20/01/2009: Dichiarazione di Antonella Lai al processo in Corte D’appello di Sassari il giorno 19.01.2009


Questa è la dichiarazione che Antonella Lai ha rilasciato presso la Corte D’appello di Sassari nel giorno 19.01.2009,all’inizio dell’udienza d’appello, riguardo l’attentato alla sede elettorale di An, nel marzo 2006, per cui vennero arrestati lei, Paolo Anela e Ivano Fadda.

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Attraverso questa dichiarazione parlerò dei fatti di cui sono accusata. Prima di tutto però occorre una premessa: è necessario che io spieghi chi sono, perché negli ultimi tre anni molto è stato detto, fuori e dentro i tribunali, molto è stato scritto riguardo la mia vita e la mia personalità. E a voi si chiede di giudicare anche sulla base di questo. Ma io credo che nessuno più di me sappia chi sono. Io sono comunista e credo nella rivoluzione. Sono e credo in questo non perché l’abbia imparato sui libri, ma perché ognuno è le esperienze che fa. E io sono stata operaia, studentessa, disoccupata, prigioniera, figlia e nipote di operai, figlia e nipote di antifascisti.
La politica non è per me un passatempo, l’ho sempre vissuta attraverso la forma della protesta e dell’informazione, convinta come sono che l’origine di ogni oppressione sia il silenzio e l’ignoranza. Più volte nel corso di questi tre anni è stata messa in luce la mia assidua frequentazione di ambienti, frettolosamente e confusamente, definiti ora anarchici, ora anarco-comunisti, ora della sinistra extraparlamentare, dando a questa frequentazione un’accezione negativa, come fosse già reato in sé e per sé. Questi, sono ambienti, e ve lo dico io che li ho frequentati, dove si tenta di portare avanti una lotta contro l’ignoranza, la menzogna, l’ingiustizia, la repressione. Sono questi ambienti in cui ho trovato la passione delle idee, l’ostinazione nel portarle avanti, la determinazione e la fantasia nel dare loro voce. Qui non ho trovato la violenza, quella l’ho conosciuta, in tutte le sue forme, in carcere.
E’ infatti tre anni che mi si chiama terrorista, ma devo ancora capire chi, oltre me, è stato terrorizzato. Di scritte murarie ne ho fatte tante in quella e in altre occasioni, ho scritto molti volantini e documenti e fatti molti attacchinaggi. Non ne ho mai fatto mistero e mai li ho rinnegati. In sede di interrogatorio ho specificato di non aver apposto, né di aver mai visto Ivano apporre, alcuna sigla NPC. Se lo avessi fatto, credetemi, l’avrei rivendicato. Perciò non ho, come sostiene l’accusa, ammesso le scritte murarie perché non potevo fare altrimenti, me ne sono assunta la paternità, coinvolgendo in questo anche Ivano, ritenendole una giusta forma di protesta, contro quei signori che, dall’alto dei loro milioni, comprano spazi giganteschi per dirci con arroganza che, loro, sono gli operai. Il mio definire tali scritte una bravata aveva il senso di trovare, nella mia testa, un equilibrio tra la durezza del carcere e l’imbrattamento dei muri. Dice, ora, l’accusa che ho redatto il volantino a sigla NPC. Diceva, prima, che avevo redatto quello a sigla CLS, ora non lo dice più perché un ragazzino di 16 anni ha confessato di aver scopiazzato un brano dei diari in Bolivia di Che Guevara. E se il ragazzino non avesse confessato? La Digos avrebbe ancora sostenuto (come risulta dalle relazioni del signor Fonsi, inviata al Ministero degli Interni), l’esistenza di un'organizzazione a sigla CLS ritenuta il coacervo di tutte le realtà eversive sarde. L’antiterrorismo, la DDAT, non dovrebbe avere la capacità di distinguere la mia personalità da quella di Che Guevara? Eppure hanno dovuto aspettare che glielo rivelasse un ragazzo di 16 anni. L’accusa sostiene con certezza che le intercettazioni in cui si fa riferimento a un documento scritto, siano da attribuire alla redazione del volantino a sigla NPC. Esclude con altrettanta certezza che possano essere relative alla redazione del documento sui fatti di Osposidda, sostenendo che non viene mai pronunciata la parola Osposidda. Vi chiedo di fare attenzione su tre punti:
1) io e Ivano non vivevamo in macchina, e della mostra su Osposidda ne abbiamo parlato in decine di altri luoghi e con altre persone, che non si sono mai volute ascoltare, e mi chiedo il perché.
2) Se, come sostiene l’accusa, le intercettazioni sono parzialmente incomprensibili perché, sapendo di essere intercettati adottavamo un linguaggio criptato, mi chiedo perché mai avremo dovuto parlare in un luogo sicuramente intercettato e perché, invece non avremmo parlato di una falsa mostra di Osposidda al solo scopo di costruire un falso alibi.
3) Chi di voi entrando nella propria auto o nella propria abitazione si preoccupa di specificare con certosina attenzione ciò che tiene in mano, scrive o legge.
L’avvocato della parte civile, per giustificare la contraddizione tra l’accusa di aver costiuito un organizzazione eversiva e l’inesistenza di un atto costitutivo della stessa, sostiene ironicamente che un associazione sovversiva, costituendosi clandestinamente, non possa nella maniera più assoluta, fondarsi con un atto costitutivo presso il notaio. Passi per il notaio, ma nel 1921, clandestinamente, si costituiva il Partito Comunista Italiano con un atto costitutivo meglio conosciuto come “Il Manifesto del Partito Comunista”, attraverso il quale si presentavano pubblicamente e stabilivano i paletti politici, morali e operativi attorno a cui si manifestava poi il loro agire. Ha ragione l’accusa nel dire che questo è un processo pieno di menzogne. Voi siete stati chiamati a decidere chi le sta raccontando. Io ho solo la mia parola. Quella raccontata dall’accusa è una sceneggiatura affascinante, ma non è la mia storia.

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