23/02/2009: Deportazioni in massa e minacce di bombardamenti per i pirati della Somalia


La flotta aeronavale USA attivata a largo delle coste della Somalia, attende nelle prossime ore l’autorizzazione per avviare la caccia ai pirati e, eseguita la cattura, garantire la loro deportazione in un paese africano top secret. Lo ha dichiarato in un incontro con i giornalisti, il vice ammiraglio William E. Gortney, comandante dell’US Naval Forces Central Command, il Comando Centrale delle Forze Navali da cui dipende la task force internazionale –Combinated Task Force 151 – che pattuglia una vasta aerea geografica compresa tra il Golfo di Aden, il Mar Rosso e l’Oceano Indiano. “Stiamo lavorando a stretto contatto con il Dipartimento di Stato – ha esordito Gortney - per portare a termine un accordo con una delle nazioni dell’area che permetterà alla CTF 151 e alle forze della coalizione di spezzare, impaurire, catturare e detenere le persone sospettate di essere responsabili di atti di pirateria. Stiamo negoziando tutti i dettagli per decidere come prenderli, dove imprigionarli, quale corte li dovrà giudicare e dove verranno detenuti nel caso in cui saranno dichiarati colpevoli”.
Una o più Guantanamo starebbero dunque per sorgere nel continente africano (tra le candidate più accreditate ad ospitarle Gibuti, Kenya e Tanzania), ma lo scenario che l’amministrazione USA delinea per la Somalia potrebbe essere ancora più tragico. Il viceammiraglio William E. Gortney non ha escluso infatti la possibilità di utilizzare aerei e unità navali per bombardare le presunte postazioni terrestri dei “pirati”. “Se assisteremo ad un assalto”, ha dichiarato, “abbiamo tutto il potere che desideriamo per inseguirli, aprire il fuoco letale e prenderli sotto la nostra custodia”.
Nel dare priorità a quella che è ormai una guerra a tutti gli effetti, l’amministrazione statunitense ha affidato la pianificazione e la direzione delle operazioni della Combinated Task Force 151 all’US Central Command (CENTCOM), il Comando centrale unificato delle forze armate USA con sede nella base aerea MacDill di Tampa, Florida, relegando così in un secondo piano il nuovo Comando per le operazioni Usa in Africa, Africom.
Alla CTF 151 hanno già aderito le marine militari di una ventina di paesi partner degli Stati Uniti. Si tratta di una versione ancora più aggressiva della Task Force 150 attivata nella regione del Golfo Persico nel 2001 dal Comando della 5^ Flotta USA. “Le operazioni della CTF 150 includevano la deterrenza di attività destabilizzanti, come il traffico di droga ed armi”, ha spiegato l’ammiraglio Terry McKnight, comandante della CTF 151. “Con la creazione della Combinated Task Force 151, si darà enfasi alle attività anti-pirateria, mentre la CTF-150 continuerà nei suoi compiti. Le nazioni che non hanno esperienza continueranno ad operare con la CTF-150, mentre le altre offriranno le loro capacità contro I criminali coinvolti in atti in pirateria. Dimostreremo che la Marina degli Stati Uniti non ammette atti criminali nei mari e che vogliamo, come possiamo, garantire accordi commerciali aperti in qualsiasi parte del mondo”.
L’ammiraglio McKnigt ha spiegato che gli Stati Uniti hanno avviato nell’agosto 2008 (due mesi prima, cioè, dall’approvazione delle Nazioni Unite delle risoluzioni che hanno legittimato l’intervento militare in Somalia), un piano d’azione in tre fasi per potenziare le capacità di risposta delle marine militari e delle grandi compagnie di navigazione private contro i tentativi di abbordaggio. “Abbiamo già ottenuto notevoli successi con le prime due tappe del processo e adesso 14 nazioni cooperano con noi”, ha aggiunto il Comandante della CTF-151. “L’industria navale sta avendo un grande impatto. Sta facendo un ottimo lavoro di condivisione per migliorare e velocizzare le misure difensive e prevenire l’abbordaggio sulle proprie navi. Adesso è giunta l’ora di prendere i pirati”.
