05/09/2009: Intervista: le poste tedesche e la logistica militare
Sui giornali di tanto in tanto si può leggere di mezzi delle poste dati alle fiamme. La polizia punta il dito contro estremisti di sinistra non definiti. Noi, leggendo qua e la su Internet, abbiamo appreso che queste azioni non accadono casualmente, che, bensì, sono parte di una campagna che mette in luce l’intreccio delle imprese della logistica con l’economia di guerra. Questa campagna è nata nel quadro della mobilitazione contro il vertice Nato 2009 a Strasburgo/Baden-Baden. Per saperne di più abbiamo incontrato un attivista della campagna.
Domanda: Dall’autunno 2008 è avviata una campagna contro la società di logistica “Deutsche Post-DHL” [DHL sta per: Deutsche Heeres Logistik, forza tedesca per la logistica]. Numerose azioni da allora sono state realizzate dai gruppi pacifisti e antimilitaristi. Perché?
Risposta: DHL e Deutsche Post Spa lavorano dal 2003 per le forze armate USA in Irak e anche per la Bundeswehr [forze armate RFT] in Afghanistan. Trasportano materiale necessario alla conduzione della guerra imperialista, dalla posta fino al materiale bellico assassino. Oltre a ciò DHL aspira ad un contratto miliardario con la Bundeswehr, in cui è prevista la cessione di gran parte della logistica di base della Bundeswehr ad un’impresa civile (DHL).
La campagna deve far esplodere lo scandalo del ruolo giocato dalla multinazionale DHL nella logistica della guerra. Contemporaneamente viene tematizzata e criticata la crescente militarizzazione del civile. La campagna ha come punto di partenza il riconoscimento che gli interessi conseguiti militarmente sul piano mondiale non sono politica estera. La guerra non lascia nella società, da cui prende le mosse, soltanto una traccia, ma presuppone anche la predisposizione della società civile alle necessità militari. La collaborazione e l’amalgama fra civile e militare non si prendono cura soltanto degli interessi economici, per esempio assicurare grossi guadagni alle poste tedesche attraverso la logistica militare. Esse sono anche strategicamente determinate.
D: Come si sviluppa la campagna?
R: Nel frattempo sono usciti parecchi materiali: documenti, volantini, giornali, adesivi, manifesti, distribuiti e attacchinati, nei due giorni di mobilitazione di mobilitazione in tutto il paese, davanti alle filiali delle poste. Alcuni di questi sono documentati anche sull’home page http://dhl.blogsport.de. Scopo della campagna è la completa uscita delle imprese della logistica dai maneggi con la guerra.
La campagna è stata parte della mobilitazione contro il recente vertice NATO di Strasburgo. Nei resoconti pubblici sull’insieme della attività contro DHL – dalle manifestazioni davanti alle filiali delle poste fino alle azioni clandestine della guerriglia della comunicazione e dei gruppi autonomi – sempre è stata menzionata la ragione della campagna. Così questa è sempre più riuscita a mettere nella merda la reputazione, il buon nome della grande impresa.
La campagna contro le poste e DHL è lunga, non si è ancora sviluppata pienamente. Da molteplici idee e iniziative, come la campagna contro la classe-deportazione predisposta da Lufthansa, possono venire grossi impulsi.
Come è stato fatto nella campagna contro la class-deportazione, in primo luogo c’è l’obiettivo di danneggiare l’immagine delle poste per determinare l’uscita dell’impresa dalle attività militari. A tutti è chiaro che il collegamento con l’infrastruttura militare ha un significato strategico, che nella campagna naturalmente si dispiegano anche forme di protesta offensive.
D: Da quel che dici pare che la mobilitazione contro il vertice NATO sia stata soltanto la prima tappa della campagna.
R: Certamente. A Strasburgo non è stata sciolta la NATO, anzi. Essa rafforza le proprie truppe in Afghanistan. Le guerre si inaspriranno e di conseguenza, con loro, anche i trasporti di materiale bellico in tutto il mondo. L’attività logistica bellica si espanderà ed è molto lucrativa per le imprese. E se queste – non importa come si chiamino – prendono direttamente parte alle guerre offrono alla resistenza politica il punto connettivo e di attacco. Adesso e in futuro.
Nelle discussioni a partire dalle quali è stata sviluppata la campagna, un punto centrale è stato anche lo scontro sul carattere da evento di queste mobilitazioni contro il vertice NATO. Le iniziative contro DHL dovevano dimostrare una possibilità dell’intervento antimilitarista che va oltre il vertice. La strutturazione e l’orientamento militare penetra nel quotidiano, è normalità e deve sempre essere resa visibile e attaccata.
