20/01/2009: Sulla manifestazione del 17 gennaio per la Palestina. Un bilancio positivo e un importante passo avanti verso un nuovo e riqualificato internazionalismo!


La riuscita della straordinaria manifestazione popolare in solidarietà con la Palestina deve farci riflettere seriamente per cogliere gli aspetti positivi che si vanno accumulando ormai dal 9 giugno del 2007 fino allo sciopero generale dello scorso 17 ottobre. Nonostante i limiti delle forze della soggettività di classe, una importante controtendenza sociale e politica continua a manifestarsi ogni volta che ne trova occasione.
La nuova tappa della ormai sessantennale aggressione che lo stato sionista d'Israele ha compiuto, nelle ultime settimane contro il popolo palestinese, al di là della eroica resistenza sul campo messa in atto da Hamas insieme alle altre componenti della resistenza palestinese, non ha visto le piazze occidentali complici o mute verso questa azione di terrorismo statale. Fin dai primi giorni dall'inizio dell'operazione Piombo Fuso, nonostante il periodo natalizio si sono registrate mobilitazioni di vario tipo.
In tutte le principali città europee si sono palesate espressioni di solidarietà e di denuncia della criminale azione israeliana. A Londra, a Parigi, in molti altri centri grandi cortei hanno attraversato le città portando le proteste sotto le sedi governative, gli uffici di rappresentanza diplomatici e commerciali di Israele mettendo sotto accusa l'inanità e gli elementi di connivenza - pur in un quadro generale di competizione globale con gli USA - che l'Unione Europea ha determinato in questi anni nelle relazioni con Israele e con l'insieme dei problemi ascrivibili alla Questione Mediorientale.
A circa un mese dall'inizio dell'offensiva israeliana possiamo positivamente registrare che anche nel nostro paese si è esemplificato un sussulto di sdegno e di protesta. Questo dato non era scontato non solo per il fatto che, al momento, l'Italia è la nazione più allineata e subalterna alle scelte di Israele, non solo per la vigenza del governo Berlusconi ma - soprattutto - per l'attiva presenza di una trasversale lobby sionista che attraversa il mondo politico (opposizione inclusa), il sistema dei media, le istituzioni politiche e universitarie e quelle economiche/commerciali. E' una omologazione subalterna al sionismo che fa apparire, come personaggi filo terroristici anche giornalisti come Michele Santoro i quali si sono, semplicemente, limitati ad evidenziare la plateale sproporzione di morti e distruzioni tra chi si definisce aggredito ed, invece, agisce - dall'inizio del secolo scorso - come aggressore.
In questo contesto abbiamo - felicemente - partecipato e preso atto che tutte le manifestazioni che si sono svolte in Italia (da quelle spontanee nei primi giorni dell'inizio dell'aggressione, a quelle di sabato 3 gennaio ed, in crescendo, fino alla straordinaria manifestazione di sabato 17 gennaio a Roma) hanno espresso una valenza politica la quale, oltre al dato immediato della solidarietà con la Palestina, rappresenta - oggettivamente - un passo in avanti nel delinearsi concreto di una significativa tendenza antimperialistica ed internazionalistica. In tal senso il tema della Questione Palestinese - non da oggi - è l'elemento politicamente centrale, non solo per i pur importanti messaggi simbolici che contiene ma per le chiarificatorie discriminanti politiche che sprigiona quando viene interpretato e declinato fuori da ogni mistificazione politicista o da qualsivoglia illusione antistorica come, ad esempio, il continuare a baloccarsi sull'idea dei "due popoli, due stati".
Questa volta i tanti avvoltoi che, periodicamente, calunniavano e criminalizzavano le manifestazioni che il Forum Palestina, assieme a tanti altri compagni, organizzano da oltre otto anni, hanno dovuto fare i conti con alcuni dati politici e materiali nuovi:

a. In tutte le manifestazioni il pernicioso concetto dell'equidistanza è stato superato da un ampio schieramento in difesa, senza se e senza ma, del popolo palestinese. Solo pochi e sinistri pacifinti, quelli che, ancora una volta, hanno scelto la sede di Assisi per differenziarsi dal popolo della solidarietà vera con la Palestina, continuano ad agitare questa autentica vergogna la quale è stata cancellata dalla Resistenza di Gaza, dalle piazze del mondo arabo e musulmano e da quelle europee. Chi, alla luce delle nefandezze che lo stato d'Israele ha compiuto in queste settimane, ancora prospetterà l'equidistanza tra gli aggressori e gli aggrediti dovrà tenere conto che sarà percepito, dal movimento di lotta e di protesta, come collaborazionista cosciente con le azioni politiche e militari sioniste e dei loro alleati in occidente;

