05/10/2008: Esercitazione a Quirra


In questi giorni, tra gli aeroporti militari di Decimomannu ed Elmas e il poligono di Quirra é in corso un'imponente esercitazione NATO, che porta il nome sinistro e pomposo di Trial Imperial Hammer (suona tipo "prove del martello imperiale") e coinvolge 1.300 militari di 15 nazioni e 10 organizzazioni NATO (vedi articolo della nuova in allegato).
L'esercitazione ha come tema (sic) la "guerra al terrorismo", che nel linguaggio di questa gente significa occupazione militare di paesi stranieri e strategia controinsurrezionale.
Si apprende infatti dai comunicati dei militari che ci si addestra per difendersi dalle mine che le guerriglie piazzano sul cammino dei convogli dei soldati invasori in irak e Afghanistan. Il sistema di difesa é basato sull'emissione di impulsi elettromagnetici di estrema intensità (e nocività) che dovrebbero disturbare gli inneschi e impedire l'esplosione degli ordigni.
Dispositivi simili a quelli made in USA montati sui veicoli blindati Pandur del contingente belga in Afghanistan, che provocano sistematicamente un insostenibile malessere nell'equipaggio (vedi articolo de La Stampa in allegato).
Le prime vittime di queste "sperimentazioni" sono infatti di solito i soldati, seguiti subito dopo dalla popolazione civile che ha la sola colpa di abitare nei pressi dei "poligoni sperimentali" come quello di perdasdefogu-Quirra.

Non potevano mancare naturalmente in una esercitazione come questa gli "aerei senza pilota" soprannominati droni, quelli utilizzati dagli eserciti USA-NATO per assassinare civili in tutto il mondo. Nel solo 2008 in Pakistan si sono registrati già 11 attacchi missilistici condotti dai predator-b made in USA, l'ultimo l'8 settembre scorso (vedi articolo di Emanuele Giordana in allegato).
Si tratta degli stessi robot assassini volanti che l'Italia ha aquistato dagli USA il primo di Agosto di quest'anno, al prezzo di 330 milioni di dollari, subito dopo che, il 25 luglio 2008, era stata annunciata dal governo nazionale la realizzazione al poligono sperimentale di Quirra di una pista per la sperimentazione degli Aerei Senza Pilota (vedi "Droni a Quirra" in allegato).

Nelle scorse settimane i giornali locali riportavano con grande preoccupazione la notizia che le spie-assassine robotiche prodotte dall'industria militare italiana forse non verranno sperimentate a Quirra ma nel Meta-distretto dell'industria aerospaziale costituitosi tra Piemonte e Campania. Magari fosse!
Personalmente non sono così ottimista e penso che l'industria militare aerospaziale, che effettivamente in Italia ha i suoi maggiori insediamenti tra Piemonte e Campania, abbia bisogno di una discarica a basso costo per bombe e sperimentazioni belliche, e che ancora una volta puntino a realizzarla in Sardegna, al poligono di Perdasdefogu-Quirra (oltre che di Teulada e Capo-frasca).
Probabilmente questa patetica manfrina serve solo ad alzare il prezzo e a far realizzare con fondi pubblici alcune strutture necessarie a queste letali e privatissime sperimentazioni.
I soliti politicanti locali asserviti agli interessi dell'industria militare hanno già levato il loro grido di dolore: Walter Mura, il sindaco di Perdasdefogu, cui questa volta si sono aggiunti i deputati del PD On. Amalia Schirru, On. Giulio Calvisi, On. Paolo Fadda, On. Siro Marrocu, On. Caterina Pes, On. Guido Melis, On. Andrea Lulli, tutti a implorare che le sperimentazioni si facciano a Quirra. Che schifo.
Almeno ora non possono rimanere dubbi sulle reali intenzioni di questa gente e su quanto la cosiddetta trattativa per la dismissione dei poligoni sardi sia stata dall'inizio una farsa.

