Un rivoluzionario ottimista: Martin Glaberman (1918-2001)

 

Strisciando il badge… omaggio a Martin Glaberman

Una delle forme [di lotta più frequenti] – ed è la forma assunta solitamente dagli scioperi a gatto selvaggio – è la seguente: stai lavorando ad una macchina o sulla linea e vedi operai percorrere la linea in senso inverso al flusso produttivo.

Guardi in su, e non è l’ora del baracchino, e non è ora di uscire, e c’è un sacco di gente che si avvia agli scaffali degli attrezzi. E così sai che stanno mollando  la fabbrica.

E allora cosa si fa? Si spegne la macchina, si mettono gli attrezzi nella borsa e si marca il cartellino. Non si ha idea di quello che succede. Quello che si sa è che c’è sciopero… La “fabbrica” sparisce fino all’ultimo uomo. Poi si esce e si domanda: “che cosa diavolo è successo? E le risposte possono essere diverse…

Quello che vogliono dire è che quando si esce, si può scoprire di essere pro o contro lo sciopero, ma la caratteristica fondamentale della classe operaia è che prima di tutto si sciopera… Si sciopera in massa. Non c’è un 51% dei voti per scioperare.

Martin Glaberman, Teoria e Pratica, Detroit, 1969

Marty, come lo chiamavano compagni ed amici, si è spento ottuagenario il Dicembre scorso.

Noi che, purtroppo, non l’abbiamo conosciuto di persona, ma solo attraverso i suoi contributi, avevamo deciso di tradurre quest’intervista apparsa sul sito: www.ca.geocities.com/red_black_ca e pubblicata in opuscolo, circa un anno fa.

Eravamo stati stimolati da un compagno d’origine inglese, che, tra l’altro, riscontrava una forte affinità tra ciò che scriveva Marty e l’attività, che alcuni di noi, che di lì a poco, daranno vita al CRAC (centro di ricerca per l’azione comunista), portavamo avanti da qualche anno a Bologna, insieme ad altri compagni, come Collettivo Precari Nati prima e Collettivo Rete Operaia poi, pubblicando periodicamente, tra l’altro, un foglio di contro-informazione operaia chiamato “Zona Industriale”.

Ci piace ricordare Marty, come lo ricordano, in un In memoriam, apparso su “Against the current” di Detroit, due compagni, con cui, insieme a uno (si tratta di Seymour Faber) ha scritto, uno dei suoi ultimi contributi al movimento rivoluzionario: Working for wages: the roots of Insurgency, pubblicato dalla General Hall, a New York, nel ‘99. 

Questi compagni, descrivendo cosa stesse facendo nell’ultimo periodo, scrivono: continuò anche a tenere seminari sul Capitale, una volta ci disse:”se volete mettere su un gruppo di studio sul Capitale, ditemi in che posto e quando, e sarò là”, arricchendo le sue spiegazioni con fatti tratti dalla sua vita quotidiana in fabbrica e dalla sua militanza politica.

Per alcuni di noi la scoperta di Marty, circa 4 anni fa, coincise con le prime occupazioni in fabbriche di una certa rilevanza nel settore industriale bolognese, dopo essere passati per il lavoro sui cantieri, in piccole ditte o in attività nel terziario.

Le vivide descrizioni della vita di fabbrica fornite da Glaberman, ci aiutarono a capire meglio in positivo alcuni comportamenti, alcune attività di resistenza quotidiana, che andavano dal tentativo di auto-ridursi i ritmi, alla cooperazione per ridistribuirsi i carichi di lavoro, anche fuori dal posto di lavoro, dalla complicità collettiva per dei furti quotidiani in azienda, all’assenteismo. 

I suoi scritti ci diedero il “gancio mentale” per capire l’importanza di alcune manifestazioni della vita quotidiana dentro e fuori il posto di lavoro: dalle chiacchiere scambiate alla macchinetta del caffè, come al cesso o in mensa, alla partita di calcetto aziendale o la pizza del venerdì sera tra colleghi e “senza capi”.

Inoltre, durante il periodo di lavoro stagionale in una fabbrica alimentare, capimmo la necessità di avere, come lavoratori, uno strumento di comunicazione riconosciuto come tale, che sopperisse al fatto di lavorare in reparti distanti, su turni diversi, senza neanche la possibilità di incontrarsi nelle poche assemblee. In questo foglio, di cui venimmo a conoscenza, tra le lamentele quotidiane e l’ironia con cui venivano commentati gli articoli del giornale aziendale - che ogni mese ti ritrovavi in busta paga -, potevano trovare spazio articoli più “impegnativi” e più “complessivi”, sempre ancorati alla daily life dei lavoratori, all’esperienza proletaria, per usare un’espressione che divenne, da allora, parte del nostro lessico comune.

Il fatto che ci colpì e che ci fece maturare la decisione di partecipare a questo foglio, Soda Caustica, contribuendo nella stesura e nell’elaborazione: anziché farne uno nostro, e quindi implicitamente accettare un confronto con prospettive e background differenti dal nostro, che andavano dai collaboratori sporadici ad alcuni delegati della FLAICA-CGIL, fu nel venire a conoscenza che tale necessità era scaturita dai lavoratori stessi, non per forza i più attivi, anche per un motivo apparentemente banale, come, nello specifico, alcuni premi sottaciuti dati solo ad alcuni lavoratori.

Ci colpì il fatto che questo bisogno potesse trovare una forma d’espressione efficace come una vignetta disegnata da un operaio, piuttosto che una scritta sull’armadietto, sui muri della fabbrica o sulle porte di un cesso, che questo messaggio potesse avere un canale di comunicazione “clandestino”, che non passava attraverso la bacheca sindacale, né attraverso altri canali della vita politico-sindacale ufficiale, ma veniva appeso nei posti dove si prendevano le pause o distribuito a mano a fine turno. 

La Soda Caustica che, diluita, veniva usata per la pulizia quotidiana delle macchine, per la sua capacità di sterilizzare in profondità ogni residuo organico, era divenuta in egual modo un agente corrosivo che cercava di entrare in tutti i pori della vita aziendale, anche nell’inespugnabile fortezza degli uffici, dove, anonimamente, alcuni lavoratori avevano fornito una vivida descrizione della loro condizione.

Il grado di auto-attività e di “avanzamento” dei lavoratori non cominciò, per noi, a “misurarsi” solo nel numero, nella qualità e nell’incazzatura degli interventi in assemblea (comunque importanti), né solo con i comunicati nella bacheca politico-sindacale, nemmeno nella rigidità delle richieste nella contrattazione e nella bontà del contratto collettivo interno, ma piuttosto nelle quotidiane e dirette manifestazione di comunicazione e conflitto, espressione embrionale dell’organizzazione diretta di classe, cioè nella fisiologica “lotta a coltello”, contro il taglio dei tempi, il cumulo dei carichi di lavoro, l’isolamento di fronte alla macchina, la gerarchia aziendale, fino a mettere in discussione il Lavoro stesso.

In un contesto a metà tra i bordi di una piscina, una sauna di vapori lattici, e l’anticamera di una cella frigorifera, nello psicodramma collettivo quotidiano della guerra di fabbrica: l’è una guera, l’è una guera, ripeteva sempre un operaio, la ferrovia sotterranea della lotta di classe correva lungo i poco visibili binari della resistenza quotidiana alle condizioni di lavoro. 

Marty, insieme a Danilo Montali e al Gruppo di Unità Proletaria di Cremona, all’esperienza di ICO in Francia, alla rivoluzione in Ungheria nel ’56, al Maggio Francese, ai wobblies e a altre esperienze del movimento rivoluzionario, attraverso lo stimolo e talvolta il filtro dei compagni di “Collegamenti-Wobbly”, del “Centro di Iniziativa Luca Rossi”, di “Wildcat” in Germania ed “Echanges et Mouvement” in Francia, ci ha fatto capire molte cose e conoscere un pezzo di storia del movimento operaio USA, a tutt’oggi ancora piuttosto sconosciuta in Italia, a cui il libro di Jeremy Brecher, Sciopero!, Storia dell’insorgenza operaia di massa negli USA dal 1877 ai giorni nostri, tradotto da Bruno Cartosio e pubblicato in due volumi dalla Salamandra nel ‘76, ci ha dato la cornice e buona parte del succo.

