indice n.79
irak, Distruzione mirata
Metodo libico per la Siria
siria: Riarmo invece che dialogo
Donne nel territorio kurdo in Turchia
Pronto nuovo intervento USA in Libia da Sigonella
AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
lettera dalle carceri usa
lettere dal carcere di viterbo
lettera dal carcere di carinola (CE)
lettere dal carcere di terni
lettera dal carcere di saluzzo (to)
parma: IL SISTEMA CARCERE E IL TERRITORIO
lettera dal carcere “ucciardone” di palermo
lettera da un carcere in sardegna
Lettera dal carcere di Tolmezzo (ud)
Lettera dall’Opg di Montelupo Fiorentino (Fi)
lettera dal carcere di Lenzburg (Svizzera)
lettera dal carcere di alba (cn)
Parma: Occupato lo Spazio Popolare Sovescio
Firenze: Nuova occupazione!
AUTORECUPERIAMO MONZA!
milano: LA POLIZIA IN UNIVERSITÀ
riflessioni e cronaca sulla giornata del 7 a napoli
milano: Comunicato su sciopero logistica
milano: al san raffaele rientrano i licenziamenti
irak, Distruzione mirata
10 anni di guerra degli Usa in Irak: lo stato è distrutto, l’economia rovinata, la società frammentata e la cultura nazionale liquidata. Segue una sintesi realizzata dal periodico Junge Welt.
Il 1° maggio del 2003 il presidente degli Usa Bush dalla portaerei “Abraham Lincoln” dichiarò che la guerra, iniziata in Irak il 20 marzo dello stesso anno, era finita. “Mission accomplished”, missione compiuta. Nel corso dell’anno successivo a quell’annuncio perentorio ogni mese erano caduti in scontri armati più soldati Usa di quanti ne erano stati uccisi nell’invasione durata sei settimane. Anche per gli iracheni il periodo successivo al 1° maggio 2003 – dopo il bombardamento e la guerra sul terreno, che aveva devastato il loro paese per la seconda volta dopo la prima guerra del Golfo – è stato peggiore a ogni altro.
Nei media – in continuità con la consueta complicità nei confronti dell’occupazione condotta dagli Usa – la responsabilità della devastazione non è attribuita agli invasori e occupanti, ma, al contrario, agli stessi iracheni. I media discutono la guerra come se si trattasse di un’operazione chirurgica andata male. Nessun media importante caratterizza quella guerra per ciò che effettivamente è stata: uno dei maggiori crimini brutali, violenti dopo la seconda guerra mondiale. Sebbene nessuno contesti il fatto che quella guerra rappresenti un’aggressione alla dignità del popolo – secondo la sentenza del tribunale di Norimberga il peggior crimine internazionale – la guerra in Irak fino ad oggi in occidente non è stata riconosciuta come tale, ancor meno condannata.
In questi anni i governi di Washington hanno lasciato crescere l’erba attorno all’ “impresa non riuscita”. Nel recente 19 marzo, in cui è stato celebrato l’anniversario (decennio) della “missione compiuta” in Irak, il presidente Obama si è accontentato di una dichiarazione scritta su una mezza pagina, in cui ha espresso la propria “alta considerazione” alle truppe Usa intervenute in Irak, lodandole di aver scritto un “capitolo straordinario nel servizio militare”. Con il loro spirito esse avrebbero dato agli iracheni la possibilità di “forgiare, dopo tanti anni di miseria, il proprio futuro”.
“No Future”
La situazione reale in Irak è tanto diversa da quella decantata da Obama e dai media occidentali. L’Irak adesso è “uno stato completamente naufragato”, ha scritto nella Taz (giornale verde-femminista di Berlino) del 19 marzo scorso lo scrittore iracheno Najem Wali. Invece dell’attesa democratizzazione e ricostruzione, le truppe anglo-americane avrebbero portato in Irak soltanto terrore e disintegrazione – questa la condizione concreta lasciata dietro di sé nel momento del ritiro effettivo compiuto alla fine del 2011.
L’avvocato Sabah Al-Mukhtar, presidente dell’associazione degli avvocati arabi in Inghilterra, in un articolo pubblicato su una rivista svedese nel marzo scorso, racconta di essere morto due volte: la prima nel 1991, quando da Londra dovette assistere alla distruzione del suo paese, senza riuscire per oltre un mese a riprendere i contatti con la propria famiglia; la seconda, il 9 aprile 2003, quando “la sua città, il suo paese, la sua identità, il suo onore e il suo credo, vennero più volte violentati dai nuovi barbari”. Da allora lui è diventato una persona completamente diversa. Nessuno dei suoi tanti parenti prima si era mai proposto di lasciare l’Irak; consideravano lui, allora emigrato, alla stregua di un rinnegato. Adesso tutti loro sono dispersi in numerosi paesi.
Circa un quarto della popolazione “nel nuovo Irak “liberato” e “democratico’”, ora è profugo. Bagdad oggi è, così Al-Mukhtar, la peggior città del mondo. Prima del 2003 non esisteva alcuna discriminazione religiosa e nessuna tensione confessionale. “Divide et impera è il metodo per dominare, per addossare colpe alle vittime e per demonizzarle”.
Resoconti di organizzazione non-governative dell’Onu confermano questo quadro buio. “L’infrastruttura, il sistema sanitario e scolastico dell’Irak sono stati devastati dalla guerra. Della ricostruzione, in cui dal 2003 sono fluiti verso l’Irak circa 212 mld di dollari (61 dagli Usa e 138 dall’Irak), c’è poco da vedere. Gran parte di questo denaro è stato speso per dare sicurezza al controllo militare o è andata persa nello spreco e nella truffa”, così è scritto nel bilancio del “Cost of War Project” redatto dalla Brown University dello stato federale Usa Rhode Island.
La metà degli uomini in grado di lavorare è disoccupata o sottoccupata. Le donne vengono sistematicamente spinte fuori dalla vita professionale. Un quarto della popolazione vive nella povertà più estrema e l’aspettativa di vita, paragonata ai paesi vicini, si è abbassata di 4 anni. Circa tre milioni di bambini, secondo uno studio Unicef, si trovano senza assistenza sanitaria adeguata; 1,5 milioni di bambini sotto i 5 anni sono sottonutriti tanto che ogni giorno 100 di loro muiono; a partire dal 2003 il tasso di analfabetismo è di nuovo salito al 22% e, per quel che riguarda le donne, in certe zone, è salito fino al 50%…
Caos e violenza
Il numero delle azioni violente politicamente motivate è un’altra volta in crescita. Ogni giorno esplodono bombe, ci sono rapimenti e omicidi. Ci sono attacchi contro gli sciiti, dei quali viene dichiarata responsabile Al Qaida; ci sono attacchi contro i politici sunniti che i giornali e le scritte murali attribuiscono ai squadroni della morte; e non ultima, c’è la massiccia repressione attuata dal regime. Il primo ministro Nuri Al-Maliki nello stesso tempo ha completamente concentrato il potere nelle sue mani. Detiene la carica dal 2006, poiché era uno dei pochi politici sciiti accettabile sia agli occupanti che all’Irak – un regalo comune del “grande satana” (Usa) e dell’ “asse dei cattivi” (Siria, Iran, Libia…), come scrisse allora un sarcastico funzionario irakeno. In origine senza una propria base di potere, portò, con l’aiuto dell’apparato governativo di entrambi gli stati, sotto il suo controllo le forze armate, i servizi segreti, le corti della giustizia e si creò dall’altra parte una base che gli ha permesso e gli permette di assegnare al suo seguito la parte del leone nei posti e nei bandi di concorso dello stato.
Il controllo dell’apparato statale Al-Maliki lo impiega senza alcun riguardo contro i suoi avversari, anche all’interno del governo. Migliaia di iracheni sono stati gettati in galera senza processo. Questa prassi è descritta in un recente resoconto “Un decennio di violazioni dei diritti umani” diffuso da Amnesty International. Ex prigionieri scrivono di essere stati costretti con la tortura a confessare gravi crimini. Tanti sono stati condannati a morte sulla base di confessioni estorte. Dal 2004 al febbraio 2013, ufficialmente, sono state impiccate 447 persone.
Divide et impera
Gli occupanti hanno “lasciato in eredità le violazioni dei diritti umani”, scrive Amnesty International. L’oganizzazione, ad ogni modo, fa riferimento soltanto alla serie di delitti già conosciuti, come le torture nel carcere di Abu Ghraib e non alla politica dell’occupazione nella sua completezza.
Joachim Guilliard, 29 aprile 2013
da jungewelt.de
Metodo libico per la Siria
Come per la Libia due anni fa, oggi in Siria. I ministri degli esteri europei ieri hanno approvato a vantaggio dei ribelli la deroga parziale all'embargo sul petrolio siriano. Non su quello controllato dal governo di Damasco, ovviamente. Significa che le società europee avranno la facoltà di importare il petrolio venduto dalla Coalizione Nazionale (Cn) dell'opposizione che a sua volta potrà ricevere i macchinari necessari per l'estrazione.
«Le autorità competenti nei Paesi membri dell'Ue potranno autorizzare tre tipi di transazioni: importazioni di petrolio e prodotti petroliferi, esportazioni alla Siria di materiale e tecnologia per l'industria petrolifera e del gas, investimenti nel settore petrolifero siriano», è spiegato nel comunicato diffuso al termine dell'incontro.
Lo stesso era accaduto in Libia, quando il Consiglio Transitorio che controllava Bengasi e le regioni orientali del paese ebbe modo di riparare gli impianti di estrazione e di esportare il petrolio subito, grazie all'aiuto del Qatar, paese che ora in Siria sostiene i ribelli.
Bruxelles aveva imposto un embargo sul petrolio siriano nel settembre del 2011 e la decisione di ieri permetterà ai ribelli di incassare ingenti fondi per il «governo provvisorio» del «premier» Ghassan Hitto che dovrebbe amministrare le aree «liberate» nel nord-est della Siria. Ieri il Consiglio nazionale siriano (Cns) dominato dai Fratelli musulmani e sostenuto dal Qatar, ha ulteriormente rafforzato la sua posizione di dominio ottenendo che il suo presidente, George Sabra, prenda temporaneamente il posto di capo della Coalizione Nazionale al posto del dimissionario Mouaz al Khatib.
L'Europa accellera ma ieri non è prevalso un unico orientamento sull'allentamento anche dell'embargo sulle armi. Tuttavia si sono fatte più forti le pressioni di Gb e Francia per l'invio di armamenti alle formazioni che combattono l'esercito regolare siriano. È difficile però che gli Europei decidano di dare le armi sofisticate che si rifiutano di fornire gli Usa, come è emerso alla riunione degli «Amici della Siria» della scorsa settimana a Istanbul. L'opposizione chiede armi antiaeree ma Usa e Ue - anche a causa della contrarietà di Israele che teme passino in «mani sbagliate» - per ora non forniranno i missili che conentirebbero ai ribelli di limitare la superiorità aerea delle forze governative.
Israele peraltro ha confermato implicitamente di essere dietro i bombardamenti non lontano da Damasco di fine gennaio, quando un raid aereo ha colpito un convoglio siriano in apparenza con razzi antiaerei destinati a Hezbollah in Libano. Il ministro della difesa, Moshe Yaalon, ieri in una conferenza stampa congiunta con il Segretario della Difesa americano Chuck Hagel ha detto che «quando (i siriani) hanno oltrepassato le linea rossa, abbiamo agito». La guerra civile siriana intanto si conferma un immenso bagno di sangue. Sarebbero circa 483 le vittime degli scontri tra esercito e ribelli registrati in due sobborghi di Damasco: Jdeidet al-Fadl e Jdeidet al-Artouz.
Difficile stabilire quanto sia accaduto sul terreno in assenza di fonti indipendenti. Secondo l'opposizione si tratterebbe di veri e propri «massacri» compiuti dai soldati governativi con esecuzioni sommarie di civili e bombardamenti. I media statali invece riferiscono che «l'esercito ha inflitto perdite pesanti ai terroristi» e la tivù filo-governativa Addunya ha mostrato immagini di una zona «liberata da terroristi» con la gente che saluta i soldati.
23 aprile 2013
da nena-news.globalist.it
siria: Riarmo invece che dialogo
Guerra in Siria: l’industria bellica occidentale-imperialista, compresa l’Italia, tira una boccata d’aria… Segue una sintesi di un articolo tratto dal periodico Junge Welt.
Gli 11 stati del gruppo che si autodefinisce “Amici della Siria” sosterrà la guerra dell’opposizione siriana “Coalizione Nazionale” (CN). Questo è il risultato essenziale dell’incontro dei rappresentanti di: Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania, Francia, Usa, Gran Bretagna, Germania e Italia, conclusosi ieri a Istanbul.
La Germania aumenterà il suo “aiuto umanitario” al gruppo portandolo dagli attuali 15 mln di euro a 145. Con quel denaro devono essere riforniti i profughi, sostenuto il nascente “governo d’opposizione” e spinta avanti l’insurrezione nei “territori liberati”.
Il ministro degli esteri Usa, John Kerry, a sua volta, ha annunciato un “aiuto” Usa di 250 mln di dollari destinati all’armamento della CN, compresi i carri armati capaci di contrapporsi agli attacchi dell’esercito regolare siriano. L’Unione Europea, sotto la spinta di Francia, Gran Bretagna, Italia e Rft, a fine maggio mette fine a ogni ipocrisia sull’embargo delle armi decretato in precedenza.
Nella dichiarazione finale il gruppo di stati presenti esorta (in pratica se stesso) l’impiego di “attacchi chirurgici”, compiuti con i droni, contro l’aviazione militare siriana.
Il quotidiano siriano Al Watan accusa gli Usa di “gettare olio sul fuoco”. Il portavoce del ministero degli esteri russo, Alexander Lukascevic prima dell’incontro aveva esortato gli 11 stati “Amici della Siria” a compiere sforzi per concretizzare un dialogo fra il governo siriano e l’opposizione. Il presidente della CN, Mouaz Al-Khatib, ha confermato per maggio le proprie dimissioni, annunciate già in marzo, ma a loro volta respinte dalla CN e dal gruppo di stati “amici”.
Intanto gli Usa inviano in Giordania altri 200 soldati organizzati in unità speciali (già ne disloca là 150 dall’ottobre 2012). Il governo di Washington ha messo a disposizione della Giordania 70 mln di dollari, così il ministro della Difesa Usa, Chuk Hagel, per addestrare e riarmare unità speciali.
Il gen. Martin Dempsey, capo delle forze armate Usa, in un’audizione disposta dal Congresso, ha affermato che il conflitto in Siria corre il pericolo di “finire in un vicolo cieco”… che l’opposizione è “chiaramente più confusa di sei mesi fa”.
I senatori Carl Levin e John Mc Cain recentemente hanno esortato Obama ad istituire nel nord della Siria uno “spazio aereo libero”, difeso da missili Patriot ecc. dislocati in Turchia, per aiutare i profughi e i membri dell’opposizione.
Il presidente della Siria Bashar Al-Assad nei giorni scorsi si è rivolto in televisione al governo della Giordania affinché metta fine al passaggio di armati e armi attraverso il confine con la Siria: “I giordani devono sapere che il fuoco non si ferma sul confine”.
Il ministro della Difesa dell’Iran, il gen. di brigata Ahmad Valid, nei giorni scorsi è tornato a ribadire: “Se una potenza estera entra in Siria il Medio Oriente esploderà”.
Abitanti della città siriana di Kuneitra, ascoltati via telefono da Junge Welt, dicono che numerosi armati stranieri entrano in Siria provenienti dalla Giordania, attraversando la zona cuscinetto dell’Onu situata fra Siria e Israele, in cui l’esercito siriano non dovrebbe agire.
Karin Leukefeld, Junge Welt, 22 aprile 2013
da www.jungewelt.de
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Conseguenze dell’attacco imperialista alla Siria
Compagne e compagni! Ancora una volta vi invio un’info sul prigioniero politico Nezif Eski.
Lui viene dalla Turchia, ha radici arabe e vive da lungo tempo in Francia, dove, nel gennaio 2013 è stato arbitrariamente arrestato, benché lui non possa essere accusato che del suo impegno politico completamente legittimo di solidarietà con i prigionieri politici del suo paese e dell’organizzazione di iniziative politico-culturali. Il suo arresto è semplicemente il risultato di un accordo fra il regime turco e la Francia, la quale ha grossi interessi politici e economici in Siria, in Medio Oriente e anche in Turchia.
Osservando da vicino lo sfondo politico dell’arresto di Nezif, bisogna realmente temere per la sua vita. Lui è in sciopero della fame dal 13 marzo (48 giorni), perché per recarsi ai colloqui gli vengono imposti diversi umilianti spogliarelli. Allo stesso modo viene trattata pure sua moglie, che, anche d’accordo con Nezif, non va più perciò a colloquio.
