indice n.74
Siria: LA GUERRA DI ALEPPO (seconda parte)
L'Egitto rivoluzionario che non crede più alle menzogne dei Rais
Gaza è la prova del cambiamento spesso promesso ma mai realizzato
AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Lettera dal carcere “Buoncammino” (Cagliari)
lettere DAL CARCERE DI PRATO
Lettera dal carcere di Spini di Gardolo (TN)
Lettera dal carcere di porto azzurro (LI)
lettera dal carcere di tolmezzo (ud)
tolmezzo: Voci da oltre le mura
lettera dal carcere di padova
Note sullo sviluppo dell’edilizia penitenziaria
carbonia: Resoconto di una giornata particolare
Lettera dal carcere “Pagliarelli” (palermo)
Lettera dal carcere di San Vittore (mi)
lettere dal carcere di velletri (roma)
Bergamo, 24 novembre: PRESIDIO CONTRO IL CARCERE
bergamo: CARCERE e REPRESSIONE
Diario novembrino dalla Val Susa ribelle
milano: Sgombero violento di una famiglia a S. Siro
milano: lo sgombero incombe sull ambulatorio medico popolare
milano: MESSI A BANDO
comparto logistica: é lotta senza tregua!
due righe sul 12 novembre a Napoli
Siria: LA GUERRA DI ALEPPO (seconda parte)
Pubblichiamo in due parti alcuni estratti di un reportage realizzato a metà di ottobre in Siria e pubblicato sul sito Fortress Europe dal quale abbiamo attinto spesso preziose informazioni sulle condizioni di sopravvivenza nei CIE, sulle lotte che vi si portano avanti dentro e anche approfondite analisi sulle politiche dell’ “emergenza” che caratterizzano la gestione imperialista dei flussi migratori. Nonostante siamo convinti che la guerra civile in Siria sia principalmente il prodotto dei tentativi di destabilizzazione dell’area da parte degli USA, così come accaduto recentemente in Libia o negli anni passati in Iraq, abbiamo deciso di riportare questi estratti perché oltre a fornire informazioni dirette su quanto sta accadendo in Siria danno conto di una realtà sociale e politica complessa nella quale insieme al ruolo dell’imperialismo statunitense emergono anche le tensioni alla rivolta, anche se contradditorie, in seno al popolo siriano.
ALEPPO […] non è detto che con la fine della dittatura finisca anche la guerra. O quantomeno non è detto che la guerra finisca senza un regolamento di conti tra sunniti e alawiti. Ovvero senza che altro sangue innocente venga versato. Dopotutto sarebbe la conseguenza naturale delle politiche di Bashar, che dall'inizio della rivolta ha scommesso tutto sulla divisione settaria del paese, facendosi protettore delle minoranze contro quello che la propaganda del governo chiama il terrorismo sunnita. Nei quartieri cristiani di Aleppo e Damasco sono state formate delle bande armate pronte a difendere le proprie comunità. Lo stesso è successo nei quartieri alawiti di Homs e nei villaggi delle regioni alawite. Ma è soprattutto nelle campagne che il regime ha giocato la carta del settarismo. Reclutando centinaia di alawiti per commettere il lavoro sporco dei massacri nei villaggi a maggioranza sunnita. Il copione è sempre lo stesso. L'esercito regolare bombarda per giorni interi i civili costringendo l'esercito libero al ritiro dalle zone abitate. Dopodiché le famigerate bande degli shabbiha, i tagliagole reclutati tra gli alawiti - la minoranza cui appartiene anche il presidente Bashar Al Assad -, entrano al seguito delle truppe per finire i superstiti, casa per casa, con il macabro rituale del taglio della gola. Senza nessuna eccezione per donne, bambini e anziani. Tremseh, Daraya, Houla, Kafr Awid... L'elenco dei massacri nelle campagne siriane è lungo. I morti centinaia ogni volta. E la firma sempre la stessa. […] Questa spropositata e ingiustificata violenza, oltre ad aver terrorizzato la popolazione siriana, ha sicuramente piantato il seme della vendetta. Dopotutto i combattenti dell'esercito libero non lo nascondono. Gli alawiti sospetti che incontrano nella città liberate vengono ammazzati su due piedi. Gli abitanti del posto fanno i nomi di chi ha torturato, stuprato e ucciso in nome del regime. E i combattenti dell'esercito libero tagliano loro la gola. Lo stesso accade per tutti gli iraniani e i libanesi trovati in giro. Per le inchieste non c'è tempo. Si dà per scontato che siano mercenari al soldo della dittatura e vengono giustiziati. […] La stessa sorte è toccata a Zaino Berri e ai suoi uomini. Prima della rivoluzione i Berri erano un clan mafioso che ad Aleppo controllava il mercato delle droghe e del contrabbando. Con l'inizio delle proteste il regime li aveva armati e finanziati affinché svolgessero il lavoro sporco della repressione. Ovvero omicidi, stupri, pestaggi, torture. Quando ad agosto l'esercito libero è entrato in città, sono stati i primi ad essere arrestati e quindi giustiziati con una scarica di mitragliatrice contro il muro, davanti a una folla esultante. E se questa è stata la reazione in una grande città come Aleppo, la reazione nelle campagne potrebbe essere molto più grave. Perché nelle campagne si aggiunge il fattore settario. Ad Aleppo infatti Berri e gli altri shabbiha erano sunniti, come la maggior parte delle loro vittime. Nelle campagne invece, i massacri nei villaggi sunniti sono stati commessi dalle milizie alawite dei villaggi vicini. E lo stesso è accaduto a Homs, dove fin dall'inizio della repressione il regime ha diviso la città in due, isolando il quartiere alawita con decine di posti di blocco e usandolo come base per i bombardamenti sui quartieri sunniti.
A distanza di 19 mesi dall'inizio della rivoluzione, il sangue versato è tanto che un capovolgimento dei rapporti di potere e un'avanzata dell'esercito libero potrebbe significare una vendetta collettiva contro le zone alawite. Anche se la maggior parte dei combattenti dell'esercito libero giurano che non accadrà. […] Il problema è che quando di mezzo ci sono le armi, per fare un massacro non c'è bisogno delle maggioranze. Basta una brigata di cento uomini. È inutile nasconderlo. Le armi sono finite in mano a gente molto diversa e al vuoto di potere che seguirà l'avanzata dell'esercito libero, corrisponderà un clima di impunità che farà sì che tutto possa accadere. Il caso della guerra in Libia nel 2011 insegna. E non è stato raccontato abbastanza. Anche in Libia i ribelli erano giovani di estrazione popolare che avevano imbracciato le armi in nome della libertà e della democrazia. Eppure non esitarono a vendicarsi dell'assedio subito a Misrata, distruggendo la vicina città di Tawargha uccidendo centinaia di civili e costringendo alla fuga più di 40mila persone che, a distanza di un anno, non sono ancora tornate nelle loro case. Gli stessi rivoluzionari, per vendicarsi delle forze mercenarie di Gheddafi, arrestarono centinaia di civili africani e ne uccisero decine e decine. E infine, per vendicarsi del clan di Gheddafi, i ribelli bombardarono e saccheggiarono oltremisura la sua città natale, Sirte. Lo stesso potrebbe succedere anche in Siria. La vendetta collettiva è ciò che più temono tutti gli attivisti del movimento non violento siriano. Per loro in Siria è già stato versato troppo sangue. [...]
CAIRO - È notte fonda, e dal terrazzo di un vecchio albergo del Cairo salgono i fumi dei narghilé alla mela. I bicchieri sono pieni di birra. Intorno ai tavolini, una decina di oppositori siriani cercano di dimenticare i mali dell'esilio. Khalaf è un poeta, Wassim un webdesigner, Rita una formatrice, Maan un regista, Fadi un commerciante, Farzand un medico, e Khater un musicista. Doveva esserci anche Louise, un'attrice, ma stasera non è potuta venire perché oggi ha iniziato uno sciopero della fame in piazza Tahrir con altre tre ragazze: la poetessa Tibi e le attiviste Rola e Salma. Diciotto mesi fa erano a Homs, Aleppo e Damasco, tra i primi organizzatori di quello che delle primavere arabe è stato il più duraturo, creativo e organizzato movimento non violento e laico. Laico sì perché Khater e Khalaf sono sunniti, Rita e Louise alawite, Maan druso, Fadi cristiano e Farzand curdo. E perché Wassim che è ateo, è entrato per la prima volta in una moschea durante la rivoluzione, perché le moschee erano gli unici luoghi dove ci si poteva aggregare in massa, il venerdì durante la preghiera, per poi uscire in una manifestazione prevenendo le forze di sicurezza. La folle repressione del regime ha cambiato il loro destino. Dei compagni di quelle prime manifestazioni, molti sono stati uccisi in carcere o sono morti sotto le bombe. Gli altri sono fuggiti per salvarsi la vita. E dall'esilio cercano di supportare la rivoluzione, almeno sulla rete. […] Diciotto mesi fa, nessuno di loro avrebbe mai immaginato che la rivoluzione sarebbe passata alle armi. Wassim all'inizio era convinto che il regime sarebbe caduto nel giro di qualche settimana, come era successo in Tunisia e in Egitto. E la sua unica preoccupazione quando venne arrestato nell'aprile 2011, era che non avrebbe vissuto quel momento storico con i suoi compagni. Col senno di poi, ammette di aver peccato di ottimismo. Prima della rivoluzione Wassim aveva un'avviata impresa di informatica. Da quando è fuggito, ha speso i risparmi di una vita per sostenere il movimento non violento tra Beirut e Istanbul. E ormai ridotto sul lastrico, si è fermato al Cairo. Vive in un modesto bilocale a Saad Zaghloul, insieme a uno studente dei movimenti universitari di Aleppo, anche lui in esilio. Mi versa un bicchiere di raki. Allungato con acqua e qualche cubetto di ghiaccio. Sul suo nome pendono quattro mandati di arresto. Tornare a Damasco è impossibile. Di combattere con l'esercito libero non ne vuole sentire parlare. Wassim è convinto che la guerra sia stata una scelta sbagliata. Dettata dai paesi del Golfo e dagli americani per sostituire Bashar con un governo islamista amico e indebolire così Hezbollah e l'Iran. All'inizio aveva pensato di andare a documentare i massacri del regime e di fare un film sul ruolo della minoranza alawita nella rivoluzione, ma ha cambiato idea dopo la morte sotto le bombe di due suoi cari amici registi: Basel e Tamer. È grazie a ragazzi come loro se si sa qualcosa di quello che sta succedendo in Siria. I giornalisti internazionali infatti coprono soltanto la città di Aleppo. Avventurarsi nel resto del paese è troppo pericoloso. Eppure ogni giorno sono diffusi in rete migliaia di video da ogni cittadina siriana e da ogni quartiere di Damasco e di Aleppo. Girati da giovani reporter siriani volontari che passano le giornate sul fronte a rischio della propria vita. E poi caricano tutto su facebook, su pagine condivise da centinaia di migliaia di siriani. Gente comune che a sua volta rimbalza in rete i contenuti. Non credo ci sia nella storia nessun altro esempio di una guerra con una copertura mediatica così capillare e così partecipata. Anche Wassim per alcuni mesi ha lavorato sul fronte dell'informazione. Era a Istanbul allora ed era responsabile della formazione giornalistica degli attivisti siriani, e del contrabbando in Siria di telecamere, computer, software e modem satellitari. Ma quelli sembrano giorni lontanissimi. […] “Alcuni egiziani mi chiedono come andare in Siria per combattere la jihad e difendere i sunniti. Pensano che la guerra sia tra sunniti e sciiti, non hanno capito che è una rivoluzione. E tutto questo a causa delle notizie diffuse in modo distorto da Al Jazeera e Al Arabiya, i cui editori, Arabia Saudita e Qatar, hanno una chiara agenda politica”. Un'agenda che spaventa Wassim e gli altri attivisti del movimento civile. Dopotutto gli unici che stanno finanziando l'esercito libero sono governi islamisti. L'Arabia Saudita, il Qatar, la Turchia. E poi ci sono gli Stati Uniti che appoggiano i Fratelli musulmani, come hanno fatto in Egitto. L'esercito libero siriano non ha un'agenda islamista, ma ha un dannato bisogno di soldi e di armi. “Ho un amico, un ex generale che ha disertato, ci ho parlato su skype l'altro giorno dopo averlo visto su Al Jazeera con la barba lunga quando so che è un gran bevitore di raki. Dice che in guerra se non hai armi muori, e che con la barba lunga lo pagano meglio. Per lui è tutta una farsa, ma poi le milizie dei mujahidin ci sono davvero. Hanno portato in Siria combattenti libici, ceceni. Le loro idee radicali ci fanno paura. Non vogliamo uno stato islamico. Sono ancora una minoranza, ma sono un pericolo. Anche perché la stampa internazionale parla solo di loro e così discredita la rivoluzione”. E lo stesso sta facendo la propaganda del regime. Che ormai si tiene in piedi soltanto grazie a una sapiente costruzione della paura. […]
Ottobre 2012
da fortresseurope.blogspot.it
L'Egitto rivoluzionario che non crede più alle menzogne dei Rais
Applaudito dai Salafiti e dai Fratelli Musulmani il neoeletto presidente dell'Egitto Morsi, con una sola mossa ha reso le decisioni presidenziali inappellabili, ovvero non ci saranno strumenti istituzionali e giuridici per opporsi alle decisioni del presidente eletto. Neanche pochi mesi dall'elezione e l'Egitto ha il suo nuovo Rais, sta volta “moderatamente” islamista.
Ma se mancano strumenti istituzionali e giuridici per opporsi al nuovo corso reazionario dell'Egitto post-Mubarak, l'opposizione e il proletariato giovanile stanno tornando a sollevare la piazza ed è scontro con l'impunita macchina della repressione dello stato egiziano. Decine e decine le città attraversate da cortei e presidi, e nella maggior parte dei casi sono state assaltate, distrutte e incendiate le sedi del partito della fratellanza musulmana Giustizia e Libertà. Intanto le migliaia di manifestanti che presidiano piazza Tahrir al Cairo allestiscono tende e alzano barricate, mentre tuona ancora una volta lo slogan della rivoluzione “Il popolo vuole la caduta del regime!”.
Quanto sta accadendo in Egitto in questi minuti non sollecita solo l'urgenza di approfondire le tendenze dei processi rivoluzionari in nord africa e altrove (su cui nei prossimi giorni torneremo) ma impone a mio avviso la constatazione che ormai una buona parte del proletariato arabo non crede più alle menzogne dei propri Rais (siano questi monarchi, islamisti o laici) e alle finte promesse di una futura Palestina libera. C'era un patto imposto dalle autorità ai propri governati in diversi paesi arabi fino a poco tempo fa: cedetemi libertà civili e sociali e i nostri eserciti libereranno la Palestina. Quel patto costituiva una vergognosa menzogna che veniva giocata nell'opinione pubblica, mentre, e negli ultimi tempi senza neanche grande discrezione, o si accondiscendeva direttamente agli interessi sionisti e della Casa Bianca, oppure si diveniva pedina di normalizzazione dell'area tanto utile ad Israele.
La durissima contestazione ai Fratelli Musulmani e al nuovo Rais Morsi che sta divampando in questo venerdì di lotta egiziano, proprio all'indomani del suo battesimo nelle relazioni diplomatiche orientate dalla Casa Bianca, ci dice che a Piazza Tahrir le finte promesse dei Rais sono solo altra benzina per far bruciare le barricate rivoluzionarie.
Certo che a Gaza hanno festeggiato non appena è stata decretata la tregua! E come non gioire e festeggiare in piazza, e come non considerare la tregua un utilissimo momento tattico politico-militare per riorganizzare le forze! Ma ciò che forse da oggi possiamo salutare con il sorriso, è che sulle barricate e tra gli slogan dei movimenti in lotta nei paesi arabi torna con nuova forza politica e determinazione la parola rivoluzione al fianco della Palestina, ben lontana da eserciti guidati da corrotti e filo sionisti Rais tenuti al guinzaglio dalla Hilary Clinton di turno. Viva Piazza Tahrir! Viva Palestina!
23 novembre 2012
da infoaut.org
Gaza è la prova del cambiamento spesso promesso ma mai realizzato
Nel marzo 1996, i capi di 29 paesi si incontrarono nel resort egiziano di Sharm El Sheikh per un “Summit dei Conciliatori”. Co-ospitato dal presidente egiziano Hosni Mubarak e dal presidente americano Bill Clinton, il suo scopo era quello di formulare un piano di pace per porre fine al conflitto in Palestina e iniziare il processo di creazione di uno stato palestinese. Clinton disse che il summit era stato “testimonianza e promessa di un cambiamento positivo in questa regione”. C’era, in effetti, una promessa, ma mancava la prova del cambiamento. Tuttavia, con l’ultimo bombardamento di Gaza da parte di Israele, la vera prova è finalmente emersa.
Mentre tutti i paesi arabi, con l’eccezione della Siria e del Libano, partecipavano al summit di Sharm El Sheikh per condannare la resistenza palestinese, nel 2012 si riunirono a Gaza, durante il blitz di Israele, per proclamare il loro appoggio alla resistenza palestinese. Gaza è la prova del cambiamento che è stato spesso promesso ma non è mai stato realizzato, finora.
Mentre si impegnava a porre fine ad ogni violenza, l’ultimo presidente palestinese, Yasser Arafat, disse ai “conciliatori” che “il nostro sogno di libertà e indipendenza non potrà mai prosperare nel mezzo di un mare di lacrime e sangue”. Incoraggiò Israele a porre fine alla sua politica di chiusura della Cisgiordania e di Gaza. “La punizione collettiva non è mai stata lo strumento appropriato per garantire sicurezza e stabilità”, disse.
Sharm El Sheikh ha offerto a Israele e a coloro che lo appoggiano un’altra opportunità per onorare le proprie promesse e riconoscere i diritti dei palestinesi. Non è stata la prima volta che Israele l’ha sprecata riscrivendo ogni accordo e rifiutando le offerte di pace arabe e palestinesi. Per di più, Israele ha fatto il passo più lungo della gamba quando Netanyahu ha deciso di ordinare l’assassinio extragiudiziale di Ahmad Al-Jaba’ri, il 14 novembre.
E’ stato chiaro fin dall’inizio che Israele non avrebbe raggiunto nessuno dei suoi obiettivi militari o politici nella Striscia di Gaza circondata dalle sue truppe. I suoi leader avevano sottovaluto, con loro grande costernazione, la fermezza del nuovo governo egiziano e lo stato d’animo generale nella regione.
La visita del primo ministro egiziano Hisham Kandil sarebbe stata di per sé sufficiente a far arrivare quel messaggio agli israeliani. Tuttavia, la visita trasversale guidata dal capo del partito Libertà e Giustizia, il dottor Sa’ad Katatni, è stata probabilmente ancora più significativa e rivelatrice.
Da una Gaza colpita e devastata, Katatni ha detto che la loro scelta strategica è la scelta della resistenza e che “siamo con i nostri fratelli palestinesi nella stessa trincea”. Il portavoce del parlamento egiziano che l’ha preceduto ha ulteriormente chiarito il messaggio: l’Egitto non è più un tesoro strategico per Israele, così come era durante l’epoca di Mubarak, ma è diventato un tesoro per la Palestina.
