14/07/2008: Afghanistan 1978, Rivoluzione democratica e nazionale


Quanti sono coloro che hanno coscienza e memoria di cosa è accaduto esattamente 30 anni fa? Quanti storici, studiosi, esperti, pacifisti che spesso “trattano” le problematiche dell’Afghanistan di oggi, della guerra in cui anche l’Italia è direttamente coinvolta con 2.550 soldati; delle quotidiane tragedie ed orrori che martoriano quelle terre e quel popolo; quanti di costoro “dimenticano” o peggio ignorano quanto accadde nel lontano 1978?
C’è forse una cattiva coscienza che li accompagna?
Con queste necessariamente sintetiche righe, cerco di spolverare un pezzo di storia (con i suoi limiti ed errori, propri di chi la storia “la fa e non la scrive”), per i giovani di oggi e in onore e memoria a quelle figure eroiche (e non c’è alcuna retorica lasciva in questo caso), di rivoluzionari, donne, uomini, giovani che tentarono di fare ciò che appariva l'impossibile: portare un intero popolo fuori dal feudalesimo. Il tentativo è stato impedito, ma il processo di emancipazione, in quei 14 anni è stato seminato, ed i processi storici hanno corsi e ricorsi, ne è prova che ancora oggi e, purtroppo per il popolo afgano, ancora per molti anni, la matassa afgana è lungi da essere risolta per le potenze imperialiste e reazionarie guidate dagli USA. Che furono affiancate (!) dalle sinistre occidentali, va detto e scritto a chiare lettere: solo da queste; la stragrande maggioranza dei paesi e dei popoli del Terzo e Quarto Mondo, furono al fianco della Rivoluzione afgana.
In ogni caso, come disse un filosofo francese: quando l’impossibile è stato tentato una volta, esso è già un pò meno impossibile.

Breve cronologia storica
1747: Si forma il primo embrione di stato afgano indipendente
1838-1842: Prima guerra Anglo-Afgana, vinta da questi ultimi
1878-1880: Seconda guerra Anglo-Afgana. Pur non capitolando, gli afgani devono di fatto accettare una sovranità limitata, sotto il controllo inglese.
1893-1895: Gli inglesi ridisegnano i confini dell’Emirato afgano, con l’obiettivo di frammentare le varie tribù ed indebolire il potere centrale.
1901-1919: Sotto il Regno di Habibullah, si forma e sviluppa, il movimento nazionalista e progressista dei giovani afgani.
1917: Avviene il riconoscimento reciproco tra URSS e Regno Afgano.
1919: Viene ucciso Habibullah e prende il potere il Partito Nazionalista di Amanullah. Gli inglesi intervengono e scoppia la terza guerra Anglo-Afgana, che stavolta termina con un armistizio e costringe l’Inghilterra a riconoscere la sovranità e l’indipendenza totale dell’Afghanistan.
1921: Per impedire la minaccia di nuove ingerenze straniere, soprattutto inglesi, viene stipulato un “Trattato di amicizia, neutralità e cooperazione Afgano-Sovietico”.
1929: Gli inglesi fomentano una rivolta reazionaria contro Amanullah che è costretto a fuggire.
1933: Il monarca Nadir viene ucciso in un attentato, come risposta alla repressione contro gli ambienti patriottici e progressisti, perpetrata dal suo regime.
1933: Sale al trono Zahir Shah.
1953: Diventa primo ministro M. Daud, cugino e vero uomo forte del Regno di Shah, che governerà fino al 1963, anche con qualche timido tentativo di modernizzazione, ma soprattutto nella ricerca di una neutralità e non allineamento.
1961: Le politiche aggressive e le pressioni del blocco occidentale, produssero continue tensioni usando il governo pakistano, completamente assoggettato agli inglesi ed ai loro interessi; nel settembre del ‘61 furono rotte le relazioni diplomatiche ed economiche tra Afghanistan e Pakistan.
1963: La destra del paese sostenuta ed incoraggiata dalle potenze imperialiste riuscì a far cadere il governo di Daud ed ottenerne le dimissioni.