Abbiamo fatto una breve introduzione su Martin, esponendo alcuni nodi da lui trattati.

Alcuni compagni del centro di ricerca per l’azione comunista

Alcune note introduttive

Il percorso politico e la maturazione teorica di Martin Glaberman si sviluppano in un arco temporale, che coincide, grosso modo, con la storia del movimento operaio americano dalla metà degli anni trenta ai giorni nostri, e si intreccia con la storia politica della sinistra marxista negli USA, ai raggruppamenti e all’esperienze militanti a cui ha partecipato e che ha contribuito a sviluppare, o con cui si è confrontato, dal Socialist Workers Party al Workers Party negli anni quaranta, da Correspondance a Facing Reality negli anni cinquanta e sessanta fino all’esperienza di Speak Out!, e di  Radical America negli anni settanta.

Certamente non si può ridurre il suo contributo al movimento rivoluzionario, e la sua formazione, alla sola riflessione sulla sua esperienza diretta di fabbrica a Detroit e di militante comunista auto-didatta negli USA durante quest’arco temporale, basti considerare l’importanza, per la propria maturazione complessiva e per le feconde riflessione che ne trae, del dibattito sulla natura delle trasformazioni sociali in Unione Sovietica, dell’insurrezione Ungherese del ’56 e successivamente del Maggio francese.

Alcuni elementi significativi riguardo agli sviluppi sociali statunitensi durante quest’arco di tempo, la storia dell’organizzazioni del movimento operaio e il ruolo che l’attivismo sociale, oltre alla produzione pubblicistica dei gruppi in cui Martin Glaberman ha militato, saranno messi sotto forma di note all’intervista.

Diamo un quadro sintetico, in ordine cronologico, di alcuni dei nodi più significativi affrontati da Glaberman stesso:

Intervista

Sei stato membro della Lega giovanile socialista (Young People’s Socialist League) e del Socialist Workers Party. Nel 1940 c’è stata una scissione nel SWP e sei entrato nella nuova formazione, il Workers Party, guidato da Max Shachtman. Da lì a poco, si è coagulata una minoranza attorno a CLR James e Raya Dunayevskaya. Puoi spiegare cosa è successo?

Ho preso parte alla YPSL all’età di 13 anni, che era il più basso limite d’età a cui potessero accettare la mia adesione. Vengo da una famiglia socialista piuttosto tradizionale, socialisti relativamente conservatori.

Frequentavo l’organizzazione locale del SWP[5] e con i vari avvenimenti che si sono succeduti mi sono progressivamente avvicinato alla sinistra. Questo era nel bel mezzo della Depressione. I trotskisti entrarono nel movimento socialista e quando ne uscirono avevano avvicinato gran parte della YPSL. Allora ero parte del YPSL che a quel tempo era parte del movimento trotskista.

Nel 1939 quando scoppiò la guerra e L’URSS invase la Polonia e la Finlandia, la posizione o l’ipotesi dei Trotskisti era che avrebbero dovuto sostenere L’Unione sovietica.

Questo divenne difficile per una corposa minoranza e la scissione che maturò riguardava il problema del sostegno dell’Unione Sovietica. La maggioranza dell’organizzazione giovanile andò con Shachtman ed una minoranza del partito. Era tutto considerato una minoranza, ma parte della direzione, incluso James, seguì Scachtman[6].

Comunque, una volta maturata la scissione e il formato il WP, c’era la questione della natura dell’Unione Sovietica. Nuovamente la posizione tradizionale che considerava L’URSS “uno stato operaio degenerato” incominciò a sollevare dei dubbi nel partito, stimolata parzialmente dal suo nefasto ruolo nella Guerra, la conquista, il Patto Hitler-Stalin e così via. 

Fu in quel periodo che cominciò a formarsi la Johnson-Forest tendency. Era composta da CLR, Raya e qualche altra persona. In quel periodo stavo vivendo a Washington D.C. dove trovai il mio primo lavoro con il governo federale. Stranamente Raya stava vivendo a Washington D.C[7].

Incominciò a fare delle ricerche per la nostra posizione sulla questione russa alla biblioteca del Congresso. Conosceva la Russia e si occupava di economia.

La stragrande maggioranza del WP sostenne la tesi di Shachtman che riteneva L’URSS un ‘collettivismo burocratico’.

Una piccola minoranza continuò a sostenere che L’Unione Sovietica era uno stato operaio degenerato, sebbene fossero dell’idea di non appoggiare la Russia nella guerra. Noi sviluppammo l’idea che L’Unione Sovietica fosse uno società capitalistica di stato.

Alla prima convention, votammo. C’era una piccola sezione a Washington, che si spaccò a metà. Ero il delegato che rappresentava il punto di vista della J-F. Ebbi metà dei voti e qualcun’altro l’altra metà. Questa era la J-F tendency.

La questione russa era sempre tenuta sotto un certo grado di serietà teorica.

Uno dei punti, sin dall’inizio, e ciò che stupisce è che persone come Paul Buhle, (uno dei leader della Tendency, N.d.T) non erano consci di questo, era che non era semplicemente una teoria dello stato russo.

Era una teoria dello stadio di sviluppo del capitalismo mondiale. Parte di questa non fu sviluppata ulteriormente se non più tardi ed è stata esposta compiutamente in Capitalismo di stato e rivoluzione mondiale, ma era già in nuce negli anni quaranta[8]. Questo era l’inizio. Quello che mi ha sempre sorpreso e aiuta a confermare la superficialità della visione dell’Unione Sovietica come “collettivismo burocratico” e che non ti indica niente di questa eccetto darle un nome. 

Originariamente si considerava che l’Unione Sovietica fosse più progressista del capitalismo, ma non così progressista come il socialismo o uno stato operaio. Poi dopo un po’ si considerò che il collettivismo burocratico fosse tanto reazionario quanto il capitalismo (posizione di Carter nel WP, N.d.T) e alla fine con la svolta a destra di Max Shachtman, ( finì nel partito democratico e sostenne la guerra in Vietnam, N.d.T), il collettivismo burocratico venne ritenuto più reazionario del capitalismo. Che tipo di validità ha una teoria se non è in relazione con nient’altro, eccetto che cambia ogni anno o due con gli sviluppi correnti? 

Alla fine degli anni quaranta il WP stava accordandosi con il SWP per rientrare nelle fila del partito. Non ci fu nessuna fusione definitiva ma la J-F tendency rientrò nel SWP per cinque anni[9]. Allora produsse un numerosi documenti estremamente interessanti – L’Operaio americano, Le Note sulla dialettica di James, Capitalismo di stato e rivoluzione mondiale. Puoi parlare di questo?

C’erano più cose in cui eravamo coinvolti. Allora le differenze all’interno crebbero. C’erano differenze sulla “negro question”. Si rifiutarono di accettare il punto di vista di CLR sull’importanza di organizzazioni indipendenti di “neri”, non subordinate al partito rivoluzionario o a quant’altro.

Sviluppammo differenti visioni sulla natura della società man mano che si avvicinava la fine della guerra. Il WP era influenzato da un gruppo di esuli tedeschi che svilupparono la teoria della ‘regressione’; che la guerra e il fascismo hanno fatto regredire il capitalismo fino al punto in cui non si potesse parlare più di una prospettiva socialista, ma bisognasse limitarsi a ripristinare le libertà civili, i diritti democratici e così via.  

Parlavamo della prospettiva rivoluzionaria in Europa. Tutto questo inserito all’interno della concezione della classe operaia americana come essenzialmente militante e con una prospettiva rivoluzionaria. Ipotesi che il WP aveva essenzialmente scartato.

