25/03/2009: LA PROSSIMA ONDATA DI CRISI IN ARRIVO DALL’ EUROPA DELL’EST
Le banche europee sono di fronte ad un’ondata completamente nuova di perdite per i mesi a venire che non sono ancora state calcolate in nessun piano di aiuti al settore bancario da parte dei governi. A differenza delle perdite delle banche americane che provengono originariamente dalle loro esposizioni in un mercato immobiliare subprime di bassa qualità e in altre forme di cartolarizzazione dei prestiti, i problemi delle banche dell’Europa Occidentale, soprattutto in Austria, Svezia e forse Svizzera nascono dagli enormi volumi di prestiti erogati durante il periodo 2002-2007 con tassi di interesse internazionali estremamente bassi a clienti nei paesi dell’Europa Orientale.
I problemi nell’Europa dell’Est che stanno emergendo solo ora con piena forza sono, se si può dire, una conseguenza indiretta delle politiche monetarie libertine della Fed di Greenspan dal 2002 al 2006, il periodo in cui ha iniziato ad avere successo lo schema Ponzi di Wall Street di cartolarizzazioni garantite da beni.
La pericolosità di questi prestiti all’Europa dell’Est sta ora venendo alla luce mentre la recessione economica globale sia nell’Europa Orientale che in quella Occidentale sta obbligando le banche occidentali a fare marcia indietro, rifiutando di rinnovare i prestiti e i crediti e lasciando migliaia di mutuatari con debiti impagabili. La dimensione della crisi emergente dei prestiti dell’Europa Orientale fa impallidire qualunque altra cosa sia stata concepita prima. Nelle prossime settimane obbligherà ad un punto di vista radicalmente nuovo di tutta l’intera questione della nazionalizzazione delle banche, indipendentemente dalle belle speranze che nutrono i politici di qualunque schieramente politico.
Il servizio di valutazione di Moody’s ha appena annunciato che “potrebbe” declassare un certo numero di banche dell’Europa Occidentale con ampie esposizioni nell’Europa Orientale. Sul rapporto, l’euro è sceso ai minimi da due mesi e mezzo nei confronti del dollaro.
Il rapporto di Moody’s accenna principalmente alle banche nell’Europa dell’Est di proprietà delle banche dell’Europa Occidentale, tra cui specificatamente Raiffeisen Zenetralbank Österreich e Swedbank. La diffida pubblica di Moody’s ora obbligherà le banche occidentali che hanno delle consociate nell’Europa Orientale a restringere fortemente le condizioni dei prestiti all’Est proprio nel momento in cui c’è bisogno del contrario per impedire che la crescita economica precipiti scatenando una reazione a catena di insolvibilità dei prestiti. Le banche occidentali sono state catturate in un buco nero.
Secondo le mie fonti ben informate a Londra, le nuove preoccupazioni sulle esposizioni bancarie nell’Europa Orientale determineranno la prossima ondata della crisi finanziaria globale, un’ondata che potrebbe essere ancor più devastante del crollo delle cartolizzazioni americane subprime che ha scatenato l’intera crisi di fiducia.
Come risultato alla diffida di Moody’s, le banche dell’Europa Occidentale probabilmente ora saranno esigenti nell’aiutare le proprie consociate. Il rapporto di Moody’s ha fatto notare che “le banche nei paesi associati con rischi sistemici più elevati potrebbero avere un’assistenza ridotta.” I governi dell’Europa Occidenale potrebbero anche stabilire delle regole per assicurare che le banche ricevano gli aiuti statali, che sono attualmente proibiti, per aiutare le consociate all’estero. Le cose stanno già così per quanto riguarda le banche greche e il governo greco. Il risultato sarà quello di peggiorare una situazione già critica.
