11/03/2009: Accordi di riammissione - Maroni in Tunisia


1. Il ministro Maroni martedì 27 gennaio sarà a Tunisi per tentare di rilanciare la collaborazione nelle procedure di rimpatrio, già prevista da anni sulla base di successive intese bilaterali, proprio al fine della riammissione dei migranti irregolari. Ma evidentemente qualcosa negli ultimi tempi non ha più funzionato nei rapporti tra Italia e Tunisia, stato che fino a poco tempo fa garantiva la più elevata percentuale di riconoscimenti, e quindi di rimpatri forzati effettivamente eseguiti. Senza un riconoscimento individuale degli immigrati irregolari non è infatti possibile dare esecuzione alle misure di allontanamento forzato, non solo perché è vietato dalle Convenzioni internazionali, ma soprattutto perché nessun paese accetterebbe mai persone della cui nazionalità non sia certo.
Gli accordi di riammissione mirano ad ottenere la maggiore collaborazione delle autorità del paese straniero nelle operazioni di rimpatrio dei migranti irregolari sottoposti a provvedimento di espulsione o di respingimento alla frontiera, previo eventuale concorso tramite propri agenti consolari ed interpreti nell’identificazione dei migranti, privi di documenti di riconoscimento ufficiali che ne attestino identità e nazionalità certe. Generalmente queste intese si limitano ai cittadini del paese di origine degli immigrati irregolari, ma in qualche caso possono anche comprendere cittadini di paesi terzi, sempre che sia possibile attribuire loro una nazionalità certa. Alla fine, però, quello che conta davvero per rendere esecutivi questi accordi, è che qualcuno ci metta i soldi. Una espulsione costa in media all’Italia circa 2-3.000 euro (intervista a Giovanni Aliquò dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia) e somme assai consistenti devono spendere i paesi di transito quando accettano di riammettere cittadini di paesi terzi, a meno che non decidano di caricare le persone su un autobus e di abbandonarle in mezzo al deserto, come è documentato in Marocco, in Algeria e in Libia ( si rinvia per questi aspetti ai rapporti nazionali pubblicati nel sito www.fortresseurope.blogspot.com).
L’Italia ha ormai destinato ai rimpatri forzati tutti i fondi previsti in precedenza per l’integrazione, e l’atteso aiuto finanziario dell’Unione Europea, settantuno milioni di euro che dovrebbero essere destinati anche ai rimpatri volontari assistiti, appare assai modesto, a fronte di una presenza stimata di oltre novecento mila irregolari presenti in Italia. Altro che i milletrecento migranti bloccati da alcune settimane a Lampedusa! Un pretesto per nascondere il fallimento di una politica che ha moltiplicato la clandestinità ed l’esclusione. Il viaggio di Maroni in Tunisia ha lo scopo dichiarato di rendere più veloci le procedure di rimpatrio, sull’esempio forse di quanto avviene dal 2007 con l’Egitto, dopo la firma dell’accordo tra quel paese e il governo Prodi.
A differenza di quanto vorrebbe fare adesso Maroni con i “tunisini”, ammesso che siano veramente tali, rinchiusi nel centro di primo soccorso ed assistenza di Lampedusa, nel caso degli egiziani i rimpatri “diretti”, con voli Lampedusa-Catania-Cairo come si è verificato anche all’inizio del 2009, avvengono per piccoli gruppi, trenta o quaranta persone al massimo, con partenze bisettimanali, dopo procedure formali che dovrebbero portare almeno ad una attribuzione certa della nazionalità, e dunque solo nel caso di cittadini egiziani. Nel mese di gennaio del 2009 sarebbero stati ricondotti in Egitto circa 150 cittadini di quel paese irregolarmente entrati in Italia. Con questo stesso ritmo, per “liberare” Lampedusa dalla presenza degli immigrati irregolari ci vorrebbero almeno sei mesi, sempre che nel frattempo non arrivi nessun altro migrante. E poi anche dalle cronache televisive risulta evidente che nel centro di Lampedusa non ci sono soltanto tunisini, ma anche migranti provenienti dal centro africa.
Non si vede quindi adesso su quali basi Maroni possa negoziare un accordo con la Tunisia per “svuotare” in una settimana il centro di accoglienza e primo soccorso di Lampedusa, come ha promesso il governo. Di certo non basterà il trasferimento di una parte dei migranti nel nuovo centro di identificazione ed espulsione che si vorrebbe aprire, al momento infatti vi sono state portate solo 90 donne, per esigenze di protezione e non ai fini del rimpatrio, ma la ex caserma dell’aeronautica, abbandonata da anni, deve essere ancora ristrutturata. Se i ritmi saranno quelli che scandiscono i rimpatri diretti verso l’Egitto, ci vorranno mesi, prima che questi rimpatri si concludano e intanto, soprattutto quando il tempo migliorerà, riprenderanno gli arrivi di altri migranti dalla Libia e dalla Tunisia.
Un numero imprecisato di immigrati sarà trattenuto dunque ancora per molto tempo nei centri di detenzione ( perché ormai di questo si tratta) a Lampedusa, in attesa di una identificazione certa. Una violazione gravissima dell’art. 13 della Costituzione italiana che impone una convalida immediata ( 96 ore) dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, come ha ricordato in diverse occasioni anche la Corte costituzionale.
Non si comprende peraltro quali saranno i risvolti operativi immediati del Trattato di amicizia stipulato lo scorso anno con la Libia, accordo che dovrebbe essere definitivamente ratificato dalla Camera venerdì 30 gennaio. Forse qualcuno si potrà illudere per qualche settimana che sei motovedette possano bloccare nel Canale di Sicilia le imbarcazioni cariche di migranti dirette a Lampedusa, e magari farle rientrare verso i porti di partenza, ma presto queste illusioni saranno spazzate dalla spietata logica dei fatti e, saranno sostituite dalla realtà delle tragedie che queste scelte politiche provocheranno, a mare, come sulla terraferma, nei luoghi di detenzione. Altro che pattugliamenti congiunti e controlli radar dei confini terrestri e delle frontiere marittime!