Il fatto che le trattative continuassero indicava la possibilità della fusione con il SWP, inoltre Canon in un opuscolo che scrisse indicò  una prospettiva rivoluzionaria per la classe operaia americana. Questo tentativo finì per giungere a nulla e l’intera organizzazione non seguì realmente quest’ipotesi.

Quello che facemmo fu accordarci per un periodo di tre mesi in cui potevamo essere indipendenti e liberi di pubblicare il nostro materiale. Ognuno era consapevole che persistevano delle differenze sull’interpretazione della natura sociale dell’Unione Sovietica. Fu in quel periodo che pubblicammo l’Operaio americano[10] e sempre allora stampavamo un bollettino settimanale (Balance Shit, N.d.T.)). 

Poi entrammo nel SWP. Venimmo accolti calorosamente perché il SWP stava iniziando ad avere problemi con alcuni dei lavoratori neri che gravitavano attorno all’organizzazione. Erano in un certo senso insoddisfatti del comportamento del partito e della sua attività in relazione ai lavoratori di colore. CLR venne e tenne un comizio alla prima convention sulla natura delle lotte dei neri che fu accolto molto positivamente, ma finì con un sostegno solo verbale.

Mi ricordo che andai a New York per essere una sorta di segretario del gruppo in quel periodo. Mia moglie e io volevamo andare via da New York il più presto possibile una volta adempiuto l’impegno perché la vita politica di NY non era sviluppata un gran che. Non era molto soddisfacente. Venimmo presto invitati ad andare a Flint per prendere parte alla sua sezione. Trovai un lavoro alla Buick e fu allora o poco dopo che scoprii il ruolo del partito e il consenso solo a parole che riservavano all’idea della lotta indipendente dei neri. Si rispecchiava in un esperienza di cui venni a conoscenza.   

C’era un compagno “di colore” che era un membro della sezione e del comitato esecutivo (executive board,N.d.T) della sezione sindacale della Chevrolet. Andò a NY ad un incontro del partito e incontrò una compagna “bianca”. Si innamorarono e decisero di sposarsi. Lei voleva andare a Flint con lui. Ciò che accadde era lo specchio fedele dei limiti della politica dei partito.

Nessuno disse che non potessero sposarsi e nessuno affermò che lei non potesse tornare a Flint con lui, ma insisterono nello spiegare che se lui fosse tornato a Flint con una moglie ‘bianca’ non sarebbe mai stato rieletto alla sezione sindacale della Chevrolet. Alla fine li convinsero e interruppero la loro relazione.

C’era una sorta di limite nell’idea che la questione razziale dovesse essere subordinata alla questione di classe e ai pregiudizi esistenti tra i lavoratori. L’aspetto cruciale era che dovevi avere impegni e posizioni di potere che avrebbero potuto subire l’interferenza di  un matrimonio interrazziale. Come ho detto, nessuno si oppose formalmente, ma sicuramente, non gli hanno reso facile la cosa.

Continuammo a sviluppare le nostre idee. L’opuscolo sulla dialettica (Notes on Dialetectics: Hegel, Marx, Lenin, 1948, N.d.T) venne pubblicato mentre eravamo nel SWP e circolò segretamente. Allora, prima che fosse resa facile la riproduzione noi non avevamo nessun registratore e nemmeno una macchina fotocopiatrice. Quello che poteva accadere era e ti poteva far diventar scemo e che qualcuno battesse tutto a macchina. Potevamo prendere la carta più fine e fare le copie. Se eri abbastanza sfortunato da prendere la settima o l’ottava copia, impazzivi letteralmente a leggerti quella dannata cosa! 

Stavo lavorando alla Buick. Le copie sarebbero arrivate e ci saremmo seduti, la notte tardi, a leggere. Era fantastico. Non penso che nessun altro l’abbia scritto, ma il fatto che un capitolo descrivesse in astratto cosa sarebbe successo otto anni più tardi nella Rivoluzione Ungherese: nessun partito d’avanguardia, la totalità della classe operaia agente come (il proprio) partito o organizzazione. 

Uno dei documenti che vennero  pubblicati allora nella temporanea permanenza nel SWP fu una analisi dell’esperienza del WP. C’era un altro documento, questo molto più modesto  chiamato Balance Sheet Completed. Rese un sacco di persone insoddisfatte perché non possedeva la stessa franchezza politica che il Balance Sheet tradizionalmente possedeva.

La maggior parte del documento era focalizzata su problemi legati allo stile di vita e alle forme di corruzione personale all’interno del SWP. Mi piacerebbe vederla pubblicata da qualche parte perché spiegò la nostra scissione dal SWP, che sfortunatamente coincise con l’espulsione dei CLR dagli Stati Uniti.

Dopo essere uscito il SWP hai cominciato a pubblicare Correspondance. Gli anni cinquanta erano un periodo difficile per chi era attivo nella sinistra e nel 1955/56 ci fu una scissione nel gruppo che poi produsse News & letters(in cui se ne andò Raya). Poi venne la Rivoluzione Ungherese. Concorse ad aiutare alla stesura di un libro, Facing Reality, che divenne più tardi il nome di una organizzazione che si scisse a sua volta. Questa volta con Grace Boggs (Ria Stone, moglie di James Boggs, N.d.T.) una dei leader della tendency[11]. Negli anni sessanta a Detroit so che eri coinvolto con alcune delle persone che più tardi divennero parte del Detroit Revolutionary Union Movement e della League of Revolutionary Black Workers.  

Una delle cose che è menzionata in ambedue i libri scritti sul DRUM è che ho insegnato in una classe con persone che divennero i leaders del DRUM[12]. Il contatto iniziale fu opera di George Rawick[13].

Venne a Detroit e trovò lavoro al Wayne State. Un paio di questi ragazzi erano nelle classi in cui insegnava. Fu grazie a questo e a George che fu preso contatto con il gruppo. C’erano sempre dei disaccordi. Parte della realtà era, aveva a che fare con il movimento nero in generale, c’era un significativo orientamento maoista. Non sono sicuro che tipo di impatto ebbe la nostra influenza. Non era poi così grande. Ma ci fu un influenza reciproca.

Ciò che stavano facendo chiaramente ci impressionava. Era sulla stessa lunghezza d’onda delle nostre idee sulla black struggle, sulla lotta di classe. Esistevano dei buoni rapporti anche se si dispersero. Quando sono andato a New York di recente per la presentazione di un libro, alla presindenza dell’incontro c’era una donna che aveva preso parte al DRUM.

Si ricordò di questo e fu molto felice che i notri cammini fossero ricongiunti. Ma questo rapporto non si risolse con un sostegno materiale, in sottoscrizioni, nello scrivere per Correspondence, aiuto finanziario e così via. Che è una delle cose che non capisco di quel periodo.  

Negli anni settanta Facing Reality si è dissolta, allora hai messo in piedi le Bewick Editions per continuare a rendere fruibile alcuni pamphlet e libri e eri impegnato anche in altre pubblicazioni come Radical America. Una delle cose che ho preso da James, è che la maggioranza della sinistra vede la classe operaia come una consumatrice passiva di idee radicali: la sinistra va dai lavoratori con una confezione di sapone e dice: “vi piace questo sapone? Costa il 10% in meno” oppure “continene un ulta-sbiancante e dell’ammorbidente” e si suppone che i lavoratori la scelgano. James e la tendenza di cui facevi parte credevano che i lavoratori non fossero consumatori passivi, che avvrebbero costruito il loro avvenire. All’inizio del nuovo secolo cosa pensi sia il lascito di James? 

E una domanda piuttosto impegnativa e non sono sicuro di poter formulare una risposta esaustiva. Una delle cose che ognuno nel movimento trotskista e nel movimento marxista era a conoscenza era che il proletariato era la chiave.

Questo era fondamentale per Marx e può essere interpretato in ogni modo, incluso che il proletariato necessiti di un partito d’avanguardia che lo conduca alla rivoluzione. Ciò che era importante nello studio della natura sociale dell’Unione Sovietica era il tornare ai fondamenti dell’opera di Marx.

