il 22 è il turno dei detenuti del CIE di Mesnil-Amelot (77). Uno di loro viene picchiato selvaggiamente dagli sbirri perché ha saltato una rete per recuperare una palla da calcio. Gli altri cominciano a battere su una rete, che cede. Gli sbirri reagiscono con manganelli e gas. Più tardi, ci saranno due inizi d’incendio, ai quali gli sbirri risponderanno con un arresto e tenendo tutti nel cortile. E l’estate termina (per il momento).
Ma non é finita! Venerdì 6 settembre (dopo che questo testo era già stato redatto), tre detenuti del CIE di Palaiseau sono riusciti ad evadere, segando le sbarre di una finestra. Sfortunatamente, un quarto prigioniero si è fatto male saltando giù ed è stato subito ripreso. Nella notte di venerdì 30 agosto undici prigionieri del CIE di Vincennes riescono a segare una rete e scappare.
Le rivolte di agosto ci mostrano che la determinazione di qualche persona può portare a risultati concreti, come mettere la prigione di Blois in uno stato di “mancanza di sicurezza” (parola di secondino). Di fronte a queste ribellioni, l’AP risponde con l’isolamento, la violenza, le denunce e i trasferimenti.
E noi, nemici delle prigioni, fuori? Il coraggio e la determinazione con cui i ribelli si sollevano fanno appello alla nostra solidarietà concreta. Il nostro odio contro le prigioni e tutto ciò che le fa esistere, però, non potrebbe limitarsi a fare eco alle rivolte all’interno delle mura. Ciascuno di noi ha mille ragioni per detestare la prigione e può trovare le proprie temporalità e i propri metodi per attaccare la macchina della reclusione. Se non abbiamo la forza di prendercela direttamente con quelle sporche mura, pensiamo al fatto che la prigione non è soltanto questo. I secondini non smettono di essere dei boia quando si tolgono le divise. Ecco cosa si sono forse detti gli anonimi che hanno vandalizzato sei macchine nel parcheggio del personale del Centro penitenziario di Gasquinoy (Béziers, 34), il 25 maggio 2013, oppure quelli che hanno incendiato quattro veicoli di secondini vicino alla prigione di Ploemeur (56), il 25 ottobre 2012. Ecco cosa si sono forse detti coloro i quali, a Parigi, fra fine gennaio ed inizio febbraio, hanno spaccato le vetrine di due locali della CGT [come la CGIL italiana, NdT], sindacato che, oltre ad altre schifezze, organizza i secondini. E come dimenticare tutte le imprese che ingrassano facendo funzionare le galere, per esempio portando il cibo e il sopravvitto, pulendo, facendo la manutenzione, sfruttando il lavoro dei detenuti, etc. E ci sono anche le ditte che costruiscono le prigioni (e a volte ne restano proprietarie, affittandole poi allo Stato). Prendersela con tutti costoro potrebbe essere molto più facile che prendere come obiettivo direttamente le prigioni. Ciononostante, tale metodo potrebbe dare qualche problema a quelli che rinchiudono. Ecco cosa si sono forse detti gli anonimi che il 15 aprile 2013 se la sono presa con Eiffage, uno dei principali costruttori (e a volte proprietari) di galere. L’incendio di alcuni mezzi di cantiere, a Pontcharra-sur-Turdine (69) ha causato circa 500.000 euro di danni a quegli avvoltoi.
Si tratta di qualche esempio concreto di come ciascuno può lottare contro le prigioni. In solidarietà con le sommosse dentro, quando ce ne sono, ma soprattutto, e sempre, per un mondo di libertà.
16 settembre 2013, da informa-azione.info
lettera dal carcere di Spini di Gardolo (tn)
Cari ragazzi e ragazze come state? Io tiro avanti, con molto piacere ho riletto i vostri opuscoli tramite amici e sono orgoglioso di essere uno di voi e far parte del movimento, non ci sono parole per ringraziarvi per quello che fate, però nel mio cuore c'è ancora la voglia di lottare con voi e spaccare più caschi blu possibile!
Qui a Trento (Spini di Gardolo) la situazione è sempre la stessa, proprio ieri sono stato chiamato per un ennesimo consiglio disciplinare per essermi rifiutato di entrare in cella dopo il pestaggio di un compagno, c'erano tutti: il comandante Domenico Gorla, direttrice con la faccia di un topo morto, educatore ex sbirro della polizia di stato di Rovereto e una specie di psicologa che non sa neanche cos'è la psicologia, come al solito la romanzina e poi la decisione "annullamento del rapporto" ma è strano diranno in molti! Invece questi sporchi bastardi ogni tanto usano l'intelligenza perché in caso il ragazzo tunisino faceva denuncia io avrei testimoniato contro questi sbirri infami, ma siccome i lividi non ci sono e dove è stato menato non c'erano telecamere, hanno pensato bene se noi facciamo rapporto a tutti e due poi ci denunciano invece se per sta volta gliela abboniamo forse stanno buoni... non hanno capito un cazzo sti merdosi, lui ha già avvisato l'avvocato vediamo come finirà...
Qui i soprusi sono all'ordine del giorno è un vero lager in molti istituti c'è il sovraffollamento, mancanza di igiene qui siamo in due massimo tre in cella e l'igiene non manca però il sistema che da un anno va avanti é se sbagli botte e fino a 15 giorni di isolamento, ormai me ne avranno fatti fare 3 mesi dal 2010 a oggi, molti agenti cercano o fanno apposta per creare problemi e così perdi giorni, permessi, ecc.
Ho raccolto le firme di tutto il carcere per far uscire la nostra voce fuori da queste mura e con l'aiuto di compagni esterni spero di riuscire a pubblicarlo sul giornale però oltre a questo non sappiamo più che fare, molti detenuti lavorano e fanno permessi premio quindi cercano di stare fuori dalla lotta che stiamo portando avanti è proprio questo il problema troppi infami e tanti ma tanti mezzi uomini. Comunque io continuo sempre per la mia strada fino a che non avrò portato a termine il mio scopo...
Spero mi potete mandare gli ultimi opuscoli perché del 2013 non ne ho neanche uno poi li giro un po' in sezione. Ho pensato di farvi un disegno col cuore mi farebbe molto piacere vederlo come copertina del numero di ottobre che ne dite...
Un abbraccio ribelle a tutti i no tav, a tutti i detenuti tenete duro e lottate insieme per il vostro più grande diritto la libertà.
Un saluto a Raffa del carcere di Poggioreale, a Alien del carcere Due Palazzi ai compagni liberi a Rovereto un bacione alla mia mamma.
Lottare per un mondo migliore, abbattere il muro di cinta, bruciare gli sporchi fascisti e bloccare tutte le opere che rovinano l'ambiente in cui viviamo.
PS: Saluti a Nicola e Randagio reclusi qui a Spini. LIBERTA'.
Davide Minelli, via Cesare Beccaria, 13 - 38121 Spini di Gardolo (Trento)
lettere dal carcere di Velletri (rm)
Ciao amico mio, grazie che tu mi scrivi e mi fai sentire meno solo e più forte.
Ti dico una cosa: sto cercando di fare come dici tu, ma credimi è assurdo. Anche domenica scorsa sono andato in infermeria e ho preso la terapia antinfiammatoria per la spalla. La dottoressa me l’ha dà, la metto in bocca e bevo, a quel punto sto per uscire dall’infermeria, non ci crederai, un assistente con cui abbiamo avuto alcuni problemi e in sezione non monta più, mi si mette davanti alla porta e mi dice: tu non esci perché devi prendere la pasticca. Io e l’infermiera diciamo che l’ho presa, ho aperto la bocca e a quale punto lui mi dice: non m’importa devi aspettare lo stesso, gli dico ok! Io ora esco, si tolga perché lei sta facendo un abuso e un atto di forza provocandomi, ho alzato le mani per far vedere all’infermiere che non volevo contatto con la guardia e la guardia a quel punto mi ha spintonato dicendomi tu non vai, devi aspettare; gli dico, io me ne vado lei faccia come vuole, ma non mi toccare, ok! E sono passato tra lui e la porta, ma mi ha dato una gomitata alle costole.
Sono arrivato su, mi sono tagliato per richiamare l’attenzione e l’ho fatto scrivere in cartella il motivo, così resta qualcosa perché loro volevano farla passare. Ma devi sapere che questa guardia il venerdì precedente è venuta all’aria e ha detto vi faccio rapporto a tutti se non chiudete l’acqua e noi zitti l’abbiamo chiusa. Poi un ragazzo che correva con noi è andato a bere, la guardia l’ha visto e ci ha detto se non la chiudete vi faccio rapporto. A quel punto gli abbiamo detto: ma noi dobbiamo bere, fa caldo, lui ribatte: non bevete oggi, è meglio. Allora gli ho detto, perché non la vieni a chiudere e lui mi guardava, gli ho detto, se tu la chiudi io la riapro poi fai come te pare. A quel punto tutti a fischiare e protestare, lui si è arreso, ma la domenica si è vendicato in quel modo, provocandomi, spingendomi e colpendomi alle costole e ostruendomi l’uscita dall’infermeria.
Capisci che testa da cazzotti è quello lì. Comunque ti ringrazio e non mollo, mi incateno e mi convinco sempre di più che devo fare qualcosa per altri compagni e altri ragazzi che sono qui e passeranno purtroppo da questo carcere.
Ora sto aspettando l’avvocato, voglio fare una querela-denuncia alla guardia. Non voglio stare zitto, se no questo mi rovina e mi istiga. E poi sti cazzi se mi trasferiscono in culo alla luna, io rimango quello che sono e la galera o qui o in Africa o Messico per me è solo e sempre galera e non voglio far passare nulla a chi usa il potere pensando di poterlo fare a chiunque e in qualunque situazione provocare, istigare, picchiare, ostacolare con arroganza. E’ cascato male sto cretino. Ora lo secco, farò sciopero della fame finché non verrà allontanato dal servizio e da me.
Non leggo, vado in palestra e disegno, litigo per i miei diritti.
Non vi conosco ma penso sempre che ci sono persone come me di cui ti ci puoi fidare.Vi aspetto, ti scriverò sempre, ciao amico mio.
Agosto 2013
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Il 5 settembre 2013 ero in cella e mi usciva il sangue dal naso come già ormai da 40 giorni, la guardia viene e mi manda in infermeria ma al cancello vengo fermato da un agente e mi dice che c’è un’urgenza devi tornare su. Io prendo e torno su erano le 10.40. Mi metto in cella con il sangue al naso chiamo l’agente 2 o 3 volte e per 2 o 3 volte mi dice che c’è un’urgenza. Alle 12.00 chiamo di nuovo e monta un altro agente io gli dico: ho già detto al suo collega del turno di prima che devo andare in infermeria mi esce come vedi il sangue dal naso. Lui mi risponde “che aspetti sempre a me?” questo perché in precedenza circa 20 giorni prima questo signore alle 8.30 di mattina gli chiamavo di andare in infermeria perché mi usciva sangue dal naso e lui con la sua maestria potere e assoluta ignoranza e poca umanità mi rispondeva “io devo staccà sto a coprì al collega”, io a quel punto gli dissi ok! Mi sono tagliato e mi hanno portato subito in infermeria così mi hanno visitato. Lo stesso agente l’altro giorno mi dice “aspetti proprio me ogni volta?” e lui se ne va ed io mi taglio ma lui va dall’ispettore dicendo che io gli ho detto “non conti un cazzo secondino”, è vero, ma lui per primo andandosene alla mia richiesta di visita con sangue al naso mi diceva “si vede se non ti hanno chiamato che non conti un cazzo” ed io gli ho risposto in quel modo è andata a finire che sto all’isolamento senza stipetti e niente e non solo, mi hanno visitato alle 13.40 dalle 12.10 che mi sono tagliato. Chiedevo le mie cose tabacco e cose per scrivere ma non veniva nessuno e me li hanno dati il giorno dopo anche lenzuola roba per doccia e poi sono io il delinquente, lo sporco aggressivo perché forse sono uno dei pochissimi che faccio ancora resistenza a quelle prepotenze arroganti da parte di persone con divisa cravatta riconoscimenti fatti da altri con cravatta e divise come loro che usano il potere, il ruolo, la posizione sociale per fare quello che vogliono con la fiducia data dalle istituzioni ma solo perché è la divisa e senza alcun controllo sulle persone che l’indossano e questo è garanzia di umanità, responsabilità e dovere bè mi sembra una cosa molto esagerata dare fiducia, mettere in mano un potere così grande e incontrollato a ispettori brigadieri comandanti guardie che possono alzare le mani come il 4 settembre 2013 a un mio amico perché non prendeva la terapia veniva colpito davanti ad un’infermiera che è stata minacciata dall’agente e amministrazione e non deve confermare delle due pizze in piena faccia. Io e altri 5 detenuti venuti immediatamente a sapere andavamo a protestare e a dirgli di non picchiare o minacciare più nessun detenuto ma venivamo oltre che minacciati di essere trasferiti ci dicevano che l’agente ha sbagliato e che prendevano provvedimenti forse lo spostano di reparto allora perché se io do una pizza ad un agente pago 15 giorni di isolamento 14 bis e perdo i giorni? Come mai il detenuto se protesta prende galera in galera con 15 giorni di isolamento? Come mai nessuno fuori viene qui a Velletri in protesta?