1964: Daud viene sostituito alla carica di primo ministro da Yusuf, il quale cerca comunque di mantenere gli indirizzi statali precedenti, pur se pressato dalle forze più retrive e reazionarie; vengono “liberalizzate” le istituzioni e si vara una nuova Costituzione del Regno Afgano.
1965: Nasce il Partito Democratico Popolare Afgano. Nello stesso anno si svolgono le prime elezioni del paese, in realtà solo in alcune grandi città. Tra brogli, violenze e confusione, il PDPA riesce ad eleggere 4 candidati. In questo anno viene rinnovato con l’URSS per altri dieci anni il “Patto di neutralità e reciproca non aggressione” del 24 giugno 1931; il quale prevedeva anche reciproca assistenza in caso di aggressioni straniere.
1969: Si svolgono nuove elezioni con pesanti ostilità verso i candidati patriottici e progressisti, il PDPA avrà 2 seggi.
1973: M. Daud con l’appoggio di un vasto fronte progressista e patriottico, rovescia la monarchia e viene istituita la repubblica. Il PDPA appoggia il nuovo governo.
1977: Sotto pesanti pressioni internazionali M. Daud allontana il PDPA dal governo e inizia la repressione verso le forze nazionali e progressiste, che sanciscono una svolta reazionaria e di destra del nuovo regime.
1978: Viene assassinato M. Khyber da sicari legati al potere, le città afgane vengono attraversate da forti manifestazioni contro il governo, guidate dal PDPA. Scatta la repressione e i massimi dirigenti del PDPA vengono arrestati.
27 Aprile 1978: Giovani ufficiali progressisti legati al PDPA lanciano l’insurrezione, a cui si affiancano leader contadini e tribali, oltre al ceto intellettuale delle città, professori e studenti. Vengono liberati tutti i prigionieri politici, Daud viene ucciso, si forma il Consiglio Rivoluzionario… e qui comincia l’altra storia dell’Afghanistan, che sarà soffocata nel sangue, strangolata e schiacciata dagli interessi imperialisti delle potenze occidentali.

Dalla metà degli anni ’60 cominciarono a formarsi molti gruppi politici, nel frattempo, nel gennaio 1965 fu fondato in clandestinità il PDPA, con il suo organo di stampa settimanale Khalq (Popolo); nel suo programma si poneva il compito della lotta per la costruzione di una società libera da ogni sfruttamento e della la difesa degli interessi della classe lavoratrice e della sua emancipazione sociale, attraverso la difesa di uno sviluppo economico indipendente e la realizzazioni di profonde riforme sociali contro i latifondi e la redistribuzione delle terre, l’avvio di un piano di industrializzazione nazionale.
L’Afghanistan era un paese semi feudale, il regime monarchico dalla metà degli anni sessanta era continuamente scosso da un crescente malcontento e proteste anche violente, organizzati soprattutto dal PDPA, tra i lavoratori, gli studenti ed i ceti intellettuali, ma anche tra le stesse Forze Armate dove il Partito aveva un forte radicamento. La stessa borghesia nazionale, ostile alle rapine delle poche risorse nazionali da parte del capitale straniero, si collocava nel campo progressista e di opposizione. Quando nel 1973, il re Shah venne detronizzato da Daud, il quale promise riforme sociali ed economiche in favore della popolazione più povera, il PDPA lo sostenne e collaborò con esso. Ma in cinque anni il governo Daud non diede in pratica alcuna risposta e nessuna riforma fu attuata per gli interessi delle masse lavoratrici; nella realtà i meccanismi statali ereditati dalla monarchia, continuarono nella sostanza a far funzionare la macchina statale del paese, ed il potere politico continuava a restare supino agli interessi dei signori feudali, dei latifondisti e della borghesia compradora, asservita agli interessi stranieri. Alla fine anche i più elementari diritti civili e politici furono schiacciati.
