01/09/2006: RESOCONTO DELLA RIUNIONE DEL 10.9.06 AL GATTO SELVAGGIO DI ROMA


Il 10.9.06 al Gatto selvaggio di Roma si è tenuta la riunione programmata nell'incontro del 23 luglio a Milano per discutere la proposta di mobilitazione contro repressione, carcere e nello specifico 41bis, lanciata appunto dall'assemblea di Milano.
Le motivazioni che hanno indotto a mutare l'appuntamento al "Gatto Selvaggio" in riunione, invece che in assemblea, come previsto, sono state dettate dal mancato incontro – visto il periodo estivo – tra i compagni delle varie realtà-città al fine di approfondire il confronto sui temi proposti per la discussione contenuti nel documento preparatorio: (http://www.autprol.org/public/news/news000136504082006.htm).

A Roma, prima che iniziasse l'incontro , sono stati distribuiti due contributi, allegati in fondo al presente testo.
La discussione, con lo stimolo che i documenti hanno prodotto, è servita a chiarire e a sgomberare il campo da eventuali dubbi riguardanti l'idea di voler in qualche modo cristallizzare la lotta su una battaglia singola e specifica, ovvero il regime previsto dall'articolo 41bis. Il seguente resoconto cerca di fare il punto sul dibattito al "Gatto Selvaggio".
La discussione con le sue perplessità, diversità di posizioni è ruotata essenzialmente attorno ai seguenti nodi:

* la difficoltà ad intraprendere percorsi di lotta contro la repressione e in solidarietà con i/le compagni/e prigionieri/e capaci, se non proprio di ricomporre, almeno di non (ri)produrre la separatezza imposta dallo stato, fra detenuti "politici" e "comuni", tanto più se la tematica è quella del 41bis (proposta di manifestazione all'Aquila);
* la mancanza di interesse verso battaglie sostanzialmente autoreferenziali che si risolvono in iniziative di testimonianza;
* non sottostare al terreno di lotta posto dal capitale ma scegliere il proprio;
* la critica verso percorsi che individuano la repressione come un terreno di lotta specifico e, in particolare, riguardo alla promozione di campagne – come per esempio quella sull'art. 270bis e sul 41bis – che sembrano finalizzate ad una prospettiva abolizionista e, dunque, abolizione di reati, richiesta di diritti.

Sono seguiti diversi interventi di cui riportiamo una rapidissima sintesi.

L'intervento di un compagno di Olga, oltre a rimarcare i contenuti del documento già presentato all'assemblea di Milano, in particolare si è soffermato sul punto del 41bis per chiarire le ragioni di una manifestazione contro questo regime carcerario. Nell'intervento è stato puntualizzato che da ottobre 2005 questa condizione è stata estesa dal ministero ai militanti delle Br condannati nel processo-Biagi; che essa esiste da oltre 10 anni e colpisce attualmente oltre 600 persone; che le sue particolari forme – seppure con nomi diversi, EIV, ecc. - il ministero tende ad estenderle in ogni carcere, come spiega molto bene la corrispondenza dalle carceri, per esempio di Benevento, Poggioreale, Alessandria S.Michele; che il 41bis va letto sicuramente come la punta di diamante di un sistema repressivo tendente all'annientamento dell'identità di classe di chi lo subisce poiché, oltre a limitare corrispondenza e attività di ricerca, impone alle/ai prigioniere/i il "processo a distanza" o in "videoconferenza", il quale vuole negare per definizione ogni presenza fisica e politica di chi viene processato.
La differenziazione, appunto, è 'elemento che caratterizza più di altri la repressione (preventiva) dello stato poiché, sanzionando l'identità del prigioniero, tende a recidere i vincoli di solidarietà, ad isolare gli uni dagli altri e a ostacolare in mille modi una possibile unità di classe.
Chiariti i presupposti della proposta di mobilitazione contro il 41bis, il compagno è entrato nel merito di una contestualizzazione di tale strumento repressivo nella situazione di crisi economica e di guerra imperialista, sottolineando la rinnovata centralità della repressione nella congiuntura attuale ed individuando quindi nella stessa un terreno di incontro con la classe. Basti pensare ad esempio come le lotte per la chiusura dei CPT e per l'emancipazione dall'estremo stato di sudditanza del proletariato "extra-comunitario" possano potenzialmente diventare obiettivi comuni per proletari immigrati e classe lavoratrice autoctona.