La dimensione dei rischi è sconcertante
L’ammontare dei prestiti potenzialmente a rischio coinvolge perlopiù banche italiane, austriache, svizzere, svedesi e, si pensa, anche tedesche. Quando i paesi dell’ex Unione Sovietica e del patto di Varsavia dichiarono la loro indipendenza all’inizio degli anni ’90 le banche dell’Europa Occidentale si precipitano ad acquistare a buon mercato le più importanti banche dei paesi da poco divenuti indipendenti. Mentre i tagli dei tassi di interesse negli Stati Uniti dopo la crisi azionaria del 2002 spinsero i tassi di interesse in tutto il mondo verso nuovi minimi, il credito facile condusse a prestiti oltreconfine a più alto rischio in valuta straniera. In paesi come l’Ungheria, le banche austriache e svizzere hanno sostenuto i mutui ipotecari sulla casa espressi in franchi svizzeri, sui quali il tasso di interesse era decisamente inferiore. L’unico rischio all’epoca era che la valuta ungherese doveva essere svalutata, obbligando i proprietari di casa ungheresi a ripagare talvolta una somma doppia in franchi svizzeri. Questo è quello che è accaduto negli ultimi 18 mesi mentre le banche e i fondi occidentali hanno drasticamente ridotto i loro investimenti speculativi nei paesi dell’Est per riportare in patria il capitale dove la casa madre ha avuto dei gravi problemi causati dalla catastrofe bancaria americana. Nel caso dello zloty polacco, negli ultimi mesi la valuta è scesa del 50%. Non si conosce il volume dei mutui ipotecari in valuta straniera presenti in Polonia ma Londra stima che potrebbe essere enorme.
Nel caso delle banche austriache, il paese si trova di fronte ad una replica della crisi del 1931 della Vienna Creditanstalt in cui una reazione a catena si diffuse alle banche tedesche e portò il Vecchio Continente alla crisi economica del 1931-33. Nel recente incontro tenutosi a Bruxelles dei ministri delle finanze dell’Unione Europea, il ministro delle finanze austriaco Josef Pröll, stando a quanto si dice, ha supplicato i suoi colleghi di arrivare ad un pacchetto di salvataggio da 150 miliardi di euro per le banche dell’Europa Orientale. Solo le banche austriache hanno prestato 230 miliardi di dollari, l’equivalente del 70% del PIL del paese. La più grande banca austriaca, Bank Austria, a sua volta di proprietà dell’italiana Unicredito insieme alla tedesca Hypo Vereinsbank, sta fronteggiando quella che la stampa locale definisce una “Stalingrado monetaria” sulla sua esposizione dei prestiti all’Est. Ironia della sorte, Bank Austria ha acquistato da qualche anno Vienne Creditanstalt nella sua ventata di fusioni.
Secondo le stime pubblicate dalla stampa finanziaria di Vienna, se nei prossimi mesi soltanto il 10% dei prestiti austriaci all’Est dovesse risultare insolvente, “porterebbe al crollo del sistema finanziario austriaco.” La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) a Londra stima che i debiti scadenti all’Est supereranno il 10% e “potrebbero toccare il 20%”.
Il ministro delle finanze tedesco Peer Steinbrück, a quanto si dice, ha scartato categoricamente qualunque fondo di salvataggio europeo per l’Est, sostenendo che non si tratta di un problema tedesco. Potrebbe presto rimpiangere quanto detto mentre la crisi si diffonde alle banche tedesche e ha costi maggiori sul consumatore tedesco. Uno degli aspetti che più colpisce della crisi attuale che si è sprigionata per la prima volta nell’estate del 2007 è la sempre maggior incompetenza dei più importanti ministri delle finanze e dei banchieri centrali, da Washington a Bruxelles a Parigi a Francoforte, per affrontare con decisione la crisi.
La sede londinese della banca americana di investimenti Morgan Stanley ha pubblicato un rapporto nel quale si stima il numero totale delle banche dell’Europa Occidentale che erogano prestiti all’Est. Secondo questo rapporto, l’Europa Orientale ha preso a prestito un totale di 1.700 miliardi di dollari, prevalentemente da banche dell’Europa Occidentale. In buona parte si tratta prestiti a breve termine della durata inferiore ad un anno. Nel 2009 le banche dell’Est devono ripagare o rinnovare qualcosa come 400 miliardi di dollari, il 33% del PIL totale della regione. Mentre le recessione globale si aggrava stanno diminuendo dopo giorno giorno le possibilità che questo possa avvenire. Ora le banche occidentali si stanno rifiutando di rinnovare quei prestiti, sotto pressioni politiche e finanziarie interne. La finestra del credito all’Est, che solo due anni fa era la fonte di un boom di utili per le banche dell’Europa Occidentale, ora si è chiusa di colpo. Persino la Russia, che un anno fa aveva più di 600 miliardi di dollari di riserve in valuta straniera, si trova in una situazione difficile. Quest’anno le grandi aziende russe devono ripagare o rinnovare 500 miliardi di dollari. Da agosto, la Russia ha subìto un salasso del 36 per cento delle proprie riserve straniere per difendere il rublo.
