indice n.69

Il popolo egiziano unito contro il regime militare
Sciopero massiccio in Tunisia nel settore pubblico
Aggiornamenti dalla lotta dentro e contro i c.i.e.
I prigionieri palestinesi hanno interrotto lo sciopero della fame
lettere dal carcere di San Vittore (milano)
lettera dal carcere di Canton mombello (bs)
lettera dal carcere di Opera (mi)
precisazione dal carcere di Prato
lettera dal carcere di Carinola (ce)
lettera dal carcere di buoncammino (cagliari)
lettera dal carcere di velletri (roma)
lettera dal carcere di San Gimignano (si)
lettera dal carcere di Fossano (cn)
Da una Lettera dal Carcere di Torino
Riflessioni su Genova 2001, Roma 15 ottobre e Val susa
Appello per una mobilitazione internazionale per genova 2001
PARTE IL PROCESSO AI NOTAV CON TEMPI DA RECORD
PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE DI SAN VITTORE, SABATO 30 GIUGNO
bologna: A FIANCO DEI DETENUTI, PRESIDIO SOTTO IL CARCERE
monza: SOLIDALI NELLA LOTTA CONTRO I CIE SOTTO PROCESSO
Processo contro i compagni arrestati il 12 febbraio 2007
Taranto: Comunicato sulle perquisizioni del 29 maggio 2012
Viterbo: Comunicato sulle perquisizioni del 1 giugno 2012
sulla "gestione" del sisma in Emilia Romagna
Il profitto dei padroni, il vero epicentro di tutti i disastri
PER NON DIMENTICARE I LAVORATORI MORTI ALLA TRICOM
sciopero ai magazzini del "Gigante" di Basiano (milano)
Alba (cn): fermati sei notav in solidarietà ai lavoratori in lotta
é scoppiato il “piano” di marchionne (attenti ai cocci!)
Un NO strategico alla riforma del lavoro


Il popolo egiziano unito contro il regime militare
La scena che si vede adesso nelle strade del Cairo sembra familiare al popolo egiziano: vetri, macerie, pietre, ancora fumo e tanto sangue per terra. Medici che tentano, dopo aver soccorso migliaia di feriti, di ripristinare gli ospedali da campo, quegli stessi ospedali in cui hanno trovato salvezza prima i tanti attaccati dalla polizia di Mubarak, poi le migliaia di manifestanti attaccate, direttamente o indirettamente, dall'apparato militare al servizio del "governo rivoluzionario di transizione".
La strage che si è consumata nella giornata del 2 maggio al Cairo non è affatto nuova per il popolo egiziano, così come affatto nuove sono le dinamiche: ancora una volta è il regime militare ad essere accusato di coinvolgimento nei fatti di sangue che, davanti al ministero della difesa, hanno provocato la morte di almeno 11 persone (alcune testimonianze parlano anche di 20-25 vittime) ed il ferimento di altre centinaia. Ad essere attaccati sono stati i partecipanti ad un sit-in pacifico indetto da gruppi appartenenti all'ala salafita, che dallo scorso venerdì manifestavano contro l'esclusione, decisa dalla giunta militare, di Hazem Salah Abu Ismail dalla corsa presidenziale. Durante la giornata il presidio, fino a quel momento sorvegliato da decine di carri armati e centinaia di soldati, è stato attaccato da uomini in abiti civili armati di spranghe e bastoni.
Pesanti sono state le conseguenze nel paese, dove tuttora sono aperte le ferite della strage di Port Said, in cui 74 persone rimasero uccise lo scorso febbraio. Stessa la rabbia e stesso il contesto: i soldati non intervengono ed in decine di "baltageyya", civili al servizio del regime, attaccano ed uccidono indisturbati e, si crede, pagati dalle alte sfere.
Abbiamo raggiunto telefonicamente un testimone diretto dei fatti di ieri che ci ha narrato una situazione inverosimile: durante lo svolgimento del presidio, con un'altissima sorveglianza militare, improvvisamente e nell'arco di pochi minuti tutti i soldati ed i mezzi militari presenti sul posto sono scomparsi ed al contempo sono comparsi decine e decine di "civili" fino a quel momento non presenti in piazza che, armati fino ai denti, hanno iniziato ad attaccare, facendo strage ed uccidendo. Una volta compiuta la carneficina, gli assassini si sono ritirati e, come se niente fosse successo, sono ricomparsi i militari. L'esercito nega, e continuerà a negare anche tra le sfere più alte, l'esistenza dell'attacco.
Dopo questi fatti molti contendenti alla carica presidenziale hanno interrotto la campagna elettorale, sia la comunità internazionale che tanti politici egiziani hanno condannato duramente l'operato della giunta militare, ma la risposta più forte è giunta dalla piazza. Oggi, infatti, centinaia di attivisti laici hanno raggiunto i propri connazionali salafiti al Cairo per portargli solidarietà. Il nuovo presidio in corso in queste ore, inizialmente indetto dal movimento salafita, sta divenendo punto di riferimento per le molte migliaia di egiziani che non accettando una "rivoluzione a metà", pretendendo a gran voce che la giunta militare lasci immediatamente il potere.
L'immagine che ci restituisce oggi la capitale egiziana - il movimento laico che forma dei cordoni per proteggere i fratelli salafiti dalle aggressioni esterne - fa tornare alla mente il periodo pre-rivoluzionario e rivoluzionario, quando i musulmani accorrevano in aiuto ai cristiani attaccati da civili pagati, con tutta probabilità, dal regime di Mubarak.

I ricorsi al tribunale da parte di alcuni candidati alle elezioni presidenziali egiziane che denunciano irregolarità nelle votazioni, nonostante in molti casi tali irregolarità siano state manifeste, non sembrano portare nella direzione di un cambiamento. Ma nel frattempo è nuovamente la piazza a far sentire la propria voce; i giovani egiziani del resto, avevano annunciato: "non permetteremo al vecchio regime di guidare il paese".
Che sia stata la pressione degli aspetti religiosi (come nel caso del candidato Morsi) , i brogli elettorali o ancora la "voglia di stabilità" alquanto pilotata dalla propaganda del regime militare (sostenendo così il candidato Shafiq), i risultati elettorali non hanno rispecchiato le dinamiche rivoluzionarie che da un anno e mezzo imperversano nelle strade egiziane. Complice anche il forte astensionismo, gli egiziani torneranno alle urne il 16 e il 17 giugno prossimi per il ballottaggio tra Ahmed Shafiq, ex ministro in carica durante il regime di Mubarak, e Mohammed Morsi, il candidato della fratellanza musulmana, movimento politico che ha spesso dimostrato la propria contrarietà al proseguimento della rivoluzione.
Alcune tra le organizzazioni rivoluzionarie affermano già di voler sostenere il candidato dei Fratelli Musulmani in funzione anti-Shafiq; nel frattempo si susseguono le richieste di squalifica di Shafiq dalle elezioni per "incostituzionalità", data la sua precedente carriera nel vecchio regime.
In questo quadro non si è fatta attendere la reazione della piazza egiziana: nella giornata del 28 maggio, poche ore dopo l'annuncio dei risultati ufficiali, in migliaia sono scesi in piazza al Cairo, ad Alessandria, a Port Said, a Suez e ad Ismalia. La giornata di lotta più intensa si è vista nelle strade del Cairo dove in migliaia si erano ritrovati in piazza Tahrir per manifestare contro Shafiq al grido di "Via, Via il vecchio regime" o ancora "Shafiq, piazza Tahrir non ti vuole!".
I manifestanti poi sono stati attaccati da uomini armati - con tutta probabilità uomini pagati dalle forze armate o dal vecchio regime - che hanno iniziato a colpirli con coltelli e bastoni. Scena questa che si ripete ciclicamente quando ad essere sotto attacco è il regime di Mubarak, il regime militare del colonnello Tantawi ed oggi Shafiq, candidato del nuovo-vecchio regime.
Nella notte la piazza della capitale egiziana si è nuovamente riempita con ancora maggiore determinazione: centinaia di manifestanti hanno incendiato il quartier generale di Shafiq. La rabbia popolare è esplosa, gli stabili sono stati devastati e dati alle fiamme, tutti i materiali di propaganda elettorale sono stati distrutti. Mentre nelle strade egiziane è già in corso una caccia all'uomo per trovare chi materialmente abbia assalito la sede di Shafiq, ciò che oggi emerge è che l'Egitto non accetterà che un uomo del vecchio regime - sostenuto a spada tratta dalle autorità militari - possa comandare un popolo che ha a lungo lottato per abbattere quello stesso sistema che adesso si ripropone di guidare il paese. Non c'è propaganda o guerra del terrore che tenga.

Il verdetto emesso nella giornata del 2 giugno contro il vecchio regime è stato senza dubbio una riprova del tradimento della rivoluzione: condanna a vita per Hosni Mubarak e per Al-Adly, ma allo stesso tempo, piena assoluzione per Alaa e Gamal, figli dell'ex raìs, e per i capi dei reparti di sicurezza. Come successo con le elezioni presidenziali, dove ad aver vinto erano state la propaganda del regime e quella dell'Islam dei Fratelli Musulmani, anche il verdetto emesso contro il vecchio regime segna ancora una volta la sconfitta di una delle più importanti parole d'ordine del popolo egiziano: la giustizia per le vittime, del nuovo e del vecchio regime.
Ad emergere ancora una volta è stata la contraddizione insita nel sistema di potere che si è instaurato dopo la caduta di Mubarak. Mentre è stato condannato l'ex rais - del resto la giunta militare non avrebbe potuto far altrimenti, per mantenere il, seppur precario, consenso - chi, tra le sfere militari, detiene oggi il potere, colpevole di crimini ancor maggiori, continua a governare con un sistema repressivo che di poco si discosta dal regime di Mubarak. Il regime del colonnello Tantawi, colpevole di uccisioni e arresti quanto, se non più, abbia fatto Mubarak durante il periodo rivoluzionario, da una parte condanna l'ex rais per crimini di cui egli stesso è colpevole, dall'altra si limita a quelle condanne che bastano per non essere bollato da controrivoluzionario. La piena assoluzione di figure come Alaa e Gamal Mubarak la dice lunga in tal senso.
Accanto alle contraddizioni dell'elite militare, ad emergere dalle aule del tribunale sono anche le forti divisioni interne al popolo egiziano. Al momento della lettura del verdetto, mentre in aula i familiari delle vittime e gli attivisti presenti hanno scagliato la propria rabbia contro la corte, accusata di servilismo verso il nuovo-vecchio regime, la situazione che si è vista fuori andava in tutt'altra direzione. Un gruppo di "attivisti pro-Mubarak" si scontrava con la polizia contro un verdetto che, a loro dire, sarebbe stato troppo duro, contro un presidente che per 30 anni aveva solo fatto il bene del paese.
Dunque molte sono le contraddizioni - continuità tra nuovo e vecchio regime, ma anche forti divisioni interne - emerse ancora una volta nell'Egitto post-rivoluzionario, anche se le mobilitazioni in Piazza Tahrir sembrano, anche quest'oggi, confermare la forza del movimento rivoluzionario.

Ricorreva mercoledì 6 giugno il secondo anniversario della morte di Khaled Said, giovane egiziano ucciso dalla brutalità delle forze di polizia ad Alessandria alcuni mesi prima l'inizio delle proteste. Khaled Said è stato solo uno dei moltissimi egiziani deceduti per le torture delle forze di polizia, ma è divenuto uno dei simboli della rivolta che ha portato alla cacciata di Hosni Mubarak.
Molti sono coloro che, durante il regime di Hosni Mubarak, sono stati detenuti ingiustamente, sono stati torturati e sono morti nelle prigioni egiziane. Ma il ricordo di Khaled Said ha assunto un significato particolare: al posto di Khaled Said ci sarebbe potuto essere chiunque altro, "Khaled Said è ogni egiziano".
Il ricordo di quel giovane, picchiato a morte all'uscita da un caffè - senza alcuna ragione se non quella derivante dalla brutalità della polizia - si è ben presto tramutato, durante la rivoluzione, in una richiesta di giustizia, di libertà, contro un regime dispotico e corrotto.
La pagina Facebook "We are all Khaled Said", le sue gigantografie, gli stencil che su tutti i muri delle strade in rivolta raffigurano il suo volto sono stati - e lo sono ancora oggi - punto di riferimento per il popolo della rivoluzione.
La giornata del 6 giugno - secondo anniversario della sua morte - ha dimostrato come il ricordo di Khaled Said sia ancora presente nel paese. In migliaia hanno partecipato alle manifestazioni in suo ricordo nelle strade del Cairo e ad Alessandria - la sua città natale - usando le stesse parole d'ordine e mostrando la stessa rabbia di allora. Il volto di Khaled Said continua ad apparire sui muri egiziani, nei graffiti e nelle parole di ribellione che caratterizzano il paese. Nell'Egitto ancora in rivolta Khaled Said non è solo uno dei tanti martiri per cui si continua a chiedere giustizia - giustizia peraltro ancora lontana - Khaled Said è un'idea, un principio, una lotta ancora dura a morire.

maggio-giugno 2012
Liberamente estratti da infoaut.org


Sciopero massiccio in Tunisia nel settore pubblico
Un anno dopo la caduta del dittatore Ben Ali, le promesse sociali della "rivoluzione tunisina" sono lontane dall'essere realizzate.
E' anche in nome delle speranze suscitate l'anno scorso dai movimenti, che i lavoratori dei tre rami del settore pubblico - giustizia, istruzione e salute - sono in sciopero mercoledì 30 e giovedì 31 maggio.
Se lo sciopero dei magistrati è durato solamente un giorno con una piattaforma imperniata sulle questioni della giustizia che tiene conto della difesa dell'indipendenza della magistratura contro il licenziamento di 81 giudici, lo sciopero degli insegnanti da un lato e quello dei medici e del personale ospedaliero dall'altro, sono stati ampiamente partecipati e con rivendicazioni generali: la difesa del servizio pubblico contro la privatizzazione strisciante dell'era Ben Ali.
Il successo dello sciopero è innegabile, l'85% dei lavoratori nei settori in questione ha risposto, secondo il portavoce dell'UGTT Sami Thari: "La maggior parte delle scuole e dei tribunali sono rimasti chiusi mercoledì. Gli ospedali hanno garantito un servizio minimo e nei casi di emergenza."
Nel settore dell'istruzione, la rabbia cresce per la mancanza dei mezzi per la scuola. Gli insegnanti reclamano salari più alti e diminuzione dell'orario, sulla base degli insegnanti della scuola secondaria.
Va detto che la condizione di docente non è invidiabile e non suscita vocazioni, con un salario di ingresso di 600 dinari (300 euro). L'abbandono sotto Ben Ali di una formazione di qualità per gli insegnanti, coniugata a una politica quantitativa degli esiti delle laurea, ha contribuito a svalutare i diplomi e la professione di docente in Tunisia.
La mobilitazione è stata ampia tra gli insegnanti tunisini: l'adesione allo sciopero è stata mediamente dell'85%, con punte del 97% in Beja, 95% a Kasserine e Gafsa e il 94% a Tunisi. Ma è nel comparto sanitario la rabbia più accesa, che ha mobilitato medici, farmacisti, dentisti e una parte del personale ospedaliero e universitario negli Ospedali Universitari.
Gli ospedali pubblici stanno soffrendo a causa della mancanza di mezzi con drammatiche conseguenze umane: la carenza di posti letto e di apparecchiature mediche, la diffusione di tecnologie obsolete. Negli ospedali le aggressioni contro il personale ospedaliero sono in aumento.
I medici specialisti passano al sistema privato visto che il salario di ingresso di un medico d'emergenza non raggiunge i 1.000 dinari (500 euro) in condizioni di lavoro terribili.
La precarietà è diventata un luogo comune negli ospedali con la pratica dei "contratti rinnovabili" (l'equivalente dei contratti a tempo determinato) che mantengono il personale in una situazione di insicurezza, con un salario minimo di 300 dinari (150 euro).
Secondo Habiba Mizouni, Segretario del Sindacato dei Medici legato alla UGTT, si tratta di una "politica deliberata nell'era Ben Ali, che mira a creare un divario tra la sanità pubblica e quella privata per promuovere la privatizzazione del settore".
Il sindacato rivendica non solo l'aumento degli stipendi e la fine dei contratti a termine, ma anche infrastrutture di qualità, mezzi per consentire all'ospedale pubblico di essere riferimento nel settore.
La risposta allo sciopero è stata quasi all'unanimità: con il 95% delle adesioni negli ospedali in tutto il paese, con un record del 100% a Monastir, il 95% in Sfax, il 90% a Tunisi. La consapevolezza della posta in gioco nella lotta contro la strisciante privatizzazione della salute, è chiara in molti scioperanti. Così, Kalthoum Kazdaghli del UGTT ha detto: "Nel prossimo futuro, chi avrà i soldi potrà accedere all'università di medicina e fare carriera, gli altri saranno allontanati. Il futuro della medicina in questo paese è davvero in pericolo".
Un altro medico ha commentato: "Mi oppongo alla privatizzazione degli ospedali e degli ospedali universitari, perché l'accesso alle cure dovrebbe essere universale e non solo per chi può permetterselo".
Lo sciopero del 30 e 31 maggio è solo l'inizio di un movimento di rabbia nei confronti di una rivoluzione sequestrata dalle forze liberali al servizio dell'imperialismo occidentale. Prende forma una convergenza delle lotte in difesa di una concezione diversa della società tunisina, quella sostenuta dai veri protagonisti della "rivoluzione tunisina".