9 settembre 2013
Arnaldo Selnistri, s.p. Campoleone-Cisterna km 8,600 – 00049 Velletri (Roma)
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Ho ricevuto il vostro opuscolo sempre con molta precisione... Lo sto facendo girare per far capire ad altri compagni che bisogna lottare anche così...
E' inutile continuare nel raccontare i numerosi problemi e abusi che subiamo qui a velletri purtroppo fanno parte della normalità...
Ora ho scoperto dopo qualche giorno di pioggia che c'è stato che ci piove in molte celle in testa poi i temporali sono stati notturni e in molti abbiamo trovato al nostro risveglio le celle allagate!! La risposta è sempre la solita non ci sono i soldi per sistemare il carcere...
Il mio pensiero va a questo inverno che sarà una battaglia tutti i giorni senza termosifoni senza acqua calda quando piove celle allagate "Viva l'Italia"...
Questi ci vogliono far vergognare di essere italiani ma non hanno capito che la vergogna del mondo sono loro anche se non gliene frega niente...
Ora vi saluto mando un forte abbraccio a tutti. Max.
Velletri, 8 settembre 2013 Domenica
Massimiliano Cirelli, via Campoleone, 97 - 00049 Velletri (RM)
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Ho una condanna di 6 anni in I grado, sono 8 mesi che mi trovo all’Istituto di Velletri, sempre chiuso in cella senza opportunità di lavorare. Ho 4 ore al giorno, 2 la mattina all’aria e 2 il pomeriggio. Mi dite voi che reinserimento ho nella società? Il carcere non ti riabilita specialmente Velletri che non offre nulla, solo galera, galera, galera...
Allora sapete cosa vi dico? Chi non prova galera non apprezza libertà...
6 settembre 2013
Raffaele Morra, via Campoleone, 97 - 00049 Velletri (Roma)
Lettera dal carcere di Rebibbia (rm)
Nel carcere di Rebibbia dal 1° settembre (2013) la direzione, con un atto imperativo, pur non avendone la facoltà, ha ridotto di quasi il 50% la spesa mensile per ogni detenuto, scendendo da 800 a 500 euro, ma cosa gravissima e dalle conseguenze devastanti, ha stabilito che non si possano spedire alle famiglie più di 350 euro al mese.
Oltre a ridurre gli introiti per le casse del penitenziario che lucra vergognosamente nella vendita dei prodotti offerti ad un prezzo 2-3 volte superiore a quello di mercato, ha messo in difficoltà quelle celle, e sono la maggioranza, dove solo uno o due detenuti sono in condizione di spendere a soprattutto costringerà alla fame le famiglie di quei reclusi che lavorano per mantenerle ai limiti della sussistenza.
L’ordinamento penitenziario, aggiornato con D.P.R. del 30 giugno 2000, dedica un capitolo al peculio ed al comma 6 specifica che solo il DAP può apportare modifiche alle quote di spesa e tali variazioni debbono avvenire ad ogni inizio anno su decreto del ministro di giustizia (comma 9) e debbono valere in tutta Italia, mentre i singoli istituti non possono stabilire norme restrittive.
Si prevedono ricorsi in massa ai magistrati di sorveglianza e scioperi della fame.
L’estate che stava cedendo alle prime frescure sarà ancora calda, anzi bollente.
8 settembre 2013
Achille della Ragione v. Majetti, 70 - 00156 Roma
Lettere dal carcere di Spoleto (pg)
Ciao amici di Ampi Orizzonti, mi chiamo Caterino Natale e sono detenuto a Spoleto, tramite compagni sono a conoscenza del vostro opuscolo e delle belle iniziative a favore di noi detenuti. Vi posso dire che ho circa 60 anni e ne ho viste e passate di cotte e di crude. Si stava meglio quando si stava peggio. Come ben sapete su questa scusa della crisi e della mancanza di fondi da parte degli altri infami e cornuti del ministero e compagnia bella a stento riusciamo a mangiare se così si può chiamare ciò che ci passa l'amministrazione (ma ormai già sapete).
Il motivo di questo mio scritto è anche a proposito della possibilità e della opportunità che date a noi detenuti di poter ricevere qualche buon libro. Ne sarei veramente contento se a vostro piacimento me ne arriva qualcuno. Grazie aspetto vostre notizie e aggiornamenti a presto amici di Olga.
Spoleto, settembre 2013
Natale Caterino, via Maiano, 10 - 06049 Spoleto (PG)
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Carissimi/e compagni/e, il primo pensiero è che stiate bene, lo stesso posso dirvi di me.
Come avrete potuto notare vi sto scrivendo da una nuova residenza “provvisoria” con una vista “mozza fiato” tra montagne, prati verdi, alberi in fiore e... un disumano padiglione di 41 bis... che deturpa tutte le bellezze che questa terra dà ai nostri occhi...
Mi trovo qui da pochi giorni e ci tengo a scrivervi per dirvi che ho conosciuto un uomo che è prigioniero da 34 anni (1979), si chiama Mario Trudu (ergastolano), su facebook c'è un profilo che parla del reato ostativo aperto proprio a suo nome.
Mario è un prigioniero che lo Stato ha sepolto vivo, uno Stato che si definisce democratico, che ha abolito la pena di morte per mascherarla con il reato ostativo contravvenendo all'art. 27 della Costituzione, ma quegli stessi signori si sono inventati l'infamia dell'art. 58 ter che vorrebbe vedere abolito il reato ostativo facendo più pentiti e collaboratori di giustizia (vile ricatto).
Tutti/e noi dobbiamo iniziare una mobilitazione contro questi abusi, umiliazioni, infamie, contro queste prevaricazioni della propria dignità e dell'esistente.
Mario è un compagno, un fratello dei 1.500 detenuti sottoposti a questo vile ricatto, dove viene calpestata non solo la dignità, ma la stessa vita perché non potranno mai usufruire di pene alternative e solo la morte potrà liberarli.
Il 25 maggio a Parma c'è stata la manifestazione contro il 41 bis, il 14 bis, la tortura, che è proprio il reato ostativo. Il 25 maggio con orgoglio durante la manifestazione per tre giorni ho aderito allo sciopero della fame, era il minimo che potessi fare in quanto ero sottoposto al 14 bis, adesso speriamo che il referendum proposto dai radicali dove si chiede l'abolizione dell'ergastolo, della cirielli ecc. possa dare i frutti sperati.
Lo Stato italiano mira alla vendetta, nella Costituzione l'art. 27 stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non è ammessa la pena di morte, anche l'art. 22 vieta ogni violenza fisica e morale sulle persone ecc. ecc.
Il reato ostatitivo è una pena di morte introdotta dopo le stragi in Sicilia del 1992 (leggi Scotti-Martelli), l'art. 422 C.P.P. che prevdee il reato di strage. Adesso sono 21 anni che lo Stato di diritto è il fautore e il boia nella violazione dell'art. 422 C.P.P. Ci sono più di 1.500 nostri fratelli sepolti vivi, solo la morte potrà concedergli benefici e gli affetti dei loro cari/e. Lottiamo insieme a loro.
Chiedo di organizzare tre giorni di sciopero della fame in tutti i carceri d'Italia, magari a natale dove le festività potranno scuotere le coscienze dall'indifferenza, e nel contempo invito tutti a firmare i referendum indetti dai radicali. Non so se farò in tempo a mobilitare per lo sciopero anche a Spoleto dal 10 al 30 settembre, di sicuro io parteciperò insieme a tutti i compagni/e di Viterbo, Civitavecchia, Terni ecc., che insieme a tutti/e noi aderiscono e invito tutti/e ad aderire.
No alla tortura - No all'ergastolo - No all'ostativo. Libertà per tutti/e alla vita.
Un abbraccio forte e ribelle, Maurizio.
Spoleto, 25 agosto 2013
Maurizio Alfieri, via Maiano 10 - 06049 Spoleto (Perugia)
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I VASSALLI CHE SBRAITANO…
È da tanto tempo che volevo dire qualcosa su ciò che si scrive della nostra nazione sarda sui giornali, si sente nei telegiornali, credo che ci sia da piangere e da vergognarsi, oppure prenderla a ridere ma... amaramente.
I politici sardi sbraitano, urlano, dicendo che non vogliono i mafiosi in Sardegna.
Sappiate che non voglio polemizzare con nessuno ma... chi sono i mafiosi? Io mi ricordo quando ero ancora ragazzino che i vecchi del mio paese, alla parola mafia non davano il significato che gli viene attribuito oggi, anche loro usavano il termine mafioso, ma era per indicare qualcosa di bello... Angeledhu er bellu paridi unu mafiosu, su cuadhu de Angeledhu er bellu paridi su cuadhu de unu mafiosu, se volete potete criticarmi su queste espressioni, e saranno bene accette, ma sappiate che per farlo dovete scrivermi in carcere, e non abbiate paura che non riesca a ricevere la vostra lettera perché magari vengo scarcerato, state tranquilli non ne hanno proprio l'intenzione.
Con il passare degli anni, è stato cambiato il significato, poiché secondo i personaggi che hanno governato e governano l'Italia oggi, il termine mafioso lo usano negativamente. Ma fin qui poco male, poiché ognuno risponderà delle parole che gli escono dalla bocca e come dissi già non ho la minima intenzione di polemizzare con nessuno.
Io che vivo da 34 anni in mezzo ai "mafiosi", non mi sono mai trovato a disagio, eppure mi sono trovato a contato con personaggi che venivano considerati di primo piano. Ho conosciuto quei "mafiosi" che gli hanno dato l'ergastolo per l'omicidio del Giudice Borsellino, che poi il vero "mafioso" era quello che li accusava, poiché dopo 19 anni di galera che per la maggior parte sono stati in isolamento al 41 bis, sono usciti perché sono stati riconosciuti innocenti, anche loro erano mafiosi secondo i Mass Media, anche loro ed erano 11 e se dopo tutta quella galera non erano usciti assolti a quest'ora forse sarebbero stati in Sardegna, con l'etichetta "mafioso".