A quel punto l’influenza del PDPA nel paese era ormai forte e consolidata, perché sempre stato alla testa delle lotte, e l’insurrezione dell’aprile 1978, dette il via alla Rivoluzione Democratica Nazionale Afgana, che per 14 anni resistette alla più violenta e distruttrice aggressione imperialista, insieme a quella del Vietnam, per poi capitolare sfiancata e dissanguata delle sue forze migliori (uomini e tantissime donne), che pagarono con un bagno di sangue, il tentativo rivoluzionario di cambiare il corso sottomesso della storia del popolo afgano e portarlo fuori dal feudalesimo.
La Rivoluzione doveva cominciare praticamente da zero l’edificazione di una società moderna e civile, in un paese di 16 milioni di abitanti, composto da 22 nazionalità diverse, suddivise a loro volta in decine e decine di tribù e centinaia di clan; con il 90% della popolazione analfabeta, che tra le donne raggiungeva il 99%.
Un paese dove la maggioranza dei contadini era senza terra e lavorava per i grandi possidenti, i quali controllavano tutte le attività commerciali, amministrative dello stato ed il reale potere politico. Un paese dove le lotte intestine tra gli schieramenti religiosi, sunniti e sciiti, venivano appoggiate e favorite anche dall’esterno, in modo da garantire lo storico “immobilismo dell’equilibrio”, che perpetrava lo status quo millenario, su cui si erano fondati fino ad allora tutti i regimi passati.
Il governo rivoluzionario cercando di attuare il programma del popolo, impose il divieto dei profitti usurai e l’annullamento dei debiti contratti da parte dei contadini e dei braccianti con i possidenti; furono creati fondi statali per sostenere i piccoli coltivatori e agli operai agricoli, e si diede inizio alla creazione delle cooperative agricole.
Nel novembre del 1978 fu decretata la realizzazione della riforma fondiaria, la quale prevedeva la liquidazione della grande proprietà feudale e fondiaria; solo nel primo mese dopo l’attuazione, furono oltre 14.000 le famiglie che ottennero la terra. La prima fase prevedette la redistribuzione di oltre un milione di ettari (è circa il 15% la terra coltivabile del paese) tra 680.000 contadini.
La Rivoluzione Afgana lavorava per costruire il futuro: per questo gli obiettivi primari da conquistare erano la riforma agraria, la lotta per l’alfabetizzazione e la democrazia popolare nelle istituzioni politiche, sociali e civili, attraverso la parità dei diritti di tutti i cittadini, in primo luogo l’affermazione completa dei diritti totali di emancipazione delle donne; il Consiglio Rivoluzionario nell’ottobre ’78, approvò un decreto con cui si proibiva la vendita delle donne e di dare le minorenni per matrimoni combinati, dando alle ragazze il diritto di decisione e scelta del proprio destino familiare.
Il potere popolare ricevette dal passato una miserevole condizione sanitaria, in tutto il paese vi erano appena 900 medici e 50 ospedali, in pratica vi era in media 1 medico ogni 15.000 abitanti e un ospedale ogni 300.000. In questa situazione uno dei primi passi del governo rivoluzionario, fu la formazione di massa di personale sanitario e l’apertura di decine di poli ambulatori, anche nelle aree più isolate del paese; garantendo un assistenza sanitaria e i medicinali per i lavoratori e i poveri gratuita ed il diritto alla salute per tutta la popolazione.
Nei primi mesi di attività le autorità rivoluzionarie aprirono oltre 800 scuole e ventimila corsi di alfabetizzazione con oltre un milione persone; fu costruita una rete capillare in ogni villaggio di biblioteche, per la formazione di generazioni acculturate ed il diritto allo studio a tutti i giovani.
Nel programma del governo rivoluzionario erano anche in primo piano la solidarietà con gli altri popoli nel mondo, in lotta per la liberazione nazionale e la costruzione di una coscienza politica forte. Gli strati più diseredati del popolo afgano riposero grandi speranze nella Rivoluzione e nella nascita di un nuovo Afghanistan. Erano semplicemente questi gli obiettivi più importanti e primari dei rivoluzionari afgani: la liberazione del popolo dalla miseria e dall’arretratezza millenaria; con l’obiettivo strategico dell’edificazione di una società socialista, passando attraverso un processo democratico e nazionale, che tenesse conto della situazione arretrata e sottomessa a varie influenze tradizionali retrive, in primo luogo il ruolo degli alti esponenti religiosi.
