10/01/2017: 18 marzo 2017: presidio sotto il carcere di Novara
sabato 18 febbraio: presidio sotto il carcere di Novara
Sono passati oltre 10 anni dalla mobilitazione contro un decreto del ministro di Giustizia di allora, Castelli, che vietava la ricezione di libri, stampe e riviste a chi rinchiuso nella sezione speciale del carcere di Biella, limitando comunque a cinque il numero di libri da poter tenere in cella. L’ampia mobilitazione di allora riuscì ad ottenere il ritiro del provvedimento.
Ora, da quasi un anno, chi è sottoposto al regime previsto dall’art. 41bis dell’ordinamento penitenziario (o.p.) non può più ricevere libri, né qualsiasi altra forma di stampa, attraverso la corrispondenza e i colloqui sia con parenti che con i propri avvocati: libri e stampa in genere possono essere acquistati soltanto tramite autorizzazione dell’amministrazione. Questa ulteriore forma di censura va ad aggiungersi alla restrizione del numero di libri che è consentito tenere in cella: solo tre.
Questo divieto è stato disposto da una circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) del novembre 2011 che, in un primo momento, fu bloccato dai reclami di alcuni reclusi, accolti nelle ordinanze di diversi giudici di sorveglianza. In seguito i ricorsi opposti da almeno tre pubblici ministeri contro queste ordinanze furono confermati con una sentenza della Cassazione, il 16 ottobre 2014, che ha reso definitiva questa nuova odiosa restrizione.
Nei fatti la direzione del carcere i libri non li compera, tanto meno libri contro guerre imperialiste, sfruttamento-devastazione del territorio ad esse connesso oppure opuscoli sulle lotte per l’abitazione, la sanità o sui movimenti di lotta più diversi; anche perché quasi tutto questo materiale non è acquistabile nei circuiti del commercio di massa.
Consapevoli dell’importanza del libro, della lettura e dello studio, della socializzazione delle più diverse esperienze nella formazione della coscienza critica, individuale e collettiva, dall'agosto del 2015 ha preso avvio la campagna “pagine contro la tortura” con lo scopo di contrastare questa ennesima privazione.
Da allora ad oggi molte sono le iniziative intraprese per sensibilizzare l'opinione pubblica circa la natura essenzialmente vessatoria di un tale divieto, tanto più se applicato a reclusi in condizioni di isolamento totale e deprivazione sensoriale. Un giudizio che trova riscontro tanto nelle argomentazioni di accoglimento dei reclami da parte di alcuni Magistrati di Sorveglianza (MdS) che in quelle contenute nell' “Indagine conoscitiva sul 41 bis” redatta l'aprile scorso dalla Commissione per i diritti umani del Senato.
Siamo altresì consapevoli dei processi di generalizzazione che accompagnano i dispositivi di natura emergenziale così che la quotidianità in ogni tipo di carcere risulta sempre più influenzata da quanto sperimentato e seguito nelle sezioni a 41bis; ad esempio:
il largo utilizzo dell’isolamento totale in “celle lisce”, prive di tutto, per lunghi periodi di tempo in base all’articolo 14bis o.p., applicato dal “consiglio di disciplina” (formato da direttore, capo delle guardie, medico, psichiatra…) contro chi si ribella, soprattutto se in maniera collettiva, che spesso si conclude con “suicidi” ormai quotidiani (si vedano a tal proposito le recentissime lettere uscite dal carcere di Ivrea, di Cuneo e di Novara dopo la mattanza realizzata dalle guardie nel carcere di Ivrea per porre fine ad una protesta);
l’estensione del processo in videoconferenza in cui l’imputato detenuto segue il processo da solo in una cella attrezzata del carcere, tramite un collegamento video gestito a discrezione da giudici, pubblici ministeri e forze dell’ordine, quindi privato della possibilità di essere in aula con tutte le limitazioni che ciò implica sul piano della solidarietà, della visibilità del processo, della comunicazione – tra coimputati, con amici e familiari, con il “pubblico” – e della difesa legale che ne risulta fortemente compromessa (ricordiamo l’importanza della lotta portata fin dentro le aule del tribunale di Torino per ottenere la scarcerazione di diversi esponenti del movimento No Tav processati per la manifestazione del 3 luglio 2011 in Val Susa);
l’accesso al lavoro, ai giorni di liberazione anticipata per buona condotta, ai colloqui con figli/e in “aree verdi” e simili, sono ormai ridotte a concessioni subordinate ad una “collaborazione” che rafforza l’arbitrio della direzione e la desolidarizzazione fra reclusi attraverso l’uso di logiche premiali (si vedano i “rapporti” dettati dalle prepotenze tese a sottomettere la persona reclusa, talvolta persino per via di un saluto mandato ai compagni di prigionia).
D’altra parte abbiamo compreso, specialmente dopo l’11 settembre 2001, come le politiche emergenziali siano spesso del tutto funzionali al varo di leggi e dispositivi eccezionali che, nel corso del tempo, anziché essere abrogate vanno invece a consolidarsi, diventando parte integrante della normalità e della quotidianità. Così l’esercito nelle strade insieme all’aumento delle spese militari e delle basi NATO in Italia, indica un processo di progressiva militarizzazione dei territori, un vero e proprio fronte interno della guerra imperialista che accompagna l’approfondirsi delle contraddizioni sociali e del ricorso alla guerra.
