18/12/2008: Somalia, la guerra prossima ventura
Ultimo colpo di coda dell’amministrazione Bush. Lo scorso 11 dicembre, l’ambasciatore USA alle Nazioni Unite ha presentato ai paesi membri del Consiglio di Sicurezza una proposta di risoluzione per autorizzare le forze militari internazionali a “prendere tutte le misure necessarie a contrastare la pirateria all’interno del territorio della Somalia”. La proposta, cioè, estenderebbe le odierne operazioni anti-pirateria dalle acque nazionali somale alla terraferma. Secondo quanto dichiarato dal portavoce del Dipartimento di Stato, Sean McCormarck, la necessità di ampliare le opzioni d’intervento militare trova giustificazione nel fatto che “i pirati arrivano da terra” e che pertanto è nel territorio della Somalia che deve essere “centralizzata l’attenzione della comunità internazionale”. Nello specifico, Washington punterebbe alla dislocazione nel paese africano di una forza multinazionale di “peacekeeping”, ovviamente sotto il comando USA, da completare subito dopo il ritiro dalla Somalia del contingente a guida etiope, previsto entro la fine dell’anno.
La risoluzione che legittimerà il piano d’invasione statunitense sarà discussa martedì 16 dicembre in occasione di una speciale sessione ONU sulla crisi somala, a cui sarà presente la Segretaria di Stato, uscente, Condoleezza Rice. L’esito del voto del Consiglio di Sicurezza non è scontato. Sud Africa e Indonesia non condividono pienamente le finalità di una missione che viola sostanzialmente la sovranità nazionale del paese africano. Forte preoccupazione desta poi l’assenza nella bozza di risoluzione di una lista di pre-condizioni che specifichino come e quando le forze occupanti siano autorizzate all’uso della forza contro i “pirati”. Sarebbero pure indeterminate le regole d’ingaggio, esattamente come accaduto con la risoluzione n. 1838 del 7 ottobre 2008 con cui le Nazioni Unite hanno dato il via all’escalation aero-navale nelle acque Golfo di Aden e nel Mar Rosso.
Robert Gates, riconfermato da Barack Obama alla guida del Dipartimento della Difesa, confermando l’intenzione dell’amministrazione USA di attaccare i pirati nelle loro basi terrestri ha tuttavia dichiarato che prima sarà necessario un lavoro d’intelligence per raccogliere le informazioni utili ad intervenire in Somalia. “Con il livello informativo in nostro possesso, oggi non siamo in grado di eseguire un attacco terrestre”, ha dichiarato Gates. “Se noi identificheremo chi sono questi clan che guidano la pirateria, potremo poi operare a terra sotto gli auspici delle Nazioni Unite, cercando di minimizzare i danni collaterali”. Il bombardamento di obiettivi civili rientra pertanto tra le opzioni strategiche elaborate dal Pentagono.
Protagonismo italiano nei piani di guerra USA
Al programma d’intelligence preannunciato dal Segretario alla Difesa, parteciperanno alcuni dei reparti d’élite USA ospitati in Italia, primo fra tutti il “Joint Task Force JTF Aztec Silence”, la forza di pronto intervento e conduzione di missioni d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento (ISR) istituita a Sigonella (Sicilia). Ad “Aztec Silence” sono stati assegnati gli aerei radar P-3C Orion di tre squadroni di pattugliamento aeronavale della Marina statunitense; sono gli stessi velivoli che alla vigilia dell’attacco di Stati Uniti ed Etiopia contro le Corti islamiche somale del gennaio 2007, furono utilizzati per individuare i possibili obiettivi nemici e predisporre i piani per l’offensiva aerea e terrestre. Agli Orion potrebbero essere aggiunti pure i sofisticati velivoli senza pilota “Global Hawk”, la cui installazione a Sigonella è stata segretamente autorizzata - la scorsa primavera - dal governo italiano.