Loro vogliono semplicemente lasciar morire Nezif. E’ necessaria dunque tanta pressione per impedirglielo. Tuttavia da gran parte delle organizzazioni dei diritti umani, parlamentari e altre istituzioni francesi, se pur consultate, non hanno espresso alcuna reazione.
Così Francia e Turchia possono facilmente ingabbiare una persona considerata indesiderabile, vietarle addirittura il diritto delle visite, applicarle misure degradanti e lasciarla morire lentamente nella sua lotta legittima. Per lui mettere fine allo sciopero significa accettare volontariamente le pratiche umilianti; se lo continua significa invece non vedere più la sua famiglia (fra l’altro, ha anche due figlie).
Anche i suoi parenti e amici da una settimana vengono impediti a volantinare e a innalzare una tenda…
Invito e ringrazio voi tutte/i a comunicare quel che accade attraverso i media alternativi, progressisti e liberi in Francia, ovunque, a pubblicare qualcosa, a inviare anche attraverso facebook messaggi alla ministra della giustizia in Francia e alla direttrice del carcere di Fresnes dove è rinchiuso Nezif. [Seguono gli indirizzi, ndr]
Abbiamo urgentemente bisogno del vostro sostegno!
29 aprile 2013
Lettera diffusa da: Piattaforma Internazionale contro l’Isolamento, isolation@post.com
Donne nel territorio kurdo in Turchia
Il più forte movimento delle donne del Medio Oriente si trova senz’altro nel Kurdistan occupato dalla Turchia.
“Noi donne non siamo l’onore di nessuno – il nostro onore è la nostra libertà”, le donne kurde oggi non lottano soltanto per la pace e per il riconoscimento della loro lingua e cultura, ma anche contro l’oppressione patriarcale e per una vita autodeterminata. Espressione visibile di questa proiezione è il successo ottenuto dalle donne nelle elezioni comunali del febbraio 2010. Ben sedici sono state le donne elette a sindaco – più del totale conquistato nel resto della Turchia. La presenza delle donne nel gruppo parlamentare del Partito (filokurdo) per la Pace e la Democrazia (BDP) è, in percentuale, più alta che in ogni altro gruppo parlamentare.
La dipendenza economica di tante donne dai propri mariti e/o dai padri è un ostacolo all’ulteriore emancipazione anche nel Kurdistan occupato dalla Turchia. Il movimento delle donne per questo ha intrapreso la costruzione di cooperative per aiutare proprio le donne. Nelle città di Nusabyn, Van, Diyarbakir, Kiziltepe, Urfa, Dogubeyazit e in altri comuni sono già nate simili cooperative. Esse offrono alle donne posti di lavoro, promuovono il loro sviluppo culturale attraverso l’autorganizzazione e l’apertura di spazi esterni alle loro abitazioni e famiglie. In alcune di queste cooperative vengono prodotti in modo artigianale vesti tradizionali kurde; altre si dedicano al pane e alla ristorazione. L’organizzazione è collettiva, i salari sono eguali. Le maestre offrono corsi di formazione e alfabetizzazione, anche rispetto all’informatica, corsi di conoscenza delle proprie capacità in cui le donne definiscono la propria posizione nella società, e anche a metterla in discussione. Alcune cooperative si specializzano, ad es., nella lavatura dei panni, nella riparazione dei lavatoi.
Questi progetti si pongono e si irradiano come modelli di una vita migliore, libera.
Nelle città governate da sindache del BDP, l’8 marzo è stato sottoscritto un accordo sui diritti, anche economici, delle donne; esso prevede, in particolare, la condanna di lavoratori (maschi) comunali che esercitano violenza nelle case o che accettano denaro versato dal fidanzato alla famiglia della fidanzata. Nell’accordo è detto: “I lavoratori del comune che accettano denaro per matrimoni combinati, che non mandano le figlie a scuola, che vivono in poligamia o che compiano violenze in famiglia vengono trasferiti”. Nei confronti dei lavoratori che colpiscono le donne, è previsto, fra le altre, il trattenimento diretto di una parte dello stipendio - a sua volta versata alle donne colpite. Invece, nel caso di un lavoratore comunale che si ripete in queste violenze, è previsto il licenziamento.
Il terreno per la realizzazione di progetti connessi alla liberazione della donna è stato preparato nelle elezioni comunali del 2009. In quella tornata elettorale il Partito (filokurdo) per una Società Democratica (DTP), allora fuorilegge, riuscì a portare circa 100 suoi candidati alla carica effettiva di sindaci, divenendo così il primo partito nei territori kurdi. Quella vittoria è diventata il presupposto per la realizzazione da parte del movimento kurdo di un programma di “autonomia democratica”, cioè, non più la realizzazione di uno stato kurdo o di una federazione autonoma, come ancora veniva prefigurata all’inizio degli anni 90. Adesso l’obiettivo è piuttosto la costruzione dell’autorganizzazione su una base ampiamente democratica dove i diritti delle donne, o più precisamente, l’equità fra i sessi come pure l’ecologia sono colonne portanti della democrazia consigliare alla quale si aspira.
Però, dopo alcune settimane da quella vittoria, lo stato turco ha compiuto un’ondata di arresti di membri dell’Unione dei Comuni del Kurdistan (KCK), un’associazione di copertura del PKK (Partito dei Lavoro del Kurdistan) da decenni messo fuorilegge. Negli ultimi anni sono così stati/e arrestate/i circa 8mila politici e attiviste/i kurdi; la metà di queste persone si trovano tuttora in carcere. Fra queste ve ne sono 15 elette a sindaco, parecchie ex sindaco, ancor più numerose sono le elette nei consigli comunali o persino nel parlamento nazionale, giornaliste/i, sindacaliste, avvocati/e, femministe, accademici/che, intellettuali, case editrici… A diverse persone elette il governo ha tolto il mandato ricevuto con il voto. Nessuna di loro è stata accusata di “appartenenza ad associazione terroristica”… ecc.; l’accusa generale è di aver costruito strutture di autoamministrazione consiliari democratiche, cioè, l’avvio di una soluzione politica della questione kurda attraverso il dialogo fra tutte le parti, unito all’impegno di impedire la costruzione di dighe sinonimo di devastazione dell’ambiente e di promuovere la parità fra i sessi. Delle migliaia di persone arrestate nessuna ancora è stata tuttavia condannata. A Diyabakir dal ottobre 2010 si svolge un processo-spettacolo contro 150 kurdi, fra loro ci sono oltre dieci sindaci. Nei processi è vietato l’impiego della lingua kurda, definita in tribunale “lingua sconosciuta”.
Ancora nel novembre 2012, Erdogan, capo del governo di Ankara, ha voluto pubblicamente precisare che il suo governo non tollera la costruzione di “uno stato parallelo kurdo”. Da qui l’intensificazione della guerra nel territorio kurdo, proseguita nell’agosto scorso con i bombardamenti aerei, in particolare nel nord Irak – dove sono state colpite tante infrastrutture civili. I villaggi contadini, come all’inizio degli anni ’90,si svuotano. Negli scontri armati sul terreno sono rimaste uccisi decine di soldati turchi, in seguito agli attacchi della guerriglia kurda. La rappresaglia dell’esercio turco è stata crudele. 35 guerriglieri/e sono morti nella valle di Kazan, perché colpite con armi chimiche messe al bando sul piano internazionale. Quell’operazione è stata voluta dal capo di stato maggiore Necdet Oezel, responsabile già nel 1999 di un attacco con gas assassini impiegati contro combattenti del PKK.
La “Primavera kurda”, iniziata molto prima della “Primavera araba”è anch’essa solcata dai carri armati provenienti dalla Germania. Il sottofondo è di tipo geo-strategico. La Turchia, in particolare il territorio kurdo, sono, per l’occidente, una piattaforma energetica. Da qui infatti deve passare il gasdotto Nabucco diretto in Europa, che deve renderla indipendente dalla fornitura del gas russo. Nella Turchia orientale kurda sta per essere inoltre installata una base missilistica NATO puntata contro l’Iran. Per ingrossare i profitti del capitale occidentale vengono dunque sacrificati i diritti umani della popolazione kurda.
23 marzo 2013
Estratti da www.sopos.org/aufsaetze/4eea50a3d35bb/1.phtm
Pronto nuovo intervento USA in Libia da Sigonella
Gli Stati Uniti starebbero pensando di lanciare un nuovo attacco militare in Libia dalla stazione aeronavale di Sigonella. Cinquecento marines sono stati trasferiti nei giorni scorsi in Sicilia dalla base di Rota in Spagna. Gli uomini fanno parte della Marine Air Ground Task Force (MAGTF), la forza speciale costituita nel 1989 per garantire al Corpo dei Marines flessibilità e rapidità d'azione nei differenti scacchieri di guerra internazionali.
L'unità di Rota è stata attivata dal Pentagono solo un paio di mesi fa per sostenere il Comando Usa in Africa (Africom) nell'addestramento e la formazione delle forze armate dei partner continentali e intervenire rapidamente in Africa in caso di crisi. La decisione di dar vita alla nuova task force è stata presa nel settembre 2012 dopo l'attentato terroristico contro il consolato Usa di Bengasi in cui persero la vita quattro funzionari tra cui l'ambasciatore in Libia, Christopher Stevens.
Secondo il portavoce del Pentagono George Little, i marines potranno intervenire da Sigonella in tempi rapidissimi nel caso di nuovi attacchi al personale diplomatico o ai cittadini Usa presenti in Libia per "effettuarne eventualmente l'evacuazione". "Siamo preparati a rispondere se necessario, se le condizioni peggiorassero o se venissimo chiamati" ha aggiunto Little. Qualche giorno fa il Dipartimento di Stato ha ridotto sensibilmente lo staff dell'ambasciata di Tripoli, ordinando di contro il rafforzamento del dispositivo gestito in loco da una dozzina di militari Usa. Inoltre sono stati invitati i cittadini statunitensi a viaggiare a Tripoli solo per necessità improcrastinabili ed evitare in assoluto Bengazi o altre località in Libia. Washington parla di "crescente clima d'instabilità e violenza" e di "deterioramento delle condizioni di sicurezza". Così è stato decretato lo stato d'allerta per gli special operations team di stanza a Stoccarda (Germana) e per la task force dei marines in Spagna che prima del trasferimento a Sigonella, il 19 aprile scorso aveva raggiunto da Rota la base aerea di Morón de la Frontera. Il 3 e 4 aprile, i Comandi delle forze navali Usa in Europa e Africa e della VI Flotta avevano pure ospitato a Napoli i responsabili della neo-costituita marina militare libica e del corpo della guardiacoste per discutere di "sicurezza marittima" e "cooperazione strategica". [...]
Il Corpo dei marines ha progressivamente ampliato il proprio impegno di contrasto, congiuntamente ad Africom, delle milizie islamiche operanti nelle regioni settentrionali del continente. Nel 2011, nello specifico, fu creata proprio a Sigonella una forza speciale di pronto intervento del tutto simile a quella di Rota, la Special Purpose Marine Air Ground Task Force (SPMAGTF-13). Gli uomini sono impegnati periodicamente come consiglieri e formatori degli eserciti africani o in attività di supporto logistico e "gestione di tattiche anti-terrorismo". "La task force di stanza a Sigonella ha come compiti prioritari la fornitura d'intelligence e l'addestramento dei militari africani che combattono i gruppi terroristici in Maghreb e Corno d'Africa o svolgono attività di peacekeeping in Somalia", ha dichiarato il maggiore Dave Winnacker, responsabile del gruppo dei marines. La SPMAGTF-13 include componenti navali, terrestri ed aeree caratterizzate da notevole flessibilità; conta su circa 200 marines organizzati in team aviotrasportabili dai grandi velivoli KC-130. Con i 500 uomini giunti dalla Spagna, Sigonella accresce ancora di più il ruolo di gendarme armato del Mediterraneo e del continente africano.
14 aprile 2013
da resistenze.org
AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
CIE di via Brunelleschi (Torino)
11 aprile. In risposta agli arresti e divieti di dimora in seguito al Presidio del 28 febbraio scorso, in cui un fotoreporter veniva giustamente maltrattato, un’ottantina di persone, tra compagni e solidali, ha dato vita ad un vivace corteo per le strade di Torino. Non solo al grido di “Greg, Paolo e Marta liberi!”, ma anche e soprattutto di “Basta polizia!” E per finire la celere, arrivata in forze quando il corteo era oramai a metà del suo percorso, se ne è rimasta in disparte in via Milano, temendo probabilmente che la situazione divenisse ancora più incontrollabile. Fra tutti, la sorte peggiore è toccata ad un’auto del quotidiano “La Stampa”: colti a scattar foto di nascosto e quindi scambiati per poliziotti in borghese, i giornalisti sono stati inseguiti e la loro macchina ha avuto il lunotto infranto.
Nel tardo pomeriggio una cinquantina di amici e solidali dei tre arrestati si raduna nel prato dietro il carcere per salutarli con striscioni, slogan e petardi. Quando alcuni si arrampicano sulle cancellate per salutare meglio i detenuti, una macchina della polizia penitenziaria si avvicina, ma viene allontanata a pietrate. Il saluto termina tra i fuochi artificiali, e i manifestanti si allontanano prima che la celere arrivata sul posto riesca a schierarsi.
13 aprile. Dopo le rivolte che hanno distrutto buona parte del CIE di Torino, riducendone la capienza, le stanze bruciate durante le rivolte rimangono chiuse ed inutilizzate. Ad oggi gli uomini in tutto sono 27, una decina le donne. Nonostante questo, gli ingressi sono lentamente ripresi. La “tattica” è un ricambio continuo tramite l’aumento dei rilasci con fogli di via ed espulsioni più veloci.
Mercoledì 17, in piena notte, un grosso numero di forze dell’ordine irrompe nelle aree per un’espulsione di massa. Almeno 4 donne e 3 uomini nigeriani vengono violentemente caricati nei furgoni per essere portati a Roma e da lì espulsi verso il loro paese. Qualche ora prima, verso mezzanotte, la Croce Rossa dà ennesima prova di tutta la sua dedizione. Una donna mangia qualcosa che le provoca una forte reazione allergica. La risposta alle sue richieste di aiuto è che “è troppo tardi”, e che per qualsiasi intervento se ne riparla la mattina, dopo colazione.
Il 18 aprile si tiene un presidio al CIE di Corso Brunelleschi in solidarietà con gli arrestati e i banditi dell’11 aprile. Di fronte alla rivolta c’è chi non sta a guardare.
2 maggio. Tutti liberi, tutti banditi: il tribunale del riesame sostituisce gli arresti domiciliari di Greg e Marta in divieti di soggiorno nella provincia di Torino; la stessa misura viene applicata al quarto compagno che era riuscito a non farsi arrestare.
CIE di Modena
9 aprile. Solo due giorni di tempo per ridare il via ad una nuova rivolta, che diventa ormai ordinaria amministrazione. Durante la rivolta sono state rotte alcune pareti in plexiglas e una telecamera di videosorveglianza, divelte alcune barriere di ferro e due cabine del telefono. Alcuni reclusi avrebbero compiuto atti di autolesionismo, procurandosi dei tagli nel petto. L’intervento dei reparti antisommossa, le forze del manganello, ha provocato il ferimento di alcune persone. Si è reso così necessario far arrivare sul posto due autoambulanze con medici, che hanno provveduto a mendicare le persone rimaste contuse.
17 aprile. Presidio al Tribunale. Il 3 aprile 2011, si svolge sotto il Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena un presidio di antirazzisti per salutare gli internati, i quali ci rispondono salendo sul tetto del lager. Subito dopo il presidio, la sbirraglia sequestra tutto il materiale utilizzato: megafono e impianto audio, indispensabili per comunicare con gli internati e conoscere le reali condizioni della loro infame reclusione.
A distanza di più di un anno il giudice ha condannato 4 compagni, tramite decreto penale di condanna, a circa 2.500 euro d’ammenda a testa. Gli imputati hanno deciso di rifiutare di pagare e di affrontare un processo in cui saremo imputati per il reato di violazione delle prescrizioni emesse dal Questore. Segue il volantino distribuito presso il Tribunale.
Finché esisteranno i CIE, nessuno sarà libero!
Che il Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena sia un posto infernale non è notizia nuova. Dalla sua apertura nel 2002, passando per la “Misericordia”, gestione di Giovanardi, fino ad arrivare al catastrofico appalto vinto dalla fantasmagorica Cooperativa Oasi, non si contano le denunce e gli appelli contro questa struttura, gemella a quella di Bologna, che ha dovuto chiudere per le sue disastrose condizioni.
