Una
delle forme [di lotta più frequenti] – ed è la forma assunta solitamente
dagli scioperi a gatto selvaggio – è la seguente: stai lavorando ad una
macchina o sulla linea e vedi operai percorrere la linea in senso inverso al
flusso produttivo.
Guardi
in su, e non è l’ora del baracchino, e non è ora di uscire, e c’è un
sacco di gente che si avvia agli scaffali degli attrezzi. E così sai che stanno
mollando la fabbrica.
E
allora cosa si fa? Si spegne la macchina, si mettono gli attrezzi nella borsa e
si marca il cartellino. Non si ha idea di quello che succede. Quello che si sa
è che c’è sciopero… La “fabbrica” sparisce fino all’ultimo uomo. Poi
si esce e si domanda: “che cosa diavolo è successo? E le risposte possono
essere diverse…
Quello
che vogliono dire è che quando si esce, si può scoprire di essere pro o contro
lo sciopero, ma la caratteristica fondamentale della classe operaia è che prima
di tutto si sciopera… Si sciopera in massa. Non c’è un 51% dei voti per
scioperare.
Martin
Glaberman, Teoria e Pratica, Detroit, 1969
Marty,
come lo chiamavano compagni ed amici, si è spento ottuagenario il Dicembre
scorso.
Noi
che, purtroppo, non l’abbiamo conosciuto di persona, ma solo attraverso i suoi
contributi, avevamo deciso di tradurre quest’intervista apparsa sul sito: www.ca.geocities.com/red_black_ca
e pubblicata in opuscolo, circa un anno fa.
Eravamo
stati stimolati da un compagno d’origine inglese, che, tra l’altro,
riscontrava una forte affinità tra ciò che scriveva Marty e l’attività, che
alcuni di noi, che di lì a poco, daranno vita al CRAC (centro di ricerca per
l’azione comunista), portavamo avanti da qualche anno a Bologna, insieme ad
altri compagni, come Collettivo Precari Nati prima e Collettivo Rete
Operaia poi, pubblicando periodicamente, tra l’altro, un foglio di
contro-informazione operaia chiamato “Zona Industriale”.
Ci
piace ricordare Marty, come lo ricordano, in un In memoriam, apparso su
“Against the current” di Detroit, due compagni, con cui, insieme a uno (si
tratta di Seymour Faber) ha scritto, uno dei suoi ultimi contributi al movimento
rivoluzionario: Working for wages: the roots of Insurgency, pubblicato
dalla General Hall, a New York, nel ‘99.
Questi
compagni, descrivendo cosa stesse facendo nell’ultimo periodo, scrivono: continuò
anche a tenere seminari sul Capitale, una volta ci disse:”se volete mettere su
un gruppo di studio sul Capitale, ditemi in che posto e quando, e sarò là”,
arricchendo le sue spiegazioni con fatti tratti dalla sua vita quotidiana in
fabbrica e dalla sua militanza politica.
Per
alcuni di noi la scoperta di Marty, circa 4 anni fa, coincise con le prime
occupazioni in fabbriche di una certa rilevanza nel settore industriale
bolognese, dopo essere passati per il lavoro sui cantieri, in piccole ditte o in
attività nel terziario.
Le
vivide descrizioni della vita di fabbrica fornite da Glaberman, ci aiutarono a
capire meglio in positivo alcuni comportamenti, alcune attività di
resistenza quotidiana, che andavano dal tentativo di auto-ridursi i ritmi, alla
cooperazione per ridistribuirsi i carichi di lavoro, anche fuori dal posto di
lavoro, dalla complicità collettiva per dei furti quotidiani in azienda,
all’assenteismo.
I
suoi scritti ci diedero il “gancio mentale” per capire l’importanza di
alcune manifestazioni della vita quotidiana dentro e fuori il posto di lavoro:
dalle chiacchiere scambiate alla macchinetta del caffè, come al cesso o in
mensa, alla partita di calcetto aziendale o la pizza del venerdì sera tra
colleghi e “senza capi”.
Inoltre,
durante il periodo di lavoro stagionale in una fabbrica alimentare, capimmo la
necessità di avere, come lavoratori, uno strumento di comunicazione
riconosciuto come tale, che sopperisse al fatto di lavorare in reparti distanti,
su turni diversi, senza neanche la possibilità di incontrarsi nelle poche
assemblee. In questo foglio, di cui venimmo a conoscenza, tra le lamentele
quotidiane e l’ironia con cui venivano commentati gli articoli del giornale
aziendale - che ogni mese ti ritrovavi in busta paga -, potevano trovare spazio
articoli più “impegnativi” e più “complessivi”, sempre ancorati alla daily
life dei lavoratori, all’esperienza proletaria, per usare
un’espressione che divenne, da allora, parte del nostro lessico comune.
Il
fatto che ci colpì e che ci fece maturare la decisione di partecipare a questo
foglio, Soda Caustica, contribuendo nella stesura e nell’elaborazione:
anziché farne uno nostro, e quindi implicitamente accettare un confronto con
prospettive e background differenti dal nostro, che andavano dai
collaboratori sporadici ad alcuni delegati della FLAICA-CGIL, fu nel venire a
conoscenza che tale necessità era scaturita dai lavoratori stessi, non per
forza i più attivi, anche per un motivo apparentemente banale, come, nello
specifico, alcuni premi sottaciuti dati solo ad alcuni lavoratori.
Ci
colpì il fatto che questo bisogno potesse trovare una forma d’espressione
efficace come una vignetta disegnata da un operaio, piuttosto che una scritta
sull’armadietto, sui muri della fabbrica o sulle porte di un cesso, che questo
messaggio potesse avere un canale di comunicazione “clandestino”, che non
passava attraverso la bacheca sindacale, né attraverso altri canali della vita
politico-sindacale ufficiale, ma veniva appeso nei posti dove si prendevano le
pause o distribuito a mano a fine turno.
La
Soda Caustica che, diluita, veniva usata per la pulizia quotidiana delle
macchine, per la sua capacità di sterilizzare in profondità ogni residuo
organico, era divenuta in egual modo un agente corrosivo che cercava di entrare
in tutti i pori della vita aziendale, anche nell’inespugnabile fortezza degli
uffici, dove, anonimamente, alcuni lavoratori avevano fornito una vivida
descrizione della loro condizione.
Il
grado di auto-attività e di “avanzamento” dei lavoratori non cominciò, per
noi, a “misurarsi” solo nel numero, nella qualità e nell’incazzatura
degli interventi in assemblea (comunque importanti), né solo con i comunicati
nella bacheca politico-sindacale, nemmeno nella rigidità delle richieste nella
contrattazione e nella bontà del contratto collettivo interno, ma piuttosto
nelle quotidiane e dirette manifestazione di comunicazione e conflitto,
espressione embrionale dell’organizzazione diretta di classe, cioè nella
fisiologica “lotta a coltello”, contro il taglio dei tempi, il cumulo dei
carichi di lavoro, l’isolamento di fronte alla macchina, la gerarchia
aziendale, fino a mettere in discussione il Lavoro stesso.
In
un contesto a metà tra i bordi di una piscina, una sauna di vapori lattici, e
l’anticamera di una cella frigorifera, nello psicodramma collettivo quotidiano
della guerra di fabbrica: l’è una guera, l’è una guera,
ripeteva sempre un operaio, la ferrovia sotterranea della lotta di classe
correva lungo i poco visibili binari della resistenza quotidiana alle condizioni
di lavoro.
Marty,
insieme a Danilo Montali e al Gruppo di Unità Proletaria di Cremona,
all’esperienza di ICO in Francia, alla rivoluzione in Ungheria nel ’56, al
Maggio Francese, ai wobblies e a altre esperienze del movimento
rivoluzionario, attraverso lo stimolo e talvolta il filtro dei compagni di “Collegamenti-Wobbly”,
del “Centro di Iniziativa Luca Rossi”, di “Wildcat” in Germania ed
“Echanges et Mouvement” in Francia, ci ha fatto capire molte cose e
conoscere un pezzo di storia del movimento operaio USA, a tutt’oggi ancora
piuttosto sconosciuta in Italia, a cui il libro di Jeremy Brecher, Sciopero!,
Storia dell’insorgenza operaia di massa negli USA dal 1877 ai giorni nostri,
tradotto da Bruno Cartosio e pubblicato in due volumi dalla Salamandra nel
‘76, ci ha dato la cornice e buona parte del succo.
Abbiamo
fatto una breve introduzione su Martin, esponendo alcuni nodi da lui trattati.
Alcune
note introduttive
Il
percorso politico e la maturazione teorica di Martin Glaberman si sviluppano in
un arco temporale, che coincide, grosso modo, con la storia del movimento
operaio americano dalla metà degli anni trenta ai giorni nostri, e si intreccia
con la storia politica della sinistra marxista negli USA, ai raggruppamenti e
all’esperienze militanti a cui ha partecipato e che ha contribuito a
sviluppare, o con cui si è confrontato, dal Socialist Workers Party al Workers
Party negli anni quaranta, da Correspondance a Facing Reality
negli anni cinquanta e sessanta fino all’esperienza di Speak Out!, e di
Radical America negli anni settanta.