Negli interventi di compagne e compagni di altre situazioni è stato rimarcato il pericolo di scivolare nell'autoreferenzialità, nel dare al carcere, alla prigionia un carattere generale che invece non hanno. In questi interventi è stato ribadito che per modificare i rapporti di forza della società, non si debba far riferimento unicamente ai compagni prigionieri, ma che sia necessario estendere e radicalizzare la lotta nell'"altrove", cioè in quegli strati della classe proletaria che quotidianamente lottano sul posto di lavoro, per il posto di lavoro, per la casa, per la sanità ecc.

In altri interventi è stato argomentato quanto sia indispensabile che le proposte di lotta anche contro il carcere, raggiungano, siano percepite e fatte proprie da chi lavora, dai proletari tutti, compresi i lavoratori immigrati. Il carcere in ogni sua forma, dunque anche il CPT, ha il compito di imporre i rapporti di sfruttamento. Perciò mentre la lotta contro il carcere non va separata dalla lotta contro le condizioni di lavoro, contro lo sfruttamento capitalistico, ugualmente il lavoro di propaganda, controinformazione e agitazione su questo terreno, deve essere condotto soprattutto nei quartieri proletari.

Altre compagne e compagni hanno concentrato il loro discorso sul fatto che il sistema carcerario e la prospettiva del suo abbattimento vadano spostate nella società, altrimenti si corre il rischio che le lotte, pur nella loro giustezza, divengano solo episodi spesso autoreferenziali e sovente senza iscrizione alcuna nel tessuto sociale cui apparteniamo e facciamo riferimento. Bisogna cancellare il rischio che l'iniziativa sul carcere, in particolare se concentrata sul 41bis, sia separata dall'obiettivo di rafforzare l'unità di classe e determini un ambito specialistico che inizia e finisce con il vanificare ogni grado di solidarietà di classe.

La consapevolezza e l'unità raggiunte dall'assemblea non si sono concluse in una chiara presa di posizione comune relativamente ai punti esposti precedentemente e alle iniziative in discussione. Perciò l'assemblea ha deciso di convocare un'ulteriore riunione, fissata per il 1° ottobre sempre a Roma, il cui compito sarà quello di definire tale piattaforma comune e di convocare su questa base un'assemblea nazionale.

L'assemblea infine ha perciò deciso di rinviare ogni manifestazione la cui convocazione spetterà all'assemblea nazionale prevista.

settembre 2006
OLGa - è Ora di Liberarsi dalle Galere
olga2005@autistici.org
http://www.autprol.org/olga/

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ALLEGATI:

LIBERARE TUTTI VUOL DIR LOTTARE ANCORA, VUOL DIRE ORGANIZZARSI SENZA PERDERE UN'ORA

Ciclicamente si ripropone al movimento rivoluzionario (ma esistiamo in quanto tale?) il problema della detenzione politica, dei compagni in carcere, della repressione; e giù campagne, di tutto rispetto sia detto a scanso di equivoci, contro questo o quell'articolo del codice penale, e poi presidi, assemblee, mobilitazioni e quant'altro.
Noi non facciamo campagne specifiche contro la repressione, perché tutta la nostra vita è repressa.
Sia i tempi di lavoro, che quelli di "riposo", che quelli di studio sono costretti, stabiliti, programmati, repressi.
Questa società controlla, opprime e reprime il proletariato sempre, lo sfrutta e, se e quando, in forme individuali o collettive, "politiche" o sociali, esso si ribella, c'è la galera.
Ovviamente esiste una forma di controllo e repressione specifica, oggi sempre più coordinata continentalmente, contro le avanguardie di classe da affrontare anche "tecnicamente".
La repressione è una costante della lotta di classe; il diritto è l' ingannevole foglia di fico di questa costante. Il terreno del diritto non è il nostro terreno perché non è conveniente per il proletariato, né in campo interno né in campo internazionale.
A noi spetta ristabilire il terreno dei bisogni di classe rispetto al diritto individuale, l'analisi, la critica e la lotta contro lo Stato borghese nella prospettiva dello scioglimento rivoluzionario dei rapporti di forza.
Il nostro terreno rimane quello della forza ovvero quello dell'intelligenza nella scelta, meglio, nella tempestività del momento dello scontro.
Ricercare dunque le leggi matematiche, le determinazioni materiali, le invarianti del progetto comunista rivoluzionario, il materialistico rovesciamento della prassi (operato dal Partito storico della classe), quando, al punto di "catastrofe", diventa possibile assecondare non solo il "movimento reale" ma trasformarlo in insurrezione (che è un'arte).
Perché noi sappiamo- con Marx- che " il limite del Capitale è il Capitale stesso", e che vi sono tutti gli ingredienti per una catastrofe sociale; sappiamo che l'intero sistema si comporta secondo le leggi della termodinamica e che quindi perde energia pur essendo fatto per assorbirne in materia crescente; sappiamo che segue una dinamica di crescita in un mondo finito e che quindi ha un limite assoluto; sappiamo che, in quanto organismo sociale, si comporta come un organismo vivente per cui deve morire per lasciare il posto a un nuovo organismo; sappiamo infine che la tattica non può andare contro il fine strategico, ultimo, del Comunismo.
Vediamo già l'obiezione, la domanda che sorge: che c'entra tutto ciò con i/le compagni/e che stanno in galera? Parlate di massimi sistemi ma intanto? Rispondiamo che l'attivismo, l'immediatismo sono il portato storico della piccola borghesia, non certo dei comunisti e che senza il faro, nell'oggi il restauro, dei paradigmi rivoluzionari non c'è soluzione al processo storico che porta alla soppressione effettiva del Capitale e dello Stato.
Porgiamo una domanda: come si può parlare di una battaglia di liberazione, quando magari non si sa cosa potrebbe voler dire, per questo Stato, l'adozione di questo o quel provvedimento? (l'amnistia, la soluzione politica?) e d'altronde si può continuare a ricondurre l'istanza di liberazione dei/delle compagni/e a sole campagne di opinione che prescindono tanto dalla costruzione dei rapporti di forza necessari per far uscire tutti/e, quanto da una riflessione approfondita su come si colloca questa battaglia nella fase che stiamo vivendo?
Per noi che non tifiamo per nessuno, che non abbiamo "prigionieri del cuore", centrale è dare voce a chi, in questo Stato, non deve parlare ovvero la classe.
Il movimento reale non è nelle carceri. I compagni detenuti non possono costiture un punto di riferimento privilegiato ed esclusivo.Non possono fornire l'indicazione più avanzata della lotta. Sono in uno spazio sacrificato, in uno stato di continuata tortura fisica e psicologica.
Sono il simbolo dello scontro di classe. Non sono lo scontro di classe.
L'affetto per i compagni in carcere non può farci chiudere gli occhi davanti la realtà che essi sono, appunto, compagni in carcere. Compagni in condizione di privazione e di isolamento.
Se vogliamo liberarli dobbiamo partire da quello che c'è altrove, dal movimento reale.
Se partiamo da loro, dalla loro specificità, contribuiremo ad inchiodarli - in un modo o nell'altro - alla loro situazione carceraria, quale che sia l'esito della nostra iniziativa. A liberarli sarà ,deve, essere solo il movimento reale che è fuori, quello che, materialisticamente, "abolisce lo stato di cose presente".
Questa è la nostra posizione, consapevoli che, fra comunisti il confronto non può basarsi su infingimenti e mezze parole ma, con aspra e dura chiarezza, su discussione vera, reale e non su opinioni, filosofemi e chiacchericci da luogo comune sinistrorso.