Fuorviati dai cosiddetti esperti che sostenevano che la primavera araba non avesse niente a che vedere con la questione palestinese, i leader israeliani hanno letteralmente creduto di potersela cavare con l’omicidio. Adesso c’è una processione costante di delegazioni governative e non governative provenienti da tutta la regione, che visitano Gaza. L’isolamento politico di Hamas, che il vertice di Sharm El Sheik ha cercato di ottenere, è finito.
A quanto si dice, l’equazione in Palestina non sarà più la stessa dopo l’ultima offensiva israeliana contro Gaza. Le fazioni della resistenza guidate da Hamas potranno non avere un esercito per battere Israele ma hanno senz’altro sviluppato un’efficace capacità dissuasiva che ha riportato la Palestina in cima alla lista delle priorità della regione. Il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoǧlu lo ha riconosciuto durante la sua visita a Gaza, sottolineando il fatto che la resistenza ha ristabilito la dignità non soltanto dei palestinesi, ma di tutti i musulmani e di tutte le persone che amano la pace.
La resistenza è riuscita a fare ciò che 21 Paesi arabi non sono riusciti a fare dall’inizio del conflitto, con lo stato israeliano. Israele si deve rendere conto che Hamas non ha bisogno di un esercito permanente di 1 milione di soldati. E neppure ha bisogno di combattenti volontari provenienti dagli stati arabi confinanti. Tutti ciò di cui ha bisogno per difendere il suo popolo, è una milizia devota, ben addestrata, disciplinata, altamente motivata e fortemente risoluta. Questa milizia ce l’ha, e i suoi componenti godono del rispetto e dell’appoggio del pubblico, e questo potrà soltanto crescere dopo questo round del conflitto.
All’inizio Netanyahu e Barack parlavano di eliminare la resistenza una volta per tutte. Prima che gli otto giorni di intensi bombardamenti israeliani finissero, il loro obiettivo era diventato ridurre il potenziale della resistenza.
Se questo è stato fatto per testare le dinamiche della regione, hanno ottenuto la risposta. Se l’intenzione era quella di eliminare Hamas e poi rivolgere la propria attenzione al Libano e all’Iran, ciò non è più realizzabile.
E’ vero che sono riusciti a bloccare i piani di sviluppo di Hamas per la Striscia di Gaza, ma il movimento resusciterà dalle sue ceneri e si rifonderà, come ha già fatto prima. Distruzione e morte non rappresentano di per sé una vittoria: dipende se hai, o meno, raggiunto i tuoi obiettivi. Gli israeliani non l’hanno fatto.
Questa è un’opportunità per il popolo palestinese. Per molti di essi, Hamas ha ottenuto, in una settimana, quello che i negoziati non riuscirono a conquistare in venti anni. Nel mondo della real politik, la diplomazia non è abbastanza per assicurare o proteggere i diritti: deve essere anche accompagnata dall’uso della forza. Gaza ha dimostrato cosa si può ottenere con poche risorse anche contro tutte le probabilità. Per un popolo affamato di libertà, l’impossibile è adesso possibile.
26 novembre 2012
da www.infopal.it
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Il ministero della Sanità palestinese di Gaza ha affermato che durante la recente aggressione, le forze di occupazione israeliane hanno ucciso 175 palestinesi e ne hanno feriti circa 1.400 altri.
Il servizio di informazione del ministero della Salute, nella sua relazione finale sulle vittime dell’aggressione israeliana Colonna di Nuvole, ha reso noto che il numero totale di vittime ufficialmente registrato presso il Ministero è di 175 e 1399 quello dei feriti.
Ha aggiunto che tra le vittime ci sono 34 bambini, tra cui 16 minori di cinque anni, 11 donne e 19 anziani.
Secondo il rapporto, tra i 1.399 feriti, i bambini sono 465, di cui 141 al di sotto dei 5 anni; 254 donne; 91anziani. 27 feriti sono in gravi condizioni.
Tra il personale medico ci sono stati due morti e cinque feriti.
L’aggressione ha danneggatio 10 centri medici, tra cui due ospedali, due centri di cure primarie, e l’Archivio centrale del ministero e il Dipartimento della Commissione Medica nel complesso governativo di Abu Khadra.
27 novembre 2012
da www.infopal.it
AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Libia, ottobre: arresti, detenzione brutale e lavori forzati
Nella Libia post Gheddafi è caccia agli africani sub-sahariani con arresti mirati e discriminatori, lavori forzati nei cantieri e nei campi, condizioni di detenzione brutali. La denuncia arriva dalla Federazione internazionale dei diritti umani (Fidh), da Justice sans frontières pour les migrants (Jsfm) e da Migreurop.
Il rapporto è il risultato di un’inchiesta realizzata a giugno 2012 all’interno di 7 centri di detenzione a Tripoli, Bengasi e nella regione di Djebel Nafoussa che ha permesso di fare un bilancio sulle condizioni di vita dei migranti, riportando “violazioni flagranti e generalizzate dei diritti umani fondamentali”. Alle violenze si aggiunge il lavoro forzato.
Si tratta di persone in fuga dai conflitti e dalla repressione nel Corno d’Africa alla ricerca di protezione internazionale che la Libia non offre, in quanto non ha ancora ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato e non ha alcun sistema d’asilo. Le tre organizzazioni chiedono alle autorità libiche di porre fine agli arresti e alle detenzioni arbitrarie, di chiudere i centri di detenzione per migranti e di garantire il rispetto dei diritti umani dei migranti. All’Unione europea, invece, di sospendere tutte le attività di cooperazione in materia migratoria con la Libia in assenza di misure che garantiscano la protezione dei diritti umani, di rinegoziare accordi di cooperazione nel pieno rispetto del diritto internazionale ed europeo relativo ai diritti umani e di rendere pubblici gli accordi, di mettere fine alle politiche di esternalizzazione dei controlli delle frontiere europee nei paesi vicini e, in particolare, in Libia. Ai paesi di provenienza dei migranti, infine, di vegliare sul rispetto dei diritti fondamentali dei loro cittadini in Libia e di assicurare la loro difesa e protezione in caso di violazione di questi diritti e la liberazione dei loro cittadini dai centri di detenzione. Ma sappiamo già che tutto si muove in base agli interessi internazionali e la caccia ai migranti fa parte del sistema stesso, una Fortezza per mantenere il proprio status di appartenenza al “mondo dei ricchi”, in una situazione di vero e proprio subappalto delle frontiere.
Napoli, tensioni, scontri contro la polizia, arresti
25 ottobre. Al rigetto dell’istanza per ottenere lo status di rifugiato politico, una trentina di nordafricani ha fatto irruzione nell'ufficio immigrazione della Questura di Napoli. Gli sbirri hanno cercato di impedire l’ingresso, così gli animi si sono scaldati dando il via a tafferugli, 10 agenti sono stati feriti ed una macchina della polizia distrutta.
Nel momento in cui sono stati respinti a gran forza con l’aggiunta di una squadra mobile, i nordafricani hanno presidiato sulla strada bloccando il traffico per alcuni minuti. Cinque persone sono state arrestate con le accuse di danneggiamento aggravato di beni della Pubblica Amministrazione, lesioni aggravate a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio. Questi nordafricani fanno parte di un contingente di 1.200 persone approdati in Italia nell'ambito della cosiddetta “Emergenza Nordafrica”, sono in un campo a Melito, nel napoletano, e tutti hanno richiesto asilo politico e sono in attesa dell’esito del ricorso, presentato dopo che la commissione territoriale ha respinto una prima volta la loro richiesta del riconoscimento dello status di rifugiati. Qualora l’esito fosse negativo comporterebbe il rimpatrio.
CIE di Bologna
28 ottobre. Un marocchino di 20 anni riesce ad evadere scavalcando la recinzione, anche altri tentano ma purtroppo bloccati dall’intervento delle forze del manganello.
CIE di Gradisca di Isonzo (GO)
1 novembre. Una cinquantina di reclusi cerca di scappare dal tetto ma purtroppo l’impresa fallisce. Il giorno seguente tre reclusi ritentano la fuga e solidali si rifiutano di rientrare nelle stanze, ma le forze del manganello colpiscono brutalmente tutti quanti. Attualmente al Cie sono detenuti un centinaio di persone in attesa di essere rispediti al proprio Paese. Gli ambienti comuni non sono fruibili. La mensa è fuori uso ormai dal 2008, i prigionieri devono consumare i pasti all’interno delle proprie stanze, anche la biblioteca non è accessibile, stesso discorso per gli spazi sportivi. Il tempo viene trascorso insomma nelle rispettive stanze, con un piccolo cortile comune. I tentativi di fuga non si contano più come i casi di autolesionismo, un modo per farsi ricoverare in ospedale per poi fuggire.
Il 13 novembre un recluso ingerisce un’enorme quantità di farmaci, successivamente ricoverato riesce a darsi alla macchia, ma purtroppo lo ritrovano e lo riportano al Cie.
18 novembre. Telecomandi della tv smontati per estrarre le pile e inghiottirle. Micidiali cocktail di psicofarmaci capaci di stendere anche un elefante. Pezzi di vetro ingeriti come se fossero una crostata. Cosa non si fa al Cie di Gradisca per cercare la fuga verso la libertà? Sono testimonianze che mettono i brividi quelle che filtrano dal Pronto soccorso di Gorizia, dove praticamente ogni giorno si fronteggiano emergenze sanitarie causate da clamorosi gesti di autolesionismo dei reclusi del centro identificazione ed espulsione.
CIE di Trapani-Milo
Il 5 novembre sei reclusi sono fuggiti dopo l’ennesima protesta contro la lunga permanenza all’interno della struttura. Un gruppo di prigionieri si è scagliato contro la Polizia e durante i tafferugli è avvenuta la fuga.
14 novembre. Ogni giorno si registrano contestazioni, atti di autolesionismo e tentativi di fuga e rivolte organizzate. In circa tre ore abbiamo potuto contare circa una decina di tentativi di fuga, riferiscono i Medici per i Diritti Umani (MEDU), che stanno visitando vari Cie in Italia. C'è un clima tesissimo all'interno della struttura che attualmente conta 133 ospiti, la maggior parte di origine tunisina e marocchina.
Cie di Pian del Lago (CL)
25 novembre. A Pian del Lago c’è un centro polifunzionale dove all’interno si trova un Cie, un Cda ed un Cara, naturalmente completamente isolato, in mezzo al nulla, lontano dal centro abitato. Da qualche anno anche tutti gli uffici Immigrazione della Questura sono stati trasferiti nel Centro polifunzionale, con conseguenza di file chilometriche in attesa di una soluzione che non ti sarà mai data.
Sovraffollamento interno, condizioni disumane, sovraffollamento ai cancelli e liste di attesa ogni giorno più lunghe. C’è gente che, per non perdere il posto, trascorre anche 24 ore di seguito in fila e dorme per terra, vicino all’ingresso. Il cancello di accesso si apre direttamente sulla strada. Non c’è un piazzale e le persone in fila rischiano in ogni momento di essere travolte dai mezzi che circolano sulla strada stessa, anche e soprattutto nelle ore notturne. Da qualche settimana chi era in attesa ha deciso di autogestirsi, allestendo alcune tende da campeggio (due posti), bidoni di plastica per l’acqua e altri suppellettili. Tutto questo al fine di rendere l’attesa meno dura.
ULTIME DAL CONFINE
4 novembre, Libia. 11 i cadaveri (8 di donne) recuperati in mare in seguito al naufragio tra la Libia e Lampedusa.
5 novembre, Spagna. Ritrovato il corpo senza vita di un ragazzo di trent'anni nelle acque del mare di Ceuta. Avrebbe tentato di raggiungere a nuoto la città enclave spagnola in territorio marocchino.
Lampedusa. Trovato il corpo senza vita di un ragazzo annegato nel tentativo di raggiungere l'Europa.
6 novembre, Marocco. Sono almeno 89 i viaggiatori annegati nelle acque dello stretto di Gibilterra nella settimana tra il 26 ottobre e il 6 novembre 2012, di cui 31 senegalesi.
9 novembre, Spagna. Tre dispersi in mare. La guardia costiera spagnola ha sospeso le ricerche dei corpi annegati delle ultime vittime della Fortezza Europa. Una nave mercantile di passaggio nello stretto di Gibilterra, ha ripescato il corpo senza vita di un ragazzo annegato nella traversata verso la Spagna, 12 miglia a sud ovest di Tarifa.
23 novembre, Agrigento. Un altro corpo ritrovato sulla spiaggia, i compagni di viaggio di origine tunisina parlano di altri 2 dispersi.
Milano, novembre 2012
Lettera dal carcere “Buoncammino” (Cagliari)
[…] Non voglio ripetere in questa lettera analisi e valutazioni che già sono state espresse in passato nei periodi in cui si approfondiva il discorso contro il carcere, cercando invece di farne di nuove, considerando le modificazioni che hanno determinato il presente carcerario, non per essere realisti (dato i tempi che corrono non si va da nessuna parte) ma per avere quella concezione della realtà che ci possa permettere di intervenire al meglio.
La questione dovrebbe essere per l’inizio delle “lotte intermedie” cioè ottenere nell’immediato condizioni dignitose per i reclusi, migliore vivibilità, nella prospettiva della completa distruzione del carcere ovviamente unita al sociale che lo genera. Quindi incominciare la lotta col strappare al potere ciò che è il contenuto delle nostre rivendicazioni con l’intento di estenderla e radicalizzarla.
Attualmente secondo me la difficoltà sta nella partecipazione a tale lotta più che alla scelta del metodo. Quindi non possiamo utilizzare l’opuscolo per coordinarci se risulta assente la propulsione dell’azione collettiva prigioniera. Ma la situazione che determina la vita dei detenuti è anche mutabile perché instabile, un po’ per dove tira il vento, un po’ per le tensioni accumulate e altri fattori che si possono esprimere sul momento. C’è un’incertezza di fondo così come c’è la certezza dell’addomesticato corpo recluso. Tutto questo e altro crea la difficoltà di organizzare, di proporre e di lottare assieme agli altri e parlo sempre della mia esperienza personale.
Un passo importante, che è una delle cose che continuo a fare, è quello di stimolare all’azione collettiva parlandone all’aria, in doccia e in qualsiasi momento di passaggio in cui posso socializzare la proposta, non trovando comunque terreno fertile, perché anche una battitura comporta un rapporto disciplinare, indagini per catturare i promotori, malumori, nonché la percezione che accomuna molti detenuti sull’insensatezza del metodo. La volta scorsa si faceva la battitura per l’amnistia proposta da Pannella e quindi autorizzata perché appoggiata anche da una sigla sindacale delle guardie. Quelli che hanno continuato (cercato di continuare) nei giorni successivi sono stati minacciati di rapporti e trasferimenti. Tutto tace!
E’ inutile dire che è indispensabile perseverare nello stimolare all’azione collettiva in maniera tale che ci si potrà poi coordinare. Il mio intento è anche quello di trovare dei complici in un gruppo ristretto che possa essere affiatato al punto da muoverci compatti e di allargare agli altri la contagiosa ribellione. Ma l’affiatamento che finora ho trovato è solo nei discorsi sovversivi. La mia pratica rimane tutt’ora individuale ma io non demordo mai!
Per il discorso degli immigrati sono certamente d’accordo che, essendo una maggioranza nelle galere della penisola, nella particolare posizione di annientamento decretata contro di loro, sia indispensabile agire insieme. Questa realtà qui non è però avvertita come avviene in Italia ma è ovvio che la questione riguarda tutti. C’è la politica dello stato italiano che incarcera gli immigrati (con tutto quello che c’è dietro, nel mezzo e nel dopo) spesso (o sempre) in combutta con la politica dei paesi di provenienza in cui mettono in pratica un progetto razzista di sterminio ben definito e che è indispensabile portare avanti una progettualità che dia rilevanza, partendo dalle loro storie, la realtà che li sfrutta, li uccide, li imprigiona. Per evidenziare non solo tra noi ma anche e soprattutto tra i diretti interessati quello che sta succedendo. In questa maniera può essere l’inizio per una possibilità organizzativa e di lotta assieme. […]
Iosto
Presoni de Buonkaminu, 20 settembre 2012
lettere DAL CARCERE DI PRATO
Ciao Olga, sempre più interessante il vostro opuscolo, che ogni mese lo ricevo puntualmente sto mese, ho letto sull'opuscolo 2 lettere dal carcere di Prato! più o meno è come dicono loro. Ma mi stupisco che non hanno raccontato di un ragazzo marocchino, 21 anni che si è impiccato. Qui alla 4° sezione, questo ragazzo aveva 21 anni, e era prossimo ad uscire 4 mesi, la sua impiccagione non è stata un caso come tanti, qui c'è stato un grave errore! 20 giorni ormai passati fecero nel braccio 4 perquisizioni, di cui celle 82, 83, 84 e la 85 dove alloggio io e ci avevano messi tutti in saletta come prassi, al ritorno dalla perquisa, il ragazzo si è lamentato per la TV rotta e la cella devastata perché era realmente così. Fatto sta che si era tagliato leggermente le guardie erano tante. Fatto sta che il ragazzo viene chiuso nella saletta. Da solo dopo sto gesto! Ore 8.00 del mattino 9.00 del mattino, la guardia era la prima volta che prendeva una chiave in mano. Ha si e no 20 anni di età ed esperienza zero, era la prima volta che montava di servizio e questo è un errore grottesco, perché una guardia con zero di esperienza minimo doveva montare con un collega vicino più anziano. Così non è stato. Fatto sta che ha chiuso il ragazzo in saletta in attesa che lo chiamava l'ispettore invece si è impiccato, senza esitare con la sua giovinezza, la guardia ha visto tutto ed è scappato, senza aprirci a uno di noi, capirai, la prima volta che monta in un braccio dove ci sono circa 80 detenuti. La cosa più grave è che se il ragazzo già si era tagliato perché l'ha chiuso nella saletta senza osservarlo?
È stato un casino quel giorno, nei passeggi tutti incazzati, 4 di noi siamo andati a sentire come era successo, dalla loro bocca fracica uscivano parole senza senso, noi eravamo in 4 lì a sentire un albanese un marocchino un rumeno e io italiano. Disse l'ispettore! C’era una guardia che la prima volta che fa sevizio e si è messo paura e io gli ho detto come si può giustificare una cosa così grave? In sezione già stavano tutti i compagni che non rientravano in cella, saliti noi gli dissi ragazzi, le cose stanno così, e i chiarimenti ce li darà il direttore o il commissario. E sono tutti rientrati nelle celle. Ti rendi conto cara Olga, che cazzo ha combinato sta guardia. Ve l'ho detto sempre, tocca fare come in Venezuela, bruciare tutti i carceri nello stesso giorno. Solo così si può vincere la loro ignoranza e la loro presa per il culo, quanti morti dobbiamo contare, ancora senza che vengano puniti nessuno dell'amministrazione infame. Da quando sono qui 4 morti, uno salvato di persona, ricordi, i miei scritti? Penso di si!
Questo era un pischello di 21 anni é troppo, ribadisco l'unica cosa, fare è come in Venezuela. Io avevo protestato sulla gru a Frosinone. A cosa è servito! Se continuano a esserci compagni morti.
Sono certo che me la pubblichi sull'opuscolo.