Dopo anni di rivolte, perfino i giornali e le istituzioni hanno dovuto riconoscere il fatto che “le condizioni igienico-sanitarie” e “le carenze assistenziali” rendevano il CIE di Via Mattei “inadeguato”. Linguaggio di potere che maschera anni di soprusi e torture psicologiche sui reclusi. A Modena si aggiunga il fatto che i detenuti sono impossibilitati a comunicare con l’esterno, in quanto i telefoni cellulari vengono sequestrati all’entrata. Inoltre è comprovata la somministrazione massiccia di psicofarmaci. Gli abusi e i pestaggi perpetrati da polizia ed esercito, coperti dall’omertoso silenzio se non quando dalla diretta complicità degli operatori, sono prassi. In gergo lo chiamano “mantenimento dell’ordine pubblico” (pretesto che vale sempre e ovunque, e non solo nel CIE).
L’ultimo di questi episodi è avvenuto il 7 aprile. Di fronte al rifiuto da parte dei responsabili del CIE di occuparsi di un detenuto diabetico che versava in condizioni critiche, gli internati hanno dato vita a una protesta alla quale i carabinieri hanno risposto violentemente provocando almeno due feriti.
“Non si può aiutare un uomo che si dibatte in un torrente pregando il torrente di lasciarlo in pace”. Ribellarsi è giusto.
NO CIE Modena
20 aprile. Dalle ore 15.00 di sabato 20 Aprile, si è tenuto sotto le mura del CIE modenese, un presidio, in solidarietà ai reclusi della struttura, al quale hanno partecipato circa una sessantina di solidali antirazzisti, provenienti da diverse realtà, vedi oltre Modena, anche Bologna, Verona, Trento e Torino.
Non appena noi solidali siamo arrivati al CIE, un solerte funzionario della Questura ha tentato invano, di consegnare il foglio che riportava le prescrizioni del Questore inerenti la manifestazione. Nessuno lo ha ritirato. Per circa due ore, abbiamo gridato slogan (“solidarité avec les sans papiers”, "fuoco ai CIE" in lingua araba, "di CIE e carceri non ne vogliamo più, colpo su colpo li butteremo giù"), salutato con un megafono gli internati e fatto battiture sulla recinzione esterna del CIE. I reclusi hanno risposto calorosamente con battiture e grida. Durante lo svolgersi della manifestazione, qualcuno degli "ospiti" è riuscito a contattarci telefonicamente, e a riferirci che uno di loro aveva chiesto assistenza sanitaria per problemi e dolore ad un ginocchio, ma che comunque fino a quel momento, non gli era stata prestata. Poco dopo abbiamo notato alzarsi una nube di fumo dall'interno del cortile del CIE, proprio dalla zona in cui si trovano le gabbie. Probabilmente era in corso una piccola protesta da parte dei reclusi che probabilmente hanno dato fuoco a qualche materasso o suppellettile. Successivamente un piccolo corteo ha attraversato il centro della città, lo striscione che apriva il corteo recitava: "solidarietà a chi si ribella nei CIE, basta lager di stato", interventi e slogan si sono susseguiti per tutta la via Emilia, interrompendo il pacioso pomeriggio di shopping. La lotta contro questi lager non si arresta certo qui, presto seguirà l'appello per un'altra giornata di lotta e di solidarietà sotto le squallide mura del CIE di Viale La Marmora a Modena.
24 aprile. Un recluso tenta la fuga dal CIE, sferrando un pugno ad un operatore della Croce Rossa. Il giudice ha convalidato l’arresto per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.
Il 1 maggio é stata ricevuta una chiamata dal CIE, quando alcuni internati si sono rivoltati salendo sul tetto. All’arrivo dei solidali, il moto si era quasi del tutto esaurito; persistevano alcuni rumori all’interno. Per motivi ancora da chiarire, in seguito a questo episodio, le comunicazioni telefoniche da dentro si sono interrotte
11 maggio. Presidio contro il CIE in solidarietà con i reclusi in lotta. In quest'occasione, i solidali giunti sul posto hanno constatato la presenza di un transennamento totale del benzinaio adiacente alla struttura e di un massiccio dispiegamento delle forze dell'ordine. Vista l'impossibilità di parcheggio nel solito luogo, i manifestanti hanno raggiunto il Centro passando attraverso i campi, costeggiando il carcere. Rispetto alla volta precedente, gli alberi sotto le mura sono stati segati e il sottobosco tagliato per meglio identificare i dimostranti e per permettere un'entrata più agevole alle forze dell'ordine. Anche in quest’occasione, i solidali presenti sono riusciti a urlare la propria rabbia contro questo lager, con le stesse modalità della volta precedente. Uno dei reclusi è riuscito ad arrampicarsi fino al plexiglass che protegge il tetto salutando chi si trovava all' esterno. La digos ha saltato qualsiasi procedura legale notificando le prescrizioni (divieto di utilizzare amplificazioni, cartelli, fuochi artificiali, petardi, fumogeni; restrizioni sull'area del presidio e altre) alla prima persona presente letteralmente lanciandogliele in macchina. In seguito, una ventina di persone hanno improvvisato un volantinaggio nell' adiacente quartiere Sacca, recepito molto positivamente dagli abitanti e passanti.
CIE di Trapani-Milo
13 aprile. Un recluso si è fatto ricoverare all’ospedale simulando un malessere, nel tentativo di fuggire. All’ospedale il giovane tunisino si lancia dal secondo piano, le sue condizioni sono disperate, naturalmente non si conoscono le dinamiche di quanto accaduto.
17 MAGGIO Un recluso viene brutalmente picchiato dai poliziotti di guardia, mani legate e violente manganellate in faccia e in tutto il corpo. Il medico, dopo aver visitato il pestato, assicura che non è nulla di grave. L’avvocato d’ufficio, “consigliato” direttamente dai poliziotti, non si capisce bene che cosa farà. Il direttore del centro, dopo aver assistito al pestaggio, invita i prigionieri ad “avere pazienza”. Ma i reclusi di pazienza non ne hanno davvero più: fotografano il ferito, vogliono che si sappia in giro quel che succede a Trapani, e per protesta iniziano uno sciopero della fame, ben consapevoli che contro la prepotenza della polizia non rimane altro che “andare sotto e far casino”.
CIE di Ponte-Galeria (Roma)
3 maggio. I reclusi indicono uno sciopero della fame per alcuni giorni. In un documento inviato alla stampa hanno motivato il loro gesto con una lista di nove richieste: procedure più rapide, servizio sanitario più efficiente, stop alle violenze fisiche e psichiche, espatrio rapido per chi lo richiede, traduzione delle notifiche nella lingua d’origine, facilitazione delle visite dall’esterno, strutture ad hoc per i tossicodipendenti, presenza al processo per chi ha carichi pendenti, chiusura dei Cie.
“Noi stiamo motivando il nostro sciopero della fame, ora voi motivate perché noi stiamo scontando una condanna senza aver commesso nessun reato”, scrivono nel documento. Al contrario di quanto volevano i reclusi, la lettera ha ottenuto ben poco risalto sui mezzi di comunicazione e naturalmente non riceveranno alcuna risposta. In poco tempo lo sciopero della fame si è concluso.
Siracusa
23 aprile. Dal porto di Alessaandria D’Egitto un numeroso gruppo di persone sbarca a Siracusa e prontamente viene acciuffato dalle Forze del disordine per provvedere a rimpatri o internamenti nei cosidetti “centri di prima accoglienza”. Molti di loro fuggono ed inizia la caccia all’immigrato, alcuni vengono riacciuffati e la caccia continua. Da questo episodio si ha quindi la conferma dell’esistenza a Siracusa di un “centro di accoglienza/detenzione informale” e della pratica dei respingimenti collettivi immediati, senza una completa identificazione individuale, ma solo sulla base di una generica attribuzione della nazionalità e della provenienza, malgrado i divieti stabiliti dalle Convenzioni internazionali e dal Regolamento frontiere Schengen del 2006. Sappiamo bene come funziona la legge degli oppressori!
Reggio Emilia: occupazione di alcuni profughi dalla Libia
28 aprile. Quattro profughi provenienti dalla Libia hanno occupato uno stabile abbandonato da anni, mossi dalla necessità di avere un posto al riparo in cui dormire. Dopo il decreto di fine “emergenza nord Africa” si sono trovati in una situazione di grave emergenza abitativa e hanno scelto, a differenza di molti altri profughi nella stessa loro condizione che hanno cercato fortuna altrove, di rimanere nel territorio di accoglienza dove hanno costruito un minimo di relazione e conoscenza con la città.
Firenze, 18 maggio: corteo contro gli omicidi di stato e di polizia contro la repressione
Tra gennaio e febbraio del 2012, due uomini furono assassinati nelle camere di sicurezza della Questura di Firenze.
Il primo, Youssef Ahmed Sauri, marocchino, venne prelevato da una pattuglia della polizia intorno alle 8 di sera davanti all'ospedale di Santa Maria Nuova mentre gridava disperatamente “aiuto!”. A un passante che si era messo nel mezzo gli sbirri intimarono di farsi gli affari suoi. Tre ore dopo, gli infermieri ne constatavano il decesso in Questura. Secondo le forze dell'ordine si era impiccato.
Il secondo, Rhimi Bassem, tunisino, 26 anni, venne fermato nei pressi della stazione Leopolda. Condotto in Questura, sarebbe morto per un malore. Peccato che i parenti ne abbiano visto la salma martoriata dalle percosse, come documentato persino da una foto del cadavere che aveva ferite al volto e un buco sulla nuca.
Nei mesi successivi, in città, si ebbero alcune proteste. Le comunità marocchina e tunisina scesero in strada al grido di “Basta morti in Questura!”. Anche alcuni anarchici, a più riprese, dissero la loro. Perché era chiaro a tutti che la polizia aveva nuovamente assassinato due di quegli indesiderabili che tutti i giorni gli sbirri fermano, picchiano e rinchiudono.
Il 29 marzo 2012, nei dintorni di Piazza Dalmazia, la Digos, col supporto di tre volanti, tenta di fermare un gruppetto di anarchici mentre protesta contro gli omicidi polizieschi. Dopo un parapiglia ne porta via tre in malo modo. Anche altri compagni, accorsi a manifestare solidarietà sotto la Questura, vengono fermati. La giornata si chiude con tre arrestati per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, due compagne rilasciate con denunce per gli stessi reati e tre compagni colpiti da foglio di via. Una punizione esemplare per chi aveva osato denunciare ciò che era sotto gli occhi di tutti.
Come nella vecchia fiaba il re era nudo. Bisognava azzittire il bambino che ne aveva additato le vergognose nudità, con ogni mezzo necessario. Perché gli sbirri possano continuare a fare il loro mestiere di assassini, ripulendo le città dorate da tutti quegli indesiderabili che le infestano, specie se sono senza soldi e senza documenti. Perché i piani dell'autorità s’impongano sempre sulle esigenze della libertà, a qualsiasi costo, morti compresi. Perché lo Stato e il Capitale possano continuare a detenere il monopolio della violenza.
Se autopsie compiacenti, giornalisti reticenti e una dura risposta repressiva hanno insabbiato questa vicenda, per noi la questione non è affatto chiusa. Anzi.
Il 23 maggio si apre il processo a 5 compagne e compagni denunciati per aver gridato che la polizia uccide. Non lasciamoli soli, non restiamo in silenzio. Portiamo in strada la rabbia per tutti gli Youssef Sauri e gli Aldo Bianzino, per i Rhimi Bassem e i Giuseppe Uva, per i Marcello Lonzi e i Michele Ferrulli, per i tanti e le tante che ogni giorno muoiono assassinati da mano poliziotta.
Solidarietà ai 5 processati di piazza Dalmazia.
Solidarietà ai processati del 15 ottobre, ai compagni anarchici rinchiusi a Ferrara e a tutti i colpiti dalla repressione delle lotte.
Anarchici
La logica persecutoria
Roma, 15 aprile. E’ uscito il rapporto realizzato dalla task force del Ministero dell’interno sui CIE. Sono soltanto le proposte avanzate dalla task force dopo le visite nei centri d’internamento. Al momento non c’è nulla di concreto ma comunque le prospettive sono sempre peggiori di quanto lo siano già. Tra le proposte contenute nel rapporto c’è l’abbassamento del tempo massimo di trattenimento nei CIE da 18 a 12 mesi. Appaltare la gestione di tutti i CIE presenti in Italia a un unico ente, che potrebbe essere un raggruppamento temporaneo di imprese.
Riorganizzazione della distribuzione dei CIE sul territorio con la dislocazione presso città sedi di autorità diplomatiche. Creazione di un corpo di operatori professionali, preparati attraverso corsi speciali di addestramento, organizzati anche con il contributo dell’amministrazione penitenziaria, che affiancherebbero le forze dell’ordine per interventi repressivi. Il Ministro Cancellieri revoca la circolare per l’accesso ai CIE, prima consentito alle seguenti organizzazioni: Alto Commissariato delle Nazioni Unite per Rifugiati, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Croce Rossa Italiana, Amnesty International, Medici Senza Frontiere, Save the children e Caritas, per consentire l’accesso solo ai Sindaci, ai Presidenti di Provincia e Presidenti di Giunta e di Consiglio Regionale, nonché ai soggetti del privato sociale. Anche i giornalisti, con i foto cineoperatori possono accedere previa autorizzazione rilasciata dai Prefetti. Insomma si vuole accentuare l’autonomia e discrezionalità dei Prefetti, ai quali potrebbe essere attribuito il potere di decidere direttamente sull’istanza di accesso.
Altra proposta la possibilità di avere all’interno figure mediche specialistiche tali da evitare il trasporto del recluso all’esterno del CIE, evitando così la possibilità delle evasioni dagli ospedali. Sappiamo benissimo quanti problemi ci sono con il personale operativo nei vari Cie, come possa essere pensato un possibile aumento del personale è a dir poco contraddittorio.
Per quanto riguarda le procedure d’identificazione gli aguzzini auspicano ad una fattiva collaborazione tra Ministero della Giustizia, Ministero dell’Interno e Ministero degli Affari Esteri, affinché si proceda all’espletamento, già in carcere, dell’attività d’identificazione e alla realizzazione, sempre all’interno delle carceri, di una struttura mista composta da personale della polizia penitenziaria e della polizia di stato, che dia attuazione ai meccanismi d’identificazione.
Per quanto riguarda la comunicazione telefonica che venga consentito per tutti i lager l’utilizzo di telefoni cellulari personali, ove non dotati di foto/video camera, ma tuttavia possono essere disposte eccezioni, insomma continueranno a fare tutto quello che vogliono, tanto è la stessa Prefettura che vigila sulla gestione del CIE.
Locali di contenimento separati per le persone più problematiche, gabbie nelle gabbie, celle d’isolamento, eufemisticamente chiamate “moduli idonei a ospitare persone dall’indole non pacifica”.
Poteri speciali ai prefetti, ai questori o a consigli di disciplina creati ad hoc, in una sorta di Guantanamo all’italiana.
La task force della Cancellieri pensa anche all’introduzione di un aggravante specifica per i reati commessi all’interno delle strutture lager e trattamento premiale per la “buona condotta”. Non è specificato quale sia l’aggravante ma comunque la logica persecutoria continua con più forza.
In ultimo la task force propone la revisione della loro dislocazione sul territorio, la “eventuale creazione di nuove strutture” e “la concentrazione nelle città in cui ci sono ambasciate e consolati maggiormente interessati al fenomeno migratorio”.
Ancora nulla di concreto, le prospettive sempre più agghiaccianti e quasi impossibili da mettere in atto, vista l’attuale situazione in tutti i CIE. In questo momento i CIE di Bologna, Brindisi, Trapani Serraino Vulpitta sono chiusi per lavori di ristrutturazione e Lamezia Terme è chiusa in quanto struttura non idonea per un CIE. Dobbiamo lottare contro questo stato fascista, basta silenzi, facciamoci sentire!
Sbloccati i fondi per due nuovi CIE
23 aprile. Il Governo ha sbloccato i fondi per la costruzione di due nuovi Centri di Identificazione ed Espulsione in Italia. La notizia è contenuta in un’ordinanza del capo della Protezione Civile, pubblicata di recente sulla Gazzetta Ufficiale.
Lo stanziamento è di 13 milioni, di cui 10 milioni destinati al Cie di Santa Maria Capua Vetere e 3 a quello di Palazzo San Gervasio.
Entrambe le strutture erano nate come tendopoli ai tempi dell’emergenza profughi del 2011. Erano state di colpo trasformate in centri di espulsione temporanei, ma avevano avuto vita breve. A Santa Maria Capua Vetere, nel corso di una rivolta era scoppiato un incendio che aveva distrutto gran parte delle tende. A Palazzo San Gervasio c’erano state polemiche su come venivano trattati i reclusi.