Ammiraglia della Combinated Task Force 151 è la nave anfibia “USS San Antonio” (LPD-17), in cui sono imbarcati un plotone del 26th Marine Expeditionary Unit del Corpo dei Marines, un distaccamento della polizia militare e personale della Guardia Coste e dei servizi d’intelligence. Nella “San Antonio” sono stati trasferiti dalla portaerei USS Theodore Roosvelt, tre elicotteri HH-60H “Seahawk” per la guerra navale e antisottomarina e un team di specialisti per il pronto intervento e la cura sanitaria di feriti.
In sintonia con le unità della forza multinazionale a guida USA opera la flotta navale dell’Unione Europea EU NAVFOR. Nei giorni scorsi il comandante greco Antonios Papaioannou è stato a bordo della nave ammiraglia statunitense per un summit con l’ammiraglio Terry McKnight. “L’Unione Europea ha ufficiali di collegamento con il mio staff e ci stiamo coordinando a tutti i livelli”, ha dichiarato il comandante della CTF-151. “Stiamo inoltre cooperando con le marine di Gran Bretagna, Pakistan ed Australia. L’Arabia Saudita partecipa con noi nell’organizzazione di questo impegno anti-pirateria. Stiamo equipaggiando ed addestrando gli Emirati Arabi Uniti perché inviino navi ad operare con o dentro la CTF-151. Ci sono poi paesi che si sono attivati autonomamente come Cina e Russia. Gli Stati Uniti stanno comunicando con la Cina attraverso e-mail in codice e con le unità russe grazie ad un ponte radio diretto”.
Il Dipartimento di Stato sigilla la sua egemonia nella pianificazione delle strategie d’intervento politico-militare assumendo la presidenza del Gruppo di Contatto sulla Pirateria (GCP), costituito a New York la scorsa settimana da 24 nazioni (tra cui l’Italia) e 5 organizzazioni internazionali (Segretariato dell’ONU, International Maritime Organization, NATO, Unione Africana e Unione Europea). Anche in questo caso gli obiettivi del Gruppo di Contatto sono prevalentemente di tipo militare, ma non mancano le aspirazioni a sviluppare nuovi meccanismi giuridici per contrastare i tentativi di assalti nelle acque somale.
Il GCP ha formalizzato la costituzione di quattro gruppi di lavoro. il primo è destinato al coordinamento militare, allo scambio d’informazioni e all’istituzione di un centro regionale di comando, e sarà convocato da Gran Bretagna e dall’International Maritime Organization. Il secondo gruppo, coordinato dalla Danimarca, sarà indirizzato all’approfondimento degli aspetti giuridici della pirateria e sarà supportato da UNODC, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro le Droghe ed il Crimine diretto dall’italiano Antonio Maria Costa. Agli Stati Uniti toccherà la guida del terzo gruppo, quello per il “rafforzamento auto-difensivo delle compagnie di navigazione”. Il quarto gruppo di lavoro, coordinato dall’Egitto, s’interesserà invece agli “aspetti diplomatici e di pubblica informazione su tutti gli aspetti della pirateria”.
Al Gruppo di Contatto, oltre ai paesi sopracitati, partecipano l’esautorato Governo di Transizione Nazionale della Somalia, Arabia Saudita, Australia, Cina, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Giappone, Gibuti, Grecia, India, Kenya, Olanda, Oman, Russia, Spagna, Turchia e Yemen. Il Dipartimento di Stato ha inoltre invitato a farne parte Belgio, Norvegia, Portogallo, Svezia e Lega Araba.