4 giugno 2012
da solidarite-internationale-pcf.over-blog.net, in resistenze.org


Aggiornamenti dalla lotta dentro e contro i c.i.e.
Milano: Corelli brucia ancora
Il 24 maggio al tribunale di Milano si è svolta la prima udienza di un processo che vede imputati nove uomini accusati a vario titolo di aver partecipato ad una sommossa scoppiata nel CIE di via Corelli il 15 gennaio scorso.
Fino a qui si potrebbe pensare ad un processo come se ne sono visti tanti in questi anni a carico di chi nei Centri di Identificazione ed Espulsione lotta per riprendersi la propria libertà. Invece questa volta val la pena soffermarsi un po' di più ad osservare ciò che sta avvenendo ed i problemi che sta ponendo.
In primo luogo è utile ricordare i fatti. Il 15 gennaio scorso, a seguito del pestaggio di un ragazzo e dopo l'ennesima perquisizione alla ricerca di cellulari (che sono vietati a Corelli dall' ottobre 2010 ma che col tacito accordo della polizia vengono venduti sottobanco dai solerti crocerossini per la modica cifra di 200 euro) la tensione all'interno del centro esplode. Scoppia una rivolta, la sezione E viene del tutto distrutta (ed è tuttora inagibile) e vengono arrestati tutti i 26 "ospiti" della stessa.
Mentre nei due giorni seguenti i reclusi del CIE nel loro insieme mettono in atto uno sciopero della fame in solidarietà con i loro compagni arrestati questi ultimi una volta portati in questura vengono interrogati due alla volta, sottoposti a forti pressioni psicologiche ed indotti ad incolparsi a vicenda nel tentativo di suscitare reciproco astio e diffidenza.
E qui sta il nocciolo di uno dei primi problemi che ha posto e pone tutt'oggi questa storia. Alcuni di loro non cedono alle intimidazioni poliziesche, altri in parte sì. Così dei 26 arrestati a nove viene confermata la custodia in carcere, due riescono ad evadere dalla questura, cinque vengono deportati e gli altri trasferiti in vari CIE.
La situazione che si è venuta a presentare in merito a tale vicenda ci ha dato del filo da torcere fin dall'inizio, in particolare sul fatto di dare o meno la solidarietà. Date le circostanze in cui il terrorismo psicologico, scientemente orchestrato dagli aguzzini in divisa, ha scalfito un'integrale solidarietà fra prigionieri, non è facile avere un approccio politico che non tenga conto di questo spiacevole aspetto. Ma non bisogna neppure dimenticare il fatto che costoro si sono ribellati distruggendo un'intera sezione.
Questo è un processo in cui fra gli atti ci sono dichiarazioni esplicite che mettono in posizione scomoda alcuni degli accusati, ma ciò non significa che non può essere anche questo processo un'occasione per proseguire la lotta contro i CIE e per sottrarre al silenzio le condizioni di vita interne e le esplosioni di rabbia che queste strutture generano, mantenendo la prospettiva di abbatterle totalmente.
Inoltre in secondo luogo gli imputati, che verranno processati con rito ordinario, vengono accusati niente di meno che di "devastazione e saccheggio". Imputazione che è stata riproposta in questi ultimi anni tra i banchi dei tribunali in occasione di singoli episodi di scontri di piazza e che, con condanne che vanno dagli otto ai quindici anni, mira ad intimidire chi lotta per indurlo a non alzare troppo la testa.
Ora vediamo applicare questo capo d'imputazione in merito alle rivolte nei centri.
La tensione a Corelli così come dentro i CIE di tutta Italia resta sempre molto alta ed oscilla tra gesti di autolesionismo, tentativi di evasione, atti di rivolta individuale e di sommossa collettiva. A partire dal graduale aumento della durata di detenzione (prima fino a 6 mesi e poi fino ai 18 mesi) c'è stato un incremento esponenziale di rivolte ed evasioni sia in termini quantitativi che d'intensità. A ciò si accompagna una massiccia somministrazione di psicofarmaci per debilitare gli individui reclusi, ma nemmeno questa tattica riesce nel suo intento. Ora approda nelle aule di tribunale una nuova tappa della strategia repressiva: l'utilizzo di capi d'accusa che prevedono pene di lunga durata. Se solitamente chi veniva processato per fatti simili era imputato per reati di danneggiamento, resistenza, violenza ecc. e condannato ad alcuni mesi di galera, ora i nove arrestati rischiano un pena altissima. Questo è un chiaro tentativo repressivo per far recedere dai propri propositi chiunque altro fosse intenzionato a compiere simili atti di insubordinazione.
Riteniamo importante prendere atto delle nuove strategie repressive che stanno utilizzando per colpire chi si ribella nei CIE, per sviluppare una riflessione in merito alle lotte che avvengono anche fuori e per dare più incisività alle nostre azioni.

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"Tra vento e tempesta": Resoconto Processo ai rivoltosi di corelli
Giovedì 24 maggio si è svolta la prima udienza riguardante la rivolta che il 15 gennaio scorso che ha reso inagibile una sezione del Cie di via Corelli a Milano. Dei nove imputati, tutt'ora detenuti in carcere a S. Vittore, ne erano presenti otto, in quanto uno ha chiesto il rito abbreviato ed è stato trasferito al carcere di Bergamo. L'accusa è di devastazione e saccheggio.
L'udienza è stata breve in quanto mancava un interprete in lingua araba (la maggior parte dei detenuti non parla italiano). Alcuni solidali presenti hanno mostrato supporto agli imputati con alcuni slogan lanciati alla fine dell'udienza.
Il 31 maggio alle ore 14 si è svolta la seconda udienza tecnica dove sono state consegnate le prove, proposti i 36 testimoni della difesa, quasi tutti accettati, tranne il Prefetto di Milano e due Senatori, componenti della "commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani".
Poi è stato fissato il calendario delle prossime udienze, che si distribuiranno tra la metà di giugno e la metà di luglio. la difesa sarà incentrata sulle condizioni disumane dei CIE, nello specifico quello di Corelli a Milano. Un altro aspetto centrale è che non ci sono le prove per accusare gli 8 ragazzi di aver distrutto la sezione E del cie di Via Corelli e per la prima volta verranno visionate in aula le registrazioni delle telecamere.
La prossima udienza sarà il 19 giugno alle ore 10, terzo piano, aula 1 bis.
Saremo presenti ancora una volta in aula per dire a gran voce che questi lager non li vogliamo, e per esprimere complicità e supporto a chi si è rivoltato nei Cie e rischia per questo anni di galera.

26 maggio. Un sabato pomeriggio alcune persone vanno a fare volantinaggio sotto le mura di via Corelli, troviamo pochi parenti, di cui alcuni già incontrati. Due ragazzi son lì per la prima volta e si chiedono che posto sia quello se un carcere o cosa, così spieghiamo loro il significato senza senso, intriso di ogni atrocità, di quel recinto murato.
Il motivo della loro presenza è il loro amico, arrivato il giorno prima dal carcere e subito trasferito direttamente al CIE, ma le sue condizioni di salute sono molto precarie e abbastanza gravi, che possiamo accertare dalla visione di una cartella clinica che attesta la necessità di un operazione e dell'assunzione di medicinali particolari; infatti l'amico ha subito provveduto a portare il farmaco insieme al pacco che doveva consegnare e poi fare richiesta di colloquio. Consigliamo di far visionare la cartella clinica ad un avvocato, che poi avrebbe potuto fare tutte le pratiche per farlo scarcerare per motivi di salute, almeno si spera, e comunque sono considerati detenuti scomodi, dei quali è meglio liberarsene. Arriva il turno della consegna del pacco e lo attendiamo, ma i tempi si allungano così tanto che pensiamo che forse gli hanno concesso di fare il colloquio subito. Intanto, mentre alcuni di noi stanno parlando con il parente di un detenuto, recluso da 9 mesi, arriva una macchina con quattro digotti che iniziano a farci foto ininterrottamente e forse anche filmati, abbiamo fatto finta di niente e abbiamo aspettato il ragazzo, che era l'ultimo, per andarcene. Dopo un bel po' di tempo, forse mezz'ora, accorriamo da lui per sapere come è andata, ma aspramente ci dice di stare lontani, che non vuole ci vedano insieme, così ci teniamo a distanza mentre ci allontaniamo dalle mura. Una volta lontani il ragazzo è visibilmente spaventato e arrabbiato, in quanto ha solo consegnato il pacco e poi è stato circondato dalla polizia e dall'ispettore, che l'hanno minacciato pesantemente di non farlo andare via fino a quando non gli avesse riferito tutta la comunicazione che aveva avuto con noi. Lui imperterrito ha detto che gli avevamo solo chiesto una sigaretta, loro in risposta lo incitavano a fare molto attenzione perché loro sono napoletani e picchiano forte, dopo mezz'ora lo hanno lasciato andare. Cercano sempre più di mantenere l'isolamento, di imprigionare ogni cosa all'interno di quelle fottute mura, nulla si deve sapere di cosa avviene all'interno e tanto puoi fare quello che vuoi che nessuno vede, abusare ed annientare, evitare contatti con l'esterno, sentirsi forti con il senso del potere con la divisa e la pistola da una parte ed il manganello dall'altra, ma noi continuiamo sempre più incazzati creando ponti che neanche i muri possono fermare.
Il 1° giugno ci arriva notizia di un detenuto che è riuscito a scappare dal Cie di via Corelli a Milano. Il ragazzo tenta prima il suicidio, preparando la corda per impiccarsi. Viene quindi portato all'ospedale Niguarda dove viene visitato e curato. Una pattuglia lo sta riportando al CIE di Corelli quando, nel momento in cui gli sbirri si fermano a pagare il casello della tangenziale, lui semplicemente apre lo sportello della macchina e si dà alla fuga. Speriamo che la libertà così ottenuta gli sorrida ancora a lungo. Horria!

Torino: continuano le tensioni tra un fuoco e l'altro
14 maggio. Dopo una settimana di piccoli incendi, alla notte una settantina di reclusi, appartenenti alle due aree rossa e gialla, hanno dato fuoco a materassi ed altre masserizie. Hanno protestato contro il Giudice di Pace che, un mese dopo l'altro, continua a rinnovare loro la detenzione. I fuochi sono stati spenti ma gli animi sono roventi.
28 maggio. La polizia tenta di far entrare nell'area rossa un fabbro, per aggiustare una porta danneggiata nei giorni precedenti. Il fabbro è stato cacciato, la polizia ha reagito e gli animi si sono accesi. Nel pomeriggio 5 reclusi se ne stanno appollaiati sul tetto e nonostante la polizia li abbia bersagliati con gli idranti, sono ben determinati a non scendere. Intanto il CIE si è riempito di camionette della polizia e, in serata, un presidio improvvisato ma abbastanza folto, ha portato solidarietà sotto alle mura.
Il 29 maggio, alle ore 11.30, i cinque sono ancora sul tetto, in sciopero della fame; anche i compagni della loro area rossa stanno scioperando con loro. Nel pomeriggio scendono dal tetto spontaneamente, ma hanno trovato la loro camera chiusa, dichiarata inagibile. Pezzo per pezzo l'area rossa sta diventando sempre più piccola.
Bologna: feroci pestaggi e 5 arresti
Il 14 maggio alle 10 e 30 abbiamo ricevuto una chiamata da due reclusi del CIE che con voce concitata e spaventata ci informavano di un feroce pestaggio in corso. La polizia era entrata nelle celle della sezione maschile per fare delle perquisizioni sfociate in violenza, in particolare da parte de "l'ispettore", una figura che ci era già stata segnalata in passato per essersi distinta nelle aggressioni fisiche sui detenuti. I ragazzi ci hanno parlato di volti e denti spaccati a calci e di un ferito per emorragia interna, trasportato in ospedale. Altri quattro erano stati appena portati in questura.
Alcuni solidali si sono recati quindi sotto la questura per portare il loro sostegno, mentre altri si sono recati al Sant'Orsola per accertarsi delle condizioni del ferito. Si è saputo così che il ragazzo era già stato dimesso e che era stato arrestato insieme agli altri quattro. Nel pomeriggio i reclusi ci hanno informato di un secondo pestaggio e della permanenza di tre camionette della polizia all'interno. Inoltre già dal pasto di mezzogiorno avevano iniziato uno sciopero della fame perché preoccupati della sorte dei loro compagni, con la richiesta che venissero liberati.
Successivamente qualcuno è passato fuori dalle mura per fare un saluto e per dire loro che quanto stava accadendo dentro aveva già fatto il giro della città, attraverso le radio locali e gli interventi sotto la questura.
Nell'ultimo mese le rivolte e le evasioni non sono mai cessate tanto che in 18 sono riusciti a riprendere la libertà. Per far fronte a questa situazione molti dei reclusi sono stati trasferiti in altri CIE (per esempio a Trapani) o deportati. In questo momento nella sezione maschile sono rimasti in 16 quando di solito il numero non è inferiore ai 60.

Al Cie di Modena lenzuola, seghetti, sommosse con evasione, denunce
Il 17 maggio la polizia ha mandato una squadra di venti agenti del Reparto Mobile per controllare a tappeto la struttura detentiva modenese. Durante i controlli sono stati scoperti, dentro l'impianto di areazione, in precedenza danneggiato, dieci metri di lenzuola di carta annodate e quattro seghetti. La perquisizione è terminata con cinque denunce per danneggiamento.
Nella tarda sera del 22 maggio al CIE un inserviente della Misericordia apre la porta del recinto di uno dei due cortili interni per l'ultimo servizio. E' buio e non riesce neppure ad accorgersi che un'orda di persone, fitte fitte, si avventa su di lui e lo schiaccia. Passano attraverso la strettoia che li porta nello spiazzo aperto interno. Sempre sciamando si avvicinano al gruppo di soldati dell'esercito. [...] Niente da fare: lo sciame umano avanza veloce e implacabile e travolge anche loro. Entra dentro la struttura e attraverso i corridoi riesce a guadagnare l'ingresso. Si imbatte in due agenti della guardia di finanza, ma anche loro resteranno travolti e colpiti con una spranga: saranno medicati al pronto soccorso con alcuni giorni di prognosi. L'orda di 24 reclusi arriva al cancello. Il gabbiotto è abbandonato. Scavalcano in fretta e furia e si disperdono lungo la tangenziale. Qualcuno li aspetta fuori. Un gruppo riesce a salire su un furgone o un camion e a sparire. Vengono trovati il giorno dopo alcuni di loro nelle campagne a Rami di Ravarino, nascosti dietro un capannone. Tre vengono catturati e riportati al CIE. Gli altri sono uccel di bosco.

Gradisca d'Isonzo (gorizia): tensioni, rivolte, evasioni
18 maggio. Un recluso sale sul tetto del CIE e uno al suo interno si ribella. Nel tentativo di sedare i focolai di rivolta, due poliziotti hanno rimediato contusioni guaribili rispettivamente in 15 e 5 giorni.
Il 20 maggio arrivano 50 persone provenienti dai CIE di Trapani e Caltanissetta, probabilmente a breve espulsi e rimpatriati nel paese d'origine. Tra queste persone ci sono tre persone tossicodipendenti e a Gradisca, al contrario di altri CIE, non provvedono alla somministrazione del metadone; quindi sono stati trasferiti a Bari per un totale di 15 biglietti aerei. L'assurdo è che queste tre persone erano già transitate a Gradisca, da lì portati in pullman a Milano poi in aereo a Trapani per poi ritornare a Gradisca. Passaggi dal consolato tunisino che autorizza la disponibilità al rimpatrio e rilascia il necessario lasciapassare provvisorio, se questo non avviene vengono riportati nei CIE.
L'arrivo così numeroso non è una casualità, in quanto proprio qualche settimana fa la Prefettura ha aumentato ufficialmente la capienza della struttura a 118 posti rispetto ai 68, oltretutto raramente riempiti. Stanno anche ristrutturando una parte e potenziando dei sistemi di controllo per poi arrivare a 248 posti ma il 26 maggio, appena avvenuto l'allargamento e il potenziamento del controllo, due reclusi riescono a scappare. Aprendiamo dalla stampa che il 28 maggio durante una sommossa, sei detenuti sono saliti sul tetto. Due marocchinisono riusciti a saltare il muro di recinzione e sono riusciti ad evadere. Sei reclusi hanno dato il via alla sommossa, salendo tutti sul tetto delle camerate nella zona blu. Poi sono scesi da sei punti differenti. I due marocchini sono balzati su una camionetta dell'esercito e dal tetto del mezzo si sono lanciati oltre il muro di recinzione, riuscendo a dileguarsi nei campi limitrofi.

Trapani-Milo: continue evasioni
Nella notte tra domenica e lunedì di fine maggio, dopo aver tagliato le prime reti, i reclusi hanno dato vita ad una sommossa. Tutti uniti travolgono tutto quello che si trovano davanti, diversi sbirri rimangono feriti ed uno è abbastanza grave, un'auto della polizia viene pesantemente danneggiata, il tutto si conclude con sessanta persone evase. Horria!
Il 3 giugno per la prima volta una delegazione di giornalisti, guidati dal presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Roberto Natale, visita il centro d'identificazione ed espulsione di contrada Milo a Trapani. Una struttura che, come tutti gli altri CIE d'Italia, era inaccessibile durante il precedente governo per volere dell'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni. Nel centro di Trapani sono rinchiusi 76 migranti, molti “passati” per le carceri del Nord Italia per condanne di spaccio e reato di clandestinità. "Scontiamo una doppia pena senza aver fatto nulla", denuncia Mohammed, dal 1979 in Italia, 22 anni di contributi versati e una figlia nata a Napoli, ma arrestato dopo aver perso il lavoro. Decine i casi di autolesionismo e tentato suicidio. Nelle ultime settimane sono evasi in 118, lanciandosi dai muri di recinzione. Mentre i migranti che sono rimasti denunciano violenze da parte della polizia, mostrandone i segni sul corpo, e le enormi difficoltà a parlare con gli avvocati.