Il governo Monti aveva già comunicato di voler trasformare queste due strutture in Cie permanenti (a febbraio 2012), ma a quanto pare finora non aveva trovato i fondi per i lavori necessari, che dovrebbero durare meno di un anno.
Milano, maggio 2013
lettera dalle carceri usa
Il mondo non è bianco
USA: torna a bollire il tema immigrazione. Ogni potenziale candidato alla presidenza ha in proposito una propria opinione o se ne dà un’altra quando è interessato a prendere più voti dai latinos. Negli ultimi tempi però troppi politici USA sono paralizzati nel clima virulento della paura e dell’odio. Così su questa questione non si muove foglia, predomina una situazione di stallo.
Tuttavia, per ironia della sorte, gran parte delle persone che vivono negli USA sono figli/e o nipoti di immigrate/i. Perché dunque questa resistenza contro le persone immigrate? Certamente tutto ciò non è chiaro, giacché negli USA, in generale, non si è contro tutte/i gli/le immigrate/i. Per esempio, se le persone immigrate sono originarie di Inghilterra, Irlanda, Germania o Canada, il loro arrivo e partire non suscita scalpori. Ma se provengono da Messico? Per favore no, dal Messico no! Questo paese viene considerato come nazione non-bianca. Inoltre la madre lingua di chi emigra dal Messico è lo spagnolo, perciò queste persone vengono considerate come una minaccia dell’insensato sogno ariano, a cui tanti/e negli USA sono attaccati.
Per domare questo inquietante demone il governo USA in carica ha moltiplicato le retate contro i messicani assieme alle espulsioni di persone immigrate considerate illegali, come non ha fatto nessun altro governo nel recente passato.
Il grande scrittore James Baldwin morto nel 1987 nel libro “Stranger in the Village” ha scritto: “Da tempo questo mondo non è bianco e non tornerà più ad essere bianco.” In questo pensiero includeva anche gli USA. A qualsiasi partito appartengano, oggigiorno i politici USA nei loro discorsi pubblici sono sempre sostenitori del “libero commercio”.
La gente in Messico e negli USA deve formulare una nuova esigenza: “Free Travel – Libertà di movimento per tutte/i!” Noi tutte/i dobbiamo immediatamente mettere fine alla gigantesca macchina delle espulsioni. La libertà di movimento è un diritto dell’essere umano. In Messico i nostri fratelli e le nostre sorelle hanno chiaramente avanzato questo bisogno così formulato: “Libertà di transito per le persone immigrate, le loro famiglie e comunità; revoca delle disposizioni vigenti riguardo al passaporto e introduzione di un nuovo sistema di visti di soggiorno.” Questa è una delle richieste dell’organizzazione “Acciòn Migrante”, il cui sito web è: accionmigrante.org.
Mumia Abu-Jamal
4 maggio 2013
da Junge Welt
lettere dal carcere di viterbo
Cari amici di Ampi Orizzonti, mi chiamo Ramzi Barhoumi volevo dirvi che sono rimasto colpito da quello che ho letto e saputo tramite D. che è carcerato qui dove sono io (cella al mio fianco).
Mi piacerebbe, magari quando esco, fare parte del vostro movimento, perché vedendo D. come sta camminando a testa alta e come è fiero di quello che sta facendo anche se non è veramente bello stare qui dentro, specialmente in questo carcere.
Anche a me è successo quello che è successo a lui. Nel mio paese ero rivoluzionario e quando sono successi gli scontri con il vecchio regime, finché se n'è andato il nostro ex presidente e “dittatore” e la sua banda di 40 ladroni, allora sono dovuto partire per Libia e poi è iniziata la guerra lì con il regime di Gaddafi. Allora ho preso il volo per la Turchia e di là ho dovuto cominciare il mio lungo cammino alla Grecia e ho assistito agli scontri in Grecia e dopo ho attraversato il confine con l'Albania, un paio di settimane e poi ho attraversato, sempre camminando di notte e dormire di giorno, il Kossovo e da lì ho dovuto entrare in Serbia sempre camminando dove ho rischiato la vita perché c'era ancora la guerra tra Kossovo e Serbia e mi è andata bene, entrando in Serbia ho chiesto a un ragazzo turco se mi aiutava a lavorare nel suo ristorante per poter riprendere il mio viaggio e così è stato, quindi ho dovuto attraversare il confine tra Serbia e Romania e poi sono stato lì sempre solo per vedere come vivevano gli esseri umani in quelle terre, poi mi sono messo sotto un camion tra le due ruote per poter attraversare Romania e Ungheria e ce l'ho fatta, finché si è fermato il camion e non ce la facevo più dopo quasi 9 ore con la pioggia non sentivo più il mio corpo era congelato, quindi il camion si è fermato a un Autogrill per riposare, sono uscito da sotto il camion e sono rimasto scioccato da dove sono sbucato fuori, c'era solo l'autostrada e l'Autogrill, allora sapendo che se ti beccano in Ungheria ti fanno tornare indietro mi sono allontanato di là tremando come un cubetto di ghiaccio, finché ho visto andare via il camion, sono tornato a cercare un camion con il furgone dov'è la targa della Germania, allora sono entrato dentro ho aspettato che arrivasse il padrone dopo quasi 2 ore è venuto e ha messo il motore in marcia e il mio cuore anche, allora ho dovuto fare in modo per vedere in che direzione andava, menomale era in direzione Austria, vedendo che era già arrivato a Vienna (Austria), allora ho fatto uscire un pezzo del giubbotto al retrovisore al suo fianco, si è fermato, allora sono saltato fuori in autostrada ringraziandolo e lui che mi guardava dicendo “da dove è venuto questo” quindi ho camminato fino ad una fabbrica, chiedendo ad una signora dove posso prendere il treno per l'Italia, in inglese, ed era una signora nigeriana, quindi mi ha accompagnato e mi ha spiegato come posso arrivare “to the train station” ed eccomi qua ora in questi [mesi, ndr] passati in prigione e il reato che mi viene contestato è frutto della mia situazione disperata che a volte non mi permetteva nemmeno di mangiare, sono consapevole di aver sbagliato, la vita è bella e io la voglio vivere stando vicino ai miei cari e a mio figlio che è la cosa più importante del mondo, però sta con sua madre americana in California, ho intrapreso un percorso interiore che mi ha radicalmente cambiato nel cuore, non vedo l'ora di tornare ad essere un uomo libero e trovare un lavoro, e mi tengono dentro solo perché non ho domicilio.
Sono dovuto partire ho camminato tanto per arrivare qui, per una ragione, e credo che sia giusto fare parte di qualcosa per cui vale la pena combattere quale la dignità dell'uomo e la sua libertà. Sono anni che ci credo e forse sono nato per lottare e far valere questi diritti, ho girato il mondo clandestinamente dalla Tunisia (vecchia Cartagine) all'America, Canada, tutta l'Europa da quando avevo 15 anni, sperando sempre che non ci fossero mai confini fra i paesi, sono una persona contro tutto ciò che si chiama confine, per me questa cosa non ha senso, purtroppo, vorrei che questo mondo fosse come una grande isola dove poter andare ovunque, mentre ora il mondo è diviso in piccoli pezzi con confini che non si possono valicare, se non con un passaporto.
Inoltre penso ai paesi del terzo mondo che hanno una popolazione che non c’é democrazia “freedom to speek”, chiusi dentro una grande gabbia e vivono nella schiavitù.
Penso inoltre a tutte quelle persone che sono morte mentre cercavano di migliorare la loro vita o che cercavano di essere liberi di scegliere la loro vita senza che altri la decidessero per loro. Purtroppo di dittatori ce ne sono tanti e in tante parti del mondo e loro vogliono solo il potere e reprimere ogni libertà, io vorrei che non ci fossero mai stati e che in futuro non ce ne saranno mai più così poi ci sarà la speranza che ti spinge verso un nuovo mondo più libertà dove le tutte persone abbiano gli stessi diritti senza sfruttatori, vorrei che queste persone che credono in questa battaglia, che c'è stata sempre come una lunga maratona infinita e spero che avremo sempre più fiato per continuare e magari giungeremo all'arrivo della fine e dell'inizio... By Ramzi
Grazie per questo che state facendo.
Viterbo Maggio 2013
Ramzi Barhoumi, via San Salvatore, 14 – 01100 Viterbo
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Ciao carissimi amici, stamani con gioia ho scoperto il vostro opuscolo e con tanta gioia ho potuto leggere il contenuto che lo possiede e a dirvi la verità ho letto cose da me non nuove anche perchè le vivo da 6 anni.
Mi presento mi chiamo Antonio e sono di Napoli e ho 26 anni con 7 anni di mezzo di carcere fatti e nei carceri ne ho viste di cotte e crude. Vi faccio sapere che in questi 6 anni ho girato molte carceri per le denunce e i rapporti che sto prendendo incominciando da Poggioreale, Livorno, Porto Azzurro, Pisa, Ancona, Spoleto, Orvieto e infine dove ora mi trovo Viterbo, dove mi trovo a 14 bis per tentata evasione dal carcere di Orvieto.
Vi faccio sapere che il 5 dicembre del 2012 al C. R. di Orvieto con una normale perquisizione in cella mi hanno trovato un buco dietro le mattonelle del bagno e sono stato messo in isolamento a cella liscia fino al 10 gennaio 2013 solo con le coperte dell'amministrazione. E pensare che nella mia detenzione non ho mai tentato di autolesionarmi. Fui punito con 15 giorni in punizione dalla direzione che dovevo finire il 20 dicembre. Ma solo che la partenza non arrivava e mi hanno tenuto giù all'isolamento fino al 10 gennaio dove poi fui trasferito e mi portarono qui a Viterbo dove poi il 14 gennaio mi hanno applicato il 14 bis e che finirò il 15 luglio. Praticamente mi devo fare i 6 mesi di 14 bis più i 15 giorni di isolamento e in più mi sono fatto come extra dal 20 dicembre fino al 15 gennaio “celle gratis”.
Quella del carcere è una dura realtà e purtroppo non cambia mai e dove vado vado è tutto uguale il sovraffolamento e le celle sono pure piccole. Io volevo solo allargare il bagno ha ha ha.
Ora vi saluto e spero che mi mandate il vostro opuscolo del mese nuovo e se qualcuno mi vuole scrivere fatelo liberamente io vi aspetto. Vi ringrazio a nome mio e degli altri detenuti per quello che state facendo per noi. Vi stringo con un caloroso abbraccio. Il vostro amico Antonio Speranza. Ciao a presto. Forza Napoli e W la libertà!
[Visto per Censura il 5 aprile 2013]
Antonio Speranza, v. San Salvatore, n.14/b - 01100 Viterbo
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Ciao mi chiamo Raffaele e mi trovo nel carcere di Viterbo a 14bis le scrivo perché ho sentito su radio carcere che il 25 fate una manifestazione contro il 41bis vicino al carcere di Parma (se non mi sbaglio) vorrei farvi sapere che anch'io condivido le vostre idee riguardo al 41bis è una vera tortura sia per i detenuti che per la famiglia, specie per un bambino, fare il colloquio con il proprio padre con un vetro davanti è una tortura psicologica che se la porterà per il resto della sua vita.
Anche il 14bis è molto duro perché non si ha neanche la TV e se non sei forte puoi impazzire perché stare 24 ore isolati è molto dura!!!
Spero che il 25 maggio sarete in tanti e che le vostre voci arriveranno a quei signori che governano questo stato anticostituzionale.
Mi farebbe piacere ricevere mensilmente il vostro opuscoletto “gli amici di Olga” per essere aggiornato delle vostre fantastiche lotte che fate per far valere i diritti umani. Vi ringrazio con stima.
Viterbo, 27 aprile 3013 [Visto per Censura il 29 aprile 2013]
Raffaele Martena, via San Salvatore, 14/b – 01100 Viterbo
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Segue una lettera contenente una proposta a noi indirizzata; la giriamo a tutti/e in modo che possa fin da subito alimentare la discussione e l’iniziativa.
Cari compagni di Ampi Orizzonti, sono 2-3 giorni che sto pensando al modo migliore per organizzare una mobilitazione tra i detenuti ed ho partorito un po' di idee che possono contribuire alla riuscita di questo ambizioso ma difficile traguardo.
Ieri ho saputo da un detenuto (sentiva radio radicale) che entro il 17 di giugno l'Italia deve porre una soluzione al problema del sovraffollamento. Sappiamo tutti che qui dentro c'è molta rassegnazione e pochi sono disposti a mettersi in moto per fare qualcosa, ma questa data potrebbe svegliare molte coscienze se i detenuti la vedessero come un punto di svolta.
A riguardo, visto che sicuro in quei giorni se ne parlerà sui media nazionali, potremmo organizzare una settimana di mobilitazione che parta da sabato 8 e finisca lunedì 17. La prospettiva di ottenere l'amnistia o l'indulto incentiverebbe la stragrande maggioranza di noi a non restare indifferenti e quindi rendersi utili e operativi.
Abbiamo un mese e mezzo per organizzarci e io sono intenzionato a farlo perché è un'occasione unica da non farsi sfumare. Sembrerà brutta se la dico così, ma vi garantisco che tra i detenuti c'è voglia di rendersi utili e dell'amnistia si parla di continuo.
Ho pensato che potremmo muoverci in questo modo:
- Organizzare su Facebook un evento dove invitare chi è fuori ad iniziarsi a mobilitare e darsi da fare nei territori per informare quante più persone possibile di questa iniziativa.
- Mettere sul prossimo numero di Ampi Orizzonti in copertina la scritta che c'è la mobilitazione.
- Mettere nelle buste che inviate dei flyers (piccoli) dove si spiega lo sciopero e quindi invitare a distribuirli in sezione.
- Scrivere sull'opuscolo una lettera da ricopiare per farla riscrivere ai detenuti e farla inviare ai lor conoscenti nelle altre carceri. La lettera deve essere breve con l'invito a farla girare il più possibile.
- Scrive sull'opuscolo un facsimile dove si annuncia lo sciopero e poi farlo inviare ai media locali così diamo ampia visibilità. Qui a Viterbo ci penso io. Dovremmo però contattare compagni e compagne del luogo a far arrivare nelle carceri del territorio indirizzi utili ai detenuti o eventualmente provvedere loro ad inviare una nota.
- L'8 giugno, volendo anche prima 1/06, invitare tutti i compagni e le compagne a fare presidi sotto le carceri di tutta Italia con impianti per comunicare con i detenuti o eventualmente sotto le prefetture.
- Chiudere con manifestazioni in on ogni capoluogo di regione il 15/06 dove aggiornare la popolazione sull'evoluzione della mobilitazione dei carcerati.
- Attacchinare in tutta Italia un manifesto comune.
Queste sono alcune idee che mi sono venute parlando anche con gli altri detenuti che mi dicevano che potevano contattare i loro parenti nelle altre carceri.
Voi cosa ne pensate? Mi rendo conto che i tempo stringe e l'impresa non è semplice ma penso che valga la pena tentare.
Se riusciamo a breve ad organizzarci penso che ci stiamo con i tempi. La differenza la può fare il Web, la controinformazione, i famigliari dei detenuti, noi qui dentro, pochi o tanti, faremo sicuro qualcosa ma le nostre voci devono essere coloro che sono fuori. Penso anche che sicuramente i Radicali faranno qualcosa, si potrebbe informare Amnesty e le associazioni sui diritti umani e tutti i movimenti antagonisti in Italia.
Ho letto che il 25 maggio c'è anche la manifestazione a Parma e quindi lì si potrebbe fare un incontro per dare uno slancio ulteriore alla protesta.
Sono sicuro che su certi punti c'è da discutere e forse sono troppo facilista. Questa è una mia proposta non fatevi pesare sulle spalle niente. Discutete fra di voi e con i compagni in tutta Italia se questo è un progetto fattibile. Se ci sono disponibilità da parte di tutti si può fare altrimenti non mi sembra giusto che pesi tutto su voi che già fate un lavoro enorme.
Vi saluto e vi abbraccio Davide.
Viterbo, 28 aprile 2013
Davide Rosci, via San Salvatore, 147b - 01100 Viterbo
lettera dal carcere di carinola (CE)
Carissimi compagni, come sempre mi fa piacere ricevere l'opuscolo e vostre notizie. Leggere tutto quello che scrivete mi fa capire ancora di più quanto è importante la solidarietà e il sostegno che portate con la vostra vicinanza a tutti i prigionieri, li aiuta a lottare e continuare ad andare avanti nella speranza di potere essere presto degli uomini liberi. Perché nessuno deve stare in questi posti di sofferenza, dove manta tutto e non ci sono diritti per i carcerati né rieducazione né possibilità di reinserimento. Perché le carceri italiane sono dei contenitori dove tenere e buttar dentro tutti quelli che non abbassano la testa e lottano con forza per avere i propri diritti.
