03/12/2008: Le speranze del popolo palestinese stanno solo nell’azione indipendente del proletariato mediorientale ed internazionale.


Volantino diffuso a Roma in occasione della manifestazione del 29 novembre in solidarietà con il popolo palestinese.

Con l’assedio di Gaza, un milione e mezzo di persone sono costrette a morire di fame e di sete nell’indifferenza generale, con la complicità – tra gli altri - anche del Governo italiano Abu Mazen prova ad approfittare del braccio di ferro tra Israele e Hamas per attuare un colpo di Stato che induca il Consiglio centrale dell’OLP a proclamarlo “presidente della Palestina” e convocando elezioni anticipate. La sua politica conferma la attuale natura coerentemente collaborazionista del partito che fu di Arafat, una tendenza alla mediazione tra gli interessi nazionali palestinesi e quelli delle potenze imperialistiche che si è rafforzata dopo i criminali accordi di Oslo. Espressione degli interessi della grande borghesia palestinese, economicamente e finanziariamente tutt’altro che marginale nei paesi arabi ma priva di una propria base territoriale, tale politica mira a ritagliare una entità statale palestinese all'interno degli attuali assetti imperialistici, senza metterli in discussione, e quindi di fatto tradendo la causa del popolo palestinese.

La complessa situazione all'interno di Israele è segnata da:
• una forte crisi di regime e dei partiti tradizionali, ulteriormente inasprita dagli scandali che hanno pesantemente screditato la classe politica (come nel caso di Katzav, ex presidente, e di Olmert, Primo Ministro, anche se per poco tempo ancora);
• una forte crisi sociale, che non potendo che acuirsi sotto i colpi di quella internazionale, condizionerà pesantemente l’economia israeliana, che è una economia di guerra;
• la crisi egemonica economica e militare dell'alleato statunitense, che negli ultimi anni ha avuto sullo stato sionista una pesante ricaduta, come ha dimostrato la sconfitta di Tsahal nella guerra dei 33 giorni in Libano durante l’estate 2006.

Questi fattori spingono oggettivamente verso un'ulteriore svolta a destra della situazione israeliana, svolta della quale approfitteranno sicuramente i falchi sionisti. Costoro, sfruttando a proprio vantaggio il processo di disgregazione sociale e politica, utilizzeranno più efficacemente l’insicurezza derivante dalla conflittualità con i paesi vicini (Iran, Siria) e la stessa “questione palestinese” per rafforzare il clima di unità nazionale e scaricare sulle spalle dei popoli oppressi della regione e sul groppone delle proprie classi subalterne (israeliani arabi e proletariato israeliano) il costo della crisi attuale, una crisi aggravata dal fatto che il sionismo è di per sé economia di crisi e di guerra.

Ancora una volta emerge con chiarezza che il popolo palestinese e i popoli della regione mediorientale non possono aspettarsi nulla di buono: né dalle proprie direzioni politiche, disposte a svendere la legittima aspirazione all’autodeterminazione di un intero popolo; né dalla recente vittoria di Obama che, sebbene chiuda il periodo neocon statunitense, non vuole (e per la natura degli interessi che rappresenta non può) cambiare rotta nei confronti del problema palestinese; né dalle mediazioni dell'Unione Europea che se, da un lato, ha sostenuto “criticamente” l’assedio di Gaza, dall'altro, ha occupato il Libano. Gli Europei, seppure seguendo una linea d'intervento diversa da quella statunitense (in quanto diversi sono gli interessi che li legano alla periferia del Mediterraneo - come dimostra p. es. il progetto Euromed/Unione) non intendono affatto rompere, anzi intensificano, i rapporti economici e politici con Israele.

Su un altro fronte, i piani di pace dei paesi arabi, siano essi egiziani o sauditi, facendo più o meno leva sull’OLP o trattando direttamente con Hamas, mirano al raggiungimento di un compromesso con Israele sulla questione di Gerusalemme e dei territori occupati dopo il '67.