Potrei citare decine di casi di questo tipo, solamente che non sto scrivendo per fare un elenco di chi è innocente e di chi è colpevole, e non è nemmeno compito mio, io posso affrontare discussioni in questo campo soltanto parlando della mia persona, che conosco molto bene, sia il suo lato positivo sia quello negativo, quindi mi posso permettere di dare un giudizio su me stesso, e se tutti parlassero delle cose che solamente conoscono vivremo in una Italia diversa, molto migliore, ma per trovarci in un paradiso del genere dovremo smettere di processare la gente in televisione, sui giornali, lasciando questo compito ai giudici, e non comportarci come ci comportiamo oggi, una volta che abbiamo dato il nostro verdetto, se dopo non collima con la vera sentenza data dai giudici gli critichiamo, non vorrei che qualcuno pensasse che sono in difesa dei giudici, sappiate che ho tanto da lamentarmi nei loro confronti riguardo al mio caso, per voler loro un po' di bene potrei definirli illegali, scorretti, falsi e anche farabutti... e se qualcuno ha letto qualche mio scritto sa bene come la penso, qui io sto solo esprimendo il mio pensiero su come ognuno di noi dovrebbe cercare di comportarsi in certe situazioni, perché dal mio punto di vista siamo molto scorretti, sia nel giudicare gli altri, e sia non riflettendo prima di tutto sul nostro operato.
Come al solito io salto da un argomento all'altro non mi smentisco mai, ma credo che tutto vada a convergere con l'argomento che apre il mio scritto.
E per tornare sull'argomento, il mio pensiero va alla mia persona e a un'altra cinquantina di miei corregionali, che tra il 2000 ed il 2001, dopo i pestaggi del carcere di Sassari e dopo che a Nuoro era arrivato il Dottor Sagace come Direttore (una vera la...), siamo stati tutti trasferiti oltre Tirreno... nel Continente... diciamo noi. Dalle Alpi alla Sicilia era molto difficile trovare un Penitenziario dove non c'era un sardo deportato.
Nessuno ha chiesto il motivo, il perché siamo stati tradotti in massa ai Penitenziari del Continente, nessuno che abbia fatto un'inchiesta, nessuno che si sia interessato a noi. Gli unici che hanno protestato con articoli sui giornali sono stati la Chiesa, si signori miei, sono stati il Vescovo Pietro Meloni, Don Meloni, Don Borrotzu e tanti (quasi) tutti i sacerdoti della Curia Nuorese, altra mia fortuna è stata di conoscere due persone sarde un uomo e una donna, che lottano con tutte le forze affinché io torni in Sardegna, ma i nostri politici sono dei personaggi dalle mille facce, e neanche una presentabile.
I politici sardi non si sono visti, e-unue nci fustis impercaus, i politici sardi si sono nascosti, i politici sardi avevano vergogna di avere come corregionali "sequestratori" "assassini" e "criminali" vari, forse se qualche d'uno invece di dare giudizi gratuiti, guardava all'interno della sua razza avrebbe fatto meglio.
La Chiesa, dal primo momento che sono entrato in carcere ho sempre pensato che se non mi aiutavano i miei familiari e i membri della Chiesa, non mi avrebbe aiutato nessuno - muta profezia.
I politici sardi si vedono nel periodo elettorale, ma attenzione si son visti anche in certi processi di sequestri di persona per costituirsi parte civile, non vorrei citare che erano di sinistra o di destra, non vorrei dire che erano di destra o di sinistra, vorrei dire solamente una cosa, che noi detenuti sardi siamo stati abbandonati, da tutti, ma non dai Sacerdoti e dalle varie associazioni ecclesiastiche, con pochi altri veri amici.
Non ci volevano nella nostra nazione, non ci volevano poiché a detta loro avevamo rovinato la nostra isola, loro avevano già dato le sentenze anche prima di terminare i processi. Hanno fatto di tutto per allontanarci poiché per loro eravamo un disonore, eravamo gente da tenere nascosta. Sentite io ho commesso quello che ho commesso ma non mi nascondo perché ho una faccia sola, e nel bene e nel male è l'unica che posso presentare, mentre voi politici dovreste nascondervi veramente perché con le vostre mille facce non siete solo una vergogna per la Sardegna, ma la rovina del suo popolo.
Come ho anticipato, io ero uno di quelli, a me mi hanno mandato via poiché ero imputato di sequestro di persona a scopo di estorsione, mi hanno mandato via poiché così non potevo avere più contati con i miei complici. Solamente che vi è stato un piccolo errore di valutazione, poiché il sequestrato che custodivo io, era un Bolognese e guarda caso i miei coimputati (io testimone della loro innocenza) erano tutti continentali, allora da chi mi dovevano allontanare? Solamente dalla mia tanto stimata famiglia non dai miei complici, eppure al di qua del Tirreno, seppur i sardi io in primis, siamo stati accusati di gravi reati, siamo sempre stati trattati bene, in nessuna regione del continente si sono rivoltati gridando di allontanare quei sequestratori maledetti!!!.
In Sardegna dal 2001 fino ad ora, hanno costruito 4 nuovi penitenziari, dove verranno "ospitati" nomi di primo piano della criminalità organizzata cioè Mafiosi (E se sono come quelli che per 19 anni sono stati dentro per la strage di Borsellino?) Chi Io sa !!! I nomi di quelli che devono arrivare sui giornali ci sono quotidianamente. Arriva Totò Riina, Arriva Bernardo Provenzano, Arriva Cutolo, arriva questo e arriva quest'altro. Forse chi scrive non sa che chi è rinchiuso all'interno di una cella, è la persona più innocua che c'è, loro scrivono che vi è un grande pericolo di infiltrazioni mafiose nella Nazione Sarda e che i "mafiosi" destabilizzino l'economia della Sardegna (per adesso quello che stabilizza la Sardegna è la fame è la mancanza di lavoro).
Signori giornalisti, io in 34 anni di carcere ho incontrato solamente povera gente disperata, non credo che tutti siano carichi di soldi che comprano attività in Sardegna e se qualche d'uno si azzarda a farlo... tanto di guadagnato, almeno possono dare qualche posto di lavoro, dato che i politici sardi non ci riescono e pensano solo a loro stessi.
Ho anticipato che in questi anni sono stati costruiti 4 nuovi Penitenziari, questi nuovi Penitenziari ospiteranno migliaia di persone circa (3000), ma chi dovrebbero collocare all'interno di queste celle? Questi personaggi che ci governano se fanno bene i conti hanno buttato una marea di milioni di Euro al vento, forse non è che li hanno proprio buttati, visto che dalle indagini che hanno fatto, le mazzette sembra che ci fossero eppure loro non vogliono i mafiosi.
Ma poi io penso, quando si è dato il via ad appaltare i lavori di questi Penitenziari, dove erano i politici che adesso sbraitano, non sapevano che in Sardegna siamo 80 detenuti in A.S., 2/3 detenuti in A.S.1 e 3 detenuti in A.S.2, il resto dei detenuti sono imputati per reati cosiddetti comuni. Non c'è un detenuto sardo che ha il 41 Bis, eppure hanno costruito due sezioni per il 41 Bis, capienza 180 detenuti, ed i politici sardi erano al corrente di tutto questo. Ma forse la loro intenzione era di mettere tutti gli abitanti di certi paesi in prigione, forse era questa la loro idea? Oppure pensavano che in quelle celle di massima sicurezza ci avrebbero rinchiuso delle pecore?.
NON VOGLIAMO CHE LA NOSTRA ISOLA SIA LA PATTUMIERA D'ITALIA, NON VOGLIAMO I MAFIOSI NELLA NOSTRA TERRA.
Non credo "signori" politici, che la nostra nazione diventi la pattumiera d'Italia poiché stanno portando questi poveri sventurati che la maggior parte di loro si trovano all'interno di una cella da più di 4 lustri. Non credo che avvenga tutto questo, poiché non può verificarsi quello che voi pensate, non si può verificare poiché si è già verificato da anni.
Siete voi che avete fatto della Sardegna la pattumiera d'Italia, siete voi che avete acconsentito che arrivassero centinaia di collaboratori di giustizia, siete voi che avete permesso che arrivassero la gente confinata e perciò la colpa è di chi ha governato e di chi governa che è arrivato la droga in Sardegna, allora se la Sardegna non volete che continui a essere la pattumiera d'Italia, perché?... non mandate via non il 41 bis né i confinati, ma, quei personaggi venduti, quei giuda dei pentiti!!! Tutto ciò non vi conviene, poiché avete delle direttive ben precise da Roma e voi politici che siete figli e sudditi dello Stato Italiano, ascoltate i loro ordini seppur consapevoli che andate contro le aspettative del popolo sardo, che vuole lavoro e non collaboratori di giustizia.
In quanto ai mafiosi che dite voi e che non volete, se era stato per loro non sarebbero certamente venuti nella nostra isola a 2000 Km. di distanza dalla loro terra, sarebbero rimasti nella terra ferma, dove con più facilità potevano fare i colloqui e vedere i propri cari.
Ma voi cercate di terminarla di sbraitare, cercate di smetterla con gli articoli sui giornali, cercate di finirla di fare convegni, voi i nostri compagni di sventura in Sardegna li accoglierete, poiché è lo Stato Italiano che ve lo impone, quello Stato Italiano che ha per capitale Roma e che voi siete i loro vassalli.
Fortha paris po s'indipendhenthia
Presone de Ispoleto, 25 agosto 2013
Mario Trudu, via Maiano 10 - 06049 Spoleto (Perugia)
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Nel mentre era a Cagliari ad incontrare Papa Francesco, la ministra Anna Maria Cancellieri ha approfittato dell'occasione per incontrare gli alti prelati del DAP per definire meglio il quadro dei trasferimenti dei tantissimi detenuti in regime di detenzione speciale che finiranno nelle carceri dell'isola. Ma non è solo il faccia a faccia con i vertici ministeriali a far capire che i trasferimenti sono imminenti.
Proprio a Massama (Oristano) è stato ultimato il trasferimento di tutti i detenuti del Sassarese che sono ora reclusi nel carcere di Bancali. Il carcere di Uta (Cagliari), nel frattempo, è prossimo all'apertura e entro ottobre dovrebbe iniziare a funzionare e ad ospitare i detenuti cagliaritani che oggi si trovano a Massama.
Sarà quello il segnale per il via libera ai trasferimenti di detenuti dalla penisola, che stanno scontando la loro pena in regime definito di "Alta Sicurezza 3". Probabilmente entro Natale saranno a Massama, con il nuovo carcere che dovrà ospitare circa 250 detenuti. Sempre che il numero resti quello, visto che sarebbe già pronto un piano B, col quale si aumenterebbe il numero dei detenuti per cella, portandolo da due a tre. Così si potrebbe incrementare di altre cento unità il totale dei detenuti del carcere di Massama, costruito, tra le altre cose, anche per evitare situazioni di sovraffollamento, diventate insostenibili nella vecchia struttura di piazza Manno.
All'apertura del carcere di Uta mancherebbe poco secondo il prefetto con superpoteri, Angelo Sinesio, nominato dal ministro Cancellieri: "Entro il 30 ottobre consegneremo il carcere al ministero della Giustizia". Da ultimare ci sono solo le celle per i 41 bis; il carcere ha una capienza di 586 posti.
Liberamente estratto da "La Nuova Sardegna", 22-23 settembre 2013
da una Lettera dal carcere di Siano (CZ)
Chi scrive qui dal carcere è Antonio, un avvocato, deluso dalla democrazia, dalla giustizia di quest’ultima, sbattuto dentro sotto l’accusa dell’art. 416bis, (“associazione a delinquere di stampo mafioso”), che in genere sfocia nella carcerazione assassina del 41bis; l’accusa è affidata ad un infame, “collaboratore di giustizia”…
Antonio ci aiuta a conoscere una realtà investigativa che come sappiamo lo stato tende a favorire e a promuovere non solo nel sud Italia ed è accompagnata dalla condizione processuale e carceraria del 41bis che con il tempo è stata estesa in varie forme sull’intero sistema carcere.
