indice n.60
libia: lo strano caso della rivoluzione che fa felici i padroni
libia: La guerra con le bombe e con la propaganda
egitto: Divisione in piazza Tahrir
Dalle lotte dentro e contro i c.i.e.
Lettera dal carcere di Nuoro
Lettera dal carcere di S. Remo (IM)
Lettera dal carcere di Cagliari
lettera dal carcere di asti
Lettere dal carcere di Prato
Resoconto del presidio sotto il carcere di Prato del 10 settembre
Da alcune lettere dal carcere di Opera (mi)
monza: Di carcere si muore
Lettera dalla casa di lavoro di Castelfranco Emilia (mo)
da una Lettera dal carcere di Cremona
lettera dal carcere di spoleto (pg)
LO SFRUTTAMENTO POGGIA SULLA FORZA DEL CARCERE
Sullo sciopero generale del 6, l’autunno, e i compiti a venire…
Infamie e cialtronerie della manovra ferragostana
Tumulti nelle città britanniche
Cronache dal movimento No tav
piacenza: FUORI GLI ALPINI DALLE CITTÀ!
monza: DOVE LORO DISTRUGGONO, NOI RICOSTRUIAMO!
Roma: Comunicato sullo sgombero di 3njoy Pirateria
Milano: Storie di ordinaria repressione al Corvetto
crema: LA CASA ED IL LAVORO SONO UN DIRITTO DI TUTTI…
firenze: Perquisizione a La Riottosa Zquat e obbligo di firme
berlino: Di nuovo in carcere i compagni del "gruppo militante"
lombardia: Lotte nelle cooperative della logistica
milano: PROVOCAZIONI AZIENDALI ALLA JABIL
libia: lo strano caso della rivoluzione che fa felici i padroni
Sull’estate nera delle borse – europee e non solo – sembra soffiare d’improvviso una ventata d’aria fresca. Dopo un mese di crolli e perdite continue gli investitori tirano un sospiro di sollievo: Tripoli è inondata di sangue e gli indici di borsa, finalmente, risalgono (ENI in testa con un rialzo dei suoi titoli del 5,21%).
Sulle prime pagine dei giornali appaiono - dopo mesi nei quali l’aggressione alla Libia è stata resa invisibile - le mille immagini colorate di una paese in festa, libero, gioioso: e le case crollate? Le città distrutte? I corpi straziati? Dove sono le immagini dell’attacco NATO alla TV libica? Che fine hanno fatto le foto dei morti ammazzati dalle nostre bombe? Oggi più che mai cala una cappa di colpevole silenzio sul ruolo della NATO e delle potenze europee in questa guerra: gli “insorti” si sarebbero “liberati” da soli e le poche informazioni che possiamo avere su quanto è realmente accaduto negli ultimi quattro mesi sull’altra sponda del Mediterraneo sono filtrate e manipolate. A noi che questa aggressione abbiamo provato a denunciarla, a spiegare le motivazioni e i reali interessi che si celavano dietro al fantomatico “sostegno ai ribelli” e alla retorica della “guerra umanitaria”, resta l’amara, amarissima constatazione di un altro colpo messo a segno dall'imperialismo europeo ed usa, insieme alla conferma della ragionevolezza delle nostre riflessioni: a darcela è la voce inconfutabile degli indici di borsa.
La guerra – ieri, oggi e, c’è da scommetterci, pure domani –resta di gran lunga il più efficace strumento di sopravvivenza del sistema capitalista e il miglior affare possibile. Se intendiamo combatterle, teniamolo a mente.
23 agosto 2011
Laboratorio Politico Iskra; Red-link Napoli; Collettivo Politico Fanon; Collettivo Autorganizzato Universitario; Ass. Marxista Unità Comunista
libia: La guerra con le bombe e con la propaganda
Le discrepanze sul significato da dare alla guerra in Libia non potevano essere più evidenti: mentre i media occidentali inoltravano la notizia della vittoria del popolo su Gheddafi, l'assalto a Tripoli veniva condannato in America Latina, Africa e Asia come crimine imperiale. 200 artisti, scienziati e politici africani in una dichiarazione comune hanno bollato Francia, USA e Gran Bretagna come "stati canaglia", la cui politica viene qualificata come "pericolo grave di una nuova colonizzazione" del continente. Al contrario, nei paesi occidentali i toni dei politici e dei commentatori si attestano con ostinatezza al quadro di una "rivoluzione democratica", il cui dispiegamento è stato assicurato dalla NATO. Per gli esperti del Medio Oriente della "Fondazione Scienza e Politica", il successo giustifica il modo di procedere - nonostante la stima di 30mila persone uccise dalla guerra esposta nella loro stessa rivista.
Del resto, era già chiaro sin dall'inizio, che gli insorti potevano reggere e infine imporsi soltanto grazie al sostegno militare dell'alleanza militare. La forza ristretta degli avversari di Gheddafi e il continuo grosso sostegno al suo regime, alla fine hanno costretto le potenze della NATO a non tenere in nessuna considerazione la risoluzione ONU n. 1973 [del 17 marzo 2011, riguarda l'isolamento aereo, no Fly Zone, in cui viene ristretto uno stato aggressivo… la questione è contortissima] di cui fino ad oggi se ne erano serviti come foglia di fico e di assumere con proprie truppe la direzione dell'assalto alla capitale.
Quando in luglio la guerra contro la Libia stava entrando nel quinto mese e i ribelli libici, nonostante il sostegno militare, finanziario e politico, ricevuto in misura così cospicua da nessun altro precedente movimento d'opposizione, non avevano compiuto progressi degni di nota, l'umore all'interno dell'alleanza militare era finito in cantina.
"Indebolita dagli scontri interni" e "minata dai comportamenti sconsiderati e indisciplinati delle sue milizie", la sollevazione contro il colonnello Gheddafi sembra stia trasformandosi in una torbida lotta di concorrenza, scriveva il 13 agosto il New York Times.
Il ministro della Difesa della Francia, Gérard Longuet, nella televisione del suo paese ha persino parlato di naufragio dell'operazione militare. Le cose a Tripoli, ha detto Longuet, devono entrare in movimento, aggiungendo "per dirla tutta, la popolazione deve sollevarsi."
Le grandi manifestazioni contro la NATO e i suoi alleati locali, a cui in luglio a Tripoli e in altre città avevano preso parte migliaia di persone, hanno deluso le speranze della NATO. Ora non restava che il Piano B: intraprendere la campagna militare a terra e inscenare la "insurrezione a Tripoli".
L'offensiva dell'alleanza di guerra è stata avviata all'inizio del mese del Ramadan; alla metà di agosto è avvenuto lo sfondamento. Le milizie ribelli e gli insorti delle tribù sono penetrate nelle città di importanza strategica, hanno accerchiato la capitale e tagliato le vie del rifornimento. La rapida riuscita dell'ingresso a Tripoli è stata sorprendente.
Di una "vittoria dei ribelli" o addirittura di una "caduta del dittatore realizzata dal suo popolo", come ha scritto frettolosamente anche la Taz (quotidiano di sinistra istituzionale di Berlino) non è il caso di parlare. Determinanti per questi successi sono stati soltanto l'intensificazione del bombardamento aereo e l'intervento delle truppe d'élite della NATO alla testa delle milizie ribelli. Le otto potenze belligeranti della NATO concentrando, i propri attacchi aerei sulle previste linee di marcia dei ribelli, per liberare loro le strade, hanno "facilitando" gli attacchi, come ha spiegato Derek Flod del gruppo di esperti della Jamestown Foundation. Una simile "facilitazione" data dai bombardamenti sulla superficie, solo nel villaggio Majer, situato nei pressi di Sliten, città molto contesa, sono costati la vita a circa 80 persone fra bambini, donne e uomini. Successivamente è venuto chiaramente alla luce che le unità d'élite britanniche e francesi, sostenute da forze speciali della Giordania e del Qatar, avevano assunto la direzione dell'avanzata. Queste truppe d'élite hanno dato le indicazioni ai bombardieri NATO e hanno guidato gli attacchi degli elicotteri da combattimento, che, con la loro immensa capacità di fuoco, hanno aperto la strada agli attaccanti. Quando i difensori si sono visti costretti a contrapporsi, ad uscire allo scoperto, si sono trovati sotto il tiro incrociato dei caccia e degli elicotteri.
Anche le forze speciali libiche, costruite e addestrate negli ultimi mesi dagli stati della NATO hanno contribuito ai successi. Una parte di loro, portando con sé una quantità enorme di armi e equipaggiamento, è entrata di nascosto a Tripoli prima degli attacchi. Mentre in questi momenti decisivi venivano colpiti posti centrali, le unità speciali libiche hanno avuto l'impressione che la capitale sarebbe potuta cadere presto nelle mani dei ribelli.
Questo modo psicologico di condurre la guerra ha giocato un ruolo decisivo. Con una forza di fuoco ampiamente sovrastante e con gli annunci anticipati della vittoria, si è cercato di ampliare il panico fra gli abitanti delle città attaccate e di estendere allo stesso tempo il senso della disperazione ad ogni resistenza. I media internazionali trasmettendo con tempestività quelle informazioni ne hanno rafforzato gli effetti, mentre la distruzione della radio e della televisione statali compiuta dai bombardieri NATO, dava al governo dei ribelli la possibilità delle rettifiche, delle manipolazioni. Già di per sé il falso annuncio dell'arresto dei figli di Gheddafi, ampliato a livello mondiale e rafforzato dalla Corte Internazionale di Giustizia [Organo dell'ONU], ha dato ai ribelli un enorme vantaggio politico e militare. Numerosi soldati in seguito hanno comunque abbandonato la battaglia. Però in Germania ci si è attenuti ugualmente alla linea delle manipolazioni, alla descrizione di un'insurrezione a Tripoli con relativi presunti festeggiamenti.
La conclusione rapida delle battaglie in Libia è esclusa, troppo esiguo è lo sviluppo democratico. Anche se la NATO e i suoi alleati alla fine hanno conquistato la parte nord del paese, non c'è d'aspettarsi che il grosso della popolazione adesso si sottometta tranquillamente ai conquistatori. Senza sostegno militare il "Consiglio Nazionale di Transizione" (CNT) non riuscirà a durare a lungo come nuovo governo. Per questo sono in corso le pianificazioni per l'invio di truppe d'occupazione. Le idee si orientano all'esperienza della missione ONU in Kossovo, che, dopo la fine della guerra in Jugoslavia, nel 1999, ha assunto l'amministrazione della rinnegata provincia serba. Una domanda di aiuti potrebbe dare al CNT un cappottino legale.
La sfrontatezza con cui, di fronte agli occhi di tutto il mondo, Francia, Gran Bretagna, USA e i loro alleati hanno attaccato e devastato un paese, abbattendone il governo, per tutti i paesi del Sud è allarmante. Molti osservatori e analisti, come il politologo indiano Madhav Das Nalapat, a ragione vedono una ricaduta dell'ONU nell'epoca della Società delle Nazioni Unite, che negli anni Venti si era trasformata in strumento degli interessi geopolitici innanzitutto della Gran Bretagna e della Francia. La preoccupazione degli africani di trovarsi di fronte a un nuovo colonialismo non è esagerata.
pubblicato sul bimensile Ossietzky, Hannover, settembre 2011
Joachim Guilliard, da www.sopos.org/ossietzky
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libia: Ridurre al silenzio
Il bombardamento NATO di sabato (30 luglio 2011) sull'edificio della rete televisiva statale libica ha causato per lo meno tre morti e quindici feriti. La notizia è stata raccolta da un resoconto del corrispondente delle rete televisiva latino-americana TeleSur a Tripoli, Rolando Segua, secondo il quale è stato colpito anche l'hotel dove sono alloggiati nella capitale libica i giornalisti stranieri.
Gli attacchi dovevano servire "a assicurare la vita dei civili" ha affermato poco dopo il portavoce della NATO Roland Lavoie: "Il nostro intervento è stato necessario, in quanto la televisione viene utilizzata come parte integrante dell'apparato del regime, ed è sistematicamente utilizzata per opprimere e minacciare la popolazione civile e, allo stesso tempo, per provocare gli attacchi su di essa". L'alleanza militare si sente particolarmente provocata dal fatto che il capo di stato libico Muammar Al-Gheddafi faccia uso come mai in passato della televisione per rivolgersi alla popolazione. "E' prassi affermata di Gheddafi illustrare nelle trasmissioni fomentatrici radiofoniche la politica del suo regime, attizzare l'odio fra i libici, mobilitare i suoi sostenitori contro i civili e causare un bagno di sangue," ha affermato Lavoie. Con le stesse parole nel 1999 il portavoce di allora della NATO, Jamie Shea, giustificava il bombardamento della rete televisiva RTS nel centro di Belgrado in cui vennero uccisi sedici collaboratori del canale. RTS non era un media, ma, al contrario "pieno di funzionari del governo, pagati per produrre propaganda e menzogne". Per questo la rete era diventata un obiettivo militare. "Noi non prenderemo mai di mira i media legittimi, liberi", così disse allora Shea. Quali siano i media legittimi, liberi fino a oggi, la NATO lo ha voluto decidere da sé stessa. Nei mesi scorsi dalla televisione libica erano stati diffusi resoconti sugli attacchi degli aggressori, subito smentiti dall'alleanza e ammessi poco dopo. La NATO non vuole più sentirsi rinfacciare apertamente le conseguenze dei suoi crimini, cioè, le mille persone uccise e le quattromila ferite, fra la popolazione civile, dai suoi bombardamenti cominciati alla fine di marzo.
Dschaled Bazilia, uno dei direttori della televisione libica, ha definito gli attacchi un "atto di terrorismo internazionale" e una violazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per la sicurezza della popolazione libica, a cui la NATO sempre si richiama.
"Noi siamo impiegati della televisione libica ufficiale. Non siamo un obiettivo militare, non siamo un comando di armata e non rappresentiamo alcun pericolo per la popolazione civile", sottolinea Bazilia. Anche i giornalisti libici hanno il diritto di poter fare il loro lavoro in base alla sicurezza del diritto nazionale e dei popoli. Nonostante gli attacchi, sulla rete i programmi proseguono, domenica si potevano anche ricevere via Internet.
Intanto nell'eterogenea alleanza dei ribelli, quelli che si sono posti l'obiettivo di far cadere Gheddafi, si manifestano ampie incrinature. Dopo che giovedì scorso (28 luglio) il loro capo militare, il gnerale Abdel Fattah Yunis, è stato ucciso in circostanze rimaste comunque poco chiare e che nella notte di domenica (1 agosto) sono rimaste uccise quattro persone in scontri fra frazioni rivali.
André Scheer, 1 agosto 2011
da www.ilibya.tv
egitto: Divisione in piazza Tahrir
Attualmente la rivoluzione egiziana attraversa un processo di differenziazione. L'abbraccio fra esercito e popolo, che comunque aveva più che altro carattere di facciata, è cosa del passato. La direzione dell'esercito, che aveva preso parte alla caduta di Mubarack soltanto per impedire un reale cambiamento, si sta dimostrando l'attesa forza restauratrice attenta all'intoccabilità dei vecchi rapporti di potere e di proprietà. Di fronte le si pone il contenuto radical-democratico e sociale dell'esistente movimento popolare sorto fra gli strati sociali medio-bassi. I "ragazzi di piazza Tahrir" sono una coalizione essenzialmente laica composta da persone di sinistra, ma anche da liberali e nazionalisti, che non vogliono veder ancora a lungo la "loro rivoluzione" sotto l'amministrazione dell'esercito. In questo scontro gli islamici si sono affermati come terza forza.
I Fratelli musulmani (Fm) sono un movimento di orientamento economico conservatore. Nelle settimane precedenti l'abbattimento di Mubarak si destreggiavano fra le diverse posizioni e volevano collocarsi come terza opzione. Adesso si sono posti il compito di influenzare con moderazione le forze popolari, di spezzare la punta radicale dell'insurrezione. Non possono fare questo come seguaci dichiarati del potere dei militari. Inoltre, la direzione dei Fm deve avere riguardo nei confronti della sua base collegata alle masse popolari. I Fm non hanno potuto insomma rispettare l'orientamento di spezzare l'insurrezione e di passare dalla parte della ricostruzione della quiete e dell'ordine.
Agli islamici però appartengono anche i Salafiti, una corrente chiamata e tenuta in vita dall'Arabia Saudita che porta in sé i segni di un movimento di massa fascista e ricorda tanto i "Cento Neri", pre-fascisti russi, organizzatori disposti dall'Okrana (servizi segreti zaristi) dei pogrom (devastazioni) antisemiti. I Salafiti nell'Egitto di oggi si pongono innanzitutto il compito di deviare le energie rivoluzionarie in campagne di odio contro copti e sciiti, e questo non soltanto per sgretolare l'unità del popolo egiziano, ma anche per contrastare - questa l'indicazione saudita - un'alleanza degli sciiti egiziani con gli sciiti iraniani e con l'Hizbollah.
Venerdì scorso, 29 luglio, nel centro del Cairo si è arrivati ad un'aperta prova di forza fra le forze secolari (*) e le forze islamiche. Ciò è accaduto quando i Salafiti, contro gli accordi raggiunti, ossia, di non fare appelli a soluzioni dirette alla divisione, in piazza Tahrir si sono pronunciati a favore del califfato. E' facile individuare i beneficiari delle provocazioni salafite. Così, il senso dato all'espugnazione di una stazione di polizia nella penisola del Sinai compiuta dagli islamici, consiste in un'esortazione aperta all'esercito affinché metta fine al "terrore rivoluzionario". Anche se mercoledì (3 agosto) inizia il processo contro il clan Mubarak, i contrasti apertisi lasciano presumere che l' "anciénne Regime" dell'Egitto non è ancora giunto alla fine.
(*) Secolarizzazione: letteralmente, dal vocabolario Sansoni: "autorizzazione concessa dall'autorità ecclesiastica al religioso di rimanere in perpetuo fuori del chiostro, deponendo l'abito e gli obblighi del suo stato".
Werner Pirker, 1 agosto 2011
da www.jungewelt.de/2011/08-01/029.php
in de.indymedia.org/2011/08/313743.shtml
Dalle lotte dentro e contro i c.i.e.
Di seguito riportiamo la consueta cronologia delle rivolte che quotidianamente avvengono all'interno dei vari "Centri" di detenzione per immigrati presenti nel nostro paese. Siamo consapevoli che per ragioni di spazio molti avvenimenti verranno necessariamente tralasciati, quello che è certo è che la situazione è quotidianamente esplosiva in tutte le galere speciali. Esprimiamo la nostra solidarietà a tutte le immigrate e gli immigrati che si ribellano e organizziamoci per praticala attivamente a sostegno delle rivoltose e dei rivoltosi.
