05/08/2009: Racconto di una lotta operaia ‘globale’
Ciao, il mio nome è Matt e oggi sono qui per parlare a nome di una piccola fabbrica situata sull’isola di Wight di nome St.Cross, conosciuta anche come Vestas, forse la conoscete già.
Adesso è occupata, doveva essere chiusa una settimana fa. L’impresa Vestas è proprietaria di 3 fabbriche (St. Cross a Newport, Venture Quays a East Cowes e Merlin Quay a Southhampten) dove lavorano circa 625 persone. Anche una fabbrica di resina sintetica di nome Gurit, ubicata vicino alla nostra, produttivamente collegata a Vestas, prosegue con la produzione, ma a rilento. Tante altre imprese simili soffrono il caso Vestas e tanti posti di lavoro andranno persi. L’economia traballante dell’isola viene risospinta indietro di 20 anni, verso il turismo, verso il lavoro stagionale dalle paghe basse.
Vestas acquistò NEG Micron nel 2003 e da allora tutto è andato di peggio in peggio. Il suo scopo principale era spremere da ognuno di noi lavoro, fino all’ultima goccia. Un orario di lavoro lungo in un ambiente stressante hanno portato ad un’elevata fluttuazione di operai. L’impresa era estremamente antisindacale, le persone che volevano organizzarsi venivano isolate e licenziate. La sola apparente rappresentanza che riuscimmo a darci, in base ad una legge dell’Unione Europea, fu una rete di consulenza che non contava proprio nulla, le decisioni venivano prese dai dirigenti punto e basta. Agli operai, per il lavoro coscienzioso portato avanti, venne offerto, su base annua, un basso indennizzo. Tuttavia nulla venne messo per iscritto. Questo è il modo tipico di agire delle grandi imprese. I sentimenti di noi tutti erano colmi di rabbia.
Chiunque, senza motivo o perché l’impresa vuole muovere il proprio capitale in giro per il mondo con la volontà di trovare lavoro sempre più a buon mercato e meno organizzato o per acciuffare le ultime sovvenzioni, è obbligato dalle circostanze a ribellarsi assieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle o a rimanere sul bordo della strada o a divenire complice del proprio sfruttamento e di quello dei suoi fratelli e delle sue sorelle.
Un mutamento spontaneo ha avuto luogo dalla Corea del Sud fino a Enfield, da Parigi fino al Cile. Per troppo tempo le grandi imprese hanno imposto la loro volontà sulle persone comuni; degli operai e delle operaie sono e vengono oppresse senza alcun riguardo per la sicurezza personale, per le condizioni di vita elementari, le famiglie, la dignità. Questo mutamento si è sviluppato più rapidamente di quel che avevamo previsto. Adesso riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi molto più facilmente di quel che avessimo pensato.
Vediamo come è iniziata la nostra occupazione della fabbrica.
A fine aprile lavoratrici e lavoratori della Vestas veniamo riuniti dalla direzione che ci comunica di essere sotto minaccia di licenziamento e che la fabbrica a fine luglio avrebbe cessata la produzione.
La notizia scioccò tutti noi e seminò una tristezza diffusa, semplicemente perché non ce l’aspettavamo. Sempre ci dicevano che Vestas era una delle fabbriche più profittevoli! Ognuno riprese il lavoro abituale con il sentimento dell’impotenza e del turbamento.
Un paio di attivisti di Workers Climate Action iniziò a distribuire volantini agli operai. Venne convocata un’assemblea pubblica, da cui prese forma un comitato per impedire, con l’occupazione, la chiusura della fabbrica. Gli attivisti iniziarono a convincere gli altri operai, senza che la direzione ne venisse a conoscenza.
Quando la direzione ebbe il sentore che qualche azione diretta stava bollendo in pentola, mandò un suo uomo in giro per la fabbrica a raccogliere firme contro l’occupazione. Ne raccolse solo 2.
Ne discutemmo e decidemmo di agire rapidamente. 30 di noi si incontrarono e decisero di dividersi in 3 gruppi senza incontrare resistenza in fabbrica. Rapidamente occupammo le postazioni scelte, gli uffici della direzione e dell’amministrazione che si trovano nella parte antistante l’edificio della fabbrica. Siamo riusciti ad aggirare la direzione.
Fuori avevamo un ex-avvocato del sindacato che trattava con la polizia, ricordandole la legge e che la nostra era una protesta pacifica. Abbiamo affrontato la prima notte suddividendoci in tre turni. Il giorno successivo sono arrivati tanti operai, pronti per lavorare, invece di tornare a casa sono rimasti con noi, ci hanno portato il loro sostegno: di ora in ora la massa di operaia cresceva. Direzione e polizia iniziarono con il darci un ultimatum di 2 ore, poi avremmo dovuto lasciare la fabbrica, dicevano che la violazione del domicilio sarebbe diventata un reato. Sapevamo di trovarci in una posizione di “diritto pubblico” e che loro, per allontanarci, avevano bisogno di una disposizione (del giudice).