Certamente
non si può ridurre il suo contributo al movimento rivoluzionario, e la sua
formazione, alla sola riflessione sulla sua esperienza diretta di fabbrica a
Detroit e di militante comunista auto-didatta negli USA durante quest’arco
temporale, basti considerare l’importanza, per la propria maturazione
complessiva e per le feconde riflessione che ne trae, del dibattito sulla natura
delle trasformazioni sociali in Unione Sovietica, dell’insurrezione Ungherese
del ’56 e successivamente del Maggio francese.
Alcuni
elementi significativi riguardo agli sviluppi sociali statunitensi durante
quest’arco di tempo, la storia dell’organizzazioni del movimento operaio e
il ruolo che l’attivismo sociale, oltre alla produzione pubblicistica dei
gruppi in cui Martin Glaberman ha militato, saranno messi sotto forma di note
all’intervista.
Diamo
un quadro sintetico, in ordine cronologico, di alcuni dei nodi più
significativi affrontati da Glaberman stesso:
la
volontà di comprensione delle trasformazioni sociali dell’Unione
Sovietica post-rivoluzionaria, all’interno del quadro dello sviluppo del
capitalismo mondiale, per gli orientamenti del movimento operaio
internazionale, lo porterà presto a considerare L’URSS un paese “a
capitalismo di stato”, la cui natura sociale non poteva essere
radicalmente mutata, se non attraverso una rivoluzione mondiale. In State
Capitalism and World Revolution, Martin e compagni, scriveranno nel
1950, riferendosi all’URSS, che: <<la sua stessa esistenza>>
è la più grande fonte di corruzione del proletariato mondiale>> e
che <<il capitalismo di stato è in se stesso la contraddizione
totale, l’antagonismo assoluto. In esso sono concentrate tutte le
contraddizioni di rivoluzione e controrivoluzione>>.
La
valutazione del carattere imperialista del secondo conflitto mondiale, e la
coerente politica di “disfattismo rivoluzionario” lo porteranno a non
subordinare gli interessi della classe alla vittoria di nessuno
schieramento, così come fece il Comunist Party - legato mani e piedi
agli interessi di politica estera del Cremlino - ed a battersi per
l’autonomia delle classi subalterne contro l’armamentario anti-sciopero
e la militarizzazione delle relazioni industriali in tempo di guerra. Mentre
il CP, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, lanciava dal The
Communist, suo organo ufficiale, accorati appelli per <<lo
sviluppo della forza del movimento operaio, dell’iniziativa e delle
attività per la massima produzione per la difesa nazionale>> contro
Hitler, utilizzando i propri militanti come cani da guardia
dell’imperialismo statunitense, Glaberman e il WP continuarono la lotta
per l’unica giusta causa: <<la vittoria
del Terzo Campo, il campo delle genti sofferenti, il campo dei
lavoratori sfruttati di ogni paese, delle masse diseredate e oppresse delle
colonie>>. Questa “linea di condotta” differenzierà il WP
dall’atteggiamento dei raggruppamenti trotskysti, derivato dalle
valutazioni sulla natura sociale dell’URSS e dall’atteggiamento tattico
da adottare nei confronti dei due schieramenti.
Rottura,
nel secondo dopo-guerra, con l’elitismo e il politicismo
dell’organizzazioni della “vecchia sinistra” statunitense, Socialist
Workers Party e Workers Party prima, e distacco da quelle della
cosiddetta New left poi, che si trattasse di formazioni
marxiste-leniniste, terzo-mondiste, nazionaliste nere. Questo atteggiamento
era maturato nel corso della militanza all’interno delle formazioni
dell’Old left: “è una strana e sfortunata realtà” ha ribadito in più
di un contributo “che i rivoluzionari abbiano storicamente avuto molto
meno fiducia nelle capacità rivoluzionarie della classe operaia di quella
conferitale dalla classe dominante”. Il portato della riflessione di CRL
James sulla self-activity, che influenzerà i migliori contributi,
anche della storia militante[1],
americana, portava al suo punto d’implosione la concezione di un
proletariato inteso socio-metricamente, di una storia del movimento operaio
fatta di date, organizzazioni, leader, pubblicistica politica, di una
prospettiva politica basata sulla crescita aritmetica di un organizzazione,
anziché sullo sviluppo dell’autonomia proletaria. << Poco
prima che fosse costretto a lasciare gli Stati Uniti, James, tenne una
conferenza a New York. Disse che l’organizzazione ha tre livelli: il primo
livello è composto dalla leadership politica e teorica; la seconda da
attivisti nel campo in cui sono attivi (sindacati, organizzazioni di
afro-americani, gruppi femminili, organizzazioni di quartiere); il terzo è
composto da lavoratori militanti, giovani, casalinghe, ecc. La relazione tra
questi tre livelli nell’organizzazione dipendeva dall’abilità di saper
ascoltare la base. La democrazia formale non era sufficiente, risultava
semplicemente esaurirsi nelle votazioni dei componenti del gruppo sulle
proposte provenienti dal primo o dal secondo livello. Il tentativo di
risolvere questo problema terminava in tattiche artificiali
che spesso mettevano l’uno contro l’altro membri provenienti
dalla classe media intellettuale. Su alcune questioni era stato
coscientemente deciso di non poter giungere a nulla fino a che il terzo
livello non avesse parlato. Questo spesso portò ad imbarazzanti silenzi e
non posso affermare che realizzò quello che si era prefissato. Ma era uno
sforzo in buona fede cercare di far emergere i sentimenti, i comportamenti,
e l’esperienze dei militanti provenienti dalle file della classe
lavoratrice”[2]
Sviluppo
del punto di vista di classe e della socializzatione dell’ “esperienza
proletaria”[3]
come pratica di superamento della concezione del raggruppamento dei
rivoluzionari considerato come avanguardia separata dalla classe, ma
gruppo in grado di contribuire a far emergere un punto di vista operaio,
questo senza diluire la propria passione comunista nelle paludi
dell’attività per l’attività e sempre ponendo la necessità di un
bilancio auto-critico al proprio operato. <<Prima che si usasse il
registratore, Dunayevskaya, coniò il termine: “full fountain pen”. I
lavoratori venivano intervistati, le loro parole battute a macchina e fatte
a loro rileggere per la verifica, e poi pubblicate come brevi articoli o
lettere… Questa è una delle ragioni per cui Correspondance fu in
grado di trattare questioni come la vita familiare, lo sport, la cultura
popolare che anticiparono di un decennio gli interessi su cu si concentrerà
la Nuova sinistra>>[4].
centralità
della classe operaia industriale nel processo di riproduzione sociale.
Sviluppo dell’autonomia proletaria come trasformazione sociale, in
antitesi al ruolo prioritario dato dalle correnti terzo-mondiste alle
rivoluzioni anti-coloniali. <<Una delle realtà della vita della
working class non è semplicemente la vittimizzazione, ma il potere, una
consapevolezza di quel potere quando sembra essere appropriato, o quando si
schiudono delle possibilità>> come in uno sciopero in cui l’impatto
della propria azione è allo stesso tempo immediato, perché si ferma subito
la produzione, e allo stesso tempo duraturo, perché ha ricadute “a
monte” e “a valle” della catena produttiva.
sviluppo
dell’autonomia sociale delle classi subalterne come processo di
trasformazione della classe stessa e eliminazione della coscienza reificata,
cioè di tutta la vecchia merda borghese (sessismo, razzismo, credenze
religiose, feticismo della merce, ecc.).
Sei stato membro della Lega giovanile socialista (Young People’s Socialist League) e del Socialist Workers Party. Nel 1940 c’è stata una scissione nel SWP e sei entrato nella nuova formazione, il Workers Party, guidato da Max Shachtman. Da lì a poco, si è coagulata una minoranza attorno a CLR James e Raya Dunayevskaya. Puoi spiegare cosa è successo?
Ho
preso parte alla YPSL all’età di 13 anni, che era il più basso limite d’età
a cui potessero accettare la mia adesione. Vengo da una famiglia socialista
piuttosto tradizionale, socialisti relativamente conservatori.
Frequentavo
l’organizzazione locale del SWP[5] e con i vari avvenimenti
che si sono succeduti mi sono progressivamente avvicinato alla sinistra. Questo
era nel bel mezzo della Depressione. I trotskisti entrarono nel movimento
socialista e quando ne uscirono avevano avvicinato gran parte della YPSL. Allora
ero parte del YPSL che a quel tempo era parte del movimento trotskista.
Nel
1939 quando scoppiò la guerra e L’URSS invase la Polonia e la Finlandia, la
posizione o l’ipotesi dei Trotskisti era che avrebbero dovuto sostenere
L’Unione sovietica.
