08/03/2009: Resoconto della commissione su Stato Unico e resistenza palestinese dell’assemblea nazionale del Forum Palestina del 21 febbraio a Roma


La discussione nella commissione che si è occupata della questione dello Stato Unico in Palestina e delle prospettive della resistenza palestinese, è stata molto ampia e articolata. Punti di vista diversi si sono confrontati con grande chiarezza e rispetto, ma senza asprezze, con ben ventuno interventi fino alle 17.00 del pomeriggio, sospesi solo da una breve pausa pranzo.

Sulla questione dello Stato Unico in Palestina sono stati molti gli interventi che hanno valorizzato questo passaggio di qualità nel dibattito dei movimenti e delle forze che sostengono la causa palestinese. Il carattere apertamente anticolonialista di questa ipotesi da un lato fa giustizia di ogni compromesso con il progetto strategico sionista di uno stato etnicamente puro (lo stato ebraico) da “affiancare” (o meglio sovrapporre) o un quasi stato palestinese articolato su bantustan nei quali concentrare senza identità, indipendenza e sovranità i residui del popolo palestinese. Dall’altro questa ipotesi deve fare i conti con il fatto che nei documenti politici di tutte le organizzazioni palestinesi (da Al Fatah al FPLP ad Hamas) l’obiettivo dello Stato Unico è scomparso sul piano politico accettando la dimensione dei due popoli due stati come obiettivo di fase pur non rinunciando allo stato unico come obiettivo storico. Si tratta dunque di un dibattito aperto che oggi va estendosi in ambiti ancora minoritari del mondo palestinese e israeliano ma che recupera comunque un punto fondativo del movimento di liberazione nazionale palestinese degli anni sessanta. I punti di perplessità espressi in alcuni interventi sull’ipotesi dello Stato Unico, attengono soprattutto alla sua praticabilità stante le condizioni sul campo e l’ostilità accumulatesi nelle due comunità principali. Una condizione questa che – sul piano formale – è stata superata in Sudafrica trasferendo i problemi dal piano della questione razziale/nazionale a quello del conflitto sociale tra interessi di classe diversi e contrapposti. Sulla questione dello Stato Unico è stata segnalata l’erroneità di un paragone con l’esperienza sudafricana in quanto il progetto coloniale israeliano punta all’espulsione della popolazione palestinese dal territorio mentre il progetto coloniale sudafricano puntava al mantenimento ed anzi all’immigrazione di popolazione nera per sfruttarne la manodopera ai fini della propria economia caratterizzata dal sistema dell’apartheid.

Punto dirimente e di collegamento del dibattito sullo Stato Unico e sulle forze che operano per la liberazione del popolo palestinese, è l’impugnare chiaramente la discriminante antisionista come snodo politico, storico e teorico dello scontro in atto. Il progetto coloniale sionista è alla base del modello politico/economico/militare costruito in Israele in questi decenni. L’apertura di una battaglia politica, culturale e storica di informazione e opposizione al sionismo come ideologia coloniale diventa dunque un passaggio decisivo dell’azione anche nel nostro paese.

In realtà oggi andrebbe posta come prioritaria la “questione israeliana” piuttosto che la questione palestinese, essendo la prima lo snodo dirimente della situazione che condiziona effettivamente i possibili sviluppi. In sostanza occorrerebbe partire dalla denuncia del sistema di oppressione coloniale israeliano come elemento prevalente dell’azione politica nel nostro paese a sostegno dei palestinesi. Interessante anche la sottolineatura di alcuni interventi sulla “israelizzazione” della politica italiana ed europea dovuta alla comune radice colonialista che , sulla base della crisi e della logica della guerra preventiva, permea profondamente le classi dominanti anche nei nostri paesi e che trova in questo un punto di convergenza ideologico molto forte con il sionismo.

Ancora più articolata e movimentata è stata la discussione sulle prospettive del movimento di liberazione palestinese e sul ruolo delle forze della resistenza. La stragrande maggioranza degli interventi hanno espresso giudizi estremamente severi verso l’ANP e la sua leadership non solo per i risultati prodotti dalle scelte del passato (accordi di Oslo, prevalenza dell’ANP a scapito dell’OLP di fatto posta in liquidazione come struttura unitaria e includente, prevalenza della linea negoziale con Israele e USA rispetto a quella della resistenza), ma anche per le posizioni adottate dopo la vittoria elettorale di Hamas e durante la recente aggressione israeliana a Gaza. Alcuni interventi hanno invitato a non confondere la leadership dell’ANP con l’insieme di Al Fatah dove convivono e configgono posizioni diverse. Vari interventi hanno sottolineato come Hamas, nonostante la caratterizzazione religiosa che suscita ancora perplessità, sia in realtà riuscita ad assumere su di sé lo spirito della resistenza palestinese all’occupazione israeliana, un ruolo questo che oggi è difficilmente riconoscibile nelle scelte dell’ANP ma anche nelle difficoltà incontrate dalle organizzazioni storiche della sinistra in Palestina (in particolare al FPLP) che hanno subito duri colpi sul piano repressivo e politico e subiscono enormi limitazioni alla loro agibilità politica sia nella Cisgiordania sotto controllo di Al Fatah sia a Gaza sotto controllo di Hamas. I compagni più vicini al FPLP contestano la tregua con Israele raggiunta da Hamas, sia quella scaduta a novembre sia quella che si sta cercando di stabilire in questi giorni, in quanto sarebbe una rinuncia alla resistenza. Secondo alcuni interventi nel campo palestinese agisce una linea “americana” (concordata cioè con USA, Israele, Egitto ed altri paesi arabi) e la linea della resistenza. La prevalenza di una delle due farà la differenza sia nel processo di riconciliazione nazionale palestinese in corso sia nell’articolazione dello scontro a livello regionale dove agiscono anche gli interessi di altri paesi.