2. La volontà di rimpatriare i tunisini e gli egiziani con procedure sommarie, forse sarebbe più appropriato il termine “deportare”, corrisponde alla decisione del governo di considerare la Tunisia e l’Egitto come “paesi terzi sicuri” dai quali, per effetto di questa “definizione”, non possono arrivare richiedenti asilo. Si ricordano ancora le recenti parole del sottosegretario Rosato: egiziani e tunisini non finiranno mai nei centri di prima accoglienza. Per Bossi e per molti leghisti il diritto di asilo è solo un espediente che i “clandestini” usano per infiltrarsi nella Fortezza Europa. Per questi governanti la Convenzione di Ginevra e le Direttive comunitarie, attuate dal governo Prodi con legge dello stato, sono poco più che carta straccia. Ma si arriva anche alla intimidazione.
Le commissioni per i richiedenti asilo sono avvertite, che non si arrischino a riconoscere lo status di rifugiato o la protezione umanitaria a nessuna persona che proviene da quei paesi, anzi, che la polizia impedisca agli egiziani ed ai tunisini, ma anche ai nigeriani ed ai ghanesi, persino di presentare una domanda di asilo, così i rimpatri saranno più veloci. Dall’attuale governo e dal presidente del consiglio italiano, che va a braccetto con i dittatori della peggior specie, da Putin a Gheddafi, fino ai governanti dello Sri Lanka che stanno praticando nel silenzio generale un vero e proprio genocidio ai danni dei tamil, non ci si poteva aspettare altro. Del resto dopo lo scempio dei massacri al fosforo bianco di Gaza, ed il bombardamento di scuole ed ospedali, qualcuno ritiene che l’opinione pubblica occidentale, assediata dalla crisi economica, si possa assuefare a tutto.
In vista del viaggio di Maroni a Tunisi è bene ricordare comunque che il governo tunisino nel 2008 ha represso duramente l’insurrezione dei minatori della regione di Redeyef, con arresti arbitrari e torture. La rivolta però va ancora avanti ed il malessere sociale e politico in Tunisia è sempre più forte, malgrado la censura e gli arresti arbitrari degli oppositori politici e dei sindacalisti. In vista delle prossime (finte) elezioni in Tunisia è in corso una ulteriore stretta autoritaria. Molti dei migranti tunisini che sbarcano sulle coste siciliane vengono dalle regioni più povere dove più forte è stata prima la protesta sociale e poi la repressione. Per loro, il rimpatrio sarebbe due volte più pericoloso proprio a causa di questo clima di militarizzazione. L’Italia ha una intesa di riammissione con la Tunisia dal 1998, rinforzato da un successivo accordo del 2003. Accordi criticati di recente anche dal Rapporto Hammarberg del Consiglio d’Europa, proprio per il rischio della tortura e di trattamenti inumani e degradanti in quel paese.