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Quirra un nuovo poligono per la sperimentazione dei droni, gli assassini robotici volanti

Il Poligono dei Droni
A quanto pare il 25 Luglio 2008 (fonte Unione Sarda del 26/7/2008 e Nuova Sardegna del 26 e del 27/7/2008) il governo italiano ha detto la parola definitiva a favore della realizzazione del centro di sperimentazione degli UAV, Unmanned aerial vehicles, aerei senza pilota, anche conosciuti come droni, al Poligono Sperimentale Interforze di Perdasdefogu-Quirra (il PISQ, 13.000 ettari di demanio militare, il più grande in Italia e forse in Europa).
Pochi giorni dopo, il 1 Agosto 2008, la competente commissione USA (la Defence Security Cooperation Agency) ha concesso al governo italiano di acquistatre, per 330 milioni di euro, una nuova e più letale versione di questi assassini volanti, il predator-b, modello MQ-9, armato con missili anticarro e bombe a guida laser, il Killer dell’Irak, dell’Afghanistan, del Pakistan e dello Yemen e di chissà quanti altri luoghi (in Palestina gli israeliani usano un altro modello). Una coincidenza temporale assai significativa.
Due gli elementi fondamentali di questo potenziamento del PISQ: il primo è la costruzione di una pista aeroportuale all’interno del poligono, del costo stimato di 400 milioni di euro, sborsati interamente da un colosso militare-industriale, Finmeccanica, che entrerebbe così direttamente nel consiglio di amministrazione e nella gestione del poligono. La “privatizzazione” del poligono è infatti il secondo elemento di questa trasformazione: a quanto pare l’industria militare italiana (Finmeccanica, Avio, Galileo Avionica, Augusta-Westland, Oto Melara, etc.), che stà conoscendo un momento di grande espansione dei suoi affari, è ansiosa di investire risorse e fare profitti sperimentando i suoi nuovi ordigni al PISQ. Questi signori non sono però abituati a far gestire i propri soldi agli altri, e periò pretendono l’assoluto controllo del Poligono, che deve trasformarsi quindi in una struttura privata cogestita dall’industria e dall’aeronautica militare.
Come sempre Walter Mura, sindaco di Perdasdefogu e storico portavoce degli interessi militari in zona, prova a rendere la cosa allettante (Unione Sarda del 28/7 e del 1/8 2008). Al suo modo di vedere si tratta semplicemente di “un diverso utilizzo del poligono, meno gravoso dal punto di vista ambientale, e che apre la strada a grossi investimenti con possibilità di lavoro, compresa la possibilità che a Perdas possa nascere un centro per la protezione civile a livello europeo”. Investimenti, posti di lavoro, applicazioni civili: le solite tre parole chiave che da sempre si usano per convincere le popolazioni a sopportare il peso dell’occupazione militare. Ma cosa sono realmente i droni? A cosa servono? Quali sono le loro applicazioni civili? A che cosa è dovuto il loro enorme successo commerciale (tutte le industrie militari sono impegnate a sviluppare oramai centinaia di modelli diversi) e la loro terrificante diffusione sui campi di battaglia?
Dietro lo sviluppo di queste macchine c’è sempre il buon, vecchio sogno dei militari: starsene al sicuro in un bunker di cemento armato a pilotare ordigni con un joistick da dietro lo schermo di un computer, come in un videogioco. È il sogno della guerra moderna: armi pilotate a distanza, assenza di perdite tra i militari, sole vittime civili (ma quelle basa non contarle, come disse il generale Tommy Franks appena arrivato in Irak). Il loro sogno è il nostro incubo, un incubo che si stà. rapidamente trasformando in realtà.

