05/11/2008: La festa é finita (note sulla crisi)


Tenteremo, nei limiti delle nostre possibilità, di offrire una, non esaustiva, delucidazione sull’attuale crisi finanziaria, che non tarderà a ripercuotersi nel nostro Paese.
Qualcosa lo abbiamo capito: le banche non si prestano più denaro fra loro. Questione di sfiducia reciproca. Nonostante la liquidità, questa non viene fatta circolare, provocando il fallimento dei più malconci istituti di credito. Quelli meno esposti, invece, trattengono i propri capitali, negando credito alle imprese od erogandolo a tassi elevati.
E’ stato anche affermato, che il crack finanziario globale, sia derivato dall’insolvenza dei mutui sub-prime (1), cioè dal mancato pagamento dei ratei immobiliari concessi a soggetti economicamente non affidabili.
Cerchiamo di dare alcune parziali spiegazioni.

Pur essendo veritiera la sottoscrizione dei sub-prime da parte di persone che mai avrebbero potuto permettersi l’acquisto di immobili o che in altri contesti, mai avrebbero avuto accesso al credito, sarebbe azzardato pensare, che l’attuale strangolamento dei mercati finanziari, sia prodotto esclusivamente dal mancato pagamento di tali “cattivi mutui”.
Qualcuno, giustamente, si chiederà: perché prestare soldi a dei possibili insolventi? Occorre, a questo punto, tornare indietro di qualche anno, quando le banche avevano dei limiti operativi ristetti alle loro azioni. Se un istituto, ad esempio, aveva 10 miliardi di capitale, poteva prestare od impegnarsi per 100 miliardi. Successivamente sono state adottate nuove regole: non tutti i prestiti od impegni hanno lo stesso rischio e si è “dimostrato” (loro stesse) che, statisticamente, tale rischio poteva essere sostenibile, quindi i 100 miliardi potevano essere aumentati. Molti degli impegni erano costituiti da titoli fuori mercato, difficilmente valutabili, ma a sostenere le valutazioni positive sugli istituti di credito (quindi sulla loro affidabilità), ci hanno pensato le agenzie di rating (2).
I cittadini, ammaliati dai facili guadagni, sono caduti nella trappola. Le banche, come un qualsiasi venditore, hanno attratto sempre più clientela, per proporre i più svariati prodotti, compresi cosiddetti i titoli "salsiccia", dove dentro ci sta di tutto, ma nessuno sa cosa contengano. Si è venuto a creare il grande e complicato mercato dei derivati (3) basato sul debito ipotecario, ma anche su altre fonti trasformate in beni commerciabili venduti sotto svariate forme ( infatti, le banche ed i creditori, di questi prestiti avevano venduto i debiti ad altri investitori, trasformandoli in azioni ) che a loro volta, necessitando di protezione, hanno coinvolto il mercato delle assicurazioni. Un castello di carte basato sul nulla. Ce lo spiega chiaramente W. Hutton sul “The Observer”: <<…questo mercato nei derivati del credito è cresciuto in modo esplosivo…( grazie ) all’impacchettamento dei guadagni provenienti da una grande varietà di fonti e la successiva vendita come obbligazioni (4) da commerciare tra le banche. In parole povere queste obbligazioni sono rischiose, perciò i mercati hanno “inventato” un sistema di assicurazioni. L’acquirente di una obbligazione può acquistare quello che è di fatto un contratto assicurativo che lo proteggerà contro l’insolvenza…ma a differenza dell’assicurazione, ad esempio della macchina, questi contratti possono essere venduti o comprati. Complessi modelli matematici vengono usati per stabilire il grado di rischio e paragonarlo a prezzi di mercato…gli hedge funds (5) speculano su questo mercato… >>.
Sarebbe complicato addentrarci ulteriormente nella materia, basti accennare al fatto che le banche molto spesso sapevano che i debitori non potevano onorare i loro impegni, ma intanto facevano girare ugualmente la giostra, intascando le commissioni, ottenendo dai governi provvidenze fiscali, la possibilità di rinegoziazioni…; in parole povere, il “sistema debito” ha mosso l’economia mondiale. (Per inciso, alcune banche centrali nazionali, come la FED statunitense e la Banca d’Italia, hanno nella loro partecipazione azionaria alcuni istituti di credito, che dovrebbero controllare la quantità di credito che quelli dovrebbero erogare!).
Abbiamo, a questo punto, indicato un percorso: per ben comprendere la crisi attuale, non possiamo non fare a meno di indicare nella finanziarizzazione una forma sui generis di economia capitalista, mutata rispetto a quella industriale. Da ciò non è stata esente l’Italia, dove un capitalismo accattone, ha cercato sostegno nella rendita finanziaria, immobiliare, oltre che nell’aiuto di Stato.
La nostra analisi, tuttavia, sarebbe incompleta, se non cercassimo di comprendere quello che riteniamo il fallimento di un sistema. Un sistema instabile e deleterio per la maggioranza dei cittadini: perché al servizio degli interessi dei privilegiati e dei potenti; perché immagina ogni forma di vita come merce; perché privatizza e liberalizza quanti più settori della società gli sia possibile; perché distrugge le risorse naturali e precarizza il lavoro, rendendolo in ogni senso sempre più insicuro; perché nella finta compartecipazione pubblico-privato, esiste un solo potere, quello fagocitatore derivato dal capitale. Un sistema dove, purtroppo, ceti medi ed “aristocrazia qualificata” sono l’asse integrato e portante. Un sistema economico che può essere spietatamente produttivo, ma dai meccanismi complicati, che possono sfuggire completamente al controllo, come dimostrano le crisi degli ultimi anni: nel '94 la crisi messicana, nel '97 quella asiatica, nel 2001 quella dovuta alla “new economy”, fino ad arrivare a quella odierna, sicuramente la più pesante.