Il mio parere personale è che tutte le carceri devono essere abbattute perché in questi posti si calpesta la dignità umana e fanno di tutto per annientare quelli di spirito libero che hanno tutti quegli uomini che lottano per la libertà.
Vi metto a conoscenza che qui ci sono stati diversi cambiamenti, dalla sezione AS1 dove mi trovo, sono stati trasferiti 12 prigionieri che dalle notizie che mi arrivano sono stati portati a Padova, Opera (MI), Parma e Sulmona, tutti i compagni della AS2 li hanno trasferiti tutti a Terni queste sono le notizie che arrivano tramite altri compagni.
Qui noi nella sezione AS1 siamo rimasti in 15 e siamo tutti in attesa di partire, abbiamo tutti la roba pronta e si pensa che a metà mese ci trasferiscono tutti, da quello che sappiamo dobbiamo andare tutti a Sulmona dove c'è una sezione di alta sicurezza.
Per tutto aspettate mie notizie anche per mandare l'opuscolo.
Saluti a tutti con forza lottiamo e continuiamo ad andare avanti senza arrendersi mai.
Saluti cari a tutti. Saluti dal compagno Mario.
Antonino
Carinola, maggio 2013 [ndr: lettera ricevuta l'8 maggio]
Antonino Faro, via San Biagio, 6 – 81030 Carinola (CE)
lettere dal carcere di terni
Cari amici (Olga), vi faccio sapere che sia io che il resto dei compagni che eravamo nel carcere di Carinola, sabato 27 aprile 2013, ci hanno portati tutti qui nel carcere di Terni, in una piccola sezione AS2. Quindi se ci dovete mandare Ampi Orizzonti inviatecelo qui a Terni. Vi chiedo gentilmente se potete comunicarlo su Ampi Orizzonti che siamo qui.
Cari compagni, vi allego un piccolo scritto per Maurizio Alfieri, se potevate pubblicarlo su “Ampi Orizzonti”.
Caro Maurizio, spero che i compagni di “Ampi Orizzonti” pubblicano questa lettera che è indirizzata a te e a Roberto Morandi. Da sabato 27 aprile sia io che il resto dei compagni che si era nel carcere di Carinola siamo stati trasferiti tutti qui nel carcere di Terni come per il resto ti avevo detto. Quindi ora diventerà un problema per rimanere in contatto. Se casomai tu venissi trasferito fammelo sapere.
Ti mando un mio salutone. Mauro
Terni 28 maggio 2013
Mauro Rossetti Busa, via Delle Campore, 32 – 05100 Terni
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Il compagno libertario Mauro Rossetti Busa ci fa sapere di essere stato trasferito in data 27 aprile dalla sezione AS2 di Carinola a quella di Terni. Assieme a lui sono stati trasferiti tutti i prigionieri delle sezioni speciali AS1, AS2, AS3, mentre tutti gli altri detenuti sarebbero stati trasferiti nel carcere di Sulmona.
Il motivo del trasferimento è il progetto di conversione della struttura detentiva di Carinola in una struttura “a custodia attenuata”, che dovrebbe essere completato entro dicembre per contenere 500 detenuti (ora ce ne stanno 250). Il progetto, promosso dal DAP assieme ad alcune associazioni tra cui “Libera”, mira a sviluppare attività agricole e ricreative all’interno del complesso carcerario. Il vicedirettore del DAP Luigi Pagano ci spiega come sarà possibile finalmente “realizzare i colloqui nel verde per i bambini, che potranno incontrare i propri genitori IN UN CLIMA DISTESO (!!??)”
6 maggio 2013
Cassa di Solidarietà Aracnide, da informa-azione.info
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Carissimi/e Compagni/e, […] oggi vi sto scrivendo oltre che per ringraziarvi dei libri e per tutto quello che fate per la popolazione detenuta, per un fatto che "credo" vada messo in discussione, non solo per tutte le "sfaccettature" che quanto vi racconterò può essere visto ed interpretato con diverse opinioni ma perché dal mio punto di vista, ciò che vi racconterò, lo ritengo, molto, molto, importante dal lato umano, e "credo" che forse questo episodio possa sensibilizzare altre "autorità" a prendere esempio proprio dal mio racconto, e che sia una continuità e non un caso sporadico.
Ieri giorno 3 maggio ‘13 nella sezione di isolamento presso il carcere di Terni, dove sono sottoposto a regime di 14 bis, verso le ore 10:45 dopo aver finito di fare ginnastica e lavato "la gabbia", sento dirmi: "buon giorno! Ho risposto anche io al buon giorno, pensando fosse l'infermiera, mi giro perché ero di spalle e chi mi trovo? Il mag. di sorv. d.re Gianfilippi Fabio! Lo stesso magistrato che il 18 aprile mi ha discusso il reclamo al 14 bis! Mi allunga la mano e anche io gli porgo la mia per salutarlo, dopo pochi secondi di colloquio attraverso lo spioncino, mentre gli domandavo come fosse finito il mio reclamo il magistrato chiama l'agente e gli dice: mi apra che voglio parlare con alfieri in cella e non attraverso lo spioncino!!! Questo già a parere mio ha dimostrato non solo buona educazione ma un alto senso di civiltà, perché sennò sarebbe stato molto umiliante è come trovarsi allo "zoo" a dare le noccioline in gabbia alle scimmie... (gesto da apprezzare molto e senso di umanità) ebbene dopo che è entrato, la prima cosa che mi ha detto è stata la conferma del 14 bis, gli ho risposto che non avevo dubbi che fosse andata diversamente ma non voglio entrare in merito ai dettagli, perché a me è stata fatta una provocazione e trappola per attirarmi in un tranello...
Dopo circa 15/20 minuti di colloquio sulle condizioni in cui siamo (sono) costretto a vivere, il d.re Gianfilippi, si congeda perché aveva altri impegni, così ci siamo salutati.
Io ero rimasto incredulo che dopo 30 anni di galera per la prima volta avevo visto un mag. di sorv. recarsi a visitare i detenuti... Poi in isolamento era impensabile!!!
Però il bello deve ancora venire! Così dopo circa un'ora, vengo a sapere che appena è andato via da me, aveva chiesto al comandante di portarlo nella cella di un mio vecchio amico, che 20 giorni fa ha cercato di suicidarsi, e solo per un soffio non c'è riuscito, purtroppo la mente umana quando non riesce più a razionalizzare che 30/35 di galera ti hanno distrutto la vita, scatta qualcosa nella testa che è incomprensibile, pensando che solo la morte può liberarci da tutto... Poi si parla di certezza della pena! Per i politici c'è solo la certezza di non venire in galera e possono rubare e mettere il popolo alla gogna! Fra poco l'Italia per questo assumerà la vergogna non solo dell'Europa ma mondiale...
Comunque si è intrattenuto mezzora con lui confortandolo... credo che questo episodio di ieri meriti risalto, non solo per il senso di umanità che il magistrato ha dimostrato ma soprattutto che possa servire da esempio ad altri magistrati in modo che possano accertarsi delle condizioni disumane in cui siamo costretti a vivere, solo visitando le prigioni si può avere cognizione della realtà, del tempo, in ore, giorni, anni, decenni...
Persone dotte come questo magistrato, meritano di essere elogiate, non solo per il suo alto senso di responsabilità, civiltà e umanità ma proprio perché nei carceri mancano persone come lui, che oltre ad accertarsi personalmente delle nostre condizioni, possono monitorare con più accuratezza se accadono violenze, pestaggi e abusi.
Mi auguro solo che quanto ho più riportato possa sensibilizzare tanti/e altri/e magistrati ad ottemperare al loro senso di responsabilità prima che del dovere.
A tutti/e i miei compagni/e di prigionia voglio ricordare di tenersi bene in mente il mag. di sorv. d.re Fabio Gianfilippi di Spoleto, così a tutti/e i magistrati competenti di dove voi siete detenuti potete dire che c'è l'art. 5 OP dell'Ordinamento Penitenziario che prevede la vigilanza del mag. di sorv. sul trattamento dei detenuti (art. 5 OP) e che in ogni istituto devono consegnarci (gli opuscoli) dove riportano i nostri diritti e doveri (scritti anche in lingua straniera) da non dimenticare arti. 69 OP.
E dite anche il nome del d.re Gianfilippo Fabio perché deve essere un auspicio che ci siano persone come lui.
Io vi ho scritto questo nonostante ho visto scorrere fiumi di ingiustizie sulla mia persona ma una notizia come questa merita di essere evidenziata sperando che non resti un episodio isolato e che tutti i giudici possano toccare con mano la realtà delle pene, che ormai sono diventate torture nelle più totale indifferenza delle istituzioni, soprattutto dei politici che pensano solo al conflitto di interessi e alle depurazioni dei poveri come avvenne con l'ascesa di Hitler nel nazismo.
Termino inviando a tutti/e i compagni/e prigionieri, e in lotta come me, un forte abbraccio, e continuate a lottare per i vostri diritti, senza timori e paure, perché neanche l'isolamento può uccidervi, ma rafforza ancora di più la nostra tenacia, e ci rende impavidi davanti a Dio e agli uomini, e ricordate che anche chi ci tiene segregati sa che le nostre lotte sono per una giusta causa e che siamo contro le ingiustizie, iniquità e prevaricazioni.
Lottare ci rende liberi contro chi si è elevato a padrone dell'esistente, e come disse Nietzsche (filosofo) "non abbiate paura a scavare anche se sotto di voi c'è l'inferno"...
Essere a posto con la coscienza vince le paure. Un abbraccio fraterno. Maurizio.
Terni, 4 maggio 2013 [Visto per Censura del 7 maggio2013]
Maurizio Alfieri, strada Delle Campore, 32 - 05100 Terni
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Cari Amici Ampi Orizzonti di Milano, sono Marco Lindri ho 40 anni e vi scrivo dal carcere di Terni. Voglio ringraziarvi tanto per la visita che ci avete fatto giorni fa.
È stato bello vedervi e grazie per la musica.
Ci avete invitato a scrivervi e io vi scrivo molto volentieri. Conoscervi e sapere la vostra storia sarebbe per me un vero piacere. Soprattutto fare nuove amicizie. "Nuova cultura alternativa". Anche io avrei tanto da raccontare - da dire - ... cioè, almeno un 30% ve lo potrei scrivere il resto è meglio lasciarlo sotto forma di - romanzo - ipotetico.
Sono giovane ma è dall'età di quindici anni che partii a fare il gelataio in Germania e da allora non ho smesso mai di viaggiare. Quindi qualcosina l'ho vissuta e avendo attraversato l'oceano varie volte ho una giovane aperta visuale della vita.
Tutto ciò ha alimentato fortemente la mia creatività e mi piacerebbe ora avere Amici fuori - Liberi - che attingessero a questa così da rendere vivi e attuali progetti che sviluppati avrebbero - a parer mio - risultati prestigiosi ed economicamente alimento di nuovi "spazi umani creativi".
Non sono laureato, ho letto qualcosina che mi interessava ma ho appena la terza media (tra l'altro presa alle scuole serali a Bologna nel 2000) dove conobbi una giovanissima ragazza turca con cui... Milano è una bellissima città, un mio lontano parente - da parte di mia madre - è stato uno dei primi diciamo "briganti" ad andare in giro con la Ferrari... anni 60 credo...
In Lombardia ho tanti parenti, fratelli e sorelle di mio padre - fu - l'ultima volta che li ho visti era il 99, fatto sta che per la vita che ho fatto "colorata", ho dovuto per forza di cose, per inerzia... lasciar sfumare negli anni i legami con tutti i familiari, parenti e amici, compreso primo e secondo matrimonio e il grande - richiamo - che ho nel cuore, mia figlia Eva che, quando mi arrestarono per la prima volta, aveva 10 mesi e giocava sul mio petto quando la polizia sfondò la porta con tutta l'artiglieria a seguito. Lei non pianse e non si spaventò, a me invece mi cascò il biberon dalle mani... poi le manette... il bacio, è questo l'ultimo ricordo che ho di Lei, ora compirà 13 anni a settembre e io mi sto “allenando” con tutta la mia buona volontà per incontrarla da padre per i suoi 18 anni. Vista la società di oggi non sarà poi così difficile costruirmi una maschera sociale, il vero problema sarà levarsela lentamente, chissà se riuscirà ad appiccicarsi un po' di trucco nel tempo... Sempre nel massimo rispetto e buon senso.
Il carcere di Terni? i problemi dei detenuti? i diritti dell'uomo?... un mucchio di specchi rotti, che altro dire così solo senza mezzi... ho già vissuto la lotta contro i mulini a vento, io sti cancelli, sti muri, sti portachiavi, ste sbarre, sta... io non li vedo e non li sento proprio, non mi appartengono, ho solo inserito il pilota automatico e le lancette girano.
È in queste righe che la vita macchia d'inchiostro.
Qui con voi mi sento libero, nella pittura mi sento libero, nel comporre canzoni, fare ritratti, sentire ciò che veramente vuole nascondere la mente nei confronti, apprezzare le differenze... capire. Così mi sento vivo, ciò che ci fa bene e ci arricchisce nel cuore e nella mente e nel corpo è vita. Per tutto il resto c'è il pilota automatico.
Sono stato trasferito qui a Terni perché nel 2011 ho tentato l'evasione da un carcere toscano. 14bis, so bene dove sta ora il vostro Amico Maurizio, cercherò di fargli arrivare un po' d'aria nuova in quell'isolamento. Comunque voglio dirvi che qui il mio pilota automatico naviga serenamente e nel contesto credo che il "bagaglio" di Maurizio - pur non conoscendolo - dovrebbe andare bene.
Poi io sono uno che crede che niente sia impossibile, non so se questo potrà esservi di gran conforto... Credo che dipenda da Punti di Vista...
Son sempre stato dalla parte dei più deboli, è istintiva la cosa, però non amo indossare etichette, preferisco non appartenere a niente, solo l'Amore riesce a corrompermi in questo appartenere. Mia figlia porta il nome Eva Selvaggia, mia moglie - ex - voleva assolutamente chiamarla Selvaggia io invece ho scelto Eva.
Così è venuto fuori questo - Selva - che in sanscrito antico vuol dire - servizio disinteressato - È stata casuale la cosa ma a me far del bene senza pretendere nulla in cambio è sempre venuto spontaneo, così come mi è venuto spontaneo il contrario - con paletti, anzi Pilastri ben precisi naturalmente.
È da due anni quasi che mi trovo chiuso in questo piccolo mondo e non sono più abituato a scrivere, non rileggo ciò che ho scritto perché sarà presto a voi presente.
Le verità sono onde che arrivano lontane come voi siete arrivati qui.
Grazie per la Vostra Energia. Avete fatto tremare/vibrare tutto il carcere.
È dal buio che vengo, ed al buio ogni tanto devo ritornare.
Un saluto sincero Marco
Terni, 11 aprile 2013
Marco Lindri, strada Delle Campore, 32 - 05100 Terni
lettera dal carcere di saluzzo (to)
Il 16 marzo stavo male e ho insistito per andare in infermeria. Dopo l'ennesimo rifiuto ho trattato male l'agente, insultandolo. Ha chiamato rinforzi, in 10 mi hanno portato in isolamento. Mi hanno picchiato a sangue. Sono poi stato portato in infermeria e l'agente ha detto che ero caduto. Io ho detto al dottore che mi avevano picchiato. Al ritorno in isolamento mi hanno di nuovo picchiato. Mi hanno portato in ospedale, su ordine del dottore e anche lì l'agente ha detto che ero caduto e io ho ripetuto che non ero caduto. Al ritorno in carcere mi hanno di nuovo picchiato, per la terza volta. Poi mi hanno messo il collarino per il trauma delle botte e sono stato in isolamento per 22 giorni.
Questo è il carcere di Saluzzo. Grazie.