I Droni Italiani
I precursori dei moderni Droni sono gli aerei senza pilota usati come bersaglio per le esercitazioni missilistiche. I radiobersagli utilizzati al PISQ sono fabbricati dalla Meteor di Ronchi dei Legionari (nei pressi di Trieste), una società del gruppo Finmeccanica. La prima guerra nella quale i droni sono stati impiegati massicciamente è stata quella della NATO contro la Serbia, nel 1999. In quella circostanza i droni hanno svolto esclusivamente funzioni di ricognizione e spionaggio, ma da allora le loro funzioni si sono moltiplicate diversificandosi e il loro impiego si è esteso enormemente in tutti i teatri di guerra. Oltre alle iniziali missioni di spionaggio, esplorazione, individuazione degli obiettivi i droni vengono oggi usati anche per guidare i missili direttamente sull'obiettivo (“designazione laser” dicono i militari con termine asettico), e di recente hanno acquisito anche la capacità di trasportare ordigni e fare fuoco autonomamente, trasformandosi in veri e propri robot-killer. Le versioni piu' recenti si differenziano in droni che trasportano direttamente armi, che tendono a essere sempre piu' grandi e potenti, e droni dedicati a missioni di spionaggio ed esplorazione, che, al contrario, tendono ad essere sempre piu' piccoli e invisibili (Sino a quelli della dimensione di un insetto che la BAE Systems stà sviluppando per conto dell'US-Army, nell'ambito del programma MAST).
Il primo paese NATO ad aver acquistato questi assassini volanti, dopo gli stati uniti, è stata l'Italia, che già nel 2002 ha acquistato dalla General Atomics, negli USA, 5 esemplari di Predator-A, drone non armato, che ha poi dislocato poi presso il 32mo stormo alla base di Amendola, in Puglia, ed affidato in gestione alla Meteor (fonte: Panorama 13/12/2002, “l'aereo spia atterra in Italia e non decolla” di Michele Lella). Costo dell'intera operazione circa 50 milioni di euro, di cui il 25% è andato alla Meteor. Uno dei problemi incontrati dall'aeronautica militare è stato quello che i regolamenti di volo internazionale, per motivi di sicurezza, impediscono l'utilizzo di aerei robot telecomandati sulle normali rotte. Il loro uso è limitato alle zone di guerra e ai poligoni militari. Perciò i Predator-A sono stati sperimentati in poligoni esteri, prima che il ministro Parisi, al vertice NATO di Febbraio 2007 a Siviglia, decidesse il loro invio in Afghanistan a supporto del contingente di occupazione italiano (Repubblica 9 Febbraio 2007, “Vertice Nato, l' offerta dell' Italia In Afghanistan un C-130 e due droni”, Alberto D'Angerio). L'aeronautica premeva perciò da tempo per avere un poligono nazionale attrezzato per giocare con i robot assassini. Ora l'avranno, è il PISQ.
Il Predator ha le dimensioni di un aereo (14 metri si apertura alare) e puo' operare sino a 700 Km dal punto di controllo e raggiungere i 7000 metri di quota, ne esiste anche una versione armata (il Predator-B) molto utilizzata dagli americani in tutti i teatri di guerra. Sappiamo molto poco delle stragi causate da queste macchine nelle zone direttamente controllate dagli eserciti NATO e/o USA (come l'Iraq o l'Afghanistan), qualcosa di piu' si riesce a sapere sulle operazioni in paesi non direttamente occupati. Nello Yemen ad esempio, nel Novembre 2002 un Predator-B ha distrutto un'auto con 6 persone a bordo, sospetti terroristi secondo gli USA (fonte Il Manifesto 12/10/04 “droni cacciatori, morte silenziosa che volteggia sulle nostre teste”). In Pakistan i Predator_B hanno bombardato il villaggio di Damadola (aree tribali al confine con l'Afghanistan) sia il 13 Gennaio 2006 (18 morti tra cui 5 donne e 5 bambini) che il 15 marzo 2008 (due case colpite, almeno 15 morti), mentre il 30 Ottobre 2006 hanno distrutto una madrassa (una scuola islamica) a Bajaur uccidendo 80-85 persone (fonti: articolo di Pervez Hoodbyhoy sul quotidiano Pakistano Dawn, del 9 marzo 2008 e Peace Report del 15/5/2008 “Agguato agli Italiani fuori Kabul”, http://www.peacereporter.net). Sappiamo che gli Israeliani usano i loro droni (sviluppati dall'industria militare nazionale in collaborazione con la Northon Grumman degli USA) per assassinare e mutilare i palestinesi dei campi profughi della cisgiordania e di Gaza (si veda il già citato articolo del Manifesto e l'inchiesta di Rai News 24 “Gaza. Ferite inspiegabili e nuove armi”, di Flaviano Masella e Maurizio Torrealta). Ora i Predator-B, con i loro missili anticarro e le bombe a guida laser, verranno acquistati anche dall'aeronautica italiana che li userà per le sue “missioni di pace” e che avrà il suo poligono per i test e l'addestramento (poligono a basso impatto ambientale naturalmente, come dice Walter Mura, il sindaco del PISQ).
L'industria militare mondiale si stà gettando avidamente su questo nuovo lucroso e sanguinolento mercato, e i costruttori d'arma nostrani non stanno certo a guardare; Finmeccanica, il colosso industriale italiano pubblico-privato (per un terzo è di proprietà del ministero dell'economia), ha un gran numero apparecchi UAV (droni) realizzati o in cantiere. Oltre a quelli prodotti da Galileo Avionica: il Nibbio, drone da ricognizione, e il Falco, sperimentato al PISQ e venduto al Pakistan che lo userà per teleguidare i suoi missili, ci sono quelli prodotti dalla Selex (un'altra controllata Finmeccanica): i piccolissimi Otus, Asio e Strix, e poi c'è il progetto Neuron, un drone armato e invisibile ai radar che deve essere realizzato da un consorzio europeo, di cui naturalmente Finmeccanica fa parte. Poi c'è il drone-spia sky-X progettato e testato al PISQ dall'Alenia, altro produttore italiano d'armi interessato alla gestione diretta del PISQ.
Un uso civile dei Droni?
Vediamo ora quali sarebbero le “applicazioni civili” di queste macchine. Il drone può essere utilizzato in effetti per due cose fondamentali: uccidere e spiare, sul fronte interno degli stati occidentali ci si limita, per il momento a questa seconda funzione. Le polizie, e non solo, sono estremamente interessate a questo tipi di prodotto, direttamente derivato dalle tecnologie militari: robot spia piccoli e leggeri che volano a bassa quota, in modo da non interferire col volo civile e da non far troppi danni in caso di caduta Si sono giá dotate di questo occhio volante la polizie inglese (droni dell'azienda tedesca microdrones), quella di Parigi (drone Elsa, prodotto da una piccola azienda di Nantes), di Miemi e di Los Angeles, ed é in via di adozione dalla polizia di frontiera USA e dal suo omologo europeo Frontex, che si occupano della militarizzazione delle frontiere e della repressione dei flussi migratori (fonti: BBC News Channel, 21 May 2007, “The UK's first police remote control helicopter has taken off.”. La Repubblica 12/10/2007 “Mini-jet spia sulle banlieues a Parigi è scontro per i droni”, Giampiero Martinotti. Punto Informatico 27/3/2008, “Drone poliziotto spierà la Florida”, Dario D'Elia). In Italia sappiamo che il comune di Milano ha acquistato due droni spia (gli stessi usati a Los Angeles) dal costo di 50.000 euro ciascuno, mentre la Zenit srl, con sede nel polo scientifico di Busto Arsizio, stá sperimentando i droni militari MD4-200 (del costo di 30.000 euro) per scopi di spionaggio e rilievi del territorio (fonti: Corriere della sera 4/6/2007 “Due dischi volanti spieranno Milano,di Gianni Santucci. Libero.it 20/6/2007 “Mini-elicotteri per sorvegliare i cieli di Milano. ”. varesenews.it 4/6/2008 “La sicurezza affidata ai droni”).
