26/07/2009: Lettera aperta alla città dai compagni dell'Onda arrestati


Finalmente liberi, i quattro studenti dell'Onda bolognese arrestati in merito all'inchiesta Rewind, hanno sentito l'esigenza di denunciare, con una lettera aperta alla città, le difficili condizioni di vita in cui si trovano i detenuti della Dozza, sia a causa delle carenza strutturali, del sovraffollamneto che della discrezionalità che caratterizza il regolamento penitenziario. Un tentativo di dar voce a chi dall'interno ha ben pochi mezzi per veder rispettatti i propri diritti e la propria dignità ma che più volte anche nelle ultime settimane ha cercato con azioni di protesta e scioperi della fame di riportatre l'attenzione su come vivono quotidianamente migliaia di persone e i loro familiari.

21 luglio 2009

LETTERA APERTA ALLA CITTA' DI BOLOGNA
Alla città di Bologna,
siamo [Alessandro Boggia, Ernesto Rugolino, Marco Mattei e Francesco Zuanetti], i quattro giovani studenti dell'università bolognese arrestati lo scorso 6 luglio a seguito dell'operazione rewind e detenuti per due settimane presso la casa circondariale "Dozza".
Questa lettera aperta che rivolgiamo a tutta la città di Bologna, vuole essere una piccola e breve testimonianza diretta circa le drammatiche condizioni in cui si trovano a vivere i detenuti e le detenute della Dozza.
Ci siamo infatti trovati in prima persona a vivere una situazione di sovraffollamento, di cui i soli numeri non riescono neanche minimamente a rendere ragione; infatti un carcere pensato per non più di 600-700 detenuti, ora che si trova ad ospitarne circa 1.200, vede esplodere il numero di persone per cella: fino a 3 per cellette da una persona e fino a sei per celle da 2-3 persone.
Oltre la drastica riduzione dello spazio disponibile, il sovraffollamento è causa di precarie condizioni igieniche, con il rischio di diffusione rapida di malattie veneree ed infettive anche a causa dell'impossibilità per molti detenuti di accedere a medicine, spesso troppo costose, e anche a causa di docce sporche e spesso senza acqua calda anche di inverno, che scoraggia il detenuto ad usarle; le celle si presentano piccole, con materassi vecchi e messi a terra per mancanza di letti, con forniture a singhiozzo ed incerte di detersivi ed igenizzanti per la pulizia della cella e dei sanitari, lenzuola cambiate solo una volta al mese con razioni giornaliere di cibo spesso insufficienti a coprire il fabbisogno calorico minimo per non deperire ed indebolirsi fisicamente ed immunitariamente.
Il sovraffollamento è causa anche dell'inutilizzo del reparto infermeria per i fini per cui è stato istituito, ovvero come luogo di cura per quei detenuti delle sezioni giudiziari che necessitavano di un reparto di cura in caso di malattia: infatti questa ala del carcere si trova ad essere in tutto e per tutto una zona di detenzione con permanenza fino a 2 mesi, usata come zona di "parcheggio" dei nuovi giunti o come valvola di sfogo quando le sezioni giudiziarie sono colme.
A fronte di questa situazione c'è anche una situazioni di carenza di personale educatore, psicologo, sanitario e soprattutto l'inesistenza di figure come i mediatori culturali che possano fungere da tramite fra la componente straniera della popolazione carceraria (la maggioranza) ed il resto del carcere come gli altri detenuti, il rapporto con i medici per il proprio stato di salute ecc..
E' infatti soprattutto, ma non solo, questa componente migrante che si trova abbandonata a se stessa, con enormi difficoltà di lingua a comprendere i propri diritti ed a rivolgersi al personale di guardia, giuridico o medico.
A fronte delle problematiche sociali e di relazioni tra i detenuti in ambienti così sovraffollati, con una facilità a dir poco disarmante, abbiamo poi assistito alla prescrizione di psicofarmaci da parte degli psichiatri dell'istituto ai detenuti dell'istituto, come soluzione immediata delle difficoltà psicologiche, fuori da ogni percorso di comprensione di queste, di valutazione del rischio di somministrare medicinali senza controllarne periodicamente gli effetti e la rispossta dei detenuti, con un rischio forte e immediatamente visibile di dipendenza ed assuefazione a sostanze psicoattive.