In Polonia, il 60% di tutti i mutui ipotecari è in franchi svizzeri. Lo zloty polacco è diminuito di metà del proprio valore nei confronti del franco svizzero. L’Ungheria, i Balcani, i Paesi baltici e l’Ucraina stanno tutti soffrendo delle varianti della stesso problema. Come atto di follia collettiva – sia per chi chiede un prestito e sia per chi lo concede – si può paragonare alla débâcle dei subprime americani. Questa crisi, per le banche europee, svetta sulle perdite avute nei titoli del mercato immobiliare americano. E’ la prossima ondata della crisi che è pronta a colpire. Quasi tutto il debito del blocco orientale deve essere ripagato all’Europa Occidentale, soprattutto a banche austriache, svedesi, greche, italiane e belghe. Gli europei incidono per un sorprendente 74% per l’intero portafoglio da 4.900 miliardi di dollari di prestiti ai mercati emergenti. Sono cinque volte più esposti a quest’ultima crisi rispetto alle banche americane e giapponesi, e stanno utilizzando una leva del 50 per cento superiore secondo il FMI.
Anche se occorreranno mesi, o solamente alcune settimane, il sistema finanziario europeo sta ora affrontando una prova importante e la situazione è complicata dal fatto che quando le regole della Banca Centrale Europea sono state perfezionate alla fine degli anni ’90, i governi non hanno convenuto nel cedere il potere totale di centralità bancaria alla nuova BCE. Come risultato, in questa prima prova della BCE in una crisi sistemica, la banca non è in grado di agire allo stesso modo, per esempio, della Federal Reserve e ricoprire il ruolo di prestatore di ultima istanza o di inondare i mercati con degli incentivi di emergenza. Secondo alcune stime la banca Centrale Europa ha già bisogno di portare i tassi a zero e poi acquistare in blocco obbligazioni e Pdfandbriefe. E’ frenata dalla geopolitica – un veto tedesco-olandese – e dal Trattato di Maastricht. La BERS stima che l’Europa dell’Est ha bisogno di almeno 400 miliardi di euro di aiuti per coprire i prestiti e sostenere il sistema creditizio.
I governi europei stanno peggiorando le cose. Alcuni di loro stanno facendo pressioni sulle loro banche per fare marcia indietro, vendendo sottocosto le loro consociate nell’Europa Orientale. Atene ha ordinato alle banche greche di ritirarsi dal Balcani. Le somme necessarie vanno oltre i limiti del FMI, che ha già tirato fuori dai guai Ungheria, Ucraina, Lettonia, Bielorussia, Islanda e Pakistan – e prossimamente la Turchia – e sta rapidamente esaurendo la sua riserva da 155 miliardi di euro, obbligandolo a vendere le proprie riserve d’oro per aumentare la liquidità.
Il recente salvataggio del FMI da 16 miliardi di dollari in Ucraina si è districato. Il paese – che sta subendo una contrazione del 12 per cento del PIL dopo il crollo dei prezzi dell’acciaio – si sta avviando verso l’insolvenza, lasciando Unicredit, Raffeisen e ING di fronte al disastro. Il governatore della banca centrale della Lettonia ha dichiarato la sua economia “clinicamente morta” dopo essere diminuita del 10,5 per cento nel quarto trimestre. I manifestanti hanno causato danni al Tesoro e preso d’assalto il Parlamento.
Forse l’aspetto più allarmante è che le istituzioni dell’Unione Europea non abbiano nessuna struttura per far fronte a tutto questo. Il giorno in cui decideranno di non salvare uno di questi paesi sarà l’innesco di una gigantesca crisi che si diffonderà in tutta l’Unione Europea.