Saluto Ceccaci rinchiuso a Viterbo e l'amica Sonia rinchiusa a Trani.
11 novembre 2012
Domenico Gabbelli, via La montagnola, 76 - 59100 Prato
***
Ciao, spero che questa missiva ti raggiunga prima della due giorni anticarceraria.
[In realtà è arrivata dopo la due giorni contro il carcere che si è tenuta a Cremona il 27/28 ottobre 2012, ndr].
Approfitto di queste due righe per condividere qualche riflessione con voi compagni nordici. Quindi saluto tutti e inizio con una domanda: cos’è oggi che identifichiamo come carcere? Le mura di cinta, le sbarre, i portachiavi (i secondini), il tintinnio onnipresente delle chiavi, le torture psicofisiche, la medicalizzazione, le telecamere, la sofferenza, l’indifferenza e la rassegnazione.
Questo e molto altro è un carcere. Ma potremmo dire anche che oltre alle sue manifestazioni coercitive il gabbio ha un aspetto di lucro economico e di sperimentazione sociale che ne sono il reale collante. L’aspetto economico innanzitutto:
la popolazione è una risorsa economica non trascurabile su cui è innestata una serie di speculazioni enormi. Ma anche se non ci fossero speculazioni tutto l’apparato rappresenta una fonte di reddito non trascurabile. Tutto ciò oggi si sta via via evolvendo in quanto molte carceri stanno per entrare nel mondo lavorativo a spron battuto. Produzioni artigianali, manodopera a costo zero, totalmente ricattabile, corsi formativi in cui a cottimo si produce ciò che serve alle grandi aziende. Insomma i nuovi scrivani stanno formandosi… Qui subentra la sperimentazione sociale: di fronte alla desolidarizzazione e alla lacerazione sociale, che 30 anni di pace padronale imposta hanno creato, andiamo sempre più incontro all’incubo di un mondo diviso tra inclusi al processo produttivo-sociale ed esclusi da tutto ciò. Sempre più ampi pezzi di popolazione sono relegati ai margini di questo mondo. Il carcere precorre i tempi, brucia le tappe, chi è “dentro” è già “fuori” da qualunque dinamica sociale. E’ già un escluso. Tutta la sua vita è mediata dall’intervento dell’istituzione. E’ questa che in fin dei conti ha l’ultima parola su tutto.
Ma tutto ciò che ho elencato finora permette di identificare dettagliatamente, nei suoi più infimi particolari, cosa è una società carcerabile come quella in cui viviamo?
I pochi tratti che ho elencato sopra possono essere ritrovati ad ogni angolo delle città in cui sopravviviamo. Un carcere a porte aperte. Ecco dove siamo sottomessi a vivere.
Tutto questo può continuare ad essere solo grazie all’acquiescenza, all’indifferenza, alla rassegnazione. Proprio per cercare di battermi contro questi atteggiamenti ho deciso di non andare ai domiciliari. Contrastare con il mio piccolo contributo l’acquiescenza spargendo coscienza, l’indifferenza praticando la solidarietà attiva quotidianamente, la rassegnazione con l’insubordinazione costante. Fatemi passare questo papiello di ovvietà che ho scritto, queste cose le sappiamo tutti. Praticarle anche all’interno di una galera infame è un modo per non allontanarsi dal proprio percorso di lotta e di vita. Andando ai domiciliari autorelegandomi in una carcerazione domestica avrebbe voluto dire autodisinnescarmi, “collaborare” con l’autorità nel momento che la mia condotta veniva e viene perseguita.
Lasciare campo ad altra rassegnazione, ad altra indifferenza, ad altra acquiescenza, spesso, troppo spesso, tra queste mura e fuori ho sentito discorsi che sottolineavano la difficoltà di attaccare un monolite dalle mille venature come l’istituzione carceraria, credo invece che tutto ciò che è articolato può essere disarticolato, che dipende dalla forza, dal coraggio dalla dedizione dall’ingegno che utilizziamo per dare corpo ad un desiderio enorme.
Un mondo senza carceri un mondo senza autorità.
Mentre scrivevo queste righe ci sono stati 4 tentativi di suicidio. Uno è purtroppo andato a segno. La buia si è presa un’altra vita. Un ragazzo di 25 anni, poco importa la sua provenienza, ma deciso di farla finita. Lo chiamavano Hallowi, non lo conoscevo. Stanotte durante la battitura spontanea all’urlo di assassini, assassini ho approfittato per svuotarmi i polmoni urlando i nomi del direttore Vincenzo Tedeschin, del comandante Guseppe Pilomili, dell’ispettore di reparto di media sicurezza Salvatore Fiorenzano chiamandoli con i loro veri nomi infami assassini. Stamane invece dopo aver avuto il colloquio ho rifiutato la perquisizione. Un altro rapporto. Un piccolo inutile gesto. Nel frattempo provo a scuotere, a martellare tutti sulla necessità di organizzarsi. Non ho nessuna intenzione di arrendermi, le scene di sbirri che ridevano, mentre un ragazzo che aveva provato a suicidarsi veniva trasportato in infermeria, non mi aprono piaghe nel cuore, semmai mi inducono nel proposito di far sì che di tutto ciò rimangano macerie annerite dal fuoco. Parole altisonanti, ne sono consapevole, ciò nonostante quelle con cui riesco ad esprimere l’odio profondo che provo. Farò quindi quel che so fare meglio, continuare a battermi. Vivo la mia di vita, non vorrei essere frainteso, non è mio uso giudicare le scelte degli altri. Credo anzi che le scelte di ognuno di noi, quando fatte in piena consapevolezza e quando non mettono nei guai gli altri siano di estrema dignità, che ognuno faccia come sente giusto.
Ora vi saluto tutti. Tutti i maschili possono essere letti al femminile. Mi scasso la uallera a scrivere ogni volta o/a ed i/e. Fuoco e rivolta.
23 ottobre 2012
Alessio Del Sordo, via La Montagnola 76 - 50047 Prato
***
Carissimi compagni/e, ritengo sia necessario fare avere a tutti notizie riguardanti la morte di un ragazzo di origini magrebine, si è impiccato in saletta - una stanza che ci viene concessa durante le ore di socialità e durante il giorno quando è vuota vi possono rinchiudere all'interno dei detenuti - (come in questo caso). Udite udite il ragazzo aveva appena 22 anni e si è impiccato in saletta, doveva ancora scontare appena quattro mesi che questo stato dittatoriale e meschino gli aveva inflitto.
Questo accade oggi nelle prigioni italiane veri e propri omicidi di stato e non suicidi come li chiamano questi "signori". Gli extracomunitari spesso e volentieri vengono trattati come carne da macello come se non si trattasse di esseri umani. Sarebbe il momento di mettere da parte le parole, gli scritti e passare ai fatti, i signori magistrati offrono illegali coperture e poi a ragione delle loro malefatte nascondersi dietro le scorte pagate con i contributi di ignari cittadini. Di conseguenza è necessario combattere questa classe di magistratura con ogni mezzo affinché anche noi, possiamo avere giustizia per ciò che giornalmente subiamo abusi, crudeltà, angherie tutte cose che spesso spingono molti di noi a compiere gesti estremi come quelli del suicidio.
I direttori delle carceri continuano a giustificare tutte le carenze e tutte le loro malefatte appigliandosi ad inesistenti motivi di sicurezza, mancanza di personale le solite menate. Il fatto è che questi signori ormai abituati a dormire sonni tranquilli, scaldare una poltrona che qui dà un ottimo stipendio per campare. Quindi se ne fregano altamente dei problemi dei detenuti.
Sotto l'occhio vigile dei direttori viene solo attuata violenza psicologica che con il tempo porta parte di noi a compiere come già dicevo atti irragionevoli e violenti e vi posso assicurare che sono tutti atti per nulla dettati dalla volontà.
Giusto per non farci mancare nulla (perché le brutte notizie non arrivano mai da sole) a distanza di poche ore l'uno dall'altro presso l'istituto di Solicciano-Firenze, un'altra persona si è tolta la vita e altre 5 persone qui a Prato sono state salvate in extremis, il tutto grazie al ministro Severino e i suoi scagnozzi (ministro di disgrazia e di ingiustizia) che ancora sostiene che non si può parlare di indulto ecc. in quanto non ci sono i numeri necessari in parlamento; io personalmente dico che si dovrebbe vergognare, a dichiarare determinate cose (ciofeche) ci vuole coraggio. Parla di misure alternative, in verità le misure alternative ci sono sempre state, ma i così detti colletti bianchi magistrati di sorveglianza, non si assumono la responsabilità di scarcerare nessuno.
Compagni/e sono del parere che tutte le carceri italiane nessuno escluso i così detti lavoranti si dovrebbero chiudere tutti ma quando dico tutti intendo dire tutti.
1 perché per il lavoro che svolgono non vengono retribuiti come dovrebbero praticamente abusi sopra abusi; salari che si avvicinano più ad un'elemosina. Già questo la dice lunga.
2 Qui blocchiamo tutto il sistema interno carcerario, sai che risate quando si vanno a toccare le tasche di questi signori, non connettono più perdono la razionalità. Praticamente si ritroverebbero nel caos più totale, si devono attivare ad inviare volontari all'interno delle carceri per la distribuzione del vitto, assumere imprese, ecc.
Solo così secondo il mio modesto parere riusciremo a cavare qualche ragno dal buco. Non basta più fare lo sciopero del carrello, battiture o andare dietro tutte quelle cazzate che Marco Pannella ci fa arrivare tramite i media, radio carcere ecc. Pensiamo come ci stanno tenendo all'interno di queste quattro mura praticamente come gli animali. Il vitto che ci distribuiscono fa schifo, le celle dove ci tengono rinchiusi in alcuni casi, e quasi tutti, sono dei veri e propri tuguri; ad ognuno di noi all'interno della propria cella spettano mq 7 di spazio per la libertà di movimento, spazio che ci sognamo visto che in mq 20 spesso ci ritroviamo in 6, 8 ecc.
Quindi quando ci facciamo sentire realmente? So che tanti forse non prenderanno mai in considerazione quello che sto cercando di dire io ma questo è semplicemente il mio pensiero e se non si fa così credo che siamo destinati a soccombere e questo sistema vuole semplicemente questo.
La libertà non è un frutto proibito.
Per chiunque mi volesse scrivere può farlo.
21 novembre 2012 [data timbro postale ndr]
Giuseppe Trombini, via La Montagnola, 76 - 59100 Prato
Lettera dal carcere di Spini di Gardolo (TN)
Le parole stampate possono risvegliare le emozioni più forti, possono suscitare gioia, passione, serenità e rabbia nei lettori. Per molti individui l’ignoranza è una benedizione e qualsiasi informazione contraria alle loro convinzioni diventa e viene considerata una minaccia.
La censura di libri e riviste sono le loro armi e le vittime di queste battaglie, che lo stato e tutte le istituzioni fanno, sono la libertà di pensiero e soprattutto la libertà di espressione. Ma per fortuna c’è gente come voi che stampa delle controinformazioni e dite ciò che accade nel realmente nel nostro paese e nel mondo. […]
Mi trovo a scrivervi dal 13° giorno d’isolamento. Tutto è iniziato quando io e il mio compagno di cella abbiamo iniziato uno sciopero della fame per le violenze che alcuni detenuti hanno subito. Da subito ci hanno minacciato di trasferirci a Tolmezzo per le nostre idee anarchiche e poi minacciavano di far perdere il lavoro al mio compagno. Comunque sia dopo 7 giorni sono venuti a farci una perquisizione di quasi un’ora per poi ritrovare 2 lamette e una forchetta a mo’ di coltello. Non soddisfatti hanno trovato la macchinetta per i tatoo e l’inchiostro grazie alla delazione del terzo concellino poiché era l’unico a sapere dov’era.
Poi volevano portare via tutti i giornali “sovversivi” che il mio compagno aveva (Invece, Nunatak, Iperico, La miccia, ecc.). Ci siamo messi a protestare e alla fine si sono arresi e se ne sono andati via senza. Ne è comportato lo spostamento in altre sezioni di tutte e due, il licenziamento del mio compagno dalla lavanderia e l’isolamento a lui di 10 giorni e a me di 15 giorni perché c’è un nazi-fascio come direttore. Quindi ora mi ritrovo senza riviste e quindi ho deciso di scrivervi.
Dopo il mio primo arresto nel 2006 sono stato per strada a Bologna per quasi 4 anni e in molte occasioni ho partecipato ed occupato case. Una casa cantoniera insieme a quattro tunisini che ci dormivano dentro e una in una vietta di P.za dell’Unità con conseguenza che dopo solo due giorni di resistenza ci hanno sgomberato con la forza. Nel 2009 il mio primo foglio di via che ovviamente ho buttato nel cesso, ma dopo la terza volta che mi fermarono mi hanno arrestato e portato alla Dozza [il carcere di Bologna, ndr] per 4 mesi. Uscito dopo meno di un anno, un altro foglio di via e questa volta di tre anni e quindi ho deciso di tornare in Trentino dove sono nato e cresciuto. Adesso è un anno che sto in carcere qui a Trento per una rapina e totale pena 2 anni e 10 mesi. Qui ho conosciuto anche il compagno Juan che era nella mia sezione e ogni tanto lo sentiamo per posta. […]
Continuate a stampare la vera informazione e lottiamo assieme per abbattere questo sistema capitalista e ogni forma di governo! Un abbraccio libertario.
16 ottobre 2012
Lettera dal carcere di porto azzurro (LI)
[…] mi hanno trasferito a Porto Azzurro, un carcere del cazzo dove non funziona niente, peggio di San Gimignano, ma vabbè… l'unica cosa che mi ha dato fastidio, è che mi hanno sperato da Eric… eh sì, gli dava fastidio a 'sti sbirri di merda quello che si faceva. Poi avevamo sempre la cella piena di compagni e si parlava di cose normali, chissà che viaggi si sono fatti 'sti handicappati. A me mi hanno trasferito verso la fine di luglio, ma ho combinato un macello! Ti spiego cosa ho combinato: siccome le guardie mi tartassavano e mi facevano rapporti quasi tutti i giorni senza motivazione perché gli davano fastidio i nostri scritti in cella, ho cominciato a non rispondere più, fottendomeli con astuzia, fino a quando ho bruciato il cuscino e l'ho buttato in sezione. L'handicappato dell'appuntato è corso a prendere l'estintore e me lo ha scaricato in cella, ma siccome Eric dormiva e avevo paura che soffocasse, ho preso il mio letto e l'ho messo davanti al blindato. Poi mentre finiva di scaricare l'estintore, ho sentito un colpo a terra. Era l'appuntato che era svenuto e io mi sono attrezzato con un gambo del tavolino in mano e ho bloccato la porta della cella fino a quando sono saliti in una ventina, ma non sono potuti entrare senno mi spaccavano… ma sinceramente li spaccavo anche io, sono magrolino, ma scusando il termine, sono un figlio di puttana e non ho paura di niente e di nessuno. Comunque, all'indomani, sono sceso al campo a giocare a pallone. Mi hanno chiamato per la matricola ma lo sapevo che non era vero. Mi aspettavano in venti fra comandante, ispettori ecc…E mi dicono: "Balsamo, deve andare in isolamento!" e io gli dico che vorrei almeno prendere qualche vestito, accappatoio ecc… Me lo hanno negato e sono stato portato di forza in isolamento, senza niente. Poi, facendo casino, ho ricevuto le mie cose. Ho fatto un mese e mezzo di isolamento e poi mi hanno trasferito. L'appuntato è rimasto intossicato dall'estintore, ti lascio immaginare come mi trattavano, comunque non mi interessava un cazzo, perché fanno un sacco di abusi in carcere e io gli ho fatto pagare quello che ritenevo opportuno. Questo è successo. Mi hanno denunciato per incendio doloso e devo pagare il cuscino, ma non mi interessa.
Ora, qua a Porto Azzurro sono molto più chiuso, nel senso che non abbiamo né socialità né altre cose come attività, ma non mi lamento, almeno abbiamo l'aria, che è deprimente: 2 ore e un giorno sì e uno no abbiamo il campo. Niente di che, io vado solo al campo che mi guardo lo splendore di mare che ci circonda. Ah, io non ho più ricevuto l'opuscolo mensile di Ampi Orizzonti. Gli ho scritto, ma non ho ricevuto nessuna risposta. […] Ho sentito delle loro operazioni che hanno fatto ai compagni e sono molto dispiaciuto per i compagni nei lager, ma purtroppo viviamo in un mondo di falsi attori e come esci dagli schemi "loro" ti privano della libertà ma non ci arrenderemo mai, perché finchè c'è vita ci sarà sempre l'anarchia per combattere contro a uno stato di merda come il nostro. […]
Agostino Balsamo, via Forte San Giacomo 1 - 57036 Porto Azzurro (Livorno)
lettera dal carcere di tolmezzo (ud)
[..] mi trovo in isolamento da circa 6 mesi, ma "non riusciranno mai a togliermi la voglia di lottare contro ogni forma di repressione ed abusi", soprattutto con i compagni che come te mi sono vicini e solidali.
Nonostante mi hanno privato di tutto, continuo sempre a fare ginnastica e a scrivere instancabilmente. Ogni lettera o cartolina che mi arriva dai compagni e amici e fratelli solidali, per me é Adrenalina Pura. Ho lottato tantissimi anni sempre da solo... ne ho passate tante, non ti nascondo che ho visto l'inferno! ...ma quando vedevo picchiare qualsiasi persona, allora dentro di me usciva la mia ribellione, anche se poi le ritorsioni cadevano tutte contro di me, ma la coscienza la notte mi faceva e mi fa dormire.
Sono le ingiustizie, le prevaricazioni, le coercizioni e gli abusi che mi fanno male, soprattutto fatti da chi indossa una "Divisa" e si crede di essere "padrone assoluto dell'esistenza di altri esseri umani"; questo non lo accetterò mai e sono felice dopo tanti anni di lotte ed ingiustizie, di aver trovato tantissima solidarietà, questo per me é un Segno Divino.
[...] ieri é venuto a trovarmi l'avvocato che mi hanno messo i compagni/e di Rovereto, e poco prima mi avevano chiamato dalla Direttrice, dicendomi che era per il mio trasferimento, invece mi sono trovato dentro un Consiglio Disciplinare, che io chiamo Plotone Di Esecuzione; e lì mi hanno comunicato altri 30 giorni di isolamento, che si aggiungono ad altri 15g + 15g + 15g + 15g + 15g = un totale di 75 giorni, più i 30 fanno 105 giorni di isolamento! Perché sono riuscito a scoperchiare il muro di omertà di questo lager, e per ritorsione stanno cercando di togliermi ogni contatto con tutti i detenuti e amici in sezione, però poco fa, ho saputo che hanno fatto casino per me, e a giorni dopo sei mesi che sono in isolamento, mi dovrebbero portare in Sezione, staremo a vedere, di sicuro non mi fermerò a lottare contro le prevaricazioni e le ingiustizie che la società di ladri e privilegiati ha instaurato [...]
Desidero citarti un aforisma di Bertrand Russell: "non faremo un mondo migliore cercando di rendere docili e timidi gli uomini, ma incitandoli invece a essere coraggiosi, avventurosi e impavidi, tranne che nell'infliggere sofferenze al loro prossimo". [...]
