10/09/2009: Sulla strage di Viareggio del 29 giugno


Nella notte del 29 giugno scorso, un treno merci che trasportava gas è deragliato in prossimità della stazione ferroviaria di Viareggio. Un carrello si è rotto, un vagone si è rovesciato e dalla cisterna è fuoriuscito il gas che dopo qualche istante è letteralmente esploso incendiando persone e cose nel raggio di centinaia di metri. A tutt'oggi, 29 persone sono morte, altre sono rimaste ustionate in modo gravissimo. Non c'è bisogno di dire che se questo incidente fosse avvenuto nel pomeriggio e 100 metri prima i morti potevano essere centinaia.
La città di Viareggio ha subito uno di quegli shock che fanno uscire violentemente dal torpore, dall'assuefazione e spingono le persone a manifestare tutti quei sentimenti che esplodono in occasioni come queste: dolore, incredulità, rabbia, solidarietà, necessità di reagire... Quanto durerà questa emozione cittadina e quanto sia stata effettivamente tale (e non soprattutto oggetto di chiacchiericcio) è, per ora, impossibile dirlo.
Un evento come quello accaduto a Viareggio il 29 giugno non può lasciare indifferente nessuno. Ma c'è modo e modo di affrontarlo. Dopo soli due giorni dall'esplosione, mentre le persone morivano una dopo l'altra, Silvio Berlusconi aveva già pronta un'operazione “Abruzzo bis”: “vado a Viareggio e prendo in mano la situazione”. I viareggini hanno tamponato immediatamente questa indegna speculazione propagandistica e il 3 luglio hanno accolto Berlusconi a male parole, costringendolo ad allontanarsi da una porta posteriore del Municipio per non sfilare tra manifestanti inferociti (certo, l'operazione era ben congegnata e c'erano anche i supporters, ma si sa che gli amici non riescono a parare le pomodorate dei non amici).
L'apparato di strumentalizzazione di regime si è comunque riproposto – e in grande stile – in occasione dei funerali di Stato ai quali non è voluto mancare nessuno. Certo, la vicinanza alle vittime e alle loro famiglie da parte dei cittadini di Viareggio, in questo momento di sgomento collettivo, era comprensibile e giusta. Meno giusta, ma altrettanto comprensibile (nel senso che se ne possono comprendere le motivazioni) è stata la spettacolarizzazione dell'evento (con tanto di maxi-schermi), la retorica “presidenziale” e religiosa, la “copertura mediatica”... insomma, la “messa in onda” del dolore, affinché tutti i tele-cittadini potessero usufruirne.
Il “nostro” Presidente della Repubblica, fedele alla sua ripetitiva e inconcludente litania, ha ripetuto il suo solito “mai più” e il suo solito “ora basta”: le stesse parole che usa ogni qualvolta avviene una qualche morte sul lavoro che riesce a superare il velo dell'informazione di regime.
Ma aldilà dell'evidente ipocrisia è proprio il contenuto che non può convincere: “Mai più” cosa? “Mai più” incidenti? E perché? Se l'incidente è stato – come non è stato – una fatalità allora come si può impedire una fatalità? E se l'incidente non è dipeso dal fato, ma ha avuto precise responsabilità, allora bisogna dire dove stanno queste responsabilità, dove stanno le cause, per impedire che essere possano ripresentarsi, ammesso e non concesso che questo sia effettivamente possibile.
E allora: dove stanno le responsabilità? Dove stanno le cause prime di questa strage? Semplificando, le cause stanno su 4 diversi livelli.

A livello più basso sta la rottura del carrello che è la causa immediata del rovesciamento del vagone e dell'apertura della cisterna (a proposito, una cisterna che si rovescia deve per forza aprirsi? Non è previsto che una cisterna, viaggiante su un treno, possa rovesciarsi, ma nonostante questo non aprirsi e non rilasciare il suo pericolosissimo contenuto?).