Nel caso di un conflitto in Somalia, un ruolo strategico determinante sarà assunto dai due sottocomandi AFRICOM (il comando per le operazioni in Africa degli Stati Uniti d’America), già attivati in Italia: NAVEUR NAVAF a Napoli, per la direzione di tutte le attività navali nel continente; US Army Africa a Vicenza, per il coordinamento degli interventi delle truppe terrestri. Un eventuale attacco anti-pirati in territorio somalo avrà poi come protagonista la 173^ Brigata Aviotrasportata USA con sede a Camp Ederle (Vicenza), già utilizzato in complesse azioni di guerra in Afghanistan ed Iraq.
C’è però già un ruolo diretto dell’Italia nello scacchiere somalo. La forza navale NATO schierata nelle acque territoriali del paese africano per prevenire (inutilmente) i sequestri di navi cargo è sotto il comando dell’ammiraglio italiano Giovanni Gumiero. E tra le cinque unità che compongono la flotta dell’Alleanza Atlantica c’è pure il cacciatorpediniere italiano “Durand de la Penne”, dotato di sofisticati sistemi lanciamissili e cannoni navali. Le unità hanno un mandato in bianco delle Nazioni Unite per impedire, “con ogni mezzo”, l’azione dei pirati.
Altre sei navi da guerra sono state schierate nelle acque somale dagli Stati Uniti d’America. Ci sono poi fregate canadesi, russe, indiane, pachistane, keniane e di alcuni emirati arabi. L’Unione Europea ha attivato una speciale task force (nome in codice, “Atalanta”), con 6 unità navali, 3 aeri-spia e 1.000 marines di nove paesi membri. Una potenza di fuoco senza precedenti nelle acque del Golfo di Aden, a cui è doveroso aggiungere i circa 2.000 militari di aeronautica, esercito, marina e Corpo dei Marines presenti nella base di Camp Lemonier, Gibuti, la maggiore delle infrastrutture militari realizzate da Washington nel continente africano.
Le agenzie dei pirati operano nel cuore dell’Europa
Le lezioni dell’Afghanistan e dell’Iraq devono aver lasciato un segno profondo se i più alti gradi delle forze armate USA non nascondono i loro dubbio sulle possibilità di successo della lotta terrestre anti-pirati. Qualche giorno prima che la Segreteria di Stato presentasse alle Nazioni Unite la risoluzione per autorizzare l’intervento militare in territorio somalo, il viceammiraglio Bill Gortney, comandante della 5^ Flotta US Navy con sede in Bahrein, ha posto l’accento su alcune questioni di “difficile soluzione” nel caso di un combattimento sul campo. “In un paese come la Somalia, dove non esiste la legge, esiste un forte rischio per qualsiasi delle forze USA che verrà coinvolta, sia che si tratti di un piccolo commando di un’unità operativa di maggiori dimensioni”, ha spiegato Gortney. “È già difficile l’identificazione dei pirati quando le loro azioni si svolgono in mare, dato che le navi utilizzate non sono facilmente distinguibili dai pescherecci. La possibilità di uccidere civili innocenti non può essere sottostimata…”.
Tra le forze armate c’è pure chi non condivide l’equazione “pirati = forze insorgenti = Al Qaeda”, fatta dall’amministrazione Bush. Non sarebbe stato ancora provato qualsivoglia legame tra le bande che assaltano petroliere e navi da crociera e il gruppo islamico “al-Shabab” che controlla buona parte del territorio somalo. Il 25 novembre 2008, lo stesso comandante di Africom, generale William “Kip” Ward, ha dichiarato alla stampa che “quanto a un eventuale legame dei pirati con Al Qaida, si tratta di una preoccupazione condivisa da tutti, ma della quale non vi è alcuna prova”.
Stati Uniti d’America, alleati europei ed africani, le agenzie delle Nazioni Unite che più spingono per un intervento militare in Somalia, sembrano proprio non capire le ragioni politiche, sociali ed economiche che si celano dietro il complesso fenomeno della pirateria in Corno d’Africa. Proprio come nel caso della cosiddetta “lotta alla droga”, si preferisce bombardare villaggi e comunità lasciando impuniti i grandi cartelli che investono nei mercati finanziari i profitti delle attività illegali. Un recentissimo rapporto dell’unità contro-terrorismo del comando della 5^ Flotta US Navy del Bahrein – rivelato dalla stampa araba - sosterrebbe che i pirati somali si appoggiano su una rete logistica, finanziaria e d’intelligence presente in Golfo Persico, Africa Orientale ed Europa. A capo delle operazioni di riciclaggio del denaro proveniente dai sequestri delle navi, ci sarebbe una specie di “ufficio centrale” con sede ad Abu Dhabi ed “agenzie” a Mombasa (Kenya), Pireo (Grecia), Rotterdam (Olanda) e Napoli (Italia). In queste città portuali, “agenti coperti” seguirebbero le attività delle agenzie di navigazione, per poi informare i pirati sul valore del carico dei mercantili diretti nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso.