Il cosiddetto uso civile di queste macchine é quindi semplicemente lo specchio della militarizzazione dell'intera societá. Non é certo la guerra che si stá “civilizzando”, sono piuttosto i suoi mezzi e i suoi metodi che stanno diventando di uso comune, ordinario, tanto che lo stato di cosiddetta “pace” diventa sempre più difficile da distinguere da quella che sarebbe invece lo stato di “guerra”. Ogni cittadino é un potenziale nemico interno, da spiare e colpire quando occorre, l'esercito deve essere dispiegato costantemente nelle strade e nelle cittá, le operazioni repressive vengono condotte con i mezzi, i metodi e spesso gli esiti di un conflitto armato. Piccole “guerre” ai “clandestini”, agli “ambulanti abusivi”, ai “graffittari”, etc. etc. , insanguinano le nostre cittá, e arricchiscono contemporaneamente l'industria della cosiddetta “sicurezza”.
I conti della guerra
Il fatto è che con in tempi di guerra, quello delle armi è uno dei pochi settori industriali che tirano e le aziende si adeguano. Il colosso pubblico-privato Finmeccanica-Fincantieri si stá praticamente convertendo alla produzione militare quasi esclusiva, tanto che oramai il 70% delle sue vendite sono costituite da armamenti (fonte Sipri, 'l'Istituto di Ricerca per la Pace di Stoccolma). Una scelta che paga. Nel 2005, trainata dalla spesa militare Italiana, Finmeccanica ha incrementato il fatturato del 37%, diventando la settima industria di armamenti al mondo (seconda solo ai colossi USA e alla BAE System britannica). Da allora la spesa militare Italiana non ha fatto che crescere (solo la finanziaria del Governo Prodi, nel 2007, l'ha aumentata da 18 a 21 miliardi di euro) e la Finmeccanica si stà rapidamente internazionalizzando, trasformandosi in una multinazionale degli armamenti, tanto che nel 2008 ha acquistato per 5.2 Miliardi di dollari, Dsr Technologies, un produttore di armamenti ad alta tecnologia degli USA. Analogamente qualche anno fa Augusta aveva acquisito il produttore di elicotteri militari inglese Westland (Pagine di Difesa 13/5/2008, “Finmeccanica acquista Dsr Technologies”, di Andrea Tani). Come conseguenza crescono in Italia le esportazioni di armi (nel 2005 si é raggiunto il record ventennale di 860 milioni di dollari) e gli appetiti dell'industria bellica, che richiedono sempre nuove risorse e nuovi spazi per sperimentare ordigni, con riservatezza e pochi costi aggiuntivi. Il PISQ.é tra questi.
Le Guerre del futuro
Giá all'indomani della prima guerra nel golfo il kombinat militar-industriale degli Stati Uniti ha cominciato a lavorare a uno scenario nel quale a uccidere (ma non a essere uccise) nei teatri di guerra sarebbero state sempre di piú schiere di macchine controllate a distanza, e sempre di meno soldati in carne ed ossa (per questa visione si veda ad esempio l’articolo “Le Guerre del futuro” di Gary Stix su Le Scienze 331, Marzo 1996). Lo sviluppo di quest'incubo ha avuto un forte impulso durante le amministrazioni Bush Jr, quando, strenuamente voluto da Cheney, é iniziato il programma “Future Combat Systems”, il cui costo, della prima fase di sviluppo, é stato giá 25 miliardi di dollari. Questo “Nuovo Sistema di Combattimento” prevede di schierare divisioni di fanteria corazzata fortemente supportate da robot assassini sia volanti (i giá noti UAV o droni) che terrestri (i cosiddetti UGV, Unmanned Ground vehicles), il tutto “cablato” in una rete informatica e controllato a distanza da un comando remoto, che potrebbe stare anche lontanissimo,in territorio USA. Le prime componenti di questo nuovo, micidiale, strumento di guerra dovrebbero essere schierate nel 2015 e il programma dovrebbe essere ultimato nel 2030 al costo spaventoso di 200 miliardi di dollari (fonti: La Repubblica 11/6/2005 “Future Combat Systems: la Guerra del futuro”, di Marco Deseriis. Pagine Difesa, 9 gennaio 2008, “US Army, veicoli non pilotati del programma Future Combat Systems”, di Giovanni Martinelli). In realtà i primi robot assassini terrestri sono stati già schierati in Iraq sono gli Swords, prodotti dalla Foster-Miller del Massachussetts e finanziati dal programma Future Combat System. Sono macchine con cingoli, telecamere, visori a infrarossi, e una mitragliatrice da 750 colpi al minuto, teleguidate da un soldato con un PC portatile che può trovarsi sino a 800 mt di distanza. Il progetto é però quello di rendere questi robot completamente autonomi, in grado di muoversi da soli sul terreno, di individuare un bersaglio umano, di ucciderlo. É molto probabile che nei prossimi anni questi robot UGV facciano la loro comparsa al PISQ, per test, prove, addestramenti, esattamente come accade ora per i droni-UAV.
A quanto pare l'idea delle tre leggi della robotica, elaborata dal celebre scrittore di fantascienza Asimov, peccava del tipico ottimismo ingenuo e umanista di alcuni scienziati. Forse la prima legge: “non farai del male agli esseri umani”, andrebbe rovesciata; a quanto pare i primi robot autonomi e “intelligenti“ verranno fabbricati dai militari e il loro scopo sará proprio quello di uccidere esseri umani. Quale ruolo resterebbe allora ai militari in carne ed ossa in questa guerra immaginaria, tutta combattuta da macchine autonome, che non dovrebbero piú aver bisogno neppure di un operatore remoto? Faccio una ipotesi: faranno affari. li troveremo probabilmente ai vertici dei consigli di amministrazione delle imprese che lucrano sulla costruzione di queste macchine per uccidere. Fantascienza? Diamo uno sguardo al cortile di casa: Finmeccanica ha giá arruolato come dirigenti e amministratori ben sette ex capi di stato maggiore in congedo dell'esercito italiano, e ha in corso contratti per 20 miliardi di euro per l'ammodernamento degli arsenali Italiani. Il generale Fraticelli, ex Capo di stato maggiore dell'esercito, presiede la fabbrica d'armi Oto Melara di La Spezia, l'ex capo dello stato maggiore della difesa, il generale Arpino, e presidente invece di Vitrociset, proprio la societá controllata da Finmeccanica che ha il contratto per la gestione dei servizi tecnici del PISQ (Giornale di Sardegna, 6/62007, “Truppe d'appalto” di Marco Mostallino).