Ma, ci dicono, i carrelli dei carri merci sono controllati e certificati. Non girano mica per le ferrovie a casaccio. A tal proposito, il signor Mauro Moretti, Amministratore Delegato delle Ferrovie dello Stato e già segretario della FILT-CGIL, presentatosi fugacemente sul luogo del disastro ha avuto la “prontezza d'animo” (diciamo pure il “pelo sullo stomaco”) e la voce sufficientemente alta e chiara per affermare (affinché qualcuno potesse sentirlo) che “dobbiamo controllare anche quello che viene dall'estero”, riuscendo in un sol colpo a scaricare prontamente le responsabilità “sull'estero” e a far la figura di quello che – tanto gli sta a cuore la sicurezza – vuole preoccuparsi anche di ciò che “non gli competerebbe”. Fatto sta – come hanno riportato La Repubblica e il Manifesto – che pare sia proprio ad una società del Gruppo Ferrovie dello Stato (FS Logistica) che si era rivolta la società che aveva noleggiato i carri (per trasportare il gas) al fine di certificare la loro efficienza. E quindi Moretti, prima di preoccuparsi dell'estero, farebbe bene a preoccuparsi dell'interno, del suo gruppo. Ed ecco il “secondo livello”, il sistema ferroviario italiano nel quale problemi di sicurezza ce ne sono eccome. Mauro Moretti, quello a cui sta tanto a cuore la sicurezza in ferrovia da volersi occupare “anche dell'estero” è lo stesso Mauro Moretti che il 15 agosto dello scorso anno ha licenziato (per la seconda volta) il macchinista – e Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza - Dante De Angelis, reo di aver denunciato alla stampa la mancanza di sicurezza dei treni.
Ma a questo punto ci si domanda. Ci sono forse sanguinari omicidi alla direzione delle Ferrovie dello Stato? Beh, in un certo senso, forse... Ma il vero motivo per cui i vagoni deragliano (e in Italia - in particolare in Toscana - ne sono deragliati parecchi negli ultimi tempi, ovviamente nell'inconsapevolezza dei cittadini ai quali queste notizie, nonostante le denunce dei ferrovieri e dei pendolari che se ne occupano, non vengono date o vengono sommerse sotto valanghe di chiacchiere di nessuna importanza per la vita delle persone) è perché viene fatta una manutenzione sempre più scadente. E perché? Perché le Ferrovie dello Stato sono state semi-privatizzate, devono realizzare profitto per gli azionisti e per realizzare questo profitto tagliano sui costi, principalmente del personale e della manutenzione. Che poi questo vada a detrimento della sicurezza degli utenti, diciamo, è un “problema collaterale”. Siccome, si dice, in Italia c'è ancora maggiore sicurezza rispetto al resto d'Europa e muoiono meno persone, Moretti e il suo entourage pensano di avere ancora buoni margini di riduzione della sicurezza. Fintantoché i morti in ferrovia in Italia restano sotto la media europea possono aumentare, questo è il principio che serpeggia ai vertici delle FS.
Nel frattempo, l'importante è realizzare profitto (valorizzando soprattutto il trasporto ad Alta Velocità). Non si può mica andare in Consiglio d'Amministrazione o all'Assemblea dei Soci e dire: non guadagniamo nulla ed anzi siamo in perdita, ma è aumentata la sicurezza dei lavoratori e degli utenti, le carrozze sono comode e non odorano di discarica, i bagni sono puliti, gli orari sono rispettati, i prezzi sono adeguati alle tasche dei pendolari, lavoratori e utenti sono soddisfatti, ecc... Eh, non si può... capitalisticamente parlando, ovviamente.
Viene in mente un bel film (il cui titolo originale - “Class Action” - fu “arditamente” tradotto in italiano in “Conflitto di classe”) nel quale si raccontava di una azienda automobilistica che aveva scoperto che uno dei suoi modelli, in particolari situazioni, poteva esplodere causano la morte o la grave ustione dei passeggeri. Aveva così affidato ad uno suo esperto l'analisi dei costi per valutare se era più conveniente ritirare gli esemplari o pagare i danni alle vittime, scegliendo la seconda strada.