22 gennaio 2009
Antonio Mazzeo

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Predator USA contro i pirati della Somalia

Le forze armate statunitensi hanno schierato nel Golfo di Aden i micidiali velivoli senza pilota “Predator” per dare la caccia ai pirati somali. Il comando della nuova flotta navale “Combined Task Force CTF-151”, attivata dal Pentagono nelle acque del Corno d’Africa, ha reso noto che un aereo UAV (Unmanned Aerial Vehicle) è stato trasferito a bordo del cacciatorpediniere lanciamissili USS Mahan, “per contribuire alla sorveglianza marittima e segnalare ogni azione sospetta, rendendo così sempre più efficaci le missioni anti-pirateria”.
“Ciò rappresenta un significativo passo in avanti e riflette la crescita nell’uso dei velivoli senza pilota in tutto lo spettro delle operazioni militari”, ha spiegato il comandante della USS Mahan, Steve Murphy. “Il Predator - ha aggiunto – è un aereo versatile e di pronta risposta, in grado di modificare in volo aree operative e missioni. Può volare segretamente di giorno o di notte e renderà sempre più difficile ai pirati di nascondersi. Le immagini e le informazioni che otterremo ci permetteranno di velocizzare i nostri processi decisionali, assicurandoci un significativo vantaggio tattico nell’azione contro la pirateria”.
Le caratteristiche tecniche del Predator sono lodate da strateghi e aziende produttrici: il velivolo gode di un’autonomia di volo di 40 ore e può volare sino ad un’altezza di 9.000 metri sul livello del mare. Grazie ai sensori ottici e ai sistemi radar di bordo può individuare e fotografare qualsiasi target anche in condizioni di intensa nuvolosità. Ma più che un aereo spia o “d’intelligence”, il Predator, è una vera arma letale da first strike, in grado d’individuare, inseguire ed eliminare l’obiettivo con estrema precisione.
Il velivolo senza pilota è dotato di missili aria-terra AGM-114 Helfire, i quali hanno già causato centinaia di morti nei più recenti teatri di guerra. I primi UAV da combattimento sono stati installati nel novembre 2001 in alcune basi USA in Pakistan ed Uzbekistan per eseguire, in Afghanistan, “omicidi selettivi” di presunti leader di al-Qaeda. L’anno successivo, i velivoli Predator sono stati utilizzati dall’US Air Force per assassinare alcuni militanti radicali islamici che si erano rifugiati in Yemen. L’ultima azione di guerra risale a meno di una decina di giorni fa e ha causato un vero e proprio massacro. Il 23 gennaio, tre giorni dopo l’insediamento come presidente degli States di Obama Barack, due missili lanciati da un Predator hanno ucciso in Pakistan diciassette civili. Secondo la rete televisiva CNN, solo nel 2008 gli attacchi missilistici effettuati da questi aerei nel paese islamico, sarebbero stati una trentina.
Oltre ai Predator, la flotta navale USA anti-pirati ha a disposizione una lunga serie di sofisticati strumenti di morte. Il cacciatorpediniere USS Mahan è dotato dei missili da crociera “Tomahawk” (la versione navale dei Cruise che furono installati a Comiso negli anni ’80) e dei missili anti-nave MK 41. Ci sono poi cannoni, mitragliatori e siluri Mk 32. L’ammiraglia della CTF 151, la nave anfibia San Antonio (LPD 17), ospita tre elicotteri HH-60H “Seahawk” per la guerra navale e antisottomarina, inviati dalla portaerei nucleare USS Theodore Roosvelt, di stanza nel Golfo Persico. L’equipaggio della San Antonio è costituito da personale proveniente dai reparti specializzati di US Navy, Coast Guard e Marine Corps. Tra questi spiccano i cecchini del 26th Marine Expeditionary Unit (MEU), in possesso di fucili ad altissima precisione come l’Mk-11, capaci di colpire un bersaglio distante 1,000 yards (circa 915 metri) e quelli calibro 50 che possono raggiungere le 1,800 yards.
Che il Pentagono stia pianificando in ogni dettaglio un possibile attacco in Corno d’Africa trova conferma da quanto trapelato a Washington. Il quartier generale del Comando congiunto delle forze di guerra degli Stati Uniti di Suffolk-Norfolk (Virginia) è stato sede dal 10 al 15 gennaio 2009 di un’esercitazione militare a cui hanno partecipato alcuni ufficiali del nuovo Comando per le operazioni USA in Africa, Africom, attualmente ospitato a Stoccarda (Germania). Nello specifico, sarebbero stati simulati la mobilitazione e il trasferimento nel continente africano di truppe militari USA per rispondere a tre eventi simultanei: un ciclone che devasta la Tanzania; la minaccia di alcuni “estremisti” di attaccare un gruppo d’ingegneri che lavora alla realizzazione di pozzi d’acqua in Kenya; l’evacuazione dall’Eritrea di cittadini USA e di un paese terzo, per il rischio di un conflitto alla frontiera con l’Etiopia. Elemento chiave della triplice spedizione di guerra in Africa orientale, il Combined Joint Task Force Horn of Africa, la forza di rapido intervento di 2.000 uomini che gli Stati Uniti hanno dislocato nella ex colonia francese di Gibuti.
Si fa intanto ancora più caotico il traffico navale militare nelle acque somale. Oltre alla Combined Task Force 151 USA con cui collaborano 14 nazioni alleate, ad una flotta dell’Unione europea a comando greco (“Operazione Atalanta”) ed alle navi inviate da Cina, Russia ed Iran, starebbero per giungere alcune unità del Giappone. Per aggirare le norme costituzionali che sanciscono il carattere meramente difensivo delle forze armate nazionali, il premier Taro Aso, potrebbe dichiarare lo “stato d’emergenza” per la lotta alla pirateria navale.
Dal porto di Rota-Cadice (Spagna) è invece salpata per la Somalia la fregata Victoria, che dal prossimo mese di aprile assumerà il comando dell'operazione “Atalanta” dell’Unione Europea. Il governo Zapatero sta valutando con attenzione la possibilità d’imbarcare poliziotti di paesi africani sulle navi da guerra spagnole che pattuglieranno le coste somale. Ad essi verrebbe delegato il “trattamento” diretto delle persone catturate durante gli interventi anti-pirateria. Secondo quanto indicato dalla ministra della difesa Carme Chacon, Spagna e altri paesi europei avrebbero avviato contatti con Kenia, Gibuti e Tanzania per ottenere l’autorizzazione a trasferire le persone catturate in alcune prigioni locali. È in fondo quello che gli Stati Uniti hanno fatto con i prigionieri di guerra di Afghanistan e Iraq, deportandoli in massa nel lager di Guantanamo (Cuba).
Il problema di cosa fare con i “pirati” somali è stringente: lo scorso 27 gennaio un elicottero della marina francese ha aperto il fuoco contro i presunti assalitori di una nave battente bandiera maltese in transito nel Golfo di Aden. Il blitz si è concluso con la cattura di 9 persone. Secondo quanto dichiarato dal comando navale francese, negli ultimi mesi le proprie unità avrebbero arrestato 57 pirati. Si sconosce, ad oggi, dove essi siano stati condotti.

2 febbraio 2009
Antonio Mazzeo

http://www.autprol.org/