6 maggio 2013
da informa-azione.info
parma: IL SISTEMA CARCERE E IL TERRITORIO
In preparazione del corteo sotto il carcere del 25 maggio
Combattere concretamente il carcere significa anche approfondire la conoscenza del sistema repressivo nella sua complessità. La differenziazione, ha decisamente caratterizzato lo sviluppo dell'azione repressiva negli ultimi decenni con il risultato di plasmare gli strumenti legislativi e giudiziari in rapporto con la gestione concreta delle carceri qui come nel resto del mondo. In Italia, facendo leva sulla logica premiale, le strategie di differenziazione hanno contribuito a restituire un complesso carcerario sempre più articolato, dividendo i prigionieri in circuiti ad hoc destinati al contenimento, dove l'isolamento ne esprime il livello più avanzato. Da questo punto di vista possiamo individuare criterio selettivo "verticale" del sistema carcerario, che al vertice tende invariabilmente all'annientamento delle soggettività più combattive e resistenti con riferimento a pratiche di lotta portate avanti sia all'interno che all'esterno della struttura carcere. Ma esiste anche un altro aspetto, ossia l'estensione del modello carcerario secondo un piano orizzontale, attraverso la sua diffusione sul territorio e la sua applicazione a varie categorie di soggetti a prescindere dalla rilevanza penale dei loro comportamenti. In questa occasione di confronto e dibattito, vogliamo puntare l'attenzione su alcuni esempi in tal senso, da un lato cercando di fare alcune considerazioni sulle esperienze di lotta contro i C.I.E (centri di identificazione ed espulsione) per immigrati, dall'altro cominciando a ragionare sulle prospettive che si aprono con la chiusura degli O.P.G (ospedali psichiatrici giudiziari) e il passaggio di competenze che in termini di contenimento avverrà nell'ambito della psichiatria.
Interverranno: Comitato in difesa dei malati psichici - Parma, No CIE Modena e Bologna, OLGA - Milano, Assemblea di lotta "Uniti contro la repressione".
Mercoledì 22 maggio ore 21 allo spazio popolare autogestito Sovescio.
maggio 2013
sovescio@autistici.org
lettera dal carcere “ucciardone” di palermo
Cari/e compagni/e, vi invio queste poche righe per informarvi che sono stato trasferito qui a Palermo “Ucciardone”. Vi invio un caloroso abbraccio!
Fate la gentilezza di pubblicare il mio trasferimento nel prossimo numero dell'opuscolo. Grazie. Un abbraccio! Francesco!
Palermo 6 Giugno 2013
Domingo Francesco, via Enrico Albanese, 3 – 90139 Palermo
lettera dal carcere di piacenza
Ciao ragazzi, come prima cosa ricambio l’abbraccio a tutti voi ed in particolare a… che mi hanno spedito la bellissima cartolina del presidio di Saluzzo: grandi!
Considerando la mia custodia cautelare come detenuto in attesa di giudizio (11 mesi di isolamento giudiziario ed ora 14 bis) non certo confortevole, posso dire di essere ancora lucido e questo non solo grazie alla mia tempra ma anche grazie all’aiuto morale di persone come voi. Conoscere Massimo Passamani a Tolmezzo per esempio, è stata una fortuna inaspettata in quel mare di iniquità e scelleratezza che mi passava davanti ogni giorno, e senza l’appoggio di persone come voi, le lettere e gli esposti miei e di Maurizio Alfieri sarebbero caduti nel vuoto e a quanto vedo ci state dando ancora dentro, bravi!
Mentre scrivo c’è un tunisino in fondo la sezione che bercia e sbraita da due ore senza ragione (apparente) ma per una volta sono felice di vedere che nonostante i disastri di ogni tipo che ha combinato, nessuna guardia ha usato le maniere forti, forse significa che non tutti i carceri (per quanto inutili ed anticostituzionali) sono paragonabili a quella cloaca di Tolmezzo.
È molto difficile riuscire a discernere e rimanere obiettivi mentre si è sottoposti ad un regime “afflittivo” (sinonimo di punitivo ossia anticostituzionale e contro legge di natura) senza per di più aver commesso la tentata evasione, e subendo ogni giorno perquisizioni che (non me ne voglia il gentil sesso) le paragono nella somma degli eventi quasi ad uno stupro. Mi sforzo di non odiare indiscriminatamente ogni persona che porta la divisa, perché se pur conscio che una stoffa graduata cucita per ordine di qualche istituzione può cambiare una persona, è altrettanto vero che dentro quelle “tute da non lavoro” ci sono comunque degli esseri umani che troppo spesso per mancanza di fantasia morale (termine del Passamani) non sanno che il loro “mestiere” non aiuta la società bensì la danneggia: il loro pensiero non si spinge così lontano.
È vero, ci sono perdenti che hanno creduto di coprire il fetore della loro incapacità indossando quella “tuta”, e gente così mi fa prima pena e poi ribrezzo. Ci sono i sadici il cui unico piacere è gestire e imporre la loro volontà su altri esseri umani e trovano nell’autorità consegnata dallo Stato un potere che regala loro il più alto godimento. Ci sono anche, (spero non troppo raramente) i buoni diavoli che comunque agiscono guidati da una moralità che mostra anche a loro quanto tutto questo sia poco coerente ma “aimé”, tanto rassegnati quanto pusillanimi alla fine si rispondono sempre: “Io faccio il mio ed il pane bisogna pur portarlo a casa”. Allora capisco che chi più e chi meno in fondo quando indossa una divisa si trasforma ugualmente in uno schiavo e in un burocrate e nel peggiore dei casi quella stessa stoffa pare oblia la capacità di risvegliare il male assopito anche nel profondo dell’animo dei più probi.
Gente come noi non giudica e non cataloga le persone, perché non siamo né giudici né fascisti è per questo che lascio da parte quelle elucubrazioni da carcerato e mi limito a dirvi un grazie di cuore per la vostra solidarietà; con affetto. Valerio.
Piacenza, 20 aprile 2013
Valerio Crivello, via s.s. delle Novate, 65 - 29100 Piacenza
Lettera da un carcere in sardegna
[…] Nel vostro opuscolo ho letto innumerevoli volte, che tanti compagni di sventura in stato detentivo si lamentano poiché la mercede è bassa e praticamente non è sufficiente per arrivare a fine mese. In effetti la maggior parte di noi hanno o avevano questo problema, compreso il sottoscritto.
Lavoravo dalla mattina alla sera per pochi Euro, anche perché mi segnavano solamente due tre ore. Parlando tra noi detenuti, abbiamo scoperto che il dovuto aggiornamento delle mercedi ai contratti collettivi nazionali di lavoro di riferimento per categorie e mansioni, non è mai stato aggiornato dal 1993, è qua che bisogna lottare, è qua che tocca unirci, poiché per lo Stato Italiano siamo schiavi del duemila, pensate ai compagni extracomunitari che per la maggior parte non hanno il becco di un quattrino, pensate al fatto che chi ha lavorate dal 2001 al 2005 non gli hanno mai pagato le ferie, il T.F.R. e le tredicesime.
[…] Che cosa ho fatto? Gli abbiamo scritto [ad un avvocato di fiducia, ndr], ci ha risposto inviandoci dei fogli da firmare per poter avere il gratuito patrocinio e poi gli abbiamo rimandato indietro i fogli con le fotocopie delle buste paga. Ovviamente a chi gli mancava la busta paga, abbiamo elencato i carceri dove avevamo lavorato e ha pensato tutto lui a procurarsele, però è necessario che gli si invii almeno l’ultima busta paga e il carcere dove sta espiando la pena.
Vi faccio un esempio, io ho lavorato nei vari carceri per oltre 10 anni, ebbene mi ha fatto i conti e mi spetta dallo Stato Italiano, circa 52.000 €. Naturalmente non è che in un baleno mi vengano dati questi soldi, infatti io sono già quasi un anno in causa e l’avvocato con il suo commercialista hanno inviato tutto al Ministero per la diffida e messa in mora, così ha fatto per gli altri compagni che unitamente stiamo lottando assieme. […]
23 marzo 2013
Lettera dal carcere di Tolmezzo (ud)
Salve a tutti, come state? Spero bene… Io invece non sto molto bene. Sono ancora in questo carcere e per di più mi hanno messo in isolamento solo perché ho parlato dei miei diritti; sono stato maltrattato e mi insultano tutti i giorni e se parlo mi picchiano e mi tolgono anche i vestiti e le lenzuola e mi lasciano al freddo tutta la notte.
E poi sono senza soldi, senza vestiti. Non posso comprarmi niente. Qui non ci danno nulla da mangiare, è molto scarso e non è pulito. Ogni tanto si ammala qualcuno di noi.
E poi non ci danno nemmeno il sapone per lavarci.
Siete gli unici a cui posso scrivere per sfogarmi […] Non sono nato in Italia, la mia famiglia è lontana. Ringrazio per tutto e vi mando i migliori saluti.
2 maggio 2013
***
Ciao, sono un detenuto tunisino. Sono arrivato in Italia nel 2011 per causa della rivoluzione che è successa in Tunisia in quel periodo. Dopo circa 6 mesi dal mio arrivo sono stato arrestato per droga, perché non ero riuscito a trovarmi un lavoro normale e dovevo pur sopravvivere. Mi hanno condannato a 4anni di carcere.
La mia famiglia si trova in Tunisia, non è ricca e non mi può aiutare. In Italia sono solo e non c’è nessuno a cui rivolgermi per aiuto. E ho necessità anche in carcere di tante cose, vestiti, scarpe da ginnastica (nr. 44) e materiale per l’igiene…
Vi porgo i miei più cari auguri di ogni bene, Wael.
8 maggio 2013
Wael Khelifi v. Paluzza, 77 - 33017 Tolmezzo (Udine)
Lettera dall’Opg di Montelupo Fiorentino (Fi)
Cari compagni/e, una cosa che ho sempre scordato di dirvi, che quando ci fu un presidio al CC di Biella, anno 2009, io ero lì che vi ascoltavo. C’erano compagni che dicevano, con un megafono, guardate che grate che hanno le finestre, manco l’aria ci passa. Fu lì che capii tutto.
Vi faccio presente che sono riuscito a votare, chiaramente ho ritenuto dare il voto a M5S Grillo. Spero che questo non incrini i rapporti che ho con voi.
In 4 mesi che sono qui sono riuscito ad evitare psicofarmaci che annientano l’essere umano. L’80% sono zombie che vengono maltrattati sia dall’ASL psichiatria sia dalle guardie. Tenendo la mente lucida ho indagato sul passato di codesto inferno. Ho conosciuto Sergio Cosimini, un vecchio anarchico che aveva ammazzato un finanziere. Costui è da 23 anni che gira per gli OPG, ma piùche altro, la maggior parte degli anni li ha scontati qui. Dopo circa 2 mesi, essendo lui una persona molto riservata e sana di mente, vedendo la mia mentalità anarchica, ha incominciato a raccontarmi come la giustizia italiana risolveva il problema anarchico-Brigate Rosse o nere, gente scomoda per lo stato. Dal carcere venivano mandati, sani di mente in questo manicomio criminale, dopodiché passavano i mesi e codesti morivano, falsificando i certificati medici o ammazzati di botte dalle guardie o legati a letti di ferro di contenzione, finché non morivano di stenti, disidratati, visto che non gli davano né da bere né da mangiare, oppure con sovradosaggi di farmaci eseguiti tramite l’immobilizzazione.
Cari compagni, finché non è venuta l’ispezione del deputato Marino, qui era come o quasi un vero e proprio lager. Qui dentro mi vergogno di essere italiano,perché se voi vedreste coi vostri occhi, non ci credereste, pensereste che fosse un film, un brutto film.
Il 28 aprile 2013 un degente dentro una cella di contenzione in gomma altamente infiammabile gli ha dato fuoco. Questo successo verso le ore 5 del mattino. Questo incendio ha provocato un fumo nero acre, irrespirabile. Solo alle ore 6 hanno aperto i cancelli delle celle. Per un soffio non fanno causare una strage, e sapete perché? per organizzarsi, per paura che qualcuno potesse evadere, pazzesco.
Mezzi nudi, cento persone, ci hanno messo nel cortile dell’aria per 3 ore al freddo. Sono sopraggiunte due autobotti dei pompieri, carabinieri. La maggior parte di noi era intossicata, non riusciva neanche a vomitare. Sta di fatto che le guardie in servizio ora sono indagate. Poi, come se niente fosse, ci hanno rinchiuso nelle celle come le pareti nere come il carbone.
Se riusciste a fare un presidio di fronte a questo OPG in modo da farli vergognare. Pure il paese di Montelupo Fiorentino non vuole questa struttura. [...]
4 maggio 2013
Adriano Levratto, viale Umberto I°, 42 Villa Ambrosiana - 50056 Montelupo Fiorentino (Fi)
lettera dal carcere di Lenzburg (Svizzera)
Nonliberazione (società a rischio zero);
Premessa: è tuttora pendente il ricorso (5 marzo 2013) in 2a Istanza contro la 2a negazione (5/2/2013) in 1a istanza (dipartimento amministrazione penitenziaria ZH) della mia liberazione condizionale. In questa seconda negazione il DAP ZH richiede a Lenzburg una presa di posizione sulla mia liberazione condizionale da inoltrare per dicembre 2'013.
22 marzo 2013: confermando le sue previe dichiarazioni orali – e l’esistenza, perlomeno, di una certa contraddizione interna agli apparati repressivi –, la direzione Lenzurg ha inviato, anzitempo, al DAP ZH competente un rapporto di conduzione con richiesta di trasferimento in quest’estate 2013 in un carcere “aperto”. Velocemente i responsabili di Lenzburg e di ZH organizzano la riunione d’oggi 28 marzo 2013.
La richiesta di Lenzburg è categoricamente respinta dai responsabili di Zurigo per “alto rischio di pericolosità”, per la quale non potrebbero assumersi la responsabilità.
Le loro condizioni per degli “allentamenti esecutivi” rimangono che mi dissocio ed accetto la psichiatrizzazione della lotta rivoluzionaria/radicale e della relativa lotta armata e “visione del mondo”. Incontrando, naturalmente, il mio ennesimo deciso rifiuto.
Seguiva la dichiarazione di Lenzburg di non continuare, a queste condizioni, l’esecuzione della mia pena oltre l’estate 2013. Questo significa in pratica il mio ennesimo trasferimento di ritorno nel lager d’annientamento Pöschwies, Regensdorf, Zurigo.
+ BREVI (società del rischio);
Ieri il governo federale comunica al pubblico di affidare alle multinazionali dell’estrazione e del commercio delle materie prime con sede in Svizzera (Glencore/Xstrata ecc.) – che globalmente detengono la maggior parte di questo sporco affare assassino che dalla Svizzera si possono gestire, in sostanza, liberi da “regolamentazioni” e tasse – un miglioramento “etico” volontario delle loro pubblicamente sempre più discusse pratiche globali di estrazione e di commercio…
Oggi il tribunale federale concede al quarantenne reattore nucleare rottame ad alto rischio di Mühleberg (cantone di Berna), molto contestato dopo Fukushima, l’autorizzazione al funzionamento illimitato e capovolge così la sentenza marzo 2012 del tribunale amministrativo federale che per il 2013 dispose la chiusura transitoria della vecchia centrale nucleare rottame per motivi di pericolosità, fino alla “rimozione” delle sue carenze di sicurezza…
Marco Camenisch, lager Lenzburg, Svizzera, 28 marzo 2013
***
Con riflesso condizionato ed accanimento infantile il plotone d’esecuzione politico-psichiatrico (PDPP) zurighese dello Stato dell’atomo totalitario Svizzero, nel suo verbale della “riunione (tavola rotonda) del 28 marzo 2013” con oggetto l’istanza (1) della direzione della galera Lenzburg per “allentamenti esecutivi” (2) , reagisce oltre che con i soliti evergreen tipo “elevato pericolo di fuga”, “mancante collaborazione con le autorità statali” ecc. con extra ancora più ottusi per soddisfare le “Premesse basilari per allentamenti esecutivi”.
“Premesse centrali – di rilievo rispetto al rischio derivante dalla prognosi legale molto gravata come anche dal tracciato dei problemi del caso – per delle progressioni esecutive”, sarebbero, inoltre, udite udite ma non stupitevi di nulla, “La elaborazione dei suoi ambiti problematici (predisposizione cronicizzata alla violenza; visione del mondo che favorisce la delinquenza) nell’ambito di una terapia, per un miglioramento delle sua prognosi legale” e “Una chiara presa di distanza dai contatti sociali legittimanti la violenza.” (3)
Si sarebbe “arrivato” a tali conclusione “nell’occasione di una riunione interna della Direzione dei sevizi per la condizionale e l’esecuzione con il direttore della sezione per le valutazioni di psicologia forense”. “Anche se MC [ndr: Marco Camenisch] oggi nega un suo ricorso alla violenza, difende tuttavia tuttora la “lotta armata” tramite terzi. Visto i suoi gravi delitti nel passato come anche il suo ambiente sociale procriminale si deve perciò tuttora premettere un elevato pericolo di recidiva rispetto a gravi atti di violenza, come MC li commise nel passato (attentati dinamitardi, uso della violenza quando minacciato d’arresto).” “inoltre è intelligente (4) ed ha una vasta rete di relazioni sociali (5) nel paese ed all’estero (6) , che s’impegna fortemente per lui (7) , e lo considera una persona importante (“leader”) (8) nella lotta contro il capitalismo. È ovvio che una parte del suo ambiente critico dello Stato e parzialmente condannato penalmente non sarebbe avverso di essergli d’aiuto in una fuga dalla, secondo loro (9) non giustificata, sanzione...”.