Torino, 8 agosto Nuovo tentativo di fuga dal Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Torino.
Nella notte tra sabato e domenica un gruppo di reclusi dell'area bianca è riuscito ad uscire dal cancello che separa la gabbia dal cortile centrale, forse perché la porta era stata chiusa male, forse forzandola. I primi quattro ragazzi che, armati di corde improvvisate, stavano scavalcando il secondo cancello, sono stati fermati dalla polizia. Tutti sono stati riportati nelle camerate e hanno dovuto subire una perquisizione. In risposta c'è stato un po' di casino, ovviamente nell'area bianca ma anche nell'area rossa.
Roma, 8 agosto
Buone notizie intanto da Roma. Un bel gruppo di reclusi - secondo la Questura una quindicina ma forse almeno il doppio - sono riusciti a scappare nella notte dal Centro di Ponte Galeria. Inutili le ricerche dei fuggitivi, anche perché i poliziotti a guardia del Centro si sono accorti della fuga troppo tardi. A quanto pare la fuga è stata favorita dai pesanti danneggiamenti causati dalla rivolta di una settimana fa.
Bari, 9 agosto
Arrestati Mohamed Osman del Mali e Idris Mohamed di origine libica, ricercato un altro giovane immigrato maliano! Accusati di essere i capi della rivolta e che essa è stato un piano organizzato. La procura di bari ha agito - come braccio operativo della digos - come un carro armato nello sforzo di soffocare la rivolta e realizzare una rappresaglia contro i ribelli del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (Cara). In poco più di tre giorni è passata dall'arresto di 28 immigrati, con arresto convalidato e divisione nel carcere di Bari e di Trani, dalla denuncia in corso di altre decine di immigrati, ora quindi a rischio espulsione, alla cosiddetta individuazione dei "capi della rivolta, frutto di un piano organizzato".
Così la digos ricostruisce la “fantastica” rivolta: "la notte prima della guerriglia urbana, lungo la ferrovia che costeggia il Cara e la statale 16 furono posizionate strategicamente borse e cartelle cariche di pietre" questo testimonierebbe che "l'insurrezione del 1° agosto di circa 200 immigrati fu pianificata nei minimi dettagli da Mohamed e Idris e un altro giovane non ritrovato nel Cara". Sono stati loro, secondo la Procura, passacarte della digos, che "avrebbero fomentato gli altri immigrati che si preparavano a una manifestazione pacifica e costretto con la forza e le minacce a partecipare alla sommossa altri gruppi di asiatici".
I tre uomini fermati sono accusati quindi di “istigazione a delinquere finalizzata alla rivolta e alle minacce”. Chiunque vede le immagini e sa qualcosa degli immigrati rinchiusi nel Cara, sa bene che le cose non potrebbero mai essere andate così. Che gli immigrati abbiano cercato di organizzare la loro protesta è stato giusto e necessario, che vi siano stati immigrati d'avanguardia è altrettanto normale e necessario, ma che si potessero costringere 300 immigrati a ribellarsi e, date le differenti nazionalità, a lottare insieme fa parte solo dei pensieri demenziali degli sbirri della digos e di sedicenti magistrati che li hanno fatti propri.
Tutta la ricostruzione trascura che dopo l'inizio della protesta essi abbiano cercato di parlare con qualcuno e si sono trovati con la carica scatenata dagli sbirri con lacrimogeni ad altezza d'uomo di tipo CS, già usati contro i NO TAV e altre manifestazioni e che a quel punto hanno dovuto usare tutto quello che era disponibile per difendersi e in alcuni casi infliggere colpi alle forze repressive - come al solito rambo vigliacchi contro i deboli e pavidi e disgregati contro chi reagisce, si difende e contrattacca. Ma se questo non bastasse, dovrebbe convincere tutti dello stato delle cose, ciò che l'inchiesta si propone che è molto di più: "la Procura barese sospetta che i tre presunti promotori della rivolta possano far parte di una più ampia organizzazzione criminale trasnazionale che abbia suoi adepti sparsi nei vari centri di accoglienza con l'obiettivo di fomentare insurrezioni sul territorio, tra le ipotesi al vaglio degli investigatori c'è anche quella che dietro la rivolta possa celarsi il fondamentalismo religioso. I magistrati baresi sono in stretto contatto con i loro colleghi di Catania e Crotone - altre due città dove si sono registrati disordini scatenati da immigrati - e c'è un fitto scambio di informazioni. Inoltre verifiche sono in atto anche su alcuni contatti che ci sarebbero stati a Bari, tra gli extracomunitari ed alcuni italiani: la magistratura vuole capire se "qualcuno possa dall'esterno possa aver contribuito a fomentare la rabbia degli extracomunitari, salvo poi perdere il controllo della situazione".
Due questioni vanno inoltre tenute presenti: è possibile che gli immigrati arrestati e quelli rinchiusi nel Cara, vengano ora ricattati e pressati perché qualcuno di essi avalli la versione della polizia, e anche se così fosse, si tratterebbe sempre di deformazioni e falsità al servizio della criminalizzazione. Secondo: inquirenti e digos fanno trapelare che ieri nel Cara, nel corso di una perquisizione, avrebbero ritrovato, nascosto sotto un mobile in disuso, un altro borsone pieno di pietre, bastoni e tubi di ferro, per gli inquirenti il segnale che gli “ospiti” della struttura stessero per dare vita ad un'altra rivolta; siamo alla repressione preventiva, se non proprio allo scenario delle bottiglie molotov lasciate dalla polizia nella scuola Diaz per giusificare la pesante rappresaglia dei giorni del G8 a Genova nel 2001 (*).
Pantelleria, 16 agosto
Un gruppo di immigranti tunisini rinchiusi nel centro di Pantelleria ha appiccato il fuoco a materassi e suppellettili. Le fiamme si sono propagate all'intera struttura e sono intervenuti i vigili del fuoco. Ottanta persone sono state "fatte uscire" dalla struttura da carabinieri e guardia di finanza, alcune fortunatamente sono invece riuscite a fuggire e non sono state ancora ritrovate. Due episodi simili si erano verificati a luglio e all'inizio di agosto.
Cagliari, 21 agosto
Nel Centro di Prima Accoglienza (Cpa) di Elmas, c'è stato un tentativo di fuga di massa nella notte. A quanto pare la scintilla che ha fatto scoppiare la sommossa è stato il rifiuto di ricoverare tre ragazzi che avevano bevuto dello shampoo. La polizia li ha fatti medicare all'interno del Centro perchè aveva paura che scappassero dall'ospedale, proprio come avevano fatto la mattina altri due. Di fronte al rifiuto di ricoverare i ragazzi, tutti i 60 reclusi del Centro hanno cercato di sfondare i cancelli per scappare. Purtroppo la polizia è riuscita a fermarli, e nessuno è riuscito a guadagnarsi la libertà.
Torino, 19 agosto
"Noi da qua non scendiamo. L'altra sera la polizia ci ha sparato i lacrimogeni". È una torrida domenica di agosto, ancora più torrida per i reclusi del Cie di corso Brunelleschi che nella notte sono saliti sul tetto delle aree bianca e blu. Chi parla è un immigrato appollaiato lassù, che spera che i microfoni di radio Blackout possano rompere il muro di silenzio e indifferenza che stringe le maglie delle gabbie che rinchiudono le vite dei “senza carte”.
Tutto comincia venerdì 19 agosto. Nella notte scoppia una rivolta che investe diverse aree del Cie: vanno a fuoco materassi e suppellettili, un ragazzo si taglia, un altro cerca di impiccarsi. I poliziotti rifiutano di far arrivare le ambulanze e assediano le gabbie. Poi entrano nelle aree ribelli colpendo con i manganelli e gli spray urticanti, impiegando anche i cani. Alcuni ragazzi vengono feriti. Poi cala una calma tesa, tra le minacce degli uomini in divisa e la rabbia dei prigionieri. La mattina dopo la protesta riprende: sciopero della fame e battiture. Nella notte molti decidono di salire sui tetti. Alcuni antirazzisti fanno un piccolo presidio solidale in serata. Un secondo presidio notturno viene disperso dalla polizia, tra le proteste e le urla degli immigrati sul tetto. Due donne vengono fermate, trattenute a lungo in questura e rilasciate con un bel pacchetto di denunce. Il solito gruppetto di residenti incarogniti urla contro chi è abbastanza umano da non tollerare che nella loro città vi sia una galera per chi è nato povero.
Domenica 21 nuovo presidio solidale al Cie. Un compagno si guadagna subito un soggiorno di tre ore al commissariato di corso Tirreno per aver provato senza successo a lanciare bottigliette d'acqua agli immigrati sul tetto della sezione blu, quella più vicina alla strada. Dal tetto arriva un messaggio in una bottiglia di plastica: "aiuto e libertà". Alcuni residenti si avvicinano e comincia un dialogo meno incarognito del solito.
Trapani, 22 agosto
Nel nuovo Cie di Milo gestito dalla cooperativa “Insieme” del consorzio “Connecting People”, c'è casino più o meno tutte le sere. Spesso i reclusi si lanciano in massa contro i cancelli del Centro e la polizia è costretta a caricare anche usando i lacrimogeni. Nella confusione, qualcuno riesce quasi sempre a scappare: un ragazzo il 22 agosto, cinque ragazzi un paio di giorni prima. Per prevenire le fughe, in attesa di rinforzi, la polizia ha sequestrato i lacci e tagliato le scarpe ai reclusi.
Bologna, 24 agosto
Donne in rivolta al Cie di via Mattei. Protestano contro la nuova legge che ha esteso a 18 mesi il limite massimo della detenzione nei Cie. La protesta sarebbe iniziata da uno sciopero della fame indetto all'ora di pranzo, quando un gruppo di nigeriane avrebbe rifiutato il cibo chiedendo la libertà. Per reprimere le proteste - pare che siano anche stati incendiati dei materassi e una quindicina di agenti delle forze dell'ordine hanno fatto irruzione nell'area femminile del Cie. Negli scontri sarebbero rimaste ferite tre recluse. Una ragazza marocchina, colpita da una manganellata alla mano, una cinese colpita alla gamba e una nigeriana che sarebbe quella ad aver ricevuto più percosse. La cinese e la marocchina sono state medicate in infermeria, mentre la ragazza nigeriana, Suzan, è stata portata via dal Cie. Non si capisce ancora se l'hanno trasferita in ospedale per un ricovero o se invece l'abbiano portata in questura per l'arresto. Alle tre del pomeriggio, quando abbiamo avuto la notizia, le ragazze del Cie erano ancora sotto shock per l'aggressione fisica effettuata ai loro danni dagli agenti, e gridavano chiedendo aiuto. La “Misericordia” di Modena, che gestisce il Cie di Bologna, ovviamente ha smentito che vi siano state violenze.
Roma, 27 agosto Nuova evasione di massa dal Cie di Roma Ponte Galeria, la terza in tre settimane.
Il Centro della capitale, gestito dalla cooperativa “Auxilium”, è il più grande in Italia con i suoi oltre 300 posti e sembra diventato un vero e proprio colabrodo. Per anni tutti i reclusi che erano passati dalla struttura avevano detto che da lì era impossibile scappare ma evidentemente nulla è impossibile. Agli inizi di agosto erano riusciti a scappare in trenta, la scorsa settimana più di venti, ma negli ultimi giorni il Centro si era di nuovo riempito con l'arrivo di uomini e donne sbarcati a Lampedusa nelle scorse settimane. Quella di ieri sera ha tutta l'aria di essere stata un evasione da record: più di cento reclusi sono riusciti ad evadere e sono finalmente liberi.
Bari, 29 agosto
Alle cinque del mattino sono saliti sul tetto, si sono calati giù con una corda e hanno cominciato a correre. Ventisei magrebini sono stati subito bloccati prima che potessero allontanarsi. Altri due tunisini invece, nel salto dell'alta recinzione, si sono fratturati le caviglie e non sono riusciti a correre. All'appello mancavano solo due tunisini. La loro fuga purtroppo è durata poco. I migranti sono stati rincorsi e presi a pochi metri di distanza. La rivolta è stata così sedata e i ribelli sono stati fatti rientrare nei moduli. Per i quattro tunisini sono scattate le manette. Sono stati arrestati con l'accusa di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale durante la tentata fuga.
Brindisi, 29 agosto Tentata fuga di massa dal Cie di Restinco. Erano le 16.30 quando, in massa - secondo quanto si è saputo - gli immigrati hanno sfondato il cancello che li separa dal Cara, il Centro di accoglienza richiedenti asilo, per poi tentare la fuga da lì. Immediatamente, però, è scattato l'allarme e sul posto sono intervenuti polizia e carabinieri. In sei sono riusciti a scappare, 20 sono stati bloccati quando erano ancora nel Cara, mentre con la restante parte è stata avviata una trattativa che è andata avanti sino alle 20.30, quando gli immigrati sono rientrati.
Milano, 30 agosto
In serata una trentina di prigionieri del Cie di via Corelli a Milano hanno tentato un'evasione di massa, arrampicandosi chi sui tetti chi sulle reti della struttura. Nonostante la loro determinazione, però, la fuga è fallita e tutti sono dovuti rientrare nelle camerate prima ancora che la polizia intervenisse con la forza. In tre o quattro si sono feriti, ma a quanto pare non si tratterebbe di nulla di grave.
Lampedusa, 31 agosto
Tunisini in rivolta al Centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa. A partire dal tardo pomeriggio di lunedì, oltre 200 persone hanno protestato contro i rimpatri, urlando in coro "Libertà, libertà". In serata, poi, gli stessi hanno oltrepassato le sbarre del Cie, cercando di raggiungere il centro dell'isola. Le forze dell'ordine, intervenute sul posto in massa, hanno però dirottato la manifestazione verso il molo Favaloro, dove normalmente avvengono gli sbarchi dalle carrette del mare soccorse dalla Guardia Costiera. Lì i tunisini hanno bloccato la strada ed hanno continuato a protestare per diverse ore. Solo in tarda serata il corteo è stato indirizzato nuovamente verso il Cie di contrada Imbriacola, dove si sono registrati alcuni scontri tra immigrati e forze dell'ordine. La situazione è tornata alla normalità solo nella mattinata.
Milano, 4 settembre
Nella tarda serata di sabato una quarantina di reclusi del Cie di Milano ha nuovamente tentato la fuga. Verso le 23 si sono arrampicati sui tetti e sulle recinzioni ma le guardie si sono subito accorte del tentativo di evasione. Alcuni ragazzi sono stati picchiati dalla polizia e anche da qualche crocerossino particolarmente zelante. A quanto pare, ma si tratta di una notizia ancora da verificare, un ragazzo è riuscito a farcela e ora potrebbe essere finalmente libero. Per rappresaglia, alle 2 di notte, la polizia è entrata nelle sezioni e mentre perquisivano le celle le guardie hanno nuovamente malmenato alcuni reclusi. Anche questa volta, come pochi giorni fa, a tentare la fuga sono stati i ragazzi tunisini recentemente trasferiti da Lampedusa. Per far posto ai nuovi arrivati, che finora si sono dimostrati battaglieri e determinati, nel Centro milanese è stata completamente svuotata la sezione riservata ai reclusi transessuali, che sono stati tutti liberati.
Estratti liberamente dalle seguenti fonti: proletaricomunisti.blogspot.com - senzafrontiere.noblogs.org - www.autistici.org/macerie - fortresseurope.blogspot.com
Milano, settembre 2011
Lettera dal carcere di Nuoro
Carissimi compagni e compagne prigionieri/e nei cattiveri della cupolanazimafioplutocratica della Res Pubica italiota, sono del parere che le azioni di protesta in atto in alcune prigioni contro le vergognose nazicondizioni detentive, il sovraffollamento e la richiesta di un'amnistia, siano piuttosto insufficienti, non incisive e, temo, strumentalizzabili (come sempre…) da chi sta già pensando di portare apposta al collasso il sistema penale e penitenziario per ottenere un'amnistia, facendola passare come una necessità imposta dall'evidente e improcrastinabile status quo della giustizia e del sistema penitenziario.
Un'amnistia che fondamentalmente servirà a salvare il deretano a tutti quei colletti bianchi sotto processo in centinaia di procedimenti giudiziari per reati gravissimi, di cui da tempo, l'embedded media non ne parlano più, distraendo invece il dipendente popolo di necropornofilia, con la solita cronaca sui casi "alla Cogne", a cui i telegiornali dedicano ampio spazio, solo i pochi secondi dedicati ai genocidi in atto nel mondo, per mano degli "esportatori di democrazia", notiziati come breve e semplice aggiornamento statistico e lungi dall'ipocrita umana pietas dedicata alle Sara, Yara, Patrizia e altre singole vittime della assassina perversione imperante nella bella e cristiana Italia.
Facciamo attenzione a non lasciarci usare! Occorre rivendicare un'amnistia per tutti coloro che sono vittime di quel bipolare potere criminogeno al governo, torturatore! Ladro e produttore consapevole di devianza! Nonché vera delinquenza associata! E processi reali, con certezza sulla pena, per i plutocrati e i loro compari, rei della rapina dei beni del popolo sovrano e della corrotta dittatura della finta democrazia, imposta con repressione sbirresca.
Nessuna amnistia per il bipolare circolo di ladri e cratolati al governo! Né per la i vampiri bankieri né tanto meno per lacchè, ruffiani e magnaccia di questo illegittimo finto sistema democratico di un rapinata Res Pubica in mano all'oligarchia!
Sì, all'amnistia riparatrice per gli ingiusti processi confessati dal ministero dell'ingiustizia nel 2001 con la riforma penale, mai applicata al proletariato, chiamata giusto processo.
Sì, all'amnistia, per l'indegna condizione di detenzione nelle cloache del regime.
La lotta nelle carceri e fuori le mura deve avere voce ed efficacia… pertanto è necessario condurla determinatamente uniti ad oltranza con le seguenti azioni:
1) sciopero della fame;
2) battitura notturna;
3) chiusura di tutti i lavoranti;
4) non acquistare alcun prodotto e anzi tenere vuoti i conti correnti in modo da impedire che l'economia dei penitenziari utilizzi il nostro contante;
5) rinunciare al proprio vestiario e pretendere che lo stato pensi a vestirci di tutto punto e a lavarci i panni sporchi in modo da costringerlo ad ulteriore spesa, che per 70mila detenuti non sarebbe poca.
Per le stesse ragioni, e perché è giusto, pretendere l'acqua potabile, che oggi solitamente acquistiamo a proprie spese. Stessa cosa per i prodotti per l'igiene personale e per la cella.