Ultime dal confine
Lampedusa, 25 maggio - Il cadavere di un trentenne, di probabile origine subsahariana, é stato recuperato dalla guardia costiera nello specchio di mare di fronte l'isolotto di Lampione a Lampedusa. Il corpo, molto decomposto e in mare da almeno una ventina di giorni, potrebbe appartenere a un migrante partito su un barcone dal Nordafrica per raggiungere le coste italiane. Sarà seppellito nel cimitero di Lampedusa. Così, come un numero. Il numero 18.268. Stamani, intanto, una cinquantina di migranti sono sbarcati lungo la costa trapanese, vicino Castelvetrano.
Palermo, 26 maggio - Sarebbero almeno una decina, ma qualcuno parla anche di 30 dispersi, le vittime dell'ennesima tragedia dell'immigrazione avvenuta davanti alle coste libiche, stando almeno al racconto di un centinaio di superstiti raccolti ieri su un gommone semi affondato davanti alle coste libiche. Nell'operazione di soccorso, scattata in seguito all'intervento della Guardia Costiera italiana, sono intervenute due navi mercantili che hanno trasferito i profughi a Tripoli. Sono stati proprio i superstiti a confermare quello che avevano già comunicato ieri via radio, quando avevano lanciato l'Sos con un telefono satellitare: "Siamo un centinaio e rischiamo di affondare, ci sono già diversi morti. Veniteci a salvare". I superstiti non sono stati portati in Italia ma respinti in Libia al porto di Tripoli, in aperta violazione dei principi della sentenza della Corte europea del 23 febbraio 2012, che impegnava l'Italia a garantire l'accesso alle procedure di richiesta di asilo politico a tutti i naufraghi soccorsi nel canale di Sicilia. Valgono solo i principi disumani e garantiscono torture a tutti!
Milano, giugno 2012


I prigionieri palestinesi hanno interrotto lo sciopero della fame
Il massicio sciopero della fame dei prigionieri palestinesi, che era iniziato lo scorso 17 Aprile, durante la giornata annuale del Prigioniero Palestinese, e che ha visto partecipare oltre 2.000 dei 4.800 prigionieri politici, per protestare contro le punizioni arbitrarie e la violazione dei diritti umani, è terminato con un accordo il 15 Maggio 2012, nell anniversario della Nakba.
La protesta era nata per contestare il prolungato isolamento in cui 19 prigionieri erano tenuti (alcuni per oltre 10 anni), il blocco delle visite dei parenti (in vigore per la striscia di Gaza dal 2007), il divieto di poter studiare e dare esami, la fine della Detenzione Amministrativa per 300 prigionieri, detenuti senza processo e senza accuse.
I dettagli dell'accordo raggiunto li spiegano Fares Ziad,e Aahmoud Hassan avvocati di Addameer: il comitato dei detenuti in sciopero della fame, composto da 9 membri, tra cui Ahed abu Guluneh, coimputato di Ahmed Sada'at (ed entrambi in isolamento da anni), ha ottenuto che in cambio dell'interruzione dello sciopero della fame ci sarebbe stata la sospensione dell'uso dell'isolamento per lunghi periodi e di conseguenza la fine dell'isolamento per i 19 perigionieri palestinesi entro 72 ore; le visite dei parenti di primo grado non permesse per vaghi motivi di sicurezza sarebbero state permesse entro un mese; la formazione di un comitato per facilitare i contatti tra l'amministrazione carceraria e i detenuti per risolvere tutte le questioni ordinarie irrisolte (pacchi, permessi di studio, etc, etc); non sarebbe stata rinnovata la detenzione amministrativa per gli attuali 308 prigionieri palestinesi soggetti a tale misura detentiva, ma solo a condizione che i files segreti, su cui questa detenzione si basa, non contengano informazioni ritenute molto gravi; per 5 detenuti amministrativi in sciopero della fame a oltranza, non ci sarebbero stati rinnovi dell'ordine di detenzione e inoltre sarebbero stati scarcerati alla fine del periodo dell'ultimo ordine di detenzione (inclusi Bilan Diab e Thaer Halahleh, in sciopero da 77 giorni); i cinque detenuti in sciopero della fame sarebbero stati trasferiti in ospedale e curati con adeguate cure, compreso il periodo di riabilitazione; una limitazione dell'uso dea Detenzione Amministrativa solo a casi molto gravi.
Addameer ha espresso preoccupazione sul fatto che l'accordo non pone a teermine il problematico uso della Detenzione Amministrativa, che viola tutte le leggi di Diritto Internazionale dei detenuti. Ha inoltre espresso seri dubbi sulla volontà dello stato sionista di applicare correttamente l'accordo raggiunto, dati i precedenti che ha in questo genere di comportamenti. Preoccupazioni che hanno però trovato conferma due settimane dopo l'accordo: per 25 palestinesi è stata rinnovata la Detenzione Amministrativa, in violazione di quanto stabilito.
Hussein Abu Dveik, presidente del parlamento di Gaza, che ha passato in galera un totale di 10 anni, ed è sopravvissuto al tentativo di uccisione di sua moglie e tre dei suoi figli nel 2002, ha visto la sua Detenzione Amministrativa rinnovata per altri 6 mesi per la sesta volta.
Anche Husam Khader, membro del parlamento palestinese e di Fatah e Mohammad Natshe (Hamas), da più di un anno detenuti, hanno visto rinnovata la loro detenzione amministrativa. Samer Barq, ha reiniziato il suo sciopero della fame il 22 Maggio a causa del suo mancato rilascio, dato che 8 giorni dopo l'accordo gli sono stati imposti altri 3 mesi di Detenzione Amministrativa.
Anche per quanto riguarda le misure punitive e l'isolamento, vi sono ancora prigionieri in isolamento, di cui però non si conosce il nome, che non viene fornito, e continuano ad essere applicati limiti alle visite dei parenti (mezz’ora ogni due mesi per Gaza, 45 minuti ogni due settimane per la West Bank), il blocco della posta o dei pacchi, etc etc. Il prigioniero Kifah Khatib, in sciopero della fame da 40 giorni e in isolamento, non è stato considetato come in isolamento e non è stato quindi spostato in sezioni normali.
Non è un caso che attualmente ci sia Mahmoud Al Sarsak, 25 anni, in sciopero della fame da 88 giorni, contro la detenzione amministrativa, Akram Rikhawi, anche lui in sciopero della fame da 63 giorni e Samer Al Barq che ha ripreso il suo sciopero della fame a oltranza da 24 giorni.
giugno 2012
tradotto da www.addameer.org


lettere dal carcere di San Vittore (milano)
Vi scrivo per ringraziare tutti voi cari amici di "Ampi Orizzonti" , ho ricevuto l'opuscolo di aprile oggi 26 maggio. Vi ringrazio per la vostra presenza in aula del processo nel tribunale di Milano e a tutti i coraggiozi che ci hanno gridato "Horria" libertà, a tutti gli applausi che avete fatto in aula del processo. Avete visto che noi siamo tutti stranieri e nessuno parla o capisce la lingua italiana, tranne io. Tutti gli imputati non hanno capito niente nel giorno del processo e oltre quello non hanno chiamato un interprete per loro, come avete visto il processo è stato rinviato per sette giorni e con il vostro aiuto, noi il giorno 31 maggio dobbiamo essere liberi tutti, perché non hanno nessuna prova e non ci sono prove. Grazie ancora per la vostra solidarietà e per la lotta alla libertà "Horria". Ora vi saluto a tutto il gruppo e arrivederci, un grande abbraccio a tutti voi.
Cordiali saluti.

26 maggio 2012
Ben Rahal Nsiri, P.za Filangieri, 2 - 20123 Milano

***
[...] Qui sono successi tra mercoledi e domenica 12 maggio due round tra tunisini e albanesi, nel primo solo cazzotti, nel secondo é comparso qualche punteruolo cosi un paio sono stati portati all'ospedale, senz'altro al centro clinico interno.
Sono momenti di tristezza perché vedi le guardie, l'intero carcerario che se la ride perché ti vede spaccato da guerra interna, penso irrisolvibile se non con un agire comune, mosso dal bisogno comune di liberarsi, di tenere alto il livello della dignità.
Questi scontri nascono proprio dal criterio, non credere, tutto non accade a caso anche se in apparenza pare proprio al contrario. La composizione delle carceri, delle sezioni e quindi dei passeggi - l'aria é là che si dirimono le questioni - sono studiate per impedire la resistenza, la solidarietà e la dignità.
La stragrande maggioranza di noi é immigrata, manca delle mutande come degli euro per acquistare bolli... non ha da leggere e vedere che in italiano, viene/siamo dentro spazi sporchi, stretti, senza lavoro... Questo é responsabile di tutto, cioé di alimentare le tensioni più basse ed elementari... della carenza, dell'assenza di rispetto minimo. Le tensioni si acuiscono fino ad esplodere. [...]

maggio 2012

***
Carissimi compagni, grazie per l'opuscolo, mi è arrivato in cella ieri, sabato, però non essendoci il timbro di spedizione, non vi posso dire dopo quanti giorni è arrivato da quando l'avete spedito. Questo per dirvi che quelle merde delle guardie, non hanno voglia di sbattersi e per tre giorni non ci hanno consegnato la posta. Difatti si erano accumulate le lettere, ed oggi sto passando il tempo, meno male, a rispondere ai compagni che mi hanno scritto. Leggendo l'opuscolo, soprattutto le lettere da questo e dagli altri carceri, mi sento sempre più fortunato. E' il secondo mese che passo qua dentro ed ormai con i miei cancellini ho legato bene, quindi riesco a farmi passare meglio la detenzione. A parte qualche screzio per la spesa, visto che quello che offre la casanza fa schifo, riusciamo a convivere bene. Ogni giorno si fa' la pulizia della cella con turni prestabiliti e nessuno si tira indietro. Non so' se al sesto raggio sia così, ma qui al quinto, in una zona che era dedicata all'ora d'aria, hanno fatto un campetto sintetico di calcio, così due giorni alla settimana, mi sfogo a giocare a pallone. Insomma, a parte le guardie, che sono delle merde a priori, sempre indisponenti e ti si rivolgono con arroganza, il resto mi và abbastanza bene. Qualche problema in settimana per via delle perquise alla mattina presto e prima di accedere all'aria. Questo perché hanno trasferito dal sesto al quinto raggio, degli albanesi che si erano presi con dei nord africani. Il caldo comincia a farsi sentire; in cella batte il sole dalle tre fino al tramonto e comincia ad essere un piccolo fornelletto. Qualche screzio anche durante l'ora d'aria, in questi giorni, questo dovuto alla mancanza di spazio. Infatti siamo una cinquantina o anche più, a girare in uno spazio abbastanza ristretto. Bisogna stare attenti a quelli che vogliono tenersi in forma e corrono sempre a circolo, sia nel nostro senso che in senso contrario. Ogni tanto capita che ci si tocchi dentro e cominciano i litigi, ma per ora non si è arrivati alle mani, per paura di avere "rapporto", il tutto sotto gli occhi delle guardie, che osservano dalla torretta centrale senza mai intervenire. Non so se ve l'ho già scritto, ma so che presto verrete qui sotto a leggere qualche lettera che vi arriva da dentro. Ora sto chiedendo ai miei cancellini se vogliono dire, scrivere qualcosa, ma tutti rispondono allo stesso modo, vogliono la libertà. Alcune richieste particolari sono:
- riuscire a tenere le celle aperte, almeno per circolare nel piano e non rimanere chiusi 21 ore su 24;
- Avere la possibilità di fare più corsi che ti impegnano la giornata;
- La possibilità di fare colloqui pure la domenica (per chi ha figli o il partner che lavora, è molto importante
- Che ti curino subito, se stai male il fine settimana devi aspettare lunedì.
Ora vi abbraccio tutti sempre a testa alta.

27 maggio 2012
D'Aulisa Adamo, Piazza Filangieri, 2 - 20123 Milano


lettera dal carcere di Canton mombello (bs)
La situazione in cui siamo costretti a vivere è per noi arrivata ad un punto non più non più sopportabile. Passiamo 19/20 ore al giorno chiusi in “gabbie” che, al netto del mobilio, ci concedono dai 70 ai 100 centimetri quadrati di spazio calpestabile, costretti a convivere in 5, 6, 9 e persino 17 persone con a disposizione un servizio igienico che definire tale è un tragico eufemismo. Costretti ad acquistare a nostre spese, o meglio a spese dei nostri familiari, persino carta igienica e prodotti per la pulizia della cella. Il vitto passato dall’amministrazione penitenziaria è al limite della sussistenza e della decenza. La direzione, il personale medico, infermieristico e la polizia penitenziaria compiono ogni giorno veri e propri miracoli per mantenere letteralmente in piedi il “baraccone” e la loro disponibilità e sensibilità è fuori discussione. Tutto ciò però non basta più e i recenti episodi di suicidi e violenze sono una spia del disagio crescente.
Quindi da lunedì 4 giugno 2012 abbiamo deciso di intraprendere una pacifica protesta per portare all’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità competenti la tragica situazione in cui ci troviamo.
Inizieremo in tale data uno sciopero della fame ad oltranza, sull’esempio del detenuto del carcere di Lecce recentemente lasciato morire dall’insensibilità, l’ignavia e il menefreghismo delle autorità, prima fra tutti il ministro di grazia e giustizia. Useremo i nostri corpi come estrema arma per tentare di scuotere le coscienze dormienti di chi ci governa, sperando che una coscienza questi “signori” l’abbiano, siamo convinti e determinati a portare tale protesta fino alle estreme conseguenze. Ringraziamo tutti coloro che dall’esterno vorranno supportarci in questa nostra lotta per il rispetto dei diritti umani e della dignità personale.
31 maggio 2012
da radiondadurto.org

Il 9 giugno lo sciopero è stato sospeso. Dalla stampa locale sembra che le ragioni di tale sospensione siano da attribuirsi all’impegno della commissione speciale sul sistema carcerario, presieduta da Stefano Carugo, "a discutere la difficile situazione in corso, che ha indotto i detenuti della struttura a cominciare lo sciopero della fame”.


lettera dal carcere di Opera (mi)
[...] Vi scrivo per dei chiarimenti e se mi potete aiutare a capire, io sono stato condannato a 9 anni e 6 mesi per due grammi di eroina così dicono loro, mi hanno fermato in aeroporto il 13 aprile 2012 gli agenti di polizia e dopo il controllo mi accusavano e mi dicevano che mi dovevano arrestare perché avevo due grammi di eroina droga; io non avevo nessuna droga in tasca e tale droga non l'ho mai vista neanche durante la mia perquisizione e neanche quando mi hanno arrestato. È possibile che possano avermi arrestato con una scusa? Solo perché sono, per i poliziotti, un fanatico dell'islam? Io ho girato tanti paesi europei Germania Londra, Francia, Italia e ho sempre fatto una vita da uomo regolare, come mai in Italia sono stato arrestato come spacciatore senza che mi hanno trovato della droga addosso? Ora sono rinchiuso presso il carcere di Opera con tanti anni da fare, vorrei chiedervi se potete aiutarmi ad avere delle risposte alle mie domande e se potete consigliarmi un avvocato d'ufficio che mi possa aiutare a capire il mio percorso giudiziario.
Vi ringrazio anticipatamente e spero in una vostra risposta. Che dio vi benedica tutti; con stima e i miei più cari saluti.

23 maggio 2012
Toumi Habib Ben Sassi, via Campognago, 40 - 20141 Opera (MI)


precisazione dal carcere di Prato
[sintesi] Ciao carissima Olga sono Tarantino DOMENICO; nel numero 67 dell'opuscolo (marzo 2012) a pagina 10, lettera da Prato, c'è un errore!!
I due detenuti che raccontavano del loro compagno di cella che si è impiccato, in realtà, parlavano di Tarantino GIUSEPPE.
Tarantino Domenico sono io e, in 25 anni di prigione, non ho mai chiesto di un dottore.

22 aprile 2012
Domenico Tarantino, via La Montagnola, 76 - 59100 Prato


lettera dal carcere di Carinola (ce)
Carissimi compagni, vi spedisco queste poche righe per farvi avere mie notizie e per informarvi che ho ricevuto l'opuscolo n° 67, vi ringrazio per la vostra solidarietà e vicinanza che aiuta tanto e ci sostiene ad andare avanti e lottare ogni giorno contro la repressione che in questi posti è tanta, ma importante è non abbattersi e lottare per salvaguardare quelli che sono i nostri diritti.
Vi informo che sono stato 20 giorni in Sicilia per il processo; mi hanno appoggiato nel carcere di Floridia (SR), sempre in isolamento, in una sezione ex 41 dove ci sono detenute persone appoggiate per processi e ci sono anche tanti prigionieri e compagni di altri paesi che sono scappati da paesi torturatori. Dette persone lottano per i propri diritti.
Nella sezione blocco 10 di Floridia non c'è la benché minima libertà intramuraria perché si rimane chiusi 23 ore al giorno, il regime a cui si è sottoposti è molto rigido e viene proibita ogni minima cosa necessaria per alleviare le sofferenze che in questi posti tormentano l'animo delle persone.
Qui o nel carcere di Carinola c'è la stessa situazione che hanno tanti carceri in Italia. Qui non ci sono servizi sanitari idonei, mancano medicinali, l'assistenza è al minimo, non ci sono servizi di primaria necessità, per i carcerati, che funzionano. Le celle sono un cubicolo, il bagno davanti la porta della cella coperto da un telo, la branda per il letto, il tavolo per mangiare e il bagno tutto in uno spazio ristretto 2x5 (un cubicolo); casellario, spesa, uffici per valutare domandine e richieste per i bisogni dei carcerati non funzionano per nulla. Trattamentale con educatori attenti, per i carcerati, non esistono; non ci sono progetti di attività culturali, non c'è possibilità di lavorare, perché quelli che si trovano all'AS1 non possono uscire dalla sezione quindi i lavori sono minimi, nella stessa sezione solo scopino e portavitto con una mercede misera. Tutti i circuiti di alta sorveglianza sono luoghi di sofferenza. Qui nel carcere di Carinola ci sono 400 prigionieri la metà sono ergastolani, quindi come un campo di concentramento dove la maggior parte dei prigionieri rimane chiusa nelle celle 21 ore al giorno, non esiste magistrato di sorveglianza, chi arriva in questo carcere è come arrivare alla fine. Questo è un binario morto perché qui non c'è nessuna prospettiva a migliorare la vita e poter uscire o avere la possibilità di potersi dedicare a qualcosa di utile che possa impegnare la giornata dei carcerati.
La cosa peggiore per ogni prigioniero è vivere in ozio; fanno di tutto per distruggere la volontà e lo spirito che ci porta sempre a lottare. Nel carcere non c'è futuro i carcerati sono condannati ad un eterno presente immutabile, disumano, in un luogo indefinito e senza speranza ed oggi è molto difficile parlare delle carceri in Italia perché sono diverse le problematiche e molte le sofferenze per tutti quelli che si trovano rinchiusi nelle prigioni in Italia. Com'è possibile tenere a vita delle persone dentro senza speranza, senza un domani e senza un futuro, con la pena di morte dell'ergastolo come quei tanti, come me, con l'ergastolo ostativo. Come dire doppia condanna o meglio uccidiamoli due volte perché è come se una persona sconta la condanna trent'anni e poi le dicono che non è cambiato e quindi deve continuare a scontare ancora trent'anni.
Il prof. di oncologia Veronesi ha detto che dopo dieci-venti anni cambia del tutto la struttura del corpo umano. Quindi pensare ad un uomo che vive questi posti di sofferenza da venti trent'anni di carcere, per non dire quarant'anni, perché come me, ci sono persone che si trovano in carcere da quarant'anni. So del compagno Marano che con i benefici ha fatto cinquant'anni di carcere e ancora continuano a tenerlo in carcere dopo una vita di sofferenze.
Nel mondo penitenziario si stanno verificando molti cambiamenti ma chi li osserva dall'esterno sembra che le cose siano migliorate, ma non è così, perché le cose sono peggiorate, i disagi e le sofferenze sempre di più. Il Problema dei problemi è senza dubbio l'incremento della popolazione carceraria, la situazione è molto difficile e quindi si dovrebbe considerare di prendere delle sagge decisioni e mettere fuori le persone e non di fare altre carceri. Oggi la sola soluzione che sanno decidere i benpensanti, a cui si affida il governo, è trovare i fondi per costruire nuove carceri. Cosa inconciliabile perché non cambia nulla e il degrado della vita nelle carceri è sempre di più. Come l'assenza dei diritti umani e della dignità dell'uomo. Tanti si riempiono la bocca di libertà e di diritti come la tutela della persona. Nelle carceri non si può parlare di diritti perché qui dentro viene annullata la dignità umana.
Questo sovraffollamento intollerabile determina conseguenze drammatiche, tutti cercano delle soluzioni, è molto facile mettere la gente fuori dalle carceri. Personalmente sono contro tutte le galere e per un mondo di uomini liberi.
Occorre più "attenzione" e una maggiore stima nelle persone in carcere anche perché è giusto che tutti possano avere la possibilità di fare un cammino di riabilitazione e poter uscire da questi posti, ed è importante poter credere nell'uomo da rispettare e dare la possibilità di godersi la libertà. Chi governa e direi il pianeta carceri dovrebbe ricordare alcuni articoli della "dichiarazione" universale dei diritti dell'uomo altri della "costituzione italiana" tanti governanti non leggono queste disposizioni, se lo facessero vedrebbero che la realtà carceraria italiana non rispecchia le norme di "legge!" e questo dovrebbe provocare in tutti noi che non è corretto questo stato di cose, che non è giusto opprimere i più deboli come sono i carcerati.
Si devono anche cercare alternative fuori dalle carceri, e dare la possibilità ad ognuno di esprimersi per quello che ciascuno potrebbe dare. Quindi dare fiducia e provare le capacità di ognuno di noi; mettere alla prova come con dare fiducia, applicare alternative al carcere e dare la possibilità di farsi una vita da uomini liberi.
Nonostante tutti i tentativi di intaccare l'identità di tutti i compagni in carcere con isolamenti e continue privazioni anche le più basilari diritti dei carcerati. È la solidarietà che mantiene viva la voglia di lottare e andare sempre avanti nella speranza di uscire da questi posti. Vogliamo dare il nostro appoggio e la nostra solidarietà a tutti quelli che lottano per ottenere i propri diritti.
Saluti a tutti, al compagno Mario e tutti i compagni dell'AS1