Qual è la politica di sviluppo seguita dallo stato e dal capitale oggi nell’Italia del Sud? Nessuna. I casi degli smantellamenti industriali di Termini Imerese, Taranto, Pozzuoli, Pomigliano… si commentano da soli. Quindi? La storia di Antonio, tratta da una sua lunga lettera, ci aiuta a capire come stanno le cose, che piega hanno preso.
Gent.mo ignaro e consapevole lettore
“Si muore una sola volta, ma se si vive nella paura e nell’angoscia si muore continuamente”. (A. Lincoln)
Oggi la paura di vivere ci toglie un tratto d’umanità; la paura della legge ci uccide più del male e della fame: il problema è voler capire dov’è e qual’è il male.
[…] dopo oltre un secolo e mezzo, in questa “terra di confine” non si applicano principi costituzionali e democrazia; oggi come allora l’Italia civile è divisa in due.
Il Mezzogiorno d’Italia, e la Calabria in particolare, lo si vuole sottomesso ed oppresso, senza speranza né futuro, così, come nel Risorgimento ed ai tempi del “brigantaggio”, la “Legge Pica” viene applicata da “Magistratura Sabauda”, Tribunali speciali e processi sommari ci giudicano e condannano. Il senso d’ingiustizia, specie se proviene da chi dovrebbe garantire giustizia, è ciò che fa di un uomo un brigante ed assassino: come si può pensare di reinserire e rieducare una vittima d’ingiustizia soggetta a soprusi?
Ora sul fenomeno delle mafie come allora sul fenomeno del brigantaggio, le verità profuse sono nebulose e vengono incartate da processi farsa ove appare solo un barlume di verità. Se brigante era un meridionale esso era un criminale da trattare alla pari della peste, se brigante era un emiliano esso era considerato “cortese”, così come definito dal Pascoli il brigante Passatore: “il Passator Cortese”: anche la letteratura ci è avversa. […]
Ma al Sud sono davvero tutti mafiosi o collusi? Anche chi non lo è? I fatti sembrerebbero non affermarlo, almeno non più di quanto è nel resto del globo, ma ciò poco importa: ad affermarlo ed accertarlo, con metodi arbitrari, basta la sola volontà dei giudici. Soppressa la Costituzione va di scena la repressione poliziesca, la caccia all’uomo è scatenata ed il luogotenente Cialdini (*) avrà di che deliziarsi.
Sono l’Avv. Antonio Piccoli, da oltre tre anni detenuto (benché non definitivo)… Qual è la mia colpa? Non so darvi risposta; tante le colpe altrui, di chi ha voluto con spregiudicata ed impunita menzogna trascinarmi nel baratro; di chi sa solo biasimare e con assoluta sua certezza sapeva di praticare ingiustizia. […]
Ancora una volta ho visto sventolare gli stendardi dell’oppressione e dell’ingiustizia su questa martoriata terra di Calabria, dannata dagli uomini e dimenticata dalla storia. In questi luoghi malsani ho visto celebrare la vittoria del despota, ho assistito alle esequie dell’agonizzante giustizia ove magistrati inadatti alle nostre leggi ne impediscono resurrezione e vittoria, infondendoci paure e togliendoci speranze.
Il giorno 17 luglio 2013, in riforma ad altra ingiusta sentenza di I° grado, sono stato condannato ad otto anni di reclusione in grado d’Appello per reati di cui agli artt. 74 lex 309/90 e 416bis c.p. Lo scrivo a testa alta poiché totalmente innocente, innocenza limpida che andava solo raccolta e sbandierata, una sentenza fortemente voluta, forse per vendetta personale, un postulato intriso d’aporie.
Antonio punta il dito contro procura, tribunale e procuratore antimafia di Catanzaro che negli interrogatori imbeccano il “collaboratore” di turno - che si contraddice -, facendogli dire che a un appuntamento era presente Antonio, con quale auto, ecc. ecc.
La paura è un sentimento ed io non ho più sentimenti, dunque basta tacere, la verità non può essere più taciuta in cambio di qualche benevolenza, non mi aspetto nulla da chi è stato causa del mio male. […] La tenacia nel voler conseguire, servendosi di sole fonti dichiarative provenienti da collaboratori rabbiosi, delinquenti senza amore, principio e morale, a tutti i costi un ingiusto obbiettivo di giustizia da parte dell’organo inquirente, attaccato ciecamente alle proprie convinzioni, intriso di accanita protervia, non dovrebbero condizionare le doti professionali e personali del giudicante, ciò potrebbe far sì che entrambi dimentichino il proprio ruolo di organo di giustizia e legalità.
Basta questo per rendere la portata del dramma che tutti i giorni viviamo, incapaci ad agire e rassegnati alla resa ove ogni sera ci apprestiamo, col risentimento per una giustizia tradita, al mirar del tramonto di un giorno che avremmo voluto di pace.
Voglio concludere con una mia lirica.
IL SUPPLIZIO DEGLI INNOCENNTI
Perché le fiamme del rogo dell’ingiustizia non si spengano nei secoli. Perché i perseguitati non hanno avuto premonizione alcuna per prepararsi al supplizio, mentre gli inquisitori hanno avuto ogni accondiscendenza per prepararsi allo sterminio delle vittime.
Le fiamme accese da boia esecutori, nervosi e impressionati, salgono a lambire i corpi degli innocenti. Or non si tratta più di massacri commessi nella furia di una battaglia, ma di quegli avvenimenti che si incontrano talvolta nella storia, spesso dimenticati.
Vittime che si consegnano inconsapevoli ai propri carnefici, i quali han preparato con metodica passione la loro tragedia, Ma i perseguitati, ivi giunti sul rogo, ove ardono le fiamme dell’ingiustizia, possono riprendere l’apostrofe degli innocenti: “giustizia, dov’è la tua vittoria?”
(*) Al gen. Enrico Cialdini dell’esercito piemontese, nel 1861 venne affidato il compito di condurre la “guerra al brigantaggio” nell’Italia del Sud. Lui, alla testa di 100mila armati, la diresse per circa 10 anni anche compiendo stragi fra le popolazioni contadine, in particolare in Lucania.
13 settembre 2013
Antonio Piccoli, via tre fontane 28 - 88100 Siano (Catanzaro)
LETTERe DAL CARCERE DI OPERA (mi)
Ciao, […] ti informo, sempre se è vero e io penso che lo sia, che più di cento prigionieri sono stati trasferiti nelle carceri di Saluzzo, Voghera e Padova. Qui ad Opera dovrebbe rimanere il 41bis, E.I.V. [AS2, ndr] e AS3 solo i giudicabili, i comuni dovrebbero essere spostati dalla Sezione Comuni alla Sezione AS3 e viceversa […]. Tutto questo per il semplice motivo che devono iniziare a fare il Reparto Nuovo nel campo di calcio, dove si va a giocare a pallone e tutto questo per motivi di sicurezza dato che devono aprire il muro per far entrare i camion e poi c'è la gru, la ruspa e così bisogna spostare i detenuti.
Opera, 18 agosto 2013
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Ciao carissimi amici di Ampi Orizzonti, spero di trovarvi tutti bene, così vi assicuro di me. Oggi giornata serena . Ho ricevuto il vostro opuscolo n° 78 [alla censura interessa spezzare i rapporti, perciò consegnano gli opuscoli e magari altro, 3-4 mesi dopo dal loro arrivo, ndr].
Il mese scorso vi ho sentito dalla finestra, verso le 23, che eravate nel campo, vicini ad un trattore, che ci parlavate di lottare. Qui non hanno fatto niente, io mi sono fatto dieci giorni di sciopero della fame, ma sono solo. Grazie anche per i fuochi d’artificio…
Buon pomeriggio, un caro abbraccio a tutti voi, ciao amici miei, Antonio.
22 settembre 2013
Antonio Cianci, v. Camporgnago, 40 – 20090 Opera (Milano)
Lettera dal carcere di Bergamo
Un saluto a tutte le compagne e compagni. Ho ricevuto il vostro opuscolo. Scrivo dal carcere di Bergamo. Anche questo è un carcere di lecchini e infami, con pochi onesti e dignitosi detenuti. Qui anche in isolamento ci sono tante celle con tre detenuti dentro. Però, colpa dei detenuti, non si lamenta nessuno. Fanno due o tre chiacchiere e finisce tutto lì.
Le sezioni “comuni” sono uno schifo. Tanti detenuti furbi e infami che per pochi soldi si vendono. Scrive bene il compagno, quando dice che si devono bruciare tute le carceri, ma purtroppo sono tempi schifosi e ci sono pochi che vogliono rischiare a prendere galera o isolamento.
Noi in Croazia nel 1997 abbiamo sequestrato 12 guardie e poi, dopo due giorni, abbiamo versato 200 litri di nafta e bruciato tutto il carcere di Ledogava. Era un inferno, bruciava pure il ferro, ma abbiamo costretto loro a lasciare entrare dentro il carcere i giornalisti per far vedere a quelli fuori in quale miseria si viveva dietro le sbarre. Noi dieci che siamo stati accusati abbiamo preso pure la galera, per non parlare dei pestaggi dopo la rivolta. Però non mi dispiace. Le guardie erano come gli “sceriffi”. Ma dopo la rivolta è migliorato tutto. Non picchiavano più i detenuti. Gli infami che sono al potere non fanno niente se non sono costretti da noi.
Penso che qui in Italia non si può fare niente perché ci sono pochi detenuti pronti a rischiare di prendere della galera o dell’isolamento. Tutte queste cosiddette “sezioni comuni” sono uno schifo, è molto difficile per quei pochi detenuti onesti. Loro, i vermi, il “DAP” e le direzioni delle carceri manovrano la maggioranza dei detenuti che si vendono per pochi soldi; questi ultimi non sentono né vergogna né disagio a fare ogni giorno infamie contro i detenuti.
In questi 4 anni che sono nelle sezioni “comuni” ho visto davvero tante schifezze. Per me stare in sezioni con compagni BR era come un premio, perché lì erano tutti onesti e non lecchini e infami.
Poi qui ci sono due sergenti al comando, il direttore e il commissario. Se un detenuto ha dignità, se non si fa un loro cane, non ti danno niente, ma che vadano affanculo. Qui siamo abituati a vivere nella miseria. Io sto sempre dalla parte dei detenuti, ma di quelli dignitosi e bravi; non sto dalla parte dei detenuti che hanno venduto l’anima per pochi soldi. Saluto tutti voi da questo carcere “albergo”, ahi ahi, siamo come in un campo di zingari.
6 settembre 2013
Jasmir Sabanovic, via Gleno, 61 - 24 125 Bergamo
Lettera dal carcere di Trapani
Qui a Trapani la situazione fa letteralmente schifo. Nella sezione femminile o per la collaborazione con le guardie o perché le detenute stanno ai giochetti delle guardie o avranno paura delle loro stupide minacce, dei rapporti, degli isolamenti, ti dicono sempre “io fuori ho qualcuno che mi aspetta”, “è una guerra persa”. Ho provato a parlare alle detenute, quando posso aiuto tutte, cerco di mantenere la sezione viva, perché sembra un cimitero. Gli sbirri sopra ogni cosa dicono che a lamentarmi sono soltanto io. Infatti mi ritrovo in una cella di punizione, ma quel che dico lo grido per tutte e 22 le compagne.
Il problema più grosso riguarda l’acqua. Con il maschile, per il femminile soltanto io, abbiamo fatto la battitura 20 min. la mattina, 20 il pomeriggio e 20 la sera. Sembrava che l’acqua ci fosse stata ridata, invece da una settimana la mettono dalle 7 alle 9, poi dalle 11 alle 13 infine dalle 18 alle 20.