Al momento, è chiaro che per meschine ragioni politiche Berlino non trarrà in salvo Irlanda, Spagna, Grecia e Portogallo mentre il crollo delle loro bolle del credito porterà all’aumento delle insolvenze, o non trarrà in salvo l’Italia accettando dei piani per le “obbligazioni dell’Unione” se i mercati del debito dovessero boicottare il debito pubblico italiano che sta ormai esplodendo, e che raggiungerà il 112% del PIL il prossimo anno, da poco corretto al rialzo dal 101%.
18.02.2009
F. William Engdahl
Fonte: http://globalresearch.ca
Link http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=12339
Traduzione di JJULES per www.comedonchisciotte.org
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IL NAUFRAGIO DELL'EUROPA: UCRAINA QUASI IN DEFAULT
Gli assalti ai comandi del Servizio di Sicurezza di Ucraina (SBU) alle sedi di Kiev del monopolio del gas Naftogaz e dell'autorità che controlla i gasdotti del paese Urkrtransgaz, hanno colpito la nostra attenzione negli ultimi giorni. Ma senza ombra di dubbio è molto più importante e preoccupante l'assalto cittadino che si sta protraendo di fronte alle succursali ucraniane della Banca Rodovid, che ha limitato il prelievo di soldi a meno di 28 euro giornalieri perchè è sul bordo della bancarotta.
In realtà, ciò che è in bancarotta è lo stesso stato di Ucraina, dove città intere, per interi giorni, sono rimaste senza riscaldamento e acqua corrente perchè le istituzioni non possono pagare le bollette; il servizio della metropolitana di Kiev è vicina al collasso per mancanza di fondi; gli stabilmenti siderurgici e l'industria chimica, motori economici del paese, stanno licenziando a migliaia di operai e il valore della moneta nazionale, l'hryvnia, è crollato.
L'Ucraina è il paradigma del fallimento dell'Europa Centrale come conseguenza della crisi globale e deve metterci all'erta su quello che è sul punto di succedere negli altri paesi ex-sovietici della regione che sono membri dell'UE ma che vedono rifiutati le loro richieste di aiuto. Il primo ministro ungherese, Ferenc Gyurcsany ha messo in guardia i suoi colleghi che una "nuova cortina di ferro divida l'Europa", ma è stato inutile. Aveva richiesto un fondo speciale di 190 miliardi di euro per proteggere i membri più deboli dell'UE, e il suo governo ha fatto circolare un documento che riportava la cifra di 300 miliardi di euro come preventivo per coprire il vero bisogno che quest'anno per la ri-finanziazione dell'Europa centrale.
Questa cifra è uguale a quella che hanno sborsato i governi dell'Ue per ri-capitalizzare le banche oltre ad aver dato garanzie di credito per 2.5 mille milioni di euro.
Ma i crediti continuano a non arrivare alle aziende e ai privati che dovrebbero riattivare l'economia. In questo modo i paesi ricchi, cominciando dalla Germania (dove il cancelliere, Angela Merkel, affronterà le elezioni generali a settembre), negano questo carissimo salvagente ai membri più orientali, che presto dovranno dichiarare la sospensione dei pagamenti: Ungheria, Romania e i paesi baltici.
Queste nazioni sono sul punto di naufragare perchè alla crisi economica mondiale si è aggiunto la caduta delle sue divise (moneta) di fronte all'euro, e si vedono impossibilitati a ridare i crediti alle banche dell'eurozona (che sono i loro principali creditori) in un momento di una forte riduzione della domanda dei suoi prodotti in Europa occidentale. Il nucleo duro dei 16 paesi che condividono l'euro (con un economia nel suo insieme tanto importante quanto quella degli Usa) ha la pretesa di salvarsi escludendo ai suoi soci più recenti. Ma le misure protezionistiche non manterranno a galla potenze come la Germania, la cui prosperità dipende dalle esportazioni a mercati che non hanno una capacità d'acquisto.
Il rischio non è solo economico, ma anche geopolitico, dato che quei soci orientali hanno vissuto la recente esperienza di rinunciare ai loro sistemi economici centralizzati e super regolati, attraversando una terapia d'urto che li ha sottomessi a grandi penurie quando avevano appena cominciato a recuperare e stabilizzarsi.
Proprio quando erano a punto di degustare il miele del capitalismo prospero, questo affonda e nega loro l'ancora di salvezza.