21 aprile 2012
Antonino Faro, via S. Biagio, 6 - 81030 Carinola (CE)


lettera dal carcere di buoncammino (cagliari)
[...] Per quel che riguarda aprire spazi di lotta comuni tra vari movimenti e realtà basata sulla costruzione di legami, alcune volte ho notato che manca proprio la volontà di farlo. Perché come accade in terra sarda, si è più propensi a risolvere le questioni a livello territoriale, ma poche, troppo poche sono state le questioni risolte.
Sono tante le lotte che si possono collegare, quelle che non si vogliono fare sono quelle di liberazione nazionale e indipendentista, perché sono conquiste a cui solo noi possiamo dar battaglia. Se in concomitanza ci fosse la Valle di Susa a rivendicare la sua autodeterminazione insieme a quella della Sardegna in maniera antiautoritaria finalmente credo che lo Stato si estinguerebbe anche nel resto d'Italia e quindi espandibile oltre quei confini imposti. Perché i legami di lotta e solidarietà tra le due realtà diverrebbero rivoluzionarie. Ma ora è la valle che resiste e questi legami si possono sempre costruire, bisognerebbe lavorarci sopra. In fondo posso dire che i sardi sono dalla parte dei resistenti No Tav.
Per il resto non ci sono grandi novità. Per come mi hanno raccontato si stringono le manette Buoncammino con S. Vittore. A partire dalle circa 22 ore di cella al giorno. In questi due anni mi si è abbassata anche la vista per colpa di questa lampadina senza protezione sempre accesa, perché sono in una celletta al piano terra dove ho di fronte alla finestra a pochi metri un muro altissimo e la cella è sempre buia e umida, insomma sono proprio nel buco del culo di questa cayenna. Una cosa che mi fa molto incazzare (in realtà sono tante) è ogni qualvolta ti impediscono di salutare e scambiare due chiacchiere con altri prigionieri che incontri all'aria o di passaggio. Cercano sempre di annullare il rapporto umano, già non c'è un cazzo, sempre chiusi e in quei momenti in cui ti capita di uscire dalla cella non perdono tempo per cercare di continuare nel loro vile modo di annientarti. In me troveranno sempre l'indomabile nemico [...]
Saluto con un forte abbraccio fraterno e sovversivo.

7 maggio 2012
Davide Delogu, viale Buoncammino, 22 - 09123 Cagliari


lettera dal carcere di velletri (roma)
Ciao a tutti/e, mi è giunto l'opuscolo 68 e, per quel che ho già letto, le varie notizie mi pare rispecchino uno sgravamento per quel che riguarda la repressione nei nostri confronti, non solo in carcere, come Rovereto e Trento. [...]
Tornando all'opuscolo, mi ha colpito la lettera di Roberto Morandi dal carcere di Terni, vorrei spedirgli un libro ma non voglio complicargli ulteriormente la vita, forse è meglio che prima gli scriva due righe.
Da Velletri non ho notizie di rilievo da darvi, è uscita però una disposizione da parte della direzione dell'istituto riguardante i lavoranti, si specifica che dal primo giorno verranno retribuiti solo mezzora al giorno.
Tutti sono rimasti al loro posto, ma non mi sento comunque di biasimare nessuno, specialmente quei detenuti che con quei cinquanta euro al mese ci campano, perché non hanno nessuno su cui fare affidamento. È, infatti, facile esporre giudizi morali quando ci si dimentica della natura materiale dei sentimenti, elevandoli inconsciamente a spirituali.
Per il resto si sopravvive, ho beccato dieci giorni di esclusione dalle attività in comune con gli altri detenuti, per aver scritto una lettera alla direzione del carcere, dicono che ho violato il comma 15 dell'art. 77 dell'o.p. perché li ho definiti "ceti parassitari".
Pazienza! Non mi resta che salutarvi, un abbraccio fraterno, Andrea.

25 maggio 2012
Andrea Orlando, Via Campo Leone, 97 - 00049 Velletri (Roma)


lettera dal carcere di San Gimignano (si)
Cari compagni di Ampi Orizzonti, è la prima volta che vi scrivo, ho avuto il vostro opuscolo di aprile ed il vostro indirizzo grazie ad un compagno che sto conoscendo qui in questo schifo di carcere... prima di iniziare questa "lettera" vi preciso che le opinioni, le idee, la rabbia e lo sdegno che vi narrerò sono pienamente condivisi anche dal mio compagno di cella Agostino che ha 24 anni; io invece di anni ne ho 33... Innanzi tutto con sincerità vi dico che ci ho messo un po' a prendere la decisione di scrivervi perché sono sempre stato contro le "appartenenze", mi ritengo un cane sciolto, mia madre è stata la strada e per quel che riguarda il discorso padre mi ritengo un bastardo senza gloria, senza famiglia insomma, ed essendo contro i partiti, le associazioni "ghettizzanti" come le mafie e simili, temevo, scrivendovi, di cadere nel tranello delle "appartenenze"... mi ritengo un bandito senza padroni... con questo non vorrei offendervi, anzi dopo aver letto quattro vostri opuscoli vi ho sentiti vicini idealmente al mio modo di essere... anarchico dalla testa ai piedi, ed in vari modi sento che il mio odio, la mia rabbia ed il mio sdegno verso questo sistema merdoso in cui viviamo, sia trasparibile anche in ciò che leggo di voi. Per questo con umiltà vorrei affacciarmi al vostro movimento, anzi spero sia un'azione lungimirante per costruire con voi muovi rapporti che attraverso lotta e resistenza sociale mi/ci portino a far sentire le nostre grida nelle orecchie di quei porci opportunisti che dettano potere...
Ragazzi scusate l'arroganza con cui lo trasmetto ma io gli voglio fare il culo a sti stronzi e voglio portare quante più menti "libere, sveglie e combattive" con me, con voi e con chiunque si rispecchi nei miei pensieri. È da anni che associo il termine anarchia a quello di utopia, ed effettivamente è così, però adesso ho capito che inseguire l'utopia anarchica è qualcosa di positivo perché tiene la mia mente sveglia contro violenza di potere che mi hanno sempre fatto inkazzare... nei miei pazzi sogni continuo ad inseguire una realtà fatta di lotta, anche armata, quando bisogna farsi sentire... loro sparano e noi rispondiamo al fuoco con orgoglio e spregiudicatezza che li fa tremare...
Personalmente, visto che ho fatto parecchi anni nei lager statali, mi vedrei vicino ad una realtà anche pratica e non solo ideologica... svuotare banche, centri di investimento statali dove giocano coi miliardi facendo mendicare i più deboli, sì insomma, colpirli duramente e reinvestire almeno parte dei bottini in quote per i combattenti e per gli avvocati che li devono seguire qualora un compagno cadesse nei lager e dovesse difendersi dai giudici, dallo stato sovrano. Il potere mi fa schifo e non voglio avere capi sordi, credo che avrei paura del potere anche se fossi io a detenerlo... per questo credo che in tanti "piccoli pesci" che agiscono insieme con più cervelli anziché un unico pescione che ci dica cosa fare o dire.
Ragazzi io voglio il riaccendersi delle nostre menti e delle nostre azioni, sono solidale con i vecchietti a cui stanno levando la dignità attraverso tasse assassine, sono vicino ai lavoratori vittime dell'inferno Berlusconi-Monti, seguo con interesse le vitali rivolte dei No Tav... davvero guardo la TV da qui dentro e più e più passa il tempo più mi dico che questo stato assassino va abbattuto.
Nella speranza che mi rispondiate, vi chiedo anche se ci mandate materiale anarchico, ma soprattutto se c'è qualcuno o qualcuna (da buon galletto spero tanto nelle lettere di compagne... ah..ah) che si prenda la voglia di intraprendere corrispondenza epistolare con noi per scambiarci opinioni e portare avanti le nostre lotte uniti. Quando e se, riceveremo risposta a questa lettera, ve ne invieremo altre illustrandovi il nostro cammino nelle galere statali, descrivendovi com'è qui ed in che maniera sentiamo possibile sentirci utili e vivi.
Per finire di nostro vi lascio nome, cognome e carceri che abbiamo girato. Io sono Bozzato Eric di Verbania (Piemonte), ho visitato i carceri di: San Vittore (MI), Verbania (VB), Biella, Sollicciano (FI), San Gimignano (SI) mi mancano ormai quattro anni ad uscire. Il mio compagno di cella è Balsamo Agostino di Viareggio, è stato nei carceri di Lucca, Pisa, Livorno e San Gimignano, gli mancano circa sei anni... Entrambi siamo stati condannati per rapina.
Con stima e gratitudine. Sosteneteci con reciproca fierezza. Al mondo nessuno ti regala nulla quindi ciò che vuoi te lo devi prendere. Nel loro gregge di pecore bianche noi siamo orgogliosamente pecore nere. Scriveteci. Pubblicateci.

31 maggio 2012
Eric Bozzato e Agostino Balsamo, via Ranza, 20 - 53037 San Gimignano (SI)


lettera dal carcere di Fossano (cn)
Cari compagni di Olga ho ricevuto l'opuscolo che mi avete spedito grazie per il pensiero.
Conosco l'amico e compagno Alessio Del Sordo perché ho avuto il piacere e l'onore di fare la sua conoscenza dentro il carcere di le Vallette di Torino in quanto eravamo ubicati nella stessa sezione e facevamo anche socialità insieme; socialità trattasi di consumare il pasto insieme ad altri compagni in una unica cella.
Comunque attualmente mi trovo presso il carcere di Fossano (Cuneo) istituto penitenziario che contiene e trattiene all'incirca 165 carcerati e per farla breve funziona male così come tutti i luoghi ove sono sequestrate le persone qui in Italia.
Per quanto riguarda il sottoscritto trovasi in galera dal 1997, finisco questa condanna nel 2017 e non è la prima. In precedenza ho già scontato altre pene che vanno dalla rapina alle armi ecc.
Nella vita sono sempre stato allergico alle regole sociali e alle norme restrittive, ho girato un po' l'Europa e ho, purtroppo, anche visitato carceri esteri. In passato ho anche usato e abusato di droghe e compagnia bella.
Oggi alle soglie dei cinquant'anni, affetto da cirrosi epatica allo stato cronico mi trovo spesso a domandarmi se avessi potuto spendere il mio tempo in maniera differente ma purtroppo la risposta non riesco a darmela.
Oggi mi guardo intorno e vedo le stesse e identiche situazioni che si presentavano 30 anni, e passa, fa. La politica sempre più logorroica e dispersiva, la gioventù sempre più persa e smarrita ora nel consumismo, ieri forse meno. Cambiano i sogni ma lo smarrimento è lo stesso.
Nei carceri ieri entravano i ribelli e i sovversivi, gli spiriti liberi e i sognatori; oggi in carcere entrano emarginati, barboni, tossici, gente con disturbi mentali, diseredati, extracomunitari di tutte le parti del pianeta, ecc., la più grande discarica sociale di questi ultimi tempi; questo ora sono i carceri italiani.
Cosa aggiungere ora se non i miei saluti a tutti compagni e compagne di Olga. Un abbraccio fraterno.

3 giugno 2012
Francesco Carrozza, via san Giovanni Bosco, 48 - 12045 Fossano (Cuneo)


Da una Lettera dal Carcere di Torino
Ciao, ho ricevuto la tua lettera un po' di giorni fa, il materiale che mi hai spedito, invece solo ieri. All'inizio mi era stato sequestrato e solo dopo un po' di incazzature e casini, mi é stato restituito. […]
In pochissimo una sezione che si muoveva compatta, é diventata un canile. In effetti l'arma dei trasferimenti é la migliore in mano al DAP; per evitare che si creino gruppi coesi e combattivi. E in tre mesi che siamo stati assieme, stava succedendo tutto ciò. Oggi sono rimasto solo a piantar grane sia per le cose più basilari, sia per motivi più importanti, anche se un po' più astratti. Comunque non mi scoraggio, pratico il conflitto in compagnia quando questa c'é, o da solo quando non trovo compagni soddisfacenti.
Quindi non é un grosso problema, anche se l'allegria data dalla nuova compagnia,
qui in sezione, é notevolmente diminuita. A volte mi sembra di essere in galera. […]

20 maggio 2012
Alessio Del Sordo, via Pianezza, 300 - 10151 Torino


Riflessioni su Genova 2001, Roma 15 ottobre e Val susa
Per comprendere come oggi le strategie di repressione e militarizzazione dei territori siano diventate le uniche modalità per soffocare sul nascere ogni forma di dissenso sociale, credo che non si possa prescindere dal ripartire dalle giornate di Genova 2001.
Il 19, 20 e 21 luglio 2001, un grosso movimento di opposizione trasversale, non organizzato, non parlamentare, con ramificazioni internazionali, sfila per le strade di Genova opponendosi con forza e con modalità diverse al G8 dei potenti della terra.
La sera del 21 luglio il bilancio era di un manifestante ucciso, Carlo, di un migliaio tra feriti durante le cariche della polizia, massacrati nella scuola Diaz e torturati nella caserma di Bolzaneto. E' evidente che lo stato aveva deciso che la gestione dell'ordine pubblico dovesse mostrare su larga scala e senza ambiguità il volto della repressione più dura, becera e sfrenata. Il messaggio è abbastanza chiaro: non è tollerata nessuna forma di dissenso rispetto alle scelte economiche, politiche e sociali dei poteri forti a livello mondiale. E se da un lato, in Italia come in altri paesi, i vari governi si danno da fare per tutelare gli interessi delle oligarchie finanziarie a discapito di quelli della collettività, smantellando di settimana in settimana diritti fondamentali e negando bisogni primari, dall'altro lato il potere giudiziario criminalizza e reprime ogni forma di resistenza.
E' in questo contesto che va collocato il decennale processo ai manifestanti del G8 di Genova che si è concluso nell'ottobre del 2009 con la condanna di 10 compagni a pene altissime e spropositate grazie all'accusa di devastazione e saccheggio (articolo 419 del Codice Penale, pene dagli 8 ai 15 anni) e di compartecipazione psichica. Condanne sulle quali la Corte di Cassazione si pronuncerà il 13 luglio 2012.
Non è semplice stabilire con certezza il confine fra il semplice danneggiamento e la devastazione e saccheggio.
Non è facile stabilire il criterio e i valori per cui rompere una vetrina, sfasciare simboli del potere come le banche, reagire a cariche violente e ingiustificate della polizia, fare un blocco stradale sono azioni produttive di distruzione indiscriminata tali da mettere in crisi il regolare andamento del vivere civile e non un danneggiamento di cose o di proprietà.
Non è facile usare delle immagini in cui si é fotografati con un carrello di un supermercato o mentre si lancia un sasso per attribuire a 10 persone tutti gli scontri avvenuti in una manifestazione con 100.000 persone il venerdì e 300.000 il sabato. Non è facile, ma alla fine la logica repressiva dello stato, usando la discrezionalità e l'ambiguità dell'art.419, è riuscita ad emettere la "sentenza esemplare": si possono prendere 15 anni per aver spaccato una vetrina.
E' sempre nello stesso scenario che va collocata l'azione repressiva seguita al corteo degli Indignati del 15 ottobre a Roma. Anche qui ci si trova di fronte ad un movimento di respiro internazionale che scende in piazza per rivendicare bisogni e diritti contro gli interessi di banche e finanziarie, appoggiate dai vari governi di turno, per gridare a pieni polmoni l'indisponibilità di studenti, lavoratori e disoccupati a pagare la crisi. Ed ancora lo stato reprime pesantemente incarcerando 4 ragazzi, tra i 20 e i 22 anni, fino a 5 anni di reclusione, accusandoli, anche qui, di devastazione, resistenza pluriaggravata e saccheggio.
Ed infine, sempre nello stesso contesto politico, in cui il potere giudiziario gioca un ruolo fondamentale nel processo di gestione e superamento della crisi globale, si colloca anche l'operazione contro il movimento Notav, sponsorizzata dal magistrato Caselli in diverse città italiane e che ha portato all'arresto di 26 attivisti Notav (di cui ancora oggi 4 sono costretti alla carcerazione preventiva) accusati di resistenza, lesioni e violenza per aver partecipato alle mobilitazioni della scorsa estate in Val Susa.
E' chiaro che la natura repressiva di queste operazione giudiziarie nasce da un intento intimidatorio nei confronti di chi il dissenso sceglie di pensarlo e metterlo in pratica al di fuori degli spazi concessi dallo stato. E la strategia per ottenere questo risultato è quella del "dividi et impera", la trappola ideologica della divisione tra "buoni e cattivi", tra violenti e non violenti, tra black block e lavoratori, tra chi è della valle e chi viene da fuori, tra chi ha un passato di militanza politica e chi non ce l'ha. Questa è la strategia per colpire e punire qualsiasi movimento popolare, da Genova a Roma alla Val Susa, che potrebbe servire da esempio, da precedente, per nuovi e più grandi movimenti che potrebbero nascere dalla voglia di reagire a una condizione di crisi in cui sono sempre i soliti a pagare: i lavoratori, le famiglie, le donne, gli studenti, i pensionati.
Purtroppo a Genova questa logica sembra aver funzionato e prodotto i risultati sperati. Qui il movimento non è stato sufficientemente maturo e compatto per rifiutare la dinamica della divisione e di conseguenza per difendere tutti i "suoi figli" che man mano sono caduti nella morsa della repressione. L'auspicio è che oggi invece ci siano la maturità e la compattezza necessarie per non farci né dividere né intimorire dalla repressione.
Noi sappiamo che le aule dei tribunali non possono giudicarci perché la giustizia dello stato borghese difende gli interessi del potere e non certo di chi lotta contro i soprusi del potere. La giustizia la troveremo continuando ad agire all'interno della conflittualità sociale, nelle strade, nelle scuole e nei luoghi di lavoro, intessendo relazioni, sviluppando riflessioni critiche, accendendo fuochi di resistenza e costruendo pratiche rivoluzionarie.
Massima solidarietà a tutti i compagn* perseguitati dallo stato.
10, 100, 1000 ribellioni.
Milano, maggio 2012