3. La Tunisia ha già stipulato con l’ Italia accordi di riammissione che permettono di dare esecuzione ai provvedimenti di espulsione o di respingimento. Con fasi alterne nel tempo. La collaborazione Tunisia - Italia nel contrasto dell’immigrazione “clandestina” è stata assunta all’inizio come un modello. «Era il frutto di un lavoro paziente: crediti per lo sviluppo, un decreto per dare quattrini alla polizia tunisina per il controllo delle coste, un accordo sull’ occupazione dei lavoratori stagionali. Poi il nuovo governo italiano non ha continuato a dare i soldi e le partenze sono riprese», dichiarava nel 2004 Giorgio Napolitano, che era allora il ministro dell’ Interno che con Lamberto Dini condusse le trattative con la Tunisia, a partire dal 1998, subito dopo l’approvazione della legge Turco-Napolitano che istituiva i CPT (Centri di permanenza temporanea), quando la maggioranza parlamentare era di centro-sinistra.
La stipula di accordi di riammissione degli stranieri irregolari era infatti prevista dalla normativa sull’immigrazione (legge n. 40/98), che all’art. 9.4 disponeva che "il Ministero degli Affari Esteri ed il Ministero dell’Interno promuovano le iniziative occorrenti, d’intesa con i Paesi interessati, al fine di accelerare l’espletamento degli accertamenti ed il rilascio dei documenti eventualmente necessari per migliorare l’efficacia dei provvedimenti previsti dalla legge". La stipula della maggior parte di tali accordi è avvenuta in forma semplificata con conseguente sottrazione degli stessi alla procedura parlamentare di autorizzazione alla ratifica.
Sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 15.01.2000 (n. 14), relativo agli atti internazionali entrati in vigore per l’Italia nel periodo 16.09.1999-15.09.1999, non soggetti a legge di autorizzazione alla ratifica, tra gli altri, venivano pubblicati i testi dell’ intesa di riammissione delle persone in condizione di irregolarità stipulati tra il governo italiano con la Tunisia. In realtà, all’inizio, non si trattava di un vero e proprio accordo di riammissione, come quelli poi conclusi nel 2007 con l’Egitto e nel 2008 con la Libia, ma di uno "Scambio di note tra l’Italia e la Tunisia concernente l’ingresso e la riammissione delle persone in posizione irregolare" con il quale si prevedevano supporti tecnici ed operativi e contributi economici ( 15 miliardi di lire per tre anni), ed in particolare un contributo di 500 milioni di vecchie lire per " la realizzazione in Tunisia di centri di permanenza". A partire da quello “Scambio di note” la Tunisia si è dotata di numerose strutture di trattenimento coatto, più segrete di quelle libiche, ben oltre il modesto contributo annunciato allora dal Governo italiano e la maggior parte dei centri di detenzione amministrativa per immigrati irregolari è ubicata adesso in località che nessun estraneo ha mai potuto raggiungere e documentare.