Se parli con gli sbirri ti dicono che è un problema di tutto Trapani. Ora apriremo guerra al comune, raccoglieremo le firma e faremo la battitura. Vediamo se qui in sezione qualcuna mette almeno una firma, ma non penso perché hanno pure paura a dire “aria” e l’acqua esce pure gialla. Al maschile ci sono ragazzi che sono stati morsi dai topi.
Il vitto tutti i giorni lo danno alle 11,30 per pranzo e cena ed è a freddo; dicono che “la cucina è guasta”…
Continuano a non darmi l’opuscolo perché dicono che è “anticarcerario”; non sono al corrente di tante situazioni, come questa che mi dici che è morto un ragazzo a Padova. Non ho neanche sentito che è scattata una protesta nel carcere [Cie, ndr] di Crotone.
Vediamo cosa riusciamo a combinare qui… Un giorno o l’altro mi sballeranno fuori dalla Sicilia, perché qui ho girato tutte le sezioni femminili. Mi farebbe molto piacere avere in merito ciò che state scrivendo voi compagne e penso che se tutte fossero come voi la galera la faremo tremà… Ti saluto con un abbraccio forte e ribelle, “Fuoco alle carceri”…
16 settembre 2013
Alessandra Fumia, via Madonna di Fatima, 222 - 91100 Trapani
Lettera di Kamal da Alba (cn)
Ciao a tutti, sono Kamal Rachid, spero tutto bene. Io sto soffrendo in carcere, soprattutto dopo aver visto il mio cancellino, Dallow Fi Tarik, morire sotto i miei occhi nel carcere di Alessandria “Don Soria”, la mia vita è cambiata, è diventata infernale. Potevano salvarlo, potevano dargli meno terapia. Là è stato un inferno per me, ma anche nel carcere di Alba è uguale. Più o meno direi che le carceri italiane sono uguali.
In questo carcere di Alba ho fatto la richiesta di avere la mia cartella clinica, come mi ha chiesto l’avvocato. Mi hanno fatto andare fuori di testa. Me l’hanno data dopo aver combinato un casino in me stesso, dopo aver mangiato 6 batterie, dopo aver fatto tagli profondi nella mano, nella pancia. Mi hanno fatto andare fuori di testa. Me l’hanno data ma priva dei fogli che contengono la documentazione del ragazzo mancato. Pazzesco.
Tutti i penitenziari sono contro di me. Dopo che ho visto il mio cancellino morire non conquisto più il ben volere degli altri. Han rovinato la mia vita. Non dormo più bene, non vedo più la felicità. Farò il possibile per comunicare al mondo quello che succede nei carceri. Distinti saluti, Kamal.
15 settembre 2013
Kamal Adil, via Vivaro, 14 – 12051 Alba (Cuneo)
lettere dal carcere di San Vittore (mi)
[…] mi trovo al Centro Clinico, raramente una definizione mi è apparsa così inadeguata e paradossale! Credo che non mi sarà complicato descriverti la qualità di questa accoglienza: direi di procedere con un minimo di razionalità.
Io sono affetto da una valanga di patologie, almeno 7 importanti, la più preoccupante è il diabete di tipo 2, che è curato con epoglicerici orali e con una dose (20 gr.) di insulina la sera, sul tardi! A tale disturbo ormai cronicizzato, va aggiunto l’esubero di peso; sono entrato in carcere il 30 luglio del 2011 e dopo un anno ero arrivato a 108 kg, partendo da 86 kg. Disagi terribili, per questo aumento di peso che ti risparmio, comunque sono imbarazzanti quanto dolorosi.
Torniamo al trattamento sanitario e alle condizioni igienico-sanitarie questo “CD”! Scarafaggi, formiche, bestioline di varia foggia, forma e natura; ragnatele!
Gli infermieri, salvo rare eccezioni, non utilizzano i guanti. Questo significa che, mentre preparano le terapie, entra un detenuto, chiede di essere medicato e, per quanto se ne può sapere, ci si interroga se ha messo in atto tutti i protocolli di protezione.
Ho lottato duramente con i vari medici che si sono alternati tra questo CD e il 5° reparto (infermeria) per ottenere un mezzo adeguato con cui andare a fare le visite in ospedale! Soltanto l’intervento della vicedirettrice ha consentito di ottenere, dopo quasi un anno e mezzo un furgone ove poter salire. Già, perché non ti ho detto che ho la patologia ortopedica, una neuropatia grave alle gambe e ai piedi e persino alle spalle al punto da non riuscire ad aggrapparmi né, tanto meno, posso usare le braccia, piegarle dietro di me (per fare la doccia, ad esempio).
Ti racconto delle patologie soltanto per puntualizzare i disservizi, la “nonchalance” delle figure mediche, il chiamarsi fuori dei responsabili della polizia penitenziaria quando il comportamento di un medico ha connotazioni di aperta insofferenza. Ovviamente sulle note che non mancano di inviare al magistrato di sorveglianza, sono definito come qualcuno in aperta contestazione nei confronti del sanitario. Credimi, questi medici, questo direttore sanitario, del resto abbastanza chiacchierato, è assolutamente incapace di mantenere una forza di controllo ed è piuttosto ambiguo nelle sue esternazioni.
Sono invalido al 90% in attesa della visita ASL per l’aggiornamento-aggravamento al 100%. Ho 70 anni tra un mese (6 ottobre), ciononostante i medici hanno sempre affermato che sono compatibile, malgrado dozzine di sentenze di Cassazione smentiscono tale impostazione. Chiedimi pure quello che vuoi, sarò ancora più prodigo di dettagli sullo schifo presente in questo CD. Intanto ricevi, nuovamente, i miei migliori saluti.
5 settembre 2013
Giovanni Tognetti, p.za Filangieri, 2 - 20123 Milano
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Carissimi compagni/e, gli opuscoli mi sono arrivati assieme ai libri da voi inviati, vi saluto grazie a voi e agli opuscoli mi avete aiutato a capire tante cose poi riesco a tenermi informato su quello che succede fuori e sulla situazione degli altri compagni/e in carcere.
Dalla mia ultima lettera nell'opuscolo 74, non ho più scritto, semplicemente perché non sono stato tanto bene, ho passato un brutto periodo, riguardo a questo lurido posto non vedo un buon cambiamento, la situazione va sempre al più peggio, come già sapete qui a San Vittore è difficile conservare la dignità in 6 dentro ad una cella da 2, ma quanto dista la legge umana dal giusto e lo sbagliato? E' un fatto di cultura, di geografia, di religione. Un fatto di clima e di sangue che bolle a diverse temperature rispetto il luogo in cui sei nato. I miei si sono tolti il pane di bocca perché io non fossi un emarginato, ora che sono dentro il sistema mi accorgo che io sono il sistema e non c'è spazio ai margini, dentro o fuori, è questo che è il problema, un fatto di status che non rende affatto facile al detenuto poi di integrarsi. Quello che non volevi fare ragazzo, lo impari qua e se ti procuri un codice ci fai le veglie cercando di capire quali passi fare, e quale corridoio normativo possa portarti, infine dalla galera.
Casa circondariale, galera, carcere penitenziario e via così i nomi delle case di pena si moltiplicano e all'interno di uno stesso, ci sono 1000 differenze tra un reparto e l'altro un raggio e l'altro, addirittura una cella e l'altra.
Poi ci sono le relazioni umane e un agente non vale un altro fa la parte di un professore è più rilassato e un altro invece è più rigido. C'è chi il lavoro lo sa fare e non lo fa come dovrebbe essere, e chi il lavoro non deve per forza farselo piacere, comunque tutto sommato è uno schifo.
Si parla di famiglia, si dice che la famiglia è tutto, ma chi ci soffre forte, in tutto sto marasma e che ti vuole bene, che resta fuori con l'angoscia, che pensa ai suoi congiunti, che legge le tue lettere, come da copione: ne è valsa la pena?
A voi Ampi Orizzonti un sincero saluto con stima! Un forte abbraccio a tutti gli amici/che.
Ciao L., M. a presto. Fuoco alle galere.
Milano, 2 settembre 2013
El Harda Abdel Khalak, Filangeri, 2 - 20123 Milano
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La settimana scorsa, in piena notte, con un mandato di perquisizione e due custodie cautelari in carcere io e un altro compagno (Simone, uno studente di Scienze Politiche) veniamo portati a San Vittore. I fatti per cui è stata aperta l'inchiesta riguardano una (o più risse) avvenute sei mesi fa durante una festa serale autorganizzata da studenti alla Statale di Milano. Nella totalità l'imputazioni sono: violenza aggravata e lesioni con parecchie aggravanti e restano indagate circa 20 persone ignote.
Per quello che so, avendo visto qua dentro qualche tg regionale e un paio di articoli di giornale c'è stata una criminalizzazione su di noi molto pesante. Inoltre, un uso strumentale giornalistico sulle lotte studentesche e la "questione" Notav. Di fatto c'è un uso distorto su questa lite e spostato su un metro politico accostando il tutto alle università in lotta e alla Val Susa.
Non faccio "l'indignato speciale" ma oltre a urtarmi i nervi lo reputo grave e a mio avviso va rispedito tutto al mittente. Non ho notizie di Simone, non avendolo ancora incrociato e so giusto che abbiamo avuto il divieto di incontro. Spero stia bene, nonostante la dura settimana.
Abbiamo avuto l'interrogatorio il secondo o terzo giorno. Io, per ora, mi sono avvalso della facoltà di non rispondere rilasciando però una dichiarazione spontanea. In breve... da una parte, il forte dispiacere per il ragazzo che si è fatto male (ho appreso dai faldoni che ha avuto 60 giorni di prognosi e un intervento chirurgico); dall'altra, il modo in cui i fatti sono stati riportati ribadendo la mia totale estraneità ai fatti. Non mi dilungo sulle stranezze e anomalie che ho letto...queste saranno cose banali ma a volte dire l'ovvio lo ritengo giusto.
Qui, al raggio dove mi trovo, abbiamo sentito un presidio - saluto chi era fuori la sera di giovedì e mi ha fatto molto piacere. La quantità di posta che sto ricevendo poi mi rafforza e mi dimostra davvero affetto, vicinanza e solidarietà. Questo, unito a bei gesti di umanità che ho ricevuto qui dentro: dai carcerati, of course!
Il morale è alto e la determinazione quella di sempre. Per ora vi saluto, un abbraccio forte ai compagni/e di Askatasuna e alla Valle che resiste. Hasta siempre! Lollo.
10 settembre 2013
Lorenzo Minani, P.za Filangieri, 2 - 20123 Milano
da infoaut.org
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Lollo e Simone liberi!
4 settembre, uno studente e un ex studente di Scienze Politiche, appartenenti all’Assemblea di Scienze Politiche, sono stati arrestati con l’accusa di aver preso parte ad una rissa avvenuta a Febbraio durante una festa in Statale.
Da subito si è scatenata la gara dello “sbatti il mostro in prima pagina”: feroci picchiatori, barbari, belve, questi sono gli appellativi usati dai media per i due arrestati.
Non è nostra intenzione prestarci all’uso strumentale che è stato fatto dai giornali e dalla questura su una vicenda che non ha alcun contenuto politico. Non è un caso, infatti, che su tutte le testate venga sottolineata la partecipazione dei due all’interno del movimento studentesco (proprio alla vigilia del nuovo anno accademico) e del movimento No Tav. Non è un caso che l’inchiesta sia condotta dal pm Basilone – lo stesso che ha firmato gli arresti per resistenza dopo lo sgombero della ex Cuem in Statale – e dal procuratore Romanelli, capo del Quarto Dipartimento Antiterrorismo.