Fraternamente, Maurizio.
Tolmezzo Lager, 2 novembre 2012
Maurizio Alfieri, via Paluzza, 77 - 33028 Tolmezzo (Udine)
***
[…] Voglio raccontarvi un fatto deplorevole, che come sempre, vede protagonista un brigadiere, che il suo nome e cognome si trova su internet per fatti gravi.
Di quanto asserisco mi assumo tutte le responsabilità e oltre a questo, chiedo che qualche giudice zelante, si faccia carico di intervenire e prendere provvedimenti verso questo brigadiere, di nome Massimo Russo.
Nel reparto infermeria, si trova un detenuto di nome Mohamed Bachar originario del Marocco, che è piantonato 24 ore su 24 perché varie volte ha cercato di suicidarsi per essere trasferito da Tolmezzo...
Questo ragazzo, due settimane fa è stato preso con la forza, portato fuori dalla cella, per l'esattezza in saletta, spogliato nudo, schiaffeggiato e preso per il collo da questo energumeno frustrato e obeso di brigadiere; e dopo che questo poveretto era nudo, il brigadiere ha iniziato a fotografarlo in ogni parte del suo corpo... non solo per umiliarlo, ma sicuramente perché lui è un pervertito, depravato e schifoso...
Tutto questo non si può tollerare, oltre a Mohamed, altri detenuti sono pronti a testimoniare per aver visto tutta la scena. Se questo fosse accaduto 20 anni fa, con i vecchi comandanti (marescialli), ci avrebbero pensato loro stessi a sistemare questo pervertito... infame e merda...
Per concludere, desidero invitare tutti i detenuti, a ribellarsi e lottare contro questi abusi, e che oggi, non sono più i tempi di una volta, dove chi denunciava erano gli infami, i nostri aguzzini con false denuncie, ci fanno allungare la galera, e se noi non usiamo la loro stessa arma, ci rimetteremo sempre, io vi parlo dopo aver scontato tre, e con questi sei mesi, quattro 14-bis innocente, per essermi sempre ribellato ai loro abusi, e per non averle mai dato soddisfazioni a piegarmi al loro volere... Non lasciate che tutto rimanga impunito, dandole la possibilità di calpestarci l'onore e la dignità, chiediamo sempre, senza paura e senza timori, il rispetto dei nostri diritti e ciò che la costituzione impone. Un abbraccio a tutti i compagni/e detenuti in lotta.
NB. 20 giorni fa hanno picchiato due fratelli gemelli nel reparto infermeria, alle 24 di sera, un agente razzista di merda di nome Luca responsabile della palestra scrivete anche questo...
7 novembre 2012
Maurizio Alfieri, via Paluzza, 77 - 33028 Tolmezzo (UD)
***
Da Tolmezzo ad Alessandria
Noi sottoscritti detenuti della casa circondariale di Tolmezzo con questa nostra sottoscrizione vogliamo rendere pubblica questa forma di solidarietà nei confronti del nostro compagno Maurizio Alfieri che si trova in isolamento dal 7 giugno per aver denunciato tutti gli abusi e pestaggi che avvenivano nei confronti di tantissimi detenuti.
Il nostro compagno si è preso la responsabilità di scrivere a molte associazioni culturali per chiedere il loro appoggio con manifestazioni contro la direzione e il suo regime “dittatoriale”: ABUSI PSICOFISICI, PESTAGGI, VITTO DI SCARSA QUALITA’ E SPESSE VOLTE IMMANGIABILE, è tutto documentabile grazie alle decine di denunce di aggressioni e atti contro la dignità dell’uomo (perché prima che detenuti siamo esseri umani), discriminazioni razziali e favoritismi a chi fornisce, dando informazioni sommarie, vantaggi di ogni tipo alla direzione, basti vedere che i lavoranti sono sempre le stesse persone da più di un anno.
Molti di questi episodi si trovano pubblicati sul web e visibili a tutti proprio grazie allo sforzo solidale dell’Alfieri e delle associazioni da lui contattate; 98 firme di detenuti delle sezioni 2A, 2B ed isolamento, attesteranno le genuinità di questo movimento, che non è nato dai vaneggiamenti di un mitomane come vorrebbe far credere la direzione alla procura. Il nostro compagno Maurizio si trova in isolamento con 15 + 15 + 15 + 15 + 15 + 15 + 15 TOT 105 gg da dover scontare per aver aiutato tutti noi detenuti, che per solidarietà vogliamo scrivere questa petizione a suo favore affinché possa salire in sezione e, finiscano gli abusi della direzione nei suoi confronti e per solidarietà nei confronti dei nostri compagni reclusi nel carcere di Alessandria nella sezione AS2.
A proposito dei nostri compagni detenuti ad Alessandria è in atto un vero e proprio abuso diretto non solo ad isolarli all’interno della struttura carceraria verso altri detenuti, ma soprattutto, in maniera arbitraria, con il resto del mondo. Si vuole portare, in particolare, a conoscenza dell’incostituzionalità del loro modo di detenzione, le celle di tale sezione sono dotate esclusivamente di “BOCCHE DI LUPO” abolite nel 1982 e DPR 230/2000 con violazione dell’articolo 6 dell’OP. Il seguente articolo recita chiaramente: ART.6 Le finestre delle camere devono consentire il passaggio diretto di luce e aria neutrali… non sono consentite schermature che impediscano tale passaggio…
Noi detenuti del carcere di Tolmezzo 2B, 2A, isolamento DIAMO ATTO CHE INTENDIAMO INIZIARE UNO SCIOPERO DEL VITTO PER 3 GG, questa protesta servirà per dimostrare la nostra vicinanza ai nostri compagni e ci riserviamo di intraprendere altre forme di manifestazioni e proteste per mettere in luce tutti questi trattamenti disumani ed ignobili.
Per solidarietà sottoscriviamo in fede i detenuti della 2a, 2b ed isolamento.
novembre 2012
Seguono le 98 firme
Voci da oltre le mura
Sabato 24 novembre dalle ore 13: presidio di fronte al carcere di Tolmezzo
Da sempre la realtà carceraria è negata, nascosta, censurata. Qualcosa che non appartiene alla quotidianità del cittadino comune. Eppure è sempre presente, come minaccia potenziale, o come dura realtà. Dai detenuti del carcere di Tolmezzo continuano a giungere denunce di pestaggi e vessazioni.
Parlano di minacce: “se hai quattro anni di galera noi ti facciamo prendere trenta, che ammazziamo uno al passeggio e ti diamo la colpa a te”.
Parlano del ricorso costante all'isolamento come forma punitiva per chiunque non accetti di subire passivamente i soprusi.
Parlano di celle “lisce”, completamente vuote a parte il materasso, dove il detenuto viene rinchiuso solo e nudo.
Parlano delle condizioni invivibili, di bagni fatiscenti e di vitto scarso.
Parlano di sfruttamento: ai detenuti che lavorano vengono pagate regolarmente solo due delle sei o sette ore di lavoro.
Chi in questo carcere è entrato, ha parlato di secondini in tenuta anti sommossa.
Le numerose denunce inviate dai detenuti alla procura di Udine e al magistrato di sorveglianza, sono state fatte sparire o ignorate. Molti di loro, nel denunciare le condizioni in cui sono costretti, hanno chiesto il trasferimento presso altre strutture. Nessuno ha ottenuto altra risposta se non il trasferimento nella sezione di isolamento.
Quello che chiedono è che il silenzio sia rotto, che il loro grido possa fare breccia oltre le mura. Chiedono che l'impunità di cui godono i funzionari dell'istituto penitenziario venga meno. Ci chiedono di non girarci dall'altra parte.
Vogliamo far giungere loro il nostro appoggio e far sapere ai funzionari che i detenuti non sono soli: non basterà far sparire le loro denunce per mettere la cosa a tacere.
novembre 2012
Coordinamento contro il carcere e la repressione
da informa-azione.info
lettera dal carcere di padova
Questa volta dico no, parola di uomo ombra.
Il carcere serve solo a ingenerare odio, brama di godimenti proibiti e nefasta leggerezza. Succhia la linfa vitale dall’uomo, snerva la sua anima, la infiacchisce, la intimidisce e poi presenta una mummia moralmente inaridita e inebetita, come modello di ravvedimento e pentimento. (F.D. Dostoevskij)
Sono sedici anni su ventuno che sono sottoposto al regime/circuito AS1 (ex E.I.V.).
Contro questo regime ho vinto anche un ricorso alla Corte europea, (Musumeci contro Italia, ricorso n. 33695/96) ma certi funzionari con la malvagia e truffaldina intelligenza che li distingue, con la circolare (3619/6069) del 21 aprile del 2009, hanno cambiato il nome al circuito/regime E.I.V. con quello AS1, lasciando per il resto le cose come stavano.
Questa estate ho subito un trasferimento a causa della rottamazione della sezione AS1 del carcere di Spoleto, interrompendo un trattamento positivo di recupero sociale, didattico e lavorativo. Trasferimento ordinato dai funzionari del DAP che hanno assegnato e trasferito i detenuti in carceri lontani violando la legge (“Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza della famiglia”art.42 O.P.), il regolamento di esecuzione (“Nei trasferimenti per motivi diversi da quelli di giustizia o di sicurezza si tiene conto delle richieste espresse dai detenuti e dagli internati in ordine alla destinazione“,“ Sono evitati in quanto possibile i trasferimenti ad altri istituti dei detenuti ed internati impegnati nei corsi, anche se destinati da esigenze di sovraffollamento, e qualunque intervento che possa interrompere la partecipazione a tale attività” artt. 83 R.E. e 42 R.E.).
Appena sono arrivato in questo carcere di Padova, mi sono iscritto all’Università di Padova al Corso di laurea in Filosofia (numero di matricola1057100) e sono stato inserito alla Redazione di Ristretti Orizzonti dell’Istituto.
Nel giornale la Nuova Sardegna del 18 ottobre 2012 testualmente si legge:
“(…) Sono gli AS3 (alta sorveglianza) coloro che dovrebbero invece occupare le celle che si stanno aprendo nell’isola: 150 a Tempio–Nucnis, 350 a Sassari-Bancali (con due sezioni AS2 e con reparto AS1) 180 posti a Massama (AS2 e 3) e 650 posti a Uta (AS1, AS2, e AS3) (…)”.
Prendendo per buona l’apertura di queste due nuove sezioni AS1 in Sardegna da riempire di carne umana, e delle voci di corridoio della chiusura della sezione AS1 di Padova e sapendo che i funzionari del DAP non rispettano la Costituzione, la legge, i principi e i regolamenti interni e sovranazionali, questa volta dico no, parola di uomo ombra, a qualsiasi trasferimento fuorilegge.
Faccio anche presente a quei funzionari del DAP che non rispettano la legge che io stesso ho chiesto la revoca della liberazione anticipata al Tribunale di Sorveglianza di Perugia (ordinanza del 6/09/2012) che mi è stata concessa, perché si tratta di una concessione inutile in quanto mi trovo in espiazione di pena per reati ostativi all’ottenimento di qualsiasi beneficio penitenziario.
E, quindi, considerando che ho l’ergastolo ostativo e che devo morire in carcere ho il vantaggio di non essere ricattabile e posso permettermi il lusso di ribellarmi e difendermi da quei funzionari del DAP che non rispettano la legge.
Lo giuro, questa volta mi opporrò, con resistenza passiva con fermate ai passeggi, nei corridoi e nei locali, dove sarò spostato durante la vita quotidiana nell’istituto.
E non posso che vincere perché non ho più nulla da perdere.
Carcere di Padova, novembre 2012
Carmelo Musumeci, Via Due Palazzi, 35 - 35136 Padova
Note sullo sviluppo dell’edilizia penitenziaria
Nonostante le relazioni prodotte dal DAP barino non poco sui numeri dando già per completati istituti o padiglioni ancora in costruzione o soltanto ipotizzati, il Piano dovrebbe portare tra il 2012 e il 2013 ad un aumento di 5 mila posti in nuove strutture, tra istituti (Tempio Pausania, Oristano, Sassari, Cagliari, Rovigo, Forlì) e padiglioni (Modena, Terni, S. Maria Capua Vetere, Biella, Saluzzo, Cremona, Carinola, Ariano Irpino, Catanzaro, Palermo Pagliarelli, Voghera, Frosinone, Nuoro, Pavia, Piacenza, Agrigento, Livorno), più altri circa 2 mila dovuti a ristrutturazione di padiglioni già esistenti ed ulteriori 4.200 posti in nuovi padiglioni di cui sono già state emesse le gare d’appalto e altri 3 mila tra nuovi istituti e ristrutturazioni di padiglioni il cui termine di consegna non è ancora stimato.
C’è anche da considerare che di questi primi 5.400 posti, 1.380 sono stati ricavati nelle nuove carceri realizzate in Sardegna con il Piano ordinario di edilizia penitenziaria del 2002 dell’allora ministro di giustizia P. Fassino e che avrebbero dovuto sostituire le carceri più vecchie e invivibili della Sardegna e che così invece vanno ad aggiungersi, com’era prevedibile.
Così com’era prevedibile, e non solo per quanto disposto dal “pacchetto sicurezza del 2009, che la Sardegna avrebbe visto una concentrazione dei detenuti sottoposti sia a regime di 41-bis che collocati nei circuiti di Alta Sicurezza (AS).
Dalle relazioni del DAP e da quanto riportato dalla stampa negli ultimi mesi si capisce che la Sardegna sarà sempre più un’isola in cui la detenzione, e in particolare la “massima sicurezza”, diverrà un elemento distintivo.
A Massama (Oristano) su 250 posti disponibili si parla di 125 posti destinati ai circuiti di AS (tra i quali probabilmente anche la sezione AS2 del carcere di Macomer a Nuoro); a Uta (Cagliari) su 550 posti, 90 sarebbero destinati al 41-bis e 150 ai circuiti AS; a Nunchis (Tempio Pausania) tutti i 150 posti disponibili destinati ai circuiti AS, di cui 36 già trasferiti; a Bancali (Sassari) su 430 posti disponibili, 90 destinati al 41-bis e altri 150 ai circuiti AS; 97 nuovi posti destinati ai circuiti AS nella nuova sezione ricavata nel carcere di Bad e’ Carros a Nuoro.
Va anche considerato che la distanza dai centri urbani e la difficoltà di raggiungere le località da parte dei familiari ridurrà i contatti con il mondo esterno così come l’applicazione della videosorveglianza e l’apertura meccanizzata delle celle gestita attraverso video-regie di comando ridurranno all’osso le possibilità di socializzazione fra i detenuti oltre a rappresentare un risparmio nell’impiego di personale di polizia penitenziaria.
A ben guardare, inoltre, e dando forma al concetto di “sistema integrato di istituto differenziato per le varie tipologie detentive”, possiamo cogliere anche nella costruzione dei nuovi padiglioni detentivi la finalità ad approfondire la differenziazione, isolando ulteriormente i detenuti collocati nei circuiti di AS all’interno di strutture separate e attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici che se da una parte garantiscono il controllo “a vista” e la riduzione del personale di guardia, dall’altro confinano sempre più i detenuti classificati come “pericolosi” all’interno delle loro celle dove magari è presente la doccia ma dalla quale si esce sempre meno. Non a caso “[…] è allo studio l’ipotesi di garantire la presenza dei detenuti nei giudizi di appello e alle udienze camerali ex art. 666 c. 4 c.p.p., attraverso il sistema della video conferenza ovviando alle traduzioni che, in un anno, comportano 380.000 movimenti di detenuti con impiego di circa 790.000 turni di lavoro e una rilevante voce di spesa (nell’ordine di milioni di euro all’anno)”.
Invitiamo tutti/e a scrivere in merito all’ampliamento del complesso carcerario dando informazioni sullo stato di lavori in corso, sulla finalità delle nuove strutture, quali tipologie di detenuti vi vengono trasferiti, sulle condizioni di socialità e di vivibilità interna.
Milano, novembre 2012
carbonia: Resoconto di una giornata particolare
Martedi 12 novembre ore 21.35, prendo il mezzo aziendale per recarmi a lavoro, devo fare il turno notturno. Lavoro dalle 23.00 fino alle 07.00. Mercoledi 13 ore 07.10, riprendo il mezzo aziendale e mi faccio lasciare davanti alla vecchia miniera di Serbariu a Carbonia. Mi faccio un giro all’interno e noto tanti cellulari della polizia e molti uomini della Digos. Arrivo nella zona dove si doveva svolgere l’incontro con i ministri Passera e Barca. Mi rendo subito conto che la zona è recintata da transenne ed è stata formata una sorta di zona rossa. Penso in mezzo a tutto c’é l’incontro con i ministri, un incontro “blindato”a cui solo pochi eletti potevano partecipare.
Alle ore 08.00 mi incateno ad una transenna, intanto iniziano ad arrivare operai, pensionati, commercianti e tanti volti conosciuti in anni di lotte. Inoltre iniziano ad essere presenti parecchi mass-media, che iniziano a fare interviste e a filmare.
Il motivo per cui mi sono incatenato è molto semplice: è una protesta contro i rappresentanti del governo Monti e i suoi sudditi politici sardi. Governo e politica che mandano in malora la scuola, la sanità e gli altri servizi pubblici, aggravano la devastazione del territorio e l’inquinamento, accrescono la disperazione e la miseria. Effetti collaterali, come le stragi di civili dei “missili intelligenti” a stelle e strisce! E intanto colonizzano la mia Natzione, Sardigna, una terra devastata dove negli ultimi mesi vi è stata un ulteriore drammatica accelerazione della crisi economica. Esiste un malessere diffuso in Sardegna e nel Sulcis, visibile da una grande ripresa del flusso migratorio. In Sardegna coi processi di deindustrializzazione in atto si sono persi e si stanno perdendo migliaia di posto di lavoro. Il paradosso è che molte di queste fabbriche in crisi hanno fatto danni gravissimi per quanto riguarda la salute dei cittadini. Pensate quanti lavoratori e cittadini sono stati esposti ad agenti cancerogeni, chimici, radiazioni. Poi le fabbriche chiudono e restano immensi danni al territorio. Molte volte per il puro profitto delle aziende si è ribaltata l’utilità (posti di lavoro) in devastazione ambientale depredando il territorio senza risarcimento. Intanto in Sardegna vi sono: 13 carceri; il 66% delle servitù militari presenti in Italia; il Poligono di Quirra ecc... Questi sono stati i motivi della mia protesta.
Intorno alle 10.30 arrivano gli studenti, subito dopo gli operai dell’Alcoa, la situazione inizia a farsi calda. Io allora mi sgancio la catena dalla transenna. Intorno alle 11.00 vengono rovesciate le transenne ed iniziano i primi scontri con tanto di manganellate e lanci di lacrimogeni. Le forze dell’ordine allora mettono due cellulari di traverso per impedire ai manifestanti di andare avanti. Dopo questi primi scontri e i primi lanci di lacrimogeni parlo con la mia collega Tiziana presente al sit-in di fronte alla miniera di Serbariu. Lei mi dice: “quando ho visto i vari tafferugli, la mia parte incazzata e animale si trovava d’accordo e pensava che fuoco, fiamme e distruzione fossero la giusta risposta per la nascita di un mondo nuovo; tuttavia, la parte razionale chiede sempre se tutto ciò giova e a chi”. Ragiono e penso che a costoro che gestiscono il potere restano solo i manganelli e i lacrimogeni: strumenti che possono frenare i movimenti per un attimo, ma alla lunga rischiano di “incattivirli”.