Cosí il cerchio si chiude.
Strutture che sembrano invincibili hanno forse un punto debole nel loro portafoglio. I militari tanto coraggiosi quando si tratta di lanciare un missile su un villaggio distante centinaia o migliaia di chilometri, lo sono molto meno quando, in un consiglio di amministrazione, devono spendere soldi in un investimento che potrebbe anche comportare dei rischi. L'opposizione popolare, l'interposizione fisica che ostacola le attivitá dei poligoni, può causare forti perdite economiche (come dimostra anche la dura battaglia sostenuta e vinta dai pescatori di Teulada) e impensierisce gli amministratori delle multinazionali degli armamenti. L'incubo di una società interamente controllata da robot, spie e assassini, dove la cosiddetta pace e la guerra sono oramai la stessa cosa, può e deve essere fermato. Questi programmi hanno costi spaventosi, sostenuti depredando la popolazione delle risorse indispensabili, necessarie a sostenere un livello di vita dignitoso per tutti. La lotta sociale deve sottrarre risorse a questi programmi di morte per restituirli alle esigenze della vita e della salute delle persone. Non abbiamo altra scelta per fermare un futuro da incubo, le sperimentazioni di morte vanno fermate, al poligono di Quirra e ovunque.

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Nuova Sardegna 1 Ottobre 2008
Guerra elettronica nel salto di Quirra: partecipano 15 Nazioni e 1300 persone