6) Pretendere il francobollo settimanale previsto dal regolamento (altri 2 milioni e passa di euro che lo stato dovrebbe spendere…);
Per i detenuti in attesa di giudizio:
1) congedare tutti gli avvocati;
2) disertare le aule dei tribunali;
3) dichiararsi vittime prigioniere di regime nazisbirresco;
4) contribuire, esternandole con pochi euro, ad una cassa comune per ingaggiare un avvocato che presenti una denuncia collettiva alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo contro la custodia cautelare preventiva, contro la tortura nelle carceri italiane e contro la violazione sistematica delle leggi e delle garanzie di difesa processuali già dettate invano dalla Corte Europea.
Per tutti i parenti e familiari oltre le mura
1) Denunce collettive contro il ministro dell'ingiustizia e i direttori delle prigioni per i maltrattamenti psicofisici che subiscono per poter visitare i propri cari;
2) sit-in di protesta davanti alle carceri a ai tribunali;
3) denunce collettive da parte dei familiari contro l'inagibilità delle carceri da presentare al sindaco e alla procura della repubblica di ogni paese ove vi è un carcere tale fda essere chiuso.
Questo è quanto si può e si deve iniziare a fare, se veramente si vuole cambiare qualcosa di questo sistema di cui tutti ci lamentiamo, subendolo passivamente.
Adelante dunque e senza paura! Un abbraccio speciale a tutti i compagni combattenti prigionieri. Hasta la victoria siempre!
2 agosto 2011
Giuseppe Fontana, via Badu 'e Carros 1 - 08100 Nuoro
Lettera dal carcere di S. Remo (IM)
Sono contentissimo che abbiate pubblicato la mia lettera. La cosa basilare, che nella missiva precedente, mi sono dimenticato di dirvi, è che qui, nel carcere di San Remo, nel mese di giugno del 2004, sono stato percosso dagli agenti di custodia, a tal punto, che codesti mi provocarono 29 giorni di prognosi. In un trasferimento presso un altro carcere, il quale non se la sentì di prendermi in consegna in tali condizioni, senza nessun referto medico, l'azione compiuta nei miei riguardi, si tramutò in una denuncia contro il carcere di S. Remo, per lesioni gravi. Fortunatamente, quella causa la vinsi presso il tribunale di S. Remo, il quale ha condannato la direzione del carcere di S. Remo a pagarmi i danni. Purtroppo a tuttora non ho ricevuto nessun risarcimento. Credetemi, se vi dico come posso essere "agevolato" nel ritrovarmi in questo luogo di tortura.
Ho letto la lettera di Fabio dal carcere medioevale di Savona. Tutto ciò che ha scritto è vero, lo dico perché l'ho visto con i miei occhi. Però si è dimenticato di scrivere che lì a Savona i gabinetti hanno la turca, quando non si usa, bisogna inserire bel buco una bottiglia da 1,5 litri, perché se no i grossi ratti escono e si mettono a girare per la cella; cosa meravigliosa, no? Ci credete che a Savona riescono a curarti con una sola aspirina. Forse avranno delle aspirine magiche.
Inoltre, voglio aggiungere che la maggior parte degli agenti di custodia, in generale, è esaltata. Forse pensano di essere su un set di qualche film americano, tipo: Sorvegliato speciale, Miglio verde, Le ali della libertà. Come me e il mio compagno di cella non è tutelato, aggiungo, neanche il cittadino italiano che non ha problemi di giustizia.
Vi dico questo perché gli assistenti sociali del carcere e dei comuni di S. Remo, Vado Ligure e Savona, quando ci rivolgiamo loro, si vede dal loro modo di pensare e parlare, che gli rechiamo disturbo. Posso farvi una domanda? Ma codesti, non sono stipendiati dallo stato per cercare di aiutarci, tramite un lavoro che, come ben si sa, gli reca uno stipendio? Con la somma di quello stipendio, una persona appena uscita di galera si trova un alloggio; senza dover dormire sotto i ponti, come succede a tanti che escono dal carcere. Bisogna ringraziare anche costoro se in Italia c'è molta recidiva nel commettere i reati.
Arrivato a 41 anni ho notato che chi ricopre ruoli quali: educatore, psicologo, assistente sociale, sia in carcere che fuori, non è che non vuole lavorare, ma bensì ne ha paura, perché, lavorando, interromperebbero questa "catena di S. Antonio". Perché noi, per loro, siamo lavoro. Cosa succederebbe se in Italia si riducessero i reati? Penso che ci sarebbe molto meno lavoro per codeste persone ciniche.
Vi lascio con la penna, ma non il cuore… con affetto Adriano
Adriano Levratto, via Valle Armea, 144 - 18038 - S. Remo (Imperia)
Lettera dal carcere di Cagliari
Cari compagni, sono un ragazzo senegalese, detenuto nel carcere di Buoncammino a Cagliari. Sono perfettamente integrato nella vostra cultura e vi scrivo questa lettera per raccontarvi le mie vicissitudini e le ingiustizie da me subite da parte dei servi dello stato!
Sono stato condannato a più di due anni di carcere per non aver fatto niente di illegale! Mi spiego meglio. Un sabato notte, quasi all'alba di domenica, dovevo entrare in un bagno pubblico della stazione di Cagliari, essendo presente davanti a me una guardia giurata, educatamente le chiesi se era libero il bagno per poter entrare a fare i miei bisogni fisiologici, lui mi rispose che era occupato; ho aspettato circa mezzora, ma dai bagni non usciva nessuno, allora per il mio impellente bisogno di andare in bagno, entrai dentro, bussai alla porta della toilette e non ebbi nessuna risposta dall'interno! Entrai e feci ciò che dovevo fare!
All'uscita vidi la guardia camminare speditamente allontanandosi da me, lo raggiunsi,sempre con educazione gli chiesi del perché del suo comportamento anomalo nei miei confronti, ma non mi dette nessuna risposta! Dopo circa due minuti arrivarono i carabinieri avvisati da quest'ultimo, mi sorpresi nel vederli! Scesero dalla macchina, confabularono con la guardia e poi mi misero le manette ai polsi! Lui disse loro che io l'avrei minacciato e poi rincorso per rapinarlo della pistola d'ordinanza. Tutte bugie.
Mi portarono in tribunale e senza potermi difendere (anche se avevo l'avvocato d'ufficio ) e non tennero conto delle mie accese rimostranze per la mia innocenza. Sapete cos'hanno fatto? Mi hanno condannato per tentata rapina e oltraggio alla Corte, e mi hanno condannato a 2 anni e 10 mesi di galera, che tuttora sconto con lo stato d'animo che solo voi potete capire!
Ho avuto due avvocati, ma non sono stato difeso come era necessario. La prima, un avvocato donna, mi disse che ero pericoloso, la mandai via dopo essermi sentito apostrofare in quel modo! Il secondo, invece ha fatto finta di impegnarsi nel difendermi,illudendomi che sarei uscito presto, poi ho saputo che è un bastardo razzista. Nel tempo di un anno è venuto trovarmi solo tre volte, senza concludere niente.
Ora la mia odissea continua, voglio cambiare avvocato e far valere una volta per tutte le mie ragioni, contro uno stato giustizialista e velatamente razzista. Premetto che non ho mai potuto fare un colloquio nell'arco della carcerazione e che sono sostenuto solo dai miei compagni di cella. Ora chiedo a voi: è giusto buttare in galera un cittadino che non ha commesso alcun crimine? E senza dargli nessuna attenuante, poiché all'epoca era incensurato? Lascio a voi il giudizio. Ma non mollerò e non mi piegherò mai agli uomini in divisa e ai giudici che vogliono far carriera sulla pelle degli innocenti!
Lottiamo sempre contro di loro!!
31 agosto 2011
Pape Moussa Ndao, viale Buoncammino, 19 - 09123 Cagliari
lettera dal carcere di asti
Ciao, mi hai scritto di raccontarti come si sta qui: che dirti, non funziona niente. Nonostante la struttura sia abbastanza recente, i locali sono tenuti male, i muri necessitano ristrutturazione, soprattutto quelli delle celle. Per non parlare delle docce. Naturalmente gli unici locali tenuti alla perfezione e verniciati sono quelli dei sovraintendenti, ispettori e quant'altro. Nemmeno quelli adibiti ai colloqui con i familiari. Il carcere é sovraffollato e le celle sono quasi tutte ormai da 3, complice la ordinanza europea che ha contato i metri cubi, dicendo che c'é spazio, ma non ha contato che la superficie non é tutta abitabile, se si contano le brande, gli armadi, il bagno. Non ci si può muovere se si sta tutti in piedi, nel vero senso della parola. Il cibo passa regolarmente, é mangiabile, ma a volte alcune cose scarseggiano.
Educatori, Psicologi e quant'altro é un miracolo vederli e se uno non ha soldi, non trova, se non grazie a qualche amico, nemmeno la carta igienica o il detersivo. C'é una carenza assurda di personale, anche sanitario.In pratica la situazione é critica. Spero davvero di riuscire ad uscire presto.
Quarto Inferiore (Asti), 4 settembre 2011
Lettere dal carcere di Prato
Carissimi/e compagni/e, ho ricevuto l'opuscolo (del mese di luglio) che come sempre stimola la mia vena poetica per raccontare a voi, a chi legge lo legge, le perle che costellano il carcere di Prato. Per i lettori non-detenuti, tengo a precisare che la mia non è una lettera di lamentele, di vana richiesta d'aiuto, che cerca di spronare le coscienze delle persone. Sono cosciente che non sono qui per essere aiutato e che non bisogna commettere crimini per poi essere aiutati. Sono anni che vivo nelle patrie galere. Ho vissuto la situazione del pre-indulto e quella del dopo-indulto del 2006.
Quel che nelle loro lettere dicono i detenuti delle altre carceri, vale anche per il carcere di Prato, anch'esso è al collasso. In una cella costruita per una persona viviamo in tre (a volte in quattro); e in una sezione costruita per 25 persone, viviamo in 75.
Per effetto del sovraffollamento e della carenza di cani da guardia, siamo chiusi dentro le celle 20 ore su 24; e in quelle quattro ore (che poi diventano tre per effetto della mala-organizzazione e lentezza dei nostri aguzzini) di apertura dobbiamo fare la doccia in un locale dove funzionano solo tre docce su cinque. Scrivo “dobbiamo” perché in quelle quattro ore abbiamo la possibilità di andare in palestra, ai cortili dei passeggi oppure al campo sportivo; in quest'ultimo si accede solo se c'è la disponibilità degli aguzzini.
E cosa dire dei colloqui con i propri cari? Un vero e proprio calvario, ore d'attesa per incontrarli. Il regolamento interno prevede che il detenuto deve essere accompagnato dai custodi durante il tragitto cella-sala colloqui: e anche qui subentra la carenza di personale, da cui i ritardi che rendono infinito il calvario dei nostri cari e il nostro.
E cosa dire del tanto decantato diritto alla salute? E' tra le ultime priorità dell'amministrazione. Passa il carrello della terapia, ma l'unica cosa che passa è la bustina. Per qualsiasi cosa, per qualsiasi dolore ti viene data la bustina. Le visite mediche che dovrebbero essere fatte ogni mattina, le fanno due volte al mese - sempre che ci sia il medico. Nel caso tu ti senta male durante la notte e la mattina successiva non è il turno della tua sezione per le visite mediche, devi aspettare. E per le visite specialistiche devi aspettare anni. Basta sapere che, per operare l'ernia inguinale un detenuto anziano ha dovuto sopportare un anno di dolori. Per non parlare del dentista. Impossibilitato, anche volendo lavorare bene, in quanto lo stato non gli dà gli strumenti. Quando ero in libertà ho otturato due denti dal mio dentista, nel 1998. Qui in carcere, durante questi 10 anni di prigionia, mi sono stati otturati tre denti in tre volte ciascuno; per poi toglierli perché nel frattempo si erano danneggiati, mentre quelli otturati fuori ce li ho ancora.
Ma forse meglio evitarvi sgradevoli racconti di denti, ernie, malattie e così passare a raccontarvi dei nostri educatori. Coloro che, sulla carta, ci dovrebbero reinserire all'interno della società. Assieme a psicologi ed assistenti sociali, nonché guardie e volontari, dovrebbero analizzare se le nostre intenzioni di un coerente reinserimento all'interno della società sono serie e affidabili per passarle al vaglio del magistrato di sorveglianza, il quale valuta se il delinquente è recuperato e può essere rimesso in società oppure se è ancora un potenziale criminale da tenere dentro.
E qui subentra quella che i studiosi hanno definito la "sindrome del 27". Purtroppo nel carcere di Prato tanti, per non dire tutti, soffrono questa sindrome. Di fatto, personalmente, li chiamo papponi. Gente che non vuole mettere in discussione il proprio stipendio nonostante sia chiamata in causa a prendersi delle responsabilità. Ma la cosa più eclatante, che dà molto fastidio, è che si considerano operatori sociali, persone che lavorano per il benessere sociale e per il sociale. Quando qui dentro c'è solo sofferenza, malessere che, anziché alleviarlo, sono in prima linea a causarlo, proprio loro.
Nel 2006 per effetto dell'indulto uscirono 26 mila persone: cosa ci facevano in galera 26 mila persone quando la legge prevede l'ammissione in affidamento ai servizi sociali per un recluso con un residuo di pena non superiore a tre anni? Ora riparlano di amnistia e indulto! Non è che qualcuno ci ha scambiati per la spazzatura di Napoli? Che, prima va ammucchiata sulle strade, poi, mentre se ne discute la soluzione, guai a chi va con i camion a toglierla. Voglio illudermi, anche se sono convinto che è così, lascio la mia domanda in sospeso e voglio tornare al tangibile, lasciando a altri le teorie che sinceramente mandano in confusione pure me.
Le carceri italiane, e il carcere di Prato, sono dei contenitori dove buttar dentro tutti coloro che i ricchi e i papponi statali rifiutano. In più, come pena accessoria , non scritta sulla sentenza, abbiamo l'umiliazione, il calpestamento della dignità e il totale annullamento della persona. In più, a fine pena, vieni chiamato dall'educatore oppure dallo psicologo, che magari non hai mai visti prima, che ti minacciano con testuali parole: "Non delinquere più perché tornerai qui dentro"!
Penso e vedo lo scempio umano che mi circonda e osserva. Dentro di me sostengo che è troppo facile commettere dei crimini per poi venire qui dentro e buttarsi in un poetico piagnisteo. Ma umiliare e calpestare la dignità di coloro che, a prescindere dal motivo per cui sono finiti qui dentro, hanno il diritto di essere trattati con umanità, è ingiusto. A proposito di diritti, qui a Prato sono un optional! Un saluto a voi e un saluto ai prigionieri nel mondo. A testa alta, fino alla fine.
11 agosto 2011
Krepi Mirgen, v. La Montagnola, 76 - 59100 Prato
***
Salve compagni, inizio questa mia lettera non prima di mandarvi un grandissimo abbraccio a tutti voi, a tutti/e i/le detenuti/e chiuse/i in questi campi di concentramento.
Qui a Prato le cose non sono cambiate per niente, anzi, ogni giorno va peggiorando; ora non basta manco il mangiare. Sento ogni giorno i detenuti che si lamentano, spesso sento la parola "rivolta", ma quando? Non lo sapremo mai!!! È solo un mistero. Non è che non può scoppiare una rivolta, ma tanti hanno un piatto, anzi, mezzo piatto, da mangiare, poi prendono la terapia e non li senti più per 24 ore. Ci sono anche persone in grado di farla, ma anche loro hanno paura di rimanere abbandonati e senza appoggio in una lotta per la nostra dignità; e di trovarsi con un 14-bis in isolamento e delusi.
Io ho sempre pensato che questi campi di concentramento devono essere combattuti dall'interno, ma visto che non si può, non ci rimane che farlo dall'esterno, perché solo allora ci sentiremo sicuri di noi, soprattutto uniti, che è la cosa più importante.
Voglio dire a tutti i detenuti che sono chiusi nelle galere che, se noi ci troviamo qui è solo colpa dello Stato, perché loro sono quelli che decidono il nostro futuro. E se ognuno di noi diventa un criminale è perché lo stato lo ha deciso. Questo stato lo vedo come il telecomando mentre i cittadini sono i televisori. Tutti cerchiamo di nasconderci, sperando che il laser non arrivi, o cerchiamo di distruggere quel telecomando maledetto. Ma se pensiamo bene basterebbe togliere solo le pile, così la nostra dignità e libertà non avranno prezzo.
Voglio mandare un messaggio anche a Adriano Levratto del carcere di S. Remo (Imperia) che dice: i ragazzi che escono non sanno come fare trovare un posto di lavoro oppure dove dormire e mangiare. Penso che la cosa più importante è che sei libero, libero di volare; e non più dentro. Dovrai solo unirti a tutti noi e vedrai che non ti mancherà nulla. Un grande abbraccio da Marius, facci sapere quando esci.
Presto vi manderò un po' di materiale che è stato mandato a tutte le cariche di questo stato (invisibile), incluso il capo dello stato, e ai giornali. Così la gente si renderà conto che siamo tornati nel passato, quando esistevano i campi di concentramento, perché qui dentro per essere un po' libero devi fare il volontario, lavorare gratis, così si avvera che "il lavoro rende liberi". Ho incontrato un ragazzo condannato senza scrupoli ad un anno e mezzo per una sola pantofola, non aveva preso nemmeno la seconda; un altro condannato a un anno per una bicicletta; a un altro ancora 8 mesi per due salsicce e una Red Bull.
Le carceri sono piene di tossicodipendenti, malati e spacciatori condannati a 2 anni e 4 mesi per 0,6 di coca, nemmeno un grammo. Tanti entrano sani escono malati, soprattutto di epatite A, B, C. E' una vergogna.
Mi farebbe un grande piacere se pubblicate questa mia lettera, per far capire a tutti che non basta più fare lo sciopero della fame o le battiture. Serve solo tutta la nostra rabbia e le cose si muoveranno in tempo record. Per ora è un mio pensiero, visto che pensare non è un reato. Ma presto ci tolgono anche questo se continuiamo così. Viva l'anarchia.
Ho tante cose da dirvi; è meglio che mi fermo qua, perché non basterebbe un intero quaderno per farvi capire tutta la rabbia di un ragazzo condannato a 4 anni senza aver mai commesso un reato, nemmeno con il pensiero.
Ringrazio tutti voi per l'attenzione verso questa mia lettera. Aspetterò le vostre lettere con un vostro pensiero sulle carceri italiane e non solo. Saluto mio fratello e tutti i miei compagni. Il vostro compagno Marius.
