07/12/2008: Lettera dal carcere di Opera (Milano)


Carissime compagne/i,
con la presente vengo a riscontrare la vostra redatta in 12 c.m. ove apprendo dell’avvenuto ricevimento della mia datata 2 c.m.; si ho ricevuto anche l’opuscolo n. 28, settembre-ottobre 2008. Altresì ho ricevuto la lettera del 25 ottobre, ma giunta solo 8 giorni fa circa.
So bene di avere talune idee diverse da quelle di molti di voi, ma siamo uniti dall’ideale di lottare contro le ingiustizie. Mi sento in dovere morale di fare qualcosa per gli oppressi quindi dico: “ci siamo presi la libertà di lottare”. Liberi di esprimere le nostre idee senza che ce lo impediscano.
Ho 39 anni di cui gli ultimi, quasi, 13 anni trascorsi nelle patrie galere. Con voi vorrei analizzare taluni aspetti della tipologia del detenuto.
I detenuti sono una specie che sta proliferando moltissimo e grazie alle miriadi di leggi, da voi ben evidenziate, ci tengono stretti in un angolo. La differenziazione dei vari circuiti o livelli, i vari “premi” o “punizioni” (dal punto di vista di chi giudica) hanno fatto sì che i delatori siano sempre più spesso dietro l’angolo. Si sta costruendo un rapporto di servilismo.
Spesso il peggior nemico del detenuto è sé medesimo. Certo tale realtà si riscontra anche in altri contesti, ma qui ha una marcia in più.
Ritengo che aspirare ad un uscire prima dal carcere con l’applicazione della legge Gozzini e i suoi surrogati, sia cosa saggia, quindi non censuro nessuno. Ma stiamo perdendo la capacità di ergerci contro le angherie fatteci giorno dopo giorno.
Il fattore premiale fa passare la voglia a molti, e così restiamo incastrati dietro questa chimera per cui se fai il “bravo” ti premio, altrimenti ti assumi le conseguenze.
La poca cultura in senso lato fa il resto. Se ogni detenuto avesse quelle capacità tecniche per comprendere abbastanza, le cose sarebbero diverse. I nostri diritti si affermerebbero, almeno in parte.
Siamo una brutta specie in via di proliferazione!
Leggo dello sciopero del 1° dicembre, qui ne ho sentito parlare ben poco anche dai diretti interessati. Se non si costruisce una strategia potrebbe essere un flop. Il problema è mettere d’accordo, più o meno, le migliaia di prigionieri. Pensate a coloro i quali lavorano e con una protesta metterebbero a rischio il proprio posto. Oppure a quelle gocce nell’oceano che vanno in permesso. Cosa faranno? Nulla! Ma non c’è da criticarli. Perderebbero tutto. Il sistema ci sconfigge. Necessita ragionevole strategia. Cervelli che stimolino altri cervelli. Non vorrei essere pessimista, ma bisogna vedere quanto ci sta attorno. Il cambiamento avviene attraverso una dura critica di quello che siamo. L’unica arma è l’informazione. Diffondere quante più notizie.
La vostra presenza è davvero un fondo di luce in queste tenebre.
Detto ciò, vi sono quelli pronti a lottare per migliorare le proprie condizioni e quelle dei propri compagni. Difficilmente potranno strapparci gli ideali, non permetteremo loro che entrino nel nostro cervello.
Sappiate che il direttore di questo istituto è uno di quegli esponenti dei servi segreti carcerari. Figlio d’arte, anche il padre era direttore. Dal suo arrivo in questo isituto ci sono stati 2 suicidi. Cosi succedeva a Sulmona, quand’egli comandava. Compagni questo è davvero un luogo difficile, ma ci impegneremo per fare del nostro meglio affinché avvengano sempre meno soprusi.
Sarei dell’idea di rendere pubblici i nomi degli aguzzini, cioè di coloro che picchiano i detenuti.
Immaginate la loro faccia quando appenderebbero che in tanti sanno i loro nomi. Cosa ne pensate?
Diciamo pure che vi sono molte brave persone che fanno il loro lavoro nel rispetto della persona detenuta.
Voglio raccontarvi cosa vidi quando arrivai in codesto istituto. Maggio 2007, mentre aspettavo nel corridoio della matricola di passare dal magazzino per la perquisizione, entrò un’anziana detenuta, scortata da una agente, che si trascinava con l’ausilio delle stampelle. Appena la vidi mi commossi e per tale ragione voltai il capo da un’altra parte. Fattolo udii un tonfo. L’anziana era a terra. D’istinto mi precipitai in quella direzione e la sollevai. Aveva circa 60 anni, le chiesi se stesse bene e se volesse un bicchier d’acqua. Disse: no, sto bene, Terrorizzata come se temesse chissà quali rappresaglie. Nel frattempo i tutori di quella pericolosissima prigioniera stavano a braccia conserte. Nessuno mosse un dito. Solo un agente venne con una sedia a rotelle per mettendo alla signora di potersi sedere. Poi mi allontanai e non vidi più nulla. L’anziana era caduta da sola, ma le sue parole terrorizzate sollevarono in me un moto di rabbia. Appena vidi una specie di educatore le raccontai l’accaduto dicendole di occuparsi di questi accadimenti, il resto spesso sono stronzate. Lo feci presente al giudice di sorveglianza il quale si inarcò le spalle. Mi sono trovato al cospetto di alcune guardie quando questi hanno una postura intimidatoria e so per certo che costoro non possono insegnarmi nulla. Altro che rieducazione! Qui bisogna educare l’educante! Anche per questo dico: ci siamo presi la libertà di lottare.
Vorrei segnalarvi un sito di un giovane figlio di un ergastolano che porta avanti le lotte civili per i diritti dei detenuti. Vi invito a visitarlo. www.ziacristina.it
Concludo inviandovi un abbraccio a tutte/i voi. Grazie ancora per quanto fate.

25 novembre 2008

http://www.autprol.org/