15/05/2009: Iraq: la guerra dimenticata
Non molto tempo fa si usava la definizione “guerra dimenticata” per descrivere il disinteresse degli Stati Uniti verso l’occupazione militare dell’Afghanistan. Si dava per scontato che il dominio statunitense in quel paese era un dato di fatto. Ora si potrebbe dire la stesa cosa per l’Iraq e per le stesse ragioni.
In gran parte la classe dirigente statunitense è stata convinta dalla sua propaganda. Dall’amministrazione Obama all’opposizione repubblicana e ai media c’è un consenso circa il fatto che l’"ondata” [di truppe] nordamericane in Iraq del 2007 e 2008 abbia portato ala “vittoria”. Si crede che le politiche del generale David Petraeus abbiano vinto la resistenza di base sunnita – araba e vinto la milizia sciita dell’esercito Madhi, e che si sia creata una “democrazia” stabile sotto forma del governo del primo ministro Nouri al-Maliki.
Ora l’attenzione si concentra verso il riposizionamento da parte di Obama verso l’Afghanistan, il Pakistan e l’Asia Centrale, in secondo piano quando c’era Bush. La guerra in Iraq è scomparsa dai quotidiani serali e dalle prime pagine dei giornali. E’ come se la classe dirigente statunitense cercasse di cancellare dalla coscienza popolare qualunque ricordo dei suoi crimini di guerra contro il popolo iracheno.
La relativa stabilità attuale è stata ottenuta mediante più di cinque anni di sanguinosa repressione dell’opposizione irachena all’invasione statunitense, che ha raggiunto il maggior grado di violenza durante gli anni della cosiddetta “ondata”. Sono morti almeno 1.200.000 iracheni, e pure 4.500 soldati statunitensi e di altri eserciti occupanti. L’eredità dell’occupazione statunitense è una società sconvolta e traumatizzata, stravolta dalle divisioni comunitarie e incapace di soddisfare nemmeno le esigenze più elementari della popolazione.
Il principale fattore di freno alla resistenza contro l’occupazione non sono state e le operazioni militari ma la divisione del paese in linee settarie ed etniche.
Al nord del paese i curdi nazionalisti hanno consolidato una specie di Stato autonomo. Nelle zone che hanno una maggiorana sunnita e che sono state centro della resistenza, sono stati messi al potere i comandanti delle milizie e i capi tribali in cambio dell'abbandono della lotta. I partiti sciiti fondamentalisti che dominano il governo di Maliki, in realtà, controllano solo Baghdad e le province del sud.
La cieca sottomissione all’imperialismo statunitense delle fazioni rivali, è pari solo all’ostilità fra di loro. L’attuale dispiegamento di 140.000 soldati statunitensi nel paese ha ritardato la guerra aperta. Uno dei punti più critici è la continua insistenza dell’autonomo Governo Regionale Curdo (KRG) per ottenere il controllo della provincia del nord di Kirkuk (ricca di petrolio) e di altre due province. Maliki sta cercando di bloccare qualunque espansione del potere del nazionalismo curdo, impedendo che si celebrino referendum nelle zone oggetto di disputa, in cui probabilmente la maggioranza della popolazione curda voterebbe per unirsi al KRG.
Attorno alla città di Kirkuk si è piazzata una divisione dell’esercito a preminenza araba e ha minacciato la milizia peshmerga affinché lasci la zona. Le minacce coincidono con la spartizione del petrolio (da parte del ministero iracheno del petrolio) per lo sfruttamento di otto nuovi campi petroliferi e gas a Kirkuk. I contratti escludono specificatamente le compagnie che hanno fatto trattative commerciali con il KRG sfidando il governo centrale.
Il comandante militare statunitense, il generale Ray Odierno, ha manifestato la sua preoccupazione circa le tensioni fra arabi e curdi nel The Times del 7 aprile: “Sembra che le posizioni si stiano indurendo. Bisogna risolvere questi problemi diplomaticamente... Non si dovrebbero risolvere con la violenza, è questo ciò che stiamo cercando di fare coscienziosamente”. Il numero di soldati statunitensi a Kirkuk sono tra i 900 e i 3.500. Se le ambizioni del KRG saranno deluse, potrebbero trovarsi nel mezzo di una guerra civile o essere l’obiettivo di una sollevazione curda.
Anche le tensioni fra sciiti e sunniti stano aumentando. Durante l’"ondata", sotto intense operazioni statunitensi e una selvaggia violenza settaria, decine di migliaia di resistenti sunniti arrivarono ad un accordo con l’esercito nordamericano per abbandonare la lotta contro gli occupanti. Le loro cellule guerrigliere si sono allora trasformate in milizie locali pagate dagli Stati Uniti, prendendo il nome di “Consigli del Risveglio”. In cambio, il comando militare USA ha impedito che le forze di sicurezza del governo entrassero nei distretti sunniti, il che mise un freno alla frenesia omicida.
Questo mese la responsabilità di pagare i Consigli del Risveglio è passata al governo Maliki, che insiste perché la milizia sunnita si sciolga e abbandoni le armi nell’arco di un anno. I dirigenti del gruppo Risveglio hanno espresso il loro timore che le comunità sunnite rimangano alla mercé degli squadroni della morte sciiti. Inoltre, sospettano che il governo non manterrà la promessa d’impieghi alternativi nelle forze di sicurezza o nei servizi pubblici. In risposta ad un importante taglio d’entrate dovuto al calo del prezzo del petrolio, i dipartimenti del governo hanno già cominciato a preavvisare il congelamento di nuovi posti di lavoro o una diminuzione degli impieghi.
La sfiducia e il malcontento fra le fila dei Consigli del Risveglio potrebbero far scoppiare una nuova fiammata della resistenza su grande scala. Oggi, è stato comunicato che le truppe statunitensi non si ritireranno dalle città di Mosul e Baluba a giugno, come previsto, a causa del livello d’attività di resistenza.
Ancora più esplosive sono le rimostranze accumulate dalla classe lavoratrice irachena e dai poveri della città, sciiti come sunniti e curdi. A Washington e fra le varie fazioni della classe dirigente irachena si sta dando per scontato che la crisi globale stia a significare che non esistono risorse per la ricostruzione, dando lavoro ai disoccupati o per tirare fuori dalla povertà la gente. Le lotte sociali contro le condizioni in cui vive la stragrande maggioranza della popolazione sono inevitabili.
Per quanto l'amministrazione Obama voglia cambiare la priorità della guerra, la guerra in Iraq continua. Questo mese sono morti cinque soldati a Mosul, ci sono stati attentati dinamitardi a Kirkuk e a Falluya sono state condotte azioni controguerriglia. Ieri [19 aprile] la Zona Verde di Baghdad è stata attaccata con mortai per la prima volta dopo tre mesi. Per proteggere i propri interessi strategici in Iraq e nella regione, gli USA saranno obbligati a continuare la loro criminale occupazione, il che richiederà la presenza indefinita di decine di migliaia di soldati statunitensi.
22/04/2009
di James Cogan - wsws.org
da Rebelion - www.rebelion.org/noticia.php?id=84218
Tradotto dallo spagnolo per www.resistenze.org di FR
http://www.autprol.org/