19 agosto 2011
Juravlea Marius Iomut, v. La Montagnola, 76 - 58100 Prato
Resoconto del presidio sotto il carcere di Prato del 10 settembre
Sull'onda della corrispondenza sviluppata con i prigionieri e successivamente al presidio al carcere di Prato del 2 luglio scorso e di alcuni contatti precedenti, sabato 10 settembre una cinquantina di persone solidali, provenienti da Roma, Milano, soprattutto da Prato e Firenze, è tornata a "incontrarsi" con i prigionieri.
Il presidio comunicato nelle settimane precedenti ai prigionieri è stato certamente diretto e comunicativo. Un botta e risposta durato oltre 5 ore che ha toccato tanti aspetti, dall'amnistia ai saluti per chi stava sposandosi, passando per le comunicazioni sulla situazione nella Val di Susa, sulla rivolta scoppiata quella sera stessa nel CIE di via Corelli a Milano, sullo sciopero generale del 6 settembre, sui recentissimi "suicidi" nel carcere di Opera nascosti all'opinione pubblica, fino alla diretta di un compagno, passato per quel carcere, ora ai domiciliari.
E' stata insomma una serata, costellata anche da fuochi d'artificio, in cui sono stati coltivati e rafforzati i rapporti fra interno e esterno; in cui gli ostacoli alla discussione posti dall'isolamento, dalla censura sono saltati. Per esempio, ora è abbastanza chiaro a tutte e tutti quanti si era lì, che l'amnistia in quanto concessa dallo stato, aprendo attese che paralizzano la coscienza, l'iniziativa, soprattutto delle persone ora in carcere, va respinta.
Di tutto hanno bisogno le persone in carcere, meno che di farsi strappare ulteriori parti della loro identità, intelligenza, autonomia. La lotta contro il carcere, contro questo avamposto della violenza dello stato, che si contrappone allo sfruttamento, alla guerra dei padroni, della Nato, ne risulterebbe ulteriormente minata. Ci siamo salutati, ripetendoci di vederci presto, soprattutto approfondendo con la continuità il rapporto via lettera.
Milano, settembre 2011
Da alcune lettere dal carcere di Opera (mi)
Ciao a tutti/e, il 19 agosto alle 3 di notte è stato trovato impiccato nella sua cella un ragazzo moldavo. E' morto! Si trovava ubicato nella sezione comuni,anch'io ero lì, la guardia correva in cerca delle chiavi per aprire la cella. Una loro disposizione dice che la notte non possono tenere le chiavi, che devono invece stare chiuse lontano dalle sezioni.
Quel ragazzo era emarginato, era seguito da una psichiatra perfida. Ricordo che quando lo salutavo mi sorrideva con i suoi occhi azzurri;continuava a dire di essere innocente.
Adesso mi trovo di nuovo in cella di isolamento […].
Saluti ribelli a tutti/e. Con l'anarchia sempre nel cuore, William.
25 agosto2011
William Pilato, via Camporgnago, 40 - 20090 Opera (Milano)
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Ciao carissimi […] Qui non è cambiato niente. 20 giorni fa si è impiccato un albanese. Un altro è morto per un tumore. Due risono dati fuoco,(niente di grave). […]
28 agosto 2011
monza: Di carcere si muore
Lo scorso 16 luglio Redouane Messaoudi è morto nel carcere di Monza. E’ già il secondo detenuto che muore quest’anno nel carcere della nostra città in condizioni da accertare, ma nessuno - né mezzi di comunicazione, né opinione pubblica locali - ne parla.
Messaoudi era in carcere in attesa del processo. Lo Stato non sapeva ancora se era colpevole o innocente ma aveva deciso di rinchiuderlo lo stesso, preventivamente. Questo accade in un carcere, quale quello monzese, in cui il sovraffollamento è la norma e il disagio dei detenuti si manifesta sempre più spesso con atti di autolesionismo e tentati suicidi.
Sono 840, dei quali il 45% stranieri, i detenuti presenti dietro le mura della casa circondariale monzese a fronte di una capienza regolamentare di 405 detenuti. Nel 2011 si sono verificati 7 tentati suicidi e 16 atti di autolesionismo, a cui si aggiungono i due casi di morte da accertare di cui l'ultimo è quello di Messaoudi.
Messaoudi era diabetico e con un curriculum psichiatrico di tutto rispetto ma nonostante ciò, nella comunicazione dal carcere, si fa riferimento al suo rifiuto di assumere l’insulina come possibile causa di morte. Secondo il suo avvocato, il giorno precedente al decesso, avrebbe rifiutato per due volte la somministrazione dell’insulina, ma nemmeno lui in qualità di suo legale ha potuto assistere all’autopsia.
Il fatto che fosse un malato diabetico e psichiatrico, più volte “ristretto” in ROP e OPG vari, lasciato morire senza un’adeguato supporto medico e psicologico, fa nascere degli interrogativi sulla legittimità della sua detenzione.
Un’altra morte di carcere troppo agghiacciante per non essere urlata, eppure, come sempre, dalle mura del carcere monzese non esce nulla.
Lontano dagli interessi delle istituzioni e dagli occhi della cittadinanza, si continua a morire. E’ una vera e propria emergenza sociale creata e fomentata dalle politiche sempre più repressive e liberticide portate avanti negli ultimi anni, che colpiscono in particolare piccoli consumatori di stupefacenti e immigrati. Quasi sempre a finire in carcere e a morirci sono i figli e le figlie dei quartieri più poveri, delle classi socialmente deboli ed emarginate che spesso fuori ad attenderli non hanno nessuno. E’ giunta l’ora di dire basta. Non lasciamo che anche Messaoudi venga sepolto senza che siano individuate omissioni e responsabilità, coperte dal complice silenzio della città indifferente.
Le morti in carcere sono la manifestazione e la conseguenza più tragica delle terribili condizioni in cui le decine di migliaia di persone detenute, sono costrette a vivere: strutture fatiscenti, condizioni igienico-sanitarie disastrose e sovraffollamento sono all’ordine del giorno nelle carceri italiane. Se le carceri sono cosí sovraffollate, non sará forse che lo Stato incarcera troppo e troppo spesso?
L’aggravarsi della crisi, che ormai è la norma di questo sistema, e la criminalizzazione di comportamenti considerati “devianti” portano sempre più persone a scoprire la faccia feroce di questa società: quella di uno stato che risponde con la repressione a ogni manifestazione di dissenso sociale e che crea le condizioni per incarcerare indiscriminatamente la parte meno garantita della popolazione.
Il problema della repressione e delle morti di carcere, non è un problema personale: è prima di tutto un problema politico e sociale su cui tutti sono chiamati a prendere posizione ed a mobilitarsi.
CordaTesa, settembre 2011
Info e contatti: cordatesamonza@autistici.org - cordatesa.noblogs.org
Per scriverci: CordaTesa Via Casati, 31 - 20043 Arcore (MB)
Lettera dalla casa di lavoro di Castelfranco Emilia (mo)
Carissimi, ciao, mi fa piacere che abbiate pensato di dare informazione sull'amnistia, che, per carità, sarà pure d'utilità per quei pochi che hanno commesso un reato minore, ma che appunto, come avete sottolineato, non servirà a sfoltire il grave sovraffollamento nel quale conviviamo. L'indulto, certamente, servirebbe di più questo scopo e alcune migliaia di detenuti ne potrebbero usufruire. Non dimentichiamo mai che comunque ci sono anche quelli che non ne usufruiranno (ed è già anche questa un'ingiustizia), che sono quelli condannati per reati più gravi, oltre a quelli sotto misure di sicurezza, ritenuti socialmente pericolosi.
Un atto di clemenza vero e sotto il profilo del beneficio, unito all'amnistia per decongestionare armadi e scaffali dei palazzi di giustizia, servirebbe davvero. E' un decreto di "sanatoria", come avviene in tante altre nazioni. Un provvedimento di cinque anni basterebbe già a dimezzare il sovraffollamento e il mare di procedimenti in attesa di essere discussi; e che, tra l'altro, non sarebbe revocabile come invece può avvenire per condoni e indulti.
Fortunatamente chi sta chiedendo l'amnistia indica che vi è anche bisogno di una riforma sull'esecuzione delle pene, sulle misure alternative e sull'ordinamento penitenziario. Ma anche questa sarà solo una boccata di respiro. Dobbiamo invece lottare affinché si attivino politiche che possano, con mezzi e personale, attivare servizi e aiuti sociali per quelli che escono dalle galere, offrendo loro aiuti economici per i primi tempi (da 6 a 12 mesi almeno) e che forniscano occasioni di lavoro e impiego e domicili. Questo fanno in Europa, cito come esempi, Germania e Regno Unito. Componendo magari un direttivo formato da detenuti ex e non, insieme a responsabili di strutture di volontariato, che due o tre volte l'anno si rechi al ministero con proposte ecc. ecc. Capite cosa intendo?
Potrei tornare a parlarvi di miriadi di cose che non vanno e che comunque più o meno già tutti conoscete. Mi riservo di farlo assieme a voi, coinvolgendovi quando, spero a breve, uscirò! Intendo farlo in maniera che non sia un semplice esporre delle circostanze, ma con nomi e cognomi e strutture, dove l'abuso è ormai diventata un'abitudine e per questo ignorato. Come fine mi pongo, a parte la soddisfazione personale, quello che è l'obiettivo primario, la chiusura di quelle strutture che non permettono il rispetto del diritto dell'uomo e che i responsabili siano sollevati dalle poltrone su cui sono adagiati.
A presto, fraternamente vostro e vicino a tutti quelli che sono vittime di ingiustizia, Orlando.
15 agosto 2011
Falbo Orlando, v. Forte Urbano, 1 - 41013 Castelfranco Emilia (Modena)
da una Lettera dal carcere di Cremona
Un caro saluto a tutti i compagni. […] In questi giorni i media non fanno altro che parlare di amnistia o di leggi che svuotino le carceri, ma personalmente dico di non illudersi, perché anche nel 2009-2010 si parlava di rifare il codice penale, seguito dalla amnistia, ma furono parole al vento. Io sarei dell'idea che in tutte le carceri dovrebbero fare lo sciopero della fame e della sete, con battiture di protesta; ma purtroppo non tutti hanno il fegato di fare ciò. Con questo vi saluto e mando un caloroso abbraccio di amicizia assieme a tutti i compagni e compagne che lottano per noi e a tutti i detenuti di tutte le carceri italiane. Facciamo sentire la nostra voce anche dall'interno, non solo dall'esterno delle mura.
17 agosto 2011
Angelo Margiotto, v. Palosca, 2 - 26100 Cremona
lettera dal carcere di spoleto (pg)
Lettera aperta al Popolo Viola di un ergastolano ostativo
“Occhio per occhio rende il mondo cieco” (Ghandi)
Per “Lettera di un ergastolano al Presidente della Repubblica Napolitano”, in cui si chiedeva di tramutare l’ergastolo senza benefici e senza possibilità di uscire in pena di morte, un amico mi ha scaricato dalla rete alcuni commenti e me li ha mandati per posta, ne riporto alcuni.
“Questa lettera è la dimostrazione che la pena dell’ergastolo è migliore della pena di morte.
L’ergastolo è un ottimo deterrente, migliore della pena di morte. – Se sei all’ergastolo e non sei morto ritieniti fortunato a essere nato nel paese giusto. – E’ giusto che l’ergastolano rimanga in cella senza se e senza ma. – Niente pena di morte, troppo semplice la morte se si vogliono uccidere che lo facciano per i cazzi loro, tanto non è che gli manchi lo scrupolo. – Potevi pensarci prima di fare qualsiasi cosa hai fatto. – Fine pena mai, proprio come i genitori o la moglie o i mariti o i figli o sorella e fratello di qualche morto perché la loro pena non finisce mai. – Se vogliamo risolvere i problemi della giustizia basta introdurre la pena di morte per pedofili, mafiosi, stupratori, e assassini. – Devono scontare la loro pena, stop. Pochi piagnistei potevano pensarci prima. – Che li mandassero a Guantanamo e poi vediamo se hanno ancora il coraggio di lamentarsi visto che agli onesti cittadini costano 250 euro al giorno. – Devi morire in silenzio. Se hai avuto l’ergastolo è perché hai ucciso. E a tutti voi che avete pietà, se dovessero uccidere un vostro familiare, avreste pietà lo stesso?”
Diritto di replica: ricordo ai “buoni” che in Norvegia non esiste l’ergastolo e nei loro carceri, a misura d’uomo, la recidiva è al 20% mentre da noi è al 70% e penso che qualsiasi società ha i criminali che si merita.
Credo che nessun uomo o animale sia irrecuperabile e colpevole per sempre e che un popolo e dei giudici liberi e democratici non toglierebbe mai la libertà per sempre a nessuno.
Penso che molti ergastolani ostativi siano vivi perché non si sono fatti ammazzare dai morti ammazzati, perché molti di loro hanno ammazzato per evitare di essere uccisi.
Credo che dietro i fatti ci sia sempre una verità nascosta e che non interessa a nessuno, perché molti ergastolani ostativi non sono altro che quello che la società ha voluto che fossero e i finti buoni continuano a scaricare le loro colpe sui cattivi.
Ricordo ai “buoni” che nella malavita spesso i morti non sono vittime, per questo i vivi non meriterebbero l’ergastolo ostativo.
Piuttosto lo meriterebbero (ma non sono d’accordo perché non sono ancora diventato un criminale come sanno esserlo solo i “buoni”) i politici corrotti, i corruttori, i pedofili, gli stupratori, gli assassini di donne e bambini, i venditori di armi e dei cibi avariati ecc.
Penso che molti non sanno, o fanno finta di non sapere, che nella grande maggioranza dei casi questi criminali, ricchi, cristiani, incensurati, mafiosi e potenti, non vanno in carcere e se ci vanno vengono condannati con pene lievi, ma mai con l’ergastolo.
E in tutti i casi quelle poche persone che vengono condannate all’ergastolo non è mai quello ostativo ai benefici penitenziari.
Molti di questi commenti parlano della morte di Falcone e Borsellino, ma veramente pensate che li hanno uccisi la mafia?
Ma quale tipo di mafia? E in tutti i casi non lo sapete che moltissimi degli autori della strage sono diventati collaboratori della giustizia e sono liberi?
Vi chiamano, o vi fate chiamare, il “Popolo Viola”, ma io vi chiamerei il “Popolo dell’ignoranza” e non perché siete ignoranti, ma perché ignorate che i mass media, i politici vi prendono per il culo.
Vi confido che i buoni come voi mi hanno sempre fatto paura e se molti italiani la pensano come voi, preferisco stare dove sono.
Però ci tengo a dirvi un’ultima cosa: l’idea che l’uomo “buono” si senta moralmente superiore a quello cattivo e per questo lo può murare vivo in una cella senza la compassione di ucciderlo è aberrante. Buona vendetta.
Carmelo Musumeci, via Maiano 10 - 06049 Spoleto (PG)
LO SFRUTTAMENTO POGGIA SULLA FORZA DEL CARCERE
Per contribuire a far uscire dalla clandestinità le proteste, le lotte di queste settimane nelle carceri, per dar loro forza, unendole alle mobilitazioni fuori, un gruppo di compagne e compagni ha portato nel corteo di Milano, allo sciopero generale del 6 settembre, uno striscione su cui era scritto: "Il carcere non è la soluzione ma parte del problema" e distribuito il volantino che segue, a cui sono stati uniti brani della lettera di Marius da Prato, pubblicata integralmente in un'altra pagina di questo opuscolo.
Ormai, da sempre più tempo nella società in cui viviamo le condizioni generali di vita si stanno aggravando per tutti, aumentando l'abisso fra chi fa dello sfruttamento il proprio motore economico e chi ne subisce le conseguenze,sprofondando nel baratro della miseria e dell'emarginazione.
Governi, aziende e sindacati sanciscono tramite le proprie manovre politiche e finanziarie una situazione che si sta progressivamente delineando come un luogo di prosperità unicamente per i padroni. Da qui ne scaturisce la miseria che ci circonda, da cui non ci rimane altro da fare che ricorrere a svariati espedienti per farvi fronte.
L'estensione sempre più accelerata di queste condizioni si affianca al continuo intervento dello stato in campo repressivo: maggiore controllo territoriale, militarizzazione degli spazi abitati da persone in lotta (come la Val Susa), reclutamento di guardie private in ausilio a quelle statali, operazioni di guerra per salvaguardare interessi economici e cospicui investimenti nell'edilizia penitenziaria. Più cresce il malessere sociale e più concreta e vicina diviene l'eventualità di cadere sotto i colpi della repressione democratica.
Dall'inizio delle insurrezioni d'oltremare e dei successivi bombardamenti in Libia, lo stato italiano ha gestito i flussi migratori riempiendo i c.i.e. ed allestendo campi, caserme e residence per rinchiudere questi disperati, scappati dall'oppressione capitalistica esportata in quei paesi, infliggendo a chi è senza documenti una detenzione fino a 18 mesi. Analogamente, nelle carceri italiane il numero di detenuti cresce a dismisura e le condizioni di vita interne riflettono l'imbarbarimento della società in cui siamo: sovraffollamento, sanità carente, alimentazione scadente, inasprimento delle pene, a cui si vanno ad aggiungere le vessazioni quotidiane. Il carcere,nonostante si tenti di nasconderlo agli occhi di questa società, ne è parte integrante e contribuisce a regolamentare i vigenti rapporti di oppressione e sfruttamento.
Da qualche mese i detenuti stanno attuando una serie di proteste, spesso coperte e/o falsate dai media, per reagire contro le intollerabili condizioni in cui sono costretti a sopravvivere. Non esistono soluzioni parziali al mondo in cui viviamo, ciò che occorre è alzare la testa e togliere dall'invisibilità anche le lotte dei prigionieri, considerandole quel che sono, patrimonio della resistenza degli sfruttati.
Milano, 6 settembre 2011
Assemblea contro il carcere - www.autprol.org/olga
Dietro la curva c’è il burrone!
Sullo sciopero generale del 6, l’autunno, e i compiti a venire…
Un’estate calda, pesante, che si trascina con un dibattito infinito intorno alla Manovra, ai sacrifici che cittadini e lavoratori dovranno ancora una volta fare per “aiutare il Paese”. Un’estate così calda che persino la CGIL, dopo aver firmato gli accordi-truffa del 28 giugno e dopo la luna di miele con Confindustria, è costretta a scendere in piazza.
Così già il 6 settembre – giorno dell’approvazione delle misure in Senato – è stato proclamato dalla CGIL uno sciopero generale, che per la prima volta vedrà sfilare contemporaneamente anche buona parte del sindacalismo di base… Una mobilitazione così rapida, e per molti aspetti unica, che dobbiamo provare a cogliere nelle sue potenzialità, perché potrebbe rappresentare la prima scintilla di un grande incendio.