E sotto “Conversazione con il cliente: (...) parla della sua posizione politica, ma rinuncia ad una presa di posizione sul contenuto dell’odierna riunione rimandando a quello da lui già detto, al quale rimarrebbe fedele.
Si procederà ad un’istanza di trasferimento nell’esecuzione “aperta”, per la quale di buon grado rinuncio alla “audizione legale” (10) . Il PDPP emanerà un ordine (naturalmente di rifiuto) che, al contrario del “verbale della riunione”, è legalmente valido (11) .
Nella Conversazione con il cliente feci notare alla responsabile del caso ed al suo direttore di reparto, cioè integranti del PDPP, una “certa problematica – finché non liberato – per il loro sistema” del mio caso, al che detto integrante PDPP vale a dire ottimista osservò beffardo che io, intendendo con questo naturalmente anche i miei contatti sociali che legittimano la violenza ed il mio amviente sociale procriminale, non sarei per “loro” nessun problema. Ed altro dei suoi ineffabili argomenti era: Lo sfruttamento ci sarà sempre. Esemplare per la patologia cronicizzata del potere ossia per, tra l’altro, la schizofrenia acuta delle menti criminali, come del PDPP, di un turpe regime tecnoscientifico totalitario con la sua criminale “visione del mondo” fascista, che per la propria sopravvivenza deve giocoforza sottrarsi anche alla più minima delle cognizioni corrette della realtà storica ed attuale! P. es. delle evidenti origini della violenza:
Finché c’è lo sfruttamento c’è lotta!!! Senza libertà ed equità nessuna pace!
Oppure, come nell’espressione di disponibilità cronicizzata alla violenza di Sartre: “..., la violenza, in quale forma che si può manifestare, è anche sempre un estremo fallimento. Ma è un fallimento inevitabile, perché viviamo in un mondo di violenza; e se è vero che il ricorso alla violenza contro la violenza rischia di perpetuarla, è anche vero che è l’unico mezzo per farla finire”!
1) Fotocopie di detta istanza e verbale PDPP sempre a compas CH, ed ev. disponibilità/verifica pubblica.
2) Vale a dire sulla contraddizione interna alla repressione, vedi seguito.
3) Ossia di tutti, per es. da simpatizzanti della teologia della liberazione, da gente che ha fatto la naia, da bambini che giocano a guardie e ladri, ecc.! (neretti miei)
4) Già! Come di nuovo dimostrato e qui implicitamente detto dal PDPP: l’ottusità è dovere e l’intelligenza, un fattore di pericolosità per il sistema!
5) Certamente pericolosa! Solo con l’egocentrismo e l’iosolamento sociale si può dominare!
6) Vale naturalmente anche per il nazionalismo!
7) La solidarietà invece, è il pericolo n. 1!
8) Per i/le burocrati, vale a dire gli utili idioti specializzati, come del PDPP, del totalitarismo tecno-scientifico capitalista, anche le più umili conoscenze accademiche di base sulla teoria e pratica sociale rivoluzionaria/resistente (e sull’anarchia, poi!) sono naturalmente una sfida intellettuale troppo enorme...
9) Ah si... solo loro?
10) Per totale inutilità oggettiva e la nausea durevole ogni volta provocata dal PDPP.
11) Ragione dell’istanza – ricorsi, appelli...
Marco Camenisch, Lenzburg, 13 aprile 2013
lettera dal carcere di alba (cn)
Ciao a tutte e tutti, […] in questo periodo in cui, a causa della repressione, sempre più compagni si trovano in carcere è nostro dovere come detenuti rifar partire le lotte anticarcerarie comunicando all'esterno quello che il carcere in realtà è: un contenitore di tutti i problemi che questa società non vuole affrontare, dove sono i poveri a pagare le colpe di una società e di uno stato sempre più legato alle leggi della finanza che al benessere del cittadino.
Bisogna far capire dentro le carceri che è possibile far valere i propri diritti e all'esterno che in carcere oggi in italia non ci sono criminali ma solo proletari in cerca di riscatto. Bisogna far capire alla gente che i detenuti non sono pericolosi e che l'allarme sicurezza tanto sbandierato dai media non è altro che pura propaganda elettorale.
Basta dare un occhio alle statistiche per vedere che ormai i delitti familiari hanno superato quelli per mafia e che la microcriminalità è in diminuzione. Il carcere non va svuotato con un'amnistia, sarebbe un atto di clemenza e i detenuti non hanno bisogno di clemenza ma di giustizia. Il carcere va chiuso subito perchè è una struttura inumana, peggiorativa e anticostituzionale secondo i canoni di giustizia che lo Stato dice di rappresentare, senza dover andare a prendere ideali di giustizia sociale e di libertà che sono parte di me e di molti altri ma che di sicuro la giustizia borghese non comprenderebbe e vorrebbe reprimere. Vi rinnovo la mia stima e vi ringrazio ancora per tutto quello che fate.
Un abbraccio, Dayvid.
16 aprile 2013
Dayvid Ceccarelli, v. Vivaro, n.14 - Alba (CN)
Parma: Occupato lo Spazio Popolare Sovescio
Questa mattina è stata occupata l'ex scuola abbandonata di Marore. Uno spazio lasciato al degrado, come segnalato da residenti e cittadini, da oltre quindici anni. Con questa azione sociale vogliamo rivendicare il diritto di tutte le persone a riappropriarsi degli spazi abbandonati e vuoti. Il Comune, lo Stato e alcuni privati cittadini lasciano cadere a pezzi molti luoghi come questo, in attesa che arrivi il momento più proficuo per la speculazione.
Chi siamo? Un gruppo di ragazzi che si sono stancati di vedersi ogni giorno ignorati e sopraffatti dalle istituzioni e dalla politica. I poteri statali ed industriali approfittano del pretesto della crisi economica per distruggere quei pochi diritti che ancora ci sono rimasti.
Abbiamo deciso di recuperare questo spazio abbandonato da anni per trasformarlo in un servizio per la cittadinanza, dove chiunque possa proporre nuove idee e progetti o partecipare a quelli già esistenti. Lo spazio popolare Sovescio è un luogo libero dai pregiudizi e dalla logica del lucro e si fonda sui valori principali dell’antifascismo e dell’autogestione. Ecco i nostri primi progetti.
La creazione di orti sociali da destinare ai cittadini, dove le persone possano coltivare direttamente i propri prodotti agricoli ed essere così consapevoli dell'origine dei prodotti che mangiano L’organizzazione di una palestra popolare dove condividere insieme i valori dello sport e del rispetto degli altri individui. I corsi iniziali andranno dalla difesa personale (Ju-jitsu, Muay thai) alla danza, dalla pesistica allo Yoga L’apertura di un’area destinata all’arte, dove soprattutto i più giovani (artisti, fotografi, musicisti, writer o skater) possano esprimersi e trovare spazio per la propria passione.
Una zona abitiva libera dalla logica del profitto e dal rischio sfratti, dove lavoratori e studenti in difficoltà possano trovare un luogo di riparo temporaneo.
26 aprile 2013
da informa-azione.info
Firenze: Nuova occupazione!
Ottimo umore in questi giorni a Firenze da quando un gruppo piuttosto eterogeneo (per età e composizione) di compagni ha occupato una palazzina (di proprietà del comune e sfitta da anni) nel centrale quartiere di San Frediano Questa occupazione segue quella di un altro spazio liberato da poco più di un anno nella stessa zona, e si inserisce in un percorso di radicamento in un territorio che sta tentando di opporsi ad i progetti speculativi che lo vogliono distruggere. Ottima la risposta della gente, la sbirraglia per il momento latita. Segue il volantino distribuito in questi giorni.
IL QUARTIERE E’ DI CHI LO VIVE, NON DI CHI CI SPECULA!
San Frediano è un quartiere storico, perché strade e piazze hanno una struttura ancora a misura d’uomo, lontana dall’urbanistica tipica delle metropoli fatte di colate di cemento e centri commerciali, e ciò rende possibile il mantenimento di un certo livello di relazioni e socialità tra le persone che lo abitano.
Ma è proprio in un terreno come questo che, in nome della sicurezza e del bello, vengono agiti cambiamenti e trasformazioni calati dall’alto. Comune e speculatori vari hanno trovato l’ennesimo territorio in cui investire andando a sconvolgere il tessuto urbano e sociale del rione.
Basta guardare a progetti come quello del parcheggio di piazza del Carmine, che, finalizzato solo alla venuta di facoltosi turisti, muterebbe totalmente l’assetto della piazza e delle vie circostanti, e alla sottrazione di importanti spazi comuni di socialità come i giardini Nidiaci, e tutto in nome del profitto. O ancora pensiamo a chi viene sfrattato da polizia e ufficiali giudiziari poiché diventa impossibile pagare gli affitti che si innalzano sempre di più, ed è costretto a trasferirsi altrove.
A questo punto potremmo dire che quello in atto è un vero e proprio attacco alle nostre esistenze ed è per questo che abbiamo deciso di giocare un ruolo in questa partita, opponendo al piano di riqualificazione dei padroni la costruzione di una quotidianità altra, basata sulla socialità e la condivisione.
Per questi motivi abbiamo deciso oggi di riappropriarci di uno spazio abbandonato, per renderlo attraversabile da tutti quelli che si riconoscono in quest’ottica e hanno voglia di reagire e dare vita al quartiere come noi vogliamo che sia.
I primi progetti che nasceranno in questo nuovo spazio sono una biblioteca e un archivio di memorie orali del quartiere, e ovviamente invitiamo tutti a portare le proprio proposte e iniziative per costruirle insieme. Vieni a trovarci in via del leone 60.
26 aprile 2013
da informa-azione.info
AUTORECUPERIAMO MONZA!
Oggi insieme alle famiglie del Comitato monzese per il diritto alla casa, Unione Inquilini e i collettivi studenteschi monzesi, siamo entrati nell'edificio di via Appiani 17 che ospita i Servizi Sociali. Stiamo trasformando una parte del secondo piano (completamente inutilizzato) in un appartamento vero e proprio che verrà consegnato alla prima famiglia che verrà sfrattata così da dimostrare che la pratica dell'autorecupero è possibile e praticabile.
Questo edificio appartiene al Comune che vorrebbe venderlo, privandoci di un pezzo di patrimonio pubblico. L'edificio fu donato da Bartolomeo Zucchi alla città vincolandolo ad un uso esclusivamente sociale, presupposto che verrebbe tradito dalla svendita. Nel 2011 il consigliere Faglia evocò il fantasma di B. Zucchi per impedire al borgomastro Mariani di alienare lo stabile dal patrimonio pubblico; ora cambiano i partiti al potere, ma la sostanza sembra rimanere invariata.
La nostra azione si inserisce all’interno di una giornata di lotta internazionale, 15 maggio 2013, in cui centinaia di comitati, gruppi, spazi politici si mobilitano contro l'austerity attraverso azioni coordinate nelle città di tutta Europa. In Italia i lavoratori delle cooperative della logistica e i movimenti per il diritto all'abitare sono in piazza con cortei, presidi, scioperi e azioni dimostrative.
A Monza abbiamo deciso di prendere parola sull'emergenza sfratti: nell'ultimo anno, a causa della crisi economica, della precarizzazione del mercato del lavoro e di una difficoltà sempre maggiore ad accedere al reddito, sono aumentate in modo esponenziale le famiglie che non riescono a pagare l'affitto e di conseguenza gli sfratti per morosità incolpevole.
All'inizio del suo mandato, l'amministrazione comunale di Monza aveva annunciato di voler inserire le politiche abitative e il problema della casa al centro dell’agenda politica. Dopo pochi mesi sono però emerse le prime difficoltà e contraddizioni: le istituzioni sembrano non essere in grado di affrontare il problema complessivo e di uscire dall'emergenzialità del singolo caso. Appare evidente che non ci si è resi conto che servono provvedimenti drastici e coraggiosi che mettano in discussione la gestione passata delle politiche abitative.
I bandi di assegnazione di case popolari (sia ordinario che d'emergenza) hanno trovato una soluzione solo per 50 famiglie su oltre 800 richieste: ad oggi solo una piccola parte degli appartamenti assegnati sono stati effettivamente consegnati agli aventi diritto.
Per gli sfrattati (si viaggia al ritmo di 2/3 sfratti a settimana) che non sono in graduatoria invece vengono adottate “non-soluzioni” in residence o comunità estremamente costose per il Comune e la collettività (fino a 2000 euro al mese a perdere versate a strutture private) e che rischiano la divisione dei nuclei famigliari.
Non solo la Giunta si affida al settore privato, ma delega un problema prettamente abitativo ai Servizi Sociali che non hanno a disposizione mezzi adeguati per affrontarlo. Questi uffici sono costretti ad andare al di là delle loro competenze ordinarie, trasformandosi di fatto nell'Ufficio Sfratti.
La carenza cronica di abitazioni a canone sociale non è da risolvere con nuove costruzioni private, ma, ad esempio, con la valorizzare del patrimonio pubblico esistente attraverso la formula dell’autorecupero. E’ una pratica che necessita l’attivazione diretta dei futuri inquilini, affinché edifici (anche non residenziali) come la sede del Servizio Sociale in via Appiani e Ex ASL di via Reginaldo Giuliani possano essere ristrutturati e adibiti ad abitazioni temporanee, anziché essere messi in vendita a privati. Questo progetto è stato da noi presentato a gennaio all’amministrazione comunale, oggi ne diamo una piccola dimostrazione pratica.
Finchè non si trovino delle soluzioni strutturali, che mettano a sistema provvedimenti drastici come anche la requisizione dello sfitto privato, si devono bloccare con urgenza gli sfratti per morosità incolpevole. Serve considerare come primaria la risoluzione della problematica abitativa: in città la tematica è di scottante attualità e non è più possibile affrontarla con strumenti palesemente inadeguati.
15 maggio 2013
F.O.A Boccaccio 003, Comitato Monzese per il Diritto alla Casa
boccaccio.noblogs.org
milano: LA POLIZIA IN UNIVERSITÀ, GLI STUDENTI IN MEZZO A UNA STRADA
Lunedi 6 maggio, gli studenti che occupavano e vivevano la libreria autogestita ex-cuem, situata nella sede centrale della statale di Milano, si sono trovati di fronte uno scenario di devastazione quasi lunare. Durante il weekend, l’aula era stata devastata da una squadra di tirapiedi al guinzaglio del rettore Vago, che avevano proceduto a smontare tutto ciò che si trovava al suo interno, dagli scaffali alle piastrelle del pavimento.
Ma gli occupanti e gli studenti solidali non si sono dati per vinti e, dopo un corteo interno all’università, hanno occupato una nuova auletta, dove poter continuare i propri percorsi di lotta e riappropriazione contro l’università-azienda e la mercificazione del sapere.
Ma il rettore Vago e il dirigente amministrativo Annunziata non hanno decisamente apprezzato la cosa.
Poco dopo, ben 10 blindati di polizia e carabinieri si sono dati appuntamento poco distante la statale, in piazza Santo Stefano, attendendo solo l’autorizzazione del rettore a intervenire.
Non appena ricevuta, un’ottantina di sbirri si sono precipitati, manganello in mano e casco in testa, contro gli studenti, caricandoli ripetutamente e mandandone ben 4 all’ospedale con braccia e teste rotte. E’ così che baroni e aziende vogliono le nostre università: fuori gli studenti e dentro la polizia.
Aziendalizzano quel poco che rimane dell’università pubblica - ricercando una maggiore produttività inesistente - mercificano il sapere rendendolo un altro semplice oggetto da vendere sui mercati, precarizzano il futuro lavorativo delle presenti e future generazioni, devastano i territori come gli spazi autogestiti dagli studenti, che ogni giorno si autorganizzano nelle scuole e nelle università resistendo a questo sistema di cose.
Con ogni evidenza abbiamo assaggiato una parte dei piani di ristrutturazione e aziendalizzazione che tendono a creare un’università infinitamente più classista che, lungi dal voler appianare le differenze di classe, sempre più diventa uno strumento in mano a confindustria e governi per estendere ed esasperare lo sfruttamento e l’ulteriore impoverimento delle classi sociali più deboli.
Possiamo riassumere il tutto con la frase che un baldo operatore di polizia (vedi Sbirro infame) ha pensato di rivolgere ad una studentessa: “gli studenti devono stare fuori dall’università”.