Perdasdefogu. Ha avuto inizio ieri nell'isola l'edizione 2008 della Trial Imperial Hammer; l'esercitazione NATO finalizzata a sviluppare ed integrare le attivita' di intelligence antiterrorismo.
All'esercitazione, nel corso della quale, come viene riportato in una nota dei vertici militari, “non sara' usato armamento reale, ma solo al 100 per cento tecnologia, parteciperanno 15 nazioni e 10 organizzazioni NATO, per un totale di circa 1300 persone coinvolte, di cui 800 italiane”.
La guerra elettronica contro i terroristi andra' in scena nel poligono sperimentale interforze del salto di Quirra (che si articola nelle basi di Perdasdefogu e in quella a mare di San Lorenzo), a Cagliari, nella parte militare dell'aeroporto di Elmas, e nella base di Decimomannu. “L'attivita' di sperimentazione – viene evidenziato nella nota militare – prevede ogni giorno uno scenario diverso, durante il quale verra' riprodotta una minaccia di tipo terroristico. Verra' anche simulato un attacco a un convoglio con l'utilizzo di Ied (Improvised Explosive Device). Per contrastarlo saranno provati nuovi sistemi elettronici capaci di disturbare l'attivazione dell'esplosivo. Verranno utilizzati anche velivoli senza pilota, che verificheranno le proprie capacita' di identificare dove e' stato nascosto l'eventuale Ied”.
Un'altra attivita' importante e' quella di migliorare in modo sensibile le capacita' di ricognizione delle forze armate in zona di operazione “e di poter disporre in tempo quasi reale di immagini e riprese di cio' che accade sul terreno o in mare”. (l. cu.)