Il caso dell'Ucraina è da esempio e la sua stabilità è fondamentale per il continente perchè la Russia non solo approfitterà del suo crollo per dominarla attraverso il suo predominio etico e linguistico nell'est e nel sud del paese, ma il Cremlino presenterà questo fallimento come paradigmatico di ciò che succede quando le economie ex-sovietiche si sommergono nel libero mercato.
L'Ue non può permettere che la crisi affoghi i suoi membri più deboli, neanche i suoi vicini orientale, perchè non è sufficiente con il non saperne nulla per evitare che chi affonda, disperato, trascini anche noi nel fondo.
12 marzo 2009
di Carlos Enrique Bayo
Fonte: http://blogs.publico.es/elmapadelmundo/376/el-naufragio-de-la-europa-central/
http://www.vocidallastrada.com/2009/03/il-naufragio-delleuropa-ucraina-quasi.html
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L'EUROPA RISCHIA UN CROLLO DEVASTANTE
Quando abbiamo cominciato a pubblicare allarmi sulla crisi globale, già dall’estate 2007, abbiamo corso il rischio di apparire come il classico sito che cerca di alzare l’audience con il catastrofismo. Quando abbiamo pubblicato gli allarmi sulla tempesta perfetta che si stava abbattendo sul capitalismo globale, nel luglio dello scorso anno, potevamo apparire desiderosi di estremizzare le conseguenze della crisi in atto. Visto che gli articoli e i documenti da noi pubblicati hanno sostanzialmente centrato le dimensioni della crisi, poniamo all’attenzione questo corsivo apparso sul sito del Sole 24 ore. Si tratta di un articolo magistrale, per chiarezza espositiva e profilo d’analisi, sulla situazione di grave crisi attraversata dall’Ue e dall’Euro in questo periodo. Secondo Eugenio Scalfari su Repubblica le vere dimensioni della crisi della Ue e dell’Euro sono emerse in questi giorni e comunque i media generalisti si sono ben guardati da capire e da far capire cosa stia succedendo in Europa (occupandosi invece, come d’abitudine, di pedofili, ronde e clandestini).
Fatto sta che la Ue è oggi di fronte ad un bivio epocale: o rischiare il fallimento economico e finanziario prima dei paesi periferici (Grecia, Irlanda, Est Europa) poi di quelli centrali (la stessa Germania sarebbe a rischio in caso di fallimenti a catena negli stati Ue vista la forte esposizione creditizia in quelle aree) oppure imporre un direttorio neoliberista che governerebbe di fatto l’Unione Europee imponendo ai paesi membri, con interventi sul loro stesso potere sovrano, politiche drastiche di restrizione alla spesa sociale per bilanciare il salvataggio delle banche e delle imprese occidentali nell’Est. Questo scenario non è apparso su un blog di fantapolitica ma sul sito del Sole 24 ore, il quotidiano della Confindustria italiana. Che ha, come ragione sociale, la funzione di segnalare al capitale l’emergere di crisi serie e strutturali. Come quella che sta emergendo nella UE. Buona lettura e non perdetevi una riga. Anche se è un thriller questa analisi merita attenzione. Da notare, tra le pieghe del commento, la difficoltà ad imporre politiche drastiche di tagli alla spesa pubblica alla Grecia dopo le recenti rivolte.
1 marzo 2009
(red)
Gli anelli deboli dell'area euro
I Paesi dell'euro si troveranno a un drammatico bivio al vertice Ue di domani: da un lato una cooperazione sempre più stretta tra i 16 Paesi, fino a un possibile governo comune dell'economia; dall'altro il rischio di un collasso per l'unione monetaria. Dietro le quinte, da diverse settimane una diplomazia informale sta stringendo le maglie per superare la fase più acuta della crisi globale. Negli ultimi giorni il cancelliere tedesco Angela Merkel ha decisamente preso le redini politiche europee e intende assicurare la tenuta della zona euro.