Abu Dhabi, Kenya, Grecia, Olanda e Italia sono alleati di fiducia degli Stati Uniti d’America ed hanno inviato unità di guerra per combattere la pirateria navale in Somalia. Può essere che non riescano a far di meglio a casa loro?
di Antonio Mazzeo
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Somalia: macché pirati, il pericolo continuano a essere i rifiuti tossici
Milano, 9 dicembre – Si continua a tacere sul traffico di rifiuti tossici in Somalia e la gente continua a morire. È allarme quando viene presa in ostaggio una nave dai pirati, ma è silenzio totale sulle navi che incessantemente si ancorano al largo delle coste della Somalia e scaricano rifiuti tossici. Uno dei primi sospetti di ciò che accadeva in Somalia lo ebbe la giornalista Ilaria Alpi, la quale venne uccisa, assieme a Miran Hrovatin, nel corso di una finta rapina, forse proprio per questa ragione. Ilaria stava infatti indagando sulle attività della Cooperazione italiana in Somalia, sui traffici di armi e sulle connivenze dei servizi segreti, o almeno parte di essi, con personaggi in cerca di affari poco puliti nel Corno d’Africa.
L'ex colonnello somalo Mohamed Nureh Abdulle, residente nella città portuale di Harardere, dove è ancorata la petroliera saudita Sirius Star catturata dai pirati, e consigliere degli anziani della città sulle questioni di sicurezza, ha denunciato alla Bbc lo scarico illegale di rifiuti lungo la costa del Corno d'Africa e le malattie portate alla popolazione siano il vero problema della Somalia.
"La superpetroliera è vicina alla nostra costa - dice Abdulle alla Bbc - è una nave molto, molto lunga. In passato abbiamo avuto i nostri problemi di pirateria in città, ma non negli ultimi tempi. Le persone che hanno sequestrato queste navi nei nostri mari non sono della nostra regione. Noi non conosciamo nessuna delle persone a bordo della superpetroliera e loro non hanno attivato contatti con noi". “Il nostro problema non è la pirateria - sottolinea - , ma lo scarico illegale dei rifiuti. Il mondo conosce questo problema. Gli americani stanno nella regione da tanto tempo ormai. Sanno dell'inquinamento. Invece, il mondo parla solo dei pirati e della spesa che comportano".
"Ci sono stati molti scarichi illegali nel nostro mare, molti rifiuti - continua - vengono scaricati nel nostro mare e arrivano sulle nostre coste, spargendosi poi nella zona. Alcune notti fa sono comparse in mare aperto alcune navi cisterna e, a quanto pare, su di esse si sono create delle fessurazioni, con perdite in mare e nell'aria. Ieri pomeriggio abbiamo avuto le prime persone malate. La gente sta denunciando una strana malattia: ne parla come se si trattasse di varicella, ma non è esattamente come la varicella. Hanno problemi alla pelle, starnutiscono, tossiscono e vomitano. È la prima volta che vediamo una cosa del genere. Queste persone stanno veramente molto male". "Le persone che hanno questi sintomi sono quelle che si alzano presto la mattina, prima che faccia giorno, e portano il loro bestiame al pascolo sulla riva - precisa - ; gli animali stanno male dopo aver bevuto l'acqua, così come le persone che hanno fatto il bagno".
Basta fare una ricerca su Google con le parole “Somalia” “rifiuti” che si trovano 165.000 risultati.