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La Stampa 27/8/2008 (17:9) - UN ALTRA GIORNATA DI SANGUE
La trappola afghana: nuove verità sui 10 soldati francesi uccisi

Sarebbero finiti in un agguato ordito dall'interprete. Nel bilancio di oggi anche la morte di un militare tedesco saltato su una mina e di un operatore umanitario giapponese rapito ieri.
CARLA RESCHIA

Un'altra giornata nera nell'Afghanistan sempre più fuori controllo. Il bilancio odierno, particolarmente severo per gli occidentali impegnati nel Paese, conta un operatore umanitario giapponese rapito e ucciso, Kazuya Ito, 31 anni, e un soldato tedesco morto e tre suoi commilitoni feriti dall’esplosione di una bomba che ha colpito una pattuglia tedesca. In più il giornale satirico francese Le canard enchainé, svolgendo il lavoro d'inchiesta che a volte i colleghi che lavorano per testate più titolate trascurano svela inquentanti retroscena su un episodio che il 18 agosto aveva fatto scalpore: un'imboscata costata la vita a 10 soldati francesi, mettendo sotto accusa il ministro della Difesa e il capo di Stato maggiore.
La versione ufficiale, ribadita ancora ieri davanti alla commissione Difesa a Affari esteri dal ministro Hervé Morin, le truppe francesi e afghane in pattuglia congiunta sarebbero state attaccate e negli scontri sarebbero morti i dieci militari. Secondo il giornale, invece, i ribelli sarebbero stati avvertiti per tempo dell'arrivo della pattuglai, forse tradita dall'interprete afghano, sparito subito prima dell'inizio dell'operazione. Inoltre, almeno quattro francesi sarebbero stati presi prigionieri e uccisi in seguito, mediante decapitazione.
Di certo, si vada in Afghanistan per per aiutare «una nazione dimenticata»come voleva fare l'agronomo giapponese rapito ieri da uomini armati mentre stava andando a visitare un progetto d’irrigazione nella provincia di Nangarhar, e restituito cadavere oggi, crivellato di colpi, o per adempiere a un impegno internazionale come il paracadutista tedesco caduto in un attentato a sud di Kunduz, il Paese non perdona.
Notizie poco rassicuranti anche per il contingente belga: il ministero della Difesa ha aperto un’inchiesta dopo le ripetute denunce di malesseri che hanno colpito i militari che utilizzano i veicoli blindati Pandur. Gli addetti al servizio lamentano nausea e mal di testa - due di loro sono stati costretti a lasciare il loro battaglione - forse a causa di un dispositivo di fabbricazione statunitense installato per evitare attraverso un sistema di radiofrequenze la detonazione delle bombe.
Continuano, intanto, i raid nel centro e nel sud dell’Afghanistan, che hanno provocato la morte di più di 30 talebani e di quattro poliziotti.

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Lettera 22 – Associazione indipendente di giornalisti

Emanuele Giordana
Giovedi' 11 Settembre 2008

PAKISTAN, LA DUBBIA VITTORIA DEL "PREDATOR" 11/9/08
I raid con "droni", aerei senza pilota, sono in aumento nelle aree tribali pachistane e, per gli americani, benché non ufficialmente, ottengono buoni risultati nel colpire Al Qaeda. Ma la rabbia aumenta nel Paese dei puri. E anche a Washington si registra qualche malumore, persino negli alti comandi militari. Che consigliano un cambio di strategia