La mancanza di spazi adeguati per le attività ricreative, di biblioteche, di accesso ai quotidiani, di strutture sportive, ecc... fa il paio con la precarietà delle zone colloqui con i familiari: stanze piccole con 20-30 persone per volta (nessuna privacy con i familiari), sporche, con vecchi tavoli di plastica da giardino usurati, con sanitari nelle zone di attese mai puliti; lo stesso vale per la possibilità di effettuare telefonate a parenti, perché i telefoni si trovano al centro dei corridoi delle sezioni, accanto al tavolo del personale carcerario, che sono zone di transito e molto rumorose: si è costantemente disturbati senza possibilità di intimità nella conversazione.
Questa situazione è poi aggravata dall'atteggiamento delle guardie penitenziarie, che non svolgendo nessun ruolo collaborativo o di sostegno alle esigenze del detenuto e dei propri familiari, interpreta a propria discrezione il regolamento carcerario (cosa peraltro permessa come si legge dal regolamento stesso) per quanto riguarda il rapporto con i familiari durante le pratiche per il colloquio o la consegna dall'esterno di pacchi; è qui che vige l'incertezza più totale per quelle centinaia di familiari che settimanalmente si presentano alla Dozza perché, se formalmente ci sono orari di visita, una volta la, sono a discrezione del personale i turni di ingresso, i tempi di attesa, la documentazione relativa per potere accedere al colloquio (una volta vanno bene le copie dei documenti, la volta successiva invece è richiesto l'originale e così via), il contenuto dei pacchi e ciò che si può far pervenire al detenuto (per un addetto alla sicurezza un oggetto o una pasto preparato a casa può entrare, per il suo collega no): con situazioni imbarazzanti e sconfortanti per i parenti che a volte sono costretti ad andarsene saltando il colloquio, o a non consegnare il pacco perdendo comunque una giornata di lavoro.
L'atteggiamento del personale con i familiari dei detenuti, sembra classificare i parenti degli stessi come potenziali criminali o presunti colpevoli di fiancheggiare (dare sostegno) a chi è stato condannato.
Se queste sono le condizioni che in così pochi giorni abbiamo potuto vivere sulla nostra pelle, ci rendiamo conto di chi invece si trova recluso per periodi maggiori e cosa può significare per la propria salute psicofisica e per i propri vincoli familiari ed affetivi che, così messi a dura prova, rischiano di sfibrarsi facendo perdere al detenuto spesso l'unica rete sociale che può sostenerlo dall'esterno.
E' a fronte di questa situazione che i detenuti della Dozza, il giugno scorso, hanno indetto uno sciopero della fame di 7 giorni, con adesioni altissime, contro il sovraffollamento; per docce pulite e con acqua calda; per condizioni igeniche e sanitarie non precarie; per lenzuola pulite; per la mancanza di personale educatore; per un accesso ai farmaci per chi non può permetterseli; per impedire alla direzione di installare grate con fitte maglie a nido d'ape a tutte le finestre delle celle, cosa che ridurrebbe drasticamente la luce nelle stesse con scompensi fisici e depressivi per i detenuti.
Ma questa lotta non si è fermata con questa iniziativa, proprio perché le condizioni non sono migliorate e la direzione del carcere ha fatto orecchie da mercante rispetto alle richieste dei detenuti (al di là delle dichiarazioni della Direttrice dello scorso 18 giugno, la quale per esempio aveva assicurato il ripristino del cambio lenzuola una volta ogni 15 giorni, la situazione è tuttora immutata).
Infatti mercoledì 8 luglio, durante la nostra detenzione, è partito un nuovo sciopero della fame, che si è esteso a praticamente tutte le sezioni giudiziari, comprese le zone di detenzione più periferiche come l'infermeria. Una adesione ed una partecipazione emotiva altissima che, nonostante non sia arrivata comunicazione all'esterno, è stato per tutti i detenuti un segnale di compattezza su queste tematiche e soprattutto una prova di solidarietà e affermazione della propria dignità, che quotidianamente calpestata, è emersa con tutta la sua splendida forza.

Alessandro, Ernesto, Marco, Franceso

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