La prima cosa che dobbiamo affermare con forza è che intorno alla Manovra si sta consumando un gioco delle parti, anzi, una farsa. Mentre i partiti discutono dei provvedimenti, rispecchiando ognuno il proprio elettorato e la propria base di consenso, cercando la quadratura del cerchio, nessuno dice che questa Manovra nei fatti è già stata superata, e ce ne vorrà una terza.
Le misure proposte sono sostanzialmente già state bocciate dalle principali testate economiche internazionali (come il Wall Street Journal), è già stata respinta dalla Corte dei Conti, aspramente criticata da Confindustria e da Bankitalia... L’UE non si è ancora espressa nettamente contro solo perché denunciare l’inefficacia del Governo darebbe via libera alla speculazione contro l’Italia e contro l’euro, e quindi sarebbe un mezzo suicidio.
Perché non piace? Perché non risolve nessuno dei problemi strutturali dell’Italia nemmeno da un punto di vista “capitalistico: è una Manovra depressiva, frutto di un mercanteggiamento da bottega.
Se a questo scenario di crisi economica e politica aggiungiamo gli ultimi dati sull’inflazione, in aumento del 2,4% (mentre intorno il paese è fermo ed i consumi addirittura in calo: un’inflazione importata, insomma, che deriva dall’aumento del costo delle materie prime e che quindi non lascia presagire nulla di buono), e le scadenze dei prossimi mesi per il rifinanziamento del debito pubblico, la farsa diventerà ben presto tragedia.
Altri attacchi speculativi e pressioni finanziari (lo dice oggi a mezza voce Monti) metteranno in luce i limiti della manovra, e si arriverà presto ad aggredire i veri nodi: riforma previdenziale (in particolare con il superamento della pensione di anzianità), attacco a 360° ai diritti dei lavoratori (in particolare allo Statuto ed al contratto collettivo nazionale), privatizzazioni e liberalizzazioni su larga scala. D’altronde si devono liberare spazi di profitto, e per il capitale profitto vuol dire mercificare, rendere cioè merce e dunque redditizio, ogni settore: trasporti, sanità, istruzione etc
Insomma: dietro la curva di questa Manovra c’è il burrone della prossima!
E veniamo così al secondo punto: l’inadeguatezza dell’opposizione. La CGIL sta chiamando i lavoratori a scendere in piazza contro una Manovra che è già superata, e quindi sta smorzando sin da subito il suo potenziale d’impatto, impegnandosi in una lotta contro i fantasmi. E tutto ciò non certo per “ingenuità”: ha chiamato questo sciopero sotto la pressione della sinistra sindacale, consapevole di un malcontento di base, e solo per contare qualcosa nella negoziazione delle briciole. In realtà la CGIL scende in piazza ora per non farlo dopo, gioca subito una carte importante come lo sciopero generale perché quando i giochi si faranno davvero duri – gli spazi di mediazione si eroderanno, e quindi o si mostrerà la necessità di rompere con il sistema, con le politiche si austerity europee etc, o ci si dovrà stare – accetterà la posizione della “responsabilità nazionale”.
Per questo ci vuole da subito un’inversione di tendenza netta, ed è questo uno degli insegnamenti che ci viene dalla Grecia, che ha passato tre anni di crisi analoga alla nostra. Di fronte alla “responsabilità nazionale”, bisogna sottolineare la nostra irresponsabilità. Di fronte a chi ci imputa di essere in debito, dobbiamo dire di essere in credito, perché sono anni che paghiamo tutto: tasse, aumento del costo della vita, mancanza di servizi. Di fronte a chi ci vuole manovrare, in tutti in sensi, dobbiamo affermare la nostra incompatibilità.
Ma come lo si fa? Innanzitutto diffidando delle soluzioni semplici, e questa è la terza cosa che dobbiamo ripetere sempre. Il tempo stringe, dopo tre anni di crisi il capitale pretende dei cambiamenti necessari per cominciare un nuovo ciclo di accumulazione: alla resa dei conti, o si interviene su certi nodi o non si è in grado di governare questi processi, che superano di gran lunga il quadro della sovranità nazionale. Non bisogna quindi credere a chi vede nelle elezioni e nella costruzione di fantomatiche “alternative” una soluzione. Non sarà quello che rimane della “sinistra” a interpretare questa discontinuità, è più probabile che lo faccia Montezemolo. Anche qui dietro la curva delle illusioni riformiste c’è il burrone dell’ennesima illusione, sconfitta, dispersione.
Così come, le tante rivolte degli ultimi tempi lo dimostrano, nemmeno infiammare le strade conduce necessariamente al successo: le forze che decidono delle nostre vite hanno leve più grandi della rabbia che possiamo mettere in piazza qualche settimana. Hanno la repressione, il controllo dei media, una strategia di contenimento a cui noi possiamo rispondere solo se abbiamo una strategia di avanzamento su obbiettivi chiari: aumento del potere di acquisto, meno lavoro a parità di salario, lavoro per tutti...
Ma queste difficoltà ci dicono forse che dobbiamo stare a casa perché il compito è troppo difficile, che non dobbiamo lavorare instancabilmente perché quest’autunno porti una sollevazione di massa? Assolutamente no! Al contrario: solo se si muovono le masse possiamo imparare qualcosa, e bisogna essere coscienti che in questa battaglia ciò che possiamo cercare di ottenere è di organizzarci sempre in maggior numero e sempre meglio, sempre più uniti, con analisi ed obbiettivi sempre più chiari.
Come ci ricorda Marx: “Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle lotte non è il successo immediato, ma il fatto che l'unione degli operai si estende sempre più”. Se dentro questa crisi riusciremo a costruire livelli di organizzazione politica un minimo significativi, tessendo anche rapporti con le altre reti europee, se riusciremo a coinvolgere in prima persona i lavoratori, a portarli allo scontro, sedimentando coscienza di classe e facendo vivere questa esigenza proletaria dentro i quartieri, le scuole, le università ed i posti di lavoro, facendo presente a tutti che il problema è il capitalismo stesso e che il sistema è irriformabile, allora avremo ottenuto più di quello che abbiamo ottenuto negli ultimi dieci anni.
Il nostro appello ai lavoratori è quindi ad essere lucidi, a far valere in ogni istante i nostri interessi come classe, sapendo che ci aspetta una stagione difficile, ma anche – dipende solo da noi! – esaltante.
Napoli, 3 settembre 2011
CLASH CITY WORKERS – LAVORATORI DELLA METROPOLI IN LOTTA
Infamie e cialtronerie della manovra ferragostana
Al peggio non c'è mai fine?
Data la velocità cialtronesca (appunto) con cui il governo fa e disfa la manovra di ferragosto, è possibile che da qui alla sua pubblicazione cartacea il testo della manovra subisca altri cambiamenti. Rimane però intatto il dato di fondo: far pagare, e in maniera salata, una volta di più la crisi al mondo del lavoro salariato e dipendente, cioè al proletariato e agli strati sociali prossimi ad esso. Il governo, potrà togliere di qua e mettere di là, ma, come dicono, a saldi e a vittime invariate.
Per fortuna che l'Italia non era stata toccata dalla crisi o solo marginalmente, secondo il duo Berlusca-Tremonti, altrimenti il proletariato - e classi vicine - sarebbe stato letteralmente portato in macelleria per essere trasformato in cibo per cani. Non bastava, infatti, la manovra economica di luglio per saziare la voracità illimitata dei famigerati "mercati" - la ragnatela criminale della finanza che avvolge il mondo intero: un mese dopo, il governo è ritornato all'attacco con una manovra supplementare che aggiunge sangue al sangue, lacrime alle lacrime. Parole troppo forti? Non tanto, se si tiene conto che, com'era scontato, la quasi totalità di questo nuovo intervento graverà sulle vite del lavoro salariato e stipendiato in maniera molto dura. I tagli ai comuni, che si sommano ai tagli del mese precedente, ridurranno ai minimi termini la possibilità di erogazione dei servizi sociali (scuola, assistenza sociale, ecc.) e li costringeranno ad aumentare le imposte locali, ma senza assicurare lo stesso livello delle prestazioni di un tempo. Inoltre, contrariamente a quanto va cianciando la Lega Nord, che non vuol perdere la fama molto mal meritata di difensore della "gente comune", l'innalzamento dell'età pensionabile per le donne del settore privato subirà un'accelerazione.
Avevano poi provato a inserire un altro infame provvedimento, definito dal presidente del consiglio "equo", che avrebbe cancellato il calcolo degli anni del militare e dell'università dal conteggio della pensione, allungando in tal modo il percorso lavorativo da uno a dieci anni (i medici), ma la norma in questione nel giro di poche ore stata cancella (dicono), a causa dell'ondata di indignazione suscitata in maniera trasversale. Benché l'atto sia stato ritirato, la dice lunga su quelli che sono i bersagli esclusivi del governo; in ogni caso, le pensioni rimangono sotto tiro - sono le riforme strutturali tanto invocate dai "mercati" - in più, possiamo star sicuri che verrà sostituito da un altro che se la prenderà con gli stessi settori sociali. Per esempio, ancora una volta, i "fannulloni", cioè i lavoratori del "pubblico", che rischiano di perdere la tredicesima se gli obiettivi di produttività (?) e di riduzione delle spese, assegnati ad ogni ambito specifico, non verranno raggiunti. E' fin troppo facile immaginare che la sudicia retorica contro i lavoratori pubblici voglia, al solito, semplicemente dire lavorare di più, con meno risorse per accrescere la famigerata produttività, per lo stesso stipendio o, di fatto, diminuito. Contemporaneamente, i tempi di erogazione della liquidazione potranno allungarsi fino a ventiquattro mesi: se questo non è furto, che cos'è, allora, un furto? (1)
E veniamo a un'altra "perla" della manovra d'agosto, l'articolo 8, che, nonostante gli strepiti della Camusso, è uno sviluppo coerente dell'accordo tra le "parti sociali" del 28 giugno scorso. L'articolo, la cui applicazione deve essere concordata con sindacati compiacenti (niente di più facile…), può scardinare il contratto nazionale, creando, potenzialmente, una giungla di contratti aziendali che possono derogare su quasi tutti gli aspetti fondamentali del lavoro subordinato (orario, salario, ritmi, pause, ecc.) fino alla libertà di licenziamento, con tanti saluti all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Benché questo articolo sia sempre più diventato nient'altro che un feticcio, logora bandiera del radical-riformismo, tuttavia il padronato - imbaldanzito dal servilismo senza ritegno del sindacalismo maggioritario - vuole spazzare via ogni intralcio, per quanto debole, sulla strada del profitto. L'obiettivo è il solito: disporre di una forza lavoro totalmente adattabile alle necessità dell'azienda. In questi anni, di passi in tal senso ne sono stati fatti tanti, ma al meglio, dice la Marcegaglia (o al peggio, diciamo noi) non c'è mai fine (2).
A dire il vero, la Confindustria auspicava anche la messa in regola una volta per tutte delle norme sullo sciopero: detto, fatto. Il 28 giugno, com'è noto, le parti sociali, CGIL compresa, hanno compiuto un altro bel passo avanti in quella direzione, anche se indubbiamente ci sono margini di miglioramento, per esempio, sbattere direttamente in galera, oltre che sulla strada, quei lavoratori che strappano il guinzaglio sindacale e fanno carta straccia degli accordi sindacal-padronali con lotte autorganizzate.
Come se non bastasse, la manovra comprende una norma con effetto retroattivo, giustamente definita "salva-Marchionne" (le leggi ad personam sono proprio un vizio, da queste parti): "Se approvate con un referendum anche le intese aziendali firmate prima dell'accordo del 28 giugno tra le parti sociali varranno infatti per tutto il personale". (da rassegna.it, 13 agosto)
Se si volesse fare una sintesi, si potrebbe dire che l'articolo 8 - e accordi vari che l'hanno preceduto - ricorda molto da vicino la politica del lavoro dell'epoca fascista, con la differenza che allora il fascismo dovette schiacciare il sindacato, mentre oggi il sindacato è, in genere, un ingranaggio del sistema di gestione capitalistico della forza lavoro.
A proposito di fascismo, la manovra bis prevedeva lo spostamento alla domenica successiva - in pratica, la soppressione - anche del 25 aprile e del 1 maggio (3).
Poi, anche in questo caso, pare che le festività ritornino al loro posto. Certo che parlare di festività per il 1 maggio risulta sempre più spesso, troppo spesso, una beffa amara: per un numero crescente di lavoratori, il 1 maggio è diventato esattamente l'opposto di ciò che questa festa vuole significare. Lavoro precario, comando padronale senza freni, salario scarso e per di più in giornata festiva: questo è, per loro, la "festa dei lavoratori". Oramai non si contano le aperture di centri commerciali e negozi avvenute anche con l'autorizzazione calorosa di diversi sindaci di centro-sinistra (Renzi, di Firenze, per tutti).
Se è vero, almeno qualche volta, che non tutto il male viene per nuocere, forse quella giornata così densa di significato, proprio grazie alla sua arrogante cancellazione o lenta erosione, ritroverà la sua identità originaria, fatta di lotte vere, contro la borghesia e i suoi servi. Chissà che il primo maggio non torni ad essere giornata di scioperi e di mobilitazione di classe?
Note:
(1) Ma non è affatto detto che sia l'ultimo né il più grave: se la crisi proseguirà - cosa tutt'altro che improbabile, per usare un eufemismo - è possibile che lo stato semplicemente non versi più la liquidazione, la quale, ricordiamolo, è solo stipendio differito, soldi del lavoratore, dunque. Dalla borghesia incattivita dalle fosche prospettive economiche, c'è da aspettarsi di tutto.
(2) Che sia la Confindustria il mandante del ministro Sacconi (l'art. 8 è imputabile a lui) non c'è alcun dubbio, anche perché basta leggere su il Sole 24 ore del 29 maggio un pezzo che, con una certa dose di umorismo o schifosa ipocrisia, sollecitava il varo del contratto di prossimità, cioè quello aziendale [perché con esso] è possibile la sintesi più efficace delle esigenze di lavoratori e imprese per aumentare la produttività […] Il traguardo finale non è solo poter derogare rispetto al contratto nazionale, ma anche fare accordi aziendali non conformi alle leggi in vigore, fermi restando i diritti fondamentali (oh perbacco!).
(3) Probabilmente, agli ex (?) fascisti del PdL sarà scesa una lacrimuccia, perché in gioventù, quando ostentavano la camicia nera, mai avrebbero osato sperare tanto: gli odiati simboli dei "rossi" fatti fuori in un colpo solo.
Agosto 2011
Da www.leftcom.org
Tumulti nelle città britanniche
Massicci scontri sociali a Londra - allargamento decentrato di espropri e scontri con la polizia - estensione anche in altre città come Liverpool, Birmingham, Leeds e innanzitutto Manchester - le foto sui giornali degli edifici bruciati producono un clima di paura, gli appelli all'esercito di intervenire diventano sempre più forti.
Londra… pulsante di milioni di persone, metropoli della finanza, luogo dei Giochi Olimpici nell'estate 2012 - capitale del paese in cui è nato il football. Questa la fotografia che della capitale britannica normalmente viene diffusa e ricercata. Dal 6 agosto questa fotografia ha iniziato a lacerarsi. La causa? La polizia giovedì scorso (4 agosto) uccide il 29enne Mark Duggan (padre di quattro figli, abitante nel quartiere Tottenham a nord di Londra. Duggan era residente nel caseggiato Broadwater, un grande complesso di edilizia popolare, luogo di una ribellione potente 26 anni fa, quando un raid della polizia uccise Cynthia Jarrett, madre di un attivista della comunità locale. Mark Duggan era molto noto nella comunità locale, sconvolta e rabbiosa via via che emergevano i dettagli dell'uccisione. Gli hanno sparato addosso dopo averlo tirato fuori dall'auto su cui viaggiava, un mini-taxi, e gettato a terra.
Sabato 6 agosto, quartiere Tottenham, i parenti di Duggan protestano contro l'intervento mortale della polizia e chiedono un chiarimento; a loro si uniscono altre persone. La polizia ha condotto una politica debole dell'informazione; ha cercato di addossare alla vittima la colpa, presentandola come criminale e quindi in qualche modo "auto-colpevole". La manifestazione che ne è seguita è stata pacifica ed è terminata ad un posto di guardia della polizia. I resoconti concordano che un giovane, in quel frangente di tempo, è stato vittima di un abuso da parte di un ufficiale della polizia. Questo è il fatto scatenante delle prime violenze di sabato. Poi inizia l'incendio delle auto della polizia, il lancio dei sassi e di altri oggetti sulla polizia. La domenica successiva gli scontri si estendono in altre città e in altri quartieri di Londra come Enfield e Brixton. La situazione paragonata al giorno precedente è persino più calma. Poi il "lunedì nero" - i media trasmettono le informazioni sulla caduta dei valori in borsa a causa della precipitazione della credibilità del credito nei confronti degli USA. Alla sera gli scontri si estendono e approfondiscono in modo ancor più massiccio che negli anni '80. A Londra nel quartiere Croydon viene incendiato un deposito di mobili, i negozi vengono letteralmente spogliati. […]
Le cause di fondo restano nell'ombra: oggi, come al tempo delle sommosse degli anni '80, l'Inghilterra è governata dai conservatori (partito liberal-democratico). Allora primo ministro era Margaret Thatcher, che affrontò la recessione con profondi tagli alla spesa sociale. I sindacati vennero frantumati, le tensioni sociali, gli scioperi e gli scontri erano realtà ben visibile. Lo stesso sta accadendo da alcuni mesi, da quando ci sono state manifestazioni violente contro i tagli e l'aumento delle tasse. Anche le tasse pagate dagli studenti sono aumentate. Questo ha suscitato un'ampia resistenza - è nata l'alleanza "Regno Unito non-tagliato" (Uk -Uncut) - Le prime manifestazioni ci sono state nel novembre 2010, in una di queste, a Londra, venne assaltata la sede centrale del partito conservatore. I media reagirono con resoconti in cui parlavano di caos e criminalità. Le proteste proseguirono in dicembre; ad esse presero parte gli attivisti della sinistra radicale che compirono azioni dirette nel centro della città.Anche il principe Carlo e sua moglie Carmen vennero attaccati nella loro Rolls Royce.