Nel contempo i ministri non sono ancora arrivati, giungono a destinazione qualche ora dopo. Prima di sapere l’esito della riunione penso tra di me che il governo in carica mente come e peggio di quelli precedenti. “Come”, perché racconta frottole di comodo, studiate alla bisogna, valide per un giorno e smentite il successivo. “Peggio”, perché si ripara dietro una presunta “serietà e onestà”, sbugiardata ad ogni passo concreto ma ribadita mediaticamente da un coro inqualificabile di leccapiedi. Durante la sera finisce la tanto attesa riunione con tanto di proclami! I lavoratori avevano capito che non avevano portato niente di utile al tavolo e si sono leggermente incazzati e hanno bloccato giustamente le uscite della miniera. A quel punto sono arrivati gli elicotteri per portare via quei pagliacci di ministri. Per i lavoratori la manifestazione era finita lì, perché avevano dato il messaggio che non è più il caso di venire a prendere per il culo la gente! Stavano già decidendo di andare via quando a qualcuno è venuta la brillante idea di dare l’ordine di sparare i lacrimogeni (ad altezza d’uomo) e da li sono nati i grossi scontri, che avete visto in tutti i mezzi di comunicazione.
Quindi condivido senza se e senza ma, l’azione e la lotta fatta dal popolo sardo sulcitano, che mercoledi 13 è stato provocato dalle forze dell’ordine ed ha giustamente reagito.
Siamo un periodo di repressione. Disoccupati, operai delle fabbriche che chiudono e minatori sardi caricati mentre il ministro Passera fugge in elicottero dalle proteste. Studenti che manifestano chiedendo ai sindacati uno sciopero vero contro tagli e austerity che vengono presi a manganellate e arrestati. Mezzi di informazione servi del padrone (tranne qualche eccezione), vertici sindacali confederali e PD-UDC-PDL (i partiti di sostegno al governo della BCE) uniti nel propagandare la favoletta dei manifestanti violenti, nel voler separare i presunti “buoni” dai “cattivi”, i lavoratori dagli studenti. In questi giorni non ci sono stati manifestanti violenti, presunti infiltrati o extraterrestri nei cortei ma solo decine di migliaia di studenti e lavoratori incazzati contro le politiche di austerity, la precarietà e la disoccupazione di massa. Ognuno ha manifestato con le proprie modalità ma tutti avevamo lo stesso obiettivo: levare un muro di resistenza all’arroganza di chi ci vuole cancellare il futuro per salvare i profitti di banche e imprese.
un operaio Carbosulcis
19 novembre 2012
da entunou.wordpress.com
Lettera dal carcere “Pagliarelli” (palermo)
Ciao cumpà, a costo di essere ripetitiva, credo sia importante parlare del carcere Pagliarelli perché c'é bisogno di far uscire tutta la serie di infamie che avvengono costantemente. Il problema sanità come in ogni fottuta struttura d'annientamento, é il principale.
Poco tempo fa le guardie fecero rapporto disciplinare a me con altre due ragazze solo per aver insistito sul mandare una di noi all'ospedale per le adeguate cure mediche molto spesso inesistenti o addirittura sbagliate. Quel giorno, in un bel po', ci mettemmo a discutere su questo problema che coinvolge tutte e come risposta le guardie minacciarono tutta la sezione (comprese persone che non erano presenti) con il rapporto disciplinare che poi fu dato a me ed altre due per aver insistito! Il metodo classico: colpire tutte per dividere “buone” da “cattive”. La conosciuta tecnica infame del dividi et impera oltre a minacciarci anche per una minima stronzata di rapporti o di botte ora ci si mettono pure con il metodo delle denunce!
Questi bastardi non solo fanno schiattare negando le cure adeguate, ma pure ci fan credere di aver torto denunciando sia per “procurato allarme” quando si chiama la guardia perché c'é chi sta male (ad esempio un caso in cui non hanno aperto la cella con una ragazza accasciata a terra) e per “oltraggio a pubblico ufficiale” quando ci si impunta a volere ciò che ci spetta! Fanculo! (quest'ultima nello specifico l'accollarono a me).
Questi infami usano qualunque metodo pur di diffondere la paura!!!
Oltre a tutto ciò anche la prescrizione di psico farmaci alimentano a smorzare un minimo di spirito di ribellione... che poi sté guardie in camice bianco sono sempre pronti a rifilare farmaci “annienta-spirito” (tolto il fatto che siano richiesti o meno dal detenuto anche perché stanco, distrutto e provato dalla routine interna) mentre se si tratta di curare la persona per altro problema sembra di domandare di aprirci i cancelli!!!
Porco il parlamento! E’ normale, questo é il compito del carcere, distruggerti nello spirito oltre che nel fisico.
In effetti non é strano che il d.a.p. con le circolari del 24-11-11 e inizio giugno 2012 voglia affiancare al personale di polizia penitenziaria quello degli operatori sanitari, questi ultimi, a parer mio, con il compito di convincere il detenuto all'accettare la routine interna (da molti la figura di educatore, medico e psicologo non é paragonata a quella di guardia e questo gioca a favore di chi vuole il controllo del detenuto). Il d.a.p. parla di affiancare queste persone anche per vigilare e incanalare il problema suicidi (problema sempre più discusso, che mette in cattiva luce uno dei pilastri dello stato), problema che é, sappiamo bene, essere diretta conseguenza dell'esistenza del carcere stesso... che poi lo stato, oltre a decidere della e sulla nostra vita voglia e debba pure decidere sulla nostra scelta di vivere o morire é risaputo (basti pensare a tutti i mezzi di controllo e oppressione che questo adopera per tenerci in pugno).
Insomma arrivare a convincere il detenuto che é in torto pure quando si ammala, convincerlo che può farsi la carcerazione accettando le regole imposte dato che può arrivare a benefici o agevolazioni, é un sistema usato da sempre e funzionale.
Quello che poi si sta applicando sono i nuovi modelli di sottomissione volontaria, ottenuti sulla base di esperienze repressive accumulate negli anni, (questi affiancati e/o sostituiti ai metodi punitivi che mostrerebbero il carcere per quello che realmente é).
Un esempio é la finta libertà di movimento tramite l'apertura delle celle in cui il detenuto é portato all'auto controllo di sé, delle proprie azioni (quindi delle proprie emozioni) quindi portato ad evitare comportamenti ostili al regolamento imposto, sapendo, appunto, di essere costantemente osservato dai mille occhi elettronici montati in questi casi. Si pensi anche al ruolo della guardia vista sempre più in veste di crocerossina dal sorriso facile (almeno nelle sezioni femminili), di colei che “assiste”, della persona con cui poter sfogarsi e non più per quella che realmente é, colei che controlla... la parte opposta del detenuto, il nemico (non per nulla chi esegue servizio passa prima per corsi di psicologia). Con tutta questa serie di metodi accetta-carcere (e non l'arma bianca, magari ehehe) il detenuto invece non si rende conto d'esser studiato costantemente nei suoi movimenti, nelle sue amicizie, nelle sue abitudini... per essere tenuto in pugno e plasmato a piacimento, o se serve, colpirlo nell'intimo sapendo tutto di lui.
Al Pagliarelli c'é un motivo se, anche qua, la direzione vuole arrivare all'apertura delle celle, avendo già di base studiato, applicato ed ottenuto con metodi punitivi la sottomissione, l'addomesticamento di una sezione, fare il passo successivo é d'obbligo. Se poi in certe strutture vedi pure che i detenuti si danno al lavoro gratuito (o per uscire di cella, per svago che manca o per ottenere agevolazioni) capisci bene a che punto di sottomissione siamo arrivati!!!
I nuovi modelli di “carcere moderno” oltre a far fruttare tutte le imprese (non solo con lavori di cosiddetta “pubblica utilità) e l'indotto che gli gira intorno e che partecipa al funzionamento di questa struttura, creano dinamiche che portano all'eliminazione completa di ogni forma di ribellione interna, eliminazione creata non solo dal timore, dalla paura dei classici metodi di punizione/contentino, ma anche e sopratutto dall'accettare il carcere, la sua routine, sottomettendosi da sé (quindi annientando la persona stessa) accettando e cammuffando quel disagio diretto che si percepiva più forte e senza maschera in passato e che portava gli individui a rivoltarsi per non farsi intaccare lo spirito, unica cosa che fa dell'uomo degno d'esser chiamato tale.
20 ottobre 2012
Maddalena Calore, Via Bachelet, 32 – 90129 Palermo
da informa-azione.info
Lettera dal carcere di San Vittore (mi)
Spettabile "Associazione Ampi Orizzonti" innanzitutto vi faccio i miei ringraziamenti mi riferisco all'aver ricevuto i vostri libri così potrò trascorrere le mie giornate immergendomi nella lettura, la quale mi permetterà di evadere con la mente dandomi la possibilità di non pensare alla detenzione che dovrò trascorrere, riferendomi alla detenzione vorrei puntualizzare diversi punti riguardanti l'istituto dove risiedo.
Innanzitutto comincerei parlando dell'agibilità delle celle che in teoria avrebbero un'abitabilità massima di due detenuti, in realtà ve ne sono sei, vi faccio presente che abbiamo a disposizione, una volta scesi dalle brande cinquanta cmq. Situazione insostenibile.
Poi abbiamo il discorso pulizia sia delle celle che dei detenuti. La fornitura per la pulizia delle celle viene consegnata alle volte ogni quindici giorni; alle volte una volta al mese. Lo stesso per la pulizia del detenuto, anzi tante volte siamo noi detenuti a ricordare agli assistenti di sezione di portarcela, praticamente non vi è una scadenza ben precisa.
Poi abbiamo i locali docce; sono in stato di degrado per cui la pulizia e l'igiene sono zero.
Poi riferendomi alle associazioni che esercitano all'interno dell'istituto: non funzionano come dovrebbero. Esempio: effettui varie domande ma aimè vieni dimenticato; gli assistenti si comportano in modo aggressivo, alle volte alzano le mani altre il tono di voce, così facendo creano dell'attrito fra noi e loro.
Vi sono dei momenti nei quali mi metto davanti allo specchio e parlo da solo chiedendomi la dignità della mia persona dov'è finita? Capisco che son in difetto ed è anche giusto che paghi l'errore fatto quando ero libero però a mio parere non è giusto che loro si comportino così nei nostri confronti. Capisco perché alcuni detenuti sono arrivati a commettere degli atti estremi.
Poi è meglio non parlare del discorso sanitario, per chiedere una semplice pastiglia antinfluenzale devi prenotarti per una visita medica, loro ti chiamano o non ti chiamano, e quando vieni convocato presso lo studio medico sorvolano rispondendoti che non ci sono i farmaci, cosa assurda.
Parlando del vitto, il contenuto è minimo alle volte arriva freddo, anche qui non vi è pulizia. Le pentole o contenitori vengono posti su dei carrelli i quali precedentemente erano stati utilizzati per trasportare dei detersivi, lenzuola sporche, ceste contenenti la spesa per i detenuti e quant'altro non ho niente altro da aggiungere.
Spero che il mio scritto giunga a voi come grido di aiuto da parte di tutti i detenuti d'Italia, con la speranza che voi possiate fare qualcosa per noi.
Con la presente vi rinnovo i miei più sinceri e cordiali saluti, vi ringrazio di cuore.
26 ottobre 2012
El Harda Abdelkhalak, piazza Filangeri, 2 - 20123 Milano
lettere dal carcere di velletri (roma)
Carissimi compagne e compagni, chi vi scrive è un detenuto Bottoni Massimiliano, io ho deciso di mandarvi questa lettera per mettere al corrente molte persone di come un uomo o donna possa vivere oggi come oggi dentro un carcere. Io per far capire questo parlerò più chiaro che sia possibile della mia situazione.
Sono detenuto da circa 6 anni e mezzo per un cumulo pene ad anni 11 e 11 mesi. Purtroppo oltre la lunga condanna che sto espiando, il peso maggiore è tutto il disagio carcerario che mi circonda, partendo dall'area pedagogica che col sovraffollamento di oggi non possono riuscire neanche a farti un colloquio e chiudere una sintesi anche di comportamento del detenuto, di modo che come nel mio caso sarebbe necessario per alcun beneficio come: permessi, semilibertà, art. 21, ecc.
Poi non parliamo proprio dell'area sanitaria che io purtroppo ribadisco ne ho avuto a che fare per i primi 4 anni della mia detenzione. Ho passato tutto questo tempo al centro clinico di Regina Coeli e mi dovete credere ho visto cose bruttissime. Persone con un cancro maligno e con pochi mesi di vita che i magistrati non hanno voluto sapere di farli uscire perché solo per un differimento pena provvisorio solo per curarsi e poi sono morti nel carcere. Io chiudo questa mia prima lettera a voi dell'associazione Ampi Orizzonti e, per chiudere io sto vivendo in pochissimi metri quadrati e non ho nessuna attenzione dalla parte del carcere visto che come vi ho detto non sto molto bene di salute e soffro di crisi di epilessia. Io spero che al più presto voi dell'associazione mi rispondiate e mi mandate l'opuscolo.
Tantissimi saluti.
16 novembre 2012
Massimiliano Bottoni, via Campoleone, 97 - 0049 Velletri (RM)
***
Carissimi compagni/e, mi chiamo Santucci Christian ho 31 anni ed ho moglie e 3 figli. Attualmente ad oggi mi trovo recluso nella C/C di Velletri. Vi voglio far sapere i miei disagi che vivo ad oggi, mia moglie , si sveglia alle 4.00 di mattina per poter prendere il pullman che parte da un piccolo paese qui vicino per poter entrare circa verso le 10.00. Questo è uno dei più piccoli contrattempi che posso affrontare dal essere libero ad essere detenuto.
Qui va veramente male, parto dalle cose più piccole per potervi raccontare il tutto.
Per fare un colloquio con una psicologa o educatrice che esso sia, mi ci vogliono più di 15 domandine, se tutto va bene senno non te pensano proprio.
Non parliamo dell'infermeria che qualsiasi male che posso avere dal mal di gola allo strappo muscolare ad una unghia incarnita qui c'è solo un unica medicina (tachipirina) non parliamo del vitto, pesce morto e ortaggi crudi, ma una persona che non può comprare una bomboletta da 1,00 euro come può alimentarsi? Scrivo a voi come associazione perché leggendo l'opuscolo e le lettere dei nostri compagni tutte le carceri devono sapere in che condizioni viviamo.
Per fortuna passo qualche ora a scuola, per lo meno cerco di stare un po' più largo, anziché stare in 2 metri quadrati che con il mio compagno di cella intruppiamo ogni volta che ci si muove.
Attualmente la mia condanna è di 5 anni e mesi 4, adesso aspetto la corte d'appello.
Vorrei precisarvi che da oggi vi invierò il mio stato d'animo per potervi far presente a voi come associazione e tutti i nostri compagni carcerati. Un abbraccio.
16 novembre 2012
Christian Santucci, via Campoleone, 97 - 00049 Velletri (RM)
Bergamo, 24 novembre: PRESIDIO CONTRO IL CARCERE
Via Gleno, dalle ore 9.00 alle 11.30
Nella serata di lunedì 19 novembre, nel carcere di BG è partita una protesta dei detenuti contro l'insostenibile sovraffollamento, tramite battitura.
Rivendicano la DIGNITA', contro l'abbruttimento, la segregazione, la tortura e la morte che ogni giorno subiscono e con cui sono costretti a convivere... contro i continui trasferimenti repressivi, CONTRO IL CARCERE TUTTO.
Il giorno seguente c’è stato un incontro con il direttore di questa struttura d'annientamento sociale, Antonio Porcino, alla sede provinciale dei servi della gleba Cisl per parlare del “problema carcere” dal loro punto di vista. E’ intervenuto pure il prete cappellano del carcere, Fausto, ed alcuni detenuti servili e delatori.
Come già si pensava, non ne è emerso nulla di nuovo, solo le solite parole, aria fritta, lo stesso copione più volte recitato per presentare questa galera come una struttura modello in grado di offrire concrete possibilità di reinserimento sociale e bla bla bla… Non considerano assolutamente i problemi che affrontano 530 detenuti rinchiusi in una struttura pensata per non più di 250… Il loro unico obbiettivo è quello di metter tutto a tacere e di intascarsi altri soldi stanziati dalla Regione Lombardia e niente di più.
Sappiamo benissimo che “IL CARCERE NON E’ LA SOLUZIONE, MA PARTE DEL PROBLEMA” e che i diritti fondamentali di libertà di ogni essere umano vanno conquistati con le dure lotte sociali.
Ricordiamo a tutt* che dopo pochi giorni di sciopero della fame e battitura del giugno scorso, alcuni detenuti furono trasferiti immediatamente in altre galere per smorzare il tenore delle proteste. Tra questi, ricordiamo il compagno bergamasco Stefano Agazzi che tuttora è rinchiuso nel carcere di Como dopo il trasferimento da quello di Bergamo.
Partecipiamo numerosi al Presidio per dare appoggio ai detenuti ed alle detenute in lotta.
“Ogni volta che una guardia chiude il blindo della nostra cella penso che comunque non potrei mai cambiare la mia parte con la sua e se sono dalla mia è perchè dall'altra, da quella di chi si tiene insieme e in piedi con la forza dell'autorità, della coercizione e delle armi, non ci vorrei mai stare.” (Paola Francesca Iozzi, CC Rebibbia Roma)
SOLIDARIETA' A TUTTI/E I/LE DETENUTI/E
SOLIDARIETA' A TUTTI/E I/LE COMPAGNI/E RECLUSI/E
SOLIDARIETA' AI COMPAGNI "NO TAV" ANCORA IN CARCERE
LIBERI/E TUTTI/E, FUOCO ALLE CARCERI E AI C.I.E., ma con gli sbirri dentro!
novembre 2012
Gruppo Antiautoritario Contro Carcere e Repressione
via Furietti 12/B - 24126 Bergamo
***
RESOCONTO DEL PRESIDIO SOTTO IL CARCERE A BERGAMO
La mattina del 24 novembre fuori dal carcere si è svolto un presidio di solidarietà, con musica, presenza di bandiere No Tav, insistenti battiture delle inferriate e interventi di compagni e famigliari dei detenuti.
In particolar modo alla lettura delle lettere di Alessio del Sordo (tuttora in carcere per il processo No Tav) e Massimo Passamani (ora agli arresti domiciliari dopo essere stato rinchiuso per “l’operazione Zecca”) si è innescata la risposta dei detenuti, che si sono fatti sentire a lungo con cori e battiture lungo tutto il perimetro.