Nel mese di Agosto i vertici dell’università hanno chiuso lo spazio occupato della libreria ex- Cuem, approfittando dell’assenza degli studenti nel periodo estivo. Ora, il tentativo è quello di delegittimare qualunque studente, o gruppo politico, che all’interno delle facoltà si opponga al processo di ristrutturazione e di aziendalizzazione dell’università, contro lo smantellamento del diritto allo studio che penalizza gli studenti meno abbienti. Il lavoro che portiamo avanti a scienze politiche parte infatti dall’esigenza di riappropriarci di ciò che ci viene tolto riforma dopo riforma, da governi di ogni risma; e non solo come studenti, ma anche come studenti-lavoratori colpiti da continui attacchi a diritti e salario.
Riappropriazione e forme di organizzazione – come la condivisione gratuita di libri in pdf contro il caro-libri, pranzi sociali, riapertura di spazi utili agli studenti ma tenuti chiusi, questo, insieme alla costante solidarietà ai lavoratori della statale- hanno caratterizzato da sempre le nostre attività in facoltà. La nostra critica ad un’università subordinata alle esigenze del mondo imprenditoriale, a scapito dei diritti, si scontra quindi con gli interessi della classe dirigente, che sempre in misura maggiore necessita di luoghi di formazione funzionali alla creazione di lavoratori precari e ricattabili. Con i discorsi, le assemblee, le mobilitazioni, ci siamo costruiti dentro le mura della facoltà una legittimità basata appunto sulla concretezza delle critiche che portiamo, proprio perché partono dalla condizione e dai bisogni degli studenti. Tentano quindi un attacco ai fianchi, a cui semplicemente risponderemo proseguendo le nostre lotte.
Non sono bastati gli sgomberi degli spazi occupati all’interno degli atenei, le commissioni disciplinari ad hoc, le cariche, né tanto meno gli arresti; nelle facoltà esistono ancora luoghi, fisici o meno, con i quali gli studenti tentano di opporsi ad un’università sempre più asservita alle imprese e alle logiche del profitto.
L’anno scorso abbiamo visto numerosi studenti impegnarsi attivamente nella lotta contro queste strategie e le azioni di solidarietà sono state molteplici in tutto il Paese.
Per questo, rimarcare l’attivismo politico dei due studenti arrestati è funzionale a isolare queste stesse lotte, e fare terra bruciata intorno a chi rivendica i propri diritti e si riappropria di quanto gli spetta.
Giornalisti, politici e magistrati pretendono di giudicare l’operato politico dell’Assemblea di Scienze Politiche attraverso un evento che si presta a facili strumentalizzazioni. Tutto questo perchè impossibilitati a farlo sui contenuti espressi in tutti questi anni. Contenuti che tanti studenti con la loro partecipazione hanno sostenuto. A questi ultimi lasciamo un giudizio scevro dalla propaganda politica propinata da giornali e questura.
Per chi volesse esprimere la propria vicinanza:
Minani Lorenzo Kalisa e Di Renzo Simone
Casa Circondariale di Milano “San Vittore”, Piazza Filangeri 2, 20123 – Milano
5 settembre 2013, da spomilano.noblogs.org
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Alcuni ragazzi si sono picchiati ad una festa di carnevale in università. Sfortunatamente, uno di loro si è fatto male. Un fatto serio, certo, ma uguale a mille altri che succedono e succederanno, a un concerto, in discoteca, per strada.
Reati comuni, si chiamano. E se i due studenti arrestati ne risulteranno giuridicamente responsabili – se, perché per ora si dovrebbe ancora presumere che non lo siano -, ne risponderanno. Ma non è questo il punto.
Il punto è: se di reati comuni si tratta, perché allora le indagini sono condotte dalle sezioni antiterrorismo dei carabinieri e della procura?
Perché avrebbero cominciato a litigare per un manifestino politico? E se avessero discusso per questioni di tifo calcistico, cosa sarebbe successo, sarebbe intervenuto il Coni?
Quel che è certo è che intanto sui quotidiani si sprecano i ragionamenti che partono dalla militanza politica degli arrestati e arrivano a giudicare, col metro del litigio alla festa dell’università, la lotta no tav o l’esperienza dell’ex-Cuem alla statale.
Ma fare ragionamenti basati sul presunto incipit del litigio per condannare esperienze del tutto estranee, questo si, è politico.
E lo è in un senso ben preciso. E’ reazionario.
Si vuole discutere di Tav? Bene, lo si faccia, ma allora si parli di infiltrazioni mafiose, di costi, di utilità, del diritto di decidere del proprio futuro.
Si vuole discutere dell’ex-Cuem? Bene, si parli di università, di baronaggio, di università azienda, degli effetti della riforma Gelmini.
Si vuole parlare di politica? Lo si faccia in termini di onestà intellettuale e di verità.
Questo se qualcuno spera ancora di cambiare qualcosa. Se no, andiamo pure avanti così, con buona pace di chi ancora ne ha.
Un tempo si diceva che solo la verità è rivoluzionaria.
5 settembre 2013
Avv.ti Eugenio Losco e Mauro Straini (difensori degli indagati)
Ora e sempre No Tav: aggiornamenti
Non si arresta l’ondata repressiva ben coadiuvata dall’opera di diffamazione degli organi di stampa contro il Movimento No Tav. Essendo ormai svelati da tempo i veri interessi economici ed ormai chiara a tutti la distruzione di un intero territorio, allo Stato non rimane che inasprire ancora di più le misure repressive contro tutti coloro che, in vari modi, hanno deciso di difendere la Valsusa opponendosi ad un modello di sviluppo distruttivo e devastante.
Ogni giorno attraverso i media mainstream dobbiamo leggere le nuove mirabolanti accuse di terrorismo rivolte al Movimento No Tav, volte da un lato a cercare di dividere le varie anime che da sempre hanno partecipato alla lotta No TAV e dall’altro a giustificare un sempre massiccio impiego di dispositivi repressivi in una Valle che ormai sembra sempre più un campo di occupazione.
E’ così che un corteo partecipato e colorato come “la marcia degli over 50” - durante il quale centinaia di valsusini (di nascita o di adozione) più o meno maturi muniti di martelli si sono diretti verso il muro della vergogna, quello del cantiere Tav, - è diventato un altro pericoloso assalto ed è costato numerose denunce oltre che l’arresto domiciliare per Giobbe, Giuliano e Maurizio, questi ultimi accusati di aver minacciato una giornalista del quotidiano La Repubblica.
Non contenti negli ultimi giorni si sono susseguite le solite accuse delle infiltrazioni anarco-insurrezionaliste (provate dalla diffusione di “Lavanda” un aperiodico di riflessioni sulla lotta notav) che però invece di dividere il Movimento hanno provocato il sostegno, anche della pratica del sabotaggio, da parte di numerosi intellettuali e personaggi pubblici. Allora, sempre con l’aiuto dei soliti giornali e programmi televisivi, è ripreso il piagnisteo dei “poveri imprenditori” che lavorano nel cantiere sotto la costante minaccia dei pericolosi attivisti… imprenditori così onesti da aver ricevuto appalti a dir poco irregolari o da essere indagati per bancarotta fraudolenta.
Infine la lettera di due detenuti dalla sezione AS 2 di Siano, una semplice analisi della situazione generale del paese e della lotta No Tav, diventa pretesto per gridare alla “saldatura con le BR”, così da giustificare l’invio di altri 200 militari in Valle (che in totale ora ammontano a più di 400 su una popolazione di poco più di 900 persone), l’ incarico a altri due procuratori aggiunti (provenienti dall’antiterrorismo) che entrano a far parte del pool torinese anti-notav e l’istituzione di una nuova collaborazione fra le procure di Torino e Milano.
Niente di nuovo sotto il sole valsusino, se non che i due attivisti Forgi e Paolo sono passati dal carcere agli arresti domiciliari, a due attivisti è stato cancellato l’obbligo di dimora per un’irregolarità nella commistione dello stesso, un altro attivista è stato scagionato perché ha potuto dimostrare di essere stato molto lontano dalla Valle nonostante il “sicuro” riconoscimento effettuato per indagarlo.
I “cattivi maestri”, ormai dovrebbero averlo capito anche i muri, non esistono mentre esiste una sempre più ampia fascia di persone pensanti che ha deciso di occuparsi del futuro proprio e delle future generazioni.
Milano, settembre 2013
lettera di un compagno agli arresti domiciliari
Ciao a tutt*, sono passati due mesi da quel 19 luglio quando, assieme ad altre persone, sono stato arrestato in Val Susa in seguito ad una manifestazione contro il cantiere del TAV. Ora sono agli arresti domiciliari e mercoledì ci sarà il riesame per me e alcuni degli arrestati di quel giorno. In questi due mesi passati tra le mura di casa ho appreso a fondo quanto sia importante la solidarietà; essa è un'arma forse la più potente che abbiamo.
Un ringraziamento speciale, un grazie di cuore va a tutte le persone che mi sono state vicine in questo periodo: chi con uno scritto, un telegramma, una telefonata per non parlare delle visite di amic* e compagn* che ti danno forza, ti fanno sentire meno solo e ti incoraggiano a proseguire con rinnovato vigore la lotta.
Rimorso e pentimento non fanno parte del mio vocabolario anzi sono sempre più determinato a lottare e a resistere contro un sistema il cui unico progresso che ci dà è il calpestio della libertà e della dignità umana, quando non della vita nella sua interezza. Per questo i blocchi e le azioni che si sono susseguite in Val Susa, le lotte che quest'estate hanno preso piede e si sono rafforzate in altre parti d'Italia sono la migliore risposta agli arresti, ai fogli di via e alle varie misure con cui lo Stato cerca di seppellire ogni dissenso.
Consapevole dei rischi penso che rispondere in maniera efficace, ovvero con l'azione diretta alla devastazione e al saccheggio delle nostre vite sia la sola via percorribile, il solo mezzo e anche la miglior forma di solidarietà.
Un saluto particolare va al mio amico Francesco ai domiciliari da 10 mesi per i fatti di Roma del 15 ottobre 2011, tieni duro Fra e spero di riuscire a vederci al più presto liberi di scorrazzare.
Un abbraccio solidale anche a tutti gli arrestati di quel giorno a tutti i reclusi nelle carceri e nei C.I.E. e a tutte le persone che nel quotidiano lottano e resistono. Albe.
settembre 2013
La Nostra Guerra Non è Finita: 16, 17, 18 Ottobre 2013 a Roma
In Solidarietà ai Rivoltosi e alle Rivoltose del 15 Ottobre 2011
15 ottobre 2011, una data impressa nella memoria di molti.
Che ci sarebbe stata una sommossa era nell’aria e così è successo.
Quel giorno, nelle strade di Roma, migliaia di persone si sono scontrate per diverse ore con la polizia attaccando i responsabili della miseria e dell’oppressione di tutti. Sono state colpite banche, agenzie interinali, compro oro, supermercati, auto di lusso, edifici religiosi, militari e amministrativi. Se molti sono scesi in piazza con intenzioni bellicose, altri hanno disertato le fila rassegnate dell’ennesimo inutile corteo approfittando della situazione che si era creata, altri ancora, sono arrivati quando si è sparsa la voce che gli scontri erano iniziati, quando si è capito che lo spettacolo era saltato, che si faceva sul serio.
Quella che si è vista è una disponibilità a battersi che fa paura a chi comanda, così come fa paura la simpatia verso i ribelli, più diffusa di quanto gli amministratori del consenso vogliano farci credere. Infatti nonostante la condanna dei gesti da parte dei politici di ogni colore e la montagna di fango riversata dai professionisti della calunnia, abbiamo constatato quanto fosse popolare la convinzione che le ragazze e i ragazzi scesi in strada “hanno fatto bene” e che, anzi, la prossima volta “bisogna fare di più”. Una giornata di lotta memorabile il cui senso è sintetizzato da alcune delle scritte tracciate sui muri della capitale: “oggi abbiamo vissuto”, “pianta grane non tende”.