All'inizio del 2011 seguirono le "proteste anti-austerità" portate avanti da "UK Uncut" e principalmente dai sindacati contro i tagli del governo. Il 26 marzo a Londra si tenne una delle più grosse manifestazioni degli ultimi anni: all'appello dei sindacati risposero circa mezzo milione di persone; nel corso della manifestazione si svilupparono battaglie di strada, vennero distrutte sedi di banche e negozi. […]
La riduzione della spesa sociale porta con sé la riduzione delle tasse e di conseguenza la crescita dell'economia. Però il taglio della spesa sociale comporta anche una contrazione della ridistribuzione della ricchezza. In conclusione: il contrasto fra povero e ricco in Inghilterra è più acuto che negli altri paesi. Fino a quando il "sogno anglo-americano" ha funzionato e l'economia è stata in crescita, quanto meno rimaneva l'illusione che della pioggia di denaro che si riversava sugli strati sociali alti, rimaneva pur sempre qualcosa per gli strati sociali bassi. […]
In seguito all'attuale crisi economica invece gli stati ingoiano i guadagni. Proprio in Gran Bretagna dove il settore bancario tradizionalmente gioca un ruolo significativo, la sua crescita sproporzionata, collegata alla "deregulation", ha gettato nella crisi numerose banche. Così oltre un milione di giovani impiegati, non ancora 25enni, sono stati licenziati. Ciò unito alla mancata integrazione di numerosi immigrati, all'assenza di chances relativamente alla formazione e al posto di lavoro, ha contribuito a determinare l'assenza di una prospettiva, soprattutto fra i giovani di taluni quartieri. Le esplosioni della violenza, a partire dalle prospettive del "precariato subordinato" (dipendente), che si sente trascurato dalla società in generale e dallo stato in particolare, sono assolutamente spiegabili. Oltre a ciò, esso si sente abbandonato da un sistema politico, che interviene sulle penose condizioni sociali, in primo luogo, con maggiore controllo e condanne (più) pesanti.
Mentre l'ingiustizia sociale ha portato l'acqua all'ebollizione, il governo nello stesso istante ha accresciuto la repressione. Non c'è stato cosiddetto democratico che controlli i propri cittadini in maniera così ampia come quello inglese. […]
Silke Meier, 10 agosto 2011
da www.jungewelt.de/2011/08-01/020.php
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Ciao a tutte. Il primo ministro inglese Cameron, parlando dei rivoltosi di questi giorni, ha detto "...si deve agire con la massima fermezza e severità, senza alcuna indulgenza", e ancora "...questa è criminalità pura e semplice, deve essere affrontata e sconfitta" ed ancora"....non importa quanti anni avete, se siete abbastanza grandi per commettere dei crimini, siete lo stesso abbastanza grandi anche per scontare la pena. Io e il governo siamo determinati a far rispettare la giustizia. I responsabili dei disordini saranno puniti :sentiranno la forza piena della legge." E, chicca finale, "...non ci preoccuperemo dei diritti umani fasulli".
Tutto è cominciato con l'uccisione a Tottenham, da parte della polizia, di Mark Duggan, un giovane di 29 anni. I due proiettili sparati, quello che ha ucciso Duggan e quello rinvenuto nella radio di un agente, sono entrambi della polizia. La polizia nega e, guarda caso, ha trovato nella zona dell'uccisione una pistola che vorrebbe attribuire al morto. Ricorda tanto le molotov portate alla Diaz [nel 2001 a Genova per tentare di giustificare il massacro compiuto dalla polizia nella scuola Diaz a danno degli attivisti presenti].
Il governo ha il sostegno dell'opposizione laburista che ha chiesto, a gran voce," una risposta forte" contro questi criminali. Ma quanti "criminali " ha l'Inghilterra dato che le proteste si sono diffuse ad Hackney, Peckham, Croydon, Notting Hill, Fulham... e hanno coinvolto Brixton, Liverpool, Nottingham, Birmingham, Manchester? Quello che balza agli occhi è l'odio di classe che permea le dichiarazioni dei governanti e dell'opposizione laburista e che ha visto unirsi al coro "dai, dai ai criminali" stampa e televisione. Sono state finora arrestate 1.700 persone e i tribunali di Londra, Birmingham, Manchester sono rimasti aperti anche la notte. A chi viene identificato/a e scoperto/a come partecipante ai disordini, vengono tolti i sussidi pubblici e non solo a lui/lei, ma a tutto il nucleo familiare. Ad una famiglia, tanto per dirne una, è stata tolta la casa popolare perchè un figlio diciassettenne è stato scoperto "colpevole"di partecipazione alla sommossa. Una donna è stata arrestata a casa da un commando in piena regola, degno di un'azione di guerra, perché identificata mentre si provava delle scarpe sottratte ad un negozio.
Una cosa è certa ed unifica tutti i rivoltosi: sono poveri/e, tutti/e, nel senso più totale che si può dare a questo termine perché non si tratta solamente di una evidente povertà economica, ma di un'esclusione a tutti i livelli da una società che, nella migliore delle ipotesi, li usa come manodopera disperata e ricattabile. Nuovi servi della gleba che, quando la misura è colma, chiedono il risarcimento di tanta ingiustizia subita ogni giorno e in ogni momento della loro vita. E di questo risarcimento fa parte anche l'appropriazione di tutto ciò che non è tanto necessario, quanto simbolico di una negazione. Infatti non si prende il pane, ma generi di ogni tipo rappresentativi di un mondo da cui sono esclusi. Non c'è progetto politico e, loro stessi, sono consapevoli che non ci sarà vittoria e che pagheranno un prezzo molto alto, e non è sicuramente una lotta economica e non è rivendicazione corporativa di qualsivoglia tipo, non ci sono richieste, è una jacquerie, ma c'è consapevolezza dell'ingiustizia e dell'oppressione subita, c'è riconoscimento dell'oppressore, è istintiva lotta di classe e infatti le classi medie, gli "intellettuali", si defilano e compattano con il potere, cosa che non succede quando le rivendicazioni sono" politicamente corrette" e si sbandierano ai quattro venti i simulacri di pace, giustizia, libertà.
L'Inghilterra da trent'anni (è sempre lei che fa da ponte a tutto ciò che proviene dagli USA) ha optato per il neoliberismo smantellando lo stato sociale, la scuola pubblica e la stessa sanità pubblica, facendo schizzare a cifre altissime il tasso dei disoccupati e dei precari e aumentando la platea dei poveri e l'abisso di miseria in cui molti di questi sono sprofondati, tanto che un sindacato degli insegnanti della scuola pubblica, durante il governo laburista, ha dichiarato per iscritto in un suo documento che i bambini delle scuole elementari erano tornati ad essere quelli descritti nel romanzo Oliver Twist e un'associazione di medici, basata sul volontariato, ha istituito, già da diversi anni, a cominciare da Londra, centri volanti che si spostano per la città, di assistenza medica per i cittadini perché tantissimi non sono nella possibilità di accedere a qualsivoglia cura.
Allora chi sono i criminali? Qualche buontempone ci racconta che questo è successo perché al governo ci sono i conservatori, dimenticando le scelte di anni e anni di governi laburisti e i civili morti per mano della polizia, 333 dal 1997, data di insediamento di Tony Blair, fra cui il povero elettricista pakistano freddato nella metropolitana di Londra dalla polizia perchè a causa del colore della pelle era stato "scambiato" per un"terrorista", è l'esempio più eclatante. Ma, a proposito, la polizia inglese non va in giro disarmata? C'è qualcosa che non torna.
La stampa e la televisione italiana danno degli avvenimenti in questione la stessa lettura di quelle inglesi e con lo stesso linguaggio: "criminali e facinorosi", "da punire in maniera esemplare", adoperando lo stesso armamentario lessicale che stanno usando nei confronti del movimento, dei solidali, dei dissidenti e, buoni ultimi ma solo in ordine di tempo, dei resistenti della Val di Susa.
L'odio di classe è molto forte nelle classi dominanti e si esprime attraverso la "legalità", ma viene definito violenza solo se è esercitato dalle classi subalterne. La vita continuamente ci mette di fronte alla necessità di scegliere e anche non scegliere è una scelta e ci colloca immediatamente lo stesso: la nostra liberazione dalla società patriarcale si intreccia necessariamente con tutti i percorsi di libertà e di ribellione a questa società di miseria, mercificazione, sfruttamento dell'essere umano sull'essere umano e sulla natura intera.
Io sto con le/i rivoltose/i inglesi, senza distinguo.
Elisabetta
15 agosto 2011
da www.lottaunita.org
Cronache dal movimento No tav
Di seguito le cronache sintetiche delle giornate di mobilitazione del 16 agosto e del 9 settembre.
Martedì, 16 agosto, ore 11:15 - Le forze dell'ordine sono uscite dal cancello, hanno spinto e spostato di forza Guido, che stava portando avanti il suo sciopero della fame, e adesso stanno cercando di allontanare la gente. Lo scopo dell'operazione è quella di crearsi lo spazio per provare ad allargare le recinzioni di un altro po'.
Ore 14:30 Due no tav si sono aggrappati e sono tutt'ora appesi al braccio dell'escavatrice meccanica della ditta che dovrebbe eseguire i lavori. Le forze dell'ordine hanno circondato il mezzo e ora si sta avvicinando l'idrante della polizia.
Ore 16:04 E' indetto per stasera alle ore 18,00 un concentramento presso la Baita Clarea al fine di circondare l'escavatore e preservare le piante piantate dal Movimento. Si raccomanda un abbigliamento adeguato e di portarsi la cena al sacco. Fermali è possibile, fermarli tocca a noi!
Ore 16:12 I due attivisti sono scesi dalla ruspa e gli altri ragazzi presi sono stati liberati. Il presidio continua..
Ore 19:15 Da circa un'ora l'avanzamento dei mezzi per allargare le reti si è fermato. Anche a causa della rottura di una ruspa. Al momento non sono state poste recinzioni. Le forze dell'ordine e un paio di escavatori sostano all'altezza del viadotto. La situazione al momento è di stallo. Alcuni manifestanti stanno riempiendo con le pale i buchi fatti dalle ruspe.
Ore 19:30 Approfittando di un momento di distrazione delle forze dell'ordine, un altro attivista No Tav è riuscito a salire sul braccio dell'escavatore che si accingeva a scavare le buche per la posa dei pali della recinzione. La situazione rimane tesa e il popolo No Tav continua ad affluire nei prati del non cantiere.
Ore 22:50 Circa 300 manifestanti No tav, dopo un'intensa giornata di presidio e azioni alla recinzione lato Clarea, stanno ora occupando l'autostrada A32 proprio sopra la zona del fortino delle forze dell'ordine. La situazione per ora non è tesa. Parallelamente continua la presenza dei manifestanti sia nella zona del campeggio, sia alle recinzioni lato Clarea.
Ore 01:15 Le forze dell'ordine hanno iniziato l'attacco, al Presidio Clarea è iniziata la pioggia di lacrimogeni, i soldatini di piombo sono fuori dalle reti, l'autostrada è chiusa, hanno chiuso l'accesso anche dal sentiero da Giaglione, per ora si può raggiungere la baita dal sentiero che parte dalla Ramat!
Ore 02:27 Al momento la situazione si è stabilizzata. Dopo la lunga giornata di resistenza di oggi la polizia, molto nervosa, ha cercato di mantenere lontani i presidianti dalle recinzioni sparando una cinquantina di lacrimogeni anche in direzione della baita Clarea, intimando a chi era in prossimità delle reti di andare via. La presenza di polizia anche presso la galleria di Giaglione ha fatto temere un operazione di sgombero che di fatto però non c'è stata. Ora c'è gente alla baita e gli accessi sono liberi. E' accessibile anche la strada da e per Giaglione.
da informa-azione.info
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Venerdì, 9 settembre - Sono partiti questa sera alle 21,00 circa 300 attivisti No Tav dal piazzale di Giaglione per la consueta passeggiata notturna verso la Clarea ed il cantiere che non c'è. Di buon passo e con l'entusiasmo che da sempre ci contraddistingue, hanno imboccato la strada delle vigne che da Gioglione porta verso il vallone del Clarea. Anche stasera è importante contrastare e dimostrare agli occupanti che sono ospiti non graditi a casa a nostra.
21:59 Interminabile il corteo partito da Giaglione. Almeno 500 persone incolonnate al buio sotto una luna nascosta.
22:20 S'infittisce il buio nella montagna della Maddalena… I No Tav proseguono la marcia.
22:34 I No Tav sono arrivati alle reti del non-cantiere. Impressionante il dispositivo militare. Iniziano a suonare le sirene…
22:40 Nella boscaglia difficoltà di accessibilità alla rete internet, impossibilità per i twetts.
22:41 Da qualche minuto è iniziato il lancio fitto di lacrimogeni. Le forze dell'ordine ne stanno lanciando senza soste.
22:54 Nonostante l'imponente dispositivo militare predisposto dalle forze dell'ordine per respingere i No Tav, tagliate già decine di metri di reti del presunto cantiere…
23:00 Lacrimogeni meno potenti di quanto dovrebbero, grazie all'umidità, contrastati dalle sassaiole vicino al viadotto!
23:10 La polizia spara i lacrimogeni ad altezza d'uomo, il vento li devia.
23:14 Battaglia No Tav alla congiuntura tra sentiero e viadotto. I No Tav da una mezz'oretta hanno cominciato a tweettare, migliore la copertura della rete 3g.
23:16 La polizia lancia pietre contro la passeggiata, come il 3 luglio.
23: 20 L'esplosione dei fuochi d'artificio illuminano la resistenza dei No Tav!
23:22 La polizia sta sparando lacrimogeni anche dal cavalcavia, nel tentativo di colpire direttamente coloro che stanno assediando il non-cantiere.
23:50 Continua la battaglia in Val Clarea. Forti boati assediano il fortino.
00:00 I No Tav continuano nel taglio delle reti!
00:05 - Bellissima la solidarietà e il sostegno No Tav che viaggia su Twitter. Dall'estero, dalla Germania, dall'Inghilterra, tweets contro il Tav, raccontanto la battaglia di questa notte!
00:10 - No Tav e polizia continuano a fronteggiarsi nel solco tra il viadotto ed il sentiero.
00:12 Anche Radio Onda Rossa di Roma, insieme a Radio Blackout di Torino, sta seguendo l'evolversi dell'assedio No Tav.
00:19 Fittissimo lancio di lacrimogeni verso la baita Clarea. Numerosi mezzi delle forze dell'ordine in autostrada a Oulx in direzione Susa.
00:20 Dalla Valle arriva la conferma dei due fermi.
00:24 I No Tav resistono alla baita Clarea, sotto una pioggia di lacrimogeni.
00:34 Portato via in barella un manifestante No Tav rimasto ferito, colpito da un lacrimogeno.
00:46 Tagliati dieci metri di recinzione e filo spinato sotto il viadotto.
00:50 I No Tav stanno cominciando a rientrare verso Giaglione. Decine e decine di metri di reti sfondate, tagliate, buttate giù.
00:55 La polizia bersaglia a suon di lacrimogeni, dalla galleria del viadotto, il deflusso dei No Tav verso Giaglione.
01:40 Sono rientrati tutti i No Tav che hanno partecipato alla passeggiata di stanotte, Un risultato positivo che evidenzia ancora una volta la grande difficoltà che l'apparato ha a gestire questa pazzesca farsa. Non ci hanno spaventato stanotte e non potranno spaventarci neppure domani! …La lotta continua e il loro fortino traballa!!! …A sarà dura!!! …Anzi DURISSIMA!!! …per loro!!!
***
Lunedì 12 settembre, con un giorno di anticipo rispetto al previsto, il Tribunale di Torino ha convalidato ieri l'arresto per le due attiviste NoTav fermate durante l'assedio di venerdì notte al fortino della Maddalena in Valle di Susa. Nina e Marianna, pur essendo incensurate, si sono viste confermare la detenzione al carcere delle Vallette di Torino dove si trovano rinchiuse da sabato.
Martedì 13, si è tenuto un presidio in Piazza Castello a Torino per chiedere la loro immediata liberazione.
Il presidio non è stato un appuntamento come tanti altri ma un momento molto intenso per quanti vi hanno partecipato. A partire dai numeri, diverse centinaia di persone auto-convocatesi in sole 24 ore per testimoniare l'inarrestabile vicinanza del movimento a due sue donne coraggiose e degne. Molto commoventi gli interventi della mamma di Marianna (studentessa 19enne) e della sorella di Nina, rotti dall'emozione di chi mai avrebbe immaginato di trovarsi in questa situazione ma sostiene con fierezza e orgoglio identità e percorsi dei propri famigliari, incarcerati per colpe che non sono tali. Al microfono si sono succedute molte testimonianze di torinesi che hanno raccontato l'esperienza molto viva e recente del proprio avvicinimento al movimento e di come questo sia stato una sorpresa che ha modificato il proprio vissuto quotidiano. Al calar delle prime luci della sera, il presidio si è trasformato in un corteo spontaneo di 300 persone che ha percorso via Po fino a piazza Vittorio, e poi la Gran Madre, dove il traffico è stato bloccato per una mezzora. Molto significativa la risposta di non pochi automobilisti che salutavano il corteo con colpi di clacson, accogliendo con favore le ragioni dei notav.
Il movimento notav ha un cuore e oggi l'ha dimostrato ancora una volta, con buona pace di chi crede di poterlo spaventare a colpi di manganello, lacrimogeni o intimidazioni penali che smuovono tutto il gotha della magistratura torinese.
Come dice una fortunata canzone nata in questi mesi resistenti "la Val Susa paura non ne ha"… Di seguito il volantino che verrà distribuito oggi in Piazza Castello.
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Le donne sono l'anello forte e dolce del Movimento NO TAV; quando entrano nelle lotte, lo fanno perché sentono in pericolo le radici stesse della vita, il diritto al futuro.
Nina e Marianna sono donne del movimento NO TAV.
Nina è un'operaia, madre di tre figli, impegnata nel sociale, volontaria del 118.
Marianna è una ragazza ventenne, una dei tanti giovani che si sono avvicinati alla lotta NO TAV per generosità, senso di responsabilità e speranza.
Venerdì sera erano con noi, alla Maddalena di Chiomonte, lungo le recinzioni del fortino dove stanno asserragliate le "forze del disordine" a difendere un cantiere che non c'è e grandi sporchi interessi che invece sono ben presenti e mettono a repentaglio il futuro sociale, ambientale, economico non solo del territorio Valsusino, ma dell'intera collettività.
Andammo alle reti in tanti, almeno un migliaio di uomini e donne di tutte le età; fummo immediatamente accolti dal lancio fitto di lacrimogeni, sparati ad altezza d'uomo per intossicare e ferire meglio. L'aria si fece presto irrespirabile, una nebbia fitta e velenosa contro cui poco potevano i fazzoletti inzuppati di Malox e le maschere antigas. In questi casi il respiro si inceppa, le gambe diventano pesanti, occhi e polmoni in fiamme.
Quando gli uomini in armi uscirono dai cancelli per caricare la folla che resisteva ai lacrimogeni, non tutti riuscirono a mettersi in salvo; questa volta le prede furono due donne: Marianna e Nina, intervenuta con lo zaino del pronto soccorso a prestare la prima assistenza ad un ferito.