Interessante l’articolo riportato sul sito: www.wikio.it “Secondo Al Jazeera - si legge , che ha intervistato uno dei portavoce dei pirati e ha cercato conferme alle dichiarazioni da parte dei governi, gli atti di pirateria, troverebbero spiegazione, oltre che nell’ovvio obiettivo del denaro, anche nel tentativo di impedire i loschi traffici inerenti i rifiuti tossici, che riguardano il territorio somalo.[…] “I pirati somali hanno accusato le imprese europee di scaricare rifiuti tossici al largo della costa somala e chiedono 8 milioni di dollari di riscatto per restituire una nave ucraina da loro catturata, sostenendo che il denaro andrà utilizzato per la pulizia dei rifiuti. La domanda di riscatto è un mezzo di "reagire al traffico dei rifiuti tossici, il cui smaltimento illegale è effettuato sulle sponde del nostro paese per quasi 20 anni." Lo dice Januna Ali Jama, un portavoce dei pirati. "Le coste somale sono state distrutte, e crediamo che questo denaro non è nulla rispetto alla devastazione che abbiamo visto nei nostri mari". I pirati, hanno sequestrato la MV Faina, una nave ucraina che trasporta carri armati e militari, al largo della Somalia settentrionale della costa. Anche se il denaro è l'obiettivo primario dei sequestri, il continuo degrado ambientale al largo della costa della Somalia è stato ampiamente ignorato dalle regioni della autorità marittime. Ahmedou Ould-Abdallah, l'inviato delle Nazioni Unite per la Somalia, ha confermato ad Al Jazeera che l’organismo ha "informazioni attendibili" secondo le quali società europee e asiatiche hanno scaricato nel mare della Somalia rifiuti tossici e nucleari. Aggiungendo però, "Devo sottolineare però che nessun governo ha approvato tale atto, e che le imprese private e singoli individui che agiscono da soli sono i responsabili". Accuse di scarico di rifiuti tossici, erano state mosse sin dai primi anni 1990. Ma la prova di tali pratiche è letteralmente apparsa sulle spiagge del nord della Somalia, quando lo tsunami del 2004 ha colpito il paese. Le Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) hanno riferito che lo tsunami aveva portato sulle coste parecchi contenitori arrugginiti, colmi di rifiuti tossici. Nick Nuttall, un portavoce dell’UNEP, ha detto ad Al Jazeera che "La Somalia è stata utilizzata come discarica per i rifiuti pericolosi a partire dai primi anni 1990, e continua ad esserlo ancora oggi, attraverso la guerra civile". "Le imprese europee trovano conveniente la Somalia, per liberarsi dei rifiuti, il costo è meno di $ 2,50 per tonnellata, quando i costi di smaltimento dei rifiuti in Europa sono qualcosa come 1.000 $ per tonnellata. Nuttall ha anche detto che, poiché i contenitori sono arrivati in spiaggia, centinaia di residenti si sono ammalati, accusando perdite di sangue dall’addome e dalla bocca, oltre ad infezioni della pelle e altri disturbi. "Noi [l'UNEP] avevamo previsto di fare una più approfondita valutazione scientifica sulla portata del problema. Tuttavia, a causa degli elevati livelli di insicurezza sia in terraferma che al largo della costa somala, non siamo in grado di effettuare una valutazione accurata della reale portata del problema ". Ould-Abdallah sostiene che nonostante tutto, la pratica di eliminare così i rifiuti continua. "Quello che è più allarmante è che le scorie nucleari siano trattate alla stessa maniera degli altri rifiuti. Uranio e altri rifiuti radioattivi che potenzialmente potrebbero causare la morte delle popolazioni somale, causando inoltre la distruzione dell’oceano”.