In quella giornata, chi si è battuto ha fatto debordare il corteo dagli argini della protesta sterile nella quale gli organizzatori volevano imbrigliarlo. Il carrozzone della sinistra riformista (disobbedienti, Sel, Idv, Cgil, Arci, Legambiente, Fai, Cobas, ecc…) si riproponeva di giocare le solite vecchie carte: partire da slogan altisonanti, sparati a tutto volume da colorati e pacifici sound system lungo le strade della capitale, per poi incanalare la rabbia e monetizzarla sotto forma di consenso politico e potere di contrattazione. Sono gli stessi che plaudono agli scontri quando si verificano in località distanti, possibilmente esotiche, per poi dissociarsi e calunniare quando le stesse cose avvengono a casa loro. Il 15 ottobre è finalmente emersa una prima risposta reale a trent’anni di lotta di classe a senso unico, cioè da parte dei padroni contro gli sfruttati. La fine di ogni spazio di contrattazione è diventata palpabile. “Non chiediamo il futuro, ci prendiamo il presente” era scritto sullo striscione di uno degli spezzoni più combattivi.
Il sistema capitalista che domina le nostre vite si manifesta sempre più inequivocabilmente come una guerra totale al vivente. Un’oppressione che diventa sempre più insostenibile e per questo aumentano continuamente quelli a cui la strada in salita della rivolta appare come l’unica via sensata e percorribile. L’insurrezione è il peggiore incubo di chi governa questo mondo, un incubo che può sembrare un’ipotesi lontana ma che si sta manifestando, a scadenze sempre più ravvicinate, nelle metropoli del mondo. La congiura dei rivoltosi abbraccia ogni angolo del pianeta. Nel ventunesimo secolo una metropoli può infiammarsi per un omicidio da parte della polizia, per un parco da salvare e persino per l’aumento del prezzo del biglietto dell’autobus, ma dietro le motivazioni d’occasione è facile scorgere la rivolta contro l’insostenibile degrado a cui è ridotta la vita, la voglia di farla finita, una volta per tutte, con questo vecchio mondo. Se politici, poliziotti e giornalisti si interrogano sul perché quel giorno si sia scatenata la rivolta, noi ci dovremmo domandare, invece, perché la rivolta non esploda tutti i giorni. La catastrofe è, infatti, ogni giorno in cui non accade nulla.
“Ogni giorno 15 ottobre” abbiamo letto in una lettera scritta da un compagno privato della libertà in seguito a quei fatti, ed è da qui che vogliamo ripartire. Se infatti quella giornata è stata una dimostrazione di potenzialità e un’apertura di possibilità, come in ogni battaglia sono stati fatti dei prigionieri. Va detto chiaramente: queste compagne e questi compagni non vanno dimenticati, vanno difesi e vanno liberati.
E’ da qui che si vuole continuare, dal 16 ottobre di due anni dopo. Per questo ci incontreremo tutti e tutte a Roma nelle giornate del 16, 17 e 18 ottobre, per riportare la conflittualità intorno al processo del 15 nel luogo dove è nato, nelle strade di questa metropoli. Una tre giorni di lotta in solidarietà agli imputati e alle imputate di questo processo che vede schierati, tra gli altri, alcuni padroni della città nel ruolo di accusatori.
Costoro chiedono risarcimenti milionari, accusando chi si è ribellato di aver “leso l’immagine turistica della città”. Bene, rispediamo le accuse al mittente: per una volta anche la nostra città è stata all’altezza delle altre capitali europee. Il Comune di Roma, l’Ama, l’Atac, la Banca Popolare del Lazio, oltre ai ministeri della Difesa e degli Interni, si sono costituite parte civile al processo e sono fra le componenti di quella macchina del potere che ci opprime, che ci impedisce di godere della nostra vita, delle nostre relazioni, dello spazio in cui viviamo: non mancheremo di farglielo notare.
In questo processo, la procura, vuole riutilizzare il reato di devastazione e saccheggio, un’accusa che ha già comportato pesanti condanne, a cominciare dal processo per Genova 2001. Il reato di devastazione e saccheggio è un’arma spianata contro ogni lotta che assuma il carattere della concretezza. Un’arma terroristica che colpisce nel mucchio, una vera e propria rappresaglia di un potere isterico e ferito. Un’accusa paradossale perché rivolta a chi si è battuto coraggiosamente contro l’unica entità responsabile della devastazione e del saccheggio a livello planetario: il sistema capitalista. Con questa farsa giudiziaria il potere si pone l’obiettivo di chiudere un’agibilità di piazza che rischia di far esplodere la polveriera nazionale.
Inoltre gli imputati e le imputate, come nel processo No Tav, sono scelti con precisione chirurgica, toccando tutto il frammentato arcipelago antagonista. L’obiettivo è chiaro: distruggere con fermezza ogni solidarietà rivoluzionaria faticosamente costruita negli ultimi anni. Perché non basta declinare la solidarietà come un concetto passivo, come qualcosa che arriva dopo gli arresti, dopo la sfortuna. La solidarietà deve essere pensata e praticata quotidianamente come un qualcosa che si genera nella lotta. Condividere il modo in cui viviamo e praticarlo ci permette di costruire quella solidità, da cui il termine solidarietà deriva, che permetterà alle varie iniziative conflittuali e autonome di propagarsi e moltiplicarsi.
Ed ecco perché una tre giorni di lotta. Una tre giorni di iniziative diffuse e molteplici che vogliono portare la difesa nelle strade dei quartieri in cui viviamo, mettendo in campo pratiche conflittuali nella città. E’ necessario rispondere con la giusta misura agli attacchi a cui si viene sottoposti. La ripetizione della solidarietà di maniera non è sufficiente. Abbiamo pensato a una tre giorni pratica con una modalità teorica di condivisione che prova a fare un piccolo salto in avanti. Provare non solo a condividere i momenti della tre giorni ma anche la sua preparazione è un tentativo in questa direzione. Diventare solidi per essere ancora più fluidi. Essere raggiungibili e riproducibili.
La nostra guerra non è finita e le giornate come il 15 separano e dividono, solo nella misura in cui dei muri si alzano tra chi ha deciso di percepirsi nella battaglia e chi ha deciso di chiamarsene fuori. Ed è di questa guerra che nei giorni dell’ottobrata romana vorremmo percorrere un altro pezzo di strada. Questa guerra che è nelle nostre vite, nei nostri quartieri, nelle nostre città, nelle nostre montagne. Questa guerra che ora prende la forma di un processo ai nostri compagni e alle nostre compagne ma che coinvolge tutti e tutte noi in ogni istante e in ogni luogo.
Complici e Solidali
19 settembre 2013, da ottobrataromana.noblogs.org
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Assemblee per costruire 3 giorni di lotta al fianco dei\delle compagni\e processati per i fatti del 15 Ottobre 2011
Dopo gli appuntamenti del 27 giugno e del 1 settembre con compagni e compagne di altre città, si è scelto di organizzare tre giornate di lotta a fianco di chi è sotto processo per la giornata del 15 ottobre 2011 a Roma.
La tre giorni si svolgerà il 16/17/18 ottobre e abbiamo scelto d’incontrarci una volta a settimana per discutere e costruire le giornate.
L’appuntamento è per ogni martedì, fino a metà ottobre, alle ore 16.00 nel piazzale della facoltà di Fisica all’Università La Sapienza.
Nel caso ci fosse bisogno di un’aula, un cartello all’ingresso indicherà il luogo dell’appuntamento. Cogliamo l’occasione per ricordarvi il calendario delle prossime udienze.
Prossime udienze del processo per “devastazione e saccheggio” per i fatti del 15 Ottobre 2011 a Roma al tribunale di P.le Clodio: 14 ottobre 2013 – ore 11, 17 ottobre 2013 – ore 9, 4 novembre 2013 – ore 9, 11 novembre 2013 – ore 9, 14 novembre 2013 – ore 9, 3 dicembre 2013 – ore 9.30, 12 dicembre 2013 – ore 9.
Complici e solidali – Roma
18 settembre 2013, da inventati.org/rete_evasioni
Bologna: Sul processo “Outlaw”
A ottobre inizierà la fase dibattimentale del processo contro 21 compagni e compagne di Bologna accusati di aver organizzato e/o di aver partecipato ad una Associazione a delinquere con finalità eversive ma, ricordiamolo, senza incriminazione per reati specifici.
Sono state fissate sette udienze, tutte di venerdì: 11 e 18 ottobre, 15 novembre, 13 dicembre, 10 e 17 gennaio, 7 febbraio. Alcune dureranno l’intera giornata partendo dalle 9,30 del mattino, altre inizieranno nel pomeriggio, ma per tutte è stata chiesta l’apertura straordinaria del tribunale fino alle 19.
Pensiamo vogliano tentare di stringere i tempi per arrivare a sentenza in sette udienze. L’11 ottobre verrà sentito Marotta, dirigente della digos che ha coordinato l’intera inchiesta e, a seguire, i testimoni dell’accusa, gli imputati se vorranno e, infine, i testimoni della difesa presumibilmente non prima delle udienze di gennaio.
Per le prime due date si è pensato di organizzare solo interventi locali vista la concomitanza con le giornate a Roma di solidarietà per gli arrestati del 15 ottobre. Per le altre udienze comunicheremo dopo l’estate le iniziative che si deciderà di mettere in campo.
Considerando che l’impianto accusatorio si basa quasi esclusivamente sui momenti di lotta contro i Cie, vorremmo ricordare che da marzo il Cie di Bologna è chiuso e dall’11 agosto anche quello di Modena. In entrambi i casi le istituzioni hanno addotto il motivo della ristrutturazione per i danni causati dalle rivolte interne. I reclusi non si sono mai arresi, la loro determinazione ha portato anche a questi risultati.
A volte la lotta paga e pure la solidarietà.
Anarchici e Anarchiche di Bologna
7 agosto 2013, da informa-azione.info
aggiornamenti dalla lotta dentro e contro e cie
Milano: Cie di via corelli inagibile grazie al fuoco della rivolta
7-8 settembre. Due giorni di rivolta alimentati col fuoco hanno reso inagibili 2 sezioni su cinque, mentre altre due erano già inutilizzate a causa di una precedente rivolta. I reclusi (47) sono stati trasferiti in altri Cie, mentre per 9 di loro è iniziata un’ulteriore prigionia nel carcere di San Vittore.
Il Cie milanese è ancora gestito dalla Croce Rossa, il cui contratto scadrà il 31 ottobre, e non è ancora stato rinnovato. Tempo fa si è detto che i gestori stanno valutando l’ipotesi di non mantenere il loro impegno di aguzzini all’interno della struttura, con la possibilità che subentri l’Oasi, ma nulla è certo.
Ora anche questo CIE è inagibile grazie al fuoco delle rivolte!
Torino: Cie di via Brunelleschi
Il 26 agosto due reclusi tentano la fuga: corrono verso il vecchio ingresso all’angolo tra via Monginevro e corso Brunelleschi, appendono una corda al muro di recinzione e cercano di scavalcarlo. Il primo riesce a scappare e a far perdere le proprie tracce, mentre il secondo, fermato dalle guardie quando è ancora aggrappato alla fune, viene tirato giù e brutalmente pestato. Qualche giorno dopo un ragazzo, disperato per le condizioni di prigionia, tenta di impiccarsi con una corda annodata alla recinzione del campo sportivo, quello nel quale i reclusi trascorrono la socialità. Gli agenti di guardia e gli operatori della Croce Rossa non lo soccorrono, e così ci pensano i suoi compagni di reclusione a tirarlo giù appena in tempo. Per quanto ne sappiamo, in questo momento è ricoverato nell’infermeria del Centro.