Un compromesso che, lungi dal garantire una reale indipendenza politica al popolo palestinese, e lungi dal costituire una soluzione dei problemi strutturali di questo popolo e dei suoi rifugiati, condurrebbe in un vicolo cieco la lotta democratica di liberazione nazionale, come è successo negli anni che vanno dagli accordi di Oslo alla fine della prima guerra del Golfo, fino alla salutare esplosione della seconda Intifada nel 2000. Un compromesso con la funzione obiettiva di “tappo” della lotta, e di disinnesco dell'esplosiva rabbia popolare del mondo arabo suscitata dalla questione palestinese.

Come arrivare dunque alla soluzione del conflitto araboisraeliano e alla liberazione del popolo palestinese dal giogo dell’oppressione nazionale?

La soluzione apparentemente più semplice e a portata di mano, quella che passerebbe per la diplomazia delle grandi potenze (o del loro strumento, l’ONU), è dunque in realtà – quand’anche fosse portata a termine, e siamo ben lontani una “non soluzione”. Essa porterebbe diritto diritto alla creazione di uno staterello bantustan, privo di reale ed effettiva indipendenza politica, buono al più per gli interessi della borghesia palestinese (e accettabile per quella israeliana) ma pessima per proletari e contadini palestinesi, che manterrebbero sulle proprie spalle l’enorme peso del doppio fardello dell’oppressione nazionale e di quella di classe.

L’unica soluzione possibile passa, invece, per la lotta politica indipendente dei proletari e contadini palestinesi e israeliani, una lotta liberata dalla sudditanza agli interessi delle proprie borghesie collaborazioniste con l’imperialismo, una lotta che li veda schierati su un unico fronte per una Palestina unica e laica.

La soluzione del conflitto arabo-israeliano non può che passare infatti attraverso lo scontro diretto con l’imperialismo USA e gli imperialismi europei, principali responsabili dei conflitti nella regione, e l’opposizione intransigente al sionismo, agente e complice del mantenimento del giogo imperialista nella regione. Questa battaglia del proletariato e del popolo palestinese, non può prescindere dall'intervento diretto dell’avanguardia operaia e giovanile israeliana, che già negli anni '70 e nella prima guerra del Libano dell'82 aveva saputo contrastare la propria borghesia. Senza un'opposizione ferma e incondizionata alla propria borghesia, ai carcerieri dei popoli oppressi della regione, i lavoratori israeliani saranno condannati a farsi complici dei crimini perpetrati da essa, a perpetrare le condizioni dello sfruttamento cui essi stessi sono sottoposti, e infine – vista la situazione di guerra permanente in cui sono costretti a vivere - a farsi carne da cannone per gli interessi dell’imperialismo.

Nelle metropoli imperialiste, e dunque anche da noi in Italia, il compito più urgente di tutte le forze che dichiarano di essere solidali con i popoli oppressi e di voler opporsi in Italia alla politica anti-operaia e imperialista del proprio governo, a cominciare dal sindacalismo di base e dalla sinistra antagonista, dovrebbe essere quello di creare un fronte politico unito che si schieri incondizionatamente a fianco delle resistenze contro l’imperialismo e il sionismo. È l'unico modo per rafforzare le posizioni di chi intende lottare, assieme al proletariato e alle classe subalterne della regione, per l’effettiva liberazione nazionale e sociale. Il fondamentalismo religioso, ebreo o islamico, è il prodotto delle sconfitte dei proletariati e dei popoli della regione a tutto vantaggio dell’imperialismo, e non il contrario.

• Contro l’imperialismo USA ed europeo, le occupazioni militari ONU e il sionismo!

• Contro la falsa soluzione dei “due popoli due stati”, che mantiene la doppia oppressione nazionale e di classe.

• A fianco delle resistenze, per una Palestina unica, operaia, contadina e socialista, nella quale possano vivere in pace i lavoratori arabi ed ebrei!

2008-11-25

collcomunista.viaefeso@yahoo.it

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