Citiamo a tal proposito l’ultima legge antiterrorismo (17 aprile 2015, n.43), varata sull’onda emotiva della strage alla sede di Charlie Hebdo a Parigi, che se da una parte crea nuove fattispecie di reato tanto generiche e arbitrarie quanto lo è il concetto di terrorismo, dall'altra, rifinanzia per decreto decine di missioni militari italiane all'estero per diverse centinaia di milioni di euro e rende possibile l’invio di militari in missioni di guerra senza l’approvazione parlamentare, possibilità immediatamente sfruttata con l’invio in Libia di un contingente italiano nel marzo scorso.
Insomma, dall’Iraq alla Libia, passando dall’Afghanistan e dalla Siria, sono anni che vediamo come in nome dell’ “antiterrorismo”, col plauso di quasi tutto l’arco parlamentare, venga approfondita tanto la proiezione bellica oltreconfine quanto la gestione militare delle contraddizioni sociali che risultano ad esempio dalle condizioni di vita nei Cie e negli Hot Spot o nelle tante campagne, cantieri e aziende dove viene sfruttata la forza-lavoro immigrata.
Una tendenza senz’altro sostenuta dai mass media attraverso una lettura quantomeno banalizzata della realtà che istiga le tensioni reazionarie fino ad equiparare chi è contro l’intervento militare in Libia ad un amico dell’Isis e chi è contro il regime del 41bis ad un amico dei mafiosi.
Il carcere di oggi è parte di un “sistema penale” articolato che contrattacca anche con i fogli di via, i divieti e gli obblighi di dimora, la sorveglianza speciale, gli arresti domiciliari “stretti” o “larghi”, i processi anche in videoconferenza, chi lotta contro guerre e razzismo e riapre la strada a condizioni di lavoro e abitative, umane, dignitose. Le conquiste realizzate nelle carceri negli anni 60’-70’ del secolo scorso, e quelle ottenute sul lavoro e nella scuola, ora sono divenute premio, concesso nella misura in cui si accetta il “trattamento individualizzato”, a discapito delle rivendicazioni collettive. Così la differenziazione ha favorito il generalizzarsi nelle carceri, ma non solo, di cibo indecente, di prezzi del sopravvitto maggiorati rispetto all’esterno, di un’igiene pressoché inesistente, di tagli alla sanità tranne che per gli psicofarmaci che invece vengono distribuiti a pioggia, riducendo le persone a vegetali.
Che il carcere sia un luogo di tortura ma anche di lotta e di riscatto lo dicono i fatti. Ricordiamo i violenti pestaggi avvenuti l'ottobre scorso nel carcere di Ivrea, ordinati dalla direzione per zittire le proteste insieme all'isolamento e ai successivi trasferimenti nelle carceri di Cuneo, Vercelli e Novara. A questi fatti sono seguite diverse manifestazioni sotto il carcere di Ivrea, per portare solidarietà ai detenuti in lotta e rompere l'isolamento.
Il presidio sotto il carcere di Novara sarà quindi anche un'occasione per raccontare quanto accaduto ad Ivrea e sostenere chi da lì è stato trasferito e messo in isolamento.
Le condizioni del carcere di Novara sono le stesse misere di molti altri penitenziari, in più:
“...per quanto riguarda la socialità qui non c'è la saletta perciò ci rimane che stare o uscire al cortile; siamo sei persone in cella, potete già capire la situazione, cinque stipetti, cosa che ne mancherebbe uno, cosa che non c'è, i nostri familiari ci devono portare 1 kg di vestiti e 1 kg di mangiare, se no non può entrare, abbiamo fatto una richiesta per poter togliere questa regola così assurda ma non siamo stati ascoltati, abbiamo chiesto di poter lavare i vestiti nella lavanderia visto che non c'è un lavatoio, nè tantomeno degli stendini, anche qui ci hanno detto di "no"...” (da una lettera del 17 gennaio)
Vogliamo infine ricordare le pessime condizioni di reclusione in cui versa anche la sezione a 41bis, condizioni che nell'agosto scorso hanno portato il Garante dei detenuti delle carceri piemontesi a chiederne la chiusura.
sabato 18 febbraio, presidio sotto il carcere di Novara
ore 14, davanti all'ingresso (via Sforzesca, 49)
gennaio 2017, campagna “pagine contro la tortura”
olga2005@autistici.org
La documentazione relativa al 41bis, alla circolare sul divieto a ricevere libri, le ordinanze dei MdS, e tutto il resto citato nel presente scritto è reperibile nel sito web della campagna: paginecontrolatortura.noblogs.org.
Le lettere pervenute dal carcere, insieme ad altri testi, sono pubblicati mensilmente in cartaceo e disponibili alla pagina web: www.autprol.org/olga
olga2005@autistici.org
http://www.autprol.org/
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