Questo
divenne difficile per una corposa minoranza e la scissione che maturò
riguardava il problema del sostegno dell’Unione Sovietica. La maggioranza
dell’organizzazione giovanile andò con Shachtman ed una minoranza del
partito. Era tutto considerato una minoranza, ma parte della direzione, incluso
James, seguì Scachtman[6].
Comunque,
una volta maturata la scissione e il formato il WP, c’era la questione della
natura dell’Unione Sovietica. Nuovamente la posizione tradizionale che
considerava L’URSS “uno stato operaio degenerato” incominciò a sollevare
dei dubbi nel partito, stimolata parzialmente dal suo nefasto ruolo nella
Guerra, la conquista, il Patto Hitler-Stalin e così via.
Fu
in quel periodo che cominciò a formarsi la Johnson-Forest tendency. Era
composta da CLR, Raya e qualche altra persona. In quel periodo stavo vivendo a
Washington D.C. dove trovai il mio primo lavoro con il governo federale.
Stranamente Raya stava vivendo a Washington D.C[7].
Incominciò
a fare delle ricerche per la nostra posizione sulla questione russa alla
biblioteca del Congresso. Conosceva la Russia e si occupava di economia.
La
stragrande maggioranza del WP sostenne la tesi di Shachtman che riteneva
L’URSS un ‘collettivismo burocratico’.
Una
piccola minoranza continuò a sostenere che L’Unione Sovietica era uno stato
operaio degenerato, sebbene fossero dell’idea di non appoggiare la Russia
nella guerra. Noi sviluppammo l’idea che L’Unione Sovietica fosse uno società
capitalistica di stato.
Alla
prima convention, votammo. C’era una piccola sezione a Washington, che si
spaccò a metà. Ero il delegato che rappresentava il punto di vista della J-F.
Ebbi metà dei voti e qualcun’altro l’altra metà. Questa era la J-F
tendency.
La
questione russa era sempre tenuta sotto un certo grado di serietà teorica.
Uno
dei punti, sin dall’inizio, e ciò che stupisce è che persone come Paul Buhle,
(uno dei leader della Tendency, N.d.T) non erano consci di questo, era che non
era semplicemente una teoria dello stato russo.
Era
una teoria dello stadio di sviluppo del capitalismo mondiale. Parte di questa
non fu sviluppata ulteriormente se non più tardi ed è stata esposta
compiutamente in Capitalismo di stato e rivoluzione mondiale, ma era già
in nuce negli anni quaranta[8].
Questo era l’inizio. Quello che mi ha sempre sorpreso e aiuta a confermare la
superficialità della visione dell’Unione Sovietica come “collettivismo
burocratico” e che non ti indica niente di questa eccetto darle un nome.
Originariamente
si considerava che l’Unione Sovietica fosse più progressista del capitalismo,
ma non così progressista come il socialismo o uno stato operaio. Poi dopo un
po’ si considerò che il collettivismo burocratico fosse tanto reazionario
quanto il capitalismo (posizione di Carter nel WP, N.d.T) e alla fine con la
svolta a destra di Max Shachtman, ( finì nel partito democratico e sostenne la
guerra in Vietnam, N.d.T), il collettivismo burocratico venne ritenuto più
reazionario del capitalismo. Che tipo di validità ha una teoria se non è in
relazione con nient’altro, eccetto che cambia ogni anno o due con gli sviluppi
correnti?
Alla fine degli anni quaranta il WP stava accordandosi con il SWP per rientrare nelle fila del partito. Non ci fu nessuna fusione definitiva ma la J-F tendency rientrò nel SWP per cinque anni[9]. Allora produsse un numerosi documenti estremamente interessanti – L’Operaio americano, Le Note sulla dialettica di James, Capitalismo di stato e rivoluzione mondiale. Puoi parlare di questo?
C’erano
più cose in cui eravamo coinvolti. Allora le differenze all’interno crebbero.
C’erano differenze sulla “negro question”. Si rifiutarono di accettare il
punto di vista di CLR sull’importanza di organizzazioni indipendenti di
“neri”, non subordinate al partito rivoluzionario o a quant’altro.
Sviluppammo
differenti visioni sulla natura della società man mano che si avvicinava la
fine della guerra. Il WP era influenzato da un gruppo di esuli tedeschi che
svilupparono la teoria della ‘regressione’; che la guerra e il fascismo
hanno fatto regredire il capitalismo fino al punto in cui non si potesse parlare
più di una prospettiva socialista, ma bisognasse limitarsi a ripristinare le
libertà civili, i diritti democratici e così via.
Parlavamo
della prospettiva rivoluzionaria in Europa. Tutto questo inserito all’interno
della concezione della classe operaia americana come essenzialmente militante e
con una prospettiva rivoluzionaria. Ipotesi che il WP aveva essenzialmente
scartato.
Il
fatto che le trattative continuassero indicava la possibilità della fusione con
il SWP, inoltre Canon in un opuscolo che scrisse indicò
una prospettiva rivoluzionaria per la classe operaia americana. Questo
tentativo finì per giungere a nulla e l’intera organizzazione non seguì
realmente quest’ipotesi.
Quello
che facemmo fu accordarci per un periodo di tre mesi in cui potevamo essere
indipendenti e liberi di pubblicare il nostro materiale. Ognuno era consapevole
che persistevano delle differenze sull’interpretazione della natura sociale
dell’Unione Sovietica. Fu in quel periodo che pubblicammo l’Operaio
americano[10]
e sempre allora stampavamo un bollettino settimanale (Balance Shit, N.d.T.)).
Poi
entrammo nel SWP. Venimmo accolti calorosamente perché il SWP stava iniziando
ad avere problemi con alcuni dei lavoratori neri che gravitavano attorno
all’organizzazione. Erano in un certo senso insoddisfatti del comportamento
del partito e della sua attività in relazione ai lavoratori di colore. CLR
venne e tenne un comizio alla prima convention sulla natura delle lotte
dei neri che fu accolto molto positivamente, ma finì con un sostegno solo
verbale.
Mi
ricordo che andai a New York per essere una sorta di segretario del gruppo in
quel periodo. Mia moglie e io volevamo andare via da New York il più presto
possibile una volta adempiuto l’impegno perché la vita politica di NY non era
sviluppata un gran che. Non era molto soddisfacente. Venimmo presto invitati ad
andare a Flint per prendere parte alla sua sezione. Trovai un lavoro alla Buick
e fu allora o poco dopo che scoprii il ruolo del partito e il consenso solo a
parole che riservavano all’idea della lotta indipendente dei neri. Si
rispecchiava in un esperienza di cui venni a conoscenza.
C’era
un compagno “di colore” che era un membro della sezione e del comitato
esecutivo (executive board,N.d.T) della sezione sindacale della Chevrolet. Andò
a NY ad un incontro del partito e incontrò una compagna “bianca”. Si
innamorarono e decisero di sposarsi. Lei voleva andare a Flint con lui. Ciò che
accadde era lo specchio fedele dei limiti della politica dei partito.
Nessuno
disse che non potessero sposarsi e nessuno affermò che lei non potesse tornare
a Flint con lui, ma insisterono nello spiegare che se lui fosse tornato a Flint
con una moglie ‘bianca’ non sarebbe mai stato rieletto alla sezione
sindacale della Chevrolet. Alla fine li convinsero e interruppero la loro
relazione.
C’era
una sorta di limite nell’idea che la questione razziale dovesse essere
subordinata alla questione di classe e ai pregiudizi esistenti tra i lavoratori.
L’aspetto cruciale era che dovevi avere impegni e posizioni di potere che
avrebbero potuto subire l’interferenza di
un matrimonio interrazziale. Come ho detto, nessuno si oppose
formalmente, ma sicuramente, non gli hanno reso facile la cosa.
Continuammo
a sviluppare le nostre idee. L’opuscolo sulla dialettica (Notes on
Dialetectics: Hegel, Marx, Lenin, 1948, N.d.T) venne pubblicato mentre
eravamo nel SWP e circolò segretamente. Allora, prima che fosse resa facile la
riproduzione noi non avevamo nessun registratore e nemmeno una macchina
fotocopiatrice. Quello che poteva accadere era e ti poteva far diventar scemo e
che qualcuno battesse tutto a macchina. Potevamo prendere la carta più fine e
fare le copie. Se eri abbastanza sfortunato da prendere la settima o l’ottava
copia, impazzivi letteralmente a leggerti quella dannata cosa!
Stavo
lavorando alla Buick. Le copie sarebbero arrivate e ci saremmo seduti, la notte
tardi, a leggere. Era fantastico. Non penso che nessun altro l’abbia scritto,
ma il fatto che un capitolo descrivesse in astratto cosa sarebbe successo otto
anni più tardi nella Rivoluzione Ungherese: nessun partito d’avanguardia, la
totalità della classe operaia agente come (il proprio) partito o
organizzazione.