Una delle mie citazioni preferite non è presa da un libro sconosciuto. È in un opera, di cui i primi tre capitoli vennero ripubblicati col nome di Socialism: Utopian and Scientific di Engels, che ha venduto milioni di copie. Engels afferma che la tendenza generale del capitalismo è quella di tendere alla fine verso la proprietà e il controllo statale e che il fatto che la proprietà sia in mano allo stato non lo rende meno capitalista: semplicemente i lavoratori continuano ad essere sfruttati dai capitalisti di stato.

C’è un scritto precedente, e questo è tratto da un libro differente, dove Marx afferma che per creare una nuova società abbiamo bisogno di persone nuove. Queste sono create nell’attività e abbiamo bisogno di una rivoluzione non solo perché la classe dominante può essere schiacciata solo in una rivoluzione, ma necessitiamo di una rivoluzione per cambiare le persone stesse che la compiono. In questo modo acquisiscono le capacità di creare una certa società. È chiaramente il contrario di quello che pensa la maggior parte dei marxisti. Molti marxisti pensano che sia necessario cambiare le persone, convincendole a parole. Devi convincerle e poi fai la rivoluzione, ma Marx dice l’esatto contrario e cioè che è il processo rivoluzionario che cambia le persone.

Siamo andati tutti nelle fila dei lavoratori. Stavo lavorando a Washington dopo la scissione con il SWP. Nella scissione iniziale, la maggior parte dei membri del SWP, che erano lavoratori, restarono nel partito, c’erano alcuni che lavoravano nell’industria automobilistica, i camionisti dei teamsters[14] a Minneapolis e ST.Paul, ecc. Andammo a Detroit e formammo una sezione. Andai a lavorare in fabbrica. Non c’è modo per conoscere cosa venne prima, ma chiaramente la combinazione dell’idee che il gruppo di James aveva e l’esperienza di lavoro nello stabilimento ebbero un impatto che entrambe, separatamente. non avrebbero potuto avere.

Mi ricordo che ad un certo momento c’era un afro-americano chiamato Morgan Goodson, un tipo che aiutai ad reclutare, che era stato nell’industria siderurgica in Alabama. Era un militante sindacale combattivo e un buon organizzatore, ma decise che non avrebbe più potuto continuare a lavorare nell’industria dell’acciaio. 

Avrebbe potuto perdere del tempo, ma non gli avrebbero mai concesso la posizione e la competenza che gli spettavano.

Così venne a lavorare nell’industria automobilistica. L’abbiamo reclutato e abbiamo deciso che avremmo avuto bisogno di un gruppo nel suo stabilimento.

Tre di noi fecero richiesta di assunzione e vennero presi. Fui fortunato. Era uno stabilimento piuttosto grande e fui assunto nello stabilimento a sud della strada e gli altri due nello stabilimento a nord di questa.

Dopo che ti trovavi là per più di sei mesi acquisivi l’anzianità (seniority) e potevi candidarti come delegato. Mi candidai e venni eletto. Uno di loro, Stanley Engelstein, disse che avrebbe dovuto essere lui a candidarsi perché odiava il lavoro più di quanto lo odiassero gli altri ragazzi. L’altro ragazzo, Sammy Fishman, era un giovane operaio di NY abbastanza sgamato. 

Più tardi Sam divenne dirigente della Cio del Michigan, così che gli fu facile imparare ad essere un burocrate. Si può dire che imparò bene la lezione. 

Il fatto che vai a lavorare in fabbrica e vivi con i lavoratori non significa che stai per apprendere niente se il tuo atteggiamento è quello che non puoi imparare niente dai lavoratori e devi solo insegnarli…Se hai un atteggiamento: “Bene odio il mio lavoro. Sto compiendo un sacrificio. Devo assolutamente diventare un delegato così posso fuggire da questa dannata situazione senza senso”.

Ci sono un altro paio di cose. Ciò che impari è un certo rispetto per i lavoratori e quello che fanno. Non è la cosa più semplice al mondo da imparare.

Mi ricordo che quando andammo a Flint (periferia di Detroit) stavo lavorando alla Buik. Un inverno venni licenziato e andai a cercarmi un lavoro temporaneo. “Cosa conoscevo?”Ero stato un giornalista “radicale”, potevo svolgere una lavoro da editore, ecc. Andai in vari giornali, ma non avevo referenze.

Come puoi prendere un lavoro del genere? Poi incominciai a capire, che un singolo fatto ti fa pensare in maniera molto differente al tuo lavoro e a quello che vuoi fare: questo posto è dove rimarrai per la tua fottuta esistenza. Cose che appaiono così dannatamente semplici, perché sono semplicemente assunti banali, non sono poi così semplici quando si tratta di dove sarai per il resto della tua esistenza. Non puoi permetterti di non lavorare troppo tempo perché se no la tua famiglia muore di fame.

Ma non lo apprendi automaticamente, perché se ci stai in mezzo indottrinato con l’idea che sei là a sollevare i lavoratori dal loro stato di ignoranza non lo noti, ecc.

Non c’è una risposta semplice, ma penso che sia una combinazione tra l’essere in mezzo ai lavoratori per vent’anni, non facendo mai finta di essere un lavoratore tra gli altri e nello stesso tempo avendo certe idee e principi fondamentali che ti permettono di osservare le persone in un certo modo.

Abbiamo vissuto in un quartiere operaio nella parte ovest di Detroit, dopo tornammo di nuovo a Flint. Mia moglie lavorava in un piccolo stabilimento di componentistica per l’automobile chiamato Automotive Spring a circa sei caseggiati distanti da dove abitavamo. 

La maggior parte dell’organico era composto da operaie. La maggior parte dei capi erano uomini ed era uno stabilimento non sindacalizzato. Ci furono almeno tre tentativi di organizzarlo. Vennero i Teamstears e penso che l’UAW provò un paio di volte, ma non riuscirono ad organizzarlo.

Mio moglie ed io ne parlammo e mi descrisse una situazione che sembrava abbastanza avanzata. Tutte quelle che lavoravano lì, o avevano lavorato in precedenza in fabbriche sindacalizzate o avevano un marito che lavorava in un uno stabilimento dove c’era il sindacato. Sapevano di cosa si trattasse. Non c’era nessuno appena arrivato del sud con un bagaglio di pregiudizi anti-sindacali…

Ciò di cui erano all’occorrente, era che, se il sindacato fosse entrato, sarebbero accadute due cose: avrebbero avuto aumenti di stipendio, e sarebbero aumentati i ritmi di lavoro. Questo era l’accordo nelle Big Three. Prendi dei bonus monetari (fringe benefits) fuori dal lavoro insieme alla paga base, ma il lavoro peggiora.

Decisero semplicemente in modo passivo che, siccome erano donne, avrebbero potuto fare affidamento su un’altra paga. Consideravano  che c’era una altra fonte di reddito, fondamentale, nel bilancio familiare, ma quello che facevano realmente o no, non era importante, avrebbero lavorato come stavano lavorando e avrebbero dimenticato gli aumenti salariali.

Votarono contro il sindacato. Ora, formalmente, questa è una posizione reazionaria: essere contro il sindacato. Come puoi essere contro il sindacato? Ma se cerci di comprendere perché le persone la pensano a quel modo imparerai qualcosa che non apprenderesti, se pensassi che qualsiasi cosa fanno che non ti trova d’accordo sia sbagliata! È sensato che le persone si comportassero in quel modo.

Questo insegna anche qualcosa sui limiti del movimento sindacale che la “vecchia sinistra” non è mai riuscita a comprendere. Il sindacato è solo qualcosa in più, che non cambia più di tanto la situazione, giusto? In situazioni ordinarie direi di sì, ma si devono comprendere le contraddizioni e così via.

Qualcuno di noi è coinvolto in organizzazioni politiche composte da poche persone. Puoi dirci qualcosa sull’organizzarsi nel contesto attuale?

Prima di tutto, ognuno ha il diritto di avere orientamenti politici e di organizzarsi per i propri fini, premesso che non pensi che stia per dirigere la prossima rivoluzione. L’attività organizzativa dovrebbe sviluppare più contatti possibili con l’ attività generale della classe.