La debolezza dei Paesi dell'Est non è infatti l'unica preoccupazione in Europa. Nè la più importante. Alcuni indicatori economici europei, quelli che guardano più in avanti, danno segni di stabilizzazione, ma un clima di sfiducia persistente rende fragile la posizione di Grecia e Irlanda: si teme che si dimostrino incapaci di pagare le cedole del debito pubblico o di finanziarsi senza ristrutturare il debito passato. In queste ore sono sotto osservazione soprattutto la posizione della Grecia e alcune scelte discutibili del Governo di Atene. Se dovesse cedere uno solo degli anelli della catena dell'euro, per quanto periferico, il contagio sarebbe difficile da arrestare.
L'interesse a evitare il default di un Paese membro è ora evidente anche al Governo tedesco, un tempo preoccupato dagli oneri finanziari di un salvataggio. Come principale creditore netto nei flussi di capitale interni alla Ue, la Germania – e il suo sistema bancario – sarebbe la principale vittima di un default dei Paesi debitori. L'onere sarebbe molto maggiore di quello di un salvataggio preventivo e potrebbe indurre in default perfino Berlino.
Mercoledì il portavoce della Merkel ha detto chiaramente che la Germania «difenderà in ogni modo la coesione dell'euro e della Ue». Una serie di default metterebbe a rischio infatti non solo l'euro, ma la stabilità economica e politica del continente. L'impegno di Berlino rappresenta una svolta forse decisiva per disinnescare un aggravamento della crisi globale grazie alla consapevolezza, carente fino a pochi giorni fa, dell'interdipendenza economica europea e del comune destino politico. Manca tuttavia nella zona euro un quadro istituzionale definito che consenta di intervenire direttamente nelle scelte dei Governi.
Il vertice Ue di questo fine settimana potrebbe essere l'unico ambito disponibile. Per influenzarne gli esiti, i Governi di Germania e Francia, talvolta insieme a Gran Bretagna e Italia, hanno dato forma a un direttorio di fatto, che deve compensare il vuoto lasciato dalla Commissione. Riunioni del gruppo si tengono ormai settimanalmente, organizzate da un segretariato informale di cui viene negata perfino l'esistenza. L'iniziativa dei grandi Paesi è stata criticata pubblicamente dai più piccoli: Finlandia, Belgio, Svezia e Portogallo nelle ultime ore. Ma l'indeterminatezza politica e normativa europea impone sia decisioni rapide, sia una notevole elasticità istituzionale.
Gli spread sui tassi d'interesse di Grecia, Irlanda e Austria stanno aumentando pericolosamente da mesi. L'Irlanda soffre per la grave recessione che pesa su un disavanzo difficile da finanziare. L'Austria patisce le conseguenze dei legami con l'Est Europa. La Grecia è colpita da entrambi i problemi: ha scarsa determinazione nel correggere gli squilibri della pessima situazione debitoria e una pericolosa esposizione bancaria sui Balcani.
Le difficoltà dell'Est Europa vengono considerate controllabili, essendo le dimensioni delle economie abbastanza ridotte. Applicando l'art 308 del Trattato, la Commissione è in grado di ricorrere all'assistenza per Paesi con difficoltà di bilancia dei pagamenti, come è già avvenuto nei casi di Ungheria e Lettonia attraverso l'emissione di obbligazioni ad hoc. La stessa Bce ha già aiutato Polonia e Ungheria con repo arrangements e messo a disposizione swap arrangements per i Paesi candidati a entrare nell'euro. Mentre è ancora in sospeso la richiesta dei paesi dell'Est di poter accedere al finanziamento della Bce riscontando i titoli denominati in valuta nazionale.
L'assistenza che è possibile fornire all'Est però paradossalmente non può essere offerta ai Paesi dell'euro. Il Trattato stabilisce che nessun Paese della zona euro può essere salvato dagli altri membri. Si tratta della clausola di no-bailout (art. 103), una colonna dell'architettura istituzionale dell'euro, perché rende stringente l'impegno al rigore fissato dal Patto di stabilità. In caso di rischio di fallimento di Grecia o Irlanda si parla però di ricorso all'articolo 100 del Trattato che prevede che il Consiglio disponga assistenza finanziaria a uno Stato membro colpito da severe difficoltà per «condizioni eccezionali estranee al suo controllo».