Uno
dei documenti che vennero pubblicati
allora nella temporanea permanenza nel SWP fu una analisi dell’esperienza del
WP. C’era un altro documento, questo molto più modesto
chiamato Balance Sheet Completed. Rese un sacco di persone insoddisfatte
perché non possedeva la stessa franchezza politica che il Balance Sheet
tradizionalmente possedeva.
La
maggior parte del documento era focalizzata su problemi legati allo stile di
vita e alle forme di corruzione personale all’interno del SWP. Mi piacerebbe
vederla pubblicata da qualche parte perché spiegò la nostra scissione dal SWP,
che sfortunatamente coincise con l’espulsione dei CLR dagli Stati Uniti.
Dopo
essere uscito il SWP hai cominciato a pubblicare Correspondance. Gli anni
cinquanta erano un periodo difficile per chi era attivo nella sinistra e nel
1955/56 ci fu una scissione nel gruppo che poi produsse News & letters(in
cui se ne andò Raya). Poi venne la Rivoluzione Ungherese. Concorse ad aiutare
alla stesura di un libro, Facing Reality, che divenne più tardi il nome di una
organizzazione che si scisse a sua volta. Questa volta con Grace Boggs (Ria
Stone, moglie di James Boggs, N.d.T.) una dei leader della tendency[11].
Negli anni sessanta a Detroit so che eri coinvolto con alcune delle persone che
più tardi divennero parte del Detroit Revolutionary Union Movement e della
League of Revolutionary Black Workers.
Una
delle cose che è menzionata in ambedue i libri scritti sul DRUM è che ho
insegnato in una classe con persone che divennero i leaders del DRUM[12].
Il contatto iniziale fu opera di George Rawick[13].
Venne
a Detroit e trovò lavoro al Wayne State. Un paio di questi ragazzi erano nelle
classi in cui insegnava. Fu grazie a questo e a George che fu preso contatto con
il gruppo. C’erano sempre dei disaccordi. Parte della realtà era, aveva a che
fare con il movimento nero in generale, c’era un significativo orientamento
maoista. Non sono sicuro che tipo di impatto ebbe la nostra influenza. Non era
poi così grande. Ma ci fu un influenza reciproca.
Ciò
che stavano facendo chiaramente ci impressionava. Era sulla stessa lunghezza
d’onda delle nostre idee sulla black struggle, sulla lotta di classe.
Esistevano dei buoni rapporti anche se si dispersero. Quando sono andato a New
York di recente per la presentazione di un libro, alla presindenza
dell’incontro c’era una donna che aveva preso parte al DRUM.
Si ricordò di questo e fu molto felice che i notri cammini fossero ricongiunti. Ma questo rapporto non si risolse con un sostegno materiale, in sottoscrizioni, nello scrivere per Correspondence, aiuto finanziario e così via. Che è una delle cose che non capisco di quel periodo.
Negli anni settanta Facing Reality si è dissolta, allora hai messo in piedi le Bewick Editions per continuare a rendere fruibile alcuni pamphlet e libri e eri impegnato anche in altre pubblicazioni come Radical America. Una delle cose che ho preso da James, è che la maggioranza della sinistra vede la classe operaia come una consumatrice passiva di idee radicali: la sinistra va dai lavoratori con una confezione di sapone e dice: “vi piace questo sapone? Costa il 10% in meno” oppure “continene un ulta-sbiancante e dell’ammorbidente” e si suppone che i lavoratori la scelgano. James e la tendenza di cui facevi parte credevano che i lavoratori non fossero consumatori passivi, che avvrebbero costruito il loro avvenire. All’inizio del nuovo secolo cosa pensi sia il lascito di James?
E
una domanda piuttosto impegnativa e non sono sicuro di poter formulare una
risposta esaustiva. Una delle cose che ognuno nel movimento trotskista e nel
movimento marxista era a conoscenza era che il proletariato era la chiave.
Questo
era fondamentale per Marx e può essere interpretato in ogni modo, incluso che
il proletariato necessiti di un partito d’avanguardia che lo conduca alla
rivoluzione. Ciò che era importante nello studio della natura sociale
dell’Unione Sovietica era il tornare ai fondamenti dell’opera di Marx.
Una
delle mie citazioni preferite non è presa da un libro sconosciuto. È in un
opera, di cui i primi tre capitoli vennero ripubblicati col nome di Socialism:
Utopian and Scientific di Engels, che ha venduto milioni di copie. Engels
afferma che la tendenza generale del capitalismo è quella di tendere alla fine
verso la proprietà e il controllo statale e che il fatto che la proprietà sia
in mano allo stato non lo rende meno capitalista: semplicemente i lavoratori
continuano ad essere sfruttati dai capitalisti di stato.
C’è
un scritto precedente, e questo è tratto da un libro differente, dove Marx
afferma che per creare una nuova società abbiamo bisogno di persone nuove.
Queste sono create nell’attività e abbiamo bisogno di una rivoluzione non
solo perché la classe dominante può essere schiacciata solo in una
rivoluzione, ma necessitiamo di una rivoluzione per cambiare le persone stesse
che la compiono. In questo modo acquisiscono le capacità di creare una certa
società. È chiaramente il contrario di quello che pensa la maggior parte dei
marxisti. Molti marxisti pensano che sia necessario cambiare le persone,
convincendole a parole. Devi convincerle e poi fai la rivoluzione, ma Marx dice
l’esatto contrario e cioè che è il processo rivoluzionario che cambia le
persone.
Siamo
andati tutti nelle fila dei lavoratori. Stavo lavorando a Washington dopo la
scissione con il SWP. Nella scissione iniziale, la maggior parte dei membri del
SWP, che erano lavoratori, restarono nel partito, c’erano alcuni che
lavoravano nell’industria automobilistica, i camionisti dei teamsters[14]
a Minneapolis e ST.Paul, ecc. Andammo a Detroit e formammo una sezione. Andai a
lavorare in fabbrica. Non c’è modo per conoscere cosa venne prima, ma
chiaramente la combinazione dell’idee che il gruppo di James aveva e
l’esperienza di lavoro nello stabilimento ebbero un impatto che entrambe,
separatamente. non avrebbero potuto avere.
Mi
ricordo che ad un certo momento c’era un afro-americano chiamato Morgan
Goodson, un tipo che aiutai ad reclutare, che era stato nell’industria
siderurgica in Alabama. Era un militante sindacale combattivo e un buon
organizzatore, ma decise che non avrebbe più potuto continuare a lavorare
nell’industria dell’acciaio.
Avrebbe
potuto perdere del tempo, ma non gli avrebbero mai concesso la posizione e la
competenza che gli spettavano.
Così
venne a lavorare nell’industria automobilistica. L’abbiamo reclutato e
abbiamo deciso che avremmo avuto bisogno di un gruppo nel suo stabilimento.
Tre
di noi fecero richiesta di assunzione e vennero presi. Fui fortunato. Era uno
stabilimento piuttosto grande e fui assunto nello stabilimento a sud della
strada e gli altri due nello stabilimento a nord di questa.
Dopo
che ti trovavi là per più di sei mesi acquisivi l’anzianità (seniority)
e potevi candidarti come delegato. Mi candidai e venni eletto. Uno di loro,
Stanley Engelstein, disse che avrebbe dovuto essere lui a candidarsi perché
odiava il lavoro più di quanto lo odiassero gli altri ragazzi. L’altro
ragazzo, Sammy Fishman, era un giovane operaio di NY abbastanza sgamato.
Più
tardi Sam divenne dirigente della Cio del Michigan, così che gli fu facile
imparare ad essere un burocrate. Si può dire che imparò bene la lezione.
Il
fatto che vai a lavorare in fabbrica e vivi con i lavoratori non significa che
stai per apprendere niente se il tuo atteggiamento è quello che non puoi
imparare niente dai lavoratori e devi solo insegnarli…Se hai un atteggiamento:
“Bene odio il mio lavoro. Sto compiendo un sacrificio. Devo assolutamente
diventare un delegato così posso fuggire da questa dannata situazione senza
senso”.
Ci
sono un altro paio di cose. Ciò che impari è un certo rispetto per i
lavoratori e quello che fanno. Non è la cosa più semplice al mondo da
imparare.
Mi
ricordo che quando andammo a Flint (periferia di Detroit) stavo lavorando alla
Buik. Un inverno venni licenziato e andai a cercarmi un lavoro temporaneo.
“Cosa conoscevo?”Ero stato un giornalista “radicale”, potevo svolgere
una lavoro da editore, ecc. Andai in vari giornali, ma non avevo referenze.
Come
puoi prendere un lavoro del genere? Poi incominciai a capire, che un singolo
fatto ti fa pensare in maniera molto differente al tuo lavoro e a quello che
vuoi fare: questo posto è dove rimarrai per la tua fottuta esistenza. Cose che
appaiono così dannatamente semplici, perché sono semplicemente assunti banali,
non sono poi così semplici quando si tratta di dove sarai per il resto della
tua esistenza. Non puoi permetterti di non lavorare troppo tempo perché se no
la tua famiglia muore di fame.