settembre 2006
Comunicato dei viterbesi

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Contributo dei compagni del Coordinamento per l'Autonomia di classe

Da tempo si parla di repressione nel cosiddetto movimento, e questo potrebbe essere importante, visto che il problema repressivo tende ad acquisire uno spessore sempre più consistente in questa fase economica e politica.
Quello che non va bene è che quando si parla di questo problema si tende a parlare esclusivamente della repressione che colpisce il movimento, i militanti, i rivoluzionari; solo raramente e come inciso si parla della repressione che colpisce i proletari e i ceti sociali esclusi dal salotto buono del Capitalismo. Di questi si parla solo quando c'è qualche caso eclatante, tipo la polizia che carica manifestazioni operaie, o quando gli sbirri si accaniscono contro qualche migrante in maniera talmente pesante, da meritare visibilità mediatica. Invece della repressione che colpisce il movimento si parla in maniera martellante, si scrivono decine, centinaia di comunicati contro l'arresto di singoli compagni, e, addirittura, nascono come funghi Comitati per la scarcerazione di questo o quel compagno o, peggio ancora per l'abolizione di questo o quell'altro articolo del codice penale. Capiamoci bene, noi non vogliamo nessuno in galera, figuriamoci i compagni; anche noi pensiamo che i compagni vanno liberati, ma non pensiamo che vadano liberati in questo modo, perchè i compagni non finiscono in galera perchè sono antipatici, ma perchè il Potere vuole rimuovere qualsiasi intralcio sulla sua strada, e quindi si vuole liberare di coloro che potrebbero saldarsi (e dirigere) ad eventuali ribellioni sociali contro un Sistema non più in grado di garantire uno Stato Sociale capace di soddisfare le esigenze dei ceti sociali deboli, dei proletari insomma.
"I compagni non finiscono in galera perchè loro sono pericolosi per il Potere da soli, ma perchè possono diventare pericolosi PUNTI DI RIFERIMENTO PER IL PROLETARIATO"
E infatti non è che in galera finiscono solo i compagni, anzi come percentuale numerica i compagni in galera sono la minima parte del Proletariato prigioniero. Qualche anno fa abbiamo anzi pubblicato sia come mostra cartacea, sia sul sito internet controappunto dei dati statistici riguardanti la popolazione carceraria, che dimostravano sia un'incremento della stessa popolazione carceraria, sia una sempre maggiore proletarizzazione di questa popolazione.
E allora se in galera finiscono i proletari e quindi anche i compagni non possiamo pensare ai compagni come un corpo separato, come un ceto protetto, ma come una componente del proletariato, che insieme ad esso va liberata.
Fra l'altro fondare comitati ad hoc per i compagni o per l'abolizione di reati, che colpiscono soprattutto i compagni, ha un altro inconveniente: a chi va chiesta l'abolizione del tale reato? Si sa che quando si vuole combattere contro qualcosa si possono seguire due strade: o quella di costruirsi rapporti di forza che costringano il Potere a darti quello che vuoi, o quella di elemosinare al Potere la concessione di quello che chiedi.
Se noi affrontiamo il problema della repressione con i Comitati ad hoc, non riusciamo a cambiare alcun rapporto di forza nella società: cosa volete che interessi ad operai, disoccupati, proletari insomma, se dei compagni stanno in galera al 41bis quando loro magari alternano la vita fra galera e lotta per la sopravvivenza?
E allora per cambiare questi maledetti rapporti di forza, dentro e fuori, bisogna riuscire a collegare i fili, stabilire un contatto fra chi subisce la repressione per motivi sociali e chi la subisce per motivi politici, unico modo per causare quel corto circuito capace di far saltare la spirale della repressione e il Sistema che la produce.