Un'impresa capitalistica funziona proprio così: valuta i costi e se ritiene che convenga abbassare il livello di sicurezza per aumentare i profitti, abbassa il livello di sicurezza. Nel piccolo, è quello che avviene quotidianamente nei cantieri edili, nelle fabbriche e, appunto, in ferrovia, ecc...
Il terzo livello è dunque il livello del modo di funzionamento della società in cui viviamo, una società capitalistica dominata dal profitto e non certo dalla tutela dei diritti dei cittadini. Fintantoché vivremo in una società come questa il profitto verrà sempre prima della vita delle persone e quindi dire “mai più”, “ora basta”... significa solo farsi delle illusioni o, se invece si hanno chiare le cose, raccontare delle vere e proprie bugie.
Riassumiamo la “catena delle cause e delle responsabilità”: i carri non si controllano o si controllano poco; sicuramente si controllano meno o, come nel caso di Viareggio, non si controllano affatto - perché le Ferrovie risparmiano sulla manutenzione (chiudendo le Officine oppure esternalizzandola sempre più verso ditte private esterne che per fare profitto comprimono al massimo i tempi, i salari, i materiali, i controlli...); le Ferrovie risparmiano sulla manutenzione perché sono una società che deve fare profitti e le società devono fare profitti perché stiamo nel capitalismo: per inciso, meno profitti fanno le Ferrovie e più velocemente vengono avviate, con la scusa che creano un buco nei conti pubblici [1], alla totale e definitiva privatizzazione [2] (che poi, come si è visto nel caso delle ferrovie inglesi negli anni '80 e '90, produce la minore sicurezza, la maggiore frequenza dei disastri, la diminuzione dei posti di lavoro e dei salari, il caos organizzativo e, ovviamente, l'aumento delle tariffe).
Siamo quindi in un vicolo cieco. Se le Ferrovie riducono la manutenzione abbassano il livello di sicurezza, ma mantengono alti i margini di profitto. D'altra parte se, per ipotesi, facessero l'opposto (riducendo i margini di profitto per aumentare la sicurezza e tutto il resto) non farebbero altro che accelerare la propria privatizzazione e quindi, a conti, fatti, le cose non cambierebbero. E' il circolo vizioso al quale siamo costretti dal fatto di non mettere in discussione radicalmente la società in cui viviamo.
C'è chi pensa che alcuni “effetti collaterali” dello “sviluppo” capitalistico sono da preferire alla sua sostituzione con un altro tipo di società; altri pensano l'opposto. Ma le cose stanno così e qualsiasi persona dotata di un minimo di onestà intellettuale non può che convenirne.
Se ci fermiamo al primo livello della catena delle cause e delle responsabilità (ovvero cerchiamo di capire “perché il carrello si è rotto”, “perché il vagone si è rovesciato”, “perché la cisterna si è aperta”, ecc...) facciamo un errore. Su quel livello si può collocare l'indagine della Magistratura che “accerterà le responsabilità” (ma rigorosamente deresponsabilizzando, come quasi sempre è accaduto, le FS, vedi la strage di Crevalcore).
Ma noi, i “cittadini”, i lavoratori, gli studenti – e specialmente quelli che pensano di essere anti-capitalisti - che ogni giorno saliamo su un treno o entriamo in una stazione o passiamo davanti ai binari... possiamo limitarci a cercar di sapere “perché si è rotto il carrello”? Possiamo limitarci a contestare Berlusconi, come se il funzionamento a rischio del sistema ferroviario dipendesse solo da lui e non da un “modus operandi” rispetto al quale nessuno - destra o “sinistra” - ha fatto nulla di concreto? Possiamo prendercela solo o principalmente con Mauro Moretti come se le scelte che compie dipendessero dalla sua avidità o insensibilità personale e non dal ruolo che egli ricopre e che sarebbe ricoperto in modo del tutto analogo da qualcun altro (del resto, non è proprio Moretti che sostituendo il proprio responsabile della sicurezza cerca di chiudere le polemiche scaricando su una persona le responsabilità di un sistema)?