Ricordo un ragazzo chiamato Greenberg, che era un musicista molto dotato e che finì per lavorare in fabbrica. Andò a lavorare in fabbrica perché questo era quello che supponeva che dovesse essere fatto e fu un fiasco per lui. Ora, cosa cavolo andava a fare in fabbrica? Niente.

Come persona dotata di un certo talento per la musica poteva fornire il suo contributo alla società. Non alla rivoluzione direttamente, ma alla rivoluzione indirettamente.

Questa concezione della militanza da cui scaturiva questo modo di pensare era diretta filiazione del fatto che la tua attività era vista come un sacrificio. Se è così, allora c’è uno sbaglio a monte. Non è che non sacrifici niente e certamente corri dei rischi. Perdi il lavoro se sei un militante, ma fondamentalmente l’attività politica dovrebbe confermare la tua umanità. In termini concreti, dipende da dove sei. Se sei in un campus universitario allora è lì che sei.

L’idea che, se stai andando a lavorare in fabbrica, andrai a “fare la differenza” non ha senso. Certamente puoi sostenere gli scioperi anche come intellettuale. Concretamente penso che una delle cose più importanti sia far circolare della stampa. Anche se si incomincia con un bollettino che condivide delle idee, che discute di queste e che presenta dell’esperienze. Impact! (bollettino di contro-informazione Statunitense, N.d.T) lo fa o  almeno, ci prova.

Presi singolarmente penso che non abbia un gran impatto; da un lato, comincio a rendermi conto che ci sono un numero crescente di questi fogli in tutto il paese, in tutto il continente. Non hanno necessariamente contatti gli uni con gli altri. Non si conoscono nemmeno, ma c’è del materiale che continua a circolare.

Ciò che non c’entra è ciò che chiamerei una concezione borghese del tempo (middle class time), e non una prospettiva storica (historical time).

C’è una teoria in sociologia che considera la classe operaia realmente arretrata perché dipende dalla gratificazione istantanea, mentre sono piuttosto dell’opinione che sia la classe media che necessiti di una gratificazione immediata: la classe operaia non ha fatto niente per 3 settimane. E che diamine, non farci caso! La rivoluzione può essere 30,40,50 anni distante.

Se non si comprende questo… é  una delle cose che ha portato al declino della “Nuova Sinistra”. Stavano cambiando il mondo e il mondo non cambiò poi così tanto. Bene, andiamo a cercare un lavoro in una scuola di legge o all’università.

Ci sono troppe che sono giuste nel marxismo per dire: “bene, questo prova che Marx si sbagliava”

Hai una visione storica ed un senso della classe se ci sei dentro, oppure no. Non dico che tutti devono entrare nelle fila della classe lavoratrice.

Ci deve essere un modo di comunicare gli uni con gli altri, con la società nel suo insieme e con la classe lavoratrice, in entrambe le direzioni. Cosa successe a Seattle? In questo sciopero selvaggio? Perché? Come? Le persone hanno bisogno di impararlo, i lavoratori hanno bisogno di apprenderlo. Lo fanno ad un certo livello. I lavoratori non sono folli. Leggono i giornali, ascoltano i notiziari serali.

Per quanto siano distorte le notizie sanno che due stabilimenti di Flint si sono fermati e l’intera General Motors del nord america s’è fermata in qualche settimana[15]. Questo è un potere tremendo, che altrimenti non immagineresti di avere, quando l’unica cosa a cui pensi è che devi muovere il culo al lavoro ogni fottuta mattina. È parte della coscienza della classe lavoratrice. Sai che non può pensarci su troppo, senza che questo ti faccia impazzire. Penso che sia qualcosa che devi sperimentare. Fai ciò che puoi e ne fai tesoro. Qualcosa funzione e qualcos’altro no.

Uno dei problemi è che tutti sono consapevoli che stiamo attraversando un periodo reazionario (conservative period). Non penso che sia un periodo reazionario. Penso che il governo sia divenuto reazionario. Negli Stati Uniti, il 50% o più della popolazione non partecipa nemmeno all’elezioni. Non è perché sono arretrati. È perché sono cinici e penso che abbiano ragione ad essere cinici. Quello che stanno dicendo è: non c’è niente per noi in questo. Si incomincia a lavorare da questo.

Per me, questo significa che la situazione è esplosiva, non è che i lavoratori siano arretrati o reazionari.

Non stiamo per uscire da questa situazione semplicemente perché Sweeney sta per organizzare più lavoratori.

Queste sono cagate! In effetti è stato incapace di organizzare più lavoratori.

Uno dei punti che menzionavi precedentemente il fatto che sebbene hai lavorato in fabbrica per venti anni, non ti sei mai sentito propriamente solo un operaio.

Non ho mai fatto finta di essere un operaio, lo ero effettivamente. Percepivo un salario e specialmente dove vivevo a Flint tutti erano operai. Ma questo divenne chiaro quando non ero riuscito a trovare un posto come editore.

Alla fine trovai un lavoro quell’ inverno, tramite kermit Johnson, che era stato uno dei leader dei sit/downs. Era stato messo nella lista nera dalla GM e stava lavorando nelle costruzioni sui tetti a costruire un nuovo stabilimento della GM. Mi procurò un lavoro temporaneo e mi iscrisse al sindacato. 

Il punto è che quando accadono cose come queste inizi a renderti conto che lavorare in fabbrica per dieci anni di fila o lavorarci ogni Estate e per poi tornare a scuola in Autunno, non fa di te un operaio, nel senso che i lavoratori devono pensare al modo in cui vivono, al modo in cui lavorano. Parte di questo l’ho messo giù in poesia perché non sono riuscito a trovare un altro modo per esprimerlo.

Puoi parlare della sinistra e della classe lavoratrice oggi. Molti nuovi leftists non vedono la ragione o i legami con la classe, ma anche la sinistra più tradizionale non ha attualmente molti contatti con la classe.

E un sacco di loro sono molto settari. “il buon lavoratore”. Ciò di cui stanno parlando è solo riferito a sé stessi. Molti di loro sono molto antiquati. È un marxismo molto tradizionale. La classe operaia è importante per due ragioni. Prima di tutto puoi anche parlare della società dell’informazione opposta alla società della produzione, ma la società non esiste senza cibo, vestiario, costruzioni edili, trasporti e comunicazioni. Tu fermi una scuola, bene, hai fermato una scuola.

Hai fatto un bel casino, ma è tutto quello che hai fatto.

Fermi la GM, hai fermato i trasporti. Fermi le fabbriche siderurgiche, fermi le miniere di carbone.  

Secondo, c’è la natura del lavoro, l’alienazione. Le persone resistono. È vero di ogni tipo di lavoro. Il livello di alienazione di un professore universitario non è il livello di alienazione che c’è nella catena di montaggio. È parte della realtà. Non dipende da qualcuno che va nelle fila del proletariato. Puoi convincere un professore universitario a divenire un socialista.

Puoi anche convincere un lavoratore a diventarlo, ma questo, non muove migliaia o milioni di persone.

È perché, per me, quello che è successo in Ungheria nel ’56 o in Francia nel ’68 è così dannatamente importante.

In Ungheria, dieci anni in uno stato totalitario. Come è potuto accadere? Una manifestazione di massa in solidarietà con l’opposizione in Polonia. Ci sono stati scontri di strada e in 24 ore i lavoratori di Budapest hanno preso il controllo delle fabbriche, degli uffici, - i mezzi di produzione – e hanno creato dei consigli operai per mandarli avanti. In 48 ore s’è diffuso a tutta l’Ungheria. Dopo un paio di settimane, la rivoluzione era stata schiacciata, non da nessun potere all’interno dell’Ungheria, ma da una invasione dei tank sovietici.

