26/09/2009: Lettera dal carcere di Vigevano
Ciao …
Ed eccoci arrivati all’apertura del processo per il fatto di Parma in cui venni arrestata assieme a miei due compagni Peppe e Nora, che saluto e a cui penso costantemente.
So già che questo processo, come la maggior parte, verrà mascherato in modo tale da non farlo apparire, da non farlo echeggiare per quello che realmente è: un attacco diretto a chi sostiene le lotte degli oppressi senza rimanere con l’indignazione nel cuore, ma dimostrando che ancora c’è chi riesce, vuole e sente opporsi a ogni forma di dominio.
Sento leggo delle lotte portate avanti dai reclusi nel CIE, il processo ai/alle 14 immigrati/e di via Corelli, partecipanti a una delle tante rivolte che avvengono in quei maledetti lager.
Su questo processo c’è e si deve puntualizzare il carattere politico che l’ha segnato, dal momento che sul banco degli imputati non ci stanno solo gli/le immigrati/e coinvolti, ma tutti/e i/le migranti e ciascuno di noi che vede nella lotta l’unico metodo e modo per abbattere l’oppressione di stato.
Volevo riallacciare le due cose proprio per questo motivo, per il fatto che non si può distaccare un atto dimostrativo e/o d’indignazione da atti decisi e voluti per riacquistare la dignità e la libertà.
Alla brutalità dello stato l’unica risposta dovuta, concreta è la violenza del cuore.
Quella violenza che nasce da ogni individuo che ne ha abbastanza di sentirsi schiacciare quotidianamente. Dunque se ad un individuo viene negata la libertà in maniera brutale, come diretta conseguenza ci sarà sempre chi esplode, chi decide, rispondendo, attaccando nel modo più consono! Colpo su colpo.
I processi sono collegati: da una parte persone con lo spirito e la voglia di riacquistare ciò che gli è stato negato e dall’altra lo stato, il suo sistema legislativo, di morte.
Le sentenze quindi sono già scritte, già segnate, ciò non toglie che si possa zittire, sminuire, storpiare e mascherare quello che ha portato a determinare azioni, quello in cui crediamo.
Se da un lato cercano di togliere il valore di ogni rivendicazione, dall’altro infliggono misure preventive e pene salatissime sulla base dei loro castelli di carta.
Porto tutta la mia complicità a chi continua ad attaccare e a resistere ovunque.
La nostra lotta, quella degli immigrati nei CIE, come quella in Iraq, in Palestina, in Papua ovest, nel Delta del Niger, in Cile e ancora altrove, è una sola. E’ la lotta degli oppressi contro gli oppressori e rivendicarla significa ribadire che nel mondo è in corso una guerra sociale, che coinvolge tutti, una guerra che continuerà a pulsare fino a quando non si raggiungerà la completa libertà d’ogni individuo, d’ogni essere vivente.
Concludo questa mia lettera con la felicità nel sapere dei 6 militi italiani caduti a Kabul.
Abbiamo 6 assassini in meno, di là come di qua!
Sempre all’attacco per la libertà,
Vigevano, 22 settembre 2009
Madda
http://www.autprol.org/