Rifiuti tossici
Ould-Abdallah ha evidenziato come, approfittando delle condizioni nelle quali versa la Somalia a causa dei 18 anni di guerra civile, le imprese corrompono i ministri del governo somalo per potere eliminare così i propri rifiuti, o per garantirsi licenze e contratti. Ould-Abdallah ha aggiunto che vi sono questioni etiche da considerare perché le imprese stanno negoziando contratti con un governo che è diviso da lotte tribali. "Come si può negoziare questi rapporti con un paese in guerra e con un governo che lotta per rimanere in piedi?" Nel 1992, un contratto per garantire lo scarico di rifiuti tossici è stato fatto tra la Svizzera italiana e le imprese di trasporto marittimo Achair Partners e Progresso, con Nur Osman Elmi, un ex funzionario nominato al governo di Ali Mahdi Mohamed, uno dei molti leader delle milizie coinvolte nelle vicende di Mohamed Siad Barre, l'ex presidente della Somalia
'Mafia: partecipazione allo smaltimento dei rifiuti'
Mustafa Tolba, l'ex direttore esecutivo dell'UNEP, ha dichiarato ad Al Jazeera di avere scoperto che le imprese sono state costituite come società fittizie da grandi imprese industriali che operano nel settore dello smaltimento dei rifiuti pericolosi. La mafia italiana, secondo le stime, controlla il 30 per cento dello smaltimento dei rifiuti pericolosi prodotti nella nazione. Nel 1998, Famiglia Cristiana ha scritto che, sebbene la maggior parte dello smaltimento dei rifiuti in Somalia sia cominciato con l’inizio della guerra civile nel 1991, l'attività era effettivamente iniziata già nel 1989 sotto il governo Barre. Al di là della questione etica di cercare di ottenere un accordo per lo smaltimento di rifiuti pericolosi in un paese instabile come la Somalia, il presunto tentativo da parte delle imprese svizzere e italiane violerebbe i trattati internazionali di cui entrambi i paesi sono firmatari.
Sul sito www.italosomali.org si legge: “il fenomeno è ben lontano dalla sua cessazione o che sia finito. I trafficanti dei veleni continuano ad inquinare criminalmente il suolo e il mare della Somalia, creando danni inestimabili ed incalcolabili alla popolazione, alla fauna, alle acque e all'intero ecosistema. Torniamo sull'argomento e chiediamo a tutti coloro che sappiano qualcosa al riguardo di informarci in modo tale da denunciare pubblicamente il barbaro e criminale sistema dello smaltimento delle porcherie del "mondo civile".
di Cecilia Bergamasco
da http://www.e-gazette.it/index.asp?npu=186
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Era il maggio 2004, quando sul Corriere della Sera il giornalista Alberizzi scriveva: 4 maggio 2004 - Massimo A. Alberizzi: Il contenitore è là, incagliato su una spiaggia infuocata della Somalia centrale. Nessuno vuole avvicinarsi e non è facile convincere la gente, spaventata, ad accompagnarci, a vederlo, toccarlo, fotografarlo. «È pericoloso, contiene materiale tossico. Chi abitava lì intorno è stato male», si difende Abdullahi Aboukar, un pescatore che vive a Igo, minuscolo villaggio sul mare 350 chilometri a Nord di Mogadiscio. Alla fine si convince e ci fa strada. A pochi chilometri di distanza la cisterna arrugginita, cilindrica, 6,40 metri di lunghezza e poco meno di due metri di diametro, sta per essere consumata dalla corrosione, provocata dalla salsedine e dall'azione meccanica delle onde. In questo momento è a sei, sette metri dalla riva, ma quando la marea si alza, l'acqua lo abbraccia e talvolta se lo riporta al largo. «Ma non si allontana, viaggia per un paio d'ore, si sposta qualche decina di metri e poi si incaglia di nuovo sulla battigia», spiega Abdullahi. La crosta più esterna dei contenitore di metallo, sigillato e senza alcuna apertura, viene via e si sbriciola appena si tocca. Cosa contiene questo strano oggetto, nessuno lo sa, ma un rapporto dell’Unep (l'agenzia delle Nazioni Unite per la Protezione dell'Ambiente) sospetta che dentro ci siano rifiuti tossici, forse addirittura radioattivi, provenienti dall'Europa, scaricati illegalmente in mare. Da tempo la Somalia viene indicata come una delle possibili destinazioni di scorie avvelenate. Il Paese dalla fine del 1990 è in uno stato perenne di guerra civile, in mano a bande armate, sempre in lite tra loro, che controllano fette di territorio più o meno grandi. È difficile muoversi e viaggiare: il rischio di essere attaccati è continuo. «Voci insistenti parlano di navi che scaricano rifiuti davanti alle coste somale - dicono dalla sede distaccata dell'Unep a Ginevra - ma nessuno è mai andato a verificare, anche se sappiamo che si rischia una catastrofe ambientale di proporzioni enormi». Maregh è un altro villaggio (una cinquantina di anime) sulla costa a una quindicina di chilometri a nord di Igo. Il vice capo della cooperativa di pescatori la Sosfico (Somali Seafish Company), Abdi Nur, in italiano stentato, denuncia: «Quella che ha visto non è l'unica cisterna incagliata sulla sabbia. A Magad, 90 chilometri a Sud ce ne sono altre due, e, ancora due, ad Adale, 130 chilometri sempre a Sud. Due bidoni più piccoli, dipinti di giallo, si sono insabbiati a Wa Weine, a 100 chilometri a nord di qui». Ma da quelle parti è difficile andare per investigare. La guerra si sente molto di più e gli stranieri sono un ghiotto bottino per le bande di sequestratori impazienti di pretendere un riscatto. […]«Tra l'altro alcuni mesi fa - racconta Ossobleh visibilmente preoccupato - alcuni nomadi hanno trovato a Ragah Elle, un villaggio vicino Adale, non sul mare, ma ad alcuni chilometri dalla costa, un altro di questi enormi fusti. Con l'aiuto della popolazione locale l'hanno seppellito. Ora in quel punto il terreno si sta sollevando come se il cilindro e il suo contenuto micidiale si dilatassero».