Ma
non lo apprendi automaticamente, perché se ci stai in mezzo indottrinato con
l’idea che sei là a sollevare i lavoratori dal loro stato di ignoranza non lo
noti, ecc.
Non
c’è una risposta semplice, ma penso che sia una combinazione tra l’essere
in mezzo ai lavoratori per vent’anni, non facendo mai finta di essere un
lavoratore tra gli altri e nello stesso tempo avendo certe idee e principi
fondamentali che ti permettono di osservare le persone in un certo modo.
Abbiamo
vissuto in un quartiere operaio nella parte ovest di Detroit, dopo tornammo di
nuovo a Flint. Mia moglie lavorava in un piccolo stabilimento di componentistica
per l’automobile chiamato Automotive Spring a circa sei caseggiati
distanti da dove abitavamo.
La
maggior parte dell’organico era composto da operaie. La maggior parte dei capi
erano uomini ed era uno stabilimento non sindacalizzato. Ci furono almeno tre
tentativi di organizzarlo. Vennero i Teamstears e penso che l’UAW provò un
paio di volte, ma non riuscirono ad organizzarlo.
Mio
moglie ed io ne parlammo e mi descrisse una situazione che sembrava abbastanza
avanzata. Tutte quelle che lavoravano lì, o avevano lavorato in precedenza in
fabbriche sindacalizzate o avevano un marito che lavorava in un uno stabilimento
dove c’era il sindacato. Sapevano di cosa si trattasse. Non c’era nessuno
appena arrivato del sud con un bagaglio di pregiudizi anti-sindacali…
Ciò
di cui erano all’occorrente, era che, se il sindacato fosse entrato, sarebbero
accadute due cose: avrebbero avuto aumenti di stipendio, e sarebbero aumentati i
ritmi di lavoro. Questo era l’accordo nelle Big Three. Prendi dei bonus
monetari (fringe benefits) fuori dal lavoro insieme alla paga base, ma il
lavoro peggiora.
Decisero
semplicemente in modo passivo che, siccome erano donne, avrebbero potuto fare
affidamento su un’altra paga. Consideravano
che c’era una altra fonte di reddito, fondamentale, nel bilancio
familiare, ma quello che facevano realmente o no, non era importante, avrebbero
lavorato come stavano lavorando e avrebbero dimenticato gli aumenti salariali.
Votarono
contro il sindacato. Ora, formalmente, questa è una posizione reazionaria:
essere contro il sindacato. Come puoi essere contro il sindacato? Ma se cerci di
comprendere perché le persone la pensano a quel modo imparerai qualcosa che non
apprenderesti, se pensassi che qualsiasi cosa fanno che non ti trova d’accordo
sia sbagliata! È sensato che le persone si comportassero in quel modo.
Questo insegna anche qualcosa sui limiti del movimento sindacale che la “vecchia sinistra” non è mai riuscita a comprendere. Il sindacato è solo qualcosa in più, che non cambia più di tanto la situazione, giusto? In situazioni ordinarie direi di sì, ma si devono comprendere le contraddizioni e così via.
Qualcuno di noi è coinvolto in organizzazioni politiche composte da poche persone. Puoi dirci qualcosa sull’organizzarsi nel contesto attuale?
Prima
di tutto, ognuno ha il diritto di avere orientamenti politici e di organizzarsi
per i propri fini, premesso che non pensi che stia per dirigere la prossima
rivoluzione. L’attività organizzativa dovrebbe sviluppare più contatti
possibili con l’ attività generale della classe.
Ricordo
un ragazzo chiamato Greenberg, che era un musicista molto dotato e che finì per
lavorare in fabbrica. Andò a lavorare in fabbrica perché questo era quello che
supponeva che dovesse essere fatto e fu un fiasco per lui. Ora, cosa cavolo
andava a fare in fabbrica? Niente.
Come
persona dotata di un certo talento per la musica poteva fornire il suo
contributo alla società. Non alla rivoluzione direttamente, ma alla rivoluzione
indirettamente.
Questa
concezione della militanza da cui scaturiva questo modo di pensare era diretta
filiazione del fatto che la tua attività era vista come un sacrificio. Se è
così, allora c’è uno sbaglio a monte. Non è che non sacrifici niente e
certamente corri dei rischi. Perdi il lavoro se sei un militante, ma
fondamentalmente l’attività politica dovrebbe confermare la tua umanità. In
termini concreti, dipende da dove sei. Se sei in un campus universitario allora
è lì che sei.
L’idea
che, se stai andando a lavorare in fabbrica, andrai a “fare la differenza”
non ha senso. Certamente puoi sostenere gli scioperi anche come intellettuale.
Concretamente penso che una delle cose più importanti sia far circolare della
stampa. Anche se si incomincia con un bollettino che condivide delle idee, che
discute di queste e che presenta dell’esperienze. Impact! (bollettino di
contro-informazione Statunitense, N.d.T) lo fa o
almeno, ci prova.
Presi
singolarmente penso che non abbia un gran impatto; da un lato, comincio a
rendermi conto che ci sono un numero crescente di questi fogli in tutto il
paese, in tutto il continente. Non hanno necessariamente contatti gli uni con
gli altri. Non si conoscono nemmeno, ma c’è del materiale che continua a
circolare.
Ciò
che non c’entra è ciò che chiamerei una concezione borghese del tempo (middle
class time), e non una prospettiva storica (historical time).
C’è
una teoria in sociologia che considera la classe operaia realmente arretrata
perché dipende dalla gratificazione istantanea, mentre sono piuttosto
dell’opinione che sia la classe media che necessiti di una gratificazione
immediata: la classe operaia non ha fatto niente per 3 settimane. E che diamine,
non farci caso! La rivoluzione può essere 30,40,50 anni distante.
Se
non si comprende questo… é una
delle cose che ha portato al declino della “Nuova Sinistra”. Stavano
cambiando il mondo e il mondo non cambiò poi così tanto. Bene, andiamo a
cercare un lavoro in una scuola di legge o all’università.
Ci
sono troppe che sono giuste nel marxismo per dire: “bene, questo prova che
Marx si sbagliava”
Hai
una visione storica ed un senso della classe se ci sei dentro, oppure no. Non
dico che tutti devono entrare nelle fila della classe lavoratrice.
Ci
deve essere un modo di comunicare gli uni con gli altri, con la società nel suo
insieme e con la classe lavoratrice, in entrambe le direzioni. Cosa successe a
Seattle? In questo sciopero selvaggio? Perché? Come? Le persone hanno bisogno
di impararlo, i lavoratori hanno bisogno di apprenderlo. Lo fanno ad un certo
livello. I lavoratori non sono folli. Leggono i giornali, ascoltano i notiziari
serali.
Per
quanto siano distorte le notizie sanno che due stabilimenti di Flint si sono
fermati e l’intera General Motors del nord america s’è fermata in qualche
settimana[15].
Questo è un potere tremendo, che altrimenti non immagineresti di avere, quando
l’unica cosa a cui pensi è che devi muovere il culo al lavoro ogni fottuta
mattina. È parte della coscienza della classe lavoratrice. Sai che non può
pensarci su troppo, senza che questo ti faccia impazzire. Penso che sia qualcosa
che devi sperimentare. Fai ciò che puoi e ne fai tesoro. Qualcosa funzione e
qualcos’altro no.
Uno
dei problemi è che tutti sono consapevoli che stiamo attraversando un periodo
reazionario (conservative period). Non penso che sia un periodo
reazionario. Penso che il governo sia divenuto reazionario. Negli Stati Uniti,
il 50% o più della popolazione non partecipa nemmeno all’elezioni. Non è
perché sono arretrati. È perché sono cinici e penso che abbiano ragione ad
essere cinici. Quello che stanno dicendo è: non c’è niente per noi in
questo. Si incomincia a lavorare da questo.
Per
me, questo significa che la situazione è esplosiva, non è che i lavoratori
siano arretrati o reazionari.
Non
stiamo per uscire da questa situazione semplicemente perché Sweeney sta per
organizzare più lavoratori.
Queste
sono cagate! In effetti è stato incapace di organizzare più lavoratori.
Uno
dei punti che menzionavi precedentemente il fatto che sebbene hai lavorato in
fabbrica per venti anni, non ti sei mai sentito propriamente solo un operaio.
Non
ho mai fatto finta di essere un operaio, lo ero effettivamente. Percepivo un
salario e specialmente dove vivevo a Flint tutti erano operai. Ma questo divenne
chiaro quando non ero riuscito a trovare un posto come editore.
Alla
fine trovai un lavoro quell’ inverno, tramite kermit Johnson, che era stato
uno dei leader dei sit/downs. Era stato messo nella lista nera dalla GM e stava
lavorando nelle costruzioni sui tetti a costruire un nuovo stabilimento della
GM. Mi procurò un lavoro temporaneo e mi iscrisse al sindacato.