Veniamo ora, al nocciolo della questione. La speculazione degli ultimi anni nasce, fondamentalmente, da una difficoltà: l’impossibilità a vendere merci, causa la sovrapproduzione. Mancando la domanda, necessariamente ne risente l’offerta. Il sistema capitalista deve produrre, deve ricercare comunque il profitto e quest’ultimo, deve essere sempre più consistente. A nulla valgono le riduzioni dei prezzi, quando in contemporanea si hanno compressioni salariali e precarizzazioni dei rapporti di lavoro. La stessa “saturazione dei mercati”, non trovando ulteriori sbocchi, ha indotto il trasferimento dei capitali sui mercati finanziari, con la speranza di recuperare tramite le Borse, ciò che non è stato possibile produrre nelle fabbriche. Non per finanziare le imprese, ma per accrescere la rendita non più generata dalle stesse. Non dobbiamo credere, quindi, alle falsità sulla "finanza cattiva" che si divora il capitalismo buono e produttivo, come ci vanno ripetendo certi settori politico/economici. Il ricorso all’indebitamento sistematico e generalizzato, è stato loro utile per produrre comunque profitto, anche se alla lunga ha dimostrato essere solo un palliativo. La concorrenza intercapitalista, le ondate di licenziamenti, l’aumento dei poveri, ha riportato l’economia virtuale alla realtà, ripercuotendosi sulla cosiddetta economia reale: sulla produzione, sui salari, sui consumi. In attesa della crisi delle carte di credito.
Il sistema economico ha sempre più difficoltà a far fronte all’offerta di lavoro, tanto che, nonostante il massiccio ricorso ai contratti atipici, non è risultato risolutivo a contrastare la competitività sul mercato globale, sia in termini di prezzi, che di salari. Competere, ad esempio, con paesi come Cina ed India, ha significato comprimere retribuzioni ed aumentare l’orario di lavoro, ma per società quotate in Borsa questo non può bastare. Occorre destabilizzare ulteriormente ogni rigidità del lavoro, le esigenze degli azionisti sono prioritarie, ne potrebbero sempre chiedere conto. Rendere conto agli azionisti, significa anche frazionare le catene di produzione, delocalizzare, effettuare fusioni, acquisizioni, dismettere rami d’azienda, subappaltare, perfino utilizzare licenziamenti per convenienze di Borsa. Ricordiamo, che tutte le possibilità sopra menzionate, molto spesso, producono un rialzo azionario, perciò un aumento di profitti, che non è quindi derivato direttamente dalla produzione aziendale.
In tale contesto, i rapporti di forza tra capitale e lavoro, risultano sbilanciati a favore del primo, che trova alleati in politici, sindacati, nel mondo della formazione, della scuola, delle politiche del lavoro, tutti uniformemente compatti nel considerare naturali i cambiamenti in atto, tanto da farsi difensori dei soggetti economico/finanziari e dell’espansione selvaggia e anarchica di mercato. Salvo poi ripensamenti e richieste di regolarizzazioni in momenti di crisi come l’attuale, quando i tassi di profitto naufragano: allora si tratta di difendere l’intervento statalista e le politiche protezioniste, naturalmente a scapito del cittadino bue.

Per concludere, citiamo alcuni dati. Vendite FIAT nei primi otto mesi del 2008, - 4%; Magneti Marelli di Sulmona, chiesta cigs per 100 dipendenti; alla Eaton (componentistica auto), chiesta per 350 la cigs; fallimento della Stampal (stampaggi per auto); Cnh (gruppo fiat), 682 in cigs; alla Merloni (elettrodomestici) 3000 in cigs; 180 dipendenti perderanno il lavoro per la chiusura dello stabilimento Olivetti di Agliè; 450 cigs alla Lucchini di Piombino; rischio posto per 290 alla Lames (componenti automobili); 365 esuberi per La Perla (lingerie); alla Ratti 567 cigs; per la Confapi (associazione piccola impresa) sono a rischio 150.000 posti di lavoro. I soldi per la cassa integrazione stanno finendo, mentre è aumentata del 24,21% in tutta Italia. I consumi, anche alimentari, sono in costante diminuzione. Così come stanno perdendo i Fondi Pensione, tanto pubblicizzati nei scorsi mesi.