L'impasse di fronte al quale tutte le proposte di bailout si fermano è il rischio di salvare Paesi che non mettono in atto politiche economiche coerenti. Non si tratta tanto di un problema di moral hazard, cioè di togliere ai Paesi a rischio l'incentivo a curare se stessi ben sapendo che poi saranno salvati dai partner, ma di preservare la credibilità del salvataggio: se il Paese aiutato continua a sbagliare politiche, finisce per rendere vano e non più credibile ogni altro salvataggio.
«Continueremo a dimostrare solidarietà – ha dichiarato giovedì la cancelliera Merkel – ma il vertice di domenica dovrà essere utilizzato per imporre ai Paesi in difficoltà una valutazione onesta della loro situazione». Tutti gli occhi sono puntati sulla Grecia. Mentre l'Irlanda sta reagendo con forti misure di controllo dei conti, seppur tra le proteste di piazza, il Governo greco sta mettendo in atto una politica economica pericolosa di espansione indiscriminata delle spese correnti. Il Governo di Atene è sotto pressione per le prossime elezioni in cui l'opposizione parte avvantaggiata. Manifestazioni di piazza hanno bloccato il Paese a dicembre e il Governo sta rispondendo con politiche populiste. Il deficit fiscale sta crescendo, quello delle partite correnti è pari al 14% del Pil e il governatore greco parla di «seri pericoli».
In tali condizioni, il salvataggio europeo dovrebbe essere accompagnato da vincoli esterni alle scelte del Governo greco. Ma nella zona euro non esiste un quadro politico all'interno del quale una tale responsabilità sovrana può essere sottratta ai Governi nazionali. Il Patto di stabilità è stato depotenziato e non è comunque mai stato efficace nel controllare la qualità delle politiche né la veridicità delle cifre fornite da Atene, sulle quali crescono dubbi a cui ha dato voce la stessa Merkel. Nonostante i richiami di Trichet e Almunia il Governo prevede tuttora una crescita dell'1,1% nel 2009 contro lo 0,2% stimato da Bruxelles.
Il presidente della Bundesbank, Axel Weber, ha preannunciato «un aiuto condizionato» ai Paesi in difficoltà: «non ci saranno assegni in bianco». Ma in Europa il ruolo di condizionamento delle politiche nazionali non potrà che spettare a un organismo politico. La Francia vorrebbe che fosse l'Euro-consiglio, cioè i capi di governo dei Paesi dell'euro, mentre la Germania finora aveva privilegiato la Commissione. Tra le condizioni a Grecia e Irlanda si ipotizzano controlli più attivi sulle leggi di bilancio, sulle riforme e sulle politiche salariali, nonché impegni ad armonizzare il fisco evitando pratiche dannose per i Paesi vicini. Si tratterebbe di passi cruciali verso il governo economico della zona euro. Il coordinamento crescerà negli anni futuri quando tassi d'interesse in rialzo renderanno problematico finanziare il debito di molti paesi, Italia inclusa.
Fino a che Atene e Dublino non daranno garanzie di assecondare le condizioni, la promessa di salvataggio resterà in dubbio, gli oneri finanziari per tutti i Paesi a rischio resteranno elevati e la crisi resterà una minaccia incombente su tutta l'area. Ecco dunque il bivio da cui eravamo partiti: da un lato più integrazione politica tra i Paesi dell'euro, dall'altro il rischio di fallimento dei Paesi più fragili e, a catena, anche di quelli più saldi. Già domani alla fine del vertice europeo si saprà più chiaramente verso quale delle due strade ci stiamo incamminando.
[ndr] Al momento l'Europa esce da Bruxelles senza un piano complessivo per superare la crisi dei paesi dell'Est che minaccia la stabilità dell'intero continente.
"No a un piano complessivo per aiutare i paesi dell'Est. Questa la posizione del cancelliere tedesco Angela Merkel espressa al vertice. Secondo la Merkel «non si possono confrontare» le situazioni di paesi come la Polonia o i Baltici o l'Ungheria, per cui "no" a un piano complessivo, ma l'invito invece ad analizzare ogni situazione caso per caso"
28 febbraio 2009
di Carlo Bastasin
fonte: Sole24ore.com
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/03/crisi-vertice-bruxelles-economia.shtml?uuid=d2013330-064c-11de-b3e2-d0b05f72333a&DocRulesView=Libero
http://www.senzasoste.it/content/view/6599/65/
http://www.autprol.org/