10/09/2009: Ferragosto a L'Aquila
Come molti di voi già sapranno ho trascorso la settimana di Ferragosto presso una tendopoli a L’Aquila. Anzi di più; sfruttando un’opportunità offerta dall’Arci Nazionale ero in un campo gestito dalla Croce Rossa Militare in cui l’Arci ha un’attività autonoma di servizio ai terremotati. In questo modo sono potuto entrare nella pancia del mostro. Militarizzazione totale del territorio, militarizzazione delle tendopoli, assenza di democrazia, devastazione ambientale, falsità totale riguardo alla ricostruzione sono gli elementi costitutivi del dramma aquilano.
La certezza che ne ho ricavato, oltre che dall’esperienza diretta anche dai contatti con i compagni aquilani del comitato 3 e 32, è quella che oggi L’Aquila rappresenta un esperimento in grande stile di controllo totale del territorio e della popolazione. In sostanza si consolida una modalità che potrà essere valida in futuro a seguito di ogni calamità naturale o non e magari anche di una rivolta territoriale. Per tanto l’accostamento al documento NATO 2020 è più che logico. In questo senso vi rimando al bellissimo opuscolo “A chi sente il ticchettio” che contiene i materiali del convegno antimilitarista di Trento del 2 maggio 2009.
L’Aquila è in sostanza un segmento fondamentale del lato guerra interna nella connessione guerra interna/guerra esterna. Vi sono molti aspetti del caso “L’Aquila” che collegati assieme portano a questa conclusione. Io vorrei evidenziarne alcuni che ritengo i più chiarificatori.
Innanzi tutto la militarizzazione delle tendopoli. Sarebbe esatto parlare di campi militari o militarizzati. Ve ne sono circa 150 in tutto il territorio interessato dal sisma. La gran parte è gestita e presidiata direttamente da Protezione Civile, Croce Rossa Militare, Esercito, Alpini, San Marco e chi più ne ha più ne metta. Tutti questi si avvalgono agli ingressi ed all’interno dei campi di Polizia, Carabinieri, Polizie Municipali di tantissime città italiane. Tutti i campi sono presidiati da passi carrai dove per accedere è obbligatorio esibire o un tesserino di riconoscimento (nome, cognome, codice fiscale e foto) o un documento d’identità. Ovviamente l’accesso al campo è possibile solo per il personale di servizio o per chi risiede nel campo. Nessun esterno può entrare nei campi. Molti campi sono in luoghi cintati o da reti metalliche o da mura e soprattutto hanno un'illuminazione notturna forse superiore a quella dello stadio di San Siro. In ogni campo comanda un capo campo nominato dalla Protezione Civile il quale governa da Monarca assoluto ed al quale ognuno è obbligato a rivolgersi per qualsiasi richiesta anche la più stupida. Si capisce benissimo che qualsiasi forma non dico di autogestione ma di democrazia è praticamente impossibile tanto che solo in pochissimi casi si sono potute svolgere delle assermblee. Particolarmente pesante è la situazione del campo, il nome è tutto un programma, denominato Piazza d’Armi, perché essendo un campo a forte presenza d’immigrati, ha un filtro d’accesso presidiato da Polizia, Protezione Civile, Alpini e lungo la rete perimetrale ha degli accessi anch’essi controllati 24 ore su 24. Tutto questo armamentario di sbirri ovviamente si avvale di un altro esercito formato da preti, frati, suore, boy scout, assistenti sociali, volontari della croce rossa e della Caritas che ovviamente hanno il compito di completare il controllo ed il rincoglionimento dei terremotati. Messe, rosari, tombolate, feste di compleanno, giochi da oratorio ve ne sono a tutte le ore e per tutti i gusti. Anche la vita fisica all’interno dei campi è alquanto pesante. Nelle tende sono costrette a convivere dalle 8 alle 10 persone di nuclei familiari diversi. Immaginatevi i problemi che questo comporta in un contesto di assoluta mancanza di privacy. Molti nuclei familiari ancora non sono stati ricongiunti. Soprattutto nei primi giorni anche in seguito al trauma di aver perso tutto ed in modo particolare i propri familiari si sono verificati casi di suicidio. Vi sono stati anche alcuni anziani morti in seguito all’aggravamento delle loro condizioni di salute. Così come si sono verificate delle risse dovute alle precarie condizioni di vita. Sono ancora molti, a distanza di mesi, gli anziani, i malati anche psichici, i minori che non hanno ancora un’adeguata assistenza.
Per quanto riguarda la militarizzazione del territorio si può così sintetizzare: L’Aquila è quasi per intero una città fantasma in cui il centro storico, oltre ad essere rimasto fermo al 6 aprile, è transennato e presidiato da sbirri. Una sola strada è percorribile dal centro alla periferia e viceversa. Poco o nulla della normale vita civile di L’Aquila è attivo.
La disoccupazione già forte prima del terremoto a seguito delle politiche devastanti di delocalizzazione produttiva è ora alle stelle. L’Università che con i suoi 25.000 studenti era il fulcro vitale della città ora è morta. L’Aquila è l’esempio e l’opportunità di come a seguito di un terremoto si può uccidere, militarizzare e lucrare ai danni di un’intera popolazione. La traiettoria di L’Aquila è drammatica: prima i camorristi di Stato hanno impastato il cemento con la sabbia del mare, poi i vari scienziati di Stato hanno tranquillizzato la popolazione che lo sciame sismico iniziato lo scorso novembre era innocuo ed infine i poteri forti hanno sfruttato la tragedia per militarizzare il territorio oltre che per i loro squallidi interessi politici ed economici. In questo contesto va dato grande merito ai compagni del Comitato 3 e 32 che nel loro presidio fisso autogestito svolgono feste, assemblee, iniziative politiche e che sono l’unico spazio vivo e vitale di gestione diretta che io abbia visto.
Quando si parla di militarizzazione del territorio deve bastare questo esempio: per poter accedere alla propria casa situata nel centro storico bisogna far richiesta ai vigili del fuoco ed una volta ottenuta l’autorizzazione farsi scortare dalla polizia municipale.
Un altro pietoso capitolo è quello della ricostruzione e della devastazione del territorio. Nella completa disinformazione verso i cittadini e verso gli enti locali sono stati aperti 4 cantieri a fronte dei 13 promessi. 4 cantieri in 4 luoghi completamente avulsi dal contesto della città. 4 cantieri, tra l’altro sufficienti per 13.000 persone a fronte di una necessità di 60.000, che formeranno 4 quartieri ghetto privi di servizi e distanti chilometri dal centro storico. 4 cantieri mostro che stanno stravolgendo l’ambiente paesaggistico/ecologico del contesto aquilano. 4 cantieri di cui non si sa nulla riguardo alla correttezza ed alla trasparenza delle gare d’appalto. Il grande circo mediatico della ricostruzione berlusconiana imponeva questo e questo è stato fatto, mentre nulla è stato fatto per salvare quello che poteva essere salvato. Dato che una scadenza incombe ed è quella del generale autunno che non permetterà più la vita nella tende la protezione civile ha iniziato i primi d’agosto la distribuzione dei moduli graduatoria per l’assegnazione degli alloggi. Stileranno le graduatorie ma non ci saranno le case! A quel punto forse l’intero territorio aquilano potrebbe diventare una parte importante dell’autunno caldo. Noi comunque da ora in ogni caso li dobbiamo sostenere.
Renato Pomari
renatopomari@tiscali.it
http://www.autprol.org/