La Rivoluzione di Aprile fu una prima grande tappa in questa prospettiva, naturalmente furono compiuti errori, accelerazioni, forzature che non sempre (come alla fine del ’79, sotto Amin), tenevano conto della condizione e situazione specifica di arretratezza secolare delle masse afgane e della società afgana; soprattutto nel campo dell’emancipazione della donna e della religione.
Con essa fu dato l’avvio a grandi trasformazioni negli interessi dei lavoratori e nella tutela dei diritti più elementari, fino ad allora negati alla stragrande maggioranza del popolo.
Ma furono proprio questi obiettivi e le prime realizzazioni di essi, che attirarono maggiori attenzioni dei governi imperialisti USA e inglese in particolare; questi, sostenitori e fautori dei precedenti regimi reazionari e oppressivi, si resero conto che i loro interessi nella regione potevano essere messi in discussione da questa giovane e radicata Rivoluzione, ed addirittura avere influenza sui popoli oppressi dell’area e trasformare gli assetti geostrategici da essi dominati. Questo non poteva essere permesso e questo sancì il futuro destino tragico, di quel tentativo rivoluzionario. QUESTO e non le menzogne sui “diritti umani”, sulla “libertà”, sulla “democrazia”, ecc. ecc. di cui si sono riempiti la bocca le potenze occidentali, mentre le loro mani grondavano del sangue di migliaia di afgani, colpevoli solo di voler cambiare il loro infame e misero destino.
Cominciarono a riversarsi fiumi di dollari, armi, tecnologie militari moderne, per sostenere i cosiddetti “combattenti della libertà “, bande di controrivoluzionari, guidate da coloro che avevano perso i loro privilegi secolari, da mercenari e da terroristi fondamentalisti. E cominciò così la guerra vera e propria contro la Rivoluzione Democratica Afgana, con assassinii quotidiani, sabotaggi delle infrastrutture civili e statali, incendi di scuole e cooperative, attentati contro i contadini e i lavoratori che lavoravano e accettavano il nuovo ordinamento, l’assassinio pianificato di insegnati e studenti che facevano i corsi di alfabetizzazione nelle campagne e nelle regioni montuose; contro le donne che si impadronivano del loro destino e facevano della loro liberazione una conquista sociale da difendere, con la pratica dello stupro collettivo da parte dei mujaheddin, contro quelle donne che avevano la gonna o portavano i pantaloni. La distruzione di centrali elettriche, di dighe, di fabbriche, delle cooperative agricole e la distruzione dei campi coltivati. Tutto questo partiva dai campi militari creati dagli USA nel confinante Pakistan, a cui partecipavano con sostegni economici e finanziari le varie potenze occidentali capitaliste, dove venivano addestrati questi banditi mercenari, per poi infiltrarli in Afghanistan.

Adesso tutto questo è documentato e pubblico, ma ancora oggi è assente una riflessione onesta e profonda, da parte di quella sinistra che allora scendeva in piazza per la “libertà” dell’Afghanistan, soprattutto alla luce della tragedia e degli sporchi giochi che da trent’anni vengono fatti sulla pelle e sulle sofferenze del popolo afgano, e dove ancora oggi il nostro paese è là coinvolto con ben 2.550 militari, che insieme agli altri 39.000 militari della NATO, continuano a occupare. A nessuno di costoro, viene di pensare che tutta la tragedia afgana ancora oggi sotto i nostri occhi, cominciò per soffocare e stroncare quella Rivoluzione? Possibile che di fronte al fatto di essersi trovati al fianco, quindi oggettivamente complici, delle forze dell’imperialismo, della NATO, della CIA, dei Signori della guerra afgani assassini e oppressori, dei peggiori mercenari fanatici e del tanto (OGGI) vituperato Bin Laden. Possibile che l’essersi trovati fianco a fianco con una tale compagnia, così ben assortita di affossatori dei diritti dei popoli, non abbia prodotto almeno la necessità di andare a fondo nell’analizzare quella situazione, un bisogno onesto intellettualmente, di conoscere meglio, di capire meglio? Domande che ancora oggi, amaramente va constatato, non hanno trovato risposte.