4. “Oggetto” degli accordi bilaterali di riammissione sono innanzitutto i cittadini degli Stati contraenti che "non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso o di soggiorno applicabili nel territorio della parte contraente richiedente". Essendo dunque l’accertamento della cittadinanza il presupposto della riammissione, per eseguire l’accompagnamento forzato in frontiera si prevede una complessa procedura di identificazione, che verte sulla collaborazione delle autorità diplomatiche e consolari. Queste sono tenute entro termini rigidamente stabiliti a rilasciare il lasciapassare per il rimpatrio in presenza di determinati documenti identificativi della persona da espellere, ovvero possono procedere alla sua audizione e, comunque, in mancanza di altri mezzi identificativi, sono obbligate a fornire una riposta motivata sull’identità della persona in base alle impronte digitali e alle fotografie inviate dalla parte richiedente. Comune a tutti gli accordi bilaterali è la presenza di un meccanismo di tutela dello Stato richiesto, operante nel caso di riammissione effettuata sulla base di presupposti errati o inesistenti. Non è noto se e quando questo organismo sia intervenuto nel caso dei rimpatri dall’Italia in Tunisia.
Le spese di trasporto della persona riammessa sono generalmente poste a carico dello Stato richiedente fino alla frontiera della parte richiesta. Gli accordi di riammissione prevedono in determinate circostanze e con modalità diverse, l’estensione dell’obbligo di riammissione anche ai cittadini di paesi terzi. Nell’accordo con la Tunisia l’obbligo di riammissione è previsto solo per i cittadini di uno Stato terzo, diverso da quelli membri dell’Unione del Maghreb Arabo, in situazione di ingresso o soggiorno irregolare, i quali "siano entrati nel territorio della parte richiedente dopo aver soggiornato o dopo essere transitati attraverso il territorio della parte contraente richiesta". L’esclusione dall’obbligo di riammissione dei cittadini di paesi membri dell’Unione del Maghreb Arabo, come Algeria e Marocco contenuta nell’accordo bilaterale Italia-Tunisia, è spiegato in dottrina ( Pastore) con l’esigenza della Tunisia di preservare il regime di relativa libertà di circolazione con gli altri paesi maghrebini, in particolare con il Marocco.
Una prima intesa tecnica di riammissione stipulata con la Tunisia, subito dopo l’approvazione della legge Turco Napolitano, prevedeva la spesa di 15 miliardi per ciascun anno del triennio 1998-2000 per interventi in Tunisia ai fini del "sostegno in termini di equipaggiamento tecnico e operativo " nel settore della prevenzione e della lotta all’immigrazione clandestina. A queste somme venivano aggiunti nell’accordo 500 milioni di lire per la "realizzazione in Tunisia di centri di accoglienza " per le persone riammesse in virtù dell’accordo. A tali spese si è data copertura finanziaria con il decreto legislativo 19.10.1998 n° 280.

5. Gli accordi con la Tunisia furono una esperienza pilota per la esternalizzazione della detenzione amministrativa dei migranti irregolari nei paesi di transito. Da allora ben tredici centri di detenzione per stranieri venivano costruiti in territorio tunisino: uno di essi nei dintorni di Tunisi, un altro tra Gabès e il confine libico, mentre l’ubicazione degli altri undici è sempre stata mantenuta segreta dalle autorità tunisine.
La cooperazione di polizia italo-tunisina prevedeva, almeno sulla carta, anche operazioni di pattugliamento congiunto in acque territoriali tunisine e la presenza stabile (dal luglio del 2000) di un ufficiale di collegamento della polizia italiana di stanza a Tunisi. Una anticipazione, anche questa delle politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera, che l’Unione Europea adotterà a partire dal 2004 con le missioni congiunte dell’agenzia Frontex.
L’accordo con la Tunisia entrava in vigore il 23.9.1999, addirittura prima della pubblicazione del testo nella Gazzetta Ufficiale. Seguivano istruzioni del governo ai prefetti di dedicare una particolare “attenzione” ai migranti in condizione di irregolarità presenti nel territorio italiano, soprattutto dopo la chiusura della sanatoria del 1998, ai fini di un loro rimpatrio. La disperazione ed i tentativi di suicidio o gli atti di autolesionismo nei centri di detenzione italiani cominciarono presto a dilagare da Trapani a Milano e Torino.
Pochi mesi dopo, nel dicembre del 1999, si verificava a Trapani, nel centro di detenzione Serraino Vulpitta, la più grave tragedia dell’immigrazione clandestina nei CPT italiani, e sei migranti, in maggioranza tunisini morivano, anche per il colpevole ritardo dei soccorsi, nel rogo appiccato alle suppellettili di una stanza, proprio alla vigilia dell’esecuzione delle misure di allontanamento forzato. Non vorremmo rivivere adesso quella stagione e che altre simili tragedie tornassero a segnare adesso l’inasprimento degli accordi di riammissione con la Tunisia.