“Quando il meccanismo si inceppa da qualche parte (riferimento Parmalat, ndr), per mancanza di plus-valore in grado di remunerare il capitale, scoppia, sì, uno scandalo, ma il sistema nel suo insieme continua imperterrito a macinare capitali, aziende, banche, risparmiatori. All’atto dell’incidente tutti si scoprono assetati di regole e leggi, che valgono lì per lì solo per il capitalista fesso che ha fatto lo scivolone, mentre per tutti quanti gli altri, il mondo continua a girare come prima. Il colpevole non si troverà, semplicemente perché non c’è, sarebbe come portare in tribunale il capitalismo, cosa ovviamente assurda”. da: n+1 n.13


Legenda: da Wikipedia

1) I sub-prime, sono quei prestiti che vengono concessi ad un soggetto che non può accedere ai tassi di interesse di mercato. I prestiti sub-prime sono rischiosi sia per i creditori sia per i debitori, vista la pericolosa combinazione di alti tassi di interesse, cattiva storia creditizia e situazioni finanziarie poco chiare, associate a coloro che hanno accesso a questo tipo di credito.

2) Il rating è un metodo utilizzato per classificare sia i titoli obbligazionari che le imprese in base alla loro rischiosità. Viene espresso attraverso un voto in lettere, in base al quale il mercato stabilisce un premio per il rischio da richiedere all'azienda per accettare quel determinato investimento. Scendendo nel rating aumenta il premio per il rischio richiesto. I rating sono periodicamente pubblicati da agenzie specializzate, che possono avere un potenziale conflitto quando, le medesime, svolgono anche attività di banca di investimenti. In tal caso il rating potrebbe essere strumentalizzato nell'interesse della banca ovvero dei clienti per attività speculative in Borsa. Un declassamento del rating di aziende o soggetti pubblici particolarmente indebitati, ha la conseguenza a breve termine di provocare un rialzo degli interessi applicati ai prestiti in corso, e quindi un aumento degli oneri finanziari. Il debitore potrebbe cedere beni immobili e mobili di sua proprietà a prezzi di realizzo, per evitare un peggioramento del rating. Non raramente, la maggior fonte di finanziamento dei costosi studi che portano a valutare il rating, sono le stesse società emittenti oggetto dell'indagine o singoli investitori con molta liquidità. In questi casi, è evidente un conflitto d'interessi.

3) In finanza, uno strumento derivato è considerato ogni titolo il cui valore è basato sul valore di mercato di altri beni (azioni, indici, valute, tassi ecc.). I titoli derivati hanno raggiunto solo recentemente una diffusione enorme nel mondo grazie alla globalizzazione dei mercati ed alla contestuale introduzione dei computer per la trasmissione degli ordini. Esistono derivati strutturati per ogni esigenza e basati su qualsiasi variabile, perfino la quantità di neve caduta in una determinata zona. Le variabili alla base dei titoli derivati sono dette attività sottostanti e possono avere diversa natura; possono essere un'azione, un'obbligazione, un indice, una commodity come il petrolio o anche un altro derivato. I derivati sono oggetto di contrattazione in molti mercati, ma soprattutto all'over the counter, mercati alternativi alle borse vere e proprie creati da istituzioni finanziarie e da professionisti tramite reti telefoniche. Tali mercati di solito non sono regolamentati.

4) L'obbligazione (spesso chiamata con il termine inglese bond) è un titolo di credito emesso da società o enti pubblici che attribuisce al possessore il diritto al rimborso del capitale più un interesse. Lo scopo di un'emissione obbligazionaria (o prestito obbligazionario) è il reperimento di liquidità. Di solito, il rimborso del capitale avviene alla scadenza al valore nominale e in un'unica soluzione, mentre gli interessi sono liquidati periodicamente (trimestralmente, semestralmente o annualmente). L'interesse corrisposto periodicamente è detto cedola perché in passato per riscuoterlo si doveva staccare il tagliando numerato unito al certificato che rappresentava l'obbligazione.

5) I fondi hedge (in inglese hedge funds) detti anche in italiano fondi speculativi, nascono negli Stati Uniti negli anni '50. Si caratterizzano per: l'utilizzo di tecniche e strumenti di gestione avanzati, spesso non adottabili dai fondi comuni (o direzionali) per motivi regolamentari; la struttura commissionale, basata su una commissione di gestione annua ed una commissione di performance (tipicamente rispettivamente pari a 2% e 20%); l'investimento nel fondo hedge di una quota rilevante di capitale da parte dei gestori. I fondi hedge hanno l'obiettivo di produrre rendimenti costanti nel tempo, con una bassa correlazione rispetto ai mercati di riferimento, attraverso però investimenti singolarmente ad alto rischio, ma con possibilità di ritorni molto fruttuosi.

Luciano Di Gregorio
RdB-CUB P.I.

rdbcub@provincia.roma.it

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