Appello per una mobilitazione internazionale
in solidarietà ai condannati per gli scontri di Genova 2001
Il 13 Luglio si terrà, presso la Corte di Cassazione di Roma, l'ultimo grado di giudizio del processo contro 10 tra compagne e compagni condannati per aver partecipato agli scontri avvenuti a Genova, nel luglio 2001, in occasione del vertice del G8.
Gli imputati sono stati condannati dal tribunale di Genova a pene pesantissime, dai 10 ai 15 anni, e ora le sentenze rischiano di diventare esecutive.
In dieci fungono da capro espiatorio: tramite loro lo Stato vuole attaccare le centinaia di migliaia di persone che scesero in strada quei giorni e in primo luogo quelli che contribuirono a scatenare la rivolta contro l’arroganza dei potenti. Non accettiamo la rappresaglia di Stato; colpire questi compagni significa sferrare una pesante offensiva contro l’intero movimento.
Nel frattempo i responsabili dei massacri indiscriminati, dell’incursione alla scuola Diaz, delle torture di Bolzaneto e dell' assassinio di Carlo Giuliani dormono sonni tranquilli e vengono premiati per le loro operazioni di "bassa" macelleria.
Riteniamo che sia una nostra precisa responsabilità esprimere solidarietà ai compagni condannati, denunciare e res pingere questa manovra repressiva, rivendicare il valore delle giornate di Genova.
Riteniamo inoltre che in questo periodo di violenti attacchi da parte del sistema capitalista ai danni degli sfruttati, sia importante contrapporsi alla criminalizzazione di tutte quelle lotte che fuoriescono dai ristretti spazi del consentito…Criminalizzazione che passa anche attraverso le pesanti condanne attribuibili grazie all’utilizzo del reato di "devastazione e saccheggio".
Per queste ragioni è importante dare vita a una mobilitazione in sostegno ai condannati. Lanciamo quindi un appello di solidarietà internazionale per dare corso ad iniziative e azioni nella settimana precedente il processo.
Inoltre, invitiamo tutti a partecipare al presidio di solidarietà che si terrà il giorno dell’udienza presso la corte di cassazione di Roma, per fare sentire direttamente la nostra voce agli inquisitori.
06 -12 Luglio: Giornate di mobilitazione
13 Luglio: Presidio sotto la Corte di Cassazione a Roma

9 giugno 2012
Anarchici e Anarchiche, da informa-azione.info


PARTE IL PROCESSO AI NOTAV CON TEMPI DA RECORD
Pochi giorni sono bastati alla Procura per fissare la data al 6 luglio per l'udienza preliminare per i 46 NoTav a seguito delle indagini della Procura di Torino. Le accuse sono resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. Questi i magistrati che saranno presenti in aula: Giuseppe Ferrando, Manuela Pedrotta e Nicoletta Quaglino, coordinati dal procuratore aggiunto Andrea Beconi. Gup: Edmondo Pio.
Quattro compagni sono ancora in carcere dalla retata del 26 gennaio e tanti altri/e colpiti da pesanti restrizioni.
Il calendario delle udienze successive è presto fatto: dal 9 al 21 luglio, tutti i giorni compreso il sabato. Si chiama procedura d’urgenza ed è stata adottata in pochi casi di estrema importanza, ultimo quello del processo minotauro per le infiltrazioni mafiose nel nord Italia (ovviamente dopo aver messo al sicuro e fuori inchiesta i politici istituzionali piemontesi che spuntavano nei primi incartamenti). Ma di quale urgenza stiamo parlando in questo caso? Urgenza movimento no tav, sì perchè il 26 luglio scadono i termini per la custodia cautelare, passati i sei mesi finalmente gli imputati in attesa di giudizio sarebbero tornati liberi.
Segue un breve riepilogo dei processi in corso contro il movimento No Tav

***
PROCESSO PER PRESIDIO NO TAV
Arrestate nella notte tra il 9 e il 10 settembre durante un presidio NoTav presso le reti del non cantiere a Chiomonte. Sono accusate di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, aggravate da concorso. In carcere fino al 21 settembre, sono poi state sottoposte per tutta la durata del processo a misure cautelari e restrittive (domiciliari e obbligo di dimora). Il processo ha avuto luogo a Torino, dal 4 aprile sino all'udienza del 7 giugno: dopo la revoca per entrambe, delle restrizioni di libera circolazione in Valsusa, il pm Quaglino chiede 1 anno, con attenuanti generiche per Nina e 1 anno e 1mese per Marianna. L'ultima udienza del primo grado di questo processo avrà luogo l'11 luglio alle ore 9 con la replica del pm alle arringhe difensive, eventuali contro repliche e la senteza del giudice.

PROCESSO A NOTAV SOLIDALI
Dopo due giorni di arresti domiciliari, Pinuccia e Jack vengono rilasciati il 7 giugno. Arrestati il 6 giugno ad Alba, sono accusati di resistenza a pubblico ufficiale, per aver preso parte a un presidio di solidarietà con gli operai pugliesi, presso la fabbrica di Miroglio. La stampa di regime riferisce di infiltrati al presidio, venuti per creare disordini. Guarda caso la compagna e il compagno trattenuti fanno parte del movimento NoTav, per i quali si dimostra sempre di avere un occhio di riguardo. L'inizio del processo è fissato per il 27 giugno.

PROCESSO BAITA CLAREA
22 gli imputati alla prima udienza di processo svoltasi il 3 maggio a Torino. Tra loro anche Giorgio, da dentro la gabbia. Sono denunciati per abuso edilizio, costruzione e rottura dei sigilli. Prossima udienza il 18 luglio.

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Segue una lettera aperta, giunta dal carcere di San Vittore il 6 giugno, di tre dei compagni arrestati il 26 gennaio per gli scontri avvenuti in Val di Susa fra giugno e luglio del 2011.

Hola! Siamo Juan, Marcelo e Maurizio, siamo vostri coimputati; è probabile che non ci conosciamo. Qui vogliamo proporre una base minima per il processo.
Scrivendoci fra noi sono uscite delle perplessità, degli interrogativi rispetto a come affontare il processo sugli scontri in Valsusa.
Pensiamo sia positivo avere idee, basi comuni relativamente alle diverse forme processuali e infine al processo.
Secondo noi, il "patteggiamento" è una forma di contrattazione, di chiedere l'elemosina per la riduzione della pena, dichiarandosi inoltre colpevoli e pentiti, calpestando, di conseguenza i nostri valori e principii di lotta. Per questo lo consideriamo inaccettabile.
Altra forma processuale, il "rito abbreviato": non consente a chi imputat* di esporre che il processo è parte della violenza dello stato per imporre la Tav, le tasse, la guerra, il dominio dello sfruttamento. Andare al "rito abbreviato" significa consegnare noi stess*, la continuità della lotta allo stato, ai capitalisti che rappresenta. Non accettare queste forme processuali pensiamo possa essere una solida base per non subire il processo e allo stesso tempo dare maggiore forza, consistenza e determinazione alla lotta.
Proponiamo di intervenire nel processo per denudare le manipolazioni, così da far emergere il ruolo-funzione distruttivi che il processo vorrebbe ricoprire contro la resistenza No Tav, come nei confronti di ogni resistenza.
Queste scelte, l'agire che proponiamo in ogni caso dipendono dalle sensibilità, dalle scelte delle singole compagne e compagni, tenuto conto delle diversità ideologiche e di posizioni probabilmente esistenti fra noi 46 "imputat*".
Vi chiediamo di far girare il più possibile questa proposta in modo che arrivi a chi "imputat*" e non, data la limitazione del mezzo postale e del trovarsi in galera; perché anche "fuori" si cominci a discutere e organizzare ognuno con chi, dove e come vorrà sul che fare praticamente per l'avvenire.
Salutiamo, Juan, Marcelo, Maurizio.

Maggio 2012
Juan Sorroche Fernande, via Cesare Beccaria, 13 - 38121 Spini di Gardolo (Trento)
Marcelo Jara, Maurizio Ferrari, P.za Filangieri, 2 - 20123 Milano

***
da un compagno a cui vogliono togliere la libertà di muoversi e agire
Pur non credendo nell'autorità dello Stato italiano, nelle strutture e negli apparati di giudizio, emarginazione e condanna, ho deciso di presentarmi davanti al giudice, martedì 5 giugno alle ore 15, al tribunale di Torino.
Ritengo più vera la Libertà, non concedendo autorità e valore a questi apparati; in altre situazioni avrei optato per una bella clandestinità.
Dal momento in cui altre quattro persone sono ancora in carcere, e molti ancora ai domiciliari o con restrizioni alternative, e dato che credo nell'azione collettiva di liberazione e costruzione di un mondo autogestito, libero nonchè umano, ho preso la decisione di presentarmi, affrontando lo Stato, e contribuire con l'azione dello sciopero della fame (dopo il 21 inizierò quello della sete) in modo da generare rivolta, riscossa, unione e libertà.
Chiedo con questa azione: Libertà per tutti e da tutto, sperando che tutte le guerriere ed i guerrieri dell'Anima e della Libertà vera contribuiscano in tutte le forme possibili ad ottenere giustizia e Libertà. Continuerò lo sciopero fino all'ottenimento della Libertà per tutti coloro che sono colpiti dalla repressione.
Possiamo unire le nostre forze ed ottenere quello che desideriamo e meritiamo!
Un ABBRACCIO a tutti e tutte. Nicola che ama la terra e la libertà.

4 giugno 2012
da informa-azione.info
PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE DI SAN VITTORE, SABATO 30 GIUGNO
Sovraffollamento delle carceri significa sovraffollamento delle celle: impossibilità pressoché totale in cella di movimento fisico, d'intimità, di attenzione, rispetto proprio e di chi è concellino; un bagno, un rubinetto per sei o nove persone...
Sovraffollamento vuol dire anche sovraffollamento del cortile dell'aria, dove ginnastica e calcio sono difficili perchè in contrasto con la densità delle persone in piccoli spazi, con l'assenza d'acqua corrente, con i cessi intasati e puzzolenti.
Si è chiusi in cella 2 x 4 metri quadrati in 5/6 persone per 21 ore al giorno;
le ore d'aria sono ridotte dalle quattro previste a tre, a volte ancora meno perché in quelle ore è compreso il tempo della doccia.
Pestaggi e umiliazioni praticati dalle guardie contro chi non accetta di essere trattato come uno schiavo, come e meno di un animale.
Una condizione che spesso finisce nella tragedia del "suicidio" - com'è successo nel febbraio scorso anche in questo carcere ad Alessandro Gallelli di 22 anni.
Le persone immigrate mancano di sostegno diretto di famigliari… assenza della lettura poiché a San Vittore vengono venduti solo giornali e riviste in italiano e la tv diffonde solo programmi in italiano.
I prigionieri catalogati "malati psichici" sono costretti in una condizione di vero e duro isolamento, senza fornello, impossibilitati a scambiare cibo, parole...
Nonostante tutto questo e contro tutto questo c'è ancora chi si oppone, chi è disposto a perdere il "beneficio" della "liberazione anticipata" pur di conservare alta la propria dignità e non rassegnarsi alla durezza della propria condizione.
L'esempio della lotta contro l'Alta Velocità in Val di Susa sta lì a dimostrare che è possibile lottare uniti e in tanti contro la violenza di questo stato vigliacco ed assassino. Le cose si possono e devono cambiare, sta a noi trovare insieme le forme di lotta più appropriate.
Insieme ai NO TAV imprigionati da gennaio nel carcere di San Vittore ci sono tanti altri che hanno uguale coraggio e determinazione, a tutti loro vogliamo portare la nostra solidarietà e il nostro sostegno.
In una parola: il carcere ammala, uccide… è tempo di liberarsene.

Per contatti: olga2005@autistici.org
Per inviare lettere, scrivere a:
Associazione "Ampi Orizzonti", cp 10241 - 20122 Milano


bologna: A FIANCO DEI DETENUTI, PRESIDIO SOTTO IL CARCERE
Il 6 Aprile 2011 cinque nostri compagni sono stati arrestati e rinchiusi nel carcere della Dozza. Hanno scontato preventivamente 3 mesi di galera e successivi altri 3 agli arresti domiciliari. Insieme ad altre 22 persone sono stati accusati di associazione a delinquere con finalità eversiva.
Nel 2006 alcuni di noi avevano aperto il centro di documentazione anarchico “Fuoriluogo” che in seguito all'inchiesta è stato messo sotto sequestro giudiziario e successivamente chiuso. Si utilizza tale accusa per colpire e cercare di fermare chi da anni porta avanti in città percorsi di lotta contro questo sistema di sfruttamento e individua nelle carceri e nei centri di identificazione e detenzione per migranti in particolar modo, alcune delle sue più brutali manifestazioni.
Il 31 Maggio ci sarà la prima udienza del processo e torneremo sotto le mura della Dozza per portare la nostra solidarietà alle oltre 1.000 persone che attualmente vi sono rinchiuse. Più avanza e si acuisce la crisi, più emerge con particolare evidenza come questo sistema possa permettersi sempre meno che qualcuno sfugga alle maglie delle sue regole. Si inaspriscono infatti le pene anche per i reati più insignificanti e si sperimentano nuove e più pesanti strategie repressive contro coloro che provano a ribellarsi ed alzare la testa. Lo dimostra, esempio recente, l'arresto di cinque ragazzi reclusi nel CIE di Via Mattei per aver reagito ad una perquisizione da parte delle guardie più violenta rispetto alle solite.
Continuano a propinarci le loro “politiche di sicurezza”, riempiendo le città di militari e polizia, quando è evidente che ad averne bisogno sono solo ricchi e potenti.
Noi sentiamo invece il bisogno di essere padroni delle nostre vite, di poter scegliere come e con quali mezzi far fronte ad una situazione di crisi che non abbiamo contribuito a creare, di poter lottare contro un sistema che ci vorrebbe perennemente suoi schiavi.
Invitiamo amici e parenti dei detenuti a partecipare al saluto che porteremo loro GIOVEDI' 31 MAGGIO dalle ore 16 sul retro del carcere della DOZZA (capolinea bus 25A, stradina sterrata sulla sinistra).
Anche solo un microfono e della musica possono attenuare l'isolamento cui sono costretti i detenuti senza dover aspettare né attenersi ai permessi ed alle trafile burocratiche del carcere.
maggio 2012
Solidali con i detenuti

La prima udienza del processo per associazione a delinquere a carico dei 21 compagni che si doveva tenere giovedì 31 maggio a Bologna è stata rinviata causa difetto di notifica a data da destinarsi.


monza: SOLIDALI NELLA LOTTA CONTRO I CIE SOTTO PROCESSO
Il 12 giugno si è tenuta a Monza la terza udienza del processo a carico degli e delle antirazzisti/e fermati il 16 maggio 2009, accusati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Alla prima udienza abbiamo indetto un presidio in piazza con volantinaggi ed interventi, alla seconda udienza, dove sono stati sentiti i testi della difesa, un sostenuto spiegamento di antisommossa ci aspettavano per le vie di Monza nei pressi del tribunale, ma son rimasti completamente spiazzati, in quanto noi non abbiamo partecipato, mentre questa volta abbiamo deciso di rispondere attacchinando tutta Monza per riaffermare la nostra aperta ostilità verso chi è complice di guerre e galere!