Nina e Marianna ora sono in carcere, alle Vallette: il loro arresto è stato convalidato ieri, nonostante fossero incensurate.
Come Nina e Marianna, altri giovani sono stati in precedenza arrestati, incarcerati, cacciati col foglio di via o accompagnati agli arresti domiciliari.
In un Paese nel quale sono ormai saltate tutte le garanzie democratiche e costituzionali, dove la militarizzazione dei territori e lo stato di polizia costituiscono lo strumento repressivo di quel partito trasversale degli affari che siede in Parlamento e nelle istituzioni, la generosità, la solidarietà, la difesa dei più deboli, la sete di giustizia e umanità diventano un crimine da punire col carcere. Di questo crimine sono colpevoli, come tutti noi, Nina e Marianna.
Ma il popolo NO TAV non arretra, la lotta non si arresta, la resistenza continua e si allarga ovunque ci sono ingiustizia e repressione.
A Nina e Marianna giunga il nostro abbraccio affettuoso, forte e solidale: le vogliamo libere subito! Libertà e giustizia per tutti i compagni arrestati ed inquisiti.
Il Movimento NO TAV
da www.notav.info
Per scrivere loro:
Marianna Valenti, Elena Garberi
c.c. Lo Russo e Cotugno, via Pianezza 300 - 10151 Torino
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PD e Sindacati di polizia: Val Susa, il cantiere Tav diventi sito strategico
Il cantiere del tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte diventi sito di interesse strategico nazionale: lo hanno chiesto i rappresentanti dei sindacati della Polizia in un incontro organizzato dal Pd, sostenitori la stessa proposta.
«Non si può più pensare - hanno detto il responsabile sicurezza del partito Emanuele Fiano e il parlamentare piemontese Stefano Esposito - di andare avanti con una situazione come quella che si è avuta fino a oggi, in cui le forze dell´ordine sono oggetto di un´esercitazione di tiro al bersaglio». A oggi i feriti tra le forze di polizia a Chiomonte sono stati 319.
A riguardo Luca Pantanella, vice segretario nazionale dell´Ugl Polizia, ha dichiarato che le forze dell´ordine sono diventate «dei bersagli umani»: «abbiamo bisogno di più strumenti». Il sindacalista ha aggiunto che i mezzi a disposizione «sia di difesa, sia offensivi» sono insufficienti a garantire l'ordine pubblico: «Abbiamo solo scudi e manganelli», a confronto con i colleghi europei che hanno a disposizione proiettili di gomma, cannoncini spara-reti per fermare le persone e flashbang, un dispositivo che stordisce con la luce e un forte
rumore. Ma a preoccupare Pantanella sono anche i numeri: «Siamo presenti in Valle con 600 uomini ogni giorno e il cantiere si sta allargando: con l´inizio dell´anno e dei campionati di calcio si rischia di avere carenza di personale in tutta Italia per le normali attività».
Durante l´incontro le organizzazioni sindacali e il Pd hanno stabilito di istituire una Consulta Permanente tra il partito e le forze dell´ordine. Per Esposito «affinché le Forze dell´Ordine si sentano sostenute nella loro attività, che è comunque un lavoro, occorre che la sicurezza non venga più trattata come una tema da campagna elettorale».
5 settembre 2011
da www.lospiffero.com
PENNE NERE: DALL'AFGHANISTAN ALLA VAL SUSA
FUORI GLI ALPINI DALLE CITTÀ!
ALPINI : Corpo Militare dell'Esercito Italiano. Battesimo di fuoco, campagna per la conquista di Eritrea anno 1895. Partecipazione operativa nel conflitto Italo-Turco del 1911, I Guerra Mondiale. Campagna fascista per la conquista di Etiopia e Albania nel 1939, II Guerra Mondiale, occupazione dell'Afghanistan dal maggio 2002 al 29 aprile 2011...
Se queste lunghe Penne Nere si limitassero a compiere le loro opere assistenziali per qualche anziano, organizzare feste con fiumi di vino e salamelle, nessuno li contesterebbe.
Con grande rammarico constatiamo che l'opera militare delle “Penne nere” è tutt'ora avviata in differenti realtà nazionali da porre diligentemente sotto controllo, sorveglianza, monitoraggio... repressione.
Sono principalmente impegnati nel pattugliamento di molte città italiane, presidiano discariche e inceneritori, spesso contestati con fermezza dalla popolazione locale e accolgono con il loro ineguagliabile altruismo, i migranti privi di documenti presso i lager della democrazia, i CIE (Centri di identificazione ed espulsione).
Sono apparsi recentemente, dal mese di luglio, al fianco delle forze del disordine (carabinieri, polizia ecc ecc) alla fortezza militare costruita per difendere il cantiere TAV alla Maddalena (Chiomonte) in val di Susa.
Il raduno nazionale alpino che, con molta probabilità, si terrà nel maggio 2013 a Piacenza, verrà preceduto dalla cosiddetta Festa Granda (16, 17, 18 settembre) che celebrerà la fondazione della Sezione piacentina.
Non c'è da stupirsi se in tale occasione l'amministrazione comunale e le cariche ecclesiastiche, come consuetudine, daranno il loro servile benvenuto e la loro diabolica benedizione a dimostrazione del fatto che l'apparato repressivo sia pienamente sostenuto dalle tenaglie delle istituzioni democratiche che predicano a gran voce Pace e Amore, in realtà instaurano nientemeno che la pacificazione sociale.
Mentre anziani e nostalgici sfilano nelle loro parate patriottiche carnevalesche ,giovani e brizzolati combattono nei campi di guerra.
Tutte le forze politiche, imprenditoriali, ecclesiastiche sostengono politicamente economicamente e moralmente i conflitti armati diffondendo (anche tra i banchi di scuola) un revisionismo della realtà, innescando pensieri di paura con conseguente ed inevitabile difesa.
Nessuna nota musicale, nessun litro di vino, nessuna opera compiuta dalle lunghe penne nere nel nome del bene della comunità, riuscirà a lavare le mani sporche di sangue di migliaia di alpini che nel mezzo di guerre patriottiche, fasciste, umanitarie che siano, hanno calpestato con amore, fratellanza e rispetto intere popolazioni soggiogate dalla brutale e arrogante violenza che solo un militare sa professionalmente e legalmente compiere.
NON DIAMO SPAZIO A UN REVISIONISMO CHE TRASFORMA UOMINI MACCHINE DI GUERRA IN UOMINI DI PACE. NESSUNA PACE PER CHI FA LA GUERRA !
Piacenza, 12 settembre 2011
Antiautoritari - oltrelariga@libero.it
monza: DOVE LORO DISTRUGGONO, NOI RICOSTRUIAMO!
Con questo slogan, oltre che a riassumere quanto fatto nei primi giorni di occupazione di via Boccaccio 6, intendiamo lanciare una campagna di ampio respiro sulla città che inchiodi le Istituzioni alle responsabilità dirette e indirette che esse hanno sui continui sgomberi avvenuti in città, simboli di una politica basata sull'uso di manganelli, celerini, ruspe e porte murate. Una politica distruttiva e repressiva, a cui non ci stancheremo mai di opporre la nostra forza creativa, in grado di produrre dal basso e in modo autogestito progetti, idee, riempire e colorare spazi, tessendo relazioni tra i soggetti, creando ambiti di confronto.
In questi giorni successivi allo sgombero di via Durini 19 e all'immediata occupazione di via Boccaccio 6 ne abbiamo sentite un po' di tutti i colori. Sapevamo che tornare nella nostra vecchia sede avrebbe sollevato un vespaio mediatico e ci siamo inizialmente posti in ascolto. Ora è giunto il momento di prendere parola e porre all'attenzione della cittadinanza alcune considerazioni.
1) Nonostante lo sgombero dello stabile di via Durini, su cui vigileremo in attesa che comincino i fantomatici lavoro di riqualificazione, i progetti sociali attivati dalla F.O.A. Boccaccio in quartiere proseguono. La scuola di italiano per migranti prosegue negli stessi giorni e negli stessi orari presso la CUB di via Piave 9. Il laboratorio creativo per bambini prosegue il mercoledì pomeriggio presso i giardinetti di via Azzone Visconti. Il cineforum che solitamente era ospitato all'interno del cortile lo abbiamo spostato nel piazzale antistante lo stabile, tutti i giovedì sera.
Insomma lo sgombero non depotenzia in alcun modo l'attività sociale e culturale del nostro collettivo, che anzi si diffonde in città e si appropria di nuovi spazi di socialità e di confronto con la cittadinanza. Questo è il nostro modo di "fare politica" in maniera autonoma, sviluppando progetti sul territorio e dando loro continuità.
2) Il ritorno in via Boccaccio pone all'attenzione di tutti un dato di fatto ineludibile: la presunta riqualificazione dell'area, motivazione che tre anni fa la proprietà (Immobiliare San Gerardo) portò a supporto dello sgombero, non è mai avvenuta. Gli unici interventi effettuati sono stati di natura distruttiva, al fine di rendere inagibile lo stabile (distruzione dei tetti e rimozione di ogni infisso) e vanificare i quattro anni di recupero che il collettivo a proprie spese aveva portato avanti tra il 2004 e il 2008. Abbiamo realizzato un video che denuncia questa scandalosa situazione (www.vimeo.com/26328383), riaffermando la natura politica di quello sgombero, come di tutti quelli successivamente messi in atto nei nostri confronti (nessuno degli stabili che nel tempo abbiamo occupato ha subito alcun piano di riqualificazione). Ora stiamo a vedere cosa faranno dello stabile di via Durini…
3) Sulla stampa abbiamo letto alcune affermazioni dei "nostri" amministratori, gli stessi su cui ricade la responsabilità politica degli sgomberi degli ultimi anni: hanno parlato Simone Villa (ass. Sicurezza), Martina Sassoli (ass. Politiche Giovanili), Max Romeo (ex ass. Sicurezza), mentre il Sindaco non si è espresso, intento a gonfiare la pagliacciata dei fantomatici ministeri al Nord. Questi personaggi sono espressione di quella classe politica che ha portato Monza nell'attuale stato di caos (il Consiglio Comunale bloccato da mesi a totale discapito della cittadinanza), una classe politica che ha preso il potere attraverso una propaganda populista e leghista di cui la popolazione non ne può più e a cui nel tempo abbiamo ripetutamente risposto nei fatti. Le loro critiche al nostro operato, generalmente basate sulla falsità, sono del tutto impossibilitate a superare il superficiale obiettivo inerente alla forma e alle pratiche, non scalfiscono in nessun modo i contenuti (antifascismo, antirazzismo, accessibilità dei saperi, lotta alla precarietà,…) che proponiamo nelle nostre attività. Su questi ultimi riscontriamo invece un positivo confronto diretto con la cittadinanza e con il quartiere, che in via Durini abbiamo sentito molto vicino anche nel momento dello sgombero.
Ora non resta che proseguire sulla nostra strada, con al fianco le tante persone che in questi mesi hanno alimentato i percorsi che sono partiti o hanno attraversato i nostri spazi. Settembre è vicino e porterà con sé rinnovati stimoli, rinnovate forze per dare ancor più corpo alle nostre rivendicazioni e a quelle di chi, come noi, si immagina una Monza completamente diversa da quella che stiamo vivendo. Ma l'estate è ancora lunga e la mobilitazione cominciata il 9 aprile non intende andare in vacanza. Tante sono le iniziative in cantiere: seguiteci sul nostro blog boccaccio.noblogs.org
13 luglio 2011
FOA BOCCACCIO 003, Via Boccaccio 6 - Monza
Roma: Comunicato sullo sgombero di 3njoy Pirateria
Venerdi 12 agosto all'alba blindati di polizia e carabinieri comandati dalla digos hanno militarizzato tutta la zona tra via Ostiense, Piramide e San Paolo per eseguire l'ordine dello sgombero di 3njoyPirateria.
Il fine settimana di ferragosto é perfetto per tali ordini: città deserta, decoro urbano in atto e programma città sicura in esecuzione, il tutto per isolare e rendere invisibile qualsiasi protesta.
Uno sgombero annunciato dai cantieri che ci stavano fagocitando. Alle spalle il progetto "Città dei giovani" che pretende, con ristoranti e centri commerciali, di riqualificare e dare nuovo lustro alla zona; davanti quello per la tangenziale appaltato alla Cimolai, con la costruzione dell'immenso ponte a vele, non ad accesso pedonale. Entrambi enormi serbatoi di denaro da far sparire più che investire in reali esigenze del quartiere o delle collettività. Un'area velocemente trasformata da zona popolare sorta a ridosso dell'antico polo industriale dell'ostiense a quartiere divertimentificio con costi al mq non più accessibili ai più.
Da diversi anni vivevamo con l'incudine dello sgombero sopra la testa, sancito burocraticamente la scorsa estate [luglio 2010] in una stanza della regione Lazio.
La solidarietà attiva ha fatto in modo che ciò non avvenisse ed ha permesso la mattina del 12 agosto di poter, velocemente, recuperare tutte le nostre attrezzature faticosamente assemblate in 16 anni di vita.
A 3njoyPirateria non era nuova questa prassi, circonvallazione Ostiense era il terzo luogo dove era approdata, una storia che ha inizio nel 1993 sotto il ponte di ferro nell'ex capitaneria di porto, per passare a porta portese dove tra finte contrattazioni e delibere improponibili ci obbligano a migrare in quella struttura che erano i Mercati Generali.
Da 16 anni vivevamo lì praticando autogestione condividendo azioni e pensieri sotto l'insegna della libertà e contro ogni potere costituito, in continua trasformazione e mutuazione; nuove energie stavano dando vita ad identità svincolate dalle regole del profitto e della mercificazione scegliendo la qualità delle interazioni e delle relazioni contro ed oltre la morte del quotidiano.
Non sarà questo sgombero a fermare le nostre menti ed i nostri corpi allenati a tarantelle estive ed azioni rapide. Abbiamo ancora molto da esprimere e la strada é già stata presa da tempo, non sarranno tangenziali, progetti truffa, perquisizioni o imprigionamenti a farci cambiare idee, spieghiamo le vele per navigare con orgoglio senza scendere a compromessi nei mari della nostra città e dove sarà necessario, ribadendo che autogestione e libertà non sono parole da propaganda elettorale ma pratiche quotidiane individuali e colletive.
Pronti ed intrepidi a liberare porti nel mare delle coscienze addormentate! Ci hanno speronati non affondati! All'erta: la bandiera è issata, gli uncini affilati, sempre tesi ad un nuovo arembaggio!!! Con amore la ciurma tutta!
Roma, 17 agosto 2011
da informa-azione.info
Milano: Storie di ordinaria repressione al Corvetto
Questa mattina alle 11 circa dei funzionari ALER scortati da una pattuglia di polizia si sono presentati davanti alla porta di una casa occupata da mesi da una famiglia per procedere all'identificazione di rito. La verifica dei documenti della signora e dei due figli di 15 e 17 anni termina con la consueta minaccia di imminente sgombero.
Nel frattempo, davanti al portone si erano riuniti alcuni abitanti del quartiere per portare solidarietà. Il sopraggiungere di altre volanti di polizia ha portato ad una serie di aggressioni e di controlli per le persone presenti.
Le stesse “forze dell'ordine” hanno poi deciso di procedere immediatamente allo sgombero dell'appartamento e, con l'ausilio dei vigili del fuoco, hanno sfondato la porta e portato in questura l'intera famiglia. La casa nel frattempo è stata sigillata con delle lamiere metalliche con l'arredo all'interno.
Dopo alcune ore in questura i ragazzi, affidati ad uno zio, sono stati rilasciati, mentre la mamma Danila è stata trattenuta per ulteriori verifiche sulla sua posizione.
Denunciamo questo gravissimo ed arbitrario atto di violenza. Chiediamo che Danila venga immediatamente rilasciata e che possa riprendere possesso della casa.
Ancora una volta, a fronte di centinaia di case sfitte, si decide di sgomberare chi ha dovuto occupare per necessità.
Per questo chiediamo il blocco degli sfratti, assegnazione delle case sfitte, sanatoria delle occupazioni, stop alla privatizzazione e riduzione degli affitti.
13 settembre 2011
Comitato di lotta casa e territorio ticinese e corvetto
crema: LA CASA ED IL LAVORO SONO UN DIRITTO DI TUTTI…
TRANNE PER ALCUNI!
“Il massacro sociale decretato dal governo sta per diventare legge dello stato ed a colpi di fiducia un parlamento, esautorato da ogni sua funzione naturale, sta approvando le manovre estive di rapina, contro i lavoratori e gli strati più deboli della popolazione.
In piena armonia con gli orientamenti del grande padronato e del governo, già a Giugno la giunta comunale di Crema, guidata dal Sindaco, aveva precorso i tempi ingaggiando un incredibile braccio di ferro con la famiglia MIHAI, i cui componenti erano rimasti senza lavoro e cacciati da casa.
La soluzione transitoria raggiunta dopo 22 giorni di presidio sotto il Comune, è stata prontamente negata, con una lettera, dall’Assessore che ha comunicato che la famiglia sfrattata dopo il 31 Ottobre, dovrà arrangiarsi a trovare “una soluzione stabile ed adeguata” … il che significa, date le reali condizioni già evidenziate in precedenza, il concreto profilarsi della inesorabile realtà di finire per strada.
Ma non solo … si tenta di colpire chi sostiene e solidarizza con MIHAI attraverso denunce farsa, intimidazioni, schedature ed altri espedienti repressivi”.
Questa è la prima parte del volantino che è stato distribuito stamattina a Crema durante il presidio che, oltre all’aggiornamento sulla specifica situazione della famiglia Mihai, aveva come obiettivo di spiegare come il singolo caso si lega perfettamente all’impoverimento generale dei lavoratori, alle scelte nazionali di cancellazione di ogni politica di solidarietà sociale, alle manovre estive di rapina, ecc. ecc. Era stato allestito, quindi, un banchetto informativo con striscioni sul diritto alla casa e fin qua tutto normale, compresa la presenza di agenti Digos che “vigilavano sul rispetto della democrazia” da parte dei partecipanti alla manifestazione.
Improvvisamente dalla farmacia di proprietà del Sindaco (che era presente all’interno) esce un dipendente in camice bianco, versa del liquido infiammabile intorno a banchetto, dandogli poi fuoco e mettendo, quindi, in pericolo le persone presenti, una delle quali è finita al pronto soccorso, poi dimessa con tre giorni di prognosi.
È una grave provocazione, che è sintomo di come l’amministrazione comunale di Crema si è mossa nell’intera vicenda e che sicuramente non ci spaventa, ma ci rende ancora più determinati nel sostegno e nella lotta per il diritto alla casa ed al lavoro per tutti.