Il dottor Abdi Nur, anche lui si chiama così, è l'unico medico in un raggio di 200 chilometri, lavora nel piccolo ospedale modello, organizzato da un'Ong italiana, il Cisp, a El Dehere. Ha studiato all'università di Mogadiscio e parla bene l'italiano: «Purtroppo non sono in grado di fare lavori statistici per bene, ma ho constatato che tra i pescatori di Maregh sono aumentate le malattie del fegato. Non so se il fenomeno sia da collegarsi ai rifiuti tossici, ma certamente c'è qualcosa di anomalo. Le sindromi epatiche sono le prime ad insorgere in caso di contaminazione». Con gli uffici dell'Unep al quartier generale di Nairobi, è impossibile parlare, frasi smozzicate, brevi commenti più improntati sul «non sappiamo niente, investigheremo». Impossibile avere un appuntamento, farsi dare un documento. Ma da Ginevra, un funzionario, che chiede con insistenza di restare anonimo, commenta: «Sappiamo perfettamente che ormai il traffico dei rifiuti tossici è in mano al crimine organizzato. Lo smaltimento a regola d'arte nei Paesi occidentali costa 250 dollari a tonnellata, in Somalia solo 2,5 dollari. Si può immaginare l'ingente guadagno che c'è dietro questo business. Sappiamo di navi che arrivano davanti alle pescosissime coste del Corno d'Africa e scaricano di tutto. I contenitori che si incagliano sulla costa sono una minima parte di quelli che giacciono in fondo al mare. Il pericolo è soprattutto lì. E non si tratta solo di materiale tossico, ma anche di rifiuti radioattivi, quelli delle centrali nucleari, ma anche quelli più semplici degli ospedali».