Una cosa è certa, quella sinistra occidentale ebbe un ruolo decisivo nell’isolamento delle masse lavoratrici dei paesi capitalistici, da quell’esperienza di progresso e di emancipazione, e questo è un altro dato di fatto.
Sarebbe solo un atto di verità storica , ma potrebbe anche dare un'altra prospettiva di soluzione (di lunga durata, sicuramente), del tragico puzzle afgano.
Il problema è che nonostante la storia ed il tempo ci consegnano poi fatti e documentazioni inoppugnabili sulle verità prima nascoste, pochi sono quelli che hanno il coraggio e la dignità dell’autocritica e della riflessione storica. Si va avanti come se nulla fosse accaduto, l’occidente opulento con la sua sinistra imbelle ed opulenta, voltano pagina e tirano dritto… Per poi ricadere nella stessa cloaca: infatti la storia si è ripetuta con l’aggressione e distruzione della Jugoslavia.
Fu così che l’obiettivo strategico e primario delle potenze imperialiste occidentali, divenne la distruzione di questo tentativo di processo di liberazione, con tutti i mezzi, a partire dall’uso del fondamentalismo islamico come arma nuova di destabilizzazione (che oggi gli si ritorce contro), dei paesi e delle realtà non assoggettate al loro ordine mondiale, al di là degli orientamenti politici. La colpa più grave e inaccettabile per i popoli oggi, è volere essere sovrani ed indipendenti a casa propria.
Come poi si è dipanato il processo rivoluzionario afgano non fa parte di questo scritto, occuperebbe tante altre pagine e lo rimando ad un successivo scritto specifico; la tragedia a tutt’oggi del popolo afgano la seguiamo ogni giorno sui telegiornali e sui giornali di tutto il mondo: un inferno a cielo aperto per tutti, da cui non si intravedono spiragli di soluzioni… meno che mai quelle militari, ma anche questo fa parte di un altro pezzo di storia, da affrontare in un specifico scritto.
Qui intendevo solo fare un atto di memoria storica ad uso non dei ceti politici o pacifisti di allora, ma ad uso delle nuove generazioni di giovani militanti della lotta per la pace e contro le guerre, che traggano dalle esperienze anche tragiche della storia e dei tentativi rivoluzionari di liberazione, emancipazione e progresso dei popoli, una lezione per non commettere gli stessi errori, ma anche per trovare energie e linfa per cercare di cambiare questo mondo di ingiustizie, oppressioni, guerre e morte che schiacciano tanti popoli e paesi, e che non possiamo evitare di vedere.
E allora rendiamo onore e dignità, a distanza di trent’anni alla Rivoluzione Democratica Afgana, perché la generosità di quei rivoluzionari (essenzialmente giovani e donne), di dare la vita per la causa del proprio popolo ed il loro tentativo, durato ben 14 anni, di cercare di cambiare la condizione oppressa del popolo afgano ed allo stesso tempo di resistere all’imperialismo, meritano di essere iscritti nella memoria storica del movimento operaio e comunista, e saranno utili alle nuove generazioni afgane rivoluzionarie, come insegnamento per la necessaria… liberazione del popolo afgano.
Quelle donne e uomini del lontano Afghanistan, sono stati e sono compagni e fratelli di tutti gli oppressi che in ogni angolo della terra lottano e muoiono, anche in questo istante, per la liberazione del proprio popolo e del proprio paese. Quindi anche nostri compagni. Non dimentichiamoli.
Essi avevano osato, altri oseranno. Essi hanno indicato la via, altri la riprenderanno.
“Chi non ha memoria non ha storia, chi non ha radici nella propria storia non ha futuro”

Enrico Vigna, Giugno 2008
Da www.resistenze.org - popoli resistenti - afghanistan - 04-07-08 - n. 235

http://www.autprol.org/