ODIO SENZA QUARTIERE, LOTTA SENZA FRONTIERE Contro vigili e Croce Rossa
Chi fa emergere la realtà viene processato, tutto deve essere taciuto ma noi contrastiamo con ancor più rabbia le ingiustizie inflitte dal dominio.
Nel 2009 a Monza si svolge una celebrazione della Croce Rossa, presente in piazza con banchetti, mostre e carri armati; contemporaneamente un gruppo di individualità svela il vero ruolo della CRI, istituzione paramilitare che opera a favore dei potenti affiancando gli eserciti per legittimare le guerre. In Italia si arricchisce gestendo il business dei centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati.
La detenzione avviene all'interno di mura di sicurezza con telecamere, militari, polizia e carabinieri, scarsa igiene, cibo scaduto, pestaggi, continue perquisizioni ed una infermeria ricca di psicofarmaci per prevenire ogni tipo di ribellione.
Le compagne e i compagni che stavano protestando vengono aggrediti/e dai vigili con una violenza tale da provocare lo schieramento dei passanti contro la polizia locale; il parapiglia si conclude con il fermo di cinque persone, che vengono pestate, portate in Questura e rilasciate con una denuncia per resistenza aggravata e lesioni.
I vigili urbani, oltre a rivestire un ruolo di controllo del traffico stradale, ora rivestono anche un ruolo sbirresco in funzione del fantomatico "allarme sicurezza" e volto a reprimere le più elementari pratiche di sopravvivenza (dal commercio abusivo in strada alle occupazioni di case). In varie città vengono spesso istituite delle squadrette speciali contro questo o quell'altro problema e la loro solerzia di tirapiedi dell'ordine costituito talvolta li porta a compiere gesti infami, come l'esecuzione per strada di un ragazzo cileno che cercava di scappare dai vigili a Milano qualche mese fa.
Gli imputati hanno deciso di non sottoporsi ai teatrini dei tribunali e la risposta a questa farsa giudiziaria ci spinge a parlare ancora del vero volto della Croce Rossa e dei vigili urbani. Ogni tentativo di repressione ci offre l'occasione per rilanciare e continuare le lotte contro i c.i.e. e contro ogni autorità.
CONTRO I C.I.E.GLI SBIRRI, LE FRONTIERE E LA SOCIETA' CHE LI MANTIENE IN VITA
Solidarietà a chi viene processato per non aver paura di tacere.

giugno 2012


Processo contro i compagni arrestati il 12 febbraio 2007
Resoconto dell’udienza del 28 maggio con pronunciamento sentenza
La terza ed ultima udienza del processo, svoltosi dopo che la Cassazione aveva respinto la sentenza d’appello, è iniziata con la performance dell’”illustre” Ichino che ha voluto, con la sua presenza diretta, occupare la scena anche nella terza udienza, dopo che l’accusa e il suo avvocato di parte civile avevano, nelle due udienze precedenti, incentrato le loro arringhe principalmente sulla sua figura. Il “magnanime”, a suo stesso dire benefattore dei lavoratori e dell’umanità intera, è intervenuto per spiegare come, fin dall’inizio di questo procedimento penale avesse espresso l’intento di non presentarsi come parte civile se gli imputati lo avessero incontrato e gli avessero riconosciuto il “diritto alla non aggressione”. Peccato che in realtà nessuno lo abbia mai aggredito!
La sua presenza in aula, in realtà, era per affermare che gli imputati non avevano rinnegato la loro identità (quindi dovevano essere ritenuti colpevoli di terrorismo, aggiungiamo noi), identità di comunisti rivoluzionari che, giustamente, non avevano accettato di incontrarsi con un boia dei lavoratori il quale oggi, dall’alto delle sue plurime e ricche pensioni, del suo “generoso” stipendio e delle sue proprietà viene a mendicare un risarcimento. L’odio espresso in aula dal pubblico e dagli imputati è di classe ed è lo stesso che serpeggia tra tutti i lavoratori, i precari e gli sfruttati. A. Davanzo ha detto: “Questo signore rappresenta il capitalismo, lui è l’esecutore di un sistema di cui abbiamo il dovere di sbarazzarci”.
È seguita l’arringa dell’avvocato d’ufficio di A. Davanzo durante la quale, sia A. Davanzo sia V. Sisi, sono stati fatti uscire dall’aula non accettando la sua difesa. L’avvocato ha espresso la difficoltà a contemperare due opposti principi costituzionali, quello del diritto alla difesa e al suo obbligo di esercitarla e quello del diritto dell’individuo alla libera espressione del pensiero ed ha concluso chiedendo l’assoluzione del suo assistito.
Ha esposto la sua arringa l’avv. Bonifacio Giudiceandrea difensore di C. Latino e di altri imputati nella quale ha spiegato come Ichino non avesse alcun diritto ad essere risarcito e nemmeno fosse legittimato a presentarsi parte civile. Per farlo avrebbe dovuto dimostrare di aver subito un danno e avrebbe dovuto farlo ancora in primo grado e non al quarto grado del processo nel quale, peraltro, si deve discutere solo del capo A ascritto agli imputati (il reato associativo) nel quale non c’è nessun accenno alla sua persona. Ha proseguito dicendo che gli imputati non devono rispondere di nulla come ha detto anche la Cassazione, Ichino non è parte offesa. “Vuole farsi stato per difendere la libertà dei giuslavoristi” ha detto l’avvocato.
La libertà di produrre leggi antioperaie assassine, aggiungiamo noi.
La Corte si è poi ritirata in Camera di Consiglio e, poco prima delle 17.00, è rientrata in aula per leggere la sentenza nella quale il capo A (reato di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, art. 270 bis c.p.) è stato riqualificato ai sensi dell’art 270 c.p. (associazione sovversiva), è stata riconosciuta ad Ichino e allo Stato la costituzione di parte civile.
La sentenza è stata accolta dai parenti e dai solidali presenti dagli slogan: “L’unica giustizia è quella proletaria” e, “Ma quale terrorismo stiamo lottando per il comunismo”.
Di seguito le nuove condanne inflitte ai compagni.
Bortolato Davide anni 11 di reclusione; Caprio Amarilli anni 2 e due mesi di reclusione; Davanzo Alfredo anni 9 di reclusione; Gaeta Massimiliano anni 5 e tre mesi di reclusione; Ghirardi Brubo anni 8 di reclusione; Latino Claudio anni 11 e mesi 6 di reclusione; Mazzamauro Alfredo anni 2 e due mesi di reclusione; Rotondi davide anni 2 e 2 mesi di reclusione Scantamburlo Andra anni 2 e mesi 4 di reclusione; Sisi Vincenzo anni 10 di reclusione; Toschi Massimiliano 7 anni di reclusione.
È stata ordinata la scarcerazione immediata di Gaeta Massimilano per estinzione della pena ed è stato assolto Scivoli Salvatore perché il fatto non costituisce reato. Scivoli era accusato di concorso esterno e ricordiamo che ha trascorso in carcere più di 5 anni che gli hanno causato gravi problemi di salute.

Una prima valutazione
Proprio nel giorno del 38 anniversario della strage di piazza della Loggia a Brescia, quando una bomba nascosta in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista e provocò la morte di otto persone con il ferimento di altre centodue, la seconda Corte d’assise d’appello di Milano ha emesso la sentenza contro i compagni arrestati il 12 febbraio 2007 con l’accusa di voler costituire il Partito Comunista-politico militare. Nello stesso giorno, a Brescia, nel corteo di commemorazione della strage e di protesta contro l’assoluzione dell’aprile di quest’anno di tutti gli imputati, gli studenti in corteo sono stati manganellati a freddo dalle forze dell'ordine in modo da rallentare il loro ingresso in piazza della Loggia. Dopo gli scontri 11 persone sono state denunciate.
Una bella coincidenza che mette bene in vista come lo stato e la borghesia attraverso i loro apparati assolvano sempre se stessi e invece condannino chi gli si oppone. Cosa confermata anche dalla sentenza di Cassazione di questi giorni che assolve Gianni De Gennaro, capo della polizia quando avvenne la violenta aggressione sbirresca alla scuola Diaz-Pertini di Genova durante la notte tra il 21 e 22 luglio 2001, nei giorni del G8.
Cosa dire in questo clima storico della sentenza contro i compagni? Un clima di crisi economica e sociale in cui è reso sempre più evidente che il sistema dei padroni è ormai sempre più barbaro e lontano dagli interessi materiali e culturali dei lavoratori e di tutte le masse popolari.
Vediamo innanzitutto per cosa sono stati condannati i compagni.
La Corte li ha condannati per l’art. 270 c.p. (associazioni sovversive), figlio diretto dell’art 270 del periodo fascista, quando il giurista mussoliniano Alfredo Rocco ha steso il codice penale tutt'ora in uso. Nel 1931 nasce quindi questo art. che così recita: "Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economico-sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da 5 a 12 anni. La modifica apportata nel 2006 ha ridefinito la tipologia delle finalità dell'associazione sovversiva cercando di eliminare l’”anacronistica” finalità di "stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre" e di "sopprimere violentemente una classe sociale" sostituendola con la finalità di "sopprimere violentemente l'ordinamento politico e giuridico dello Stato". È oltremodo chiaro che è un art. di legge atto a perseguire i comunisti, gli anarchici e tutti gli oppositori.
Con perfetta disinvoltura, sotto un enorme quadro che sovrasta la Corte nell’aula della sezione d’assise d’appello nel quale, accanto alla scritta “Lex” accampa anche la scritta “Dux”, la presidente Anna Conforti ha condannato i compagni perché lottano per il comunismo e volevano organizzarsi per poterlo fare meglio e poter strappare il potere dalle mani insanguinate della borghesia. Il re è nudo e lo mostra senza remore: la tanto decantata democrazia è fascismo.
Togliendo la finalità di terrorismo, cosa mai appartenuta ai comunisti ma solo alla borghesia imperialista e ai suoi governi, hanno tranquillamente riconosciuto che è giusto condannare chi vuole cambiare l’ordine delle classi e cioè sbarazzarsi del potere della borghesia affamatrice e guerrafondaia.
È un articolo che in periodi come questo di crisi e di movimento delle masse potrebbe servire parecchio per cercare di impedire che l’organizzazione di classe si formi portando così il malcontento sulla strada della rivoluzione invece che su quella della reazione in cui i partiti istituzionali cercano di incanalarlo. Magari proveranno pure a modificare nuovamente quest’articolo del codice penale perché sia all’altezza dei tempi! Probabilmente pensano che il 270 semplice, senza il bis, sia più facile da applicare e in maniera più estesa.
Questa sentenza ha scardinato l’impostazione dell’impianto accusatorio delle toghe “rosse” Spataro-Bocassini caratterizzato da un cieco livore anticomunista figlio della linea repressiva di triste memoria targata Pecchioli/Violante. Ricordiamo ancora le urla isteriche della Bocassini quando in aula sentiva pronunciare la parola “processo politico”.
Contraddizioni all’interno dei loro palazzi alimentate dalla necessità di stabilire meglio le linee con cui reprimere.
La Corte, invece, ha accontentato l’”illustre” Ichino non accogliendo le indicazioni della Cassazione contro la sua costituzione di parte civile e, addirittura, ha condannato gli imputati a pagare 3.000 euro per le spese da lui sostenute in questo grado di giudizio. Sicuramente personaggi come lui in situazioni di crisi come questa, quando c’è molto bisogno di gente adatta alla macelleria sociale, sono molto utili e vanno osannati. Tra l’altro essere viscidi e pronti a strisciare da un governo all’altro, è una caratteristica ben vista in questa fase dai grandi padroni.
Per tutto questo i parenti e i solidali dal pubblico dell’aula non hanno potuto che urlare:
“L’unica giustizia è quella proletaria” e “Ma quale terrorismo, stiamo lottando per il comunismo”.
Questo per quel che riguarda le valutazioni sulla sentenza e sul loro campo, valutazioni brevi e a caldo, ci ritorneremo sopra quando verranno depositate le motivazioni.
Per quel che riguarda, invece, il dibattito che stiamo affrontando sulla solidarietà e sul processo politico, ossia sul nostro campo, socializzeremo le riflessioni e un bilancio quando lo avremo sviluppato e concluso.
Ringraziamo tutti coloro che sono stati solidali accanto a noi ai compagni in questi lunghi 5 anni e tre mesi e ci appelliamo per continuare uniti nella lotta e nell’organizzazione della solidarietà, 6 compagni sono tuttora in carcere a Siano-Catanzaro assieme a numerosi altri prigionieri politici rivoluzionari.

29 maggio 2012
Associazione Parenti e Amici degli Arrestati il 12/2/2007
parentieamici@gmail.com


Taranto: Comunicato sulle perquisizioni del 29 maggio 2012
In data 29 Maggio 2012, subiamo una perquisizione locale e personale sulla base di un procedimento penale emesso dal P.M. Francesco Sebastio della procura del Tribunale di Taranto. Intorno alle 7 del mattino, in simultanea, la legione carabinieri Puglia, organizzata in squadre, irrompe nella masseria foreste e nelle private abitazioni di 3 compagni, esibendo un mandato di perquisizione, sulla base di due ipotesi di reato.
1) Perchè in concorso tra loro, offendevano l’onore e il prestigio delle forze dell’ordine, in generale e l’arma dei carabinieri in particolare, realizzando sui muri di alcuni edifici ubicati nelle vie cittadine, alcune scritte che offendevano le predette componenti di Polizia Giudiziaria, fra le quali ACAB e + CASE - CASERME, seguite dalla lettera A cerchiata.
2) Perchè in concorso tra loro realizzavano bla bla bla bla bla, sui muri di recinzione della villetta comunale e di edifici del centro storico nel Comune di Crispiano, danneggiavano gli edifici predetti, si da rendere necessario il loro restauro e ripristino.”
Sinceramente pensiamo ci sia poco da aggiungere..Non ci sono dubbi sul fatto che questo sia solo un pretesto per entrare nei nostri spazi, nella nostra intimità, per cercare informazioni riguardanti le nostre vite e le persone con cui condividiamo un percorso di critica e opposizione a questo stato di cose.
Sono le solite strategie che si ripetono, ogni qualvolta ci sia un problema da far passare i secondo piano, con il solo scopo di alimentare un clima di tensione e mettere in cattiva luce, agli occhi di un opinione pubblica cieca e bombardata costantemente dai media, pratiche attive nell’autogestione e nell’autoproduzione, che scardinano il loro quieto vivere da magna magna.
Per quanto ci riguarda siamo sempre stati contro le logiche di mercato responsabili dell’impoverimento globale e della devastazione ambientale, e appoggiamo coloro che si spendono per divulgare questo pensiero.
Non vogliamo spendere parole sui pennivendoli che hanno contribuito a riempire di clamore e particolari inesistenti la favoletta dei P.M.
Sempre solidali a chi si oppone allo scempio della Tav e di tutti i veri scempi che ci circondano e che rimangono impuniti sempre. Continueremo a spenderci per coloro che ci hanno sempre appoggiato e che hanno condiviso ideali genuini di autogestione ed autoproduzione. Grazie a tutti coloro che ci hanno espresso la propria solidarietà.

2 giugno 2012
Masseria Autogestita Foresta, L’Oltraggio Autoproduzioni
da informa-azione.info

Viterbo: Comunicato sulle perquisizioni del 1 giugno 2012
L'acuirsi della crisi che il capitale vive dal 2008 esige come risposta per la ripresa dei propri profitti una "semplice" ricetta: compressione dei salari, aumento dello sfruttamento, intensificazione dei ritmi di produzione, allungamento dell'orario lavorativo, straordinari e, allo stesso tempo, precariato e cassintregrazione, che i padroni non pagano.
Per uscire dalla crisi, al Capitale occorre avere la pace sociale, e così all'uopo interviene lo Stato con le sue infami articolazioni, magistratura e sbirraglia, per colpire -meglio se preventivamente- le avanguardie di classe, i proletari piu combattivi, tutte quelle realtà che prendono coscienza di questo orrido e barbaro presente.
E' in questa ottica che si inserisce la perquisizione avvenuta a Viterbo il 1 giugno 2012 nei confronti di sette fra compagni\e alla ricerca di fantomatico "materiale esplodente", ovviamente nulla veniva rinvenuto. Noi disdegnamo di nascondere le nostre intenzioni, la sola e unica soluzione non è uscire dalla crisi economica, bensì abbattere con ogni mezzo necessario questo determinato sistema di produzione capitalistico, produttore di illibertà, miseria e fame a livello planetario.

3 giugno 2012
COMBAT, nucleo VT
da informa-azione.info


sulla "gestione" del sisma in Emilia Romagna
Le violente scosse, prevalentemente quelle del 20 e del 29 maggio, continuano a mietere vittime, spesso sui posti di lavoro. Già quasi un trentina i morti, centinaia di feriti e migliaia di sfollati.
Effettuando alcuni giri nelle zone maggiormente colpite, ossia le provincie di Ferrara di Modena, ci si imbatte in scene di desolazione, rabbia ed abbandono. Nonostante questo, le operazioni di "gestione della crisi" sono già a pieno regime. Molte tendopoli e campi allestiti dalla Protezione Civile.
Lo sciacallaggio televisivo, scortato in forze da sbirri vari, è massicciamente invasivo in tutti i luoghi colpiti. Ovviamente, nessuna vergogna nello sfruttare il dolore e nel rubare scatti per fare odience. La spettacolarizzazione della sofferenza elevata a sistema, le vittime diventano protagonisti di uno show grottesco e senza pietà. Il copione è quello già visto a L'Aquila. Un esempio è il campo di Medolla, provincia di Modena.
Nei pressi del campo sportivo, la Protezione Civile ha allestito un campo per "accogliere" centinaia di persone.
Il campo è recintato lungo tutto il suo perimetro con un unico ingresso presidiato da Protezione Civile e Associazione Nazionale Carabinieri. Nei pressi dell'unico varco d'entrata sono presenti in forze giornalisti di diversi programmi tv nazionali. In corrispondenza dell'ingresso e delle prime tende sono state posizionate telecamere in postazione fissa che assicurano la diretta sull'emergenza 24 h su 24. All'esterno della recinzione è altresì presente una vera e propria sala-montaggio mobile, dove il viavai di sciacalli è incessante.
Il regolamento del campo è esposto sulla rete, in modo che chiunque voglia/possa entrare lo tenga ben presente. Vengono vietati rumore, alcol e tabacco all'interno di tutto il perimetro del campo. Vietato l'accesso agli ospiti (il campo è esclusivamente per i residenti di Medolla), chiunque entra ed esca deve consegnare i documenti agli addetti della Protezione Civile e firmare i passaggi. E' vietato giocare a pallone e mangiare al di fuori della tenda-ristorante allestita all'interno della tendopoli.
Chi viola una di queste regole sarà obbligato a lasciare il campo.
Nei pressi del centro del campo è posteggiato un mezzo della Protezione Civile con installata una telecamera a 360° in grado di monitorare l'intera tendopoli. I servizi igienici non sono attrezzati per i disabili, sia bagni che docce sono sopraelevati per mezzo di scalini.
Numerosi gli anziani all'interno del campo, stipati nelle prime tende. Nonostante l'ingente presenza di ambulanze e personale sanitario, l'impressione è quella di un grande abbandono. Numerose le persone di una certa età lasciate in balia di se stesse, in totale abbandono e solitudine. L'assistenza, da parte del personale, è svolta con svogliatezza e senza un minimo di calore e di comprensione umana. Nella serata del 29 maggio è stato, inoltre, riconosciuto il medico di Medolla dispensare a più non posso gocce (presumibilmente tranquillanti) nelle bottigliette d'acqua di numerose persone.
Stesse scene al campo di Mirandola, presidiato anche dal VII Reparto Mobile (celere di Bologna) della Polizia. Anche qui le regole sono le stesse.
Tutte le zone colpite dal sisma sono massicciamente militarizzate. Ovunque mezzi e agenti dei vari corpi di polizia, a volte pure l'esercito. La sensazione è quella di uno scenario di guerra: dolore, rabbia, edifici distrutti e mezzi blindati in ogni dove.
La speranza è che le persone, già duramente colpite e provate dal terremoto, passata l'onda emotiva si rendano conto del livello di irregimentazione in atto e che cerchino di sviluppare piani di autogestione e di mutuo appoggio all'infuori dei canali istituzionali di "gestione delle crisi". Seguiranno aggiornamenti.