18 settembre. Continuano le tensioni e alla tentata deportazione di alcuni nigeriani, essi con il sostegno di altri reclusi, resistono con forza tanto da far rinunciare alla polizia l’entrata nelle altre sezioni, dove gli animi sono in protesta. I sei nigeriani sono stati portati via dalla sezione ma sono ancora all’interno del centro. Le urla e le proteste sono continuate a lungo e, intorno alle 16, un gruppetto di solidali ha inscenato un breve saluto fuori dalle mura e lanciato ai reclusi dosi di Maalox per aiutarli a resistere ad eventuali lanci di gas lacrimogeno.
Il 20 settembre c’é stato un altro tentativo d’evasione purtroppo fallito e l’aspirante evaso ingerisce un flacone di detersivo. Un suo compagno di sezione tenta d’impiccarsi e viene ricoverato in ospedale.
Cie di Gradisca D’Isonzo (Go)
Dopo le rivolte di inizio agosto, che avevano costretto il Prefetto a cedere alle richieste dei reclusi, concedendo l’uso dei telefoni cellulari e riaprendo la sala mensa, le proteste non si sono mai fermate.
Il 28 agosto un gruppo di reclusi decide nuovamente di tentare la fuga e in venti salgono sui tetti. Secondo le ricostruzioni delle agenzie di stampa sono armati di spranghe. Spranghe che, lanciate verso la rete di recinzione collegate a un cavo, servono anche per tentare di fuggire, con la sbarra metallica usata come una sorta di ancora da agganciare alle inferiate. Il tentativo di evasione fallisce, in due cadono e vengono ricoverati all’ospedale ma la protesta non si ferma e i reclusi, a turno, continuano a rimanere sui tetti.
30 agosto. Ancora nuove evasioni, alcuni riescono a fuggire, altri combattono contro gli operatori dell’ente gestore Connecting People e sembrerebbe ci siano stati arresti con l’accusa di aggressione.
Il 20 settembre durante una protesta collettiva i reclusi hanno spaccato gran parte delle reti che stanno sul soffitto delle sezioni e il giorno successivo la protesta continua senza sosta! Continuano le evasioni e gli scontri con la polizia! Una fuga è avvenuta in pieno stile western: con delle corde improvvisate hanno preso al lazo la ringhiera esterna e con un perfetto passaggio alla marinara sono riusciti a passare dall’altra parte dopo un salto nel vuoto di 4 metri. La fuga è avvenuta di notte mentre un gruppo consistente d’internati faceva arretrare dalle loro postazioni i militari e i poliziotti con lanci di sedie, bottiglie riempite di sassi. La rivolta è durata fino all’alba, ma per l’intera giornata la tensione all’interno del Cie è rimasta alta.
Cie di Trapani Milo
20 settembre. Sedata sul nascere l'ennesima rivolta. I reclusi si lamentavano in particolare per la scarsa quantità e qualità del cibo. Nel pomeriggio un centinaio di prigionieri ha protestato all'interno dell'area, minacciando azioni violente. Proprio nei giorni scorsi il prefetto Leopoldo Falco ha rescisso il contratto con l'Oasi di Siracusa che gestiva il servizio. Gli altri Cie gestiti dall’Oasi sono stati chiusi (Bologna e Modena). La procedura richiederà circa un mese. Nell’attesa la struttura resterà in mano all’attuale gestore.
Lampedusa: centro “d’accoglienza” di Contrada Imbriacola
8 settembre. Continuano gli sbarchi e mentre alcuni vengono smistati e deportati in altri lager, altri riescono ad evadere. Sono illegittimamente privati della libertà personale 710 donne uomini e bambini, ammucchiati in degradanti condizioni da oltre 10 giorni.
Siracusa
L’ex struttura ospedaliera Umberto I di Siracusa, gestita dal 1 luglio 2012 dalla “Clean Services Srl” senza una vera e propria gara d’appalto, ma con una semplice serie di verbali di affidamento redatti dalla Questura, è in procinto di diventare giuridicamente un CSPA (Centro di Prima Accoglienza e Soccorso) come il CSPA di Pozzallo, dove si dovrebbe restare solo "per il tempo strettamente necessario al trasferimento in altri centri", e che invece ospita il doppio dei migranti consentito per oltre un mese (alcuni testimoni parlano anche di due mesi), anche minori non accompagnati.
Centri quindi semi-detentivi, dove al polso dei migranti viene stretto un braccialetto di plastica con un codice di identificazione: nomi cancellati, come molte identità. Non-persone. Da Siracusa a Pozzallo, passando per l’ex mercato ittico di Porto Paolo di Capopassero, un capannone informale senza statuto giuridico dove i profughi, all’ombra delle tende, vengono identificati con la rilevazione delle impronte.
Pozzallo (Ragusa)
9 settembre. Ancora migranti in fuga da Pozzallo verso destinazione ignota. Oggi sono fuggiti 165 migranti (37 donne e 5 bambini), eritrei e somali che erano stati intercettati questa mattina a 12 miglia dalla costa dalle autorità maltesi. Il barcone con i “clandestini” a bordo era stato poi scortato sino al Porto di Pozzallo. Proprio mentre si doveva procedere alle operazioni di fotosegnalamento e identificazione, gli immigrati sono scappati. I 165 fuggiti stamattina si aggiungono ai 135 ancora latitanti, fuggiti nella notte tra sabato e domenica.
Con la loro rabbia, ostinazione e ansia di libertà i reclusi stanno mostrando come “Fuoco alle prigioni” possa essere non solo uno slogan o una scritta vergata sui muri: i Cie di Lamezia Terme, di Crotone, di Brindisi Restinco, di Trapani Vulpitta, di Bologna, di Modena sono stati chiudi col fuoco delle rivolte!
Milano, settembre 2013
con gli IMPUTATI per le LOTTE alla BENNET DI ORIGGIO (VA)
Lunedì 7 ottobre 2013 alle ore 13 si terrà presso il Tribunale di Busto Arsizio la quarta udienza del processo che vede imputati 20 compagne e compagni del sindacalismo di base e del Coordinamento di sostegno, solidali con la lotta dei lavoratori delle cooperative in appalto ai magazzini Bennet di Origgio iniziata nel mese di luglio del 2008 e durata diversi mesi.
Una dura lotta autorganizzata, risultata vincente, che ha conquistato un deciso miglioramento delle condizioni salariali e normative, che ha rotto l'onnipresente condizione di sfruttamento e schiavitù presente negli appalti della logistica, che ha costretto la cooperativa datrice di lavoro a reintegrare un operaio arbitrariamente licenziato per l'adesione al sindacalismo di base e che ha visto tutti i lavoratori riappropriarsi di quanto negli anni sottratto loro in termini di diritti, salario e sicurezza.
Intendiamo denunciare l'essenza prettamente politica delle accuse contestate a un intero movimento di sostegno delle lotte dei lavoratori delle cooperative che, proprio a partire dalla lotta di Origgio del 2008, si è sviluppato e radicato nell'intero settore della logistica e della distribuzione italiano, confrontandosi con un sistema fondato su rapporti di lavoro schiavistici e di sfruttamento dove il caporalato (più o meno legale) disciplina in maniera fortemente autoritaria la manodopera impiegata.
Non è un caso che le comunicazioni di rinvio a giudizio siano arrivate dopo tre anni e mezzo dagli scioperi di Origgio, proprio mentre si stavano diffondendo le lotte dei lavoratori nel settore della logistica (Esselunga, Ortomercato Milano, il Gigante, DHL), con accuse pretestuose per intimidire i lavoratori e i solidali. A ciò si aggiunge, durante le prime udienze del processo in corso, anche la costituzione di parte civile di Bennet, dell'Italtrans e delle cooperative appaltatrici con richieste di risarcimento del mancato guadagno durante gli scioperi, come monito e deterrente ulteriore per le lotte in corso.
La logistica è divenuto un sistema sempre più centrale e strategico per l'economia italiana, nel quale l'accumulazione del profitto e la valorizzazione del capitale impiegato da committenti e appaltatori sono il risultato di ritmi di lavoro disumani, della pressoché totale assenza di sicurezza e dell'assoluta precarietà dei rapporti di lavoro.
Ma è proprio in tale contesto che i lavoratori addetti hanno costruito un percorso autorganizzato nel quale si riconoscono quali protagonisti diretti per la rivendicazione dei propri diritti, nel quale l'unità e la solidarietà tra lavoratori, seppur di diversi poli e con differenti committenti, è perseguita e praticata nel riconoscersi parte attiva di una medesima classe.
Ecco allora che le lotte degli operai della logistica, soprattutto se immigrati ricattati dalla necessità del Permesso di Soggiorno, assumono un valore strategico sia per tutti i lavoratori che per lo Stato, per i padroni, per le multinazionali che sullo sfruttamento intensivo di questa forza lavoro costruiscono le proprie strategie politiche ed economiche.
Sono questi gli strumenti che, nell'attuale momento di acuta crisi strutturale del capitalismo, rivelano in tutta la sua brutalità l'aggressione di classe portata dal padronato: peggioramento delle condizioni di lavoro, ricatti, licenziamenti politici, pestaggi della polizia, violenza da parte di capi, capetti e caporali, fogli di via, uso strumentale e complice della Commissione di Garanzia per l'arbitraria estensione degli stringenti limiti imposti dalla legge sullo sciopero nei servizi essenziali (cd. legge antisciopero) anche alle operazioni di movimentazione merci.
Come sempre, non si tratta affatto di una “tragedia inevitabile”, ma di una chiara e complessiva scelta strategica dei padroni e dello Stato per ottenere sempre più profitto e superare la crisi mantenendo intatti il loro potere e la loro ricchezza. Tutto ciò con l'esiziale connivenza dei sindacati concertativi (CGIL in testa) esemplificata, in tutta la sua dirompenza, nel recente accordo interconfederale sulla rappresentanza che regolamenterà, con una decisa stretta in senso autoritario, le procedure per la sottoscrizione dei contratti collettivi e la costituzione delle rappresentanze aziendali escludendo dalla formazione i sindacati non firmatari e le organizzazioni dissenzienti e prevedendo sanzioni per scioperi e azioni di contrasto agli accordi raggiunti.
E' quindi evidente che questa lotta, come le numerose altre che si sono succedute in questi anni, non potevano che determinare anche la reazione violenta di un padronato colpito nel proprio comando assoluto sulla forza lavoro. Risposta che non poteva peraltro ottenere che complicità, appoggio e sostegno dalle forze di polizia contro i lavoratori e contro chi pratica in maniera militante la solidarietà di classe. Rimaniamo convinti che, in una fase di crisi strutturale dell'economia capitalista, ogni conflitto sia da valorizzare e generalizzare per sviluppare un'alternativa reale alla società capitalista.
No alle nuove schiavitù. Contro il razzismo padronale e di stato.
Contro la criminalizzazione di chi lotta. Contro l’attacco al diritto di sciopero.
A sostegno di tutte le lotte dei lavoratori delle cooperative.
La solidarietà è un’arma, usiamola!
LUNEDI’ 7 OTTOBRE 2013 ALLE ORE 13: PRESIDIO AL TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO
20 settembre 2013
Adesioni: Assemblea delle realtà di movimento della provincia di Varese, Coordinamento di sostegno alle lotte dei lavoratori delle cooperative, S.I. Cobas, La Sciloria, CSA Vittoria, CUB Reggio Emilia, Sin Base Genova, Confederazione Cobas Pisa, Cobas scuola Varese, Laboratorio Iskra Napoli, Coc - Comunisti per l'organizzazione di classe, Partito Comunista dei lavoratori, Collettivo Lanterna Rossa di Genova, Clash City Worker