Durante l’iniziativa c’è stato un collegamento telefonico con dei compagni che contemporaneamente si trovavano in presidio sotto la galera di Como. Si è lanciato un saluto al compagno Stefano Agazzi (detto Lovere), lì trasferito nel giugno scorso proprio dal carcere di Bergamo, in seguito allo sciopero della fame e alle battiture che dalla sua sezione si erano estese ai due terzi della struttura, per rivendicare gli stessi diritti ancora oggi negati e la dignità calpestata, contro l'abbrutimento, la segregazione, la tortura e la morte che ogni giorno subiscono e con cui sono costretti a convivere… contro i continui trasferimenti repressivi, CONTRO IL CARCERE TUTTO.
bergamo: CARCERE e REPRESSIONE
Spunti critici, riflessioni e proposte di lotta contro le peggio strutture di contenimento per antonomasia
Introduzione
Non tutti si rendono conto che oltre le mura del carcere, dietro quelle sbarre, sono rinchiuse delle persone a cui è stato tolta la libertà, la dignità. Quanta sofferenza, tortura e morte dispensano queste strutture.
Tutto questo non serve ad altro che a placare il desiderio di vendetta, punizione e castigo, espiazione, odio e rivalsa per chi sa dare risposte al disagio, all’inquietudine ed all’ incertezza solamente in un modo repressivo.
Forse si conosce la parola “carcere” per sentito dire, forse per qualche persona che ha vissuto quell'esperienza, forse aver partecipato a dibattiti e iniziative li rivolte, oppure può darsi che dentro si sia passato un periodo di segregazione, breve o lungo che sia.
Questa struttura creata in nome della “Giustizia” tiene incarcerati degli esseri umani schiacciando la loro personalità e annientando la loro vita.
La parola “carcere” raggruppa, diciamo, diverse strutture di detenzione e coercizione che sono le fondamenta di questa Società, tra cui le più conosciute sono di certo i CIE (centri d’identificazione ed espulsione), gli ex Ospedali Psichiatrici Giudiziari (non del tutto ex…), il carcere minorile.
C'è chi 365 giorni all'anno è considerata persona cattiva, deviata, ribelle e per questo va punita, va rinchiusa ed isolata. E c'è chi 365 giorni all'anno si arroga il diritto di poter amministrare questa situazione, gestire la norma, costruire il consenso, reprimere il dissenso.
Il carcere, il peggiore strumento di tortura inventato da questa umanità, deve essere smantellato pezzo per pezzo, in modo che non rimanga più nulla di questa barbarie e mai più si ricostruisca un'infamia simile.
Analisi
Nell’analisi del pensiero antiautoritario si sottolinea come l’abolizionismo si differenzi radicalmente da qualsiasi ottica riformista del carcere. In una fase come quella attuale si può anche ritenere importante sapersi confrontare anche con chi crede che il ricorso al carcere debba essere ridotto e migliorate le condizioni di detenzione. Non si tratta di un'alleanza strategica, ne' tanto meno di un soccorso offerto al riformismo carcerario italiano, ma piuttosto l'importanza di discutere anche con chi la pensa diversamente, per cogliere interessanti spunti di discussione, gli stessi detenuti ed i loro parenti in primis.
Così nel caso dell'indulto e dell'amnistia, come per altri aspetti del carcere attuale su cui sarebbe necessario approfondire.
Cancellare il carcere e i suoi surrogati (presenti e futuri) dalle nostre vite rientra in quella trasformazione radicale della società che comprende il superamento delle ingiustizie sociali e dell'idea di punizione di Stato e perciò, di conseguenza logica, anche dello Stato stesso. L’abolizione e l’immediata distruzione dei luoghi di potere (tra cui le carceri) è il primo fondamentale passo verso il cambiamento radicale della società, verso la svolta rivoluzionaria dell’esistente.
Dall'inizio degli anni '90 il numero di persone detenute in carcere è costantemente aumentato fino a stabilizzarsi sulle 50.000 presenze medie. Ora, l'effetto delle ultime politiche sulla sicurezza ha fatto superare stabilmente anche questa quota. Le condizioni di sovraffollamento sono pesantissime. Il controllo sociale abbandona, o riserva a una quota molto ridotta, le politiche di "recupero" e "reinserimento" ed espande le varie forme di carcerazione e controllo diffuso. Militarizzazione del territorio, quartieri ghetto, videosorveglianza e repressione preventiva spazzano via o pongono sotto loro diretto controllo l'assistenza sociale, mentre in ambito carcerario ciò si traduce in un aumento del potere di guardie e dei direttori carcerari. Basta considerare la composizione della popolazione carceraria per farsi un’idea rispetto alle norme che governano la società.
La violenza e' connaturata al carcere, perché è un atto di violenza la privazione della libertà, anche se la ritengono necessaria perché “pare” non ci siano alternative, o almeno il Sistema non ha trovato qualcosa di diverso dal segregare le persone che commettono reati.
Oggi in carcere c'è un livello di detenzione altissimo. Ciò crea molta tensione per la convivenza forzata causata dalle condizioni di sovraffollamento che hanno superato i limiti di tollerabilità umana. Si è arrivati perciò a un punto di rottura.
La domanda che si pone è: che fare? Certamente un'amnistia o un indulto sono provvedimenti che non risolverebbero le ragioni strutturali di questa situazione. Ma forse servirebbero ad alleviare le sofferenze di chi sta in carcere e ad allentare la tensione. Però va considerato che la concessione di un indulto o di un'amnistia rappresenta un utile strumento di gestione del carcere per il Governo. Questi sono strumenti che il Sistema adotta per sopravvivere. Prima svuota un po’ di celle, si crea un’immagine buonista, crea consenso favorevole per poi, certamente, ricominciare tutto daccapo, riempiendo nuovamente le celle a seconda del momento repressivo più opportuno.
Psichiatria nelle carceri: segregazione e coercizione, fisica e psicologica
Pensieri e pratiche
Il pensiero di recuperare il controllo sulle nostre vite nei suoi molteplici aspetti (economico, sessuale, alimentare, relazionale...) si scontra principalmente, per essere provato nella pratica, con il sistema autoritario che estende i suoi tentacoli a tutti gli ambiti della vita. La morale e la disciplina sono la base dalla quale si inocula l’idea dell’impossibilità a sviluppare la vita autonomamente per gruppi e/o individualità, le politiche sanitarie ed alimentari sono incamminate a minare la salute della popolazione ed a renderla dipendente dai professionisti, gli apparati repressivi sono quelli che assestano l’ultimo colpo a coloro che, malgrado tutto, cercano di recuperare le loro esistenze e si lanciano alla creazione di esperienze e/o alla distruzione dei meccanismi e delle organizzazioni che rendono impossibile una vita senza condizionamenti.
Cosa si può fare?
Urge innanzitutto il bisogno di focalizzare il nemico: non solamente la “struttura di detenzione” ma tutto quello che ci sta intorno. Partendo da piccoli passi, quali potrebbero essere campagne contro la cosiddetta “informazione” degli organi di stampa, politici e politicizzanti caratterizzati da riformismo sistemale fine al rimbambimento degli individui, che con false idee e proclami recano danni incalcolabili nei riguardi della libertà e della dignità di ogni essere umano, piuttosto che il contrario.
Perciò creare “controinformazione”, situazioni di scambio d’opinione e di pratiche, con gli stessi reclusi ed i loro parenti, è di certo il primo gradino d’affrontare.
Dare sostegno diretto a loro, tramite consulenze appropriate in termini “legali” è utile anche per noi cosiddetti “militanti”.
Creare un organo di diffusione d’idee, pratiche, azioni, proposte e quant’altro, sarà il successivo passo, impegnativo ma determinante per raggiungere l’obbiettivo d’oltrepassare “fisicamente” il muro di contenimento.
Costruire iniziative di protesta e di supporto alle lotte è un’azione fondamentale per creare “terreno fertile” ed alzare il livello di tensione.
NO all’assistenzialismo ed alla carità, SI a fornire spunti di riflessione e pratiche di ribellione a sostegno delle lotte con l’azione
Rifiutiamo ogni qualsiasi forma di carità, cioè il pensiero filo-religioso atto a “lavare la propria coscienza facendo del bene a persone bisognose d’aiuto”; non credendo assolutamente a questi falsi principi, rigettiamo qualsiasi logica di “redenzione”. La stragrande maggioranza dei detenuti non è dentro per ragioni politiche, anzi, ma con informazioni, appoggio ed input lo potrà anche diventare. Il passaggio da semplice ribelle a ribelle sociale è abbastanza semplice, per quello rivoluzionario è tortuoso, lungo, complesso ma non impossibile.
La solidarietà è un arma, la pietà è stupida rassegnazione cattolica borghese.
Conoscere il carcere vuol dire autodifendersi, tutelarsi, per tramutare in attacco efficace il pensiero antiautoritario, contro il Sistema.
Ogni buon ribelle sociale, sfortuna vuole, all’interno di quelle mura gli è toccato soggiornare. Chi per brevi periodi, chi purtroppo, per lunghi ed interminabili anni. Proprio di questi tempi tanti compagni/e sono prigionieri di questo Stato; molto significanti sono i numeri rispetto a dieci/quindici anni fa, sempre più in aumento, direttamente proporzionali riguardo alle prime crepe della barcollante pace sociale.
Più si alza il livello di tensione, e di conseguenza quello di scontro, più duramente il Sistema cerca e cercherà d’affondare i propri artigli. 10, 13, 15, 20 anni di carcere… sempre più ne sentiremo parlare, bisognerà essere da un certo punto di vista “preparati al peggio”.
Solidarietà attiva
Estendiamo la nostra solidarietà a tutti i compagni che, partecipando attivamente alla guerra sociale, vedono le loro esistenze condizionate dalla reclusione in centri di sterminio della dissidenza sociale.
La guerra allo Stato, ai suoi difensori e i suoi falsi oppositori è iniziata da tempo, e qui bisogna continuarla, da questo lato della barricata.
Dare la voce ai senza voce, a coloro che continuano a lottare dall’interno delle carceri, appoggiare ed incentivare le rivolte, senza mai dimenticare che i nostri fratelli e le nostre sorelle incarcerati/e sono ostaggi di questo Sistema sociale chiamato capitalismo, democrazia, società del benessere.
“Loro sono dentro per noi, noi siamo fuori per loro”
Bergamo, ottobre 2012
Gruppo Antiautoritario Contro Carcere e Repressione
Via Furietti 12/B - 24126 Bergamo
Sportello informativo legale: GIOVEDÌ dalle 21.30 alle 23.00; gaccr2012@gmail.com
Diario novembrino dalla Val Susa ribelle
Sabato 3 novembre. Castagne, vin brulè, cioccolata calda, musica popolare e tanta gente per l’inaugurazione del nuovo presidio di Chiomonte. Dopo un mese e mezzo di lavori la casetta che sorge dove era la cucina del presidio è mostrata con giusto orgoglio dai compagni che più si sono dati da fare per costruirla. La cucina, il soppalco, la zona notte e il bagno nuovo di zecca sono pronti per essere inaugurati con un simbolico taglio di filo spinato con appropriate cesoie. Dall’altro lato della Dora, vicino al check point militare che chiude strada dell’Avanà, imprigionando le vigne e l’area del Museo archeologico, fatto chiudere dalla polizia dopo l’occupazione dell’area, c’è una casetta di legno nuova nuova: questa è la posizione avanzata del presidio, quella da cui tenere d’occhio le mosse delle truppe di occupazione e contrastare l’ingresso al cantiere degli operai, perché, ormai, i lavori sono iniziati. Ogni mattina già da un mese e mezzo c’é un gruppo di No Tav che fa colazione davanti ai cancelli, impedendo così alle ditte collaborazioniste di usare quest’ingresso più comodo e meno costoso per accedere al cantiere. Una mattina un “lavoratore” ha addirittura minacciato con un martello i No Tav distesi davanti al cancello. Il prefetto Di Pace ha infine prescritto alle ditte di usare il varco aperto sulla A32. Il prefetto non vuole altre grane, ma se i No Tav mollassero il presidio quotidiano al cancello, i camion riprenderebbero a passare.
Dopo l’inaugurazione i più, scarponi e pila in mano, hanno imboccato il sentiero No Tav, che aggira il Check point e raggiunge l’area del cantiere/fortino. Lì, complice la scarsa presenza di truppe, sono volati petardi e qualche metro di concertina è stato tagliato. La polizia ha risposto usando gli idranti.
Il sindaco di Chiomonte, Renzo Pinard, uno che da giovane organizzava i campi paramilitari fascisti a Pian del Frais, lo stesso che aveva dichiarato con enfasi che si sarebbe dimesso se avessero militarizzato il suo paese, è entrato in fibrillazione, minacciando di restituire la fascia tricolore – ma non la poltrona – se il ministro Cancellieri non si fosse recato a Chiomonte. Intanto, le truppe dello Stato che sorvegliano giorno e notte la zona, illuminandola come allo stadio, non si sono accorti che qualcuno la scorsa settimana ha danneggiato proprio la vigna del sindaco. Ed è proprio il ministro Cancellieri che si attende, lunedì 12, con un presidio davanti al Municipio di Chiomonte e in Clarea, ma lei non verrà, dando motivo di avere altri impegni e lasciando solo e deluso il sindaco Pinard, che dovrà accontentarsi di un invito alla riunione del comitato per l'ordine e la sicurezza in prefettura a Torino.
Nella notte tra il 12 e il 13 novembre invece del Ministro arrivano le trivelle, arduo dire cosa avremmo preferito, avendo potuto scegliere! Decine di blindati e centinaia di uomini in armi hanno militarizzato l'area tra la borgata Tra due Rivi e S. Giuliano di Susa e completamente bloccato la zona dell’autoporto. Si trivella in zone ben note, dove non servono sondaggi. Ma questo - è chiaro - è l'ennesimo sondaggio politico, per saggiare e spezzare la resistenza No Tav: in vista del vertice tra Monti e Hollande, fissato per il 3 dicembre a Lyon, il governo italiano vuole dimostrare di avere sotto controllo la situazione anche nell'area dove dovrebbe sorgere il mega cantiere per il tunnel di base. Non solo, a pochi giorni dall’inizio del processo ai 45 compagni No Tav imputati, prima udienza mercoledì 21 novembre, il governo si esibisce nell’ennesima, fallimentare, prova di forza.
A questo punto non rimane che darsi appuntamento all’autoporto e fare di tutto per impedire alle trivelle di diventare operative. L’appuntamento è alle 17.30, al presidio di Susa. È martedì 13 novembre. L’assemblea è veloce: c’è chi vuole andare a vedere da vicino l’area militarizzata, chi invece opta per il blocco dei mezzi obbligati dalla polizia ad uscire a Susa. La sera precedente polizia aveva bloccato la statale 24, rendendo difficile muoversi agli abitanti di Traduerivi, e chiudendo la A32 in direzione Torino. I cartelli della Sitaf avvertivano che il blocco era dovuto a una fantomatica manifestazione No Tav. Questa sera i No Tav hanno bloccato davvero i Tir, lasciando passare le auto e i mezzi di lavoro più snelli. Intorno alle 19.30 la coda sulla statale 25 era di quasi undici chilometri. Nel mentre, un poliziotto perde la testa e minaccia con la pistola i No Tav di ritorno dalla visita alle trivelle: alla fine dovrà andarsene di corsa spinto dalla naturale indignazione dei manifestanti. Il Tg3 non perde l’occasione per trasformare l’episodio in “aggressione alla polizia”, ma i No Tav sono ormai avvezzi alla neolingua dei media e non ci badano più di tanto. Intorno alle 22 la protesta si sposta alla rotonda di Chianocco e, di lì, all’autostrada. In breve, in corrispondenza con le due rampe di accesso, vengono erette barricate poi date alle fiamme. Per questa notte per il cambio turno i poliziotti di guardia alle tre trivelle e al fortino/cantiere di Chiomonte dovranno fare il giro lungo, su e giù dal Sestrière.
Non finisce qui, però, le trivelle non se ne sono ancora andate, quindi ci si da appuntamento per il giorno successivo, di nuovo all’autoporto. Mercoledì 14 novembre, la polizia militarizza completamente l’area vicino all’uscita autostradale di Susa sulla statale 25, che viene chiusa con Jesey. Lì piazzano un’ennesima inutile trivella: siamo di fronte al presidio No Tav, in frazione S. Giuliano. Dalle 18, dopo una veloce assemblea, i No Tav si radunano di fronte allo schieramento di polizia. Intorno alle 19.45 gli uomini al servizio dello Stato cominciano a sparare lacrimogeni. Nonostante la durezza della situazione, i No Tav non se vanno. Sino alle 20 le auto passano in mezzo a lacrimogeni e idranti. I Tir restano bloccati sul piazzale in mezzo al fumo. Sarà la cifra dell’intera serata di lotta: da una parte i manifestanti che bloccano le due statali, fanno battiture, intonano slogan, dall’altra la polizia che bagna con gli idranti e gasa sino a rendere irrespirabile l’aria. I lacrimogeni arrivano sin nelle case della frazione S. Giuliano, la zona di Susa destinata ad diventare cantiere Tav. I No Tav aiutano i tir a defluire, perché gli autisti sono intossicati dai gas.
Prima delle 21, nuova assemblea che decide che la lotta vada avanti tutti i giorni, con appuntamento alle 18 al presidio di Susa. Poi riprendono le battiture e i blocchi. Una barricata è data alle fiamme. Intorno alle 22.30 volano ancora i lacrimogeni. A mezzanotte i No Tav si salutano, rinnovando l’appuntamento per l’indomani.
Il governo è avvertito: ogni chiodo che pianta se lo suderà minuto per minuto.
E così è per le trivelle. Giovedì 15 novembre: le trivelle vanno via! Smantellate e impacchettate, vengono scortate dal solito esercito di corpi sbirreschi vari. Forse ne arriveranno altre e i No Tav saranno pronti a riceverle, con le dovute cerimonie.
Intanto a Bussoleno ci si riunisce in assemblea per condividere valutazioni in vista della prima udienza del processo, fissata per il 21 novembre a Torino, per i 45 attivisti rinviati a giudizio per la resistenza allo sgombero della Maddalena e per la giornata di lotta del 3 luglio 2012.
Davanti al tribunale circa 150 No Tav sono in presidio con bandiere e striscioni. L’aula dove è fissata l’udienza è una di quelle piccoline, la numero 46. Non ci stanno nemmeno gli avvocati, figurarsi gli imputati e i solidali che, in tanti, vorrebbero assistere al processo, cogliendo l’occasione per salutare Maurizio, Alessio e Juan, i tre No Tav ancora privati della libertà dal 26 gennaio scorso. Subito scoppia la bagarre, finché il giudice si decide a trasferire l’udienza in un’aula più grande, la numero 3. Nemmeno questa basta a contenere tutti, quelli della penitenziaria fanno cordone davanti alla gabbia per i detenuti. Ci vuole una buona mezz’ora prima che, in un’aula stipatissima, dove tutte le regole formali e tutte le divisioni fisiche sono saltate, con gli imputati mescolati al pubblico e agli avvocati, vengano fatti entrare i due detenuti, accolti da un applauso e dal grido “libertà”! Il giudice non guarda in faccia nessuno, quasi fatica a fare l’appello, accoglie di fretta alcune eccezioni procedurali e rimanda tutto al 21 gennaio. Poi comunica il calendario delle udienze: oltre venti entro maggio, mese nel quale ne sono fissate ben 5. Una marcia a tappe forzate, per arrivare presto alla conclusione, per dare una lezione a un movimento vivo e forte, che non si è piegato ad un anno e mezzo di occupazione militare, alle violenze della polizia, ai gas velenosi.
