07/11/2008: A chi è rivolto il gentile invito di Maurizio Sacconi? E, soprattutto, come rispondergli?


Alle proteste il ministro ha risposto a mezza bocca, ma il "vaffanculo", anche se pronunciato a bassa voce, rubato e amplificato dai microfoni accesi, è stato netto. Sacconi, che dal palco aveva invitato i presenti e la stampa a non interpretare il suo labiale, negando di aver mai detto "quella parola", di fronte alle insistenze dei giornalisti che gli dicevano di aver udito chiaramente il suo commento ha detto: "Può darsi che l'abbia pensata". Di fronte alle insistenze dei presenti, Sacconi si è lasciato andare ad una mezza ammissione. "Dipende da e a chi era rivolto", ha risposto.
Da “La Repubblica” del 21 giugno 2008

Dopo Tremonti, Maroni, Brunetta, Gelmini un altro giannizzero di Berlusconi in primo piano, attivo e innovativo nel delineare l’ennesimo progetto di attacco ai lavoratori e alle lavoratrici.
È la volta del prode Sacconi (postsocialista e postcigiellino), ministro del lavoro altrui e del welfare proprio, che dopo aver contribuito al massacro dell’Alitalia e dei suoi lavoratori, si sta applicando al diritto di sciopero, essenzialmente nel settore dei pubblici servizi.
Ma diamogli tempo…
Come si sa la materia è stata abbondantemente “regolamentata” negli ultimi decenni, a partire dalla legge 146 del 12 giugno del 1990 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero), modificata, in peggio, dalla 83 dell'11 aprile 2000.
Già questi provvedimenti limitavano fortemente l’esercizio dello sciopero dettando una miriade di norme sul preavviso, sulle procedure di raffreddamento e di conciliazione da esperire prima della proclamazione dello sciopero, sui periodi di intervallo minimo da osservare tra uno sciopero e l’altro, ecc. Una gabbia tesa, più che a tutelare i cittadini utenti dei servizi, a vanificare l’arma dello sciopero per i lavoratori. Una gabbia rifinita dai “sinistri” D’Alema e Bassanini.
Ma tutto ciò al buon Sacconi non bastava e allora nel prossimo DDL sulla materia saranno introdotti nuovi vincoli all’effettuazione degli scioperi.

Vediamo i capisaldi del provvedimento, almeno a quanto se ne sa oggi:
- l'obbligatorietà di un referendum consultivo-preventivo in occasione di ogni sciopero e dell'adesione del singolo lavoratore alla protesta.
Si tratta, con tutta evidenza, di un tentativo di allungare a dismisura i tempi necessari ad organizzare uno sciopero (si propone, si organizza il referendum, si vota, si fa lo scrutinio e poi?), di favorire il controllo burocratico sui lavoratori stessi (chi gestirà i referendum? Chi controllerà i controllori?), di esporre i lavoratori ad ogni forma di pressione e di impedire ai sindacati non istituzionali o a comitati spontanei di proclamare scioperi.
Non a caso il ministro dichiara di voler: “tutelare le organizzazioni confederali maggiori rispetto alla concorrenza SLEALE delle organizzazioni meno rappresentative”. È sin troppo evidente che a molti, troppi, dirigenti sindacali concertativi la cosa non può che fare piacere;

- l'intervallo tra gli scioperi dovrà essere “più robusto e garantito”. Robusto quanto? Un mese, due mesi, sei mesi…? Che efficacia potranno avere gli scioperi debilitati nella proclamazione dalle procedure referendarie e ridotti a iniziative assolutamente sporadiche?

- si favorirà il ricorso allo sciopero virtuale. "Si può fare - spiega Sacconi - ad esempio con un fazzoletto al braccio per dire che io sono in uno stato di agitazione, perdo il salario e però il mio datore di lavoro paga una cifra congrua per ogni lavoratore che si astiene virtualmente dal lavoro". In questo modo "la controparte paga ugualmente" e queste risorse "vanno in un fondo solidaristico", evitando "l'interruzione del servizio ma legittimamente manifestando un disagio". Qui siamo al grottesco: il lavoratore lavora, l’azienda non lo paga e i suoi soldi vanno a finire non si sa dove. Nei fondi sub-prime? E a favore di quale solidarietà? Quella per gli speculatori che maneggiano i soldi dei lavoratori, come è già avvenuto per i fondi pensione?

- le sanzioni per infrazioni alle procedure saranno affidate ai prefetti, perché, a detta di Sacconi, in questo modo verranno “effettivamente applicate", visto che spesso sono "di poca misura e poco applicate". Attualmente spetta alla Commissione di Garanzia sull'esercizio del diritto di sciopero nelle pubbliche amministrazioni esprimersi in merito alle sanzioni, per poi affidare al datore di lavoro l'applicazione, che però procede ad imporle "quando il conflitto si è esaurito e di solito non lo fa mai". A parte il fatto che non è vero e che già ora la Commissione di Garanzia è sin troppo operosa e zelante, si imbocca la strada della penalizzazione e si rivaluta, alla faccia dell'antistatalismo a corrente alternata dell'attuale governo, la figura del Prefetto di Ferro di mussoliniana memoria per chi pretende di esercitare liberamente il diritto di sciopero senza sottomettersi alle imposizioni. A quando la galera?
Che cosa rimane da dire? Siamo evidentemente di fronte ad un altro pesantissimo attacco ai diritti e alle condizioni dei lavoratori, giustificato dal falso presupposto che ci siano due categorie separate e contrapposte, da un lato lavoratori e dall’altro “cittadini” utenti di servizi danneggiati dagli scioperi.
Falso perché la categoria è una sola: siamo lavoratori e utenti di servizi, costretti a scioperare per difendere le nostre condizioni salariali, di lavoro e di vita e dunque impegnati a migliorare quei pubblici servizi che i brunetta, i tremonti, le gelmini e i sacconi di turno vogliono tagliare e peggiorare. Basta pensare, a questo proposito, alla situazione dei trasporti su ferrovia che, grazie all'annichilimento della possibilità di azione dei lavoratori hanno visto degradare il servizio e le condizioni di sicurezza per lavoratori e passeggeri con, come conseguenza, incidenti gravissimi come la strage di Crevalcore.
Infine, lo scioperare non è una gentile concessione della controparte, è un’arma fondamentale dei lavoratori che, in quanto conflittuale, non può essere regolamentata da leggi o decreti di sorta.
E’ un diritto naturale di chi vende la propria forza-lavoro a condizioni di rapina.
E’ un’espressione storica delle lotte del movimento dei lavoratori.
E’ una necessità, non un divertimento dei “fannulloni”, ma questo Sacconi e i sindacati consociativi che gli fanno da sponda lo sanno benissimo.
Cerchiamo di ricordarlo anche noi!

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