6. L’Italia ha inviato in Tunisia nel primo triennio di esecuzione delle intese di riammissione (1998-2000) attrezzature per circa 20 milioni di euro. Nel frattempo la Tunisia otteneva una quota “privilegiata” di ingressi legali in Italia, che sono stati 3mila nel 2000 e nel 2001, 2000 nel 2002 e 600 nel 2003. Nulla rispetto alla domanda di lavoro proveniente dalla Tunisia e anche rispetto alla domanda di lavoro presente in quegli anni in Italia.
Ma quanto il decreto flussi rappresentasse una ennesima illusione veniva presto scoperto ed alla fine gli ingressi clandestini di tunisini ricominciavano ad aumentare, mentre successivi modesti aumenti delle quote riservate ai lavoratori tunisini in Italia non scalfivano la progressione degli ingressi irregolari.
Nel 2001, scaduti i contributi italiani previsti dall’accordo del 1998, si registrò una crescita dei flussi in arrivo sulle coste siciliane. Dopo essere cresciuta da 1.500 a 3.000 unità, la quota riservata alla Tunisia fu ridotta, per punizione, nel 2002 a 2.000 e nel 2003 a sole 600 unità l’anno. Si rendeva necessaria una rinegoziazione dei termini dell’accordo, la quale condusse, il 13 dicembre 2003, alla firma, da parte dei ministri dell’interno Giuseppe Pisanu e Hedi M’Henni, di un nuovo accordo italo-tunisino riguardante la riammissione e la cooperazione di polizia. Sulla base di tale intesa riprendevano le forniture di equipaggiamenti da parte italiana, ai quali si aggiungevano anche corsi di formazione per la polizia tunisina. L’Italia si impegnava anche ad innalzare nuovamente la quota riservata alla Tunisia nell’ambito dei flussi di immigrazione legale. In effetti, solo sei giorni dopo la firma dell’accordo, il governo italiano emanava i due decreti flussi per il 2004, riportando la quota riservata alla Tunisia da 600 al massimo storico di 3.000 unità.

7. Un ulteriore segnale di risposta alle sollecitazioni italiane va considerata la legge approvata dal parlamento tunisino nel mese di febbraio del 2004. La legge, in linea con le normative in vigore nei paesi europei, prevede pene severe per le organizzazioni che gestiscono i flussi migratori illegali e per chiunque, anche a titolo gratuito, favorisca tali attività. La particolarità più singolare è l’introduzione dell’obbligo di delazione: è soggetto a pena detentiva e a sanzione pecuniaria chiunque si astenga dal riferire alle autorità qualunque informazione riguardante movimenti migratori illegali della quale sia venuto a conoscenza.
La nuova legge confermava un netto cambiamento di clima che si evidenziava anche nella quantità crescente dei controlli per le strade e delle perquisizioni domiciliari da parte della polizia tunisina, con conseguente allargamento dell’azione repressiva dalle aree di frontiera all’intero territorio nazionale. Ciò corrispondeva, del resto, all’evoluzione subita dal fenomeno dell’immigrazione in Tunisia a partire dal 2002. Pure in assenza di dati ufficiali, risultava infatti in continua crescita il numero di immigrati regolari che soggiornavano in Tunisia per motivi di studio o di lavoro e che, venuto meno il presupposto per il permesso di soggiorno breve, vi restavano in clandestinità, spesso in attesa dell’opportunità per tentare la traversata verso l’Europa. Come si verificherà negli anni successivi, per l’intensificarsi dei controlli di polizia in Tunisia, molti immigrati irregolari si spostavano nella vicina Libia e da lì tentavano, dopo mesi di abusi e violenze, la fuga verso l’Europa. Non sembra neppure che l’intensificarsi delle misure di contrasto, e si è avuto anche notizia di alcuni respingimenti in mare effettuati di concerto tra le autorità di quel paese e le autorità italiane, abbia sortito l’effetto annuncio auspicato dai diversi governanti che si sono succeduti nel tempo.
Dalla Tunisia continuano ad arrivare migliaia di migranti, anche perché, oltre alla repressione poliziesca in corso, si sono bloccati i canali legali di ingresso per lavoro stagionale. Anche davanti alle coste tunisine si sono verificate numerose stragi con centinaia di morti e di dispersi, sino all’ultima tragedia di pochi giorni fa. Le circostanze di questi fatti sono spesso rimaste avvolte nel mistero, in quanto l’unica fonte proveniva dalla polizia tunisina. L’unico dato certo era il numero delle vittime e dei dispersi che i parenti piangevano senza sapere neppure che fine avessero fatto i loro cari.