Il
punto è che quando accadono cose come queste inizi a renderti conto che
lavorare in fabbrica per dieci anni di fila o lavorarci ogni Estate e per poi
tornare a scuola in Autunno, non fa di te un operaio, nel senso che i lavoratori
devono pensare al modo in cui vivono, al modo in cui lavorano. Parte di questo
l’ho messo giù in poesia perché non sono riuscito a trovare un altro modo
per esprimerlo.
Puoi
parlare della sinistra e della classe lavoratrice oggi. Molti nuovi leftists non
vedono la ragione o i legami con la classe, ma anche la sinistra più
tradizionale non ha attualmente molti contatti con la classe.
E
un sacco di loro sono molto settari. “il buon lavoratore”. Ciò di cui
stanno parlando è solo riferito a sé stessi. Molti di loro sono molto
antiquati. È un marxismo molto tradizionale. La classe operaia è importante
per due ragioni. Prima di tutto puoi anche parlare della società
dell’informazione opposta alla società della produzione, ma la società non
esiste senza cibo, vestiario, costruzioni edili, trasporti e comunicazioni. Tu
fermi una scuola, bene, hai fermato una scuola.
Hai
fatto un bel casino, ma è tutto quello che hai fatto.
Fermi
la GM, hai fermato i trasporti. Fermi le fabbriche siderurgiche, fermi le
miniere di carbone.
Secondo,
c’è la natura del lavoro, l’alienazione. Le persone resistono. È vero di
ogni tipo di lavoro. Il livello di alienazione di un professore universitario
non è il livello di alienazione che c’è nella catena di montaggio. È parte
della realtà. Non dipende da qualcuno che va nelle fila del proletariato. Puoi
convincere un professore universitario a divenire un socialista.
Puoi
anche convincere un lavoratore a diventarlo, ma questo, non muove migliaia o
milioni di persone.
È
perché, per me, quello che è successo in Ungheria nel ’56 o in Francia nel
’68 è così dannatamente importante.
In
Ungheria, dieci anni in uno stato totalitario. Come è potuto accadere? Una
manifestazione di massa in solidarietà con l’opposizione in Polonia. Ci sono
stati scontri di strada e in 24 ore i lavoratori di Budapest hanno preso il
controllo delle fabbriche, degli uffici, - i mezzi di produzione – e hanno
creato dei consigli operai per mandarli avanti. In 48 ore s’è diffuso a tutta
l’Ungheria. Dopo un paio di settimane, la rivoluzione era stata schiacciata,
non da nessun potere all’interno dell’Ungheria, ma da una invasione dei tank
sovietici.
In
Francia, un paese molto differente: democratico, non c’era depressione, un
partito comunista, un partito socialista, sindacati legati al PC, altri legati
al partito socialista, partiti d’opposizione. Dieci milioni di lavoratori in
48 ore hanno preso il controllo di tutte le fabbriche in Francia. Come è potuto
accadere? Marx, Engels e Lenin si sarebbero buttati a capofitto. La sinistra
disse, oh no, molto interessante ma non avete un partito d’avanguardia. Ecco
perché hanno perso. Sono Stronzate! Se avessero seguito un partito
d’avanguardia, prima di tutto, non sarebbe successo quello che è successo.
Perché era proprio quello che il partito comunista e il partito socialista
erano contro. Sono riusciti alla fine a portarli fuori dalle fabbriche e a
ottenere richieste sindacali tradizionali, aumento dei salari e così via.
La
differenza tra la Francia e L’Ungheria è stata essenzialmente che nei
primissimi giorni della rivoluzione in Ungheria c’erano segni visibili del
collasso dell’esercito. Nell’esercito ungherese i soldati o si unirono alle
file degli insorti rinunciando a puntare le armi contro di loro o semplicemente
ruppero le fila. Mentre in Francia non c’è stato alcun segno di indebolimento
della struttura militare. In seguito De Gaulle riuscì ad incontrare il suo
comandante dei corazzieri, che era in Germania, e gli chiese se avesse sostenuto
il governo, lui rispose di sì e De Grulle ritornò e riporto tutto alla calma.
E nulla successe. I lavoratori non sono stati sconfitti, ma andarono così
avanti e poi ripiegarono[16].
La
natura della rivoluzione è differente dalla natura di una riforma.
Non
mi pongo in opposizione alle riforme. Non penso che riforma o rivoluzione sia
una questione dirimente almeno che tu sia per le riforme ma che ti opponi alla
rivoluzione, ma se i lavoratori non hanno ottenuto aumenti salariali, non hanno
costituito delle organizzazioni sindacali, e non hanno fatto passare un certo
numero di leggi a loro favore, se non si sono battuti per tutto queste cose nel
corso di una generazione, non sei sul punto di avere una rivoluzione.
Su
che cosa la puoi far poggiare. La sostieni sul fatto che ciò che è
inevitabile, è la lotta. E che sia semplice sabotaggio o ubriacarsi nel
week-end perché non puoi sopportare il fatto che il lunedì dovrai andare la
lavoro, è sempre resistenza.
Quello
che la borghesia considera come resistenza è molto di più di quanto la
sinistra consideri tale. La borghesia interpreta il lasciare il lavoro e andare
da qualche parte, come resistenza, perché le costa.
Tutte
le categorie della sinistra come resistenza sono giudizi formali in accordo con
la politica rivoluzionaria. Sono cagate! Una delle cose che sono sicuro
innervosisce di più la sinistra è ciò che è successo durante la rivoluzione
ungherese a proposito dell’abbattimento della statua di Lenin. Sono sicuro che
Lenin stesso vi avrebbe preso parte, considerato cosa diavolo significassero in
quel momento quelle statue. Rappresentavano una dittatura totalitaria.
É
stata l’idea trainante di Wartime strikes. L’idea che nella UAW
durante la seconda guerra mondiale la maggioranza votò a favore la clausola
anti-sciopero, e mentre la votazione stava avvenendo, la maggioranza assoluta
dei lavoratori del settore auto-mobilistico scesero in sciopero. Così, a che
cosa diavolo credevano: alla clausola anti-sciopero o al fatto che avessero il
diritto a scioperare?
È
contraddittorio. Credevano che ci dovesse essere una clausola anti-sciopero, ma
quando il capo lì guardava a quel modo, prendevano su e scioperavano. È ciò
di cui Marx parlava. Marx diceva che non è importante cosa pensi un singolo
lavoratore, o anche la totalità della classe, è importante cosa sarà
costretti a fare. I lavoratori sono costretti a resistere alla natura del
lavoro.
E
sta divenendo sempre peggio. Ogni resoconto sul nuovo lavoro automatizzato,
tutto ciò che sento da tutti fuori degli stabilimenti automobilistici è
l’intensificazione dei ritmi. Se qualcuno mi viene a dire che i lavoratori
stanno dicendo “Che figata! Sono felice di essere qui” , OK, allora gli e la
do su con la rivoluzione, ma non siamo nemmeno vicini a qualcosa del genere.
Puoi
dirci qualcosa della tua attività?
Sostanzialmente
più che altro scrivere e pubblicare. Penso di iniziare un libro sulla classe,
razza e coscienza. È essenziale rifiutare l’idea che non poù succedere alcun
che fino a che i lavoratori bianchi sono razzisti. Non so a cosa si pensi dei
lavoratori russi fossero nel 1917.
Erano sessisti. Erano nazionalisti. Molti di loro erano sotto l’influenza della chiesa. Ma hanno fatto una dannata rivoluzione che ha cominciato a cambiarli. Che ci sia una esplosione sociale o meno, non dipende da nessun atteggiamento formale o dal fatto di sostenere questa o quella particolare organizzazione. Può non succedere.
Per finire, Qual’è il tuo giudizio sui fatti di Seattle nel Novembre del 1999?
Ci
sono un bel po’ di problemi che a) sono complicati b) non possono trovare
soluzione. Se sei un socialista, sei internazionalista. Perché i lavoratori in
Messico non dovrebbero avere questi posti di lavoro. Non dovrebbero essere
pagati un decimo di quello che sono pagati i lavoratori americani…Ma se sono
un delegato non posso sostenere questo. Non posso dire alle persone che
rappresento che hanno diritto a quei posti di lavoro tanto quanto noi. Non è
quello per cui sono stato eletto. Così, parte di questo è fuori dal tuo
controllo. È il modo in cui la borghesia funziona e ha sempre funzionato. Tutto
questo parlare di globalizzazione, è strano. Prima di tutto non c’è nessun
segno del declino dello stato nazione. In special modo, non c’è nessun segno
di declino del potere americano. Molto di quello che è successo in Africa è
stato perché la pressione dello stato americano ha supportato la sua borghesia.
Mettilo
nel giusto contesto. Marx l’ha scritto nel Manifesto del partito comunista.