La Procura di Torino vuole un processo esemplare, un processo che divida i buoni dai cattivi, che separi i violenti dai non violenti. Ha fatto male i propri conti, perché il movimento No Tav, è sempre più unito dalla consapevolezza che non si vince se non mettendosi in mezzo, violando le zone rosse, tagliando le reti, bloccando gli accessi alle ditte collaborazioniste, chiudendo la via maestra delle truppe di occupazione. Qualcuno tira sassi, altri non li tirano: tutti però hanno scelto di violare leggi messe a difesa di un ordine ingiusto, un ordine che difende chi devasta e depreda il territorio e le risorse, un ordine che perseguita chi lotta in difesa dell’ambiente e per la giustizia sociale.
Oggi, nell’aula 3 del tribunale di Torino, mentre il giudice chiudeva l’udienza e i secondini si preparavano a portare via i due No Tav in gabbia, l’aula si è riempita del grido “giù le mani dalla Val Susa!”. Decine di mani si sono allungate verso la gabbia, mani diverse, anime diverse di un movimento che, facendo della propria diversità una ricchezza, sa unirsi nella solidarietà. È cominciato il processo ai No Tav o quello alla Procura di Giancarlo Caselli?
novembre 2012
liberamente tratto da anarresinfo.noblogs.org
***
Qui di seguito il contributo integrale scritto da un compagno, per raccontarci come veramente si è svolta la vicenda che vede coinvolti Andrea e Claudio, due compagni No Tav accusati di rapina e resistenza, per aver scattato delle foto a un poliziotto.
Finalmente alle 21 e 10 Andrea e Claudio sono stati liberati dopo 11 ore passate in stato di fermo. Ho appena potuto riabbracciare Andrea che abita a Vaie e mi sono fatto raccontare i fatti come realmente sono accaduti.
Intorno alle 9 a Chiomonte sulla strada dell'Avanà viene notato un personaggio che inizia a scattare foto alla piccola baracca e al presidio. Quattro no tav si staccano dal presidio davanti al cancello per chiedere spiegazioni al tizio che, con fare menefreghista, risponde a monosillabi continuando a fotografare. A questo punto qualcuno alza la voce chiedendo chi fosse e cosa stesse facendo, ci sono momenti di nervosismo, ma nessuno tocca nessuno e alla fine il personaggio in questione dice di essere stato mandato dalla procura a scattare delle foto. Andrea, che fino ad allora era rimasto davanti al cancello, si avvicina e fa alcune foto per poi ritornare al cancello e avvertire telefonicamente un po' di persone in valle di quello che stava accadendo. Il tizio intanto prende la sua auto e la sua macchina fotografica, che nessuno ha toccato, e si allontana. Un po' di persone, compreso Andrea e Claudio, si spostano al presidio; dopo poco, escono alcuni carabinieri dal cancello e li raggiungono. Nello stesso momento arrivano quattro furgoncini pieni, sempre dei carabinieri, che si posizionano davanti all'area del campeggio. Ad Andrea e Claudio viene subito detto che sono in stato di fermo, mentre le altre persone che erano al presidio vengono identificate. Intorno alle 10:15 i due vengono portati alla centrale e lì fotografati e filmati per l'identificazione di rito. Viene anche detto loro che presto saranno rilasciati. Un’ora dopo sono invece alla Maddalena, sotto la tettoia dell'ex museo, all'aperto e lì rimarranno fino alle 18, controllati a vista da due piantoni che venivano turnati. Avevano il divieto di scendere il gradino dove si trovavano! A pranzo viene offerto un tramezzino che dividono in due.
Sette ore passate quasi immobili, all'aperto e senza che nessuno si degnasse di dir loro di cosa erano accusati e cosa sarebbe successo. Finalmente alle 18 il comandante di Susa Mazzanti comunicava che venivano rilasciati, ma per Andrea scattava una denuncia, Caludio risultava invece persona informata dei fatti. A quel punto Claudio viene portato a Susa nella stazione della polizia stradale all'interno dell'autoporto, dai carabinieri di Chiomonte e Andrea in un'altra macchina accompagnato da tre digos. Anche lì vengono fatti aspettare un’altra ora abbondante poi finalmente il verbale: Claudio diventa indagato, mentre Andrea è accusato di "tentata rapina aggravata e resistenza a pubblico ufficiale aggravata in concorso con persone da identificare". A quel punto gli viene detto che se ne può andare, peccato che la caserma sorge in mezzo agli svincoli autostradali e che la macchina è a Chiomonte, pertanto non resta che andare a piedi per gli svincoli autostradali fino al presidio di Susa...non proprio quello che si dice una passeggiata sicura.
Fine di una storia che sembra scaturita da una mente delirante e che invece è dannatamente vera. I giornali sono riusciti anche a scrivere che erano accusati di sequestro di persona e crediamo che alcuni ligi funzionari lavorassero per quell'accusa per poi arrestarli, ma probabilmente, qualcuno gli avrà fatto notare che il tutto non stava in piedi
Non ho voglia di fare valutazioni politiche, adesso sono contento che entrambi sono a casa e che la brutta avventura è finita; penso però che tutto il movimento si possa stringere intorno a loro con l'affetto che ci contraddistingue per far loro dimenticare presto questa assurda e vergognosa avventura. Saluti no tav.
un compagno valligiano
17 novembre 2012
da www.notav.info
milano: Sgombero violento di una famiglia a S. Siro
Questa mattina c'è stato a S. Siro l'ennesimo sgombero di una famiglia. Dopo lo scandalo alla regione riguardante l'arresto dell'assessore alla Casa Zambetti che ha comprato per essere eletto 4.000 voti all'andragheta, risulta chiara la politica messa in atto dai vertici dell'Aler nominati dallo stesso Zambetti. Basta con questa gestione mafiosa!!! Oggi, per di più, gli abitanti del quartiere, scesi in presidio in solidarietà della famiglia e di Maria che si era barricata all'interno dell'appartamento, sono stati caricati e picchiati indiscriminatamente dalla polizia.
SABATO 27 OTTOBRE CORTEO A SAN SIRO!
SGOMBERARE REGIONE E ALER! RIPRENDERCI LE CASE VUOTE!
Probabilmente il fatto che nei quartieri popolari gli abitanti si organizzano per difendersi da sfratti e sgomberi preoccupa molto lorsignori che governano questa città. La crisi schiaccia sempre più le famiglie, inoltre le politiche di chi governa continuano a privilegiare i soliti noti, la cricca e a colpire tutti gli altri. Non serve ricordare la vicenda Zambetti, Ndrangheta, Aler, ne' che di fronte a 22 mila famiglie in attesa di casa popolare e a oltre 5mila senzatetto, Milano "vanta" più di 85mila case vuote. Nè la casa a prezzi di favore per la Benelli, e la casa al figlio del prefetto, entrambe dell' Istituto dei Ciechi.
Andiamo alla cronaca dei fatti: dopo uno sgombero violentissimo che ha collezionato 8 persone in ospedale, una casa vuota in più in un quartiere che già ne ha centinaia e una famiglia in mezzo alla strada, il Comitato Abitanti San Siro ha occupato la seduta della commissione consiliare casa e antimafia insieme.
Appena siamo arrivati a Palazzo Marino ci è stata sbattuta la porta in faccia o almeno ci hanno provato, abbiamo fatto appena in tempo ad entrare tutti, che lorsignori se ne sono andati a gambe levate: diranno che gli abbiamo impedito di concludere la commissione, ma la verità è che la casta è così poco abituata a confrontarsi con i cittadini che appena li vede fugge.
L' Assessora alla Casa e gli altri presenti ci hanno accolto con fastidio e non hanno nemmeno rivolto una parola alla famiglia senza casa, a cui hanno prontamente rivolto le spalle: come a dire "questo è un posto per gente importante, le persone comuni non hanno il diritto di esprimere il proprio parere". Infatti, in quel momento in quella sala l' assessora sedeva con pezzi da 90: il signor Loris Zaffra ad esempio, presidente di Aler Milano nonchè di Asset S.p.A. (una delle tante partecipate di Aler grazie al quale Aler stessa ha collezionato un milione di buco in bilancio) pluri indagato insieme al socio Domenico Ippolito per turbativa d'asta, corruzione e appalti truccati. La giunta che un anno e mezzo fa negava la stretta di mano alla Moratti, oggi non si vergogna di sedersi al tavolo con criminali, mafiosi e truffatori, e di negare il confronto a una delle tante famiglie che abitano e soffrono in questa città.
Si spiega il motivo: proprio oggi con un bello sgombero il Comune e Aler hanno festeggiato il prolungamento dell'accordo sulla gestione delle case popolari. Per una questione di trasparenza pubblichiamo in allegato i dati sugli alloggi vuoti di Aler a Milano: come potete leggere, su un totale di 4.218 alloggi ce ne sono 353 in via di assegnazione e 534 all'asta. In pratica, verranno venduti quasi 200 alloggi in più di quelli che verranno assegnati. Dove andranno i soldi delle aste? Di nuovo nelle tasche di qualcuno dei criminali a capo di Aler? E dove andranno le case? Di nuovo assegnate per vie privilegiate ai figli di qualche boss o vendute con aste truccate agli amici degli amici?
E infine, rispondiamo al Sindaco della forza gentile (o dei manganelli?):
- accusa gli occupanti di "espropriare del proprio diritto chi è in graduatoria" (e ricordiamo che in campagna elettorale proprio in seguito ad Affittopoli ed alcune inchieste su Aler chiamava queste stesse persone "occupanti per legittima difesa")
rispondiamo: Chi espropria chi dei diritti? Ci espropriano dei diritti coloro che vendono le case popolari all'asta e le tengono chiuse a marcire per anni! ...e poi fa abbastanza ridere una dichiarazione simile proprio il giorno in cui a Palazzo Marino è stato visionato un documento di Aler che presentava come perfettamente regolare l'assegnazione a Teresa Costantino...
- dichiara: non si viola la "casa dei milanesi".
rispondiamo: nel caso si riferisse al fatto che oggi Maria è stata trascinata fuori di casa sua dalle forze dell'ordine senza uno straccio di documento che attestasse l'operazione, siamo d'accordo con lui: adesso assegnatele una casa. In ultima istanza, la "casa dei Milanesi" dovrebbe essere aperta a tutti, anche a chi protesta.
22 ottobre 2012
da lombardia.indymedia.org
milano: la trattativa è interrotta,
lo sgombero incombe sull ambulatorio medico popolare
Negli scorsi mesi la associazione Ambulatorio Medico Popolare aveva ricevuto una proposta di regolarizzazione da parte della proprietà. In molti ci avevate manifestato la volontà di sostenere economicamente l'impegno dell'affitto; ora vi comunichiamo che la trattativa si è interrotta.
Nonostante la nostra buona volontà l'offerta si è rivelata essere non un regolare contratto di affitto ma una scrittura privata con una clausola finale inaccettabile: l'impegno a riconsegnare i locali il 31 dicembre 2013 con annesso ricatto, di condonarci solo in quel caso il denaro dovuto per presunti danni che una sentenza di tribunale gli riconosce.
Per una associazione che con duemila euro all'anno garantisce un servizio e un diritto essenziali a chi ne è privo, in cui nessuno dei trenta volontari e volontarie riceve o chiede un centesimo da 18 anni, si tratta di una cifra difficile da raggiungere. Oltretutto li chiede uno speculatore, che ha acquisito i quattro locali e le cantine sborsando una cifra irrisoria, pur sapendo il tipo di attività svolta nello spazio suddetto, nulla interessandogli ovviamente del diritto alla salute o dell'antirazzismo.
Non abbiamo accettato l'accordo. Ringraziamo chi si era detto disponibile alla solidarietà: le somme finora raccolte sono al momento insufficienti e occorrono altre iniziative di sostegno economico in caso il proprietario decida di usare il pignoramento per ritorsione nei confronti della rappresentante legale della associazione.
Noi continueremo intanto la nostra attività di visite mediche gratuite come negli ultimi 18 anni, cercheremo di resistere ai tentativi di sgombero che certamente saranno ripetuti e più duri, riteniamo testardamente che tutto questo abbia senso qui in via dei Transiti 28, in una casa occupata e sottratta alla speculazione da trentacinque anni, con profonde radici in un quartiere multietnico e pieno di futuro, vogliamo continuare testardamente la nostra campagna per il riconoscimento dell'accesso alla medicina di base agli stranieri senza permesso, forti dei nostri 5500 pazienti e delle nostre 25 visite alla settimana.
Non stiamo difendendo, e non vi chiediamo di difendere quattro mura, stiamo solo ribadendo che non ci sono le condizioni per chiudere questa esperienza e che il ricatto del padrone non ci può costringere.
Non ci sono le condizioni perché chiusura di servizi e tagli continui stanno continuando a peggiorare la sanità per tutti, migranti e autoctoni, colpendo anche pesantemente i lavoratori e le lavoratrici dei tanti, troppi ospedali in lotta contro i licenziamenti e le ristrutturazioni in una regione in cui i peggio corrotti e corruttori hanno imperversato impuniti per decenni. Lo ricordiamo a tutti: noi da 18 anni sopperiamo a carenze istituzionali gravissime, carenze di chi dovrebbe garantire assistenza, la ASL, di chi dovrebbe controllare, come il Comune, di chi gestisce un bene pubblico per interessi privati, ci riferiamo ovviamente alla Regione Lombardia travolta dagli scandali Maugeri Daccò Niccoli Cristiani Formigoni e compagnia rubante.
L'Amp è una risorsa, esattamente come sono risorse cittadine da difendere e sostenere il nuovo Lambretta, dovunque sarà quando vi giungeranno queste righe, Cox 18, Torchiera, Piano Terra, Villa Vegan e tutte le altre realtà occupate di questa città, alle quali chiediamo di costruire un ragionamento comune di difesa degli spazi di libertà ed autogestione di cui questa città grigia e triste ha bisogno come l'aria.
Il prossimo sgombero è previsto per il 29 novembre 2012.
Solidarietà a tutti gli spazi occupati.
30 ottobre 2012
Ambulatorio Medico Popolare
milano: MESSI A BANDO
Sono diversi giorni che si sente strombettare da più parti a proposito di una delibera del Comune di Milano che permetterebbe l'istituzione di una serie di bandi per assegnare spazi "liberi (o che si renderanno liberi)" di proprietà comunale per "avviare progetti finalizzati allo sviluppo di attività culturali sociali ed economiche".
Autorevoli voci dell'amministrazione parlano di una lista di 1.200 spazi, benché l'elenco dei luoghi interessati non sia ancora noto, neppure in forma parziale.
A questo punto ci tocca dire qualcosa: non tutti sono uguali.
In primo luogo la delibera della giunta è profondamente iniqua nei suoi criteri: mette a competere sullo stesso piano un’associazione di pensionati, un gruppo di iniziativa territoriale, un gruppo di studenti con un’impresa o un consorzio di cooperative come se questi soggetti avessero le stesse possibilità finanziarie.
Il regime del dialogo
A fronte di tante parole, registriamo, da un po’ di tempo, fatti di segno opposto:
- a metà giugno 2012 viene sgomberata l'occupazione di via Scaldasole,
- ad agosto, Villa Vegan Occupata riceve una intimazione di rilascio dei locali (procedura analoga a quella che portò allo sgombero di COX18 nel gennaio 2009),
- segue, a poca distanza, una “informale” richiesta da parte del Comune affinché lo spazio liberato PianoTerra tolga il disturbo,
- quindi lo sgombero manu militari del Lambretta, dopo una triste pantomima tra il responsabile dell'Ufficio relazioni con la città del Comune di Milano, che non dice quello che sa, e il questore Luigi Savina, che invece sa quello che dice ma non sa quello che fa (vedi l'intervento della polizia in assetto antisommossa al rave party di Cusago. Risultato: una ragazza in coma, decine di candelotti lacrimogeni sparati contro ragazzi che ballavano e botte da orbi).
Prima ancora vi erano state la vicenda di Macao e la milleduesima puntata del tormentone Torchiera.
Nel frattempo si susseguono a ritmo incalzante gli sfratti abitativi eseguiti con la forza pubblica, che lasciano famiglie intere in strada, senz'alcuna alternativa, e i solidali (chapeau!) con la testa rotta. Ma guai a protestare, perché il Signor Sindaco s'indigna per la violazione della “casa dei milanesi". E per la violazione della casa degli “abusivi di via Neera”, lo sgombero di uomini, donne e bambini trattati come spazzatura da rimuovere, per quella chi s'indigna?
Per quanto ci riguarda il 31 ottobre presso la II sezione Civile del tribunale di Milano si è tenuta l'ultima udienza dell'appello della causa tra COX18 e il Comune di Milano intentata dalla giunta Moratti e proseguita dalla giunta Pisapia, in merito al possesso dei locali occupati dal centro. Nonostante la nuova giunta avesse chiesto nel mese di febbraio un rinvio per avviare incontri tra le parti e verificare la possibilità di accordi, il silenzio è stato tombale. Eppure, stando ancora ad autorevoli voci dell'amministrazione, la giunta Pisapia sarebbe aperta al dialogo e preoccupata per l'indisponibilità dei centri sociali.
Qui si vuol costringere l'aggettivo "libero" a divenire sinonimo di "vuoto".
Infine la delibera non riguarda gli spazi occupati semplicemente perché questi non sono spazi "liberi" né che "si libereranno". Le realtà collettive che gestiscono questi spazi da anni quando non addirittura da decenni, come il C.S.O.A. COX18, hanno già provveduto a recuperare i loro spazi e mantenerli in attività con progetti di iniziativa politica, culturale e sociale capaci di produrre relazioni conosciute e radicate nel territorio.
Allora ci chiediamo: la giunta Pisapia vuole realmente interloquire con le realtà politiche e sociali di questa città? O vuole semplicemente un fiore all’occhiello per poter affermare di aver risolto un “problema di ordine pubblico a Milano”? Vuole valorizzare, come dice, le attività esistenti in città? O vuole usare il bando per dividere le realtà collettive tra buoni e cattivi, tra quelle che accettano e quelle che non accettano?
Attenzione! Timeo danaos et dona ferentes
Non è la giunta Pisapia a venire oggi incontro alle realtà sociali, sono le pratiche di occupazione e resistenza delle realtà sociali che da anni sono andate nella direzione di un modello di città diverso facendo argine, con lotte animate dalla forza del desiderio e dalle armi della passione, alle logiche di svendita di Milano e alla sua totale consegna nelle mani della speculazione.
Ciò detto, vogliamo precisare ulteriormente la nostra posizione:
Nei giorni scorsi abbiamo scritto: "QUI SIAMO E QUI RESTEREMO!". Alla base di questa determinazione stanno la nostra IDENTITÀ PRATICA (quello che siamo e quello che facciamo), l'AUTOGESTIONE (le forme e le modalità dell'agire che ci siamo dati) e la TERRITORIALITÀ (i luoghi e il quartiere dove da anni siamo radicati).
A nostro avviso il primo segno di un'effettiva disponibilità al dialogo dal parte del Comune deve consistere nel riconoscimento di fatto del movimento delle occupazioni a Milano, una realtà storica non relegabile nelle pieghe di una delibera sugli spazi vuoti della città.
6 novembre 2012
Cox18, Calusca, Archivio Primo Moroni
comparto logistica: é lotta senza tregua!