30 maggio 2012
da anarchiciferraresi.noblogs.org/


Il profitto dei padroni, il vero epicentro di tutti i disastri
Ancora una volta ci ritroviamo, dopo l’alluvione che ha colpito la Liguria lo scorso novembre e il terremoto che ha devastato l’Aquila e provincia nel 2009, a dover esprimere vicinanza e solidarietà alle famiglie dei lavoratori duramente colpite nei giorni scorsi dal terremotato in Emilia-Romagna.
Sempre più evidenti appaiono, alla luce di questi tragici eventi, i legami tra crisi economica e, di conseguenza, ambientale, che accomuna queste calamità: scarso rispetto delle norme che regolano le costruzioni antisismiche, Amministrazioni Comunali che non adottano adeguate misure di sicurezza e di evacuazione in caso di rischio sismico o di calamità naturali in generale (sempre più prevedibili), ripresa dell’attività produttiva anche in quei casi in cui il ripetersi delle scosse di assestamento, dovute allo sciame sismico, era sotto gli occhi di tutti e presagiva al peggio.
Ma, come si sa, con la scusa di preservare produttività e occupazione, tutto diventa lecito: anche mettere a repentaglio la vita dei lavoratori, quando in ballo vi sono interessi economici da salvare. Così a rimetterci la vita sono sempre i lavoratori, ricattati e costretti a lavorare, come successo in Emilia in questi giorni, in capannoni già danneggiati e resi pericolanti dal sisma.
E i risultati di queste scelte criminali non si sono fatti attendere: 24 morti, in gran parte lavoratori, travolti dal crollo di quei capannoni che dovevano essere agibili e sicuri.
Mentre la terra ancora tremava già ai cancelli delle fabbriche apparivano sinistri cartelli in cui si intimava ai lavoratori di riprendere prontamente il lavoro, pena la messa in libertà o la detrazione delle ferie. Ma le misure contro i lavoratori che i padroni adotteranno non si limiteranno soltanto a queste intimidazioni: chissà quante aziende, con il pretesto dei danni subiti dal sisma, coglieranno l’occasione per delocalizzare le produzioni, facilitati in questo compito anche dal credito negato da parte delle banche. Niente crediti, niente ripresa…
Un accorato appello quindi a lavoratori, cittadini, rsu, sindacalisti combattivi della Ducati, della Ferrari e della CNH e delle altre numerose aziende di quel ricco territorio a mobilitarsi prontamente con ogni mezzo per spingere anche i vertici sindacali ad impedire questi scempi. Sicuramente non mancherà loro il sostegno e la solidarietà dei lavoratori e delle popolazioni di tutto il Paese. Sono loro che, con la necessaria mobilitazione popolare, possono e devono imporre invece, misure propositive e alternative a quelle dei soliti speculatori.
Mentre a Roma si sono dilapidate montagne di denaro pubblico nelle sobrie celebrazioni del 2 giugno e contemporaneamente, a Milano, il Comune spendeva 3 milioni di euro per l’ospitalità al Papa, ci chiediamo se non era meglio, per risparmiare risorse economiche preziose, trasmettere in tv la registrazione del 2 giugno celebrato lo scorso anno e destinare parte dei volontari utilizzati per l’accoglienza al Pontefice (ben 7.000) ad aiutare ed alleviare le sofferenze e i disagi patiti dalle popolazioni colpite dal sisma in Emilia.
Queste parate, messe in piedi l’una per ricostruire un’unità nazionale (la Festa della Repubblica) ai minimi storici e l’altra quella spirituale (la visita del Papa), ancora più messa in discussione dalle lotte interne al Vaticano a cui assistiamo in questi giorni, ricordano molto gli sfarzi, oggi anacronistici, delle corti imperiali in piena decadenza: fasti e sontuosità nei palazzi e miseria e povertà per le strade. Sia il Pontefice che il Pres. Napolitano avrebbero tutto il potere, le risorse e i mezzi per adottare misure concrete e risolutive per affrontare questa e altre emergenze: altro che l’elemosina di 500.000 euro o la “vicinanza morale” e le preghiere offerte dal Papa e dal Presidente della Repubblica! E’ semplicemente una questione di volontà.
Contro la crisi economica, ambientale (e morale) in cui il profitto dei padroni ci sta trascinando occorrono misure immediate: a sostegno del lavoro e mirate ad una ricostruzione immediata delle zone colpite dalle calamità (non solo in Emilia) e del lavoro, utile e dignitoso per tutti, più in generale, specie per donne e giovani; un serio monitoraggio dei rischi in tutto il Paese; la bonifica di tutte le produzioni nocive e pericolose per la popolazione e la loro riconversione a produzioni utili e non dannose; una maggiore tutela del patrimonio urbanistico ed artistico, che oltre a rappresentare gran parte patrimonio della cultura mondiale è anche, per gli operatori del turismo e dell’indotto di quest’ultimo, una preziosa fonte di reddito.
Se non si comincia da subito l’opera di ricostruzione delle zone colpite si rischia il ripetersi del dramma dell’Aquila e della Liguria: prima indebolite e rese fragili dall’incuria, dalla speculazione edilizia e dalla devastazione ambientale, poi abbattute come castelli di carta dalla furia degli elementi e infine, dopo mille promesse di una pronta e migliore ricostruzione, puntellate (L’Aquila) alla meglio e così lasciate, in un limbo che fa venire rabbia al solo pensiero. In attesa di cosa? La ricostruzione promessa? O l’ennesimo sisma che mieta nuove vittime tra gli uomini già duramente provati e spazzi via definitivamente le già precarie costruzioni?
Prendere soluzioni immediate oggi, volte alla salvaguardia della dignità delle persone e del lavoro utile e dignitoso per tutti, significa salvare vite e insieme salvaguardare ambiente e posti di lavoro domani. In definitiva dipende da noi.

Torino, 4 giugno 2012
Ex lavoratori ThyssenKrupp Torino
PER NON DIMENTICARE I LAVORATORI MORTI ALLA TRICOM
Si apre il processo d'appello contro la sentenza ai vertici aziendali della Tricom Galvanica PM di Tezze sul Brenta, (azienda galvanica già condannata nel 2006 dal Tribunale di Cittadella, perchè responsabile del grave avvelenamento della falda acquifera nell'alta padovana) assolti dal tribunale di Bassano dall'accusa di omicidio colposo per la morte di alcuni operai dell'azienda a causa di malattia contratta nel luogo di lavoro e mancato rispetto delle norme di sicurezza.
La sentenza è stata vergognosa e inaccettabile: "perchè il fatto non sussiste". Alla lettura della sentenza è montata giustamente la rabbia: due uova lanciate contro il tribunale e qualche frase gridata sono bastati perchè il tribunale di Bassano, così negligente con i padroni accusati di omicidio, diventasse celere e solerte denunciando immediatamente otto lavoratori per minacce e imbrattamento. Anche questa vicenda processuale, tuttora in corso presso il tribunale di Trento, è stata accompagnata da presidi di centinaia di persone solidali e dei comitati locali. Questo processo si concluderà il 27 giugno prossimo.
Il nostro Comitato si è schierato fin dall'inizio con le famiglie degli operai deceduti. Per anni abbiamo seguito il processo di Bassano senza perdere un'udienza, convinti che solo mantenendo alta la tensione e la visibilità sul caso si potevano evitare l'insabbiamento dell'inchiesta.
E' tempo quindi di rilanciare la lotta in vista delle importanti scadenze processuali del 7 e del 27 giugno, organizzando assemblee, presidi e manifestazioni pubbliche, facendo sentire tutto il peso delle sentenze che saranno emesse nelle due sedi.
Invitiamo tutti a partecipare a:
- Venezia il 7 giugno per un presidio pubblico in occasione del processo d'appello sul caso Tricom;
- Trento il 27 giugno per la manifestazione pubblica in occasione della sentenza del processo contro i nostri otto compagni denunciati.
Data e luoghi saranno segnalati sul nostro sito.
Per sostenere le nostre attività stiamo organizzando un pranzo popolare di sottoscrizione a Bassano località San Michele il 10 giugno prossimo.

5 maggio 2012
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
di Tezze sul Brenta e Bassano del Grappa
(info: 3771508711 - salutetezze.blogspot.com - Salute.Tezze@libero.it)


sciopero ai magazzini del "Gigante" di Basiano (milano)
Mentre era in corso la battaglia davanti ai cancelli di SDA, giungeva notizia che a Basiano era partito lo sciopero spontaneo dell'intero reparto della Gartico, una delle società che gestisce i servizi di magazzinaggio per conto de "il Gigante" e che, a sua volta, si avvale della cooperativa Sinergy (gruppo Alma, lo stesso già incontrato a Pioltello davanti a Esselunga) per il facchinaggio e la movimentazione merci. Nello stesso deposito di Basiano opera inoltre ItalTrans che gestisce la sezione trasporti attraverso un'altra cooperativa, la Bergamasca (gruppo CISA). Il solito ginepraio piramidale alla cui base operano in condizioni di neo-caporalato circa 120 operai immigrati, per lo più egiziani e pakistani.

Una breve storia
Il percorso comincia proprio mentre infuriava la battaglia all'Esselunga. Molti operai di Basiano abitano a Pioltello e diversi di loro avevano lavorato a suo tempo a Pioltello. Proprio questo incrocio di conoscenze e esperienze, è alla base di un percorso di sindacalizzazione che ha portato allo sciopero di tre settimane fa, promosso dai 30 iscritti al SI.Cobas (tutti pakistani) e a cui aveva finito per aderire anche il consistente contingente degli egiziani di Alma (oltre 50) seppure iscritti ad un altro sindacato.
Alla base dello sciopero le scandalose condizioni economiche degli operai di "Bergamasca" ai quali, oltre al mancato riconoscimento della professionalità e degli istituti contrattuali, viene applicato un balzello di 2.500 € l'anno di quote sociali per far fronte alle perdite economiche complessive della cooperativa degli ultimi cinque anni. Gli egiziani dichiareranno poi apertamente di essere in sciopero perché solidali coi colleghi di Bergamasca e perchè non possono ammettere che a parità di lavoro, qualcuno prenda 400 € al mese meno di loro, perchè questo è una minaccia alle loro stesse condizioni.
E la lungimiranza di queste affermazioni non tardano a manifestarsi, quando giunge, a freddo, la notizia che Alma ha dato disdetta dell'appalto a partire dal 20 giugno, che intende abbandonare gli operai al destino dell'appalto (in sostanza licenziamento o Cassa integrazione per 90 su 120), che Bergamasca andrà a rilevare la parte di appalto lascata vacante da Alma, con l'intenzione di portarci a lavorare altri "suoi operai" finora utilizzati col metodo del lavoro a chiamata senza assorbire, come previsto dalla legge, gli operai licenziati.
La logica del cambio d'appalto appare evidente: si buttano fuori 90 lavoratori che lavorano ad una media di 9 € all'ora per sostituirli con altrettanti che lavorano a 6 €.
A orchestrare il tutto, ovviamente la direzione de "il gigante" e delle due aziende intermediarie di servizi di cui si serve (Gartico e Italtrans)
Il cerchio della logica capitalista si chiude come una morsa sul destino immediato di 90 lavoratori che reagiscono immediatamente come belve inferocite

La battaglia dell'8 giugno
Fin dal mattino gli operai di Alma incrociano le braccia e occupano i reparti mentre dall'altro lato del magazzino, i compagni di Bergamasca rallentano la produzione a tal punto che rendono totalmente inefficace l'afflusso di 40 operai esterni aggiuntivi. La situazione diventa quindi incandescente a partire dall'ultimatum dato dai carabinieri, per le 17, per liberare il magazzino dall'occupazione. Alle 20 scatta l'azione della polizia in antisommossa che prima trascinano fuori dal magazzino gli operai e poi passano ai manganelli. Alla fine si conteranno 5 feriti di cui 4 sostanzialemente lievi e uno che, all'una di notte, era ancora in ospedale per le percosse subite al fegato.
Dopo la carica e la concitazione successiva, tutti gli operai coinvolti nella battaglia (che nel frattempo si sono uniti al SI.Cobas) si uniscono ai 20 colleghi di Bergamasca che stazionavano, fin dalle 15, fuori dai cancelli. Alle 24 la polizia abbandona la scena: lo sciopero si protrae e il presidio diventa permanente.
Gli obiettivi della lotta sono: 1) obbligo di mantenimento del posto di lavoro, alle stesse condizioni normative ed economiche, con vincolo per l'azienda subentrante a farsene garante; 2) adeguamento dei livelli di inquadramento e della percentuale di incidenza degli istituti contrattuali, così come da contratto di categoria; 3) parità di condizioni economiche per tutti i lavoratori presso l'impianto di Basiano; 4) tutte le misure di flessibilità d'orario devono essere contrattate con i delegati dei lavoratori.

Cariche di polizia, feriri e arresti al picchetto dell’11 giugno
L’11 giugno, un lunedì, da sempre giornata cruciale dell'intera lavorazione settimanale per "il Gigante", un plotone in tenuta antisommossa della polizia ha replicato l'attacco dell'8 giugno al picchetto dei lavoratori in sciopero davanti ai magazzini, il tutto per cercare di far entrare nell'azienda dei crumiri venuti dall'esterno per lavorare al loro posto.
Hanno sparato lacrimogeni ad altezza d'uomo, spezzato le gambe a due lavoratori e pestato duramente gli scioperanti ferendone una quindicina. Lo scontro è stato violento: gli operai, soprattutto pakistani ed egiziani, hanno tentato di resistere a mani nude alla carica della polizia ma difronte all'armamentario messo in campo dagli avversari hanno dovuto soccombere. I crumiri sono, così, entrati grazie al distaccamento armato della polizia sempre al servizio dei padroni per reprimere la lotta dei lavoratori, questi ultimi erano li a difendere il loro posto di lavoro.
Segue un contributo di un partecipante alla lotta.

Milano, 13 giugno 2012

***
Basiano, 11 giugno 2012, Una data da ricordare
[...] Domenica l'appuntamento è per le ore 15: assemblea col SI-COBAS, che dirige la lotta, ha fatto il pieno di iscrizioni, e definisce la piattaforma delle richieste. Esse sono: 1) obbligo di mantenimento del posto di lavoro, alle stesse condizioni normative ed economiche, con vincolo per l'azienda subentrante a farsene garante; 2) adeguamento dei livelli di inquadramento e della percentuale di incidenza degli istituti contrattuali, così come da contratto di categoria; 3) parità di condizioni economiche per TUTTI i lavoratori presso l'impianto di Basiano; 4) tutte le misure di flessibilità d'orario devono essere contrattate con i delegati dei lavoratori.
Questo è il prezzo della risalita. Nulla di “rivoluzionario”, solo l'applicazione di un contratto “che non ci piace” dice il SI-COBAS, ma che in queste condizioni date diventa terreno di organizzazione e di lotta di classe.
Le condizioni dello scontro raramente te le puoi scegliere, e lo si capirà meglio, molto meglio, il giorno successivo...
Il proposito è naturalmente quello di ottenere un tavolo di trattativa che impegni tutte le cooperative operanti nel sito di Basiano, incrinando così il rapporto malavitoso che sta in piedi solo grazie allo sfruttamento senza sosta dei lavoratori migranti ed alla concorrenza che gli stessi padroni-malavitosi riescono a scatenare tra i lavoratori stessi (soffiando molto sulle divisioni etniche, religiose ecc.).
Ci si aspetta che la Bergamasca l'indomani invii crumiri in proprio, per sostituire da subito quelli della Alma, ma l'intento è il non irrigidirsi nel puro “rapporto fisico” ai cancelli, e di “manovrare”...Fare opera di convinzione verso i crumiri già occupati lì a Basiano, e fermare o comunque “condizionare” gli “esterni”. Se entrano, la lotta subirebbe un duro colpo.
Il lunedì è il giorno-clou, il giorno dove le merci devono assolutamente uscire per raggiungere i punti di vendita. Se ciò non avviene, sono paccate di soldi che i mafiosi ci rimettono. Ci si trova quasi tutti dalla mezzanotte alle tre, per impedire “sorprese”, anche se l'orario “buono” è dopo le sette. Ore ed ore di attesa, con l'alba afosa che nuovamente spunta: chi mangiucchia, che beve il caffè portato nel thermos, molti fumano, molti sono sdraiati a ridosso del muretto dei cancelli. Sulla loro testa ruvide tende sostenute da nodosi bastoni. C'è la preghiera mattutina, molto partecipata. Non si capisce nulla ovviamente, ma si percepisce il senso di raccoglimento e di spiritualità interiore che anima questi uomini, che stanno perdendo tutto quel poco che gli rimane...Il rosso delle bandiere del SI-COBAS, appese sulle cancellate, prende colore con il chiarore del giorno. I guardiani, dall'interno, guardano in modo losco...vorrebbero fare loro il “lavoro” che tra un po' faranno i poliziotti? O vorrebbero trovarsi in altro luogo, fuori da questi “casini” che hanno sempre un che d'imprevisto? E che racconteranno a tavola ai loro congiunti, e nei bar ai loro amici?
Per motivi di impegni lavorativi (anche i compagni devono lavorare per mangiare ), un certo numero di solidali si sfila dal presidio.
Sono circa le otto e sono già in corso da ore “trattative” con la Digos, la quale cerca di convincere i lavoratori a rimuovere il blocco, per far entrare un pullman di crumiri, venuto da Treviglio, che la Bergamasca ha appositamente fatto arrivare davanti agli scioperanti. Debitamente scortato da autoblindo cariche di carabinieri in assetto antisommossa.
Si formano capannelli con molti lavoratori che prendono la parola con vigore e dicono: “Meglio morire qui che far passare questi. Sarebbe la fine". Si fa muro tutti insieme.Anche quelli rimasti sdraiati si alzano, e tutti compatti intonano litanie islamiche con le braccia levate, gli indici puntati verso l'alto, o l'indice ed il medio in segno di “V”, tutti rivolti verso il pullman dei crumiri, che hanno addosso i giubbetti gialli di lavoro. Ci sono molti loro connazionali, là dentro, e gli mandano messaggi che “Allah è con chi sciopera, è di qua...”Una liturgia impressionante, in un gelo che scende nel piazzale e che prelude allo scontro, che sembra imminente.
Pregano,ma lottano. Quanti rampolli delle nostre parti sarebbero disposti a mettersi in gioco in questo modo? E quanti “uomini maturi” di queste lande, abbandonando le loro false “certezze”o le loro presunte “tutele”, farebbero altrettanto, mandando a fare in culo il concertume partitico-sindacale che oggi li getta in strada con quattro euro di indennità, in cambio di nulla? Dove arriva la logica del “lavorismo”catto-imperialista, che non riesce a schiodare un bel nulla da un capitalismo senza più “regole” e “diritti”? Si è vista, a dire il vero, la Jabil, una fabbrica in lotta da mesi contro la chiusura. Ma, gli altri? Quante vittime devono ancora cadere prima della sveglia?
E' un grandioso esempio quello di Basiano, signori. Per quelli che c'erano e per quelli che non c'erano. Per i pennivendoli che racconteranno le solite palle sugli scontri di Basiano. Per le “istituzioni” che brillano per il loro totale menefreghismo, e che lasciano la partita in mano alle “forze dell'ordine”.
Così, mentre la Digos fa finta di “mediare”, pretendendo la smobilitazione del presidio in cambio di vaghe promesse di “trattative”, mentre l'Alma serra i propri reparti lavorativi “spiazzando” ogni possibile mediazione verso gli scioperanti, lo scontro diretto si mostra con tutta la sua brutalità. La brutalità del profitto ad ogni costo. Chi resiste deve essere spazzato via.
Si serrano i ranghi dei carabinieri, che ora sono pronti: scudi, manganelli, elmetti... avanti! I crumiri attendono l'esito, vergognosamente. Si serrano le file dei manifestanti, che fanno un lungo cordone davanti ai cancelli, incoraggiandosi a vicenda, stringendosi l'un l'altro, urlando: “Oggi si muore!”.
Via! Mani nude contro manganelli, che pestano furiosamente chi cade, a ripetizione, senza pietà. Botte in testa, gragnole di colpi: alle gambe, agli arti, per spezzarli. Ma questa volta gli operai non subiscono, non chiedono pietà, non ci stanno a prenderle, non ci stanno a farsi massacrare. Reagiscono. Anche perché la vista dei compagni massacrati di manganellate e di calci dopo che sono caduti a terra grida vendetta. Tutto ciò che capita a tiro diventa un'arma: i bastoni delle tende improvvisate, i pali della segnaletica stradale, i blocchi di cemento, le pietre...
Il cuneo dei carabinieri vacilla, poi arretra...l'accerchiamento lo fanno gli scioperanti, che contrattaccano, sfondano, inseguono, bastonano, devastano l'autoblindo, poi il pullman dei crumiri. Una piccola Valle Giulia edizione 2012!
Ci sono già dei feriti rimasti doloranti, a terra, vicino ai cancelli. Non c'è modo di soccorrerli: poco dopo l'aria si impesta di gas lacrimogeni, sparati anche ad altezza d'uomo. Gas che, oltre ad accecare, tolgono il respiro.
Bisogna allontanarsi. Così la forza pubblica riguadagna l'area e blocca ogni accesso, mentre i primi soccorritori dei feriti, stesi nel vialone che porta alla Logistica, cercano coi cellulari di far arrivare le ambulanze.
Saranno ore di sirene, di gente in tuta arancio che si china sui feriti, di ricoveri, di elicotteri, di curiosi delle ditte vicine che escono a vedere che cavolo sta succedendo, di un via vai continuo di mezzi di polizia, mentre i manifestanti si raccolgono, tenuti a distanza dallo schieramento poliziesco.
Chi si cura come può le ferite più lievi. Chi piange. Dalla disperazione, dalla rabbia, o semplicemente per i gas inalati... Per oggi è finita. I crumiri sono al lavoro, in un paesaggio lunare da campo di battaglia. Si contano 26 feriti tra i lavoratori, di cui 18 ricoverati in ospedale e tutti arrestati. Tanti dibattiti sulla “democrazia”, o amenità varie, non renderebbero più chiaro di questo scenario la vera natura di classe dello Stato borghese, diretto sempre e comunque contro gli operai.