Non abbiamo dubbi in merito a questo desiderio da parte degli organi repressivi dello stato, dei governi e, non ultimi, i consigli d’amministrazione dei nostri atenei.
Questo è un attacco che come studenti e studentesse ci riguarda tutti e tutte. È un attacco a chi autorganizza percorsi di lotta all’interno delle università, per riprendersi il diritto ad una qualità della vita e del diritto allo studio che vogliono toglierci e che ci appartiene, e che richiede una risposta collettiva e organizzata.
SOLIDARIETÀ AGLI STUDENTI E ALLE STUDENTESSE DELLA EXCUEM
RIPRENDIAMOCI CIÒ CHE CI SPETTA!
7 maggio 2013
Assemblea Scienze Politiche - Milano
(scienzepolitichemilano@inventati.org - spomilano.noblogs.org)
Nei giorni successivi lo spazio è stata rioccupato.
riflessioni e cronaca sulla giornata del 7 a napoli
La giornata del 7 Maggio a Napoli va analizzata in tutta la sua complessità poiché a parer nostro molti sono gli aspetti da approfondire e su cui sentiamo l’esigenza di esprimerci.
La necessità di portare solidarietà ai compagni e alle compagne del movimento studentesco milanese colpiti il giorno prima da cariche di polizia e carabinieri all’interno della Statale, ci ha fatto scendere in strada in forma di presidio in occasione della visita istituzionale del neo ministro della Istruzione Carrozza. Torneremo a questo dopo, cercando di ripercorrere in ordine cronologico la giornata.
Il primo dato che salta agli occhi, testimoniato da video e foto abilmente strumentalizzate dai mezzi di comunicazione, è un innalzamento del livello repressivo da parte degli organismi di Polizia. Questo inasprimento non ha riguardato solo una realtà di lotte locali ma ha assunto un profilo nazionale. Ne sono un esempio gli episodi di violenza poliziesca come risposta ai percorsi di lotta dei lavoratori della logistica di Bologna o dell’Ikea di Piacenza o dei lavoratori della Esselunga.
Più si manifestano le contraddizioni della crisi, più gli spazi di dissenso si riducono fino a scomparire. Fino a pochi anni fa, durante le contestazioni ai ministri dell’istruzione o chi per essi, si cercava almeno di salvare la faccia. Venivano impiegati alcuni strumenti come Udu/Uds che venivano accettati in delegazione per mostrare la disponibilità dello Stato. In questa fase non esiste alcun margine di trattativa né di discussione. La crisi rende più difficilmente tollerabili il dissensodella classe sfruttata che si vede rapinata di diritti, salario e futuro.
E allora cariche a freddo contro lavoratori e studenti, intimidazioni, sgomberi di spazi occupati diventano le uniche risposte che questo sistema economico offre e può offrire.
Riteniamo imprescindibile un’analisi della fase che tenga conto degli attuali rapporti di produzione e dei conseguenti rapporti sociali per riuscire ad organizzare una risposta adeguata. I numerosi percorsi di lotte ambientali, studenteschi e lavorative non possono sopravvivere senza la capacità di strutturare una risposta consapevole e costante a questi attacchi che non tarderanno a ripetersi e ad alimentarsi piuttosto che a diminuire nella propria violenza repressiva.
Ore 12:00. Partiti dal centro, gli studenti si sono recati in presidio sotto la Prefettura in piazza Plebiscito. Il presidio è nato in solidarietà agli studenti Milanesi colpiti dalle violente cariche della polizia dentro l’Università Statale di Milano, in seguito allo sgombero della biblioteca autogestita “Ex-Cuem”. La piazza non era vuota: una trentina di ex dipendenti del consorzio di Bacino, addetti alla raccolta differenziata, afferenti al Sindacato Confederale Nazionale Lavoratori Italiani, avevano un incontro programmato con il Prefetto a quell’ora.
Ore 12:40. Dopo un primo momento di compresenza, al lancio da parte degli studenti di alcuni cori antifascisti la situazione è degenerata per la provocatoria presenza di Salvatore Lezzi, fondatore di Forza Nuova a Napoli, arrestato nel 2003 per l’estorsione di tangenti dei disoccupati in connubio con lo storico clan Misso della Sanità, da sempre vicino all’estrema destra napoletana. Lezzi, assieme ad un altro gruppetto di infami ha iniziato un aggressione verbale e fisica nei confronti del presidio. Spinte, calci e minacce tutto questo sotto gli occhi di celere e digos. A questa aggressione fisica e verbale, si è cercato di dare una risposta seppur improvvisata e non organizzata. Non si è però riusciti a resistere alla successiva carica di celere che, ignorando il gruppo di fascisti, si è scagliata contro gli studenti, sospingendoli verso la piazza e riuscendo a fermarne uno.
Ore 13.10. Non cedendo al ricatto dell’abbandono immediato della piazza in cambio del rilascio del compagno, gli antifascisti sono rimasti in forma di presidio. Dopo un apparente momento di calma, alcuni dei principali protagonisti della provocazione iniziale hanno tentato di aggirare lo schieramento di celere. Proprio Salvatore Lezzi ha lanciato un casco in direzione del presidio non riuscendo a cogliere l’obiettivo. A questo punto è intervenuto un agente della digos che ha amichevolmente raccolto il casco da terra, restituendolo al camorrista/fascista. Grazie all’intervento di un Digos, dunque, il lancio è stato ripetuto due volte. Contemporaneamente altri sgherri si avvicinavano provocatoriamente ai compagni in atteggiamento di aperta sfida. Fianco a fianco fascisti e celere con. l’ausilio dei blindati, hanno caricato congiuntamente, costringendo gli studenti a ripiegare ai margini della piazza. Proprio in questi frangenti avviene il secondo fermo ai danni di un compagno riconosciuto, pestato, tradotto all’interno della Prefettura in cui sono continuate intimidazioni e vessazioni (schiaffi e altri colpi ai genitali). Nei video si vede distintamente uno dei servi fedeli di Lezzi lanciarsi contro i compagni e sistemarsi una cosa nella tasca destra; dal presidio si vedeva chiaramente il ferro di una lama brillare. Durante tutto lo svolgimento della dinamica e le cariche la Digos non si è accontentata di mantenere il solito, finto livello concertativo ma è stata anch’essa esecutrice e protagonista di offese verbali e fisiche e di continue provocazioni, altro segnale dell’innalzamento repressivo generale che suona anche come un campanello per chi in questi anni ha creduto di poter stabilire delle relazioni con questi soggetti. Al secondo ricatto il gruppo di compagni ha dovuto definitivamente sciogliere il presidio e riunirsi verso il Rettorato dove era prevista un’occupazione e una conferenza stampa.
Ore 14. Il Rettorato della Federico II è stato occupato per un’ora e mezza. Ovviamente il Rettore non si è mai presentato.
Si è deciso di continuare la giornata conoscendo la presenza nel pomeriggio in pieno centro storico del Ministro Carrozza.
Ore 16. Da Palazzo Giusso un centinaio di studenti si sono mossi per le strade del centro, intenzionati a denunciare quanto successo la mattina. Dopo aver attraversato le vie del centro storico ed arrivati in prossimità del Conservatorio di S.Pietro a Majella che ospitava la terza tappa dell’incontro con il Ministro Carrozza, il corteo si è trovato di fronte ad un dispiegamento di celere che impediva il passaggio. Si è perciò ripiegati in un vicolo secondario provando a raggiungere il conservatorio salendo via San Sebastiano. Neanche il tempo di disporsi in maniera più compatta che da Piazza Bellini, abbondantemente presidiata da Carabinieri e Polizia, si è distaccato parte di un plotone di Celere con alla testa il Vice Questore Fiorillo (già noto per la direzione di un reparto di Celere durante i giorni del G8 di Genova). La carica ha costretto al ripiegamento lo spezzone. I ragazzi che si trovavano a mantenere lo striscione sono stati colpiti brutalmente dalla carica che non si è fermata neanche di fronte ad auto e passanti. Questa carica ha di fatto chiuso il momento di contestazione.
Questa giornata ci lascia una serie di considerazioni da rapportare alla fase che cercheremo di puntualizzare:
1. Lo Stato in maniera efficace riesce a servirsi di strumenti che nel corso dei decenni ne hanno garantito la continuità e tutela. Fascisti e polizia oggi hanno ribadito che uno solo è il braccio armato del Capitale.
2. C’è un fortissimo innalzamento dello scontro tra classi e un conseguente aumento del ricorso agli strumenti repressivi.
3. Come risposta all’inasprimento del livello repressivo non risulta utile lo sbigottimento o peggio ancora il vittimismo che anzi riteniamo controproducente.
4. La sopravvivenza dei percorsi di lotta deve partire dall’unità dei percorsi reali. L’accantonamento di pietose mire egemoniche, diffidenze e di particolarismi sono sola tutela in grado di far fronte al livello di scontro messo in campo dalla controparte.
5. Il casco ti salva la vita!
9 maggio 2013
www.mensaoccupata.org
milano: Comunicato su sciopero logistica
Mercoledì 15 maggio 2013 si è tenuto il secondo sciopero nazionale dei lavoratori della logistica, indetto dai sindacati SI Cobas e ADL Cobas per il rinnovo del Contratto nazionale di lavoro.
Lo sciopero è stato un successo ovunque è stato organizzato, nei poli logistici del milanese (Settala-Liscate, Peschiera Borromeo, Carpiano), a Piacenza (TNT, GLS, Ikea), Bologna, Padova e Verona, Roma e (per la prima volta) Ancona, con partecipazioni vicine al 100%. In particolare a Bologna è stata bloccata gran parte dell'attività dell'enorme Interporto, che occupa diverse migliaia di lavoratori, e all'Ikea di Piacenza, dopo mesi in cui l'offensiva padronale aveva diviso il fronte dei lavoratori, la paura è stata sconfitta e lo sciopero è tornato unitario in tutte le tre cooperative presenti. È stata bloccata gran parte ell'attività dei maggiori gruppi della logistica: TNT, GLS, DHL, Bartolini, SDA.
Lo sciopero è stato un'occasione anche per informare i lavoratori incerti sulle motivazioni della giornata di lotta. Il vecchio contratto è stato infatti disdetto in anticipo dal fronte padronale che ha presentato una propria “piattaforma” che comporterebbe un arretramento di decenni per i lavoratori: più ore da lavorare (un'ora in più la settimana, eliminare 2 giorni di ferie e 32 ore di permessi all'anno, ecc.) per meno salario (via anche la 14a per i nuovi assunti, non pagamento della malattia al 100%), introduzione del lavoro a chiamata, inasprimento delle punizioni per infrazioni disciplinari, riduzione dei diritti sindacali.
I sindacati confederali da mesi stanno trattando con le associazioni padronali senza informare i lavoratori. SI Cobas e ADL Cobas hanno presentato una piattaforma che oltre a respingere i peggioramenti richiesti chiede il mantenimento delle condizioni contrattuali (inclusa l'anzianità) in caso di cambio di appalto, la possibilità per il lavoratore di scegliere se essere anche socio o solo dipendente (spesso i regolamenti interni delle cooperative peggiorano le condizioni contrattuali), il divieto di dividere i lavoratori tra più cooperative in uno stesso cantiere, il pagamento al 100% di malattia e infortunio, la riduzione dei livelli retributivi e 150 euro di aumento uguale per tutti. All'Ikea di Piacenza ad esempio i lavoratori incerti hanno aderito allo sciopero dopo averne apprezzato le motivazioni.
Dato che la stragrande maggioranza dei lavoratori ha scioperato, non vi è stato bisogno di bloccare i camion. Anche in Campania squadre di “propaganda” hanno utilizzato la giornata per informare i lavoratori non organizzati di alcuni magazzini a Marcianise. Dopo due scioperi nazionali riusciti il padronato del settore ha buoni motivi di riflettere se il rifiuto di trattare la piattaforma dei due sindacati di base non rischi di rivelarsi controproducente.
Lo sciopero di oggi, ancor più del precedente del 22 marzo, è una lotta in controtendenza nel panorama delle lotte operaie italiane ed europee. Non una lotta di difesa del posto di lavoro o contro misure di “austerità”, ma una lotta per il salario, le condizioni di lavoro, i diritti sindacali. Non l'arroccamento alla ricerca di una visibilità mediatica, ma il classico sciopero che arresta la produzione, per indurre i padroni a discutere le richieste operaie. E un generale sentimento di ritrovata dignità e rispetto tra i lavoratori che abbandonano il fatalismo rinunciatario e con lo sciopero diventano artefici del proprio destino.
Questa specificità è da un lato dovuta a fattori oggettivi, come il fatto che questo settore risente meno della crisi, la giovane età di gran parte dei lavoratori, il loro essere per oltre il 90% immigrati e quindi senza riserve accumulate in anni di vacche grasse, le condizioni spesso semischiavistiche di sfruttamento da cui lottano per liberarsi, e la minore influenza del sistema politico-sindacale istituzionale, e per gli arabofoni l'eco di piazza Tahrir. Ma questi fattori esplosivi hanno trovato un catalizzatore in una azione sindacale 'militante' che esalta la radicalità della lotta anche se è pronta a cogliere il risultato dei mutati rapporti di forza in accordi che migliorino visibilmente le condizioni di lavoro e salariali.
Siamo consapevoli dei limiti “sindacali” di queste lotte: raggiunti specifici e limitati obiettivi esse tendono a rifluire e manca un clima sociale generale che proponga obiettivi più avanzati. Esse tuttavia colpiscono grossi interessi e provocano dure reazioni padronali – ora soprattutto nel regno bolognese delle “coop rosse”, dove Coop Adriatica e Granarolo hanno colpito i lavoratori in lotta rispettivamente con 9 licenziamenti e 60 sospensioni, nel tentativo – riuscito (per ora) all'Esselunga e fallito all'Ikea di estirpare il sindacalismo militante e garantire il monopolio al sindacalismo addomesticato dei confederali. La risposta alla reazione-repressione padronale fa assumere a queste lotte connotati più politici e contribuisce a farle divenire punto di riferimento per l'area politica anticapitalista. Mentre il grillismo a caccia di voti moderati mostra il suo volto reazionario con le sparate nazionaliste anti-immigrati, le lotte nella logistica uniscono uomini e donne provenienti da decine di paesi di tutto il mondo oltre che italiani, accomunati dai comuni interessi di lavoratori salariati al di là del colore della pelle. Riteniamo importante sostenere queste lotte, per il loro schietto contenuto di classe e per il loro carattere anticapitalista e potenzialmente internazionalista. A partire da esse occorre costruire la ripresa del movimento di classe in Italia.
19 maggio 2013
COC - Comunisti per l'Organizzazione di Classe, Gruppo Comunista Rivoluzionario, Collettivo La Sciloria (www.combat-coc.org - lasciloria.noblogs.org)
milano: al san raffaele rientrano i licenziamenti
Dopo molti mesi di conflitto, varie mobilitazioni e a licenziamenti in corso, nella prima mattina di venerdì 10 maggio 2013, al termine di un incontro cominciato il giorno prima, presso la sede regionale ARIFL è stata sottoscritta un'ipotesi d'intesa tra l'Ospedale, la RSU (ha sottoscritto l'accordo la quasi totalità dei delegati) e le OO.SS. (tutti i presenti hanno firmato).
L'ipotesi di accordo sancisce il reintegro dei 64 lavoratori già licenziati, il ritiro di tutta la procedura e dei conseguenti licenziamenti, inoltre l'azienda s'impegna a non avviare altre procedure analoghe almeno fino al 31 dicembre 2014.
L'ipotesi d'accordo prevede decurtazioni salariali ma si è riusciti a spostare parte di queste decurtazioni verso le erogazioni unilaterali e/o individuali, spesso frutto di riconoscimenti clientelari; così da rendere tali decurtazioni più eque e progressive; non potranno in nessun modo essere decurtati indennità contrattuali. Non viene previsto il passaggio al CCNL AIOP (Sanità privata).
L'ipotesi sottoscritta sconfigge la volontà di annichilire i lavoratori e la loro rappresentanza sindacale. In modo responsabile la quasi totalità dei delegati RSU e USI hanno messo a frutto le mobilitazioni di questi lunghi mesi in un'ipotesi di accordo che sarà sottoposta al giudizio dei lavoratori.
USI-Sanità è stata parte attiva nella mobilitazione e lotta di tutti questi mesi e pertanto, giudica favorevolmente un accordo (pur nella sua onerosità per i lavoratori) che blocca il tentativo padronale di incidere sulla contrattazione collettiva e determinare una deregolamentazione salariale, l'azzeramento dei diritti e delle conquiste dei lavoratori.
maggio 2013
USIS Ospedale S. Raffaele
da usi-ait.org