Suggeriamo al “signor farmacista” in questione, che si è servito di un suo “mastino” per compiere un gesto infame e che la dice lunga sulle sue intenzioni future, di abbandonare l’idea che con quattro fiamme si possa spegnere la lotta … in realtà tutto questo può essere il preludio all’incendio della prateria.
Il nostro programma e crediamo anche quello dei tanti che vivono sulla propria pelle una realtà di precarietà, di impoverimento, di cassa integrazione, di licenziamento, continuerà ad essere: PIÙ CASE POPOLARI PER TUTTI, BLOCCO DEGLI SFRATTI, ABBASSAMENTO DEGLI AFFITTI, DIGNITÀ E DIRITTO AL LAVORO
A nulla servirà la politica dello struzzo… dove per non affrontare i problemi è sufficiente non vederli, perché continueremo a batterci, più fastidiosi di un nido di vespe, dato che da perdere abbiamo solo le vostre catene, fatte di ignoranza, di privilegi, di arroganza.
Crema, 10 settembre 2011
tuttisottountetto@libero.it
firenze: Perquisizione a La Riottosa Zquat e obbligo di firme
Nel pomeriggio di Giovedì 1 Settembre è stata perquisita dai carabinieri la Riottosa Zquat! al Galluzzo (FI). Chiara, che in quel momento si trovava sola all'interno dell'abitazione, è stata condotta in caserma ed in seguito in carcere a Sollicciano con l'accusa di coltivazione di sostanza stupefacente e furto di energia elettrica. E' stato inoltre sequestrato un computer e la chiavetta per la connessione ad internet. Stamani, 3 Settembre, si è tenuta l'udienza di convalida dell'arresto: Chiara è stata scarcerata e le sono state disposte le firme 3 volte a settimana. Di seguito il testo del volantino distribuito in occasione del presidio davanti al tribunale.
ILLEGALE, NON IMPOSSIBILE
Sabato 1 Settembre, tre gazzelle dei carabinieri hanno fatto irruzione alla Riottosa, casa occupata al Galluzzo, e se ne sono andati portandosi via una compagna, che al momento si trova in carcere a Sollicciano. I capi d'accusa che le sono stati imputati sono coltivazione di sostanza stupefacente (alcune piante di cannabis, strappate tra pomodori, melanzane e sedani) e furto di energia elettrica.
Non ci siamo mai ritenuti esperti di codici e castrazioni varie, per questo non abbiamo mai fatto della legge il metro di valutazione delle nostre scelte. Grammi, metri, kilowatt, euro, tutta merda per giudici, politici, giornalisti e sbirri di ogni colore. Pretesti buoni per invadere la nostra vita e separarci dai nostri affetti. Non ci stupiamo. L'odio aumenta.
Tutto è normale, tutto fa schifo, quindi è normale, quindi fa schifo...
Negli ultimi mesi sono stati numerosi i compagni e le compagne sequestrati dallo Stato, a Firenze come altrove. Abbiamo assistito ad un proliferare di inchieste volte a stroncare le varie lotte portate avanti da chi si è stancato di subire in silenzio.
La legge si adegua alle esigenze.
Se finora è risultato inefficace andare a colpire i sovversivi che parlano di insurrezioni e rivolte in base al reato di terrorismo (come non ricordare i vari flop delle inchieste per 270bis...), il passo successivo è stato quello di estinguere l'idea e criminalizzare la pratica, talvolta mantenendo l'aggravante del reato associativo. Nessuna differenza tra chi teorizza e pratica la libertà anche infrangendo la legge e chi quella stessa legge la infrange per un moto di dignità.
La repressione aumenta. La complicità può aumentare.
L'imposizione di una vita di miseria, trascinata tra lo sfruttamento del lavoro e la frustrazione del consumo, trova ancora risposte. Spesso solitarie e silenziose. Altrove esplosive. E su questo orizzonte degli eventi orientiamo i nostri sguardi in cerca del possibile e oltre.
Londra, Roma, Atene, la Valsusa, nei posti di lavoro, al supermercato, nelle piazze...
Purtroppo per lo Stato esistono ancora luoghi vissuti da coloro che hanno deciso che la fine di ogni sottomissione è un buon punto di partenza. Individui che desiderano esprimere liberamente la propria vita, abbattendo ogni ostacolo costituito dall'autorità.
Purtroppo per lo Stato la diffusione di certe pratiche non può che essere un cattivo esempio.
Per quel che ci riguarda cerchiamo e cercheremo sempre la libertà alla luce del sole, come al chiaro della luna. Qui ed ovunque.
"..Campiamo di recupero, raccolta e del poco che seminiamo, coltivando conflitto e convivialità.."
CHIARA LIBERA! TUTT* LIBER*!
4 settembre 2011
La Riottosa Zquat! e Individualità Complici
da informa-azione.info
Berlino: Chi ha il potere detiene il diritto
Di nuovo in carcere i compagni del "gruppo militante"
La corte suprema federale tedesca all'inizio di luglio ha confermato la sentenza nei confronti di Axel, Florian e Oliver; sono stati portati nel carcere di Berlino Hakenfelde. I tre compagni nell'ottobre 2009 erano stati condannati a tre anni e mezzo.
Il commento di Arthur Schueler, attivo nel gruppo per l'abrogazione degli art, 129, 129a… "appartenenza a associazione con finalità di terrorismo" [l'eguale in Italia del 270 bis, ter…] è stato: "Ce l'aspettavamo, la corte suprema non ha mai annullato una sentenza politica della corte d'appello di Berlino". Quegli articoli del codice penale appartengono al diritto penale politico della RFT e rendono possibile una condanna anche senza partecipazione concreta al fatto. Per questo le organizzazioni dei diritti umani, politici dei Verdi, della sinistra ma anche della socialdemocrazia (SPD), avvocati ne chiedono la soppressione. Gli avvocati degli accusati nel processo avevano descritto gli indizi portati dall'accusa come "sleali" (scorretti), di conseguenza avevano rinunciato alle arringhe.
Oliver uno dei compagni colpiti, prima di essere riportato in carcere si è così espresso: "La resistenza contro la violenza della guerra, l'economia di guerra e le forze armate per impedire una situazione di occupazione, l'assassinio di civili e la distruzione delle basi della loro vìta, resta come sempre legittima." […]
12 luglio 2011
da de.indymedia.org/2011/07/311673.shtml
lombardia: Lotte nelle cooperative della logistica
Riportiamo gli aspetti più significativi delle giornate di lotta all'interno delle cooperative della logistica, a cavallo dello sciopero generale del 6 settembre, in Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte.
Movi Moda (Piacenza)
Individuato come situazione su cui intervenire a partire dalla lotta alla TnT di luglio, diventa il primo degli obiettivi unitari su cui concentrare tutte le mobilitazioni degli operai del SI.Cobas presenti nelle cooperative delle province di Lodi e Piacenza.
Lo sciopero del 6 settembre, preparato con un volantinaggio interno nei giorni precedenti, inizia alle 6 del mattino, con il blocco totale dei cancelli di entrata delle merci e dei lavoratori. Sono presenti una ventina tra militanti del SI.Cobas e del Prc piacentino, olte ad una delegazione di 50 operai provenienti dalla TnT di piacenza e della “Ceva Logistica” di Cortemaggiore (PC).
La frammentazione tra gli operai viene a galla tanto quanto il potere coercitivo di caporali e lecchini. L'adesione fra gli operai è scarsa ma, in ogni caso, l'attività resta bloccata per oltre 3 ore, fino a quando cioè lo sciopero decide di spostarsi in centro città, dove si svolgerà la manifestazione convocata dalla CGIL. L'iniziativa ha comunque colpito nel segno e lo dimostra il fatto che, nelle ore successive, i capi aziendali hanno provveduto ad una raccolta firme (tra i presenti al lavoro, circa 80 sui 450 normalmente in forza) per chiedere il licenziamento dei promotori dello sciopero.
La questione è ancora aperta. Non sono affatto escluse lettere di licenziamento. In ogni caso gli sviluppi della vicenda motiveranno ulteriori, e più radicali forme di lotta a sostegno dei militanti del Cobas oggi sotto tiro e della loro piattaforma rivendicativa.
Esselunga (Pioltello, MI)
Dopo oltre quattro mesi di riunioni e incontri, il cobas decide di uscire dal guscio e proporsi di agire. Al pari della Movi Moda, anche l'Esselunga di Pioltello diventa obiettivo centrale della mobilitazione del SI.Cobas in occasione dello sciopero generale. Sullo stabilimento dell'hinterland milanese (punto centrale di smistamento per l'intero nord-italia) sono chiamate a convergere tutte le situazioni della provincia, dopo aver partecipato alla manifestazione cittadina del mattino. Lo sciopero ha inizio alle 15, con un presidio davanti ai cancelli d'ingresso composto da una ventina di militanti del sindacato ed una decina di operai (reparto salumeria, che impiega un'ottantina di operai nei vari turni giornalieri). Il presidio decide di rimanere tale e non trasformarsi in un picchetto considerando i rapporti di forza palesemente sfavorevoli per un'azione più radicale e per concentrarsi sull'obiettivo fondamentale dell'iniziativa: estendere la partecipazione allo sciopero e, con essa, rafforzare la base sindacale attiva.
Da questo punto di vista l'azione riesce. Alla fine gl operai che incrociano le braccia sono quasi trenta e, oltre ad arrecare un danno alle attività dell'azienda (che evidentemente non prevedeva lo sciopero), riescono a dare gambe ad una prospettiva di lavoro sindacale che necessita di tutto l'appoggio delle strutture milanesi e che si misurerà nelle prossime settimane.
Ceva logistica (Cortemaggiore, PC)
La lotta era partita a maggio (contro il lavoro in nero e i relativi furti di salario) e pur avendo ottenuto conquiste tangibili, non aveva affatto sedato gli animi degli operai che l'avevano animata che, anzi, si erano prodigati per costruire un ponte con gli operai della TnT di piacenza, mettendosi in evidenza per esserne anche i principali sostenitori nelle calde giornate di luglio.
Una coscienza ed una determinazione che sono state puntualmente ripagate allorchè l'azienda (la cooperativa “Asso”, apparenente al consorzio “CAL”, già conosciuto nell'ormai storica lotta alla “Bennet” di Origgio) ha deciso unilaterlamente a fine agosto di procedere ad una riduzione di orario (e salario) a fronte di una riduzione della mole di lavoro nello stabilimento in questione.
Gli operai non ci stanno e, dopo aver costruito due giornate di sciopero interno, organizzano il picchetto per il 7 settembre. A partire dalle 6 una trentina di persone bloccano i cancelli della Ceva. L'azienda è colta di sorpresa e così le forze dell'ordine locali. Alle 8 arrivano poi altri trenta operai dalla TnT, appena smontati dal turno di notte rendendo e il blocco inossidabile.
Alle 11 si presentano i capi del consorzio per cercare di ...tirare acqua al proprio mulino, rivendicando al scelta dei turni forzati di riposo (in altri termini: lavoro a chiamata tramite sms serali) per sopperire alle perdite di profitto, e dichiarando che non vi erano alternative possibili. Sullo sfondo la trattativa sindacale del 13 con la prospettiva concreta di riduzione di salario, trasferimenti coatti, licenziamenti).
La delegazione degli operai però mantiene la linea e abbandona il tavolo e dichiara lo sciopero a oltranza. Seguono tre ore di attesa rotte soltanto dall'arrivo di materassi procurati dagli operai della Movi Moda che si aggiungo a quelli della TnT e della “Fiege Borruso” di Brembio (do you remember? Natale 2009!) nella soldarietà.
Il resto lo fanno i poliziotti e i carabinieri che, rifiutando di collaborare nella richiesta di liberare (con la forza, ovviamente) i cancelli, aprono la strada alla conclusione della trattativa. La Ceva e il CAL decidono di fare marcia indietro, rinunciando alla politica dei turni di riposo forzati, a fronte di una danno economico dettato dal blocco ben più alto del risparmio conseguito con i riposi stessi. Gli operai hanno vinto la battaglia e si preparano a rilanciare verso la trattativa del 13 settembre, ulteriore spartiacque verso la conquista di nuovi diritti (CIG a spese zero per gli operai, indennità sostitutiva di mensa di 150€ al mese e il risarcimento del "salario rubato" in cinque anni da parte di Ceva e cooperative consorti) oppure... la ripresa della lotta.
A margine della cronaca si segnala che la posizione della CISL, dopo l'esito della giornata di ieri, è quella di chiedere turni di riposo forzato a rotazione, per sopperire alla "crisi" aziendale (della serie: quando il sindacato di stato sta a destra dei padroni) e cioè di boicottare la lotta e i suoi risultati.
Esselunga (Biandrate, Novara)
I 200 immigrati delle cooperative dei magazzini Esselunga di Biandrate (NO) si sono ribellati. Giovedì scorso, 1 settembre, hanno bloccato i magazzini per alcune ore contro le trattenute in busta paga di alcune centinaia di euro operate dalle cooperative.
Con la dichiarazione dei redditi (730) fatta con la UIL i lavoratori avevano chiesto gli arretrati 2008 e 2009 per i premi di produttività, gli straordinari, i turni e il lavoro notturno, ma in busta paga si sono ritrovati a dover pagare anzichè riscuotere.
Con la lotta i lavoratori hanno costretto le cooperative di Biandrate a restituire subito il maltolto, dando a ciascuno un assegno di 600 euro. Ora i lavoratori hanno deciso di presentare una piattaforma sulle condizioni di lavoro, il salario, gli orari e i diritti.
Quasi tutti i lavoratori sono asiatici (in maggioranza) e africani.
La natura delle cooperative sociali, non affatto mutualistica, viene messa sempre più alla luce da azioni di lotta sindacali nate dal basso e organizzate dai COBAS.
E’ il caso di un nuovo conflitto organizzato dallo Slai Cobas e dai lavoratori in maggioranza asiatici, pakhistani e indiani, africani e arabi, del consorzio “SAFRA” di Biandrate.
In provincia di Novara un grosso deposito Esselunga viene gestito da una serie di cooperative sociali che dovrebbero applicare il CCNL Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni.
Lo Slai Cobas, con i Cobas delle cooperative di Origgio (VA), Turate (CO), Limito (MI), Calcinate (BG), ha proposto ai lavoratori una piattaforma rivendicativa con la richiesta di aumenti di stipendio uguali per tutti, la mensa e altri istituti contrattuali, alcuni dei quali, pur previsti dal contratto, sono disattesi dalle cooperative; questione non secondaria è la dignità della propria esistenza con la conquista dei diritti sul posto di lavoro.
A Biandrate la goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le trattenute fiscali operate dalle cooperative: i lavoratori invece di prendere dallo Stato sono stati costretti a dare! In questo caso però le iniziative di lotta hanno convinto il consorzio SAFRA a restituire i 600 euro ed a far sì che nei prossimi mesi ci sia il rimborso Irpef in busta e non, assurdamente, il contrario come è successo nei giorni scorsi.
Ora i lavoratori, con l'appoggio dello Slai Cobas, hanno avanzato altre richieste: restituzione dell’IRPEF pregresso, in poche rate ed entro ottobre; un clima di lavoro accettabile sospendendo da subito le provocazioni, sanificando il clima insalubre composto da insulti e minacce ai danni dei lavoratori; richieste salariali e normative da sottoporre alla direzione con una piattaforma rivendicativa di 2° livello unificante per tutte le cooperative della logistica. Deve cessare il clima di intimidazione e di ricatto da parte del consorzio!
Rinsaldiamo in un solo fronte di lotta gli immigrati di tutti le nazionalità i quali, insieme agli italiani, devono presentare il conto ai committenti Esselunga, Coop, Bennet e altri che mantengono basso il costo del lavoro per aumentare i loro profitti, creando divisione fra chi ha bisogno del reddito per sopravvivere e perpetrando questo clima di incertezza e repressione per migliaia e migliaia di lavoratori.
A Biadrate i lavoratori hanno alzato la testa, lotteremo per rivendicare un salario adeguato al costo della vita e per difendere la dignità in tutti i luoghi di lavoro.
Ma soprattutto per evitare che le divisioni e i premi che elargiscono le società ad alcuni costringano alla schiavitù salariale tutti gli altri lavoratori del deposito Esselunga.
4 settembre 2011
Slai Cobas
milano: PROVOCAZIONI AZIENDALI ALLA JABIL, MA IL PRESIDIO CONTINUA
Sale la tensione al presidio dei lavoratori Jabil dello stabilimento di Cassina de Pecchi di
proprietà della Nokia - Siemens. Dopo oltre 40 giorni di costante presenza 24 ore su 24 dei presidianti a tutela dei macchinari e dei beni aziendali della fabbrica a rischio di chiusura, Nokia-Siemens e Jabil danno segni di un crescente nervosismo ed insofferenza nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti sindacali.
E' evidente che avvicinandosi il giorno dell'annuncio della chiusura, le aziende cominciano a provocare i lavoratori nel tentativo di eliminare il presidio. Iniziano col togliere la corrente con la scusa della sicurezza, ma in realtà per limitare il danno d'immagine e forse perché i costi non gravino sulle povere casse di Nokia. Ma i presidianti rispondono con un impianto indipendente. Poi insistono nell'eliminare l'assemblea permanente all'interno dello stabilimento, ma anche in ciò non trovano terreno facile, nonostante di notte avessero più volte chiamato i carabinieri.
L'ultimo e più grave episodio è avvenuto la notte di giovedì 25 agosto quando una guardia al servizio di Nokia - Siemens ha minacciato di sparare ai lavoratori all'interno del cortile dell'azienda. Nel giro di pochi minuti sono accorse al presidio alcune decine di operaie e operai alla vista dei quali il "pistolero" si è rinchiuso nella portineria aziendale. I lavoratori hanno così potuto continuare ad effettuare le attività di controllo a salvaguardia dei macchinari che stanno facendo dal 16 luglio.
Il nervosismo aziendale è anche dovuto al risalto dato da televisioni e carta stampata alla lotta dei lavoratori della Jabil, intenzionati a salvare la fabbrica e, il sito produttivo di Cassina de' Pecchi che Nokia - Siemens vuole chiudere. La determinazione delle operaie e degli operai sta ostacolando i piani delle due multinazionali.
Ricordiamo che nell'impianto industriale di Cassina de Pecchi lavorano oltre 1.000 persone e che su di esso da tempo aleggia lo spettro della speculazione edilizia in quanto l'area, in caso di cambio della destinazione d'uso, acquisirebbe un valore economico immenso.
Cassina de' Pecchi (MI), 31 agosto
RSU-FIOM JABIL