In Francia, un paese molto differente: democratico, non c’era depressione, un partito comunista, un partito socialista, sindacati legati al PC, altri legati al partito socialista, partiti d’opposizione. Dieci milioni di lavoratori in 48 ore hanno preso il controllo di tutte le fabbriche in Francia. Come è potuto accadere? Marx, Engels e Lenin si sarebbero buttati a capofitto. La sinistra disse, oh no, molto interessante ma non avete un partito d’avanguardia. Ecco perché hanno perso. Sono Stronzate! Se avessero seguito un partito d’avanguardia, prima di tutto, non sarebbe successo quello che è successo. Perché era proprio quello che il partito comunista e il partito socialista erano contro. Sono riusciti alla fine a portarli fuori dalle fabbriche e a ottenere richieste sindacali tradizionali, aumento dei salari e così via. 

La differenza tra la Francia e L’Ungheria è stata essenzialmente che nei primissimi giorni della rivoluzione in Ungheria c’erano segni visibili del collasso dell’esercito. Nell’esercito ungherese i soldati o si unirono alle file degli insorti rinunciando a puntare le armi contro di loro o semplicemente ruppero le fila. Mentre in Francia non c’è stato alcun segno di indebolimento della struttura militare. In seguito De Gaulle riuscì ad incontrare il suo comandante dei corazzieri, che era in Germania, e gli chiese se avesse sostenuto il governo, lui rispose di sì e De Grulle ritornò e riporto tutto alla calma. E nulla successe. I lavoratori non sono stati sconfitti, ma andarono così avanti e poi ripiegarono[16]. 

La natura della rivoluzione è differente dalla natura di una riforma.

Non mi pongo in opposizione alle riforme. Non penso che riforma o rivoluzione sia una questione dirimente almeno che tu sia per le riforme ma che ti opponi alla rivoluzione, ma se i lavoratori non hanno ottenuto aumenti salariali, non hanno costituito delle organizzazioni sindacali, e non hanno fatto passare un certo numero di leggi a loro favore, se non si sono battuti per tutto queste cose nel corso di una generazione, non sei sul punto di avere una rivoluzione.

Su che cosa la puoi far poggiare. La sostieni sul fatto che ciò che è inevitabile, è la lotta. E che sia semplice sabotaggio o ubriacarsi nel week-end perché non puoi sopportare il fatto che il lunedì dovrai andare la lavoro, è sempre resistenza.

Quello che la borghesia considera come resistenza è molto di più di quanto la sinistra consideri tale. La borghesia interpreta il lasciare il lavoro e andare da qualche parte, come resistenza, perché le costa.

Tutte le categorie della sinistra come resistenza sono giudizi formali in accordo con la politica rivoluzionaria. Sono cagate! Una delle cose che sono sicuro innervosisce di più la sinistra è ciò che è successo durante la rivoluzione ungherese a proposito dell’abbattimento della statua di Lenin. Sono sicuro che Lenin stesso vi avrebbe preso parte, considerato cosa diavolo significassero in quel momento quelle statue. Rappresentavano una dittatura totalitaria. 

É stata l’idea trainante di Wartime strikes. L’idea che nella UAW durante la seconda guerra mondiale la maggioranza votò a favore la clausola anti-sciopero, e mentre la votazione stava avvenendo, la maggioranza assoluta dei lavoratori del settore auto-mobilistico scesero in sciopero. Così, a che cosa diavolo credevano: alla clausola anti-sciopero o al fatto che avessero il diritto a scioperare?

È contraddittorio. Credevano che ci dovesse essere una clausola anti-sciopero, ma quando il capo lì guardava a quel modo, prendevano su e scioperavano. È ciò di cui Marx parlava. Marx diceva che non è importante cosa pensi un singolo lavoratore, o anche la totalità della classe, è importante cosa sarà costretti a fare. I lavoratori sono costretti a resistere alla natura del lavoro.

E sta divenendo sempre peggio. Ogni resoconto sul nuovo lavoro automatizzato, tutto ciò che sento da tutti fuori degli stabilimenti automobilistici è l’intensificazione dei ritmi. Se qualcuno mi viene a dire che i lavoratori stanno dicendo “Che figata! Sono felice di essere qui” , OK, allora gli e la do su con la rivoluzione, ma non siamo nemmeno vicini a qualcosa del genere.

Puoi dirci qualcosa della tua attività?

Sostanzialmente più che altro scrivere e pubblicare. Penso di iniziare un libro sulla classe, razza e coscienza. È essenziale rifiutare l’idea che non poù succedere alcun che fino a che i lavoratori bianchi sono razzisti. Non so a cosa si pensi dei lavoratori russi fossero nel 1917.

Erano sessisti. Erano nazionalisti. Molti di loro erano sotto l’influenza della chiesa. Ma hanno fatto una dannata rivoluzione che ha cominciato a cambiarli. Che ci sia una esplosione sociale o meno, non dipende da nessun atteggiamento formale o dal fatto di sostenere questa o quella particolare organizzazione. Può non succedere.

Per finire, Qual’è il tuo giudizio sui fatti di Seattle nel Novembre del 1999?

Ci sono un bel po’ di problemi che a) sono complicati b) non possono trovare soluzione. Se sei un socialista, sei internazionalista. Perché i lavoratori in Messico non dovrebbero avere questi posti di lavoro. Non dovrebbero essere pagati un decimo di quello che sono pagati i lavoratori americani…Ma se sono un delegato non posso sostenere questo. Non posso dire alle persone che rappresento che hanno diritto a quei posti di lavoro tanto quanto noi. Non è quello per cui sono stato eletto. Così, parte di questo è fuori dal tuo controllo. È il modo in cui la borghesia funziona e ha sempre funzionato. Tutto questo parlare di globalizzazione, è strano. Prima di tutto non c’è nessun segno del declino dello stato nazione. In special modo, non c’è nessun segno di declino del potere americano. Molto di quello che è successo in Africa è stato perché la pressione dello stato americano ha supportato la sua borghesia.

Mettilo nel giusto contesto. Marx l’ha scritto nel Manifesto del partito comunista. Non è qualcosa che è spuntato con il solo questa mattina. Inoltre, qualcuno si ricorda la frase “il sole non tramonta mai sull’impero britannico”? è la globalizzazione. Che differenza c’è? La differenza non sta nel Fondo Monetario Internazionale, la differenza è nella rivoluzione coloniale. La globalizzazione all’inizio di questo secolo consisteva nei poteri Europei che avevano colonie, il che significava che avevano il controllo dei mercati e significava che avevano il controllo delle risorse delle materie prime. Dopo la seconda guerra mondiale hai avuto la rivoluzione coloniale: India, Africa, ecc.

Qual è stato il risultato? Il risultato è stato che qui mercati non potevano essere più chiusi. Che cosa fa apparire questo una vittoria dell’imperialismo americano perché chi era là?

Gli Stati Uniti.

Gli Usa ha preso il posto dell’Olanda come potenza principale in Indonesia, hanno preso il posto della Francia nel medio-oriente, e hanno preso il posto della Gran Bretagna nel sud America e nei Carabi. Il processo è in corso da quando esiste il capitalismo. È ciò che succede da 200 anni. Solo la forma è cambiata. Come ti poni rispetto a questo? Dipende da dove sei.

Se sei in uno stabilimento e i tuoi posti di lavoro stanno per essere delocalizzati in Messico o in Thailandia, questo è un problema. Ma se tu hai un modo socialista di vedere le cose, una delle cose che significa è che il proletariato è sul punto di apparire in un paese sotto-sviluppato. Presto o tardi questo significa che ci sarà resistenza in quel paese. Non posso dire questo ai lavoratori che rappresento, ma devo comprenderlo, per sapere i limiti di quello che posso fare.

Se qualcuno si candida come delegato e dice: “stiamo per impedire che i vostri posti di lavoro vengano spostati oltre-oceano” devi prenderlo con le molle. Non puoi farlo. Il che non è detto che non si possa fare molto di più di quello che sta facendo il movimento operaio ufficiale.