E per stabilire questo contatto non dobbiamo partire da noi, che in fondo ci aspettiamo la reazione dello Stato alle lotte che portiamo avanti, ma dalla galera perenne in cui vivono milioni di proletari.
Quello che dobbiamo spezzare è l'abitudine dei proletari alla repressione, la loro rassegnazione al fatto che la lotta per la sopravvivenza sia un reato. Da tante parti si dice che un numero sempre più alto di proletari non riescono ad arrivare in fondo al mese, a causa dei salari da fame e della precarietà, ed è vero. Come è vero che molti di loro sono costretti a rivolgersi alla Caritas per tirare avanti; e, badate bene, alla Caritas non si rivolgono solo "barboni", migranti e "senza fissa dimora" ma anche, e sempre di più, operai precari e diverse altre figure del proletariato. Altri, che non vogliono rivolgersi alla Caritas, sono costretti a "delinquere" e vanno in galera, abituati da sempre ad essere dalla parte del torto.
E' questa cultura dell'abitudine e della rassegnazione che bisogna sconfiggere, se si vogliono cambiare i rapporti di forza: bisogna ricordare ai proletari che, se sono costretti a delinquere, non è colpa loro, ma di un Sistema che per accrescere i profitti dei padroni precarizza e umilia i lavoratori costringendoli a delinquere. Questo potrebbe essere il primo passo per cercare di organizzare la protesta, per farli passare dalla lotta individuale, separata, alla protesta sociale, la sola capace di sconfiggere la Società della galera, che sovrasta tutti.
Se invece insistiamo a muoverci come un corpo separato che si autolegittima e si autodifende avremo davanti un solo possibile risultato, e cioè un atto di clemenza del più forte, lo Stato, verso un nemico ormai piegato e pronto ad elemosinare una soluzione politica che magari tirerà fuori qualche compagno dalla galera, ma che lo consegnerà, sconfitto, domato, separato dal corpo sociale, ad un'altra galera, quella che tutti i giorni si vive fuori in questa Società di merda.
Sappiamo benissimo che la soluzione da noi proposta è quella più difficile ed impegnativa, e che costringerà molti compagni a stare in galera per un periodo più lungo, ma sappiamo anche che questa soluzione permetterà loro di tenere su la testa, di essere sempre inseriti in un tessuto sociale capace di rivoltare un giorno questa Società.
Naturalmente non abbiamo soluzioni rispetto al problema proposto, non abbiamo una linea generale su come si provochi questo corto circuito: semplicemente pensiamo che vivere in un tessuto sociale significa conoscerne le problematiche e intervenire, organizzare la soluzione di queste. Si può cominciare a pensare (e qualcuno già lo ha fatto) a spazi di autodifesa proletaria, magari e possibilmente con qualche avvocato disponibile ad un lavoro di consulenza sociale periodica e gratuita per i proletari alle prese con la giustizia borghese e magari arrivare a forme di Soccorso Rosso autogestito a disposizione non solo dei compagni, ma dei proletari che incontriamo tutti i giorni, senza chiaramente escludere, anzi organizzando forme di lotta contro la violenza quotidiana che lo Stato dispiega contro gli esclusi della Società.
Sono solo piccoli esempi di quello che si potrebbe fare, ma altre proposte potrebbero uscire da una seria discussione fra molte teste su queste tematiche: è a questo che secondo noi dovrebbe servire un'assemblea nazionale contro la repressione che sia un tentativo di riannodare le fila di una lotta di classe contro questo Sistema, per il Comunismo.

settembre 2006
Coordinamento per l'Autonomia di classe

http://www.autprol.org/