***
Alla fine degli scontri hanno arrestato e portato via uno dei delegati dei lavoratori in sciopero, altri 18 li hanno presi direttamente dagli ospedali dove alcuni si erano andati a far medicare, arrestati con l’accusa di resistenza, lesioni e danneggiamento e portati nelle carceri di Monza, Lecco, Busto Arsizio (forse anche a Milano-San Vittore e a Como).
A parte il primo degli arrestati a cui hanno già convalidato l’arresto a Milano ma senza applicare misure “cautelari”, per gli altri 18 le convalide si terranno martedì e mercoledì direttamente nel carcere di Monza.
E’ indetta un’assemblea per questa sera alla sede del SI.Cobas in via Marco Aurelio per fare il punto della situazione e organizzare la manifestazione per il sabato a venire.


Alba (cn): fermati sei notav in solidarietà ai lavoratori in lotta
Noi dello slai cobas per il sindacato di classe di Taranto abbiamo raccolto un invito diretto venuto varie volte dagli operai della Miroglio per sostenerli nella loro lotta, per questo in occasione della trasferta ad Alba abbiamo dato la nostra disponibilità e 4 nostri compagni sono andati ad Alba.
Nel pulmann abbiano parlato con gli operai per capire ancor meglio la loro situazione ed erano abbastanza agguerriti. Quando siamo arrivati ad Alba al mattino, scesi dal pulmann è iniziata la protesta con trombe, fischietti, noi abbiamo messo striscioni, bandiere, degli operai ci hanno aiutato a mettere la bandiera fin davanti al cancello ed era l'unica giunta fino a lì. La tensione era alta. E' sceso un dirigente della Miroglio che ha detto che al massimo poteva entrare una delegazione, gli operai hanno subito risposto invece o tutti o nessuno, noi naturalmente abbiamo sostenuto questa loro posizione; un operaio ha cercato di scavalcare il cancello della Miroglio. Vi è stato ad un certo punto uno scontro verbale tra comandante dei cc, il dirigente dell'azienda e gli operai perchè tutti dicevano agli operai di abbassare i toni, poi vista la determinazione degli operai il
dirigente si è preso paura ed è andato via.
Si sono avvicinati operai dipendenti della Miroglio di Alba che cercavano di entrare, alcuni sono rimasti fuori ma sono rimasti in disparte dicendo che la situazione anche ad Alba è critica, perchè Miroglio vuole chiudere anche ad Alba.
Casino, trombe, fischietti, ad un certo punto vediamo uno strano movimento, il responsabile dei tessili della CGIL Massafra prendeva gli operai a gruppetti per convincerli a non parlare con noi, d: state attenti, sono estremisti, qui le cose bisogna farle con educazione, una squallida campagna contro di noi, perchè ha visto che noi ci relazionavamo con gli operai ed essi poco prima ci stavano ad ascoltare. Alcuni operai hanno detto che se non andavamo noi...
Noi abbiano detto agli operai che se andavano in gruppo a pisciare potevano anche restare per occupare lo stabilimento, a questo punto l'infame segretario della cgil, è andato dal comandante dei cc e ci ha segnalato. E insieme hanno cercato di allontanarci, questo lurido signore della cgil ha detto che noi dovevano andarecene e che la presenza nostra non era voluta, chi siete, non vi conosciamo, ve ne dovete andare, io ho 90 tessere ecc. Noi abbiamo spiegato non certo a lui che eravamo lì a sostegno di questa lotta operaia e lì saremmo restati Poi sono arrivati i compagni No Tav, la compagna Raffaella ha rilasciato intervista ad una emittente loro, quando abbiamo visto Pinuccia a terra - come stavano aprendo lo striscione per scrivere si sono buttati addosso: A quel punto i carabinieri hanno cercato di isolarci dai compagni dicendoci.. ma voi lo sapete chi sono quelli? Un nostro compagno ha cominciato subito a girare immagini dell'aggressione poliziesca che il cc ha strappato il cellulare dalle mani del compagno, cellulare poi recuperato senza cancellare le immagini.
Gli operai a distanza cercavano di capire cosa stava succedendo, e qui cgil e questura hanno pressato perchè gli operai non si muovessero e restati lontano. Quindi siamo stati portati in questura e come è andata è noto ci hanno tenuto in caserma un paio d'ore giusto il tempo per far entrare gli operai per l'assemblea con la direzione della Miroglio. Quando siamo tornati al presidio, la polizia ci impediva fisicamente di avvicinarci ai cancelli, ma alcuni operai sono venuti da noi. Quando gli operai sono usciti per andare alla mensa a loro spese erano scortati dai carabinieri come fossero detenuti in libera uscita. Per noi è stata una cosa buona, se ci hanno allontanato vuol dire che ci stavano temendo.
L'incontro con l'azienda è finito alle 19. a noi non ci hanno permesso di fare il corteo per le vie di Alba. Ripartiti alle 19,45 subito un pulmann, 3 pulmann sono partiti più tardi. Nel nostro pulmann non c'era più l'infame segretario della cgil, e anche altre persone.
I compagni del collettivo sono rimasti con noi, ci hanno accompagnato al pulmann.
Commento finale: noi abbiamo risposto ad un invito dei lavoratori più volte, questi comunicati li mettiamo in rete, noi sosteniamo questa lotta perchè di interesse generale. La ns presenza ha due effetti: mette a nudo la responsabilità delle oo.ss confederali su ciò che è successo alla Miroglio, che in tutti questi anni hanno offerto i tappeti rossi a padron Miroglio e accettato condizioni di lavoro fuori dai ccnl e dalle leggi, sfruttando in maniera cinica il bisogno di lavoro nella zona. Il ruolo che hanno avuto i sindacati e i partiti della zona è stato di pilotare le assunzioni, con sistemi di clientela, qualcuno ci ha guadagnato, Miroglio ha guadagnato il massimo, e ora come minimo doveva restituire i soldi che aveva avuto dallo Stato, regione, ecc.
La ns presenza ha messo a nudo lo scandalo Miroglio di cui le ooss sono corresponsabili, esiste alleanza tra padroni, istituzioni, sindacalisti. Dal momento in cui abbiamo reso noto questo prima di partire, per i sindacati la ns presenza è diventata scomoda e approfittando della non conoscenza diretta da parte degli operai dei compagni andati ad Alba, hanno avuto un comportamento ignobile e indegno in combutta con azienda e cc, cercando di isolarci, criminalizzarci, ma il cui vero obiettivo erano gli operai di cui temevano la ribellione. Il comportamento del segr. della cgil Massafra aveva un solo obiettivo, di salvare il proprio posto di sindacalista e di continuare a ingannare i lavoratori. La soluzione infatti ottenuta non è certo di tutela dei lavoratori. I lavoratori se ne accorgeranno per loro spese. Su questo dobbiamo essere duri. E' stato davvero indecente il
comportamento verso i compagni No Tav venuti a solidarizzare. Gli operai gli dovevano baciare le mani, essi sono del territorio, e sono parte di un movimento forte e il legame con esso poteva e può dare più risultato agli operai. Oltre le responsabilità dei dirigenti sindacali bisogna dire che il comportamento degli operai, a fronte dei fatti è stato sbagliato e stupido. Anche di questo bisogna rendere consapevoli gli operai e faranno la loro esperienza su questo.
E' indegno l'arresto dei due compagni, i carabinieri hanno puntato Pinuccia fin dall'inizio perchè la temono anche da Taranto dobbiamo far arrivare la solidarietà di massa a Pinuccia e Jack, ai ragazzi del collettivo al movimento No Tav. Sindacalisti e stampa hanno cercato a Taranto di nascondere i fatti e noi li denunceremo alimentiamo a livello nazionale alimentare campagna per la scarcerazione di Pinuccia e Jack.
Non escludiamo di fare un presidio sotto la sede della cgil.
Ci sono giunti messaggi e telefonate dagli operai Miroglio: grazie, scusateci per la nostra vigliaccata, il 50% di noi é con voi solo che ci hanno costretto a non avvicinarci a voi.

7 giugno 2012
Raffaella, Francesca, Ciccio, Angelo dello slai cobas per il sindacato di classe taranto


é scoppiato il “piano” di marchionne (attenti ai cocci!)
I ritmi di lavoro sono impossibili: I 2.000 addetti nella newco non ce la fanno mentre si avvicina il rischio licenziamento per i 3.300 lavoratori di Fiat ed Ergom ancora in cassa.
A stare alle dichiarazioni di Marchionne del 22 dicembre 2009 oggi a Pomigliano si dovrebbero produrre 270.000 panda - con le 18 battute e 3 turni a ciclo continuo dal lunedì al sabato - con 5.500 addetti ed ulteriore incremento occupazionale (gli 800 della Ergom).
Di fatto la produzione panda é ridotta ai minimi termini e non é suscettibile di significativi incrementi produttivi; 3.000 lavoratori dal prossimo luglio 2013, allo scadere della “cassa” per cessazione di attività in Fiat Automobiles, sono a serio rischio-licenziamento; stessa sorte si appresta per gli 800 addetti Ergom (come per Termini Imerese, a fabbrica chiusa) nonché per le migliaia addetti alle aziende dell’indotto.
A questo punto Bertinotti e Rinaldini (che all’epoca magnificarono il “piano-fantasma”) con Napolitano che effigiò Marchionne del titolo di cavaliere del lavoro dovrebbero quantomeno chiedere scusa ai lavoratori della Fiat.
Questa é la situazione oggettiva e decisamente in contrasto con quanto ancora va raccontando spudoratamente Marchionne che, proprio ieri, alla fiera del libro di Torino, consigliava a Monti di “fare per l’Italia quello che lui é stato capace di fare per Fiat e Pomigliano”. Bella “faccia da culo” vien da dire!
Il fatto é che Marchionne e Monti (suo ex collega nell’esecutivo nazionale della Fiat) stanno portando allo sfascio “stile Grecia” l’industria e l’Italia e le avvisaglie del disastro già si stanno anticipando in campania (con la progressiva e massiccia deindustrialiazzazione in atto indotta dalla Fiat) ed in Sicilia con la chiusura di Termini Imerese e i tagli governativi alla spesa e ai servizi pubblici che, alla fine del 2012, mettono a rischio licenziamento 22.000 precari.
Altro che a rischio la “coesione sociale”: l’accoppiata Marchionne-Monti sta nei innescando una vera e propria bomba ad orologeria destinata a deflagrare nei prossimi mesi!

14 maggio 2012
Slai cobas - coordinamento provinciale di Napoli


Un NO strategico alla riforma del lavoro
Il ddl Fornero è passato al Senato nella giornata di ieri. Alla camera, in assenza di lotte e conflitti all'altezza della posta in gioco, il voto sarà ancora più blindato ed il passaggio più rapido. Il Senato ha liquidato l'art. 18 con 231 voti a favore e solo 33 contrari: aggravando quanto era già previsto sul lavoro precario, rendendo ancora più facile licenziare e indebolendo ulteriormente gli ammortizzatori sociali.
In sintesi:
- per i Contratti di lavoro a termine sono cancellate le causali nelle assunzioni con contratti di lavoro inferiori a 12 mesi ( il testo della Ministra indicava 6 mesi) e inoltre con accordi interconfederali, contratti nazionali di categoria, contratti territoriali e aziendali si può derogare alle causali per tutti i contratti a termine, a prescindere dalla loro durata, fino al 6% dei lavoratori occupati, Questo significa che il contratto a tempo indeterminato diventa un miraggio!
- per i Lavoratori interinali con contratto a termine la stabilizzazione avverrà solo dopo 36 mesi, ma il loro rapporto di lavoro sarà a tempo indeterminato con le agenzie interinali e non con l’azienda nella quale lavorano.
- per gli Apprendisti: si consente alle aziende di assumere nuovi apprendisti anche se non hanno confermato nessuno dei contratti di apprendistato precedenti, in barba alle percentuali di conferma previste dal CCNL dei metalmeccanici , già ridotte dalla ministra Fornero. Sui Licenziamenti, non solo si conferma la cancellazione dell’art. 18, per cui di fronte ad un licenziamento illegittimo non è più automatica la reintegrazione nel posto di lavoro, ma sono state date ulteriori possibilità alle aziende per licenziare.
- sugli Ammortizzatori sociali, oltre ad aver cancellato la cassa integrazione per cessazione di attività, la legge 223 e aver ridotto la durata del trattamento di mobilità, hanno anche deciso che le aziende nei prossimi tre anni non dovranno pagare il contributo previsto dal testo della Fornero per i contratti di lavoro a termine. Il che significa che le mancate entrate pari a 7 milioni di euro per ogni anno vengono compensate esclusivamente dai fondi per il sostegno all'occupazione giovanile e delle donne. (fonte Fiom)
Ci è utile, come forze sociali inclini alla trasformazione reale ed indisponibili al mero ruolo di testimoni del lamento, analizzare la posta in gioco, di ristrutturazione politica e sociale, che segna questa riforma del lavoro, nel quadro della strategia di “crescita” del governo Monti.
Il compito di “risanare” i conti, abbattendo debito e spesa pubblica, è affidato da Monti a tasse, tagli e “spending review”; la riforma del lavoro - assieme alle decantate liberalizzazioni - debbono invece assolvere - nel quadro internazionale di crisi - al compito di svalutare decisamente il costo del lavoro, per riattrarre “capitali”, ri-orientare flussi produttivi di beni e servizi dentro l'italica periferia europea e riformulare il nesso tra produzione e profitto sganciando completamente l'impresa da qualsiasi vincolo con la forza-lavoro. Profitto variabile indipendente, insomma.
Accanto alla proletarizzazione cui la gran parte dell'ex ceto medio è forzata da provvedimenti che mirano alla concentrazione di capitali ed alla salarizzazione di fatto di piccoli produttori, un secco impoverimento generale deve essere accompagnato da una vera e propria “nuova accumulazione”. Sta qui l'idea e la tendenza di “crescita” a cui contrapporre non impossibili corporativismi né docili mediazioni, quanto piuttosto la nuova consapevolezza che l'attacco oggi è giocato interamente sul piano della vita messa al lavoro, delle sue condizioni e dei dispositivi di assoggettamento che ne stanno riformulando soggettività ed istanze.
Sono nate e si riprodurranno esponenzialmente nuove condizioni soggettive - disponibili al conflitto quanto ad oggi irrapresentate né organizzate: crescita degli working poors, intermittenza permanente di lavoro\inoccupazione\disoccupazione (quanti sono e saranno gli interinali, i lavoratori al nero, i precari che hanno perso il beneficio del sussidio o di altri ammortizzatori sociali?), ricattabilità endemica nella costrizione al lavoro, inscindibilità di sfruttamento e meccanismi d'indebitamento (mutuo, assicurazioni, equitalia)...
Il piano del ddl Fornero sintetizza e ricompone, sul piano del capitale, il portato simbolico dell'abolizione dell'articolo 18 sancendo definitivamente il principio della licenziabilità individuale; la soppressione di gran parte degli ammortizzatori sociali, in risposta alle pretese (chimeriche, in assenza di lotte e di riappropriazione sociale di massa) del reddito di cittadinanza; l'approvazione dei contratti- schiavitù Apprendistato.
In tutto questo la risposta del sindacato confederale, Cgil in testa, è quella di funzionare da vera e propria tachipirina delle lotte, preparandosi a diventare “sindacato aziendale di mercato” sempre più con la funzione di erogare quei “servizi”che si salveranno dai tagli al welfare.
Troppi i legami con lo schifo di questa classe politica, troppa l'abitudine a rinunciare a prendere la posizione giusta, troppa la formazione pluridecennale di soggettività politico-sindacali inclini alla concertazione a senso unico per l'azienda ed il padrone.
Lo sciopero generale, l'assedio al parlamento, l'estensione delle lotte riuscita in Spagna qui necessariamente deve imboccare altre strade. E non da ora ce ne siamo accorti. Le uniche indicazioni che provengono dall'alto delle tradizionali organizzazioni sindacali, sono quelle che ci confermano l'urgenza di rimboccarsi le maniche per interpretare la diffusa insopportabilità in chiave del blocco e della costruzione conflittuale di processi comuni di quello che chiamiamo sciopero sociale.
Già dalla prossima settimana occorrerà rimetterlo in pratica.


1 giugno 2012
Nuova camera sociale del lavoro - Pisa