Perché quello che ha fatto fino ad ora è stato essenzialmente svendere tutti i lavoratori più giovani per proteggere il nocciolo duro dei propri iscritti, vicini alla pensione: tu proteggi il tuoi lavoratori e fai concessioni alla ditta sulla pelle dei nuovi assunti. Quando lavoravo, la differenza tra la paga di uno appena assunto e la paga che percepivi dopo sei mesi, quando ottenevi il primo scatto d’anzianità, era di circa 10 cents all’ora. Prendevi 5 cents in più il primo mese e prendevi un 5 cents in più dopo un paio di mesi. Ora è un paio di Dollari. È una grossa differenza. Così l’azienda fa un sacco di soldi sui nuovi assunti per anni prima che vengano incorporati nella forza lavoro meglio retribuita. I sindacati usano questo per aumentare il valore delle pensioni, incrementare gli stipendi dei lavoratori con più elevata anzianità lavorativa. Per mantenere la base all’interno dei tuoi ranghi sacrifichi il resto dei lavoratori. Anche i pensionati possono comprendere la differenza.  

 

[1] Fare storia di movimento con “Radical America”, J.Green, in Acoma, Rivista Internazionale di studi Nordamericani, n.15, intervista con Herbert Gutman, a cura di Bruno Cartosio, Acoma, n.6 sul sito:  www.unibg/acoma

Dei numerosi contributi di CRL James, militante rivoluzionario, giornalista sportivo, critico letterario, saggista politico non è stato tradotto praticamente nulla in Italiano, tranne l’ormai introvabile I Giacobini Neri, Feltrinelli, 1968 e l’unico testo uscito in Italia sull’autore, CRL James, il Platone Nero, di Federico Gattolin, edito da Prospettive Edizioni, 2002, roma, tratta solo marginalmente e molto confusamente l’esperienza degli anni ’40, ’50 e ’60, a cui James ha partecipato, liquidando inoltre le esperienze di Correspondance e Facing Reality, come “operaiste” e “spontaneiste” e non dicendo praticamente nient’altro sulla loro attività, l’evoluzione e il bilancio che fece chi vi prese parte.

Nello studio non vi è straccia delle vivide descrizioni della vita di fabbrica, delle contraddizioni della militanza sindacale, degli aspetti della vita metropolitana in una delle più gigantesche concentrazioni operaie nel dopoguerra, nonché l’originale livello di elaborazione teorica, in rapporto al contesto in cui scaturiva.

L’autore non cita la rete di contatti internazionali di queste esperienze e non cita nemmeno in bibliografia, l’unico contributo della J-F Tendency parzialmente tradotto in Francese e in Italiano: l’Operaio americano, in cui emerge tra l’altro, nella seconda parte, non tradotta, la profonda influenza esercita dai Manoscritti economici - filosofici del ’44, tradotti dalla Tendency. L’American worker ha influenzato l’elaborazione dei gruppi europei della sinistra anti-burocratica di quegli anni: è stato per così dire l’archetipo delle successive testimonianze operaie pubblicate da questi gruppi. L’autore, seppure parli ampliamente del dibattito sull’organizzazione indipendente degli afro-americani tra Trotsky e CRL James, presenta tale dibattito, nel modo in cui viene esposto, sempre distaccato dalle condizioni storiche in cui questo maturò, mutilato delle sue origini e delle sue prolifiche conseguenze. Non volendo qui fare una recensione approfondita al libro, ci limitiamo a dire che il grande merito di questo studio è il fatto di essere assolutamente pionieristico in Italia, e nell’aver fatto alcune critiche puntuali al retaggio leninista di James, critica che si potrebbe fare allo stesso Marty, come alla sua posizione e ai suoi comportamenti rispetto alle rivoluzioni anti-coloniali. La sua più grande mancanza sta nelle omissioni e nelle sotto-valutazioni di un percorso collettivo che ha visto James essere un esponente di spicco e nella quasi totale assenza del contesto in cui lui, e i suoi compagni si sono mossi in quegli anni.

Testi di James e su James e della Tendency sono disponibili in inglese nel sito: www.crljamesinstitute.org e sul sito www.marxist.org.  

[2] The revolutionary Optimist: Remembering C.L.R James, M.Glaberman, sul sito: www.org/solidarity/atc

[3] L’esperienza proletaria, Claude Lefort, in Socialisme ou Barbarie, n.11, novembre-dicembre 1952, tradotto in Collegamenti-wobbly, n.4-5 nuova serie

[4] the revolutionary optimism, cit.

[5] Partito trotskysta statunitense, sezione americana della Quarta Internazionale fondata nel 1938, sotto la leadership di J.P.Cannon, Cfr. I primi 10 anni del PC americano, Jaca Book, giugno 1977, Milano

[6] Il Workers Party si costituisce nel 1940 sotto la guida di Max Shachtman, anch’esso facente parte della Quarta Internazionale. J.R Johnson (pseudonimo di C.L.R. James), F.Forest (Raya Dunayevskaya) e altri, tra cui Glaberman, aderiscono alla proposta shachtmaniana di fondare il partito al di fuori del “convervatorismo burocratico” di J.P.Cannon, e contro la capacità della leadership di maggioranza “di elaborare o portare un programma d’azione, e in particolare l’incapacità di fare del Programma di transizione trotskiano una realtà vivente”. Citaz. Da “War and Bereaucratic conservatorism”, documento del WP del 1940.

[7] Dunayevskaya Raya (1910-1987), trasferitasi ancora bambina dalla Russia agli USA nel 1922; iniziò giovanissima il suo attivismo politico e, ancora ragazzina, venne espulsa dal Partito Comunista statunitense a causa delle sue posizioni trotskyste. Negli anni trenta fu segretaria di Trotsky, poi però ruppe con lui per divergenze sull’analisi della natura di classe dell’Unione Sovietica. Fu fondatrice, con C.L.R. James, del Johnson-Forest Tendency. Successivamente divenne fondatrice e leader del News and Letters Committees, un gruppo incentrato su idee di marxismo-umanitario, le sue posizioni sono sempre state però piuttosto distanti da quelle degli altri ‘Umanisti’ quali Fromm, Marcuse e Luckas.
A lei si devono le prime traduzioni dei Manoscritti economici e filosofici di Marx e dei Quaderni filosofici di Lenin. Quest’ultimo libro ebbe una forte influenza su tutte la sua vita politica, per quanto, negli ultimi anni della sua vita, le si sia distaccata da Lenin criticandone la teoria del partito.
Tra i suoi scritti ricordiamo: Marxismo e libertà, dal 1776 fino ad oggi (1958), Filosofia e rivoluzione. Da Hegel a Sartre e da Marx a Mao (1973), Rosa Luxemburg, liberazione delle donne e La filosofia della rivoluzione di Marx (entrambi del 1982).

[8] Il libretto comparve come “Discussion Bullettin N°4” interno allo SWP nel 1950, anno in cui verrà stampato anche autonomamente dalla Tendency. La ristampa del 1956, a cura di Correspondance, viene fatta precedere da una nuova traduzione firmata collettivamente da Johnson, Christianson, Chaulieu, Brendel, Maassen, Hughes, esponenti della rete internazionale di contatti di gruppi della sinistra anti-burocratica degli ani ’50 e ’60 fuori dalle organizzazioni e dai partiti istituzionali e le formazioni trotskyste o bordighiste.

[9] La coesistenza nel partito di Schachman della Tendency dura fino al 1947. Nel 1948 ritorna in seno al SWP, abbandonando Shachtman e il suo partito ad un destino di involuzione politica che si concluderà poi con la confluenza nel socialdemocratico Socialist Party.

