11/11/2009: Air Italy e le deportazioni di profughi verso l’Iraq
Il mese scorso la compagnia Air Italy affittato un volo charter alla UK Border Agency per rimpatriare 39 iracheni cui era stato rifiutato l’asilo.
In seguito alla campagna di boicottaggio - in merito alla quale trovate sotto la traduzione dall’originale inglese - il presidente di Air Italy ha annunciato che non avrebbe più fornito aerei per le deportazioni di profughi.
Vedremo se è vero. Nel frattempo vale la pena di mantenere forte la pressione su Air Italy e su quanti collaborano alla macchina delle deportazioni.
Air Italy è coinvolta nel rimpatrio forzato, su uno dei suoi voli charter preso in affitto dalla UK Border Agency, di 39 iracheni che avevano richiesto asilo al Regno Unito, rispediti in Iraq verso una destinazione ignota mercoledì 14 ottobre dall’aeroporto di Stansted. “Operazione Rangat” è il nome dato al volo charter dalla Uk Border Agency.
L’Iraq è uno dei paesi col tasso di mortalità più elevato al mondo. Dal 2003 più di 186.924 civili hanno perso la vita, e malgrado ci raccontino che la guerra è finita non c’è pace, e la gente continua a morire, giorno dopo giorno.
Dobbiamo far sapere ad Air Italy come la pensiamo, telefonando, mandando fax o e-mail a:
Giuseppe Gentile President & C.E.O.
info@airitaly.it - customercare@airitaly.it
Telefono: 0331 211 011
Fax: 0331 211 019
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Fermiamo la prima deportazione di massa a Baghdad
La rete STOP DEPORTATION e la Federazione Internazionale dei Rifugiati Iracheni, insieme ad altri gruppi ed organizzazioni, chiedono la sospensione della prima deportazione di massa verso l’Iraq del sud con il volo di mercoledì, e il rilascio immediato dei detenuti in attesa di rimpatrio forzato.
Per tutta la scorsa settimana, i reclusi in vari centri per immigrati sono stati destinati alla deportazione in Iraq, e non nella Regione Governativa del Kurdistan, come si era invece verificato nei rimpatri precedenti.
Deportare le persone in una zona di guerra come l’Iraq significa mettere a grave rischio la loro vita.
Solo recentemente, l’11 ottobre, 3 auto-bombe sono esplose a Ramadi, una città dell’Iraq occidentale, uccidendo ben 19 persone. Violenze e massacri continuano in tutto il paese: 1.891 vittime civili solo nei primi 6 mesi di quest’anno. I viveri di prima necessità scarseggiano, manca l’acqua potabile: la crisi umanitaria è gravissima in diverse aree del paese. Il governo inglese, che partecipa alla guerra e all’occupazione dell'Iraq dal 2003, è responsabile di queste crisi e della conseguente migrazione obbligata di milioni di Iracheni. Invece di aiutare i rifugiati in fuga da guerra e violenze, sta progettando di rimandarli in massa incontro alla morte. I voli charter per il rimpatrio forzato limitano di molto la possibilità dei rifugiati di accedere alle procedure legali ad essi dovute.
La UK Border Agency dichiara che” i voli charter potrebbero subire modifiche ritenute di volta in volta appropriate a causa della complessità e del costo delle operazioni”. Ai deportati del volo è stato detto che” il rimpatrio non sarà necessariamente differito nell’eventualità di una revisione della loro posizione giuridica”, è chiaro dunque che la preoccupazione maggiore è ora solo quella di riempire l’aereo, più che di assicurare che tutte le vie legali appropriate siano poste in essere. I detenuti, ormai in preda alla paura e all’incertezza, hanno anche perso il diritto di conoscere la data e l’ora del rimpatrio, fatto che rende molto più difficile ai loro rappresentanti legali agire
tempestivamente.
Le deportazioni forzate di rifugiati nel Kurdistan iracheno (Iraq settentrionale) si ripetono dal novembre 2005. Le deportazioni di massa, poi, si susseguono fin dal giugno 2008 al ritmo di almeno 50-60 persone al mese, da quando il Ministero dell’interno ha deciso che l’area del Kurdistan, a differenza del resto del paese, era “sicura”. La Federazione Internazionale dei Rifugiati Iracheni stima che, dal 2005, 1.000 persone sono state deportate dal Regno Unito in Kurdistan. A dispetto della presunta “sicurezza”, in molti sono morti o scomparsi dopo il rimpatrio forzato, compreso Hussein Ali, che si è suicidato due giorni dopo essere “tornato a casa” nel 2008. Molti altri sono stati costretti a nascondersi.
La rete Stop Deportation e la Federazione Internazionale dei Rifugiati iracheni invitano tutti i gruppi, le organizzazioni e i singoli contrari a queste azioni brutali da parte del Governo Inglese a ribellarsi perché le deportazioni di massa in Iraq abbiano fine.
noracism@inventati.org
http://www.autprol.org/