Nel marzo del 2005 reporterassociati.org scriveva: Il WWF denuncia un capitolo finora poco conosciuto del recente rapporto UNEP sugli effetti ambientali dello tsunami nei diversi paesi: secondo gli esperti l'urto del maremoto ha fatto riaffiorare sulle coste della Somalia ingenti quantità di rifiuti tossici, alcuni dei quali di tipo radioattivo, da tempo sepolti nell'Oceano Indiano e si presume di provenienza principalmente europea. In questi giorni è dunque allarme in Somalia per quello che si può considerare uno dei più tremendi effetti "collaterali" dello tsunami. Che, dopo aver colpito lo sorso dicembre 6 paesi del sud-est asiatico, devastò anche oltre 650 chilometri di costa settentrionale in Somalia, tra Hafun e Garacad, provocando circa 300 morti e oltre 18.000 senza tetto. Secondo il rapporto Unep a seguito del maremoto, infatti, alcune popolazioni della costa settentrionale somala sono state colpite da insolite patologie, facilmente riferibili a gravi fenomeni di inquinamento, come infezioni acute alle vie respiratorie, sanguinamenti dalla bocca, emorragie addominali. Un fenomeno gravissimo che ha spinto pochi giorni dopo un membro del Parlamento somalo, Awad Ahmed Ashra, a lanciare un appello alla comunità internazionale per bonificare l'area dai rifiuti tossici disseppelliti dallo tsunami. "Anche il nostro paese ha delle gravissime responsabilità rispetto a quanto sta accadendo ora in Somalia e deve rispondere alle richieste già avanzate sia dall'UNEP che dai membri del Parlamento somalo di un aiuto internazionale per approfondire le indagini e avviare operazioni di bonifica" ha dichiarato Michele Candotti, Segretario generale del WWF Italia. "Il ruolo svolto da ditte italiane in Somalia nei traffici di rifiuti tossici è tra l'altro ben noto allo stesso Unep, come conferma l' allarme lanciato nel 1992 dal segretario Mustafà Tolba, e ribadito più volte nelle relazioni della stessa Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti. Dopo un lungo silenzio con il maremoto in Somalia è riaffiorata la cattiva coscienza del nostro paese portando con se i drammatici effetti dei traffici illeciti per anni denunciati dagli ambientalisti". Nick Nuttal, portavoce dell'UNEP e successivamente lo stesso parlamentare somalo, ha, infatti, denunciato una diffusa contaminazione da materiale estremamente nocivo, come uranio, mercurio e cadmio, rifiuti ospedalieri e di industrie farmaceutiche contenute in cisterne adagiate sui fondali o appena interrate nella sabbia della battigia, a volte sigillate in maniera del tutto rudimentale, distrutte poi dall'urto violentissimo delle onde provocate dallo tsunami.
Rifiuti verso la Somalia anche dall’Italia. Nel giugno 2007 il sito http://napoli.indymedia.org/ riportava la notizia di rifiuti che dalla Campania facevano rotta sulla Somalia. Secondo la Commissione parlamentare sull'ambiente e le inchieste della magistratura, ogni anno in Italia, su un volume complessivo di oltre 100mila tonnellate di rifiuti, un terzo vengono smaltite attraverso modalità non corrette o del tutto illecite. Nel Sud Italia si concentra la parte più consistente dei reati ambientali, con la Campania a fare la parte del leone...Oltre alle cave, sversatoi privilegiati, tra i clan mafiosi delle province di Caserta e Salerno si è diffusa una nuova e inquietante pratica che consiste nell’ottenere l’autorizzazione alla costruzione di vasche per l’itticoltura e la lombricoltura, da utilizzare invece come discariche per liquami fognari e fanghi industriali. Ma, secondo alcune inchieste presso le Procure di Asti e Roma, la maggior parte dei rifiuti tossici provenienti dall’Italia finirebbe in Somalia. Alcuni testimoni, sentiti dai magistrati nel corso delle inchieste, hanno dichiarato che la cosiddetta "strada dei pozzi" — nota a tutti in Somalia come "strada della cooperazione italiana" — è una strada che non va e non viene da nessuna parte, poiché unisce tre gigantesche discariche abusive. Gli stessi testimoni narrano di lavori di interramento di rifiuti tossici compiuti da operai italiani muniti di apposite tute, ma più spesso affidati a manodopera locale del tutto ignara dei gravi rischi per la salute. È probabilmente legata alla sua attività giornalistica sui traffici di rifiuti tossici e scorie nucleari, l'assassinio della giornalista Rai Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin avvenute in Somalia durante la missione ONU “Restore Hope” nel 1994. Altro luogo "eletto" allo smaltimento illecito dei rifiuti sembra essere il Mozambico, vera e propria discarica mondiale. Secondo un’inchiesta della Direzione distrettuale Antimafia di Milano, in questo Paese opera dal 1996 una società (filiale mozambicana di un gruppo argentino) specializzata nell’installazione di impianti per lo smaltimento di rifiuti di ogni genere. L’impresa ha ottenuto tutte le necessarie autorizzazioni per importare rifiuti da ogni parte del mondo; il problema (documentato) è che non esiste nessun impianto e migliaia di tonnellate di pattumiere di ogni tipo, provenienti da tutti i continenti, giacciono in una enorme discarica a cielo aperto. Le connivenze delle autorità mozambicane sono evidenti.
http://www.autprol.org/