A riguardo può essere di aiuto creare sul piano locale e regionale comitati d’azione antimilitaristi, a cui esortare a prendervi parte alcuni gruppi più attivi della sinistra. Questo perché un altro proposito, naturalmente, è quello di rendere attuale la necessità della prassi antimilitarista nella sinistra radicale. Secondo noi questo non è un tema qualsiasi, ma tocca un nodo centrale della politica dell’emancipazione.
I mesi precedenti il vertice NATO di aprile hanno caratterizzato una fase, ma la prima tappa della campagna non si è conclusa con quella: la campagna deve essere ancora conosciuta dalla sinistra in generale e deve trovarla pronta. Secondo noi deve svilupparsi maggiore continuità con la molteplicità della protesta e della resistenza. Naturalmente anche nell’intreccio con altre iniziative come “Ordinare il rompere le righe alla Bundeswehr”, contro l’“Incontro a tre a Celle” e “Fuori la Bundeswehr dall’Afghanistan”.
D: A nostro parere gli attivisti della sinistra l’anno scorso hanno dispiegato una prassi antimilitarista tanto più forte che negli passati. Questo coincide con la tua valutazione?
R: La vedo anch’io come voi e penso che l’ignoranza rispetto a questa questione centrale frantumi i gruppi pacifisti e antiguerra. Va bene così. La politica anticapitalista, persino rivoluzionaria, non può tralasciare questo aspetto della politica del dominio. Ciò riguarda anche le questioni della tortura o della lagerizzazione, che la sinistra ovviamente deve porsi praticamente, in quanto questa politica struttura la società in modo autoritario.
D: In seguito ad un incendio di un mezzo DHL, improvvisamente, dalla sinistra sono stati presi di mira corrieri privati, danneggiandone l’esistenza, che lavoravano per conto della DHL. Ciò ha danneggiato la campagna?
R: Non si può giudicare se sia stato dannoso. Sicuramente ha suscitato irritazioni perché l’attacco non veniva portato su un’impresa, in quanto DHL ha privatizzato parti delle consegne relegandole nel subappalto. Così diversi furgoni disegnati con i colori di DHL non appartengono più alla grande impresa ma alle persone private.
In Austria – e in Germania i numeri sono presumibilmente simili – circa la metà del totale dei trasporti DHL li ha assegnati al subappalto. La tendenza è in crescendo. I subappalti DHL sono piccole imprese proprietarie al massimo di tre mezzi, spesso soltanto di uno.
Il tutto è un tipo di affiliazione (franchising) con il quale DHL appalta l’uso del proprio marchio a privati, come agisce Mc Donalds con le catene di panetterie in cui chi vi lavora riceve 4 euro l’ora. Le imprese del subappalto trasportano in nome di DHL, ma su conto proprio. La grande impresa in questo modo risparmia una quantità di costi, può scaricare sui piccoli padroncini i problemi della consegna e può sempre meno azzuffarsi con sindacaliste, sindacalisti organizzati/e. DHL è e resta perciò un giusto obiettivo di attacco. Le piccole imprese del subappalto non si trovano di fronte nessun consiglio di fabbrica e possono con maggior facilità far pressione sui salari dei due-tre autisti (che sfruttano). Il lavoro salariato e lo sfruttamento qui esistono sotto altre condizioni.
D: I redditi nelle imprese personali non sono più alti dal minimo stabilito dalla legge Hartz. Allora uno non è più vittima della propria cieca etica del lavoro che di un attacco incendiario?
R: Bisogna essere coscienti di queste condizioni ed agire in maniera corrispondente. Sui furgoni è segnato, visibile, quando sono in viaggio “su ordine delle poste tedesche/DHL”. I mezzi incendiati negli ultimi mesi nei parcheggi DHL di Amburgo, Karlsruhe e Berlino sicuramente non hanno colpito mezzi di imprese del subappalto.
Trovo giusta la ricostruzione della connessione fra l’impegno militare delle poste la privatizzazione, in quanto i metodi impiegati da DHL per diventare la maggiore impresa mondiale nel settore della logistica, la qualificano come impresa trasporti della Bundeswehr. Ed ho trovato ben espresso il fatto che in una “informazione alla clientela”, scritta negli striscioni e nei volantini affissi e distribuiti davanti alle filiali delle poste, è stata ricostruito ed espresso il legame fra la crescente chiusura di filiali delle poste e le condizioni di lavoro al loro interno.
In ogni caso la campagna prosegue con molteplici e belle azioni.
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