26/07/2008: Due lettere dal carcere di Spoleto


“Dal di dentro”.
A parte pochi fatti eclatanti si leggono e si sentono piccoli articoli e brevi notizie sui giornali e alla televisione sui morti per lavoro e sui morti per malasanità, ma nulla proprio nulla sui morti in prigione di carcere.
Anche per questo molti detenuti non amano la (in)giustizia di Stato.
Anche per questo molti detenuti subiscono e accettano in silenzio le violenze di Stato per non rischiare di essere additati e strumentalizzati come mafiosi (i mafiosi veri e intoccabili stanno fuori quelli finti si fanno il carcere).
Non tutti sanno o fanno finta di non sapere che per malasanità non si muore solo fuori, in carcere si muore più spesso e più soli.
Il carcere in Italia oltre a non rieducarti ti ammazza e lo fa in silenzio senza che nessuno sappia nulla.
Con l’esclusione della sinistra, della sinistra vera, della sinistra a sinistra, dal parlamento, molti detenuti sono stati sicuramente privati di uno strumento di denuncia e di rivendicazione di diritti violati e/o non riconosciuti.
Spesso le persone malate in carcere vengono rinchiuse e legate ancora di più perché danno fastidio.
Ho letto in questi giorni in un libro una frase che riportava una scritta sul muro di un lager nazista: Io sono stato qui e nessuno lo saprà mai.
Per questo ho deciso di scrivere della morte di Nino. La pena non dovrebbe essere vendetta, per Nino lo è stata. Nino era calabrese, piccolo di stature, pelle scura, occhi celesti. Sorrideva sempre, amava la vita e la famiglia. Nino frequentava l’istituto d’Arte di Spoleto.
Io e Nino siamo stati in cella insieme per sei mesi. Nino era malato e una volta mi ha confidato che il suo desiderio più grande era quello di morire libero con accanto i suoi familiari. Nino sollecitato dal Dirigente sanitario dell’Istituto presenta richiesta di sospensione pena, gli mancavano due anni. Nino viene trasferito al Centro clinico carcere di Napoli. La famiglia lo va a trovare e gli comunicano che il loro congiunto è morto.
Questa è la storia sintetica e cruda di Nino ma è la storia di tanti detenuti che muoiono in carcere.
Forse molti di loro non potrebbero essere salvati ma sicuramente in libertà potrebbero essere curati meglio anche solo con il conforto dell’affetto dei familiari.
Voglio ricordare ai governanti e ai carcerieri che si sono occupati di Nino che Sandro Pertini, che in gallera passò lunghi anni, un giorno disse: “Ricordatevi quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi.”
Ciao Nino, arrivederci fra le stelle, più di ricordarti in questo modo non posso fare e se mi puniscono per questo che ben venga la punizione.

Carmelo Musumeci, Spoleto luglio 2008

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Risposta alla lettera aperta di un ergastolano

Perché lottare per l’abolizione dell’ergastolo.
Perché l’ergastolo non né vita e né morte, è il nulla.
Perché l’ergastolanoin Italia è il più dannato dei dannati.
Perché questa lotta può essere una scintilla per accendere un fuoco di giustizia sociale dentro e fuori.
Perché il carcere ci insegna a tacere ma noi non dobbiamo permettere a nessuno di zittirci.
Perché il carcere oltre che un luogo di sofferenza può essere un luogo di avanguardia di lotta per migliorare i diritti di tutti.
Perché in carcere accade di tutto.
Perché l’uomo là fuori è giusto che sappia le ingiustizie che accadono dentro.
Perché la nostra lotta di speranza può aiutare noi e quelli del mondo di fuori a crescere.
Perché meglio accendere una candela che maledire l’oscurità: quando si lotta può sembrare inutile ma è assolutamente importante che lo si faccia.
“Toglietemi la speranza di poter cambiare il mio futuro e mi vedrete impazzire.” (Israel Zangwril).

Perché se non lottiamo per noi stessi, chi lo farà per noi? Se non lotto per me stesso da solo, chi sono? Se non ora quando?
Ormai in Italia alzano la voce solo i potenti e i carnefici, gli operai e i prigionieri non hanno neppure più la forza di lamentarsi.
Perché l’Italia non rispetta il diritto naturale, il diritto comune, la legislazione comunitaria dato che nel suo diritto ha una pena che non finisce mai.
Perché l’ergastolano non è più nessuno è solo un’ombra.
Perché alcuni ergastolani hanno accettato di vivere e morire dietro una gabbia senza fare nulla.
Perché l’ergastolo è una vendetta infinita.
Perché se vogliamo farcela, possiamo fare abolire l’ergastolo, basta crederci.

Come lottare?
Con tutti i mezzi pacifici ma in qualsiasi modo: con lo sciopero della fame, con il cuore, con l’anima, uniti, da soli. Mobilitiamoci: iniziamo a coinvolgere noi stessi poi gli altri, i parenti, i familiari, gli avvocati, i professori universitari, gli intellettuali, il mondo dello spettacolo, gli eurodeputati (i politici italiani lasciamoli perdere, insomma tutta la società civile). E scriviamo, scriviamo a tutti, “una donna che corre con i lupi” ha detto: Una penna è un’arma potentissima. La gente fuori ha diritto di sapere cosa accade dentro. Non importa cosa scrivi, l’importante è quello che ha da dire. Cercheranno di mettervi a tacere allora vuol dire che state andando bene, che state andando forte e che la vittoria è vicina.

Chiediamo:
Il rispetto del Diritto internazionale. Il rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il rispetto della Costituzione italiana (art. 27). Abolizione dell’ergastolo. Diritto alla speranza. Diritto al futuro. Lavori esterni. Carceri aperti. Abolizione del 41bis. Diritto all’affettività per le nostre mogli, compagne e fidanzate e perché, anche per noi stessi.

A nome degli ergastolani in lotta di Spoleto,
Carmelo Musumeci, luglio 2008

http://www.autprol.org/