23/09/2006: RIFLESSIONE SUI CONTRIBUTI DISTRIBUITI PRIMA DELL'INCONTRO DEL 10/09/2006
Da sempre il carcere è lo strumento che lo stato utilizza per imporre il dominio delle classi dominanti ed allo stesso tempo impedire e ostacolare la nascita e lo sviluppo di pratiche antagoniste e di liberazione, o anche di semplice critica all’ordine esistente; la sua funzione non è meramente punitiva né, di certo, educativa, ma di classe e la sua esistenza è indissolubilmente legata all’ordine sociale che difende. Una lotta specialistica contro il carcere basata unicamente su campagne di testimonianza o di solidarietà mirata non ha quindi alcuna prospettiva. Allo stesso tempo però, considerare il carcere come un buco nero che inghiotte rivoluzionari, proletari, ribelli, di fronte al quale non si può nulla se non abbattere il sistema, è solo un modo per accomodarsi e rimandare il problema. Il carcere si può, e si deve, combattere anche oggi. Che a mettere fine alle galere non saranno le lotte interne dei prigionieri ma i rapporti di forza esterni lo sappiamo tutti. Il carcere non è certo avamposto dello scontro di classe ma non è neanche slegato dallo stesso, ed i compagni prigionieri non sono necessariamente solo “simboli dello scontro di classe” ma possono essere parte attiva dello stesso.
Ci si raccomanda spesso di evitare campagne privilegiate per i compagni e di considerare il proletariato prigioniero nel suo complesso in quanto quegli stessi compagni non vanno visti “come un corpo separato, come un ceto protetto, ma come una componente del proletariato”; queste raccomandazioni sono giustissime e vanno poste alla base non solo di ogni approccio di lotta al carcere e alla repressione ma, in generale, di ogni lotta allo stato e al capitalismo. La nostra solidarietà deve infatti servire a gettare ponti e non a erigere altri muri. Cercare di costruire legami tra dentro e fuori, tra compagni e comuni, farsi sentire sotto le galere, intraprendere una corrispondenza, inviare libri, scambiarsi informazioni e condividere materiale di dibattito, significa proprio lavorare in questa direzione e non certo offrire solamente supporto militante ai propri compagni o fare dello sterile assistenzialismo. Anche lottare contro le sezioni di EIV e di 41bis e contro la differenziazione carceraria significa combattere l’isolamento e la separazione, dal resto dei detenuti, dei prigionieri che coltivano posizioni di rottura con lo Stato.
Perdipiù il carcere in questa fase di smantellamento dello stato sociale e di guerra imperialista acquisisce un’importanza accresciuta e rinnovata. La sfera del penale tende ad estendersi enormemente e a divenire sempre più aderente, capillare e differenziata perché, saltati gli ammortizzatori, la repressione rimane l’unica risposta che lo stato può dare. Per questo motivo il carcere, in tutte le sue forme (centri di identificazione, di detenzione, di raccolta ed espulsione…), assume una nuova centralità nella società e diventa ancora più di prima terreno di incontro con la classe e non solo luogo di segregazione. La repressione colpisce tutti, per questo costruire percorsi di lotta a partire dalla repressione non significa necessariamente arroccarsi su posizioni di difesa dei militanti ma può essere terreno di incontro sia nelle galere che nelle strade e nei quartieri. E’questa la sfida che ci troviamo ad affrontare, d’altra parte ricucire la separazione dalla classe e colmare la distanza dal contesto reale delle lotte è una priorità quotidiana per chiunque abbia maturato prospettive rivoluzionarie.
La proposta di mobilitazione contro il 41bis è quindi da inserirsi in questo contesto. A nessuno crediamo possa interessare una battaglia specialistica e fine a sé stessa per l’abrogazione di un articolo, a noi di certo non è mai interessata, ciò non toglie che l’applicazione del 41bis sia il momento più significativo ed emblematico del passaggio ad un carcere di guerra, quello che impone al regime carcerario nel suo complesso un giro di vite definitivo che riguarda tutti i detenuti e non solo i prigionieri rivoluzionari. E se leghiamo il 41bis ai reati associativi e alla loro sempre maggiore elasticità, fino a toccare le mobilitazioni di piazza con la formula del “concorso morale”, ne viene fuori una catena preordinata ad una gestione militare del conflitto sociale. Non si tratta qui di scendere nel campo del diritto borghese ma di comprenderne le trasformazioni per meglio combatterlo. Portare solidarietà ai prigionieri in regime di 41bis non significa quindi fare dello specialismo ma individuare l’estremo repressivo del circuito premiale interno alla galera e su quello costruire solidarietà di classe, in modo che non esistano vuoti di solidarietà e che il silenzio e l’immobilismo di qui fuori non contribuiscano a fare del gioco premiale interno al carcere un gioco vincente.
Queste alcune delle considerazioni che ci avevano indotto ad individuare in una mobilitazione a l’Aquila (carcere speciale in cui sono reclusi 150 dei 600 detenuti sottoposti a 41bis in Italia) un passaggio importante. Riuscire a rompere un isolamento territoriale oltre che carcerario e andare a portare la lotta contro il carcere in una zona ad alta “carcerizzazione” (Aquila, Sulmona, Teramo…) ci sembrava un obiettivo significativo ed un segnale importante dato a chi sta cercando, con questo riassetto penale, di gettare le basi per nuovi orizzonti di controllo sociale e di mantenimento del dominio. Esplicitati quelli che erano i presupposti che ci avevano portato alla scelta di l’Aquila è chiaro però che siamo d'accordo con le valutazione fatte collettivamente che affermano che per tale passaggio non siano ancora maturate le condizioni. Quindi condividiamo la necessità di effettuare passaggi intermedi legati ad un lavoro più capillare sul territorio. Siamo convinti che i tempi per un’assemblea nazionale di confronto su queste tematiche, e cioè su carcere, repressione, isolamento e annientamento, aperta a tutti coloro, anarchici e comunisti, che abbiano sviluppato percorsi di rottura con lo stato anche passando per la tematica della repressione, siano maturi, e che anzi tale passaggio, se condiviso, potrà gettare nuove basi per rilanciare la lotta allo stato e alle sue galere a partire da una chiara posizione di classe. Sono queste le considerazioni che ci hanno portato a creare un gruppo di lavoro (OLGa) sulla questione carcere e repressione, che vede impegnati compagni e compagne, sia anarchici che comunisti, provenienti da realtà ed esperienze diverse, che continuano comunque a portare avanti altri percorsi di lotta.
Il processo di “carcerizzazione” della società (strettamente legato anche ad una gestione militare e razzista dell’immigrazione fatta di reclusione nei CPT, espulsioni, retate assassine e carcerazione) segue le linee guida della differenziazione e della premialità ed è oramai in grado di offrire un ampio ventaglio di livelli di carcerazione: dall’obbligo di firma al 41bis, dai fogli di via ai provvedimenti d’espulsione, dai CPT alle comunità modello Muccioli…eppure la popolazione carceraria è in costante aumento e non saranno certo gli indulti a risolvere la questione.
Milano, 23.09.2006
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