Ma ancora manca un ultimo, quarto livello, perché sarebbe un po' semplicistico anche buttarla solo sul “capitalismo” che spinge le ferrovie a non fare le manutenzioni e a far viaggiare per l'Italia vere e proprie “bombe ad orologeria” pronte ad esplodere ed a far strage di persone qualsiasi.
E su questo livello ci stiamo noi: “noi” in quanto lavoratori e cittadini e - soprattutto - noi in quanto lavoratori che hanno raggiunto la comprensione che il nostro problema non è il singolo capitalista, ma l'insieme di tutti i capitalisti; non il singolo episodio, ma il sistema sociale che in ultima istanza determina tutti gli episodi.
E qui la questione si complica ulteriormente. Non per far “distinzioni tra i morti”, ma per farne, semmai, tra i vivi, bisogna pur dire che sul livello del “carrello difettoso” o della vigilanza sul pagamento dei danni alle famiglie delle vittime (richiesta di cui abbiamo peraltro la più alta comprensione ove si tratti di famiglie bisognose) possono posizionarsi un po' tutti nel senso che tutti, ricchi e poveri, belli e brutti, vogliamo carrelli che non si rompono, vagoni che non si rovesciano, cisterne che non aprono...
Ma quanti, di questi tutti, capiscono o sono disposti ad accettare il fatto che non il destino, ma l'organizzazione capitalistica del trasporto (in generale e su rotaia in particolare) sta all'origine dei mancati controlli (dunque della strage), che questa organizzazione dipende da come è strutturata la società entro cui funziona questo trasporto e che l'unica garanzia affinché certe cose non avvengano più (se non per vere fatalità) è lottare per costruire una società dove i diritti dei lavoratori e delle persone (nonché, di conseguenza, la loro sicurezza) vengono prima del profitto e dei risparmi di spesa?
Quanti sono disposti ad ammettere che se non si cambia la struttura sociale complessiva porsi obbiettivi come “mai più” ecc... diventa solo un innocuo esercizio di retorica che fa il controcanto al “nostro” “maipiuista” Presidente?
Pochi, lo sappiamo, ma non bisogna spaventarsi e bisogna continuare a dire la verità; se la situazione è difficile vuol dire che ci vuole ancora più coerenza ed intelligenza.
Invece, a cantar Messa quando tutti cantano Messa son buoni tutti.

NOTE

[1] Non le abbiamo già sentite queste parole durante l'orgia privatizzatrice nell'Italia degli anni '90?
[2] Si tenga conto che già adesso di stanno presentando una serie di operatori privati (la FIAT in testa) per entrare nel business del trasporto ferroviario e che Innocenzo Cipolletta, già DG di Confindustria, ora presidente di FS, sta lì proprio per gestire questo passaggio.
[3] Certo fare proposte di buon senso non fa mai male. Ad esempio, la proposta di ridurre la velocità dei treni merci (specialmente se trasportano merci pericolose) che viene dai comitati popolari viareggini sorti dopo la strage, dalle forze dell'estrema sinistra e dal “Popolo della Libertà” (cfr. Mario Valducci, Presidente della Commissione Trasporti della Camera su La Repubblica); le proposte sull'adozione di misure fiscali speciali come in Abruzzo avanzate dai parlamentari PD della provincia di Lucca raccolgono - di nuovo - l'adesione dei comitati popolari e delle forze dell'estrema “sinistra” viareggina... E si potrebbe continuare con il sostegno economico e psicologico alle famiglie, con le discussioni sul Commissario locale o nazionale, con l'offerta delle cene ai parenti delle vittime alle feste di partito, con le raccolte di firme per provocare l'impeachment di Moretti, e così via... Nel tentativo di dire e di fare sempre e comunque cose “di buon senso” i comitati popolari e la “sinistra” viareggina dicono tante cose condivisibili da tutti ovvero ripetono cose che più o meno tutti hanno già detto ovvero non si capisce a quale necessità risponda la loro esistenza.

Primomaggio
Agosto 2009

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