- Nei vari cortei e in numero grandissimo in quello del 17 gennaio a Roma, hanno fatto la loro comparsa, non come singoli individui ma come soggetto collettivo ed agente, le comunità di immigrati e quelle islamiche. In forme autorganizzate, le comunità palestinese e tutte le altre dei principali paesi arabo islamici sono scese in campo a sostegno dei loro fratelli di Gaza con una determinazione forte e con un protagonismo che segnala, anche per la soggettività comunista ed anticapitalistica, compiti politici ed organizzativi inediti. Queste nuove contraddizioni non sono una iattura (come, superficialmente ritengono alcuni compagni, resi attoniti dalle preghiere collettive ai lati dei cortei), bensì sfide teoriche e politiche, sicuramente essenziali, per continuare a svolgere la nostra funzione politica, espansiva e unificante, nei diversi segmenti del nuovo e vecchio proletariato internazionale. Una umanità lavoratrice spalmata globalmente per il pianeta, in forme diversificate, dalle antisociali conseguenze dei cicli di ristrutturazione e della nuova organizzazione del lavoro. Gli uomini e le donne che hanno partecipato ai cortei ed anche quelli che hanno pregato nelle piazze d'Italia sono quei segmenti di nuova composizione di classe che incrociamo, al Nord come al Sud dell'Italia, nei cantieri, nelle fabbriche, nei campi, negli interstizi del lavoro nero, nerissimo ed extralegale e con i quali dovremo, sempre più, confrontarci e relazionarci per costruire, tutti assieme, le forme e le modalità più adatte del conflitto politico e sindacale. La forma di rappresentazione pubblica di questi soggetti - spinta dalla gravità degli avvenimenti di Gaza - già sta rappresentando un motivo di scandalistica esecrazione e di nuovo interventismo statale, normativo e repressivo, in materia di politiche xenofobe e razziste a cui dovremmo opporci risolutamente nei luoghi di lavoro, nelle piazze e nell'intera società.

- La vicenda di Gaza e i suoi prossimi sviluppi comporteranno, probabilmente, un diverso dislocamento sul campo delle forze occidentali (e quindi anche del capitalismo tricolore) le quali, dagli USA all'Unione Europea fino ad alcuni paesi arabi, potranno assumere ruoli di gendarmeria antipalestinese, oltre all'abituale opera di accaparramento di contratti e di commesse commerciali a buon mercato. La riuscita delle manifestazioni di questi giorni sono, comunque, un buon segnale per adeguare e continuare la battaglia a favore del popolo palestinese e di tutti i popoli dell'area connettendola alla mobilitazione internazionale contro la NATO e le basi militari delle prossime settimane.

- All'indomani dell'aggressione israeliana al Libano, nell'estate del 2006, ci siamo opposti, spesso in solitudine, alla missione UNIFIL ritenendola - come i fatti stanno dimostrando - una copertura militare al fronte nord di Israele rispetto agli attacchi della resistenza libanese. Per questo dobbiamo fin da ora denunciare ogni nuovo fattore di presenza militare in Palestina anche quando, come già si sta perpetrando in questi giorni, questo interventismo sarà giustificato come un "compito di pace e di interposizione". Il nostro punto di riferimento per ogni valutazione, non può che essere quello delle forze che sul campo oppongono resistenza al sionismo e alle operazioni colonialiste.

- Per prendere parte alla resistenza in corso contro l'aggressione israeliana al popolo palestinese e agli altri popoli del Medio Oriente, dovremo avviare anche nel nostro paese una grande campagna di boicottaggio e di sanzionamento dal basso di tutti i prodotti economici israeliani, chiedendo la revoca degli accordi militari e delle convenzioni e le relazioni finanziarie-economiche tra le istituzioni italiane (dagli enti locali, alle università, alle aziende..) e le istituzioni israeliane. Dobbiamo attivarci in tutte le possibili azioni di aiuto e di sostegno alle organizzazioni civili e politiche della resistenza popolare palestinese.

- Ma per dare voce, forma ed organizzazione a questa vera e propria campagna politica che proponiamo all'insieme delle organizzazione, dei comitati, dei compagni e degli attivisti, occorre costruire in ogni città sedi politiche di discussione e di promozione di iniziative. In tal senso riteniamo che l'esperienza e le modalità di funzionamento che il Forum Palestina ha dispiegato in questi anni sono un valore aggiunto, che deve e può essere ulteriormente arricchito politicamente, per assicurare quella continuità all'agire collettivo che auspichiamo.

- L'evolversi del corso generale della crisi capitalistica, l'accentuarsi della competizione globale e l'incrudirsi dell'azione neocolonialista occidentale necessitano che nelle metropoli imperialistiche si generalizzino tutte le occasioni di mobilitazione e di sostegno alla Resistenza Globale dei popoli. Dal Medio Oriente, all'America Latina, dall'Asia al cuore dell'Unione Europea fin dentro gli Stati Uniti i comunisti e la variegata opposizione anticapitalistica devono sostanziare e raccordare quella funzione di ponte internazionalista tra i diversi segmenti del proletariato universale. La battaglia di Gaza, la lotta del popolo palestinese e - finalmente - anche le risposte delle piazze occidentali, come quella del 17 gennaio scorso a Roma, costituiscono un incoraggiamento ed un incitamento in tale direzione.

La Rete dei Comunisti
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