Il manager di Vestas minacciava di andare a prendere una trancia per tagliare le catene da noi adoperate per bloccare le porte. Ne ridemmo quando la polizia gli disse che non lo poteva fare.
Al termine della prima giornata la situazione si era calmata, vedevano che le loro minacce su di noi non sortivano alcun effetto. La polizia ci promise che non ci avrebbe sgomberati, dopo aver saputo dell’invio di foto di poliziotti in tenuta da guerra da noi inviate ai giornali. Alcuni di noi erano in strada in strada a parlare con i media.
Il secondo giorno cominciò a scarseggiare il cibo. Chi veniva a portarci da magiare venne fermato dalla polizia. Tante persone riuscirono comunque a lanciarci sul balcone il mangiare.
Per impedire il flusso del cibo, il terzo giorno, polizia e direzione innalzarono una rete metallica con filo spinato alta diversi metri, ciò sufficiente a bloccare la via del rifornimento. Reagimmo esponendo un manifesto in cui scrivemmo che direzione e polizia volevano affamarci. La diffusione della notizia sui media locali e nazionali impedì il blocco dei viveri, ma non la sua selezione e misurazione da parte della polizia. Passavano panini, bevande, stecche di cioccolata, poco più. Quello stesso giorno arrivò Bob Crow, capo del sindacato RTM, tenne un discorso combattivo. Ci disse che nelle vicinanze era pronto un elicottero carico di cibi per noi. Attorno alle 7,30 fuori ebbe inizio una manifestazione, un aereo volò a bassa quota sopra tutti noi, trascinando dietro sé una bandiera con la scritta “Salvate il nostro posto di lavoro, salvate la nostra “comunità”!”. Alla manifestazione presero parte 300 persone, tante famiglie operaie e persone del circondario. L’RTM ci offrì una squadra legale. Una manifestazione di massa davanti al tribunale fu organizzata per il giorno dell’udienza, mercoledì 29 luglio.
Il quarto giorno 600 persone, operaie e operai soprattutto, manifestarono nel centro di Newport. Presero la parola, 2 operai londinesi, funzionari sindacali, professori ed ecologisti…
Il quinto giorno l’assenza di cibo caldo cominciò a farsi sentire. Spontaneamente abbattemmo la rete metallica e il filo spinato, urlammo che lasciassero passare il cibo caldo, tutto. Così fu. Arrivarono spaghetti con sugo alla bolognese… Intanto 7 di noi venivano arrestati per rottura della pace.
Giunse il fine settimana del 25/26 luglio. Alcune considerazioni sull’occupazione erano già possibili. Primo, noi eravamo un gruppo di operai impegnati che avevano il coraggio di salvare dal naufragio il loro posto di lavoro. Secondo, qualcuno di noi era abbastanza esperto in legge, era fuori, specie nelle prime ore, a trattare con polizia e direzione. Terzo, abbiamo utilizzato senza risparmio i media, abbiamo fatto uscire dall’occupazione video e interviste.
L’occupazione prosegue e il sostegno ad essa cresce di giorno in giorno. Noi abbiamo urgentemente bisogno di una pressione duratura sul governo e anche su Vestas per modernizzare questa fabbrica e tenerla in corsa. In Inghilterra è l’unica produttrice di rotori di eliche per motori sospinti dalla foza eolica. La tecnologia produttiva di cui siamo orgogliosi adesso vogliono trasferirla negli USA, dove Vestas ha capito di avere nell’amministrazione Obama un vincolo più severo e deciso verso la produzione di energia eolica. Non possiamo permettere il trasferimento. Dobbiamo stopparlo.
Nessuno di noi aveva mai pensato di prendere parte a qualcosa di simile. Siamo abbastanza coscienti di trovarci al centro di un vortice, di avere una possibilità d’oro, quella di occupare la fabbrica, di porre il tema dell’energia verde, del massiccio abbattimento di posti di lavoro e della responsabilità delle imprese al centro dell’attenzione internazionale. Sapevamo di dover entrare in azione, e questa era una questione tanto più grande di noi.
Tutte le persone che si uniscono a questa azione, tanto direttamente che via on line, partecipa a rendere più grande il movimento. Un movimento veramente globale, che agisce sull’intero pianeta, unendo ecologisti, operai e sindacati come in una sola forza. Il movimento ambientalista e sindacale spesso si sono trovati divisi di fronte al desiderio di salvare tutti i posti di lavoro e dal desiderio di perderne alcuni per crearne altri. Adesso giungono invece assieme a richiedere, dal punto di vista del contenuto, posti di lavoro verdi per tutti.
L’occupazione di Vestas unisce due lotte in una, per un futuro pulito, sicuro. E per un futuro con il lavoro per tutti. Grazie.
vestasbesetzt, 31 luglio 2009
da de.indynedia.org/2009/07/257270.shtml
http://www.autprol.org/