Mentre emergono nuove indiscrezioni sull'attacco missilistico che, lunedì nell'area tribale pachistana, avrebbe colpito il quartier generale del capo talebano Jalaluddin Haqqani e in cui sarebbe morto addirittura il nuovo leader di Al Qaeda in Pakistan, il Washington Post ha fatto i conti in tasca alla nuova offensiva missilistica in territorio pachistano. Offensiva che, a parte l'oscuro episodio che settimana scorsa ha visto scendere nella tribal belt anche soldati americani in carne ed ossa, si serve soprattutto di Predator, gli aerei senza pilota che, solo nell'ultimo mese, hanno lanciato i loro missili Hellfire contro quattro obiettivi: da gennaio la politica del "drone" avrebbe portato a casa la morte di almeno due esponenti di spicco di Al Qaeda ma a prezzo di un'escalation delle violazioni della sovranità nazionale pachistana. Quest'anno, secondo fonti pachistane citate dal quotidiano, i raid sono stati 11, rispetto ai 3 del 2007. Elementi che, persino nelle dichiarazioni di importanti esponenti dell'establishment militare (ieri al Congresso l'ammiraglio Michael Mullen) o negli avvertimenti di alcuni think tank (come il National Intelligence Council) pesano sulle relazioni con un alleato sotto fortissima pressione – il Pakistan – nel quale monta una forte reazione nazionalista e antiamericana che finisce probabilmente per alimentare la strategia degli islamisti radicali.
La notizia della morte di Abu Haris (e di altri tre "stranieri" qaedisti: i sauditi Abdullah e Abu Hamza e l'egiziano Zain Ul Abu Qasim) è un piccolo giallo. L'annuncio non è stato dato in pompa magna dalla Casa Bianca o dal Pentagono, come ci si aspetterebbe se Abu Haris fosse veramente, come riportava ieri la Cnn, il "capo di Al Qaeda" in Pakistan. Si potrà obiettare che, trattandosi di un'operazione "coperta" e in violazione, se non dei rapporti ufficiosi con Islamabad, della sovranità ufficiale di un paese, non convenga sbandierare i risultati pubblicamente. Ma è singolare che la rivendicazione di un'azione con così buoni risultati (pur con la tara che le vittime del raid di lunedì sarebbero almeno 25 e non tutte islamiste...) venga affidata a un'emittente televisiva attraverso le dichiarazioni di un anonimo agente della sicurezza, citato appunto dalla Cnn.
Molte cose non tornano nell'ingarbugliata vicenda della guerra nelle aree tribali. C'è un problema interno di gestione pachistana (proprio ieri tra l'altro il premier Gilani ha accettato le dimissioni dei ministri della Lega musulmana Pml-N, che a maggio avevano lasciato il governo), un problema di rapporti tra Islamabad e le aree tribali (tradizionalmente neglette dal governo centrale e al momento con un alto tasso di sfollati che scappano dalla guerra nella tribal belt) e tra Islamabad e Washington. Infine forse anche un problema di "visione strategica" nella stessa Washington.
Secondo l'ammiraglio Michael Mullen, che ieri ha parlato al Congresso Usa, gli Stati Uniti sono in una sorta di corsa contro il tempo che, per vincere la guerra in Afghanistan (e in Pakistan), non potrà basarsi solo sulla soluzione "più truppe". Il fatto è che Mister Adm. Mullen è il capo del Joint Chiefs of Staff, vale a dire un soldato con il numero uno sul cappello. La sua messa in guardia al Congresso arriva appena dopo l'annuncio che Bush ridurrà la truppa in Iraq anche per portare altri 4.500 uomini in Afghanistan. Ma sia Mullen che, per certi versi persino il segretario alla Difesa Robert Gates, non sembrano troppo convinti che questa sia la soluzione. Mullen ha aggiunto che la guerra si potrà vincere ma solo a patto che vi sia un maggior impegno nella ricostruzione del paese e in una nuova iniziativa per quel che riguarda la regioni tribale del Pakistan. In un certo senso, ed è bizzarro che sia stato un generale a farlo, Mullen ha fatto capire che la politica con la P maiuscola dovrebbe avere un primato sulla politica dei numeri militari tout court. "E' necessario – ha concluso – lavoro di squadra e cooperazione".
L'uscita di Mullen fa sospettare uno scontro sotto traccia che è in realtà stato oscurato dalla corsa elettorale e da un vuoto propositivo piuttosto rilevante dei due candidati sul futuro della politica estera in Afghanistan. Quanto a Bush, è rimasto fedele ai suoi principi, che sono poi gli stessi di Dick Cheney o della vecchia scuola di Donald Rumsfeld: soldati, soldati, soldati. E forse droni, droni, droni.
Ma proprio la politica dei raid oltre confine lascia perplesse in America molte teste d'uovo che si occupano di sicurezza e strategia militare. Il mese scorso il National Intelligence Council aveva messo in guardia l'Amministrazione sul fatto che utilizzare i raid in Pakistan avrebbe potuto portare a lungo termine a sempre maggiori rischi di destabilizzazione nel Paese dei puri. Con qualche ragione.

lasolidarietaeunarma@libero.it

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