Non è qualcosa che è spuntato con il solo questa mattina. Inoltre, qualcuno si
ricorda la frase “il sole non tramonta mai sull’impero britannico”? è la
globalizzazione. Che differenza c’è? La differenza non sta nel Fondo
Monetario Internazionale, la differenza è nella rivoluzione coloniale. La
globalizzazione all’inizio di questo secolo consisteva nei poteri Europei che
avevano colonie, il che significava che avevano il controllo dei mercati e
significava che avevano il controllo delle risorse delle materie prime. Dopo la
seconda guerra mondiale hai avuto la rivoluzione coloniale: India, Africa, ecc.
Qual è stato il risultato? Il risultato è stato che qui mercati non potevano essere più chiusi. Che cosa fa apparire questo una vittoria dell’imperialismo americano perché chi era là?
Gli Stati Uniti.
Gli
Usa ha preso il posto dell’Olanda come potenza principale in Indonesia, hanno
preso il posto della Francia nel medio-oriente, e hanno preso il posto della
Gran Bretagna nel sud America e nei Carabi. Il processo è in corso da quando
esiste il capitalismo. È ciò che succede da 200 anni. Solo la forma è
cambiata. Come ti poni rispetto a questo? Dipende da dove sei.
Se
sei in uno stabilimento e i tuoi posti di lavoro stanno per essere delocalizzati
in Messico o in Thailandia, questo è un problema. Ma se tu hai un modo
socialista di vedere le cose, una delle cose che significa è che il
proletariato è sul punto di apparire in un paese sotto-sviluppato. Presto o
tardi questo significa che ci sarà resistenza in quel paese. Non posso dire
questo ai lavoratori che rappresento, ma devo comprenderlo, per sapere i limiti
di quello che posso fare.
Se
qualcuno si candida come delegato e dice: “stiamo per impedire che i vostri
posti di lavoro vengano spostati oltre-oceano” devi prenderlo con le molle.
Non puoi farlo. Il che non è detto che non si possa fare molto di più di
quello che sta facendo il movimento operaio ufficiale.
Perché
quello che ha fatto fino ad ora è stato essenzialmente svendere tutti i
lavoratori più giovani per proteggere il nocciolo duro dei propri iscritti,
vicini alla pensione: tu proteggi il tuoi lavoratori e fai concessioni alla
ditta sulla pelle dei nuovi assunti. Quando lavoravo, la differenza tra la paga
di uno appena assunto e la paga che percepivi dopo sei mesi, quando ottenevi il
primo scatto d’anzianità, era di circa 10 cents all’ora. Prendevi 5 cents
in più il primo mese e prendevi un 5 cents in più dopo un paio di mesi. Ora è
un paio di Dollari. È una grossa differenza. Così l’azienda fa un sacco di
soldi sui nuovi assunti per anni prima che vengano incorporati nella forza
lavoro meglio retribuita. I sindacati usano questo per aumentare il valore delle
pensioni, incrementare gli stipendi dei lavoratori con più elevata anzianità
lavorativa. Per mantenere la base all’interno dei tuoi ranghi sacrifichi il
resto dei lavoratori. Anche i pensionati possono comprendere la differenza.
[1]
Fare storia di movimento con
“Radical America”,
J.Green, in Acoma, Rivista Internazionale di studi Nordamericani, n.15, intervista
con Herbert Gutman, a cura di Bruno Cartosio, Acoma, n.6 sul sito:
www.unibg/acoma
Dei
numerosi contributi di CRL James, militante rivoluzionario, giornalista
sportivo, critico letterario, saggista politico non è stato tradotto
praticamente nulla in Italiano, tranne l’ormai introvabile I Giacobini
Neri, Feltrinelli, 1968 e l’unico testo uscito in Italia
sull’autore, CRL James, il Platone Nero, di Federico Gattolin,
edito da Prospettive Edizioni, 2002, roma, tratta solo marginalmente e molto
confusamente l’esperienza degli anni ’40, ’50 e ’60, a cui James ha
partecipato, liquidando inoltre le esperienze di Correspondance e Facing
Reality, come “operaiste” e “spontaneiste” e non dicendo
praticamente nient’altro sulla loro attività, l’evoluzione e il
bilancio che fece chi vi prese parte.
Nello
studio non vi è straccia delle vivide descrizioni della vita di fabbrica,
delle contraddizioni della militanza sindacale, degli aspetti della vita
metropolitana in una delle più gigantesche concentrazioni operaie nel
dopoguerra, nonché l’originale livello di elaborazione teorica, in
rapporto al contesto in cui scaturiva.
L’autore
non cita la rete di contatti internazionali di queste esperienze e non cita
nemmeno in bibliografia, l’unico contributo della J-F Tendency
parzialmente tradotto in Francese e in Italiano: l’Operaio americano,
in cui emerge tra l’altro, nella seconda parte, non tradotta, la profonda
influenza esercita dai Manoscritti economici - filosofici del ’44,
tradotti dalla Tendency. L’American worker ha influenzato
l’elaborazione dei gruppi europei della sinistra anti-burocratica di
quegli anni: è stato per così dire l’archetipo delle successive
testimonianze operaie pubblicate da questi gruppi. L’autore, seppure parli
ampliamente del dibattito sull’organizzazione indipendente degli
afro-americani tra Trotsky e CRL James, presenta tale dibattito, nel modo in
cui viene esposto, sempre distaccato dalle condizioni storiche in cui questo
maturò, mutilato delle sue origini e delle sue prolifiche conseguenze. Non
volendo qui fare una recensione approfondita al libro, ci limitiamo a dire
che il grande merito di questo studio è il fatto di essere assolutamente
pionieristico in Italia, e nell’aver fatto alcune critiche puntuali al
retaggio leninista di James, critica che si potrebbe fare allo stesso Marty,
come alla sua posizione e ai suoi comportamenti rispetto alle rivoluzioni
anti-coloniali. La sua più grande mancanza sta nelle omissioni e nelle
sotto-valutazioni di un percorso collettivo che ha visto James essere un
esponente di spicco e nella quasi totale assenza del contesto in cui lui, e
i suoi compagni si sono mossi in quegli anni.
Testi
di James e su James e della Tendency sono disponibili in inglese nel sito: www.crljamesinstitute.org
e sul sito www.marxist.org.
[2] The revolutionary Optimist: Remembering C.L.R James, M.Glaberman, sul sito: www.org/solidarity/atc
[3]
L’esperienza proletaria,
Claude Lefort, in Socialisme ou Barbarie, n.11, novembre-dicembre
1952, tradotto in Collegamenti-wobbly, n.4-5 nuova serie
[4] the revolutionary optimism, cit.
[5]
Partito trotskysta statunitense, sezione americana della Quarta
Internazionale fondata nel 1938, sotto la leadership di J.P.Cannon, Cfr. I
primi 10 anni del PC americano, Jaca Book, giugno 1977, Milano
[6]
Il Workers Party si costituisce nel 1940 sotto la guida di Max Shachtman,
anch’esso facente parte della Quarta Internazionale. J.R Johnson
(pseudonimo di C.L.R. James), F.Forest (Raya Dunayevskaya) e altri, tra cui
Glaberman, aderiscono alla proposta shachtmaniana di fondare il partito al
di fuori del “convervatorismo burocratico” di J.P.Cannon, e contro la
capacità della leadership di maggioranza “di elaborare o portare un
programma d’azione, e in particolare l’incapacità di fare del Programma
di transizione trotskiano una realtà vivente”. Citaz. Da “War and
Bereaucratic conservatorism”, documento del WP del 1940.
[7]
Dunayevskaya Raya (1910-1987), trasferitasi ancora bambina dalla
Russia agli USA nel 1922; iniziò giovanissima il suo attivismo politico e,
ancora ragazzina, venne espulsa dal Partito Comunista statunitense a causa
delle sue posizioni trotskyste. Negli anni trenta fu segretaria di Trotsky,
poi però ruppe con lui per divergenze sull’analisi della natura di classe
dell’Unione Sovietica. Fu
fondatrice, con C.L.R. James, del Johnson-Forest Tendency. Successivamente
divenne fondatrice e leader del News and Letters Committees, un gruppo
incentrato su idee di marxismo-umanitario, le sue posizioni sono sempre
state però piuttosto distanti da quelle degli altri ‘Umanisti’ quali
Fromm, Marcuse e Luckas.
A lei si devono le prime traduzioni dei Manoscritti economici e
filosofici di Marx e dei Quaderni filosofici di Lenin.
Quest’ultimo libro ebbe una forte influenza su tutte la sua vita politica,
per quanto, negli ultimi anni della sua vita, le si sia distaccata da Lenin
criticandone la teoria del partito.
Tra i suoi scritti ricordiamo: Marxismo e libertà, dal 1776 fino ad oggi
(1958), Filosofia e rivoluzione. Da Hegel a Sartre e da Marx a Mao (1973),
Rosa Luxemburg, liberazione delle donne e La filosofia della
rivoluzione di Marx (entrambi del 1982).