Cerchiamo di fornire qui un quadro sintetico di alcune tra le esperienze di lotta che hanno animato le cronache delle ultime settimane e che, unitamente ad altre un po' più storiche, simboleggiano il costante crescendo del movimento di lotta degli operai della grande distribuzione e della logistica inquadrati nelle cooperative.
Coop Adriatica - Anzola (BO)
Per quattro giorni e quattro notti oltre 100 operai hanno scioperato, presidiando e picchettando i cancelli del più importante magazzino Coop a livello nazionale. La lotta é partita dal rifiuto dell'ennesimo scempio di posti di lavoro, di salario e di diritti che ogni cambio di appalto nel settore porta con sè.
L'apice dello scontro, da questo punto di vista, lo si è visto a Basiano (magazzini de "Il Gigante") con l'esclusione in massa di 70 operai "storici" del gruppo Alma, e la loro sostituzione con forza lavoro a metà prezzo, seguendo solo la regola del capitalismo selvaggio e con una buona dose di repressione a ribadire che... i padroni se ne fottono di regole e leggi che ne possano ostacolare il loro cammino.
La logica non cambia di certo spostandosi dalla berlusconiana Brianza alla patria del cooperativismo "rosso": la protesta trova fondamento nelle condizioni capestro relative al cambio appalto che si vorrebbe attuare passando i lavoratori dal Contratto del Commercio a quello, peggiorativo, del trasporto merci e logistica. Lavoratori con una elevata professionalità acquisita nel corso di molti anni di servizio che si vorrebbe passare al livello più basso del CCNL della logistica, il 6J, che corrisponde al livello d’ingresso del facchino senza alcuna esperienza e per giunta con un periodo di prova di tre mesi, cosa che, all’occorrenza, permette di effettuare dei veri e propri licenziamenti “mascherati”.
Anche qui però gli operai non ci stanno e scioperano in maniera compatta (160 su 185) producendo effetti notevoli per le vendite della Coop, con due filiali di vendita costrette alla momentanea chiusura e grosse difficoltà a ripristinare la normale procedura di ricambio della merce.
Ecco allora che nella mattinata di giovedì, la forza pubblica, dopo le esplicite incitazioni della segreteria della CISL a "utilizzare democraticamente il manganello sulla schiena degli operai", interviene per liberare i cancelli e consentire ai camion di riprendere la consegna delle merci. Non si contano feriti ma dieci operai, accorsi anche dalle fabbriche vicine, risultano fermati a causa del picchetto. I lavoratori comunque resistono alle cariche e costringono la Coop ad incontrare la delegazione del S.I. Cobas; come previsto, dall'incontro esce solo la garanzia, a parole, che nessuno verrà licenziato se non... per giusta causa.
La partita rimane aperta e i lavoratori, nell'assemblea di giovedì sera decidono che è più intelligente giocarsela dall'interno nei prossimi mesi: dopo aver dimostrato di avere la forza di mandare in crisi l'intero apparato Coop ma, altrettanto coscienti che il padrone non si sconfigge in pochi giorni, decidono di rimandare la palla nel suo campo: ai dirigenti del colosso emiliano la scelta di liquidare i lavoratori in virtù del regolamento interno della cooperativa subentrante. Come dire: la lotta continuerà!
Ikea - Piacenza
Anche qui prosegue il braccio di ferro che, da oltre tre settimane, vede i cancelli del più grande magazzino Ikea del nord-Italia presidiato da una cinquantina di operai in sciopero permanente, dopo il tentativo di licenziamento, i picchetti duri e le altrettanto dure cariche della polizia che a più riprese hanno cercato di fiaccare la resistenza operaia. Una lotta anch'essa tutt'altro che conclusa che ha costretto Ikea prima a dichiarare 107 esuberi (guarda caso, grosso modo, si tratta del numero di iscritti al S.I. Cobas), poi a fare dietro-front e ad affermare che non ci saranno licenziamenti richiamando al lavoro i lavoratori tenuti fuori dalla fabbrica, tranne i 12 delegati del S.I. Cobas per i quali l'unica prospettiva offerta è quella del trasferimento in altri impianti
Con la loro ultima assemblea gli operai richiamati in servizio tramite sms, dopo tre settimane di sospensione de facto dall'attività lavorativa, hanno deciso di non accettare "l'invito" e di continuare lo stato di agitazione, dando al contempo la loro disponibilità in massa a raggiungere i cancelli della Coop di Anzola, esdattamente come hanno fatto gli operai della TNT, sostenendo in massa lo sciopero all'Ikea. Poi però, all'improvviso, rientrata l'emergenza di Bologna, decidono di entrare al lavoro, spiazzando l'azienda che non aveva ancora fatto rientrare a Piacenza il flusso regolare di merce. Risultato: oltre 200 operai al lavoro, quasi inoperosi.
Nel frattempo sono partite, d'urgenza, i primi ricorsi per il recupero delle differenze retributive maturate negli ultimi quattro anni (circa 15 mila euro a testa per la cronaca).
GLS - Bologna e Piacenza
La storia di questo conflitto contro il colosso anglo-tedesco trova le sue radici nel lontano inverno del 2009, quando i padroni riuscirono a fermare il tentativo di insorgenza (sindacale) degli operai attraverso la solita legge del manganello che accompagnò il licenziamento collettivo di tutti i 17 attivisti sindacali.
Ben tre anni dopo, sulla spinta della lotta del luglio 2011 in TNT, gli operai della GLS di Piacenza, questa volta in maniera compatta, decidono di alzare la testa ed entrare in sciopero contro condizioni economiche e di lavoro inaccettabili; anche in questo caso la GLS decide per la linea dura operando una serrata che tiene chiuso il magazzino più importante dell'intera zona per quasi un mese nel tentativo di liquidare la resistenza operaia. Questa volta però a nulla serve l'intervento sbirresco; gi operai di Piacenza, in pochi giorni sviluppano carovane che raggiungono i magazzini d Bologna e quelli di Cerro al Lambro, mentre l'ADL di Padova (un'organizzazione sindacale con obiettivi simili a quelli del S.I. Cobas) prende posizione e minaccia a sua volta lo sciopero se non fossero stati riaperti i magazzini di Piacenza. Bingo! il padrone è in ginocchio e non osa rischiare oltre. In poco tempo il vento cambia direzione e soffia in poppa alla barca degli operai. Il S.I. Cobas viene finalmente riconosciuto come interlocutore, i lavoratori rientrano a lavorare e cominciano a verificarsi i primi cambi concreti sia da un punto di vista economico che organizzativo. Tutti gli operai a tempo determinato vengono così confermati, vengono concessi livelli e miglioramenti economici, il clima interno ai magazzini è totalmente rovesciato a favore degli operai, i vecchi capetti-caporali perdono di colpo tutto il loro nefasto peso e la stessa cooperativa è costretta, propro in questi giorni, ad abbandonare il campo e cedere l'appalto. Il nuovo contratto di lavoro accoglie così la grande maggioraanza delle rivendicazioni operaie e si è avviato un percorso per il recupero di una parte significativa degi oltre 20 mila euro di ammanchi salariali accumulati dagli operai negli ultimi 5 anni. Se il detto "la lotta paga" ha un senso (e ce l'ha) questa è proprio una della battaglie che lo dimostra appieno.
Esselunga - Pioltello (MI)
Per molti simpatizzanti del giovane movimento nelle cooperative è stata forse l'esperienza di lotta più significativa e densa di contenuto; ma sono mesi che non se ne parla se non nei circoli più ristretti dell'organizzazione ed effettivamente l'intensità d'azione e i risultati (parziali senza dubbio) che avevano caratterizzato il lungo inverno scorso sembrano oggi assai lontani. Ma un simile giudizio rischierebbe di essere un po' troppo superficiali e perdere di vista la bussola che quegi avvenimenti aveva ispirato: dimostrare che nulla è impossibile se si pratica l'unità dal basso e se si ha il coraggio di sfidare l'ordine costituito. Qualcuno, e non del tutto a torto, potrebbe obbiettare, che l'unico risultato raggiunto è stato il licenziamento di 25 attivisti del sindacato e il conseguente smantellamento della sua struttura interna. Ma è appunto altro l'angolo di visuale necessario a non fare bilanci superficiali o impressionisti.
Intanto perchè la battaglia, anche se attraverso altre forme, ma non per questo meno dannose per il padrone, sta continuando anche se al momento non parla più al grande pubblico. Ci riferiamo in particolare alla pioggia di cause (di cui finora 8 vinte ed una sola perduta) che dal terreno dei licenziamenti (ancora 16 verdetti sono attesi), a quello delle differenze retributive, passando per quello della CIG discriminatoria con cui tuttora vengono tenuti fuori coloro che hanno ottenuto il diritto al reintegro, che stanno senza dubbio turbando i sonni del consorzio Safra che, paradossalemnte, ma non troppo, pur se in maniera velata, decide oggi di riconoscere i licenziati e il loro sindacato come interlocutori al fine di ...comprarne l'allontanamento.
Aldilà di questo e degli esiti futuri degli aspetti più squisitamente vertenziali, resta il fatto che il comitato di lotta continua a riunirsi puntualmente, che il consirzio Safra e l'Esselunga hanno ancora bisogno di mettere in agenda l'eliminazione del virus S.I. Cobas, che i compagni dell'Esselunga continuano nonostante le difficoltà ad essere attivi davanti ad altri cancelli (GLS ed Ikea, solo per citare due esperienze di lotta qui illustrate), così come nell'attività pratica legata ai conteggi delle buste-paga.
Dato che non é poi così azzardato imaginare, nel tempo, nuove esplosioni di lotta in Esselunga con altri e nuovi protagonisti, osservato da quest'angolo di visuale, il bilancio comincia ad essere ben più profondo e positivo che non una semplice valutazione dei risultati concreti o politico-ideologici fin qui ottenuti.
Il Gigante - Basiano (MI)
Anche la lotta di Basiano è stata emblematica di alcuni aspetti che pervadono in lungo e in largo il mondo della logistica. Gli operai eigziani e pakistani di Alma hanno pagato a caro prezzo la loro sete di riscatto e la loro intransigenza rispetto ad alcuni principi da un punto di vista sindacale. D'altra parte, ancora un volta, il potere politico (là rappresentato esclusivamente dalle forze dell'ordine) ha manifestato la sua impossibilità di essere indipendente dagli apparati economici dominanti e dalle leggi di mercato che ne rappresentano il terreno di espressione concreta. La batosta non è stata indifferente: licenziati, malmenati ed arrestati, e il tutto nel giro di pochi giorni, non è un boccone facilmente digeribile. Il rinculo è inevitabile e il rifugiarsi nella ricerca di vie legali con cui continuare a combattere (o a dovresi difendere) altrettanto.
Anche in questo caso, alcuni elementi lasciano trapelare la possibilità che la vicenda possa riaprirsi in tempi non lunghissimi, offrendo lo spiraglio giusto affinchè gli operai riescano a riprendersi nelle proprie mani la battaglia.
Senza dilungarsi troppo nei dettagli, e dando il tempo agli avvenimenti di rendere più corposa la possibilità di un rilancio effettivo, 150 cause pioveranno a giorni sulla testa dei protagonisti di questo esemplificativo tentativo (finora riuscito) di dimezzare il costo della forza lavoro in un sol colpo, garantendo la catena del profitto.
DHL – Liscate (MI)
Dopo 36 ore di sciopero, con astensione totale dal lavoro dei 70 dipendenti UCSA che operano nei magazzini DHL di Liscate, si è arrivatia ad una prima tregua. Di fronte a danni ormai ingenti e a pericoli ancor più disastrosi (clienti del magazzino DHL come Sony minacciavano trasferimenti di merce e riduzione di commesse), dopo essersi bruciati la carta dei crumiri (che nel picchetto del 20 novembre se ne sono tornati a casa con le pive nel sacco di fronte al blocco compatto e determinato degli scioperanti), il fronte padronale ha deciso di addivenire a più miti consigli e ha accettato un primo abbozzo di trattativa.
L'intento padronale era quello di sostenere che il CCNL era pienamente applicato in azienda, che l'accordo di luglio che sanciva il pagamento del 100% degli istituti era da considerarsi come ...il 100% del 90% (ogni commento ulteriore sarebbe un insulto all'intelligenza di chi legge), che negli ultimi anni si erano fatti enormi passi in avanti (figuriamoci prima!), che così si metteva a rischio il posto di lavoro di tutti e, soprattutto, che se si voleva il gioco duro loro erano pronti.
Niente da fare, nessun operaia/o si è mosso; nemmeno i dieci lavoratori assunti l'altro ieri con contrati da uno a tre mesi di durata. Ecco allora che si profila l'eventualità che le questioni da dirimere vengano discusse in un tavolo di trattativa in prefettura.
Gli operai si senrono ancora forti e continuano per altre tre ore lo sciopero; poi ritenendosi soddisfatti e sapando di poter ripetere lo sciopero in qualsiasi momento, accettano per l’incontro. Le questioni in ballo non riguardano solo la DHL; la partita è grossa e c'è tutto il tempo di giocarsela.
Questo breve scorcio su alcune delle situazioni che hanno suscitato maggior attenzione politica non esauriscono di certo il bagaglio umano e sociale che a vari livelli e in luoghi sempre più disparati si sta esprimendo. SDA, DHL, TNT, Ups, Bartolini, Stef Italia, ovvero alcuni dei pilastri mondiali della logistica, rappresentano altrettanti scenari di lotta di classe concreti, tanto passati quanto nuovamente imminenti.
Milano, novembre 2012
un compagno del S.I. Cobas
due righe sul 12 novembre a Napoli
Le strade di Napoli ieri erano piene di rabbia, di voglia di riscatto, di dimostrare che c’è ancora tanto da dare e da dire prima che tutti i diritti di giovani studenti, lavoratori e precari siano definitivamente cancellati.
La presenza del Ministro Fornero a Napoli non ci ha fatto piacere, non avevamo molto da dirle, e non volevamo sentirci dire ancora una volta di dover stringere i denti, di dover fare sacrifici e di doverci accontentare. Quello che ci propongono tutti i giorni (compreso ieri, in materia di apprendistato) noi già lo sappiamo e purtroppo per noi lo viviamo quotidianamente sulla nostra pelle, e per questo abbiamo scelto e deciso che non siamo disposti a subire in silenzio.
Una controriforma del lavoro che, grazie anche all’abolizione dell’art 18 di cui è complice il tacito assenso di partiti e sindacati, permette al datore di lavoro di avere (come disse proprio un noto imprenditore): una pistola puntata sulla testa dei lavoratori.
Ieri il ministro ci parlava di apprendistato, un ennesima forma contrattuale che continua a costringere un intera generazione di giovani “aspiranti” sfruttati a vivere una condizione di lavoro di perenne ricattabilità e di continuo sfruttamento.
Da più parti risuona e risuonava l’elemento della provocazione della Fornero e del suo “choosy” come definitiva rottura degli argini entro cui poteva svilupparsi un dialogo. E’ senza dubbio evidente che da tempo i giovani proletari sono costretti a vendere la propria forza lavoro molto al di sotto del minimo indispensabile alla sopravvivenza. Oltre al danno, di certo, la beffa di sentirsi chiamati prima “bamboccioni” da Brunetta (per via della funzione di ammortizzatore sociale che ha assunto la famiglia) e adesso “choosy” da quest’altra signora della miseria. E’ ovvio e giusto che ciò generi reazioni indignate della stragrande maggioranza delle persone ma è necessario non limitarci alla componente spettacolare della questione e non credere che, in ultima istanza, sia stata questa la ragione che ha dato vita all’esplosione del conflitto. Per quanto ci riguarda la volontà di fare del 12 novembre un giorno di lotta nasceva da una serie di valutazioni che accompagnano i nostri ragionamenti. Non si è trattato di una flessione mediatica né di una estemporanea manifestazione di conflitto ma di una scelta politica determinata.
Negli ultimi mesi c’è stato molto sconforto nel vederci incapaci di scendere in piazza in modo organizzato, nel non riuscire a incanalare la rabbia strisciante nelle strade, nel vedere che da una parte le uniche soluzioni che venivano date erano delle sfilate che si concludevano con l’ennesimo cartello elettorale in testa al corteo e dopo tutti a casa.
Ieri abbiamo detto NO, e non solo perchè il ministro ci prende in giro in TV , ma perchè sappiamo che contro chi vuole propinarci precarietà , sacrifici, licenziamenti e miseria non è il tempo dell’attesa, è il tempo del conflitto, di tracciare una linea netta tra noi e loro, di far comprendere a chi ci governa, che in silenzio non staremo e che il conflitto gia c’è e la messa in pratica di esso è inevitabile. In una fase come questa, l’abbandono della conflittualità a scapito delle proprie bandierine è senza dubbio un errore gravissimo. Ancora più grave se poi si maschera dietro un’eventuale non comprensione o condivisione di lavoratori, proletari studenti e così via. Ne abbiamo sentite troppe di “lezioni” del genere e anche in occasione del corteo di ieri non son mancate. C’è da dire che da parecchio tempo ormai il tentativo mediatico di separare buoni e cattivi sta fallendo miseramente e il consenso nei confronti dei momenti di rottura appare sempre più largo. In una sola occasione nel passato più recente si è verificata questa frattura e cioè il 15 ottobre dello scorso anno. A ben vedere però gli artefici della spaccatura e della criminalizzazione non erano affatto manifestanti comuni, ma aderenti a partiti e sindacati vari e tutti con le rispettive bandierine in mano si sono prodigati a filmare, a smascherare e denunciare gli altri compagni. Allora forse, è possibile anche dare un nome a chi è ancora contrario allo sviluppo di pratiche di conflitto in questa fase e non nascondersi dietro un paravento impalpabile e insostenibile considerato il malcontento sociale ormai diffuso.
Abbiamo ritenuto opportuno dunque, lavorare con chi volesse costruire una giornata di conflitto perché crediamo che questa potesse essere un’occasione importante per provare ad invertire l’inerzia che ha assunto il conflitto sociale in questo autunno. Con il 14 alle porte, con la possibilità di dare un respiro internazionale ai vari percorsi, abbiamo pensato di provare a dare un piccolo segnale. Siamo consapevoli che si tratti di poche cose ed in più infarcite di errori. Ciononostante ciò che volevamo dimostrare nella pratica è che nella agenda politica di questa fase è necessario far riemergere le pratiche conflittuali che qualcuno ha voluto sotterrare. Lo sciopero del 14 è una buona occasione per allargare sia le pratiche che un ragionamento sull’Europa e sul ruolo che gioca all’interno del sistema e sopratutto che la rabbia di milioni di lavoratori in tutta europa esploda e non venga contenuta entro argini astutamente architettati in loro nome.
In breve, quello che si è esso in campo è stato non solo una pratica attiva di resistenza metropolitana, ma anche un segnale, un invito, a tutti i compagni e a tutti coloro che ogni giorno sentono di non sopportare più il marciume che sta scivolandoci addosso , a non restare inermi, a non aspettare il candidato di turno, a non aspettare la soluzione che piova dal cielo.
SALARIO MINIMO EUROPEO PER TUTTI I LAVORATORI!
SOLO LA LOTTA PAGA! IL MIGLIOR CONSIGLIO E’ L’ESEMPIO. (Argala)
13 novembre 2012
zetanapoli.org