8. Su quali basi, adesso, saranno rinegoziati i nuovi accordi di riammissione tra l’Italia e la Tunisia, con la prossima missione di Maroni a Tunisi e quanto questi accordi rispetteranno quanto previsto per i migranti richiedenti asilo e per i rimpatri degli irregolari su scala europea? E quali saranno le conseguenze di questi accordi su una situazione di grave esasperazione come quella che il governo ha creato a Lampedusa, decidendo di bloccare i trasferimenti verso altri centri di accoglienza o di detenzione nel resto d’Italia?
Se l’intenzione è quella di procedere a rimpatri sommari ci sono tutte le premesse perché gli accordi che dovessero prevedere “respingimenti differiti”(magari di qualche settimana) come quelli consentiti dall’art. 10, comma 2 del Testo unico sull’immigrazione, direttamente da Lampedusa in Tunisia, risultino in violazione del divieto di espulsione collettive sancito dall’art.4 dell’allegato IV alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo e del principio di non refoulement, affermato dalla Convenzione di Ginevra, oltre che degli articoli 10, 13 e 24 della Costituzione italiana. Se le prassi amministrative che ne conseguiranno stravolgeranno la portata delle norme di legge che applicano le direttive comunitarie o delle previsioni legislative del testo unico sull’immigrazione, in particolare degli articoli 2, 10, 13, 14, 18 e 19, tutte queste violazioni saranno portate, per quanto di rispettiva competenza al vaglio della corte di Giustizia di Lussemburgo, dei giudici ordinari e della Corte Costituzionale. Alla fine gli abusi, anche se saranno supportati da un accordo bilaterale, verranno scoperti e sanzionati, su questo si sentono impegnati tutti coloro che non accettano la introduzione di uno stato di polizia, oggi per gli immigrati, domani assai probabilmente per tutti gli italiani.
Sarebbe anche auspicabile che la magistratura, così solerte a indagare gli immigrati irregolari ritornati a Lampedusa dopo una precedente espulsione, magari sulla base di una testimonianza di comodo o di una vecchia segnalazione di polizia , neppure seguita da un processo, riscoprisse l’esistenza dell’art. 13 della Costituzione e dedicasse altrettanta sensibilità nei confronti delle violazioni commesse da agenti istituzionali, che decidono sulle prassi operative dei respingimenti sommari senza alcun controllo giurisdizionale e considerano le leggi e le normative internazionali come “espedienti” per ritardare gli allontanamenti forzati, vedendo magari negli operatori umanitari, nei giornalisti e negli avvocati, o nelle comunità che protestano, veri e propri “agevolatori” dell’immigrazione “clandestina”.

Accordi di riammissione - Maroni in Tunisia
Come far esplodere l’emergenza Lampedusa e violare lo stato di diritto
di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo

da http://www.meltingpot.org/articolo13879.html

http://www.autprol.org/