[8]
Il libretto comparve come “Discussion Bullettin N°4” interno allo SWP
nel 1950, anno in cui verrà stampato anche autonomamente dalla Tendency. La
ristampa del 1956, a cura di Correspondance, viene fatta precedere da una
nuova traduzione firmata collettivamente da Johnson, Christianson, Chaulieu,
Brendel, Maassen, Hughes, esponenti della rete internazionale di contatti di
gruppi della sinistra anti-burocratica degli ani ’50 e ’60 fuori dalle
organizzazioni e dai partiti istituzionali e le formazioni trotskyste o
bordighiste.
[9]
La coesistenza nel partito di Schachman della Tendency dura fino al 1947.
Nel 1948 ritorna in seno al SWP, abbandonando Shachtman e il suo partito ad
un destino di involuzione politica che si concluderà poi con la confluenza
nel socialdemocratico Socialist Party.
[10]
The American Worker
fu pubblicato per la prima volta nel 1947, scritto da Paul Romano, un
giovane lavoratore della General Motors di uno stabilimento del New Jersey,
che impiegava circa 800 operai. Un sito produttivo che per l’industria
automobilistica dell’immediato dopoguerra, era relativamente minuto,
paragonato ai circa 60.000 dello stabilimento della River Rouge della Ford.
La seconda parte, scritta da Ria Stone, completante la prima, ne era il
necessario e inseparabile continuum di orientamento teorico, e nella volontà
degli animatori, un tentativo di superare in un raggruppamento marxista la
divisione tra il contributo di un lavoratore e quello di un intellettuale.
In Francia, Socialisme ou Barbarie, inizia la pubblicazione a puntate
dell’Ouvrier américaine, nel marzo-aprile del ’49, che si
protrarrà per tutti i primi otto numeri della rivista. La prima
parte fu tradotta in Italiano usando la traduzione francese e confrontandola
con l’originale inglese, da Danilo Montaldi e apparve a puntate su Battaglia
Comunista dal Febbraio-Marzo del 1954 al Marzo dell’anno successivo.
Ora è contenuta nell’antologia di scritti di D.Montaldi Bisogna
Sognare, scritti 1952-1975, a cura dell’ Associazione culturale Centro
d’Iniziativa Luca Rossi, Coop.Colibrì, Milano 1994.
[11]
L’intervista citata apparsa su i QP, oltre al volume già citato e alla
raccolti di articoli, lotta di classe e razzismo, Laterza, Bari,
sempre di James Boggs, danno la cifra delle posizioni da loro assunte dopo
l’esperienza di Correspondance e Facing Reality, che porterà
il gruppo al suo livello più basso.
L’
intervista alterna spunti di riflessioni interessanti rispetto al riot
di Detroit nel ’67 e al ruolo del sindacato: << l’apparato del
sindacato, è come la polizia nelle strade>> a prese di posizioni
molto discutibili, dalla futura scomparsa del lavoro di fabbrica a causa
dell’automazione, all’insuperabile sentimento razzista della classe
operaia bianca: <<l’operaio bianco povero ci tiene più al suo
razzismo che al suo benessere economico…La loro mentalità è sedimentata
generazione su generazione…I giovani bianchi si arruolano nella guardia
nazionale perché si preoccupano del fronte interno… Con gli operai
bianchi noi non vediamo altro che scontro>>, al primato del
nazionalismo nero visto come sbocco politico dell’azione anti-coloniale
della comunità afro-americana negli States: <<il movimento del potere
nero si propone compiti di leadership anche a livello teorico>> e
soprattutto la visione enfatica della Rivoluzione Culturale, di Mao, della
sua azione e del suo pensiero: <<oggi il centro della rivoluzione non
è l’Europa, ma è la Cina… Dobbiamo guardare là dove c’è la forza e
avere un punto di riferimento internazionale: il punto di riferimento è la
Cina >>.
Rispetto
alla rivolta di Detroit del ’67 dopo avere chiarito che << le
rivolte dei neri non possono avere successo a causa della loro spontaneità,
… Tutte le rivolte dei neri sono state spontanee salve alcune…Sono
eruzioni spontanee, senza l’idea precisa di impadronirsi del potere>>,
aggiunge che: << La paralsi dell’economia può essere molto più ed
è in effetti molto più profonda di quella dello sciopero operaio…A
Detroit tutto si Fermò… Dove i Neri occupano un’area tanto vasta, e in
particolare quella tutt’attorno al complesso industriale, allora c’è la
paralisi completa. Questo bisogna capirlo: è più una guerra che uno
sciopero. La rivolta, in particolare una rivolta strategica condotta dai
neri nelle città, è un tipo di guerra e ha l’effeto di paralizzare un
territorio, in un certo senso anche di controllarlo>>.
[12]
Sulla League of revolutionary black workers si può leggere in inglese League
of revolutionary black workers (a historical sudy) di A.Muhammad Ahmad,
sul sito: www.geocities.com/CapitolHill/lobby/2379;
Detroit: I Do Mind Dying, Georgakas, Dan, and Surkin, Marvin, New
York, St. Martin’s Press, 1975. In
Italiano si può leggere sulla situazione della classe operaia nera a
Detroit, filtrata, allora, in Italia: l’intervista con James e Grace Boggs
sui Quaderni Piacentini, n. 35, Luglio ’68; Lettere dall’america, Dan
Georgakas, QP, n.38, Luglio ’69; USA
’70, Le lotte, il programma degli operai neri, a cura di Philadelphia
Solidarity, Colin Ericson, LBRW, Collettivo esteri di Potere Operaio,
Edizioni Politiche, Padova, Marzo 1971; L’altra america: i neri:
1870-1970, Nando Minella, Gammalibri; il programma della League è
riprodotto anche in Malcom X e l’altro sogno americano, a cura di
Sergio Maria Calzolari, Synergon, genn. 1993, Bologna.
Dall’intervento
di alcuni attivisti afro-americani in uno sciopero selvaggio di uno
stabilimento in cui lavorano nasce il DRUM, a seguito della repressione che
colpì quasi esclusivamente operai di colore.
Il
riot del ’67 a Detroit radicalizzerà la classe operaia di colore,
permettendo ad alcuni attivisti, formatesi negli anni precedenti anche sotto
l’influsso dei coniugi Boggs, di avere terreno fertile per il proprio
intervento che si strutturerà, prima con la diffusione di bollettini
aziendali, con un lavoro capillare nella comunità afro-americana, tra cui
le scuole superiori e il bacino di consenso degli studenti universitari
tramite l’Inner City Voice. Nei bollettini aziendali che prendevano
il nome delle fabbriche in cui erano prodotti, venivano denunciate le
condizioni di lavoro, gli atteggiamenti razzisti, la passività e la
negligenza del sindacato. Questi fogli fungevano da strumento di
auto-indagine della classe, di collegamento e irradiazione nell’area
metropolitana di Detroit, riuscendo a organizzare scioperi selvaggi
dall’esito positivo e facendo emergere le contraddizioni
dell’organizzazione sindacale, nonostante la lotta sporca ingaggiata da
polizia e racket sindacale contro questi tentativi di organizzazione.
A
differenza del Black Panther Party, la League, nata dall’organizzazione
dei vari revolutionary union momement, che aprì una sezione delle
Panther a Detroit, per evitare lacerazioni politiche nel tessuto degli
attivisti e della comunità afro-americana, focalizzava il suo intervento
sulla classe operaia di colore, che riteneva un soggetto sociale centrale
nello sviluppo dell’ipotesi rivoluzionaria in America, e criticava le
Panthers per la poca attenzione nei confronti delle conseguenze, che alcuni
comportamenti avrebbero avuto, sui militanti della propria organizzazione,
esponendoli alla repressione.
Il
licenziamento di un militante, con la conseguente perdita di un rapporto di
internità con una situazione di lavoro e il problema di dovere assicurare
la sua sopravvivenza, vista la facilità con cui questi tradizionalmente
venivano messi sulla “lista nera”, dovendo fare così affidamento sulla
comunità per la propria sopravvivenza, era un problema con cui i militanti
della League avevano dovuto affrontare sin dall’inizio, tanto che optavano
per far fare i picchetti ai membri della comunità, per rendere
“invisibili” i propri militanti, già esposti, nel lavoro in fabbrica e
in comunità, alla repressione della direzione aziendale, dell’apparato
sindacale, delle forze dell’ordine.
[14]
Una ricostruzione sul movimento dei camionisti a Minneapolis e
dell’influenza esercitata dal SWP negli anni ‘30 e in generale della
parabola dei teamsters’ in quella città si trova nell’articolo di Primo
Maggio, n.12
[16]
Andy Anderson, Ungheria 1956 – La comune di Budapest. I Consigli Operai,
Edizioni Zero in Condotta, Imola 1990; Cornelius Castoriadis, La sorgente
ungherese, in Collegamenti, per l’organizzazione diretta di classe,
n.6/7 maggio 1979; Utile come antologia di testi della sinistra
antistalinista degli anni ’50 è Lotta Comunista, Ungheria ’56 –
Necessità di un bilancio, Edizioni Lotta Comunista, Milano 1986