Sul piano della unificazione nazionale delle organizzazioni palestinesi dopo gli scontri interni degli anni successivi alla vittoria elettorale di Hamas nel 2006 e alle recenti vicende durante l’aggressione israeliana contro Gaza, è stato segnalato come il Documento dei 18 punti presentato nel maggio 2006 dai dirigenti palestinesi di tutte le organizzazioni detenuti nelle carceri israeliane, possa rappresentare una buona base per mettere mano al complesso dei problemi accumulatisi negli ultimi anni: dalla urgente riforma democratica dell’OLP e dell’ANP, all’inclusione nell’OLP di tutte le organizzazioni, incluse Hamas e Jihad che ne sono fuori, dalla irrinunciabilità del diritto alla resistenza e del diritto al ritorno dei profughi alla gestione delle forze di sicurezza palestinesi. Alcuni interventi hanno segnalato come il documento sia in qualche modo “datato” essendo intervenuti nuovi e gravissimi problemi interni allo scenario palestinese dopo la sua stesura (vedi il tentato colpo di mano a Gaza sollecitato dagli USA a settori dell’ANP ma sventato da Hamas nel 2007, la spaccatura nei fatti tra il governo di Gaza e Cisgiordania con il doloroso e reciproco strascico di ritorsioni tra Al Fatah e Hamas, a scapito anche della sinistra palestinese).

E’ vero anche che il coinvolgimento di nuove leadership meno compromesse, la riaffermazione della centralità decisionale e strategica dell’OLP rispetto all’ANP e l’inclusione nell’OLP di tutte le forze della resistenza palestinese, appaiono oggi l’auspicio e la possibilità minima per recuperare una prospettiva di azione per i palestinesi.

E’ stato segnalato come oggi la resistenza palestinese si trovi nella difficile condizione di operare su quattro fronti e realtà sempre più diverse tra loro: Gaza, Cisgiordania, campi profughi nella diaspora, arabi/palestinesi che vivono in Israele. Quattro condizioni diverse che solo una organizzazione centrale e un progetto politico nazionale potrebbe avere la capacità di gestire e orientare unitariamente.

Elemento dirimente rimane comunque la scelta della resistenza contro l’occupazione israeliana e il progetto sionista. L’unità nazionale è parte della resistenza ha affermato nell’intervento un compagno palestinese. Pur auspicando come necessario il raggiungimento della riunificazione nazionale di tutte le organizzazioni palestinesi e rispettando il percorso che si daranno nella prossima fase, occorre anche affermare che essere solidali con chi resiste e lontani da chi collabora con l’occupazione, è una scelta di campo su cui i movimenti di solidarietà con il popolo palestinese si riservano il diritto di esercitare anche un proprio punto di vista.

Infine, l'entrata in campo di forze di ispirazione religiosa nella resistenza anticoloniale, se condiziona lo scenario politico in Palestina e Medio Oriente, in qualche modo lo condiziona anche da noi. Questa nuova realtà è stata verificata nella massiccia partecipazione - spesso determinante - delle comunità arabe, islamiche e di immigrati alle manifestazioni per la Palestina di gennaio durante l'aggressione a Gaza. Un protagonismo politico questo che ha messo in difficoltà alcuni pezzi della sinistra ed anche dei movimenti in Europa, ma che invece è stata valutata positivamente da quasi tutti gli interventi nel dibattito della commissione. Non è sfuggito il ritardo con cui si è arrivati al confronto con questa realtà nè la difficoltà nel ricercare occasioni comuni di confronto che sappia coniugare in positivo diversità e lealtà. La valutazione comune emersa è che comunque il protagonismo politico sulla Palestina delle comunità arabe e islamiche in Italia sia stato un valore aggiunto e non un problema.

Tra gli orientamenti emersi dai lavori della commissione c’è la decisione di procedere all’organizzazione di un convegno nazionale sul e contro il sionismo per attivare un dibattito politico, storico e culturale che faccia chiarezza su questo terreno. La denuncia prioritaria dell’apparato ideologico, politico, economico, militare del colonialismo israeliano sarà prevalente nell’azione politica e informativa dei prossimi mesi.

L’altra sollecitazione è quella di collegarsi con il gruppo internazionale sullo Stato Unico che ha già realizzato le conferenze di Madrid e Londra per verificare la possibilità di organizzare una conferenza sulla questione dello Stato Unico anche in Italia.

Dunque il dibattito apertosi con l’assemblea nazionale del 21 febbraio prosegue e cercherà di dotarsi degli strumenti e delle occasioni per andare più a fondo sulle questioni storiche, politiche e strategiche che la lotta di liberazione del popolo palestinese porta con sé.

Roma, 21 febbraio 2009
Il Forum Palestina

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