[10] The American Worker fu pubblicato per la prima volta nel 1947, scritto da Paul Romano, un giovane lavoratore della General Motors di uno stabilimento del New Jersey, che impiegava circa 800 operai. Un sito produttivo che per l’industria automobilistica dell’immediato dopoguerra, era relativamente minuto, paragonato ai circa 60.000 dello stabilimento della River Rouge della Ford. La seconda parte, scritta da Ria Stone, completante la prima, ne era il necessario e inseparabile continuum di orientamento teorico, e nella volontà degli animatori, un tentativo di superare in un raggruppamento marxista la divisione tra il contributo di un lavoratore e quello di un intellettuale. In Francia, Socialisme ou Barbarie, inizia la pubblicazione a puntate dell’Ouvrier américaine, nel marzo-aprile del ’49, che si protrarrà per tutti i primi otto numeri della rivista. La prima parte fu tradotta in Italiano usando la traduzione francese e confrontandola con l’originale inglese, da Danilo Montaldi e apparve a puntate su Battaglia Comunista dal Febbraio-Marzo del 1954 al Marzo dell’anno successivo. Ora è contenuta nell’antologia di scritti di D.Montaldi Bisogna Sognare, scritti 1952-1975, a cura dell’ Associazione culturale Centro d’Iniziativa Luca Rossi, Coop.Colibrì, Milano 1994.  

[11] L’intervista citata apparsa su i QP, oltre al volume già citato e alla raccolti di articoli, lotta di classe e razzismo, Laterza, Bari, sempre di James Boggs, danno la cifra delle posizioni da loro assunte dopo l’esperienza di Correspondance e Facing Reality, che porterà il gruppo al suo livello più basso.

L’ intervista alterna spunti di riflessioni interessanti rispetto al riot di Detroit nel ’67 e al ruolo del sindacato: << l’apparato del sindacato, è come la polizia nelle strade>> a prese di posizioni molto discutibili, dalla futura scomparsa del lavoro di fabbrica a causa dell’automazione, all’insuperabile sentimento razzista della classe operaia bianca: <<l’operaio bianco povero ci tiene più al suo razzismo che al suo benessere economico…La loro mentalità è sedimentata generazione su generazione…I giovani bianchi si arruolano nella guardia nazionale perché si preoccupano del fronte interno… Con gli operai bianchi noi non vediamo altro che scontro>>, al primato del nazionalismo nero visto come sbocco politico dell’azione anti-coloniale della comunità afro-americana negli States: <<il movimento del potere nero si propone compiti di leadership anche a livello teorico>> e soprattutto la visione enfatica della Rivoluzione Culturale, di Mao, della sua azione e del suo pensiero: <<oggi il centro della rivoluzione non è l’Europa, ma è la Cina… Dobbiamo guardare là dove c’è la forza e avere un punto di riferimento internazionale: il punto di riferimento è la Cina >>.

Rispetto alla rivolta di Detroit del ’67 dopo avere chiarito che << le rivolte dei neri non possono avere successo a causa della loro spontaneità, … Tutte le rivolte dei neri sono state spontanee salve alcune…Sono eruzioni spontanee, senza l’idea precisa di impadronirsi del potere>>, aggiunge che: << La paralsi dell’economia può essere molto più ed è in effetti molto più profonda di quella dello sciopero operaio…A Detroit tutto si Fermò… Dove i Neri occupano un’area tanto vasta, e in particolare quella tutt’attorno al complesso industriale, allora c’è la paralisi completa. Questo bisogna capirlo: è più una guerra che uno sciopero. La rivolta, in particolare una rivolta strategica condotta dai neri nelle città, è un tipo di guerra e ha l’effeto di paralizzare un territorio, in un certo senso anche di controllarlo>>.

[12] Sulla League of revolutionary black workers si può leggere in inglese League of revolutionary black workers (a historical sudy) di A.Muhammad Ahmad, sul sito: www.geocities.com/CapitolHill/lobby/2379; Detroit: I Do Mind Dying, Georgakas, Dan, and Surkin, Marvin, New York, St. Martin’s Press, 1975. In Italiano si può leggere sulla situazione della classe operaia nera a Detroit, filtrata, allora, in Italia: l’intervista con James e Grace Boggs sui Quaderni Piacentini, n. 35, Luglio ’68; Lettere dall’america, Dan Georgakas, QP, n.38, Luglio ’69;  USA ’70, Le lotte, il programma degli operai neri, a cura di Philadelphia Solidarity, Colin Ericson, LBRW, Collettivo esteri di Potere Operaio, Edizioni Politiche, Padova, Marzo 1971; L’altra america: i neri: 1870-1970, Nando Minella, Gammalibri; il programma della League è riprodotto anche in Malcom X e l’altro sogno americano, a cura di Sergio Maria Calzolari, Synergon, genn. 1993, Bologna.

Dall’intervento di alcuni attivisti afro-americani in uno sciopero selvaggio di uno stabilimento in cui lavorano nasce il DRUM, a seguito della repressione che colpì quasi esclusivamente operai di colore.

Il riot del ’67 a Detroit radicalizzerà la classe operaia di colore, permettendo ad alcuni attivisti, formatesi negli anni precedenti anche sotto l’influsso dei coniugi Boggs, di avere terreno fertile per il proprio intervento che si strutturerà, prima con la diffusione di bollettini aziendali, con un lavoro capillare nella comunità afro-americana, tra cui le scuole superiori e il bacino di consenso degli studenti universitari tramite l’Inner City Voice. Nei bollettini aziendali che prendevano il nome delle fabbriche in cui erano prodotti, venivano denunciate le condizioni di lavoro, gli atteggiamenti razzisti, la passività e la negligenza del sindacato. Questi fogli fungevano da strumento di auto-indagine della classe, di collegamento e irradiazione nell’area metropolitana di Detroit, riuscendo a organizzare scioperi selvaggi dall’esito positivo e facendo emergere le contraddizioni dell’organizzazione sindacale, nonostante la lotta sporca ingaggiata da polizia e racket sindacale contro questi tentativi di organizzazione.

A differenza del Black Panther Party, la League, nata dall’organizzazione dei vari revolutionary union momement, che aprì una sezione delle Panther a Detroit, per evitare lacerazioni politiche nel tessuto degli attivisti e della comunità afro-americana, focalizzava il suo intervento sulla classe operaia di colore, che riteneva un soggetto sociale centrale nello sviluppo dell’ipotesi rivoluzionaria in America, e criticava le Panthers per la poca attenzione nei confronti delle conseguenze, che alcuni comportamenti avrebbero avuto, sui militanti della propria organizzazione, esponendoli alla repressione.

Il licenziamento di un militante, con la conseguente perdita di un rapporto di internità con una situazione di lavoro e il problema di dovere assicurare la sua sopravvivenza, vista la facilità con cui questi tradizionalmente venivano messi sulla “lista nera”, dovendo fare così affidamento sulla comunità per la propria sopravvivenza, era un problema con cui i militanti della League avevano dovuto affrontare sin dall’inizio, tanto che optavano per far fare i picchetti ai membri della comunità, per rendere “invisibili” i propri militanti, già esposti, nel lavoro in fabbrica e in comunità, alla repressione della direzione aziendale, dell’apparato sindacale, delle forze dell’ordine.

[13] Rawick George P., Lo schiavo americano dal tramonto all'alba. La formazione della comunità nera durante la schiavitù negli Stati Uniti, Milano, Feltrinelli, 1979; Working Class Self-Activity,George Rawick, Radical America Vol.3 No.2 1969 sul sito di “Class against class”: www.geocities.com/cordobakaf ; Anni venti: lotte operaie Usa e Anni trenta: lotte operaie Usa in Operai e Stato, aa.vv., Feltrinelli, genn. ‘72

[14] Una ricostruzione sul movimento dei camionisti a Minneapolis e dell’influenza esercitata dal SWP negli anni ‘30 e in generale della parabola dei teamsters’ in quella città si trova nell’articolo di Primo Maggio, n.12

[15] Sullo Sciopero General Motors, GM strike shows labor doesn't buy capital's expansion at any cost, Andy Phillips, “News and Letters” e gli articoli su “Against the current” di Detroit.

[16] Andy Anderson, Ungheria 1956 – La comune di Budapest. I Consigli Operai, Edizioni Zero in Condotta, Imola 1990; Cornelius Castoriadis, La sorgente ungherese, in Collegamenti, per l’organizzazione diretta di classe, n.6/7 maggio 1979; Utile come antologia di testi della sinistra antistalinista degli anni ’50 è Lotta Comunista, Ungheria ’56 – Necessità di un bilancio, Edizioni Lotta Comunista, Milano 1986