30/03/2009: Bari - Rinchiudere, nascondere, zittire


Segue il testo del volantino distribuito sabato 21 marzo a Bari nel corso di un presidio contro i lager per migranti e chi all'interno di questi luoghi lotta per la propria libertà

RINCHIUDERE, NASCONDERE, ZITTIRE.

SUI LAGER PER MIGRANTI E LE MOLTE FACCE DELLA REPRESSIONE.

A partire dal rogo di Lampedusa, un’ondata di lotte ha investito i centri di detenzione per stranieri (cie) di Torino, Milano, Bologna, Gradisca d’Isonzo, Bari. Varie sono state le forme di protesta, accomunate dalla richiesta di libertà.

Nel cie di Bari S. Paolo dal 5 marzo è in corso uno sciopero della fame che molti portano ancora avanti, e tre internati sono arrivati a cucirsi le labbra.

Sabato 14 marzo una quindicina di solidali verso i migranti in lotta si presentano nella via dello shopping barese e impugnando volantini e megafono cercano di scalfire il tran tran del passeggio. Parlano dello sciopero della fame di chi, recluso, a volte non ha altro che l’autolesionismo come estremo gesto di protesta. Ma ricordano anche, con complice gioia, le tante evasioni riuscite da quando i cie sono in funzione, a dispetto di chi li ha progettati e voluti per segregare – e poi con un abile inversione linguistica ha cercato di farli passare per «centri di accoglienza».

Ribadiscono, i manifestanti, che non sono disposti a tollerare un sistema sociale che rinchiude e segrega quegli individui dichiarati indesiderati perché, non possedendo nulla, sono fuori-posto nel mondo delle merci, ed anzi vengono trasformati in spettro da agitare al «pubblico» per distogliere l’attenzione dai veri responsabili del disastro sociale che tutti ci minaccia.

Ma scendere in strada ad esprimere delle idee – certe idee – è atto intollerabile per i custodi del potere, tanto più ora che le città rischiano sempre più di diventare luoghi anestetizzati da cui, chi pretende di dirigere la nostra vita, vorrebbe allontanare definitivamente ogni voce critica; per lasciare posto solo a centri commerciali e banche, chiese ed uffici, ad una folla di disciplinati lavoratori e beati consumatori di merci equamente inutili.

Infatti quel sabato ci pensano i Vigili urbani a ristabilire l’ordine violato e, alla fine di un parapiglia, cinque manifestanti vengono portati in caserma per essere identificati, di cui tre sono arrestati. Dopo quattro giorni di carcere, vengono processati per direttissima e condannati a dieci mesi ciascuno per resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale, quindi rilasciati con sospensione della pena.

Come si vede, ad essere messi al bando non sono solo gli stranieri poveri, ma ogni atteggiamento umano non omologato. Come d’altronde comune è la condizione di sfruttamento e precarietà che tutti ci coinvolge, italiani e stranieri. E allora comune può essere anche la lotta contro i reali responsabili – speculatori, industriali, banchieri, politici e